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Sociabilità e secolarizzazione negli studi francesi e italiani
Marco Fincardi
Silvio Lanaro ha lanciato la sfida a cogliere il passaggio dell’Italia alla modernità attraverso studi sociali sulla secolarizzazione, senza cui sarebbe impossibile fondare su solide basi la storia sociale della nostra epoca1. A suo parere, nei decenni postunitari e durante la Belle Époque il costume degli italiani sarebbe mutato nettamente, più per un imborghesimento della vita privata che per una diffusione delle ideologie laiche risorgimentali. Eppure su società e cultura italiane dell’Ottocento e del primo Novecento prevalgono tra gli storici preconcette immagini di staticità e tradizionalismo. Dall’esame di larga parte degli studi sull’Italia liberale, la politica sembrerebbe l’unico valido elemento innovatore in quella società. La scuola crociana, disposta a riconoscere alla sola produzione intellettuale dei ceti dirigenti una funzione culturalmente attiva, condiziona ancora oggi ad una limitata percezione delle più vaste dinamiche culturali. Questi influssi hanno orientato a lungo gli stessi etnografi, che spesso hanno rafforzato questa visione arcaicizzante dell’Italia, descrivendo improbabili culture popolari, rimaste immo
bili fino ai processi d’inurbamento dell’ultimo quarantennio.
Nell’Europa dell’Ottocento, è generalmente osservabile l’adozione popolare di costumi che allontanano dalle tradizioni comunitarie arcaiche. Ma per lungo tempo tale fenomeno non è stato oggetto di significative ricerche da parte degli studiosi italiani. Per riscontrare nell’Italia liberale la rilevanza a livello popolare dei processi di secolarizzazione, basterebbe riflettere sul semplice dato della generale diffusione dei negozi aperti e del lavoro durante la domenica e le feste di precetto. Ma tale verifica comporterebbe uno spostamento dell’attenzione dalla storia delle istituzioni politiche ed ecclesiastiche, e dalla storia delle ideologie, alle più fluide — e per l’Italia pressoché inesplorate — storie della quotidianità e del costume. L’affermarsi di una mentalità individualistica, l’intensificarsi delle comunicazioni e il diffondersi di modelli comportamentali urbani, anche nei paesi rurali hanno causato profondi rivolgimenti nella vita consuetudinaria. È questo il panorama percepibile nei capitoli finali dell’Inchiesta Jacini su vita,
1 L ’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, Torino, Einaudi, 1988, pp. 127-129. Già Maurilio Guasco ha fatto notare come Lanaro individui tuttavia il possibile cambiamento di tendenza nell’intraprendere studi sul funzionamento delle strutture ecclesiastiche, quando tali studi sono già avviati in Italia, e con metodologie non antiquate; tali studi non costituiscono da soli un sufficiente supporto alla storia politica, per coprire la carenza di conoscenze sui processi di secolarizzazione (La vita religiosa nell’Italia repubblicana, “Italia contemporanea”, 1990, n. 181, pp. 652-653; Id., Lo stato degli studi sui parroci e le parrocchie cattoliche tra Otto e Novecento, “Bollettino della Società di studi valdesi”, 1991, n. 169, pp. 103-117).
“Italia contemporanea”, settembre 1993, n. 192
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lavoro e moralità dei contadini. E le parrocchie, e in genere le strutture periferiche della Chiesa, sono state scosse nelle loro fonda- menta da questa trasformazione della società, mentre, parallelamente, l’incameramento dei beni ecclesiastici operato dallo stato liberale contribuiva ad impoverire le risorse del clero.
Vescovi, parroci, sinodi, hanno dovuto tenere conto dei mutamenti del costume e della politica, della diffusione dei rapporti capitalistici nelle campagne, dell’insediamento dei primi nuclei industriali, definendo linee pastorali e forme rituali e devozionali adeguate a controbattere le novità, o ad adattarvisi. Prima che un anticlericalismo ideologico (spesso intessuto di venature religiose), essi hanno dovuto fronteggiare la frammentazione del tessuto sociale ed ecclesiastico costruito nel Seicento e nel Settecento. I loro spazi d’intervento — fuori e dentro le chiese — hanno incontrato crescenti ostacoli nei cambiamenti dei modi di vita collettivi e nell’avversione — in particolare maschile — all’onnipresenza del clero nel vagliare le usanze vecchie e nuove dei laici: un’opposizione pratica, a carattere popolare, che si è contraddistinta anche come una forte richiesta di autonomia morale. Si è trattato insomma di un distacco sostanziale tra istituzioni ecclesiastiche e società civile, non riducibile ad un temporaneo effetto dell’incomunicabilità tra il ceto politico che dirige lo stato nazionale e i vertici ecclesiastici,
per gli strascichi della questione romana2. Tale processo potrebbe essere documentabile con raccolte di dati quantitativi, che evidenzino le trasformazioni dei comportamenti collettivi; oppure con storie locali, che consentano di scoprire le lente sequenze di eventi della vita comunitaria, determinanti per il formarsi delle mentalità collettive. In Francia, il primo di questi percorsi di ricerca sulla secolarizzazione è avviato, tra le due guerre mondiali, da studiosi cattolici legati agli indirizzi storiografici delle “Annales” : in particolare da Gabriel Le Bras e dal suo allievo Fernand Boulard. Si tratta di rilevazioni quantitative di dimensioni imponenti, sollecitate dalla necessità ecclesiastica di orientare in modo efficace la pastorale, in una Francia caratterizzata da una rapida discesa della pratica religiosa. Le Bras, in particolare, anima una cerchia di studiosi cattolici che sposta i propri interessi dalla storia ecclesiastica alla sociologia religiosa, tentando — attraverso un enorme lavoro di catalogazione delle fonti e inventariazione dei dati — di dare corpo ad una storia della pratica religiosa3. Tale lavoro, che dal 1955 ha come supporto divulgativo e luogo di dibattito la rivista “Archives de sciences sociales des religions”, è giunto solo negli ultimi decenni a bilanci conclusivi, con la pubblicazione di lavori di gruppo coordinati da Fernand Boulard. Utilizzando metodi statistici è stato possibile disegnare una cartografia della pratica religiosa nelle chiese francesi, dall’e-
2 Cfr. Daniele Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, Einaudi, 1993. Menozzi propone una ridefinizione del significato che il termine secolarizzazione ha avuto per i cattolici, sempre restando attento soprattutto agli aspetti politico-religiosi che hanno caratterizzato il dibattito nell’Europa cattolica degli ultimi due secoli. Di estremo interesse per la sua incisività e accuratezza, ma purtroppo ancora inedito, è uno studio francese sulla laicizzazione delle culture politiche nell’Italia liberale: Jean Pierre Viallet, L ’anticléricalisme en Italie (1867-1915), thèse pour le doctorat d’Etat ès lettres et sciences humaines, Université de Paris, X, 1991 (8 voli.).3 Cfr. Gabriel Le Bras, La chiesa e il villaggio, Torino, Boringhieri, 1979 [ed. orig. 1976]; B. Plongeron, Religion et sociétés en Occident (XVIe-XXe siècle). Recherches françaises et tendances internationales, Paris, Editions du Cnrs, 1979; Gustavo Guizzardi-Enzo Pace (a cura di), Sapere e potere religioso. La rivista “Archives de sciences sociales des religions’’, Bari, De Donato, 1981.
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poca della rivoluzione alla prima guerra mondiale4. Gli studiosi cattolici, utilizzando la cartografia per individuare i condizionamenti sociali del comportamento religioso, sono giunti a considerare il comportamento religioso come un qualsiasi altro oggetto di scienza. L’applicazione sociologica del metodo quantitativo ha messo in crisi la spiegazione apologetica del fatto religioso nella storia. La storia religiosa ha così dilatato il proprio orizzonte all’intero campo della storia sociale, confrontandosi strettamente anche con gli studi geografici ed economici.
Riscontrato come la mentalità religiosa di una popolazione non fosse modellata esclusivamente da prescrizioni ecclesiastiche, ma profondamente segnata anche da fattori extraecclesiastici, è venuta spontanea la collaborazione tra gli storici della religione e gli storici della mentalità formatisi alla scuola delle “Annales”, per indagare la religione vissuta nella sua dimensione quotidiana. È apparsa nettamente l’inadeguatezza dei criteri teologici per spiegare il radicamento sociale delle credenze popolari. La diffusione delle ricerche etnostoriche e storico-antropologiche negli ultimi decenni — sulla religiosità popolare, sul mutare storico di concetti come aldilà, morte e fe
sta — è stata stimolata anche da questa collaborazione5. Tuttavia, gli studi sulle credenze popolari tendevano a concentrarsi sul Cinquecento e sul Seicento, arrestandosi alle soglie della modernità, come se l’offuscarsi dell’orizzonte mentale medioevale, raffermarsi di visioni razionalistiche della realtà e gli inizi della rivoluzione industriale, facessero scomparire credenze eterodosse, superstizioni e magia, o sminuissero l’interesse delle rappresentazioni del mondo che esse comportano. Con le ricerche di Christianne Marcilhacy sulla diocesi di Orléans6, negli anni sessanta la storia delle mentalità inizia ad inquadrare le problematiche della secolarizzazione nell’Ottocento. Nella sua analisi appare determinante l’incidenza delle strutture sociali e delle caratteristiche ambientali nel formare le mentalità dei diversi gruppi sociali; i grandi eventi nazionali avrebbero perciò un’influenza secondaria sull’orientamento delle mentalità locali. Pochi anni dopo, le ricerche di Maurice Agulhon7 hanno dato un contributo decisivo ad una più nitida individuazione del formarsi dal basso della mentalità laica. La novità del metodo di Agulhon consiste nel mettere a fuoco le funzioni storiche di determinate strutture organizzative della socialità. Sarebbero infatti tali struttu-
4 François A. Isambert-Jean Paul Terrenoire, Atlas de la pratique religieuse des catholiques en France, Paris, Fondation Nationale des Sciences Politiques, 1980; F. Boulard, Matériaux pour l ’histoire religieuse du peuple français XIXe-XXe siècles, Paris, Editions du Cnrs, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, 1982. In Italia, un dibattito su questa pubblicazione è sviluppato dalla rivista “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1983, n. 23; e 1984, nn. 25-26; nel numero 10 (luglio-dicembre 1976) è riportato in sintesi un seminario su La storia sociale e religiosa dopo Gabriel Le Bras, tenuto da Emile Poulat.5 Di particolare interesse due convegni promossi a Royaumont nel 1966 e a Parigi nel 1977, con una consistente partecipazione del mondo scientifico francese ed europeo: Jacques Le G off (a cura di), Hérésies et sociétés dans l’Europe pré-industrielle. l l e-18e siècles, Paris-La Haye, 1968; La religion populaire, Paris, Editions du Cnrs, 1979. Incoraggia gli studiosi francesi a intraprendere queste ricerche anche l’avere a disposizione il monumentale inventario etnografico messo a punto da Arnold Van Gennep (Manuel du folklore français contemporain, Paris, Picard, 1937-1943, 4 voli.).6 Christianne Marcilhacy, Le Diocèse d ’Orléans sous l’épiscopat de Mgr. Dupanloup (1849-1878). Société française et mentalités collectives, Paris, Plon, 1962; Id., Le Diocèse d ’Orléans au milieu du X IX e siècle. Les hommes et leurs mentalités, Paris, Sirey, 1964.7 La sociabilité méridionale (Confréries et associations dans la vie collective en Provence orientale à la fin du 18e siècle), Aix en Provence, La Pensée universitaire, 1966, 2 vol!.; Pénitents et francs-maçons de l ’ancienne Pro-
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re a trasmettere e a rimodellare opinioni, gusti e comportamenti, agendo sui lenti meccanismi di mutamento delle mentalità collettive.
Funzionali al concreto operare delle istituzioni ecclesiastiche, le metodologie messe a punto in Francia dalla sociologia della religione sono state recepite già nel secondo dopoguerra dagli intellettuali italiani addetti all’elaborazione e alla verifica delle linee pastorali che la chiesa cattolica applica nella società odierna. Gli studi di sociologia religiosa, che si sono affermati in Italia soprattutto in epoca conciliare, si sono basati, oltre che sui metodi di lavoro delle “Archives de sciences sociales des religions”, sulle ricerche di sociologi e antropologi americani impegnati a dare nuove definizioni delle dimensioni del sacro e del profano nella società moderna.
Non direttamente motivate da esigenze pratiche, generalmente in Italia le ricerche cattoliche di storia religiosa hanno recepito meno di quanto sia avvenuto in Francia le sollecitazioni provenienti dalla sociologia e dalla storia della mentalità, distaccandosi con lentezza dagli studi eruditi sulle istituzioni ecclesiastiche, sulle pratiche cultuali e sui rapporti tra Chiesa e Stato. Nonostante ciò, agli inizi degli anni settanta, in un clima di vivace interesse della storiografia italiana per le ricerche francesi di storia sociale della religione8, viene ancora dagli studiosi cattolici la più consistente e durevole iniziativa per lo sviluppo in Italia di questa di
sciplina: la fondazione della rivista “Ricerche di storia sociale e religiosa”. Mentre la ricerca italiana su religiosità e secolarizzazione nella società contemporanea ha sviluppi limitatissimi in ambito laico, è soprattutto questa rivista a svolgere funzioni di aggiornamento su tali tematiche, accogliendo collaborazioni di alcuni dei più autorevoli storici francesi ed impegnandoli nei seminari internazionali tenuti a Vicenza dall’Istituto di ricerche di storia sociale e di storia religiosa. Nel corso degli anni settanta, in questo ambiente cattolico si tengono seminari sui mutamenti delle strutture sociali e delle mentalità collettive, a confronto con diversi studiosi d’Oltralpe, tra cui Michel Vovelle, Emile Poulat, Fernand Bou- lard, Jean Delumeau, Maurice Aymard e Jacques Le Goff. Proprio nell’ambito di questi seminari in Italia si è descusso per la prima volta il concetto di sociabilità. Un seminario tenuto nel maggio 1976 da Jacques Revel aveva per tema “Ricerche sulla ‘sociabilità’ e le organizzazioni sociali nell’età moderna”. Ha suscitato curiosità questo concetto, già da dieci anni dibattuto tra gli storici francesi9. Da allora, però, se ne è fatto un uso modesto tra gli storici cattolici italiani, più interessati al radicamento sociale delle istituzioni ecclesiastiche che non alla sociabilità non istituzionale, tanto meno se di carattere mondano. Gabriele De Rosa, ad esempio, prendendo in considerazione l’intensa fase di riorganizzazione della vita parrocchiale nell’Italia liberale, ignora
vence. Essai sur la sociabilité méridionale, Paris, Fayard, 1968; La République au village, Paris, Plon, 1970 [trad, it. La Repubblica nel villaggio. Una comunità francese tra rivoluzione e Seconda Repubblica, Bologna, Il Mulino, 1991]; Une ville ouvrière au temps du socialisme utopique. Toulon de 1815 à 1851, Paris-La Haye, Mouton, 1970. Per un inquadramento generale delle opere di Maurice Agulhon, cfr. Giuliana Gemelli-Maria Malatesta, Forme di sociabilità nella storiografia francese contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1982.8 Carla Russo, Studi recenti di storia sociale e religiosa in Francia: problemi e metodi, “Rivista storica italiana”, 1972, n. 3; Franco Rizzi, Storia religiosa in Francia: problemi e tendenze, “Quaderni storici”, 1973, n. 22; Antonio Lazzarini, Studi di storia socio-religiosa, “Quaderni storici”, 1974, n. 26.9 II resoconto, a cura di Annibaie Zambarbieri, è pubblicato in “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1976, n. 10. Già qualche anno prima c’erano stati echi a questo dibattito, su una rivista italiana: Edoardo Grendi, La Provenza diM . Agulhon, “Rivista storica italiana”, 1972, n. 1.
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la sociabilità aconfessionale e inquadra solo genericamente i ruoli di un associazionismo cattolico, che — a fine Ottocento — affiancando l’attività del clero sul piano economico e politico, produce differenti forme di mobilitazione sociale attorno alla parrocchia, mentre le confraternite tradizionali costituiscono una sociabilità endemicamente tendente a rendersi autonoma dalla parrocchia10 11.
L’inquadramento delle confraternite nelle strutture ecclesiastiche e le funzioni aggregative da esse esercitate nelle comunità sono i temi di un convegno del 1989 su “Sociabilità religiosa nel Mezzogiorno: le confraternite laicali” . Per quanto quasi tutti gli interventi si riferissero all’Italia preunitaria e l’uso della sociabilità come categoria d’analisi sia rimasto in parte relegato ai proponimenti degli organizzatori del convegno, dal dibattito sono emersi utili spunti sulla funzione dell’associazionismo nel veicolare arcaismi e modernità in un determinato ambiente. Sviluppando le indicazioni di Agulhon sulla sociabilità meridionalen , alcune relazioni hanno rilevato un ruolo decisivo delle numerosissime confraternite del Meridione italiano nell’aggregare dal basso gruppi sociali che, autonomamente dalle autorità religiose e civili, fanno da intermediari tra interessi delle famiglie e clientele dei notabili locali, assol
vendo quasi funzioni di “partiti” municipali12.
Negli anni ottanta un numero crescente di ricercatori laici si è interessato al fenomeno della sociabilità, talvolta saggiando l’applicabilità delle metodologie di Agulhon ad ambienti italiani. Raramente però in Italia il concetto di sociabilità è applicato in studi riguardanti direttamente le problematiche della secolarizzazione, a differenza di quanto avviene in Francia, dove la sociabilità si è rivelata un concetto storiografico decisivo per affrontare questo tema. La maggior parte degli studi sulla sociabilità nell’Ottocento e nel primo Novecento in Italia ha finora insistito sui circoli borghesi cittadini13. Pochi ancora si sono spinti oltre i casi di ristretti ambienti élitari, prendendo in considerazione in modo significativo un’area regionale e l’ambiente rurale. Viene trascurata la dimensione dei villaggi, ispiratrice di studi basilari sulla sociabilità francese, che fonda uno degli aspetti più incisivi della propria indagine sulla verifica dei meccanismi di propagazione della modernità nel reticolo abitativo rurale. Ciò rende difficoltoso per l’Italia dare valutazioni, se non approssimativamente generiche, sui mutamenti delle mentalità che marcano l’affermarsi della società borghese. Le più recenti fasi del vivace dibattito storiografico sull’associazionismo
10 Gabriele De Rosa-Angelo Michele De Spirito (a cura di), La parrocchia in Italia in età contemporanea, Napoli, Dehoniane, 1982, pp. 23-24. Nello stesso volume, accenni alla sociabilità sono contenuti in Antonio Lazzaretto, Parrocchia e aggregazione socio-religiosa nel Vicentino del primo Novecento.11 In particolare le brevi annotazioni comparative tra area provenzale e Italia del Sud, nelle conclusioni a La sociabilité méridionale, cit., vol. II, p. 835.12 “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1990, nn. 37-38. Cfr. in particolare l’introduzione di Vincenzo Paglia, e la relazione di Vincenzo Robles, Vescovi e confraternite nel Mezzogiorno: una storia in parallelo. Già Le Bras descrive le confraternite come corpi elitari che reclutano solo una parte degli abitanti di una parrocchia e ne veicolano “il bisogno di solidarietà costante e anche le tensioni interne”, divenendo facilmente strumenti delle conflittualità paesane, quando vengono a rappresentare particolari gruppi sociali o professionali (La chiesa e il villaggio, cit., pp. 123-126).13 Cfr. Sociabilità nobiliare, sociabilità borghese. Francia, Italia, Germania, Svizzera XVIII-XIX secolo, a cura di Maria Malatesta, “Cheiron”, 1988, nn. 9-10; Maurizio Ridolfi-Fiorenza Tarozzi (a cura di), Associazionismo e forme dì socialità in Emilia-Romagna fra ’800 e ’900, “Bollettino del Museo del Risorgimento” (Bologna), 1987- 1988; Marco Meriggi, Associazionismo borghese tra ’700 e ’800. Sonderweg tedesco e caso francese, “Quaderni
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professionale, talvolta hanno parzialmente ripreso modelli concettuali utilizzati da Agulhon per studiare Tolone nel primo Ottocento14. Descrivendo l’evoluzione ottocentesca delle superstiti corporazioni operaie (a sfondo religioso) in società di mutuo soccorso, taluni di questi studi hanno mostrato una fase cruciale nella laicizzazione delle solidarietà professionali e comunitarie. Di particolare efficacia è poi Simonetta Soldani15 nell’esaminare, in un’area regionale, il radicarsi nelle relazioni urbane e paesane dell’associazionismo mutualistico e della sua ampia rete politico-finanziaria. La studiosa descrive come il fenomeno abbia influito nel modificare le mentalità comunitarie, anche portando una lenta presa di distanza delle solidarietà di gruppo dalle pratiche caritative cattoliche. Relativamente all’Italia liberale, poi, le categorie proprie degli studi sulla sociabilità sono state applicate alla storia della politica. Con questo taglio Maurizio Ridolfi ha recentemente prodotto diversi saggi sui partiti repubblicano e socialista16. Nella storiografia italiana, attualmente l’interesse al concetto di sociabilità è abbastanza diffuso, per gli apporti che può dare alla storia politica. Vivacemente discusso è il
ruolo da assegnare alle élite, nel processo di discesa delle idee democratiche ai circoli associativi popolari. Alcuni studiosi cercano nella sociabilità il mezzo attraverso cui l’élite sociale avrebbe guidato verso la modernità il popolo. Altri valorizzano piuttosto le diverse funzioni ed i diversi contenuti che una forma associativa assume nel trasmettersi da un gruppo sociale ad un altro. Queste posizioni vivacemente contrastate sono emerse nel marzo 1991 al convegno “Socia- bilité/Sociabilità nella storiografia dell’Italia dell’Ottocento” , organizzato dall’École française de Rome e dal Dipartimento di studi storici dell’Università “La Sapienza” di Roma17.
Gli studi sulla sociabilità in Italia sono ancora agli esordi. È perciò prematuro che essi possano già delineare peculiarità nazionali o regionali delle trasformazioni della vita collettiva. Inoltre, all’infuori dei lavori di Simonetta Soldani sul circondario di Prato, e in parte di quelli di Franco Ramella sull’area biellese18 mancano definizioni su come habitat umano e organizzazione locale delle forze produttive modellino varie tipologie di vita associativa. Anche per questa nostra limitata conoscenza degli ambienti comunitari,
storici”, 1989, n. 71; Gilles Pécout, Les sociétés de tir dans l ’Italie unifiée de la seconde moitié du XIXe siècle, “Mélanges de l’Ecole française de Rome (Italie et Méditerranée)”, 1990, n. 2; Élites e associazioni nell’Italia dell'Ottocento, “Quaderni storici”, 1991, n. 77; M. Meriggi, Milano borghese. Circoli ed élites nell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1992.14 Cfr. M. Agulhon, Une ville ouvrière au temps du socialisme utopique, cit.; Dora Marucco, Mutualismo e sistema politico. Il caso italiano (1862-1904), Milano, Angeli, 1981; Giovanni Assereto, Lo scioglimento delle corporazioni, “Studi storici”, 1988, n. 1; Maria Teresa Maiullari (a cura di), Storiografia francese ed italiana a confronto sul fenomeno associativo durante XVIII e X IX secolo, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1990; Conflitti del lavoro nel mondo, “Quaderni storici”, 1992, n. 2.15 La mappa delle società di mutuo soccorso in Toscana fra l ’Unità e la fine del secolo, in Maria Pia Bigaran (a cura di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, Milano, Angeli, 1986.16 M. Ridolfi, Sociabilità democratica e origine dei partiti politici: il “caso” del Partito socialista italiano, in Socia- bilité/Sociabilità nella storiografia dell’Italia dell’Ottocento, sezione monografica della rivista “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1992, n. 1; Id., La cultura dei repubblicani italiani tra Otto e Novecento, “Italia contemporanea”, 1989, n. 175 e Id., Il Psi e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992.17 I principali interventi sono pubblicati in Sociabilité/Sociabilità, cit. Cfr. Maria Malatesta, La democrazia al circolo, introduzione a M. Agulhon, Il circolo e il salotto, Roma, Donzelli, 1993.18 Simonetta Soldani, Vita quotidiana e vita di società in un centro industrioso, in Giorgio Mori (a cura di), Prato, storia di una città. Il tempo dell’industria (1815-1943), Firenze, Le Monnier, 1989, vol. Ili, tomo 2; Franco Ramel-
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diversi studiosi della sociabilità tendono a guardare i processi di secolarizzazione in Italia alla luce dei dati forniti da ricerche tradizionali, verificandovi superficialmente la diffusione delle idee laiche nei circuiti associativi, o la ripartizione degli associazionismi tra l’area laica e quella confessionale.
Caratteristica degli studi francesi sulla sociabilità è invece la verifica delle condizioni ambientali e delle strutture comunitarie che hanno consentito raffermarsi di opinioni laiche. In Pénitents et francs-maçons dans l’ancienne Provence, ad esempio, Agulhon riscontra la diminuita caratterizzazione aristocratica delle confraternite, che porta questi sodalizi ad integrarsi maggiormente nelle comunità dedicandosi a servizi caritativo-as- sistenziali, piuttosto che alle tradizionali pratiche penitenziali. Ciò ha favorito la trasformazione di queste forme associative religiose in sodalizi del tutto autonomi dalla Chiesa, o rivaleggianti con questa nel gestire e dare significati alle ritualità comunitarie. Nel suo studio sulle popolazioni rurali del Var19, tutti i fattori socioeconomici ed etno- culturali che nella prima metà dell’Ottocento concorrono a trasformare le consuetudini locali vengono considerati elementi interagenti nel determinare un drastico cambiamento di opinioni politiche. L’affermarsi della mentalità laica pare il dato storico più sorprendente per i paesi del Var, che fino a metà degli anni trenta non lesinano dimostrazioni di attaccamento popolare al prete e di rispetto per il sacro, che si esprimono in modo eccezionalmente fervido nei rituali cattolici per invocare protezione dalle calamità naturali. Se già negli anni cinquanta nel Var prevale l’indifferenza per la religio
ne, allo storico si pone l’interrogativo se si tratti di una scristianizzazione provocata o spontanea, per capire quanto il cambiamento possa dipendere da un progetto deliberato per sminuire l’influenza del clero. Agulhon nota che dopo la Restaurazione la borghesia laica e specialmente la sua ala sinistra anticlericale guadagnano ascendente popolare. Questo si manifesta soprattutto quando la Chiesa attacca per irreligione alcuni notabili pubblicamente stimati per virtù civiche e filantropia, soprattutto se alla loro morte viene negata dal clero la sepoltura religiosa, surrogata da solenni funerali civili. Attorno a tali conflitti emerge un’autorità morale e sociale di notabili e intellettuali laici, concorrente a quella del clero. Ma, al di fuori dell’ambiente urbano di Tolone, manca una presenza consistente di liberi pensatori, che possa aver determinato con la propaganda un vasto pronunciamento irreligioso. Anche quando ci sono provocazioni anticlericali da parte di un borghese (ma i parroci, dopo la Restaurazione, scorgono un libertino in chiunque abbia con loro motivi personali di attrito), si tratta solitamente di una rivalsa personale sulla soggezione al clero, non di attività miranti al proselitismo. Per contro, appartengono a situazioni di quotidianità i più frequenti motivi d’attrito tra popolazione e clero20. In pratica, si assiste più ad una crisi interna al rapporto tra Chiesa e popolo, che non ad un’avversione alla religione, indotta dai liberi pensatori. Poco intaccata da ideologie razionaliste, che restano prerogativa di ristrette élite, la religiosità popolare — per quanto formale e attratta dall’esteriorità delle pratiche rituali — risulta ben solida nelle comunità, quand’anche queste siano in
la, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel Biellese dell’Ottocento, Torino, Einaudi, 1984; Id., Aspetti della socialità operaia nell’Italia dell’Ottocento. Analisi di un caso, in Storiografia francese ed italiana a confronto, cit.19 M. Agulhon, La République au village, cit.20 M. Agulhon, La République au village, cit., pp. 172-185.
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rottura col parroco e ne disertino la messa. Ciò è confermato da un fenomeno nuovo per il Var, da Agulhon considerato rivelatore: l’adesione di comunità e individui cattolici alla chiesa valdese. Anche per il proselitismo protestante Agulhon si pone la questione se l’offerta di un culto alternativo al popolo sia stata strumentalmente agevolata dalle élite. Ma — al di là delle difficili soluzioni di tali quesiti — Agulhon rileva una manifesta frattura nel tradizionale rapporto solidale tra clero e popolazioni del Var, importante premessa per la rapida espansione delle idee innovatrici21.
Riflettendo sull’atteggiamento verso la religione del movimento operaio, Eric J. Hob- sbawm riprende ampiamente le considerazioni sulla discesa delle idee emancipatrici borghesi, che converte reti di influenza intermedia (associazioni volontarie) e mediatori culturali (in particolare artigiani, piccoli intellettuali e osti) all’antitradizionalismo militante. Anche per Hobsbawm, nella cultura del movimento operaio “Il problema non è tanto la positiva forza d’attrazione dell’irreligiosità quanto la debole resistenza della religione”22.
Intuizione di Agulhon è che si possa parlare di m entalità religiosa collettiva solo fino alla Restaurazione. Successivamente, lo storico si trova di fronte ad una serie di opinioni, cioè ad una m olteplicità di credenze, idee e com portam enti individuali, in una parrocchia disgregata. Le comunità anteriormente si identificano integralmente in essa; mentre successivamente cercano altrove una possibile coesione. Privatizzate, le credenze religiose non danno efficace legit
timazione all’ordine politico e sociale, sganciando individui e gruppi da una dipendenza morale dalle istituzioni gerarchiche. Abbozzato da Agulhon, questo modello interpretativo della religiosità ottocentesca viene sviluppato più compiutamente da altri studiosi. Jean Faury23 ha studiato la diocesi di Albi nel secondo Ottocento: un’area rurale, mineraria e industriale, attraversata in quegli anni da intensa politicizzazione, scioperi e accesi scontri politici sulle questioni religiose. Faury analizza il conflitto sulla laicizzazione, in uno stretto rapporto tra ciò che avviene a livello istituzionale e a livello di sociabilità. La laicizzazione dello Stato e del ceto dirigente non coinvolge solo istituzioni rappresentative come parlamento e municipi. Si estende a scuole, anagrafe, istituzioni caritative, ospedali, cimiteri, restringendo al clero — inteso come ceto sociale — l’accesso ad importanti fonti di reddito e di legittimazione morale (soprattutto nel campo dell’istruzione). Discende alla ritualità collettiva, poiché la defezione dei notabili liberali, delle autorità pubbliche e delle rappresentanze municipali da solennità cattoliche, processioni e pellegrinaggi, danneggia notevolmente l’immagine della chiesa cattolica, assottigliandone il seguito popolare e le sovvenzioni in denaro dai privati. Benché la gran parte dei laici non sia preconcettualmente ostile alla religione, il clero avverte come una minaccia alla Chiesa la separazione dalla propria sfera di controllo di ambienti laici che si sviluppano autonomamente con la propria morale e la propria sociabilità. Solo agli ambienti più conservatori risulta inconcepibile che fede e morale possano essere scelte indi-
21 M. Agulhon, La République au village, cit., pp. 185-187.22 Eric J. Hobsbawm, Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 41-58. Sull’antitradizionalismo come presa di coscienza individuale e di gruppo, cfr. la prefazione di M. Agulhon a Franco Rizzi, La coccarda e le campane, Milano, Angeli, 1988.23 Jean Faury, Cléricalisme et anticléricalisme dans le Tarn (1848-1900), Toulouse, Université de Toulouse-Le Mi- rail, 1980.
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viduali, non dettate dall’autorità all’intera collettività e verificate da un clero che se ne fa garante. Del resto, le mobilitazioni elettorali del clero intransigente, a sostegno dei candidati più conservatori, avvalorano l’opinione che la fedeltà alla Chiesa sia una scelta di campo, non strettamente inerente la regiliosità. Interessato alle mentalità politiche, Faury verifica attentamente in ogni ceto sociale, in ogni ambiente professionale e in ogni cultura locale le opinioni correnti in materia religiosa e il coinvolgimento in circuiti laicisti o clericali della sociabilità. Anche col supporto di un discreto apparato cartografico, rileva il peso che hanno le strutture sociali e fondiarie e i rapporti industriali nell’orientare opinioni e schieramenti24. Constatando che ancora in piena rivoluzione industriale l’espressività folklorica condiziona la vita e la mentalità collettiva, si sofferma su diversi fenomeni significativi: trasgressioni al sacro più o meno ritualizzate; feste e processioni laiche; modalità di funerali, battesimi e matrimoni laici; espandersi dei carnevali e dei balli, che nelle campagne stemperano l’austerità contadina proponendo divertimenti moderni in un contesto tradizionale. Clericalismo e anticlericalismo sono studiati nelle loro forme pratiche, non nei contenuti ideologici. Faury mette in discussione l’immagine di un Ottocento in cui si ritiene non nascano idee tra il popolo e siano solo le influenze delle élite a farsi valere. Mostra innanzitutto il forte ridimensionamento del clero come ceto intellettuale. Poi, notando il ruolo della massoneria nel formare ideologicamente parte del ceto liberale e democratico, dimostra come la forza massonica sia stata fortemente sopravvalutata, specie ad opera di un clero propenso ad attribuire il proprio declassamento ad
oscuri complotti. A simili conclusioni giunge riguardo alla consistente minoranza protestante che abita nel Tarn, a torto ritenuta il principale veicolo delle idee repubblicane. Protestanti eterodossi (aderenti al Risveglio) e massoni agiscono da pionieri dell’anticlericalismo, ma in modo contraddittorio e con aree d’influenza del tutto insufficienti a determinare, dal 1880, il pronunciamento re- pubblicano della maggioranza della popolazione. A produrre tale risultato sono le multiformi mobilitazioni della piccola borghesia e delle nuove professioni (ad esempio quelle legate ai moderni trasporti), ostacolate nella propria ascesa sociale e negli affari dai vincoli della morale tradizionale.
La più efficace sintesi tra la sociologia religiosa e il metodo di Agulhon è uno studio di Louis Pérouas sul periodo di più intenso scontro politico attorno alla laicizzazione della società — tra il 1880 e il 1940 — nelle campagne del Limousin25. Tesi di Pérouas è che il generale abbandono del conformismo stagionale sia un distacco dalla Chiesa cattolica, non una rottura con la cultura cristiana, che si trova ampiamente occultata nella diffusione dei messianismi politici e in un anticlericalismo che esprime il bisogno di una Chiesa o di un’etica comunitaria diversa. I successi dell’evangelizzazione protestante e la permanenza di un cristianesimo popolare attaccato ai culti locali e ai santi protettori dimostrerebbero la continuità del bisogno di religione, anche in situazioni di forte avversione popolare per il clero. Il rifiuto dei riti di passaggio cattolici e della comunione pasquale (i principali indicatori statistici della secolarizzazione utilizzati dai sociologi) sarebbero solo il segno del deterioramento storico delle relazioni tra le popolazioni ed un clero convinto di essere in
24 J. Faury, Cléricalisme et anticléricalisme dans le Tarn, cit., pp. 390-431.25 Louis Pérouas, Refus d ’une religion, religion d ’un refus en Limousin rural. 1880-1940, Paris, Ed. de l’École des hautes études en sciences sociales, 1985.
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sostituibile come ceto intellettuale preposto all’educazione popolare, al controllo della morale ed alla mediazione tra società e comunità rurali. Nel Limousin, la nuova sociabilità economico-ricreativa cattolica, finalizzata a ricucire gli strappi nei legami parrocchiali, ha avuto possibilità di sviluppo solo in comunità dove il distacco dalle pratiche rituali cattoliche è stato minoritario. Altrove, il radicalismo e il socialismo conquistano le figure emergenti di mediatori culturali e la sociabilità popolare, mentre le ritualità laiche soppiantano quelle cattoliche. La borghesia ha un ruolo chiave nel produrre ideologie e comportamenti che si trasmettono all’ambiente popolare, ma ha un ruolo molto controverso riguardo alla laicizzazione: talvolta sono i riavvicinamenti della borghesia alla Chiesa a radicalizzare l’anticlericalismo popolare. A produrre la frammentazione del microcosmo parrocchiale e a diffondere largamente costumi e opinioni difformi dal cattolicesimo è l’emigrazione stagionale nelle città. I numerosissimi emigrati si fanno mediatori di cultura urbana, che destabilizza la tradizione cattolica e rende l’ambiente popolare ricettivo delle novità culturali26. L’associazionismo élitario favorisce una politicizzazione in senso anticlericale e democratico, ma Pérouas ridimensiona l’incidenza dell’attività massonica: le logge hanno vita effimera e scarsamente influente tra le stesse élite sociali, proprio nelle aree del Limousin maggiormente laicizzate.
Secondo Philippe Boutry, un allievo di Agulhon, le difficoltà della Chiesa ottocentesca nel comunicare con la società non escludono una modernizzazione dello stesso clero. Già durante la Restaurazione le strut
ture diocesane recepiscono l’impossibilità di un ritorno all’antico regime e coinvolgono intensamente il clero secolare in una gestione più efficiente delle strutture ecclesiastiche. Nella prima metà dell’Ottocento, nel dipartimento alpino dell’Ain, la parrocchia rappresenta più che mai l’identità campanilistica dei villaggi che si stanno sviluppando economicamente27. L’espansione di attività commerciali e industriali — creando forti bisogni di nuove identità locali e rendendo inadeguate la collocazione o le dimensioni dei luoghi sacri nei paesi — mobilita molti parroci a restaurare o riedificare chiese e soprattutto campanili (che i parrocchiani vorrebbero sempre più alti e goticheggianti) e a decentrare i cimiteri da un paese divenuto più profano. Nella seconda metà del secolo i momenti più significativi della sociabilità comunitaria si trasferiscono in ambito laico; il microcosmo parrocchiale si disgrega; nei paesi prevalgono atteggiamenti morali e comportamenti diversificati; anche i semplici popolani rivendicano proprie opinioni e non si adeguano passivamente alla tradizionale mentalità comune; il proselitismo protestante (effimero, poco consistente sul piano quantitativo) avvia nelle campagne una transizione verso la cultura urbana, mostrando la tradizione cattolica come opzione e non scelta necessaria. Di conseguenza, agli atti sacramentali viene attribuito un valore facoltativo e il mondo maschile diserta il confessionale. Per spiegare la portata storica di queste scelte, Boutry approfondisce il significato della distinzione agulhoniana tra mentalità e opinione e dimostra come gli stessi uomini dell’Ottocento fossero coscienti del formarsi di questa dicotomia che
26 Refus d ’une religion, cit., pp. 68-78. Su questo tema, di notevole interesse Serge Bonnet, Les sauvages de Fu- teau, verriers et bûcherons d ’Argonne aux XVIIIe et XIXe siècles, in François Bédarida-Jean Maitron (a cura di), Christianisme et monde ouvrier, Paris, Les Editions ouvrières, 1975.27 Philippe Boutry, Un sanctuaire et son saint au XIXe siècle. Jean-Marie-Baptiste Vianney, curé d ’Ars, “Annales. Economies, Sociétés, Civilizations”, 1980, n. 2; Id., Prêtres et paroisses au pays du Curé d ’Ars, Paris, Cerf, 1986.
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metteva in crisi i modi tradizionali di pensare28. Pur spiegando minuziosamente le trasformazioni della mentalità collettiva, Bou- try presta attenzione soprattutto alla sociabilità del clero. Con questa categoria l’analisi della sociabilità viene condotta su di un piano eminentemente sociale, piuttosto che spaziale. In questo modo non viene presa in considerazione la sociabilità religiosa quale si manifesta in un determinato territorio, ma la sociabilità di un gruppo élitario nettamente definito, che fa corpo in ambito diocesano e che dopo il 1840 serra le fila contro la crescita di un laicismo che minaccia la sua posizione all’interno della società. La sociabilità tra preti è fortemente soggetta a norme da osservare in ogni momento della vita, ristretta e chiusa all’esterno, ma non priva di scontri intestini. L’ascesa del movimento ultramontanista nel secondo Ottocento, che mette da parte liturgie locali e tradizioni gallicane, e subordina il clero alla curia romana, è letta come processo di politicizzazione avente per veicolo la sociabilità clericale. I meccanismi che spingono le sociabilità paesane a mantenere legami con la parrocchia, oppure ad autonomizzarsene o a contrapporvisi, sono destritti con estrema efficacia da Bernard Delpal29, in un’altra diocesi del Meridione francese. L’analisi, condotta anche attraverso l’elaborazione di
un robusto apparato cartografico, rivela — nei loro possibili significati sociali — i più minuti dimorfismi geografici della pratica religiosa. La ricerca giunge così a sezionare gli equilibri politici di villaggi che si stanno modernizzando; e coglie il ruolo che la parrocchia e il municipio assolvono (anche dal punto di vista spaziale) a favore dei ceti emergenti o dei ceti marginalizzati dallo sviluppo economico30. Infine, Delpal verifica quanto i fenomeni di medio-lungo periodo (conflitti sociali interni alla comunità, secolarizzazione, contrapposizioni confessionali tra cattolici e minoranza protestante) abbiano giocato in una congiuntura politica: l’insurrezione repubblicana del 1851 e la sua repressione.
In Italia mancano ancora studi sulla sociabilità in grado di mettere a nudo efficacemente i meccanismi della secolarizzazione nella moderna società borghese31, fatta eccezione per alcune importanti ricerche. Tra queste il lavoro di Simonetta Soldani su Prato, in cui il mutamento della sociabilità — preso come parametro della mobilità sociale — è ampiamente riscontrato nella ritualità collettiva, sacra e profana32. Partendo dalla piazza centrale di Prato e da tutte le relazioni sociali che vi gravitano intorno in occasione dei mercati e della fiera (la più importante della Toscana) viene presa in conside-
28 P. Boutry, Prêtres et paroisses, cit., pp. 641-647.29 Bernard Delpal, Entre paroisse et commune. Les catholiques de la Drôme au milieu du X IX e siècle, Valence, Editions peuple libre, 1989.30 Per uno studio di tipo analogo, cfr. S. Bonnet, Les sauvages deFuteau, cit.31 In una prospettiva diversa da quella degli studi sulla sociabilità cfr. Xenio Toscani, Secolarizzazione e frontiere sacerdotali. Il clero lombardo nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1982; Id., Il reclutamento del clero (secoli XVI- XIX), in Storia d ’Italia. Annali 9. La Chiesa e il potere politico, Torino, Einaudi, 1986; Lorenzo Bedeschi, Il comportamento religioso in Emilia-Romagna, “Studi storici” , 1969, n. 2. In Italia non ha ancora avuto utilizzazioni significative — ma è tenuto presente anche negli studi sulle strategie delle istituzioni ecclesiastiche per radicarsi nel sociale — un concetto analitico elaborato dalla storiografia tedesca: il disciplinamento sociale, termine che si riferisce “all’insieme dei complessi processi di interazione tra istituzioni e società, al tessuto connettivo in cui si formano i modelli di comportamento individuali e collettivi destinati a trasformarsi a loro volta — in un continuo intreccio di elaborazioni e imposizioni, di filtri e di controlli — in strutture” (“Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento”, 1980, pp. 9-10).32 S. Soldani, Vita quotidiana e vita di società, cit.
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razione la vita sociale ottocentesca in tutti i luoghi d’incontro della città e della campagna — sia nelle occasioni informali di sociabilità, sia nelle reti associative istituzionalizzate — e vengono analizzati gli effetti prodotti nel costume dal generale aumento dei consumi. In questa trasformazione dei quadri tradizionali del costume, anche le confraternite subiscono un mutamento. Ad una loro perdita d’importanza nell’ambiente ecclesiastico fa riscontro l’accentuazione, nel contesto urbano, delle loro funzioni di servizi nell’assistenza sanitaria ai soci e negli accompagnamenti funebri. Il risultato di questo processo è il loro dissolvimento, il trasferimento delle loro funzioni ad organismi laici, oppure una loro sopravvivenza di tipo residuale. Quelle di campagna invece si sviluppano — abbinando attività cultuali, solidaristiche e ricreative — in un rinnovato collateralismo con la parrocchia. Anche le processioni religiose ottocentesche sono soggette al medesimo mutamento di contenuti e vengono investite di significati laici, talora politici.
Andreina De Clementi — in un saggio sulle confraternite ottocentesche nelle campagne laziali33 — individua nelle manifestazioni patriottiche del 1848-1849 una “cesura antropologica” , che porta al disgregarsi del- l’unanimismo comunitario fondato sul sistema simbolico cattolico. Da quel momento, l’associazionismo religioso, epurato dai capipopolo laicizzati, perde autonomia dal clero e perde la vivacità — nella sfera devozionale e in quella politica — che anteriormente
lo caratterizzava. Raccogliendo un nucleo poco numeroso e poco influente di uomini, queste confraternite avviate al declino incontrano l’avversione dei giovani, mentre attraggono un mondo femminile bisognoso di margini d’evasione dalla segregazione familiare. Ciò sminuisce il valore politico che la pratica religiosa e le sue forme aggregative assolvono nell’ambito delle relazioni maschili e comunitarie.
Gli studi citati offrono un panorama ancora sfocato delle ritualità civili risorgimentali. Solo recentemente gli studiosi hanno colto l’importanza dei festeggiamenti patriottici nel popolarizzare un senso di appartenenza nazionale, rivolgendo la propria attenzione alle liturgie per la creazione di un moderno culto della nazione e dello Stato34. Prima dell’unità nazionale, in ogni città esistevano omaggi spettacolari, musicali, militari, caritativi, in onore delle dinastie regnanti; ma a farsi veicolo del culto dello Stato in ogni comunità — anche rurale — era essenzialmente la Chiesa, che radunava solennemente la popolazione per cantare le invocazioni della protezione divina sui sovrani. Con l’unificazione, una forma associativa istituzionalizzata — la Guardia nazionale istituita in tutti i comuni — diventa protagonista delle nuove ritualità civili. Da queste ritualità — dopo iniziali laceranti contrasti — è esentato il clero. Forte è anche l’incentivo che il nuovo cerimoniale civile dà alla costruzione di corpi bandistici municipali. Ma la popolarità delle ritualità nazionali dura pochi anni35 * *, lasciando presto i ce-
33 Andreina De Clementi, Confraternite e confratelli. Vita religiosa e vita sociale in una comunità contadina, in Subalterni in tempo di modernizzazione, “Annali Fondazione Lelio e Listi Basso - Issoco”, 1985.34 Cfr. George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1975; Jean Pierre Sironneau, Sécularisation et religions politiques, La Haye-Paris-New York, Mouton, 1982; E. J. Hobsbawm-Terence Ranger (a cura di), L ’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987; Bruno Tobia, Una patria per gli italiani. Spazi, itinerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Roma-Bari, Laterza, 1991.35 Cfr. S. Soldani, Vita quotidiana e vita di società, cit., pp. 713-725; M. Ridolfi, Il partito della Repubblica, Milano, Angeli, 1989, pp. 306-318; M. Fincardi, Feste di Mezza Quaresima: un carnevale padano tra Risorgimento ebelle époque, “Quaderni di teatro”, 1986, n. 32.
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rimoniali ufficiali privi di seguito nelle comunità: immagine in parte indicativa della percezione più lontana che la provincia italiana ha del sovrano, e del minore investimento dell’identità comunitaria nella sua figura. Il meno istituzionale culto di Garibaldi — frequentemente connotato in senso anticlericale — ha funzioni in parte antagoniste e in parte complementari al culto ufficiale sabaudo, producendo pure esso mobilitazioni popolari effimere. È con la guerra mondiale — diventando tra l’altro il terreno per sancire un riavvicinamento tra la Chiesa e lo Stato laico — che i rituali patriottici riguadagnano popolarità. Molto citato dagli storici dell’età liberale, ma pochissimo studiato nelle sue strutture e nel suo radicamento sociale, è in Italia il fenomeno massonico. Conseguenza di ciò è la confusione tra la reale attività della massoneria ed una sua influenza ingigantita nell’immaginazione, effetto delle demonizzazioni che il clero ha fatto del fenomeno. Occorre quindi la costante verifica dai dati forniti dagli archivi massonici, per non continuare ad attribuire arbitrariamente identità massoniche ad ogni liberale o democratico impegnato sul fronte laicista o dedito alla filantropia. Andrebbe dettagliatamente cartografato il fenomeno sul territorio nazionale, per consentire una sua lettura diversificata nelle varie aree, rilevando parallelamente anche i numerosi altri livelli di associazionismo laicista, non a carattere iniziatico36. Senza puntuali verifiche, costruire ipotesi sproporzionate sul ruolo 38
delle élite iniziatiche nell’innescare e guidare ampi processi di laicizzazione e politicizzazione nell’Italia liberale, porterebbe forse a risultati deludenti. Un’esemplificazione sommaria di tali possibili contraddizioni è data dalla minima diffusione delle culture laiche in Sicilia: regione in cui la massoneria raccoglieva il massimo delle adesioni. Notevole interesse può avere una verifica del ruolo delle microcomunità ebraiche nell’espan- dere processi di secolarizzazione nelle città e nelle campagne. La loro emancipazione coincide infatti con una loro forte spinta alla laicizzazione e all’integrazione in ambienti aconfessionali, pur mantenendo livelli di sociabilità ancora connotati etnicamente37. Proficua potrebbe poi rivelarsi un’indagine sulla presenza di determinate aggregazioni all’interno delle città e sulla circolazione intensa di culture laiche che queste attivano tra città e campagna. Non tanto riferita all’insediamento nell’ambiente urbano di nuclei di emigrati (fenomeno di limitato rilievo in un’Italia scarsamente urbanizzata), ma a quello d’istituti scolastici superiori, università e caserme: concentrazioni di una massa maschile e giovanile, temporaneamente esente da controlli familiari e della comunità d’origine. Applicando a gruppi sociali compositi — quali studenti, truppa ed ufficiali — le indicazioni che Boutry offre rispetto al clero, si potrebbero individuare in questi ambienti le forme ed i contenuti specifici di sociabilità goliardiche o militari — poco propense al rispetto del sacro, della morale
38 Nell’ultimo quindicennio, alcuni studi hanno iniziato a muoversi in tali direzioni. Sulla rete dei gruppi intellettuali laicisti Guido Verucci, L ’Italia laica prima e dopo l ’Unità. 1848-1876, Roma-Bari, Laterza, 1981. Sul ruolo politico della massoneria italiana Fernando Cordova, Massoneria e politica in Italia (1892-1908), Roma-Bari, La- terza, 1985. Una prima operazione di rilevazione sistematica delle logge italiane è stata compiuta in Jean Pierre Viallet, Anatomie d ’une obédience maçonnique: le Grand-Orient d ’Italie, “Mélanges de l’École Française de Rome (Moyen age-Temps Modernes)”, 1978, n. 1. Per un accurato studio su una rete regionale massonica, interessato anche ai circuiti della sociabilità, Fulvio Conti, Laicismo e democrazia. La massoneria in Toscana dopo l ’Unità (1860-1900), Firenze, Centro editoriale toscano, 1990.37 George L. Mosse, La sécularisation de la théologie juive, “Archives de sciences sociales des religions”, 1985, n. 60-1.
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religiosa e dell’austerità contadina — destinate ad avere riflessi culturali nei paesi d’origine di questi giovani. Ma più in generale, le strutture della sociabilità contribuiscono a costituire i sistemi normativi dell’Italia laica, o ne sono a loro volta condizionate. I fattori di secolarizzazione che dalla fine dell’Ottocento hanno formato i moderni costumi dell’Italia, indipendentemente dal propagarsi di ideologie élitarie laiche, sono numerosi. Silvio Lanaro ne propone un’ampia classificazione: la nuova etica sessuale, i nuovi modelli dell’agire economico, i continui flussi di emigrazione e di mobilità socio-territoriale, i nuovi standard di abbigliamento e moda, ecc.38. È evidente l’interazione tra questi fenomeni e le finalità aggregative, ricreative, economiche, mutualistiche, di cui si fa carico l’associazionismo volontario nell’Italia liberale. E se gli inventari in atto delle fonti archivistiche cattoliche rendono matura la possibilità di ricavare da esse una mappa storica del costume, ovvero di peccato e virtù nella società attraverso gli occhi di vescovi e parroci, questa documentazione consente di ricavare informazioni anche sullo sviluppo dei canali della sociabilità, formale e informale. Un esempio può essere rappresentato dalla prima lettera pastorale dedicata interamente alla censura del tango: la scrive nel 1914 il vescovo di Ravenna, nella cui diocesi il ballo è già un divertimento di massa, non più confinato al periodo carnevalesco, ma praticato ogni domenica dell’anno, quaresima compresa38 39.
La piena affermazione di rapporti capitalistici in alcune regioni rurali, la costruzione di una moderna rete di trasporti e l’estensione del mercato hanno dunque rivoluzionato vita comunitaria e relazioni parroc
chiali. L’emigrazione — temporanea o permanente — porta scompensi e riaggiustamenti negli equilibri socio-culturali. Lo scontro tra avversari e fautori del clericalismo — ovvero del diritto del clero a regolare la vita pubblica e privata, ad influenzare conflitti sociali e ad ingerirsi in affari politici ed economici — avviene così più su un piano pratico che ideologico. Fino ai primi decenni dell’Ottocento, la religione agisce da struttura che regola l’immaginario collettivo attraverso i rituali, svolgendo una funzione equilibratrice e integrativa sia tra comunità locali e società, sia tra i vari gruppi sociali che compongono le comunità. La società tradizionale ne riceve stabilità, anche in epoche di intensa crisi. Durante la Restaurazione, però, la comunità tradizionale che si riconosce nella parrocchia e nel campanile comincia a disgregarsi. E, nel secondo Ottocento, la centralità culturale che il primo articolo dello statuto albertino assicura alla Chiesa non basta a compensare il blando sigillo di legittimazione che il cattolicesimo in crisi può dare al principio d’autorità. Non solo per le rotture tra gerarchia cattolica e ceto politico liberale, ma per una palese difficoltà della religione tradizionale ad erigersi a rappresentazione di un ordine sociale radicalmente mutato. Neanche i rapporti tra padri e figli sono più gli stessi. Affari, mobilità sociale e geografica, consumi, mode, istruzione pubblica laica portano ad una percezione del funzionamento della vita collettiva e ad un apprendistato dei valori civici più efficace di quanto non potesse l’istruzione catechistica, anteriormente usata anche per alfabetizzare le popolazioni locali alla conoscenza e al rispetto delle gerarchie sociali. La sfasatura tra il lento mutare delle mentalità ed i più rapidi mutamenti politico
38 S. Lanaro, L ’Italia nuova, cit., p. 128.39 Cfr. Silvio Ferrari, Problemi di metodo nella lettura delle lettere pastorali, “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 1988, n. 34, pp. 198-200.
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economici in particolari momenti di crisi — nota agli studiosi delVancien régime — dalla metà dell’Ottocento si va ridimensionando, e talune congiunture accelerano decisamente la trasformazione delle vecchie concezioni del mondo.
La sociabilità costituisce il canale di diffusione privilegiato dei comportamenti moderni, e della loro assimilazione — o contrapposizione — alle usanze tradizionali. Inoltre la sociabilità ricompone vecchi equilibri comunitari in crisi, producendo nuove identità, perché trasferisce sul nuovo associazionismo il senso di appartenenza ad una comunità. A mediare culturalmente tra i costumi locali e quelli della società borghese europea è sempre meno il parroco-intellettuale, arroccato nella difesa da ogni novità proveniente dal mondo laico. Ciò a maggior ragione in Italia, dove il riproporsi della Restaurazione, dopo i radicali rivolgimenti del 1848, accentua reciproche insofferenze tra clero intransigente e nuove forme di sociabilità. Nel corso degli anni cinquanta, la riproposizione di rigidi vincoli governativi ad una sociabilità che pareva divenuta incontenibile, è infatti largamente dovuta al clericalismo intransigente. Il clero più aperto alla modernità, incalzato dagli intransigenti, non ha modo d’inserirsi organica- mente nelle nuove forme di sociabilità, pena l’emarginazione dalla Chiesa. Il travagliato allineamento del clero alle direttive della curia romana, spianando molti margini di autonomia culturale che anteriormente i preti potevano permettersi nella vita locale, contribuisce a distanziare costoro dalla sociabilità laica. In tale posizione, nei primi decen
ni successivi all’Unità, per il clero è difficile praticare nella parrocchia la consueta mediazione tra cultura urbana e rurale40. La rete parrocchiale non ha così l’occasione di diventare il circuito di una cultura nazionale avente nel clero il proprio tessuto connettivo.
A fungere da struttura culturale intermedia tra città e campagna e — più in generale — tra la società europea in rapida trasformazione e le comunità locali, è in parte la nuova rete associazionistica, meno vincolata dallo Stato liberale e ostacolata debolmente da una Chiesa il cui ascendente ha perso spessore. Da questo punto di vista, la crisi dell’universalismo ecclesiastico è intrecciata all’espandersi della sociabilità. Quest’ultima offre infatti più aggiornate chiavi di lettura della realtà e comportamenti che permettono di adattarsi in modo meno traumatico al nuovo. E talvolta a dare ai circuiti locali della sociabilità un respiro regionale o nazionale sono reti politiche che riprendono certe suggestioni religiose, nella promessa di un mondo ideale da costruire, con il superamento degli aspetti negativi di quello esistente41. Questi schemi politici messianici hanno in genere un’impostazione palesemente laica, orientata all’anticlericalismo e hanno per retroterra una sociabilità più portata all’edonismo che all’austerità. Nelle comunità è presente anche una tendenza a ricostruire da sé un sistema simbolico tradizionale di carattere religioso, senza la mediazione del clero. Nell’Europa cattolica — tra il 1870 e il 1914 — è ricorrente la mobilitazione di grandi folle per apparizioni mariane e miracoli, re-
40 Luciano Allegra, II parroco, un mediatore tra alta e bassa cultura, in Storia d ’Italia. Annali. II. Intellettuali e potere, Torino, Einaudi, 1980.41 Cfr. Christiane Rumillat, Pratiques et modèles républicains de la politique à la fin du X IXe siècle, in Du groupe au réseau. Réseaux religieux, politiques, professionnels, Paris, Editions du Cnrs, 1988; M. Fincardi, Primo Maggio reggiano. Il formarsi della tradizione rossa emiliana, Reggio Emilia, edizione della Camera del lavoro, 1990; M. Ridolfi, Il Psi e la nascita del partito di massa, cit.
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golarmente sconfessati dalla Chiesa42. Si tratta di tentativi esasperati di ristabilire equilibri culturali locali attorno ai simboli di un cattolicesimo popolare. È una resistenza popolare alla secolarizzazione: vasta, ma frammentaria e sotterranea, perché senza appoggi nelle istituzioni ecclesiastiche e priva di agganci alle reti associative popolari. Tra questi effimeri fenomeni messianici e la moderna rete associativa popolare si crea generalmente una reciproca barriera di diffidenza. Pure le conversioni collettive al protestantesimo, frequenti anche in Italia, benché di carattere spesso effimero, sono espressione di tensioni comunitarie tese a cercare dalla religione nuove identità. La loro peculiarità è proporre alle comunità evangelizzate un cristianesimo non antitetico ai valori della società liberale, inserendole in una rete ecclesiastica alternativa e mantenendole in contatto con i circuiti della moderna sociabilità43.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la chiesa cattolica promuove una propria rete collaterale di sociabilità, per riprendere un attivo ruolo di mediazione tra società e comunità locali. Incentivando, at
torno ad ogni parrocchia, la costituzione di un circuito associativo capillare con finalità solidaristiche, la Chiesa può compensare su un piano politico la perduta egemonia religiosa sui fedeli. La pratica religiosa, soprattutto in ambienti colonici, diviene inseparabile dall’adesione ad un associazionismo cattolico che ha come programma di coniugare lo sviluppo economico delle micro-imprenditorialità locali con la salvaguardia di equilibri sociali tradizionali. Si tratta chiaramente di una ricomposizione delle relazioni parrocchiali che ha un successo direttamente proporzionale all’attaccamento alla pratica religiosa mantenuto dalla popolazione. Invece, nelle aree dove il distacco dalla pratica religiosa è più consistente, e rafforzato da un radicato circuito associativo laico, in genere l’associazionismo cattolico resta un fenomeno poco incisivo e la crisi delle relazioni tra il clero e le popolazioni locali non viene superata44. Fin dal 1953, aprendo un intenso periodo di ricerche sui movimenti politici cattolici, e per individuare le loro spiccate caratterizzazioni e differenziazioni locali- stiche, Giorgio Candeloro ha sollecitato a “studiare il problema dell’influenza del cle-
42 Pietro Stella, Per una storia del profetismo apocalittico cattolico ottocentesco, “Rivista di storia e letteratura religiosa”, 1968, n. 4; Aa.Vv., Davide Lazzaretti e il Monte Amiata. Protesta sociale e rinnovamento religioso, Firenze, Nuova Guaraldi, 1981; Ph. Boutry, Prêtres et paroisses, cit., pp. 492-522; B. Delpal, Entre paroisse et commune, cit., pp. 155-169; Maria Adriana Bernardotti-Nora Sigman, La Madonna dello “snever” o l ’allucinata di Castelnuovo Monti, “Padania”, 1990, n. 8.43 Cfr. Peter M. Jones, Quelques formes élémentaires de ìa vie religieuse dans la France rurale (fin XVIII et XIX siècles), “Annales. Economies, Sociétés, Civilizations”, 1987, n. 1; Jean Bauberot, Conversions collectives au protestantisme et religion populaire en France au XIXsiècle, in La religion populaire, cit.; Patrizia Bigi, L ’organizzazione della vita religiosa in un villaggio alessandrino: cattolici ed evangelici a Bassignana nell’800, “Quaderno 16 degli Istituti per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria e di Asti”, 1985-1986; Francesco Pitocco, Tazza rotta, tazza nuova. L ’evangelo in Sabina, in Subalterni in tempo di modernizzazione, cit.; Franco Chiarini- Lorenza Giorgi (a cura di), Movimenti evangelici in Italia dall’Unità ad oggi, Torino, Claudiana, 1990; Le fonti per lo studio della presenza evangelica in Italia dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento (numero monografico del “Bollettino della Società di studi valdesi”), 1991, n. 169.44 Cfr. Liliana Ferrari, Il laicato cattolico fra Otto e Novecento: dalle associazioni devozionali alle organizzazioni militanti di massa, in Storia d ’Italia. Annali. IX. La Chiesa e il potere politico, cit.; Jean-Pascal Bonhotal, Groupes et réseaux dans le catholicisme contemporain: le cas de l ’action catholique à l ’aube du XIXsiècle, in Du groupe au réseau, cit.; Angelo Gambasin, Parroci e contadini nel Veneto alla fine dell’Ottocento, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1973.
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ro sulle popolazioni in rapporto allo sviluppo sociale delle singole zone”45. Nei decenni successivi, l’invito a colmare questa lacuna è stato soddisfatto limitatamente al rapporto tra strutture ecclesiastiche ed associazionismi politico-economici collaterali, che hanno trattato diffusamente delle articolazioni regionali dei movimenti cattolici e delle loro peculiarità sociali e ideologiche46. Ancora poco curati — sia dagli studiosi cattolici e protestanti, sia dai laici — ora gli studi sulla secolarizzazione possono dare un contributo notevole ad una storia sociale dell’Italia contemporanea, poiché rivelano fondamentali meccanismi che sono alla base dei mutamenti del costume e della mentalità. La profondità e la completezza degli studi condotti in Francia lo dimostrano ampiamente. E anche in Italia i primi studi in questa direzione stanno aprendo prospettive interessanti, che cominciano a mettere allo scoperto alcuni meccanismi della formazione delle mentalità moderne e del differenziarsi delle aree culturali italiane. In questi studi, le trasformazioni della sociabilità mostrano le variazioni qualitative più rilevanti nella vita collettiva. Utilizzate abitualmente per la storia ecclesiastica e talvolta per la storia politica, le fonti ecclesiastiche possono fornire dati sistematici ad una storia sociale attenta ai fenomeni religiosi e
anche a quelli profani, a cominciare da quello del distacco popolare dalla pratica religiosa. Importante per la comprensione della crisi della religione tradizionale nell’Italia liberale può essere l’uso incrociato delle fonti cattoliche e protestanti — oltre che, naturalmente, delle fonti civili — rompendo con la prassi invalsa di rovistare solo gli archivi della chiesa a cui uno storico appartiene. Dalle annotazioni di parroci e vescovi, infatti, si ritrova il punto di vista di intellettuali attentissimi ai meccanismi della vita comunitaria tradizionale e allarmati ad ogni suo mutamento. Pastori e predicatori e venditori ambulanti di testi religiosi (colportori) protestanti — per quanto i movimenti evangelici siano stati effimeri o marginali — hanno percorso in lungo e in largo l’Italia liberale, scrivendo di continuo relazioni sulla propria opera missionaria, diretta a tutte le comunità in cui si manifestassero inquietudini religiose e dissensi dal clero. Osservatori esterni — ignari delle culture locali ma specialisti nel cogliere ogni dinamica di cambiamento e di rottura con la tradizione — gli evangelizzatori eterodossi hanno lasciato annotazioni di estrema sensibilità sulle manifestazioni religiose e di costume delle comunità con cui sono entrati in contatto.
Marco Fincardi
45 Giorgio Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Editori riuniti, 1982 (IV edizione), p. 226.46 Di particolare incisività fra questi studi Mario G. Rossi, Le origini del partito cattolico, Roma, Editori Riuniti, 1977.