silenziose complicità

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Silenziose complicitàdi Angela Sanna

ilenziose complicità è il titolo con ilquale viene qui evocato quell’insiemedi corrispondenze che si possono

instaurare tra capolavori indiscussi della storiadell’arte e opere di artisti contemporanei.In questa prospettiva che intende superareogni forma di dialettica tra antico e modernosi tenta di seguire quel filo rosso che attraversaopere d’arte di epoche tra loro lontanerivelando il ritorno ciclico dei grandi temi cheda millenni affascinano l’artista. Nella lungaepopea della storia dell’arte, in tempi antichicome in anni recenti, la tradizione ha trovatonelle varie forme di sperimentazione un terrenofertile di rinnovamento. Così, in quella lineagenealogica ideale che dalle riproduzioniromane dell’arte greca giunge ai citazionismidel secolo scorso fino alle soluzioni attuali,i confronti e le affinità tra operecronologicamente distanti possono suscitare

innumerevoli pensieri e quesiti la cui soluzione,lungi dall’essere definitiva, dovrà sempremodellarsi sulle istanze delle più diversegenerazioni.

Nella mostra oggi proposta un primoesempio di dialogo-confronto tra passatoe presente è dato dall’accostamento tra ilcapolavoro di Piero della Francesca Battesimodi Cristo e il dipinto Sospensioni di AlfredoMaiorino, entrambi sottesi dall’aspirazioneall’essenza e all’assoluto. Nell’opera di Piero,in particolare, il triangolo ideale nel quale siinserisce la figura di Cristo, il cui vertice coincidecon la coppa tenuta dal Battista, allude allaperfezione suprema della trinità. Nel dipintosi intersecano inoltre due assi ideali, unoverticale e centrale, identificabile con ladimensione sacra, l’altro, orizzontale ericonducibile alla sfera umana, definitodall’apertura alare della colomba. Questasimmetria lineare e geometrica riappare,trasfigurata, nell’opera di Maiorino, dove larosa e la ciotola sembrano una trasposizione‘laica’ e al tempo stesso metafisica della coppae della colomba presenti nel Battesimo.I due oggetti, isolati e spogliati della loroaccezione più comune, ci appaiono uniti da unrapporto spaziale equilibrato e arcano, eimmersi in una flebile quanto silenziosa

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luminosità. Quest’opera di Maiorino èemblematica di un’idea di sacralità e ditrascendenza che si evidenzia ben oltre il credoreligioso per rivelarsi, “attraverso simboli eambientazioni”, anche nella più umilemanifestazione della realtà tangibile. Tutta laricerca dell’artista sembra vertere su questopensiero che si esprime attraverso una rigorosaselezione di colori e di elementi fortementesimbolici come ciotole, stelle, rose, pesci,figure geometriche.

La ricerca di una dimensioneultrasensibile è uno degli aspetti centralidell’indagine condotta da Caterina Arcuri neivari settori del video, della fotografia, dellaperformance e dell’arte oggettuale. In occasionedi questa mostra l’artista aggiunge un nuovotassello a questo suo repertorio rendendoomaggio, con l’opera Indignata sub umbras, alcapolavoro di Caravaggio La morte dellavergine. Il riferimento al dipinto del grandelombardo consiste nella rivisitazione fotograficadel dettaglio della mano e del braccio dellaVergine appoggiato su un cuscino. In questacome in altre prove l’artista reinterpretaun’icona intramontabile della storia dell’arteseguendo una sensibilità che la spinge ainfondere nuova linfa alle figure pittoriche dicui subisce il fascino. L’opera Indignata sub

umbras appare particolarmente indicativa diquesta tensione vitale, come indica latrasformazione della mano esangue della Verginecaravaggesca in una mano femminile rosea evitale. Questa suggestiva evocazione del ritornoalla vita crea un collegamento non solo con lanatura religiosa dell’opera di Caravaggio maanche con una più vasta tradizione pittorica disoggetti sacri fondati sull’idea cristiana dellaresurrezione e della vita ultraterrena. Nellapoetica dell’Arcuri, tuttavia, il sottile confinetra vita e morte, tra realtà e trascendenza, trapassato e presente perde la sua connotazioneeminentemente religiosa per aprirsi a unavisione ben più terrena e umana.

Con una tecno-light-box intitolata Labellezza corrompe Giulio De Mitri ripropone inchiave bidimensionale e tecnologica unparticolare della famosa scultura di AntonioCanova Venere e Adone. La riproduzione deivolti marmorei dei due amanti, dove spicca losguardo intensamente ”umanizzato” della dea,occupa il primo riquadro dell’opera, cui neseguono altri due raffiguranti rispettivamentela schiena levigata di un corpo femminile e unamano affusolata vista di profilo. L’attenzionedi De Mitri al mito, già manifestata nelrifacimento, in teche luminose, della Vittoriadi Samotracia, è quella stessa che l’artista

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dedica, in altri numerosi lavori, ad elementinaturali quali conchiglie, minerali, astri, fascidi luce, acqua. La purezza formale checontraddistingue queste forme, come quelleclassiche e neoclassiche da lui rivisitate, sembraricollegarsi, per antitesi, al titolo dell’opera“la bellezza corrompe”. Questo postulato dallemolteplici possibilità interpretative – che puòindicare tanto il carattere ingannevole dellabellezza quanto la perdita dei canoni classici- sembra costituire la contropartita della stessaelegante raffinatezza che caratterizzala produzione dell’artista. Le sue forme nitidee precise, dove l’antico e il primordiales’incontrano, sembrano infatti scaturire da unaparticolare ‘archeologia’ che sottrae le immaginiall’oblio e all’usura ‘congelandole’ in unadimensione incorruttibile e imperitura.

A una definizione ancora diversa dibellezza e di classicità si accosta la ricerca diUmberto Manzo il cui lavoro Senza titoloincontra in questa occasione un’operaemblematica di Leonardo da Vinci, L’uomovitruviano. Il rapporto ideale che si instauratra il disegno dell’illustre toscano e lacomposizione dell’artista parte da un’assonanzache è innanzitutto compositiva: il corpo umanoche si rapporta concentricamente al cerchio ea una forma quadrangolare. Se nel disegno

leonardesco il corpo maschile occupa il cerchioin una visione rinascimentale di perfezioneformale, nell’opera di Manzo la posizione diquesti elementi viene ribaltata ed è il cerchioa essere riprodotto in un busto maschile vistodi spalle e di tre quarti; così, se nel disegno diLeonardo le varie parti dell’uomo equivalgonoall’insieme armonico di una costruzionearchitettonica, la cui centralità si riflettenell’equilibrio geometrico del cerchio e delquadrato, in Manzo sono le stesse parti delcorpo umano a costituire - come è stato detto- un catalogo ideale di misura e di perfezioneclassica. Nell’opera dell’artista il corpo vieneinfatti rappresentato come canone aureoall’interno di lavori realizzati con materialieterogenei nei quali si sovrappongono eaccumulano, in un ordine quasi ossessivo,disegni, fogli impilati, sottili strisce di tela.All’interno di queste opere l’uomo si delineacon evidenza, quasi ad affermare la propriasuperiorità come modello e come unità dimisura. Questa concezione antropocentricadell’arte appare ancorata a una visione culturaleampia e bilanciata, che accoglie, insiemeall’eredità classica e umanistica, anche latensione manuale e al tempo stesso concettualedel processo creativo.

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