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Sociologia Economica niversità di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbon Sistemi di regolazione e sistemi di welfare Con il termine sistema di regolazione dell’economica si deve intendere la combinazione tra le diverse forme di integrazione dell’economia nella società (reciprocità, redistribuzione, scambio di mercato) Questo concetto rappresenta un strumento analitico fondamentale per l’analisi socio- economica contemporanea perché, da una parte, garantisce la comparazione tra contesti regolativi differenti e, dall’altra, è uno strumento di analisi flessibile che può essere applicato a diverse dimensioni dell’analisi Anche lo studio dei sistemi di welfare in una prospettiva comparata parte, infatti, dal concetto di sistema di regolazione. Secondo questo approccio analitico, il welfare state si è sviluppato a partire da meccanismi di regolazione differenti, che hanno dato origine a diverse configurazioni dello stato sociale

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Sociologia Economica

Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbone

Sistemi di regolazione e sistemi di welfare

Con il termine sistema di regolazione dell’economica si deve intendere la combinazione tra le diverse forme di integrazione dell’economia nella società (reciprocità, redistribuzione, scambio di mercato)

Questo concetto rappresenta un strumento analitico fondamentale per l’analisi socio-economica contemporanea perché, da una parte, garantisce la comparazione tra contesti regolativi differenti e, dall’altra, è uno strumento di analisi flessibile che può essere applicato a diverse dimensioni dell’analisi

Anche lo studio dei sistemi di welfare in una prospettiva comparata parte, infatti, dal concetto di sistema di regolazione.

Secondo questo approccio analitico, il welfare state si è sviluppato a partire da meccanismi di regolazione differenti, che hanno dato origine a diverse configurazioni dello stato sociale

Sociologia Economica

Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbone

I principi ideologici alla base dei differenti modelli di welfare

Fin dalle prime fasi di consolidamento dei moderni welfare state, le politiche sociali sono state finalizzate a guidare l’azione politica e legislativa verso l’equilibrio tra libertà individuale e uguaglianza sociale. In questo processo, gli orientamenti ideologici che si sono affermati contestualmente alla società moderna, hanno dato una diversa interpretazione del concetto di uguaglianza sociale

Nell’ideologia socialista è stata intesa come “uguaglianza dei risultati” o “uguaglianza assoluta”, configurando un sistema di redistribuzione delle risorse sulla base del criterio dell’uguale grado di soddisfazione dei bisogni sociali per tutti i cittadini.

L’approccio liberale, invece, ha guardato prevalentemente al principio della “uguaglianza delle opportunità”, in base al quale un uguale “allineamento” di partenza degli individui avrebbe lasciato la possibilità di sfruttare le occasioni offerte dal mercato

Questa duplice interpretazione è stata declinata sulla base delle differenze, economiche culturali, proprie dei diversi paesi generando “strategie miste” di azione regolativa a cui corrispondono altrettanti modi di concepire il ruolo dello Stato e delle altre istituzioni (mercato, famiglia, terzo settore) nei processi di produzione del benessere sociale

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La classificazione dei modelli di welfare: la proposta di Titmus

Una delle prime classificazioni che ha provato e mettere in evidenza le differenze strutturali tra i modelli di welfare state è quella proposta da Titmuss (1974) che ha distinto tra:

1) Modello residuale in cui lo Stato interviene ex-post, rispetto ai rischi, con forme assistenziali limitate nel tempo e solo quando i tradizionali sistemi di soddisfacimento dei bisogni (famiglia, reti parentali, il mercato) non riescono a far fronte ai bisogni dell’individuo

2) Modello particolaristico-meritocratico in cui lo Stato individua nella politica sociale uno strumento correttivo del mercato. L’intervento pubblico si basa, però, sul presupposto che ognuno provveda a sé attraverso il proprio lavoro, ovvero affronti le situazioni di bisogno grazie al versamento dei contributi che lo assicurino contro i rischi sociali (disoccupazione, malattia, infortuni, ecc.). Il grado di benessere cui un soggetto ha diritto dipende dalla sua posizione nel mercato del lavoro;

3) Modello istituzionale-redistributivo in cui lo Stato adotta criteri universalistici nell’erogazione dei servizi. Questi vengono organizzati e gestiti in riferimento ai bisogni dell’intera popolazione e il loro l’accesso è basato sulla sola residenza e non sul versamento di contributi o il pagamento dei servizi. Il modello istituzionale interviene nella fase a monte dei processi distributivi ovvero prima che le situazioni di bisogno si manifestino. Ciò implica che gli interventi sociali assumeranno un carattere prevalentemente preventivo piuttosto che assistenziale.

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Crisi economica e nuova prospettiva di indagine

Fino alla metà degli anni ottanta, le analisi comparate sui modelli di welfare hanno dato rilevanza soprattutto al modello istituzionale e a quello residuale proponendo una visione “evoluzionista” del modello di Titmuss

Secondo questa visione, il modello istituzionale universalistico assumeva un carattere normativo di obiettivo da raggiungere per tutti i paesi, mentre quello residuale veniva considerato un modello obsoleto destinato ad essere superato nel tempo.

La necessità di trovare nuove soluzioni per un welfare state in crisi ha portato, però, ad un allargamento dei paradigmi di indagine che si sono concentrati sulle differenze realmente esistenti tra i diversi paesi che il modello di Titmuss non riusciva a classificare

Tali differenze, infatti, non sono legate al livello di sviluppo del welfare state, quanto a principi di regolazione differenti che attribuiscono un diverso ruolo alla sfera economica, a quella politica e a quella sociale nel processo di produzione del benessere sociale

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Il welfare state nella prospettiva regolativa

Nella prospettiva regolativa, il welfare state va inteso come una istituzione integrata in un complesso sistema di interdipendenze con altre istituzioni. La capacità di produrre benessere da parte dello Stato non dipende, infatti, soltanto da scelte di carattere politico. Essa è strettamente legata alla sfera economica dalla quale dipendono la quantità e la qualità delle risorse disponibili per la popolazione e dal modo in cui la società ed in particolare le reti sociali primarie (la famiglia, la rete parentale, la comunità locale di appartenenza, ecc.) contribuiscono a garantire sicurezza e protezione ai propri membri.

In altre parole il benessere complessivo in una società è il prodotto della co-partecipazione di queste tre istituzioni

I meccanismi di regolazione ed integrazione che mettono in relazione lo Stato con le altre sfere regolative del mercato e della famiglia, rappresentano gli elementi costitutivi dei Sistemi di welfare

Il welfare state rappresenta, quindi, una parte non esaustiva del processo complessivo di produzione del benessere sociale.

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Meccanismi regolativi e protezione sociale

Ciò vuol dire che il grado di protezione collettiva contro i rischi sociali è strettamente legato alle relazioni che intercorrono tra le sfere di regolazione (Stato, famiglia, mercato) e le forme di integrazione tra economia e società (redistribuzione, reciprocità, scambio di mercato)

Gli equilibri tra questi ambiti contribuiscono a determinare nei diversi contesti storico-sociali e culturali sia ciò che viene considerato un bisogno, sia i comportamenti e le strategie che gli individui adotteranno per affrontare i rischi sociali.

Sistemi di welfare diversi sono caratterizzati da un differente peso specifico delle varie sfere di regolazione

In ogni sistema di welfare, dunque, il rapporto tra Stato, famiglia e mercato costituisce uno spazio di relazioni in cui elementi di carattere economico si connettono alle strutture socio-culturali e politiche determinando differenti processi di gestione dei bisogni sociali.

Le differenze tra i sistemi di welfare nei processi di inclusione sociale e nel grado di benessere socio-economico, sono riconducibili al diverso ruolo attribuito dallo Stato alle potenzialità del mercato e all’azione della famiglia.

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I regimi di welfare secondo Esping-Andersen

Nella sua analisi, il welfare state è inteso come una costruzione storicamente definita, con lo scopo di strutturare il contratto sociale tra Stato e cittadini nelle società ad economia di mercato.

Anche Esping-Andersen considera ... «che la somma totale del benessere sociale è funzione del modo in cui gli input di Stato, mercato e famiglia vengono combinati tra loro»

Uno degli autori che per primo ha colto l’importanza di considerare i principi regolativi come elemento analitico in grado di spiegare le differenze esistenti tra i vari sistemi di welfare è stato Gøsta Esping-Andersen

In altre parole il welfare state da solo non garantisce la piena realizzazione del benessere sociale nella società capitalista. A tale obiettivo contribuiscono anche il mercato e la famiglia.

L’insieme delle relazioni, esistenti in un paese, tra Stato, famiglia, e mercato finalizzate alla “produzione” di benessere sociale costituiscono ciò che Esping-Andersen definisce come regime di welfare

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Le forme di integrazione di Polany nell’analisi di Esping-Andersen

All’interno della famiglia, il criterio allocativo dominante è rappresentato dalla reciprocità […]. Di contro, l’allocazione all’interno dei mercati è governata dai rapporti monetari, mentre il principio dominante seguito dallo Stato è quello della redistribuzione d’autorità

I diversi regimi di welfare sono, dunque, caratterizzati dal diverso modo in cui le tre istituzioni socializzano i rischi.

«A seconda del ventaglio dei rischi considerati “sociali” e della collettività ritenuta in diritto di protezione, il ruolo dello Stato [rispetto alla famiglia ed al mercato] viene definito residuale e minimalista o, al contrario, inclusivo e istituzionale»

Riprendendo Polanyi, Esping-Andersen sostiene che le istituzioni dello Stato, del mercato e della famiglia affrontano i rischi sociali seguendo principi radicalmente diversi

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Il processo di demercificazione del welfare state

I regimi di welfare si distinguono, quindi, per il diverso grado di demercificazione che varia nella misura in cui il welfare state riesce a garantire il diritto ad un reddito (o altri servizi) indipendentemente dalla partecipazione al mercato del lavoro.

Questo comporta l’adozione di diverse misure per affrontare i rischi sociali ed un differente grado di copertura delle misure protettive e assistenziali tra la popolazione.

Esping-Andersen condivide con Polanyi inoltre la prospettiva secondo cui l’intervento dello Stato, nel processo di soddisfazione dei bisogni, contribuisce a ridurre la dipendenza degli individui dal mercato

In alcuni contesti prevarrà un intervento diretto ed esteso da parte dello Stato in modo da garantire un elevato grado di demercificazione all’intera popolazione. In altri contesti, invece, il ruolo dello Stato sarà residuale e, quindi, anche il grado di copertura dei rischi ed il livello di demercificazione saranno ridotti

In sintesi: ciascun regime costituisce, quindi, un vero e proprio “mondo” distinto dagli altri sulla base di livelli diversi di demercificazione e per la diversa importanza attribuita nel processo di socializzazione dei rischi allo Stato, alla famiglia e al mercato

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Il regime di welfare liberale

L’elemento che contraddistingue l’azione dello Stato all’interno di questo sistema di welfare è il residualismo.

Non tutte le possibili situazioni di rischio sono, cioè, coperte da un intervento dello Stato e le prestazioni, a prevalente carattere assistenziale sono, generalmente, limitate ai soli individui in grado di dimostrare il loro reale stato di bisogno attraverso la “prova dei mezzi”.

Appartengono a questo modello prevalentemente i paesi anglosassoni (USA, Australia, Canada, Regno Unito).

Il regime liberale è caratterizzato dalla prevalenza del mercato come principale agenzia di socializzazione dei rischi e da un basso livello di demercificazione.

Raramente, in questo regime, i programmi pubblici di assistenza sociale sono a carattere universale, riguardanti cioè tutta la popolazione. Nella maggior parte dei casi sono di tipo categoriale, riferiti cioè solo a specifici gruppi ad alto rischio

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Il regime di welfare conservatore o corporativo

La maggior parte delle procedure di erogazione di servizi nei paesi che appartengono a questo regime si basa anche sul principio di sussidiarietà. Ciò vuol dire che l’intervento dello Stato si limita alle situazioni in cui viene meno la capacità della famiglia di provvedere ai suoi componenti

Appartengono a questo regime i paesi dell’Europa continentale (la Germania, l’Italia, la Francia, i Paesi Bassi, ecc.).

Il regime conservatore si caratterizza per una maggiore importanza attribuita, nei processi di socializzazione dei rischi, alla famiglia, alle associazioni intermedie e al volontariato

La logica sottesa ai processi di demercificazione enfatizza l’idea della collettivizzazione dei rischi in base alla posizione socioeconomica degli individui.Si ritiene, cioè, che i rischi sociali siano distribuiti in maniera diversa tra la popolazione e che, quindi, vadano adottati dei criteri specifici di differenziazione degli interventi e delle misure di sostegno

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Il regime di welfare socialdemocratico

L’elemento che più di tutti caratterizza questo regime è lo sforzo attivo, e spesso esplicito, a demercificare il benessere riducendo al minimo la dipendenza dal mercato.

Appartengono a questo regime i paesi dell’area scandinava (Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia)

Il regime socialdemocratico si distingue dagli altri due regimi per il ruolo preponderante dello Stato nei processi di demercificazione e per l’adozione dell’universalismo come riferimento prevalente nella programmazione delle politiche sociali.

L’obiettivo dichiarato di questo disegno istituzionale è, quindi, la protezione di tutti, in maniera indiscriminata, in base allo stato di bisogno individuale.

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Le critiche alla classificazione di Esping-Andersen

Un’altra critica riguarda il riferimento al concetto di demercificazione nella costruzione della tipologia e la sottovalutazione di tutte quelle attività non mercificate svolte in prevalenza dalle donne

Concentrandosi prevalentemente sui meccanismi di demercificazione, inoltre, il centro dell’analisi, riguarda quasi esclusivamente il rapporto tra Stato e mercato. Il ruolo della famiglia rimane, quindi, marginale

La proposta teorica di Esping-Andersen ha avuto il grosso merito di contribuire alla diffusione di numerose indagini volte a definire le reali differenze tra i diversi modelli attraverso la comparazione delle politiche sociali e dei meccanismi di redistribuzione operanti nei paesi ad economia di mercato. Tuttavia, questa classificazione è stata sottoposta anche ad alcune critiche:

Secondo Ferrera, ad esempio, uno dei limiti di un impianto teorico di questo tipo è quello di proporre un’analisi sul welfare troppo impostata su una predisposizione valutativa, che tende, cioè, ad idealizzare il regime socialdemocratico rispetto agli altri modelli

È a partire da questa ultima critica che Esping-Andersen ha elaborato il concetto di defamilizzazione. Esso va inteso come capacità delle politiche sociali di ridurre la dipendenza degli individui dalla famiglia, massimizzando la quantità di risorse accessibili indipendentemente dai rapporti di reciprocità

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La teoria dell’embeddedness e la classificazione dei sistemi di welfare

Secondo questo approccio, quindi, ogni specifico sistema di welfare è il risultato di particolari circostanze storico-contestuali e le sue istituzioni così come i i suoi meccanismi regolativi sono scarsamente generalizzabili.

Un approccio che mira a superare i limiti della proposta di Esping-Andersen è quello della classificazione dei sistemi di welfare basata sulla teoria dell’embeddedness. Tale teoria si fonda sull’idea che i meccanismi di regolazione sociale – compresi quelli alla base dei sistemi di welfare – sono sempre generati, secondo modalità storiche differenziate, da fattori sociali e culturali in un gioco complesso di persistenze e cambiamenti.

Rispetto al modello proposto da Esping-Andersen, questa classificazione sottolinea il ruolo delle trasformazioni storiche durante le fasi di consolidamento ed espansione del welfare al fine di spiegare le differenze esistenti tra i vari sistemi.

I motivi della differenziazione vanno ricercati nelle strategie che sono state adottate storicamente nei diversi paesi per far fronte all’emergere della questione sociale nelle fasi di passaggio dalla società tradizionale a quella moderna. È sulla base di queste strategie che si sono consolidati i meccanismi di regolazione sociale che hanno dato origine ai diversi sistemi di welfare.

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Il sistema di welfare liberale

Tale obiettivo è stato raggiunto, da una parte, tramite la riduzione del costo dei prodotti industriali ottenuta attraverso la diffusione dell’organizzazione scientifica del lavoro e della catena di montaggio, e dall’altra attraverso il mantenimento di un alto livello dei salari dei lavoratori.

Nel caso del sistema di welfare liberale la prevalenza dei principi di funzionamento del mercato nei meccanismi di regolazione sociale è direttamente collegata al tipo di sviluppo industriale che ha contraddistinto i paesi appartenenti a questo gruppo.

La forte espansione della produzione industriale su larga scala nei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo ha contribuito, in tale contesto, a consolidare un sistema di allocazione delle risorse basato, in prevalenza, sul consumo privato

All’interno di questo modello regolativo i rischi connessi ai processi di modernizzazione sono stati affrontati, fin dalle fasi di consolidamento dell’industrializzazione, garantendo ai lavoratori dei settori strategici dell’economia (per esempio i lavoratori delle grandi industrie meccaniche) elevate possibilità di spesa nel mercato.

La fiducia nella capacità regolativa del mercato è stata molto forte negli USA e più attenuata in altri contesti (es. Canada e Regno Unito)

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Il sistema di welfare socialdemocratico

Nei paesi appartenenti al modello socialdemocratico il forte interventismo statale nei processi regolativi è stato agevolato dalle caratteristiche della popolazione locale e dalla posizione periferica dei paesi scandinavi rispetto al centro dell’economia mondiale

I processi di industrializzazione in questi paesi non hanno dato vita ad importanti processi di immigrazione garantendo, quindi, una forte omogeneità culturale ad un popolazione poco numerosa.Ciò ha permesso la diffusione di un modello regolativo che non ha dovuto affrontare forti conflitti interni tra i diversi gruppi sociali. Durante i processi di industrializzazione le esigenze di protezione sociale della classe operaia in espansione hanno coinciso con quelle di altri gruppi sociali (per esempio artigiani e agricoltori) dando vita a coalizioni sociali rappresentate politicamente dai partiti socialdemocratici

La forte protezione sociale nei confronti dei lavoratori ha avuto come controparte anche una elevata protezione degli interessi delle classi imprenditoriali. La posizione periferica delle economie di questi paesi ha, infatti, permesso il consolidamento di politiche economiche protezionistiche che hanno salvaguardato l’industria locale senza per questo escluderla o renderla marginale dalle dinamiche dell’economia globale

Nel sistema di welfare socialdemocratico, quindi, le particolarità del contesto locale hanno garantito che lo Stato assumesse il ruolo prevalente nei meccanismi di regolazione sociale senza che ciò creasse disequilibri e tensioni tra la popolazione.

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Il sistema di welfare conservatore-corporativo

Nel caso del sistema di welfare conservatore-corporativo l’intervento dello Stato non ha potuto adottare le politiche universalistiche adottate nei paesi socialdemocratici perché il contesto sociale e produttivo era caratterizzato da una elevata differenziazione consolidata nel tempo.

In tale contesto processi di industrializzazione si sono sviluppati parallelamente alla persistenza del lavoro autonomo ed alla microimprenditorialità artigianale e agricola. Piccoli produttori e contadini sono rimasti, cioè, gruppi sociali strategici nell’economia di questi paesi. Ne è derivata una regolazione sociale in cui lo Stato ha dovuto tenere conto del ruolo, anche politico, di questi soggetti e ciò ha portato al consolidamento di meccanismi di protezione e sostegno spesso costruiti ad hoc sulla singola categoria o corporazione

Quasi ovunque nei paesi appartenenti a questo sistema lo stato sociale è stato concepito in termini meritocratici e le politiche sociali, attraverso le assicurazioni sociali, hanno contribuito al consolidamento e alla riproduzione dello status quo raggiunto nel mercato del lavoro

Appartengono a questo sistema i paesi dell’Europa continentale: Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio.

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Il sistema di welfare familistico (1)

Il consolidamento dei meccanismi regolativi nei sistemi di welfare familistici – a cui appartengono i paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Grecia e Portogallo) – è avvenuto secondo modalità in parte simili e in parte differenti rispetto ai sistemi di welfareconservatori

Le analogie riguardano il dualismo produttivo tra piccole imprese – spesso a conduzione familiare – e grandi organizzazioni industriali e la persistenza di una forte vocazione agricola basata prevalentemente sui piccoli proprietari terrieri. Questa configurazione del sistema produttivo ha portato al consolidamento, anche in questi paesi, di un modello regolativofortemente differenziato tra le diverse corporazioni

A differenza del modello conservatore, però, la salvaguardia degli interessi e della sicurezza dei diversi gruppi sociali è avvenuta in un contesto politico caratterizzato da una debolezza delle istituzioni democraticheIn tale scenario il welfare state è stato utilizzato per ottenere consenso politico generando, spesso, una gestione clientelare dei meccanismi di redistribuzione. Questo ha contributo a determinare una configurazione molto frammentata e spesso poco coordinata degli schemi di assistenza sociale.

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Il sistema di welfare familistico (2)

La differenza più rilevante tra il modello conservatore e quello familistico va individuata, però, nella forte responsabilità sociale attribuita ai meccanismi di reciprocità nei processi di regolazione sociale

La tradizione culturale di questi paesi, in gran parte derivata dalla religione cattolica, affida alla famiglia gli obblighi di cura nei confronti dei parenti. Tale tradizione si è protratta in epoca moderna e trova riscontro nell’assetto legislativo

In tale contesto regolativo lo Stato ha assunto, quindi, un ruolo marginale agendo secondo principi di “sussidiarietà passiva”. Lo Stato, cioè, riconosce socialmente e legalmente il ruolo regolativo delle reti sociali primarie, ma non le sostiene attivamente con sussidi o trasferimenti monetari.

L’intervento pubblico è, quindi, prevalentemente di tipo residuale. I meccanismi di protezione del welfare state si attivano, cioè, solo dopo il fallimento o l’impossibilità ad agire delle reti sociali primarie fornendo assistenza agli individui in condizione manifesta di bisogno.

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Il sistema di welfare dei paesi in transizione

La crisi politica dell’ex blocco sovietico e l’apertura dei paesi che facevano parte di questa area verso un’economia di mercato ha, negli ultimi anni, suscitato un nuovo interesse nel campo degli studi comparati sul welfare state

Ciò che accomuna gli schemi regolativi in questi contesti è, in primo luogo, un profondo cambiamento strutturale nell'economia contraddistinto da una significativa instabilità nella capacità di produrre ricchezza (forti diminuzioni del PIL nei primi anni novanta seguite da crescite consistenti negli ultimi anni).

Un altro tratto comune è la crescita e il consolidamento di una forte stratificazione sociale che si esprime in un’alta disuguaglianza nella distribuzione delle risorse e che può essere considerata la causa prevalente di un diffuso rischio di povertà ed esclusione sociale

Le riforme attuate nell’ultimo decennio, seppur con notevoli differenze, hanno avuto un duplice obiettivo: da una parte sostenere il passaggio ad un’economia di mercato e, dall’altra, contrastarne il potenziale impatto negativo in termini di rischi sociali. Ciò ha prodotto delle risposte ambivalenti proponendo delle soluzioni che in alcuni paesi – come ad esempio in Polonia – si sono affidate ad una forte regolazione di mercato, mentre in altri contesti – come ad esempio in Slovenia – è prevalsa la scelta del coordinamento tra istanze di mercato ed intervento dello Stato

Al momento non sembra, comunque, delinearsi un nuovo sistema di welfare con caratteristiche nettamente proprie quanto piuttosto una convergenza differenziata verso i modelli già consolidati nei paesi stabilmente inseriti nell’economia di mercato

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Il ruolo del terzo settore

Dal ruolo dello Stato nella produzione di benessere all’interno dei sistemi di welfare derivano, quindi, gli spazi di azione per le altre istituzioni. Tra queste un importante ruolo è stato riconosciuto negli ultimi anni alle organizzazioni non profit

Con il termine non profit si intende quel settore costituito da organizzazioni senza scopo di lucro dedite alla programmazione e realizzazione di servizi sociali.Proprio l’assenza di fini lucrativi permette di distinguere gli obiettivi di questi attori sociali, orientati maggiormente al raggiungimento del bene comune, dagli interessi privati delle imprese dedite alla “commercializzazione” dei servizi sociali. È per questo motivo che il non profit è definito anche come terzo settore per sottolineare che si tratta di un ambito economico nettamente differenziato dal campo d’azione dello Stato e del mercato

La riscoperta del terzo settore e la crescita della sua rilevanza nel soddisfacimento dei bisogni sociali, coincide con la crisi del welfare state iniziata nella seconda metà degli anni settanta e con la critica ad un modello di politica sociale fondato sul ruolo dominante e pervasivo dell’azione statale

Progressivamente il terzo settore ha assunto una valenza centrale nei sistemi di welfare. Non si tratta, infatti, soltanto di un meccanismo regolativo attraverso cui mobilitare risorse aggiuntive per il completamento dello stato sociale, ma di un soggetto attivo attraverso il quale è possibile strutturare le politiche pubbliche su una base pluralistica riconoscendo la coesistenza di diverse forme di allocazione e valorizzando le interdipendenze tra le diverse istituzioni.

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La classificazione tra sistemi di welfare e mix pubblico privato (1)

A partire dalla riscoperta del ruolo strategico del terzo settore negli ultimi anni, una parte della letteratura ha cercato di coniugare l’analisi dei sistemi di welfare con le diverse tipologie di mix tra pubblico e privato. Uno di questi studi è quello di Ascoli e Ranci del 2003. La loro tipologia distingue tra:

a) Il modello della sussidiarietà, tipico della Germania, si caratterizza per una forte presenza sia dello Stato sia del terzo settore nel campo dei servizi sociali di cura. Il finanziamento del terzo settore è quasi esclusivamente pubblico. Il suo ruolo è fortemente legittimato nello svolgimento dei servizi di assistenza e la sua presenza è strategica anche nelle fasi di programmazione dei servizi sociali. Per questa ragione è definito come modello “a sussidiarietà attiva”.

b) Il modello della prevalenza del terzo settore, tipico di paesi quali la Spagna e l’Italia, si caratterizza per ruolo forte del terzo settore che, però, non è sostenuto da finanziamenti statali elevati, configurando un modello a sussidiarietà passiva. La prevalenza del terzo settore nel campo dei servizi di cura, un lascito della tradizionale presenza degli organismi caritativi ecclesiastici, si colloca a livelli molto elevati di copertura della domanda sociale (in Italia, le strutture di tipo residenziale sono pubbliche solo per un quinto del totale; in Spagna lo Stato gestisce direttamente soltanto 16% del totale dei servizi per disabili).

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La classificazione tra sistemi di welfare e mix pubblico privato (2)

c) Il modello della prevalenza dello Stato è caratterizzato da un intervento statale generalizzato nel settore dei servizi sociali e di cura, al quale il terzo settore si affianca con un ruolo non secondario, o esclusivamente operativo, ma orientato soprattutto ad alcuni ambiti specifici di intervento. È esemplificativo di questo modello il caso della Norvegia, dove il terzo settore gioca un ruolo secondario in alcuni settori specifici, quali ad esempio i servizi di cura per i bambini in età prescolare (i servizi offerti dal terzo settore norvegese in questo campo coprono un terzo del totale dei servizi erogati). Se si analizzano settori specifici, una prevalenza del ruolo dello Stato è riscontrabile anche in paesi afferenti ad altri modelli (in Francia, ad esempio, il settore dei servizi residenziali è gestito direttamente dallo Stato).

d) Il modello della prevalenza del mercato è caratterizzato da una presenza ridotta dello Stato in molti settori dei servizi di cura a fronte, invece, di un esteso mercato privato dei servizi, affiancato dal terzo settore (sovvenzionato dalle quote di utenza e su base privata o volontaria). Questo modello è tipico di paesi come il Regno Unito e di paesi come la Spagna, in cui il mercato dei servizi residenziali è molto sviluppato.

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La produzione di welfare come equilibrio tra diverse istituzioni

Nei moderni sistemi di welfare la produzione dei servizi sociali e di cura dipende, dunque, dal concorso di più sfere di azione: quelle tradizionali della famiglia e del mercato, insieme a quelle dello Stato e del terzo settore. Il mix che si determina nell’integrazione tra questi ambiti si caratterizza per il diverso ruolo che ciascuno svolge compatibilmente con le funzioni ricoperte dagli altri.

Nei paesi dove il ruolo dello Stato è molto rilevante nella produzione dei servizi di cura (paesi scandinavi), le famiglie ed il terzo settore hanno un ruolo residuale nel processo di produzione di welfare.

Nei sistemi dove, invece, le responsabilità di cura ricadono soprattutto sulla famiglia (come nel caso dei regimi familistici o corporativi), oppure nei regimi liberali, dove il ruolo dello Stato è considerato residuale e i servizi sociali rispondono a criteri altamente selettivi, la gestione dei servizi fa affidamento su altri tipi di risorse.

In un caso, si ha un terzo settore forte (per esempio Italia e Spagna) dal quale dipendono soprattutto alcuni tipologie di servizi di cura, quali quelli residenziali o quelli per la cura dei bambini in età prescolare.

In un altro caso, invece, il mancato intervento pubblico viene bilanciato dall’espansione del mercato privato dei servizi e dalla presenza di imprese non profit (Gran Bretagna, ma anche Spagna, nel caso del servizi residenziali).

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L’ affermazione del public-private partnerships (P.P.P.)

Le forme di cooperazione tra pubblico e privato nella produzione di servizi di welfare si sono sviluppate a partire dalla fine degli anni settanta, quando cioè la crisi economica internazionale ha determinato una sostanziale riduzione delle finanze disponibili per il sostegno delle politiche sociali, sia a livello nazionale sia a livello locale

In alcuni settori, tra cui il welfare state, si sono così sviluppati, tra agenzie amministrative e imprese private, accordi di partnership (le PPP: public-private partnerships), attraverso cui i servizi pubblici forniti dallo Stato hanno iniziato ad essere, gradualmente, offerti e gestiti da privati

Negli ultimi due decenni, il rapporto pubblico/privato si è andato progressivamente configurando non più come l’avvicinamento tra opposti inconciliabili, ma lungo un continuum che va dalle organizzazioni statali ai privati, passando per enti e aziende pubbliche, settore non profit, grandi e piccole imprese che perseguono interessi privati

La co-partecipazione pubblico-prrivato nella programmazione ed implementazione dei servizi sociali rappresenta una delle risposte comuni a tutti sistemi di welfare rispetto alle sfide poste allo stato sociale dalle trasformazioni economiche e demografiche degli ultimi decenni.

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Dal government alla governance

La moltiplicazione degli attori ha, quindi, determinato una ridefinizione dei processi di decisione politica e la conseguente diffusione di “nuovi modelli” di gestione non sempre riconducibili in un unico quadro omogeneo

Nei nuovi modelli l’aspetto centrale è caratterizzato dal passaggio da una logica di government – in cui l’azione politica è gestita e coordinata esclusivamente dagli attori pubblici – ad una logica di governance – in cui l’azione politica è il risultato di una regolazione negoziata tra una pluralità di attori pubblici e privati

L’elemento di novità è rappresentato, quindi, dal ruolo cruciale che le nuove interazioni fra Stato e società - fra attori privati e attori pubblici - hanno assunto nella gestione degli interessi collettivi.

Il ruolo dei diversi attori, così come le differenti relazioni fra di loro e i molteplici obiettivi perseguiti, determinano una serie di modelli di governance assimilabili a sei tipologie principali: clientelare, corporativo, manageriale, pluralista, partecipativo e populista

Sociologia Economica

Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbone

Modelli di governance (1)

a) Il modello di governance clientelare è caratterizzato da relazioni particolaristiche fra i politici e i diversi stakeholder (attori coinvolti nei processi di governance) mossi dal perseguimento di benefici specifici. In questo modello, infatti, il perseguimento di obiettivi comuni di interesse pubblico passa in secondo piano rispetto all’attenzione per gli interessi individuali e privati che vengono raggiunti attraverso scambi di risorse materiali e simboliche. Gli attori politici, democraticamente eletti, partecipano attivamente alle azioni di contrattazione tra i diversi interessi in campo conferendo favori e risorse a gruppi specifici in cambio di supporto politico.

b) Nel modello di governance corporativo i diversi attori pubblici e privati siedono, con pari capacità contrattuale, allo stesso tavolo rappresentativo democratico, per la costruzione consensuale di obiettivi politici condivisi. In questo modello, quindi, gli attori pubblici e privati sono coinvolti in attività di negoziazione per il raggiungimento di compromessi tra interessi diversi. Il perseguimento di tali obiettivi è, però, realizzato attraverso la definizione di coalizioni esclusiviste. La presenza di soggetti privati dominanti rischia, cioè, di non lasciare adeguato spazio nell’arena rappresentativa agli interessi di soggetti più deboli (es. associazioni di volontariato) che perseguono obiettivi settoriali.

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Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbone

Modelli di governance (2)

c) Il modello di governance manageriale introduce principi regolativi volti all’efficacia e all’efficienza nella gestione degli interessi pubblici. La competizione fra fornitori di servizi e la valorizzazione della scelta dell’utente rappresentano i temi guida del “New Public Management” che caratterizza questo modello di governance. Le relazioni fra attori politici, democraticamente eletti, e gli interessi privati dei fornitori dei servizi si distinguono per la formalità e la dimensione contrattuale burocratica.

d) Il modello di governance pluralista si distingue per l’elevata competizione fra i diversi interessiin campo con il government che ricopre il ruolo di mediatore. A causa degli alti livelli di tensione fra le opposte posizioni politiche, viene data particolare enfasi alla capacità di gestione dei conflitti. La volontà e la capacità di contrattazione diventano aspetti fondamentali nella cultura politica. Gli attori chiave sono, quindi, rappresentati dall’insieme di politici e dei relativi interessi privati che formano blocchi competitivi e alleanze per la definizione delle politiche.

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Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbone

Modelli di governance (3)

e) Il modello do governance partecipativo si caratterizza per l’inclusione di ampia parte della società civile nella definizione, gestione e implementazione delle politiche. La logica di government è di tipo democratico-inclusivo finalizzata ad incoraggiare la partecipazione di individui e gruppi ai processi di governo. Gli attori chiave sono i politici eletti democraticamente e gli attivisti appartenenti ai diversi gruppi sociali che cercano di istituzionalizzare i meccanismi di controllo popolare delle politiche.

f) Il modello di governance populista si caratterizza, invece, per la mobilitazione del supporto popolare nella definizione e implementazione delle politiche. La logica che guida il governo è, anche in questo caso, di tipo democratico inclusivo, ma finalizzata alla creazione del consenso. Gli attori chiave sono i politici, eletti democraticamente, e gli attivisti appartenenti ai diversi gruppi che cercano di allargare il controllo popolare attraverso meccanismi di creazione e gestione del consenso

Sociologia Economica

Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2007-2008) prof. Domenico Carbone

Sistemi di welfare e modelli di governance

Diversi assetti istituzionali, caratterizzati da contesti strutturali e culture politiche differenti, sembrano favorire la presenza di determinati modelli di governance all’interno dei sistemi di welfare

Il contesto regolativo del sistema di welfare socialdemocratico ha garantito l’istituzionalizzazione modelli di governance derivanti da un mix tra elementi del modello manageriale ed elementi del modello partecipativo.

Nei sistemi di welfare conservatori si è consolidato, prevalentemente un modello di governance di tipo corporativo.

Nel sistema liberale si è consolidata una logica mista tra modello pluralista e corporativista.

Nel sistema familistico si è consolidata, invece, una logica mista tra modello populista e clientelare

Italia, SpagnaPopulista/ClientelareFamilistico

Regno UnitoPluralista/CorporativoLiberale

GermaniaCorporativoConservatore

DanimarcaManageriale/PartecipativoSocialdemocratico

PaesiModelli di governanceSistemi di welfare