societa' giusta ed equa

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1 [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE La nuova politica “ex parte civium” Alla fine del XVIII secolo, la pratica di un’utopia trovò in filosofi illuministici di cultura giuridica ( Filangieri e Pagano). Nei loro testi circolavano per la prima volta parole destinate a diventare concetti chiave del moderno linguaggio politico come: Costituzione Repubblicanesimo Patriottismo Società civile Diritti dell’uomo Cittadinanza Governo rappresentativo Sovranità popolare Democrazia “pura” o rappresentativa Eguaglianza, libertà civile e libertà politica. Fondamentali sono le parole autorevoli di un grande storico del diritto (Ajello): “gli illuministi rifiutano l’ideale umanistico - platonico di una repubblica governata dai saggi-giureconsulti, chiamati a rappresentare di volta in volta la communis opinio , tale ideale era stato il presupposto ideologico di tutta la scienza juris del tardo medievale e umanistica. Gli illuministi respinsero la pretesa dei giudici di attingere dalle strutture dell’essere, o quanto meno d’interpretare ed esprimere quelle esistenti. I sacerdotes juris furono incapaci di rappresentare legalmente l’intero corpo sociale ed accusati di di essere solo portatori di interessi particolari e limitati al loro status.” Le opere del pensiero giuridico illuministico illuministico da Montesquieu a Rousseu, da Beccaria a Filangieri anche con differenze e diverse soluzioni prospettate nella critica dell’antico regime (soprattutto contro la tradizione dei “forensi”), si ponevano l’obiettivo comune di smascherare gli arcana juris , in un momento storico dell’occidente in cui cominciavano a sgretolarsi gli ordinamenti del passato e si poneva con drammatica urgenza le questione di ridefinire la sovranità non più a partire dall’alto ma dal basso ex parte civium. Non è causale che nella Napoli di fine secolo l’esordio pubblico nella lotta politica di Gaetano Filangieri nel 1774, in occasione dei provvedimenti presi da Tanucci per obbligare i magistrati a motivare per iscritto le loro sentenze. Era questo un vero atto di guerra tra monarchia e corti di giustizia del Mezzogiorno (paragonabile allo scontro avvenuto tre anni prima a Parigi tra il cancelliere Maupeou e i messieur dei parlamenti). Risultarono vani gli appelli di Tanucci contro “l’arbitrio illimitato dei giudici”e il suo invito al Sacro Regio Consiglio di abbandonare quello “stile di oracoli”ricordando che la legislazione è tutta della sovranità; e che il Consiglio non è che un giudice e che i giudici sono esecutori delle leggi e non autori : il diritto deve essere certo e definito e non arbitrario. Non era la prima volta che un tentativo di riforma giudiziaria naufragava a causa della corporazione dei magistrati. Dopo l’arrivo di Carlo di Borbone e la fondazione della monarchia nazionale, il progetto di dar vita ad una fase assolutistica si era già arenato una volta di fronte alla resistenza del ministero del togato, secolare detentore del potere nel Regno insieme alla nobiltà feudataria. Carlo III aveva cercato di porre rimedio alla frammentazione della sovranità reprimendo gli abusi, sciogliendo il Collaterale, creando la Regia Camera di Santa Chiara, istituendo il nuovo Supremo Magistrato del commercio, dove i mercanti e banchieri affiancavano esperti del diritto, avviando un tentativo di codificazione; poco o nulla cambiò. Tutti i maggior esponenti del mondo illuministico italiano denunciarono nel corso del settecento l’anarchia della pratica della giustizia e la prepotenza dei sacerdotes juris . Filangieri: scrisse Riflessioni contro i togati Muratori: scrisse Dei difetti della giurisprudenza (1742) Giuseppe Maria Galanti: Testamento forense, legava il sottosviluppo economico e l’arretratezza sociale all’egemonia dei giuristi. In Desrizione dello stato antico e attuale del Contado di Molise, in cui descriveva un sistema complicato ecclesiastico e feudale, nel testo era evidente una società in cui non si può possedere facoltà senza dipendere dai tribunali; nè essere cittadini senza dipendere da avvocati. Galanti denunciava pubblicamente un malcontento, una realtà fatta di sopraffazioni da riformare, in cui dominavano la palese complicità e gli stretti legami d’interesse tra avvocati e magistrati. [email protected]

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RIASSUNTO DEL TESTO «Che cosa significa la politica per gli uomini del tardo Illuminismo?» Se ne ha una concezione autonoma? Esistono pratiche, rappresentazioni e discorsi specifici di essa, che la distinguano dalle pratiche, rappresentazioni e discorsi dell'epoca rivoluzionaria? Che peso ha in Italia il linguaggio dei "diritti dell'uomo", nel periodo che va dalla Rivoluzione americana alla Rivoluzione francese? Qual è il contributo dell'Illuminismo italiano all'Illuminismo europeo?

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[LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE

La nuova politica “ex parte civium”

Alla fine del XVIII secolo, la pratica di un’utopia trovò in filosofi illuministici di cultura giuridica (Filangieri e Pagano).Nei loro testi circolavano per la prima volta parole destinate a diventare concetti chiave del moderno linguaggio politico come:

• Costituzione• Repubblicanesimo• Patriottismo• Società civile• Diritti dell’uomo• Cittadinanza• Governo rappresentativo• Sovranità popolare• Democrazia “pura” o rappresentativa• Eguaglianza, libertà civile e libertà politica.

Fondamentali sono le parole autorevoli di un grande storico del diritto (Ajello):“gli illuministi rifiutano l’ideale umanistico - platonico di una repubblica governata dai saggi-giureconsulti, chiamati a rappresentare di volta in volta la communis opinio , tale ideale era stato il presupposto ideologico di tutta la scienza juris del tardo medievale e umanistica. Gli illuministi respinsero la pretesa dei giudici di attingere dalle strutture dell’essere, o quanto meno d’interpretare ed esprimere quelle esistenti. I sacerdotes juris furono incapaci di rappresentare legalmente l’intero corpo sociale ed accusati di di essere solo portatori di interessi particolari e limitati al loro status.”

Le opere del pensiero giuridico illuministico illuministico da Montesquieu a Rousseu, da Beccaria a Filangieri anche con differenze e diverse soluzioni prospettate nella critica dell’antico regime (soprattutto contro la tradizione dei “forensi”), si ponevano l’obiettivo comune di smascherare gli arcana juris , in un momento storico dell’occidente in cui cominciavano a sgretolarsi gli ordinamenti del passato e si poneva con drammatica urgenza le questione di ridefinire la sovranità non più a partire dall’alto ma dal basso ex parte civium.

Non è causale che nella Napoli di fine secolo l’esordio pubblico nella lotta politica di Gaetano Filangieri nel 1774, in occasione dei provvedimenti presi da Tanucci per obbligare i magistrati a motivare per iscritto le loro sentenze. Era questo un vero atto di guerra tra monarchia e corti di giustizia del Mezzogiorno (paragonabile allo scontro avvenuto tre anni prima a Parigi tra il cancelliere Maupeou e i messieur dei parlamenti).Risultarono vani gli appelli di Tanucci contro “l’arbitrio illimitato dei giudici”e il suo invito al Sacro Regio Consiglio di abbandonare quello “stile di oracoli”ricordando che la legislazione è tutta della sovranità; e che il Consiglio non è che un giudice e che i giudici sono esecutori delle leggi e non autori : il diritto deve essere certo e definito e non arbitrario. Non era la prima volta che un tentativo di riforma giudiziaria naufragava a causa della corporazione dei magistrati.Dopo l’arrivo di Carlo di Borbone e la fondazione della monarchia nazionale, il progetto di dar vita ad una fase assolutistica si era già arenato una volta di fronte alla resistenza del ministero del togato, secolare detentore del potere nel Regno insieme alla nobiltà feudataria.Carlo III aveva cercato di porre rimedio alla frammentazione della sovranità reprimendo gli abusi, sciogliendo il Collaterale, creando la Regia Camera di Santa Chiara, istituendo il nuovo Supremo Magistrato del commercio, dove i mercanti e banchieri affiancavano esperti del diritto, avviando un tentativo di codificazione; poco o nulla cambiò.

Tutti i maggior esponenti del mondo illuministico italiano denunciarono nel corso del settecento l’anarchia della pratica della giustizia e la prepotenza dei sacerdotes juris .Filangieri: scrisse Riflessioni contro i togatiMuratori: scrisse Dei difetti della giurisprudenza (1742)Giuseppe Maria Galanti: Testamento forense, legava il sottosviluppo economico e l’arretratezza sociale all’egemonia dei giuristi. In Desrizione dello stato antico e attuale del Contado di Molise, in cui descriveva un sistema complicato ecclesiastico e feudale, nel testo era evidente una società in cui non si può possedere facoltà senza dipendere dai tribunali; nè essere cittadini senza dipendere da avvocati.Galanti denunciava pubblicamente un malcontento, una realtà fatta di sopraffazioni da riformare, in cui dominavano la palese complicità e gli stretti legami d’interesse tra avvocati e magistrati.

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Nel 1774 con le Riflessioni di Filangieri il confronto si spostava sul piano politico, con “principi fondamentali della politica” che chiamavano in causa “l’opinione pubblica”, con il rispetto della libertà civile del cittadino e mostrava a tutti la presenza del “mostruoso dispotismo” dei magistrati (autentici despoti che ignoravano i vincoli di legge, una sorta di dispotismo degli ottimati, molto pericoloso per la libertà dei cittadini in quanto esercitata da un’intera corporazione e non da uno solo.Dietro “l’arbitrio giudiziario”,consentito dalla pratica dell’interpretatio si nascondeva la violazione sistematica della costituzione stessa dei governi moderati che prevedeva dopo Locke e Montesquieu, la separazione dei poteri al punto di renderli incomunicabili per garantire la libertà civile, i magistrati attraverso l’interpretation avevano usurpatole prerogative del”Sovrano come legislatore”.Il grande errore teorico, che aveva reso possibile questa situazione, si annidava nell’uso distorto della parola equità da parte dei sacerdotes juris intesa come cosa differente della giustizia (strumento a disposizione del magistrato per rettificare il carattere astrattamente universale della legge rispetto alla realtà concreta). Il continuo ricorso al meccanismo equitativo per legittimare l’interpretatio aveva consentito la nascita di forme negative di dispotismo giuridico da parte delle grandi corti di giustizia.

Intorno a una nuova rappresentazione della società civile, fondata sula nesso che legava l’equità e la giustizia, Filangieri costruirà il gigantesco mosaico della Scienza della legislazione.Si apriva negli anni settanta una nuova stagione nella vita del Regno di Napoli che si sarebbe conclusa nel bagno di sangue della Repubblica del ’99, con la sconfitta definitiva del mondo dei Lumi.

I conflittuali decenni della monarchia autoritaria di Luigi XIV avevano non solo mutato radicalmente la storia istituzionale della Francia moderna, ma mutato radicalmente la storia istituzionale della Francia moderna, ma cambiato i termini stessi della lotta politica in tutta Europa continentale.La furiosa contesa tra corona e parlamenti esplosa nella seconda metà del secolo, stava mettendo a nudo il superamento del consolidato equilibrio dei poteri dell’antico regime, e stava trasformando brutalmente la monarchia regia in monarchia dispotica.Il governo di Luigi XIV aveva spezzato le vecchie consuetudini e allarmato non solo l’antica nobiltà feudale ostile alla corona e all’apparato burocratico dello Stato francese (che in cambio delle fedeltà all’assolutismo e alla monarchia ricevevano privilegi).La rivolta dei corpi intermedi era cominciata in Francia con la diffusione di una lettura polemica e negativa delle parole “absolu” e “despotique”.Montesquieu: nel libro l’Esprit des lois, in cui rappresentava i corpi intermedi come una componente essenziale del sistema costituzionale monarchico, indispensabile per garantire la libertà ed evitare ogni forma di degenerazione verso il dispotismo da parte del sovrano.Luis-Adrien Le Paige: nel libro Lettres historiques sur les fonctions essentielles des Parlements, reclamò la continuità storica tra i parlamenti e le assemblee legislative delle due prime dinastie dei re di Francia, rivendicando la presenza dell’intera nazione e trasformando la registrazioni delle leggi da semplice atto formale in autentico principio costituzionale.

A Napoli l’ideologia del ministero togato trova il suo massimo teorico in Niccolò Fraggianni (giurista, capo di ruota del Sacro Regio Consiglio e Delegato della Real Giurisdizione, tutte cariche che lo ponevano ai vertici dell’apparato burocratico).Tra il 1740 e 1750 per protestare contro i ricorrenti tentativi di riformare la giustizia nel segno dell’assolutismo più rigoroso Fraggianni ricorse ai testi dei due francesi e al linguaggio giuspolitico degli atti promulgati dai parlamenti francesi. Egli metteva in guardia il sovrano contro i “riformatori” che considerava dei veri oppressori della patria, quindi seguire i loro consigli . e cioè avviare una radicale riforma della giustizia tale da inclinare gli equilibri del tradizionale ordo juris e dello Stato di giustizia di origine medievale avrebbe non solo offeso la libertà, ma creato rapidamente le condizioni per una pericolosa “rivoluzione generale”, continuava dicendo che questi cambiamenti potevano aver senso solo in presenza di un sovrano illegittimo o di un principe che non avesse altro oggetto che dispotismo e forza come Luigi XIV.Per Fraggianni il regno era sussistito per due secoli con queste leggi difettose che fossero, quindi la loro legittimità derivava direttamente dalla storia, dalla tradizione di ogni singola nazione.La pratica giurisprudenziale dei sacerdotes juris esplicato nei secoli attraverso la scienza juris e l’interpretatio rivestivano una funzione di garanzia e di tutela degli equilibri politici, impedendo i dispotismi . Secondo Fraggianni l’obiettivo dei riformatori era togliere l’amministrazione della giustizia ai togati riportandola sotto il controllo del re, in questo modo minacciava la libertà dei cittadini.

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A Napoli le tesi costituzionaliste (Fraggianni) erano molto diffuse e condivise tra i togati e in vasti settori dell’opinione pubblica, esse si scontravano con il nascente partito dei filosofi illuministi (nascita della figura del “giureconsulto filosofo” tra cui si ricorda Francesco Mario Pagano), che criticavano queste tesi e avevano preso atto della crisi della Scientia juris .Il mestiere di giurista inizia ad essere influenzato dai metodi di ricerca delle scienze naturali: da interprete a scienziato scopritore del comportamento umano; lo studio della “natura delle cose”come fonte primaria del diritto ridimensionava le fonti del Corpus juris; dalla interpretatio si passava alla demonstration .

La nuova figura del filosofo illuminista venne ulteriormente definito da Filangeri all’interno delle Riflessioni come cosmopoliti, amatori della libertà civile, individuavano nell’opinione pubblica l’interlocutore principale.Gli obiettivi principali erano di svelare i meccanismi di potere, educare il popolo anche attraverso l’uso di opuscoli e libri, e soprattutto intraprendere la riforma della legislazione.I saperi specialistici e gli interessi corporativi erano da considerare cose del passato

Scontro tra :Fraggianni: fermo agli insegnamenti di Montesquieu, ribadiva i timori contro l’eccessivo ed inquietante fervore riformisticoFilangieri : scriveva La scienza della legislazione con l’intento di indicare cosa bisogna fare per realizzare una società più giusta ed equa. In questo testo affronta i temi delle vicende drammatiche della rivoluzione americana , la critica radicale dell’antico regime si accompagnava alla descrizione analitica di un nuovo modo di pensare la legislazione, il potere, la natura stessa delle costituzioni.

La critica del modello costituzionale britannico: la rivoluzione americana come laboratorio politico

La Scienza della legislazione reca tracce profonde della rivoluzione Americana : una legislazione capace di creare una società giusta coniugando la libertà e l’equità , i diritti dell’uomo con lo sviluppo economico e la giustizia socialeTra Filangieri e Benjamin Franklin (intorno al 1780) nacque una profonda amicizia e reciproca ammirazione cementata da una comune militanza massonica, cessata solo dalla prematura scomparsa di Filangieri nel 1788 (l’ultima lettera di Franklin conteneva una copia della costituzione federale degli Stati Uniti).Filangieri visse intensamente, soprattutto sul piano intellettuale la rivoluzione delle colonie inglesi, per lui l’intero equilibrio politico, sociale ed economico mondiale gli sembrava in discussione

Di fronte alla crisi di fine secolo dell’Europa gli Stati Uniti rappresentavano un modello futuro della civiltà occidentale: gli eredi migliori di un glorioso passato e un laboratorio politico per il futuro.Un modello in cui vi era la necessità di dare al popolo la distribuzione delle cariche al fine di attuare il principio democratico, cercando di far coincidere l’inevitabile amore dei singoli per il potere con gli interessi generali.

L’ammirazione non cessava neppure di fronte al franco dissenso verso la promulgazione di leggi ritenute da lui sbagliate come la pena di morte prevista per i disertori.Su un punto Filangieri era assolutamente intransigente nel prendere le distanze dall’esperienza americana: la schiavitù nella nuova patria degli uomini liberi.Gli pareva inaccettabile che mentre nella vecchia Europa le leggi si dichiaravano a favore della libertà dell’uomo.Le pagine di sdegno restano tra le più belle ed intense mai scritte in quegli anni dagli illuministi contro i “diritti inviolabili dell’umanità e della ragione”.Per Filangieri non era solo importante la vittoria di un pugno di uomini contro un gigante oppressore, ma l’inizio della fine dell’imperialismo britannico e la messa in discussione del brutale colonialismo del vecchio mondo condotto da secoli con spietatezza nel nome di una civilizzazione iniqua.

Fondamentale fu l’ampiezza dell’informazione e i pregi di un sistema di comunicazione allargato alle elites urbane e già di tipo internazionale fondato sulle gazzette, che sarebbe divenuto in breve tempo il nucleo fondamentale del linguaggio politico moderno.

Con la Dichiarazione di Indipendenza il 3 luglio 1776 la gloriosa tradizione repubblicana inglese, identificata con il modello del governo misto che aveva rappresentato grazie a Montesquieu la bandiera [email protected]

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dei fautori della libertà, cessava di essere l’orizzonte di riferimento di un largo settore del fronte progressista.I nuovi repubblicani radicali, negando l’autorità del parlamento londinese e alimentando la polemica con un costante riferimento ai diritti dell’uomo e ai ideali illuministici, si accingevano a sperimentare oltreoceano istituzioni e forme di governo più sensibili alle istanze egualitarie e democratiche.Con la pubblicazione sulla “Gazzetta Universale” della Dichiarazione di Indipendenza essa si diffuse in tutta la penisola.

Il testo formulato dal più illuminista tra gli americani Thomas Jefferson citava: “…..noi riguardiamo come verità evidenti per se stesse che tutti gli uomini sono stati creati uguali , che hanno ricevuto dal loro creatore certi diritti inalienabili, che nel numero di questi diritti sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità, che per assicurare tali diritti sono stati istituiti governi tra gli uomini e che non traggono il loro giusto potere fuorchè dal consenso di coloro che son governati, ed ogni volta che una forma di governo diventa distruttiva di detti fini, il popolo è in diritto di alterarla o di abolirla e d’instituire un nuovo governo.

Gli americani avevano realizzato il “governo rappresentativo” come unica soluzione possibile per dare concreta forma istituzionale alla sovranità popolare.

Di pari passo alla critica e al superamento del modello di governo misto inglese nasceva la creazione del moderno costituzionalismo fatto di testi scritti e deliberati dai congressi delle 13 repubbliche che mettevano in chiaro la differenza esistente tra carta costituzionale e il governo di una nazione, tra i diritti inalienabili enunciati nella dichiarazione dei principi del potere legislativo.

Un aspetto del successo dell’opera di Filangieri è dovuto dalla polemica contro il costituzionalismo britannico, fatto di leggi scritte e consuetudinarie, fondato sul principio del governo misto.L’analisi di Filangeri dei difetti e delle contraddizioni si articolano in 3 gravi vizi:

1. la rivendicazione da parte della corona della totale indipendenza del potere esecutivo dal parlamento. Questo difetto poteva trovare soluzione separando chiaramente i compiti del potere giudiziario dall’esecutivo, in modo da affidare ad organi distinti in funzione di limite e di garanzia.

2. la capacità della corona di esercitare una sorta di “doppia influenza” sul parlamento, che nascondeva una componente segreta e pericolosa, in grado di distruggere la libertà del popolo senza che la costituzione ne venga alterata. Il sovrano poteva comprare i voti dei parlamentari, in quanto era “l’unico amministratore delle rendite nazionali”, e anche “il distributore unico di tutte le cariche civili e militari”. La storia inglese è piena di esempi di sovrani che avevano manipolato a piacimento il parlamento senza scatenare guerre civili. Così avevano fatto intelligentemente Elisabetta e soprattutto Enrico VIII. Assai diversa sarebbe stata la sorte di Giacomo II se avesse praticato “l’arte di corrompere l’assemblea che rappresenta la sovranità”, e non sfidando sul piano formale il parlamento come incautamente fecero Giacomo I e Carlo I. Porre rimedio a questa situazione comportava interventi strutturali che coinvolgevano la natura e la stessa composizione del parlamento. Filangieri contestava il presunto diritto esclusivo del sovrano inglese a nominare i membri della Camera alta. La Costituzione andava riformata per consentire alla Camera dei Comuni di respingere le pressioni della corona e anche per arrivare a sostituire “un’assemblea di cittadini ad un congresso di cortigiani”. Ciò comportava una revisione dei meccanismi elettorali della rappresentanza popolare, anche per evitare il dilagare della corruzione, molto diffuso con Giorgio III.

3. l’incostanza della costituzione.

Il potere costituente del popolo legislativo, sovrano che in America, attraverso le assemblee legislative, consacra la nascita del moderno costituzionalismo.Filangieri tra i primi in Europa iniziò un dibattito sulla natura delle “leggi fondamentali” ( che cosa è una costituzione? Quale rapporto esiste tra il potere legislativo e le leggi ordinarie? A chi spetta quello che noi oggi chiamiamo il potere costituente? Può un governo misto dare vita a una costituzione chiara e costante nel tempo?)

Il caso americano stava dimostrando come fosse possibile a una libera comunità politica, attraverso i suoi rappresentanti , creare democraticamente una costituzione, arrivando a formulare per la prima volta nella storia, un documento scritto e sintetico capace di racchiudere i principi fondamentali necessari a regolare la vita di un popolo.

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Filangieri distingueva nettamente costituzione e governo, fase costituente e fase di governo ordinario, normale produzione legislativa del parlamento e fase straordinaria.Per Filangieri : “ la legislazione non deve, né può distruggere la costituzione; deve solo riparare ai suoi difetti, si è detto che il diritto di alterare le leggi fondamentali che la determinano non si può togliere al congresso senza distruggere la natura stessa della costituzione.

Emergono le preoccupazioni per garantire la vita politica e parlamentare di una costituzione rigida, intesa come un “piccolo codice scritto”, sintetico, chiaro, razionale; un testo non solo fondamentale per garantire l’ordinata vita politica di una nazione, ma capace di fornire garanzie nei confronti del dispotismo. Profondamente diverso dal costituzionalismo misto e consuetudinario della tradizione britannica, dove la continua fluttuazione tra i diversi corpi che si dividevano l’autorità (che da Carlo I a Giorgio III aveva causato disordini sociali e politici), che aveva favorito, secondo Filangieri, le antiche polemiche dei teorici dell’assolutismo contro il frazionamento della sovranità, e il regno dell’anarchia , della confusione, lo scatenamento della guerra civile e il dominio del più forte.Il vecchio modello costituzionale britannico aveva esaurito la sua funzione storica di fronte alle potenzialità democratiche e libertarie del nuovo repubblicanesimo americano.

Il mostro feudale

Contro Montesquieu e il costituzionalismo cetuale. La denuncia del mostro feudale e della monarchia temperata.All’interno dell’opera “scienza della legislazione” era costruita da un lato la critica dell’antico regime europeo, del suo ingiusto ordine sociale e politico, del suo costituzionalismo corporativo e consuetudinario, dall’altro la formulazione di precise indicazioni legislative per costruire una società a partire da una legislazione rifondata sui valori e sui principi dell’illuminismo di fine secolo.Mentre Montesquieu ragionava “piuttosto sopra quello che si è fatto, che sopra quello che si dovrebbe fare…”. A Napoli sia Nicolò Fraggianni che la nobiltà feudale era ricorsa alle pagine del libro “l’esprit des lois” per rivendicare la legittimità dei propri privilegi.Dopo la guerra dei “sette anni” la questione feudale non si limitava a questioni politiche e giuridiche ma anche a tematiche sociali ed economiche. I lavori di Mably, Ferguson, Linguet, Robertson (1765/1769) e Adam Smith (1766), sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, avevano messo in relazione il sempre più evidente sottosviluppo e l’arretratezza dell’agricoltura continentale, rispetto all’Inghilterra e alle colonie americane con il persistere della feudalità.Filangieri aveva fatto proprie le indicazioni di Smith, e all’interno della “scienza della legislazione” aveva dedicato alle leggi politiche ed economiche una richiesta di aumento dei piccoli proprietari creando un libero mercato della terra, e rendendo disponibili i beni ecclesiastici (inalienabili) e trasformando i feudatari in proprietari. Era necessario per attuare ciò era necessaria la soppressione delle istituzioni cardini della feudalità:

• primogeniture • i fedecommessi (causa delle miserie)

Gli attacchi di Filangieri ai baroni feudali e al ceto togato attraverso “Riflessioni politiche sull’ultima legge del sovrano che riguarda l’amministrazione della giustizia” scatenò una violenta reazione. Contro di lui si scagliò anche un letterato Giuseppe Grippa, che rilanciò le teorie costituzionaliste di Montesquieu, che affermava che era fondamentale la presenza dei corpi intermedi (nobiltà feudale) che garantivano la libertà in Europa, difendere la monarchia e le leggi fondamentali di antico regime. Per Grippa distruggere le basi economiche della feudalità significava attentare alla libertà e favorire il dispotismo, quindi il pericolo era la scomparsa della monarchia lasciando il posto alle violenze e all’anarchia dei governi popolari, e al pericoloso repubblicanesimo democratico dei piccoli proprietari terrieri. Filangieri nel 1783 affrontò la questione feudale sul piano giuridico e politico cercando di riflettere sul nesso tra libertà e uguaglianza, e sulla legittimità del potere dei baroni, con la pubblicazione del terzo volume dedicato alle leggi criminali.Il merito di quest’opera stava nella capacità di cogliere i processi storici e politici di un epoca di profonde trasformazioni, in cui a garantire “equità, libertà e sicurezza” non è più la liberta feudale, bensì l’autorità legale del monarca: il governo by law che deve succedere al governo by will.Mostro feudale: per Filangieri oltre che uno ostacolo allo sviluppo economico, era la causa di gravi problemi di libertà e di giustizia destinati a suscitare una precisa riflessione politica sulla natura del governo monarchico in antico regime. Diceva che il mostro feudale aveva devastato l’Europa e andava incenerito, perché nei secoli aveva

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dato vita a un governo ingiusto fondato “sulle rovine della libertà civile del popolo, e dei sacri diritti della corona. Un governo dove dominava la violenza quotidiana, la pratica della disuguaglianza di fronte alla legge e l’arbitrio più sfacciato nei tribunali”. “la natura non ci ha fatti per essere il trastullo di pochi uomini potenti , ma ci ha somministrato tutti i mezzi necessari per esseri liberi e felici”

Privilegi della giustizia feudale: al barone era concessa la nomina del magistrato cui spettava fare le indagini e giudicare sui reati avvenuti nel feudo. In questo modo il magistrato diventava un “miserabile e vile mercenario del barone” ricattato sul piano economico dal suo datore di lavoro, minacciato dal potere di revoca dell’incarico, incapace di garantire una giustizia autentica e autonoma.Filangieri li descriveva senza onore, senza ricchezza, senza lumi, privi della confidenza del popolo e incapaci di procurarsela, non hanno altro talento se non quello che si richiede per vessare, opprimere, rubare e per favorire chiunque è potente e calpestare chiunque sia debole.Il loro compito di amministrare la giustizia per conto del feudatario si fermava a volte alla sola ricerca delle prove della consapevolezza del reo ottenute con tutti i mezzi, dalla prigione alla tortura; da quel momento subentrava il barone che trattava con l’incriminato una ricompensa economica in sostituzione della pena, non meno scandaloso era il privilegio di concedere la grazia ( Filangieri: “questo diritto che appena è compatibile con la sovranità, questo diritto del quale i re rare volte ne fanno uso per non moltiplicare i delitti con la speranza dell’impunità; il favorito del feudatario, il complice dei suoi delitti, lo strumento dei suoi attentati è sicuro di rimanere impunito perché sa che la sua condanna sarà seguita dalla grazia, mentre l’uomo onesto che ha resistito ai capricci del suo signore , sa di essere perduto se si troverà avvolto nei legami della giustizia e nelle trame di una violenta ed arbitraria procedura”)

Processo: Esistevano 3 gradi di appello contro una sentenza ritenuta ingiusta.I primi 2 erano di fronte ad altri giudici ma sempre pagati dal barone, l’appello finale davanti ai tribunali provinciali del re pareva inventato apposta per scoraggiare ogni volontà di sottrarsi all’ingiustizia dei ministri dei baroni .I giudici nominati dal sovrano erano costretti a valutare sulla base dei documenti processuali raccolti in precedenza. Nel caso in cui il primo procedimento fosse dichiarato formalmente irregolare il rimedio previsto, per Filangieri, era il peggiore dei mali, entrava in scena il titolare della pubblica accusa, l’inquisitore del re, con il compito di istruire il nuovo processo destinato a diventare una sorta di allucinante inferno in terra per coloro che pensavano di sfuggire alla giustizia feudale.

Per Filangieri l’inquisitore era l’uomo più vile e più ladro della provincia, un subalterno che non solo è pagato dal governo, ma che paga per poterlo servire; che esercita ignominiosamente un ministero che ricercherebbe molta onoratezza, ma che è divenuto infamante, insensibile a tutti i sentimenti di pietà, di onore e di giustizia.Come atto preliminare l’inquisitore ordinava la preventiva carcerazione dei numerosi testimoni, di rei, di complici. Poi seguiva la ricerca di prove con ogni mezzo per coinvolgere il maggior numero di persone cui proporre il “mercato”e lo scambio in denaro per uscire indenni dal processo. Si può definire tragico lo scenario della giustizia dell’antico regime.

Per Filangieri l’obiettivo primario dei “diritti sacri della civile libertà”in un regime monarchico alla ormai necessaria riforma della giustizia, al superamento dei privilegi cetuali che attribuivano ai corpi intermedi frammenti fondamentali della sovranità, mascherandone gli interessi corporativi in nome della difesa delle libertà costituzionali.

Sovranità e distribuzione dei poteri: Dopo Bodin, Hobbed e Rousseau nessuno dubitava più che essa dovesse essere una e indivisibile. Altra cosa era la distribuzione dei poteri in funzione di garanzia come avevano spiegato Locke, Bolingbroke e Montesquieu: “in ogni specie di governo l’autorità deve essere bilanciata ma non divisa; le diverse parti del potere devono essere distribuite ma non distratte”.Per Filangieri è esemplare è il caso del governo di tipo democratico dove il popolo da se stesso amministra la sua sovranità, attraverso una costituzione, capace di fissare i limiti e le forme del potere legislativo ed esecutivo e i compiti dei magistrati e dei pubblici funzionari, questo atto non farebbe altro che distribuire l’esercizio delle diverse parti del potere, ciò non dividerebbe la sovranità che resterebbe unicamente nel popolo.Europa dell’antico regime feudale: specie di governo che divide lo Stato in tanti piccoli Stati, la sovranità in tante piccole sovranità; che smembra dalla corona quelle prerogative che non sono comunicabili, che non ripartisce l’esercizio dall’autorità, ma divide e aliena il potere stesso, che dà al popolo molti tiranni invece di un solo re e al re molti ostacoli al fare il bene.Questa monarchia feudale usurpa i diritti del popolo e del principe, c’è una dipendenza della monarchia senza l’attività della sua costituzione e le debolezze della repubblica senza la sua libertà.

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Investitura del feudo: Filangieri la definiva una stipulazione solenne con la quale il sovrano dona o vende ad un privato cittadino e ai suoi discendenti gran parte della sua autorità sopra un’altra porzione di cittadini, i quali senza il loro consenso, vengono degradati dalla loro politica condizione e condannati a nuove servitù, obbligati a nuovi doveri, strappati dalla immediata giurisdizione del monarca e trasferiti sotto quella di un uomo che essi erano nel diritto di considerare come loro uguale.

Il più grande pensatore dell’Europa era Locke, in lui Filangieri traeva gli argomenti contro il diritto di conquista posto a fondamento dell’assolutismo regio e delle pretese baronali, e il principio della sovranità popolare e della natura pattizia e consensuale del potere politico tra uomini liberi ed uguali in grado di mettere in dubbio che il monarca fosse il proprietario assoluto della sovranità.

Per Filangieri anche se l’uso della forza lo abbia fatto salire sul trono senza il consenso del popolo, egli non sarà mai il sovrano dello Stato ed egli ne sarà il nemico, ed ogni atto della sua sovranità sarà un atto illegittimo, il popolo è l’unico che possa legittimare l’esercizio nella persona dell’amministratore che noi chiamiamo re.

Sovranità del popolo: la tesi della sovranità del popolo e della figura del re come semplice amministratore era approfondita nella trattazione dei cosiddetti delitti di lesa maestà in antico regime. Se sacro era il dovere del cittadino di non attentare mai alla sovranità che non si può violare senza distruggere la società, altra cosa era l’attacco personale al re.Nella repubblica romana, dove era chiara la sovranità del popolo, i delitti di lesa maestà erano circoscritti al sovvertimento delle leggi fondamentali e alla conseguente violazione della “libertà civile”dei cittadini.Solo con Augusto e con l’impero il germe del dispotismo aveva cominciato ad insinuarsi, dando corpo ad una estensione arbitraria del numero e della natura dei reati di lesa maestà e confondendo il diritto di critica con la difesa della sovranità. In antico regime l’alto tradimento veniva considerato ogni tipo di reato contro il re, non c’era nessuna differenza tra reati d’opinione, la conoscenza di un complotto o la partecipazione ad una azione sovversiva. L’uso politico del reato di lesa maestà aveva mutato la doverosa difesa della sovranità in un’arma nella creazione del dispotismo.

La figura del re come amministratore soprattutto a Napoli dopo i tentativi d’inizio secolo di procedere alla creazione di una monarchia assoluta delineava la futura creazione di una monarchia ben costituita da contrapporre alla monarchia feudale dove era evidente il dominio della corona, il dispotismo dei baroni e l’arbitrio dei magistrati. Con questo progetto sarà rilanciato da tutti i protagonisti del tardo Illuminismo italiano il tema della libertà civile ( intesa come regno della legalità, stato di diritto e di garanzia per tutti i cittadini, destinato a sfociare nella richiesta dell’eguaglianza di fronte alla legge).Quando i cittadini vivono “tranquilli” sotto la protezione delle leggi questa tranquillità è chiamata libertà civile.

Filangieri si apprestava a definire un primo abbozzo di monarchia costituzionale: “si chiama monarchia quel governo dove regna uno solo, ma con alcune leggi fondamentali.La natura della monarchia richiede che vi sia tra il monarca e il popolo una classe o un rango intermedio destinato non ad esercitare alcune delle porzioni di potere, ma a mantenere l’equilibrio e che vi sia un corpo depositario delle leggi, mediatore tra sudditi e re. I nobili compongono questo rango intermedio e i magistrati il corpo depositario delle leggi.Le leggi devono fissare i privilegi e i diritti degli uni e le funzioni degli altri, devono fissare i limiti di ciascuna autorità nello Stato, devono dichiarare quali siano i veri diritti della corona e quale il ministero dell’individuo che la porta, devono determinare fin dove debba estendersi il potere legislativo e dove debba cominciare e finire l’esecutivo. Determinare tutto ciò che riguarda le magistrature”.

Nella monarchia costituzionale costruita per evitare il dispotismo e garantire la libertà civile di tutti i cittadini, l’unica carica di tipo ereditario era quella del Re. Nessun privilegio del sangue e della nascita era accettabile (nel caso dei corpi intermedi). Magistrati e nobili dovevano rispondere personalmente del loro potere politico “le ricompense sono dovute alle azioni, le cariche al talento e al merito di esercitarle”.Differenza tra Filangieri e Montesquieu:Montesquieu parla di “monarchia temperata”, essa era interna alla logica di antico regime, “senza nobiltà di sangue non esisteva la monarchia stessa, abolire in una monarchia le prerogative dei signori, del clero e della nobiltà si avrebbe uno Stato popolare o meglio uno Stato dispotico”. Filangeri: parla di "monarchia ben costituita”. Filangeri rivolgeva ai baroni l’appello ad accettare la trasformazione dei feudi in libere proprietà private, contribuendo in tal modo allo sviluppo dell’agricoltura nazionale, all’accumulo delle ricchezze, alla creazione di un vero mercato fondiario, divenendo finalmente una vera élite naturale rispettata da tutti. Faceva un’attenta riflessione sui magistrati che non dovevano arbitrare

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sulle leggi ; operando in questo modo la magistratura avrebbe ricoperto un ruolo allo stesso tempo di garanzia costituzionale e di equilibrio dei poteri.La legittimità del potere veniva sempre dal basso.

Filangieri era un pensatore repubblicano e radicale, condannato a operare in un contesto storico dominato dalla crisi dell’antico regime e in una Napoli dove le riforme avevano nemici ovunque.Non bisogna trarre in inganno gli elogi a Federico II e alla grande Caterina per aver avviato riforme legislative è evidente l’orrore del giovane filosofo napoletano per le figure di despoti come Giuseppe II.Il dispotismo inteso come espressione di un che si poneva al di sopra delle leggi liberamente accettate da una comunità politica, restava pur sempre il vero polo negativo.

Filangieri fu il massimo rappresentante del nuovo repubblicanesimo del tardo Illuminismo, sensibile alla difesa dei diritti dell’uomo e all’affermazione di un preciso progetto costituzionale.Era fondamentale come si esercitava l’autorità, il rispetto decisivo da parte del potere delle garanzie della legge: la salvaguardia, prima di ogni cosa della libertà civile e dei diritti dei singoli cittadini.Benché fosse evidente la simpatia verso l’esperimento democratico americano credeva che ogni forma di governo avesse vantaggi e svantaggi, quindi non sempre una repubblica democratica poteva garantire meglio i diritti dell’uomo, la cittadinanza e lo stato di diritto rispetto ad una monarchia costituzionale.“in ogni società ci sono due forze: una fisica (l’uomo) e una morale (governo).Il vantaggio di una “monarchia ben costituita”: “…è che la forza morale si trova combinata con la minore quantità di forza fisica. Nella democrazia la forza morale è unita alla massima forza fisica”.

La monarchia ben costituita poteva rappresentare il vantaggio di una maggiore certezza nel rispetto della legge e della libertà civile dei cittadini qualora si fosse approdata a una costituzione scritta e costante all’americana.Restava pur sempre il problema della partecipazione dei cittadini al potere legislativo e alla formazione della volontà politica. Filangieri ed altri illuministi affidavano l’esercizio della sovranità popolare all’opinione pubblica.Per poter realizzarsi necessitavano 2 condizioni a cui Filangeri dedicò il quarto volume della Scienza della legislazione :

• istruzione e educazione pubblica del popolo : necessitava di un diretto impegno del governo e doveva coinvolgere il maggior numero di individui, allargandosi a tutti i ceti sociali, nelle forme e nei modi più appropriati alla condizione di appartenenza dei soggetti.

• garanzia della libertà di stampa : si fondava sul presupposto illuministico (Kant) che l’uso pubblico e critico della ragione in ogni campo rappresentava uno strumento per il progresso e l’emancipazione dell’umanità.

La Scienza della Legislazione ebbe in Italia e all’estero un successo straordinario a fine secolo e divenne il manifesto del pensiero politico del tardo Illuminismo europeo, colpiva tra l’altro la forte e dichiarata polemica con Montesquieu, uno dei personaggi chiave del dibattito giuspolitico europeo del Settecento.Però accanto alle critiche Filangeri aveva per Montesquieu pubblici e sinceri riconoscimenti (“… questo tratto di gratitudine è un tributo che io offro ad un uomo che ha pensato prima di me e con i suoi errori mi ha istruito e mi ha insegnato la strada per trovare la verità”).

MONTESQUIEU FILANGERIIndagare sulle garanzie di libertà nel mondo moderno Individuare un nuovo ordine giuridico capace di dar

vita ad una società più giusta ed equa che metteva al primo posto i diritti dell’uomo

Prima metà del Settecento, in cui prevaleva la razionalità di tipo meccanicistico, cartesiano e newtoniano che mutava dall’immagine di un ordine naturale fisso ed immobile il modello per comprendere anche l’ordine politico-sociale: l’universo-macchina con le sue ferree leggi matematiche serviva alla comprensione razionale delle immutabili leggi sociali e delle scienze umane.

Tardo Illuminismo la crisi del meccanicismo fisico-matematico di tipo galileiano e newtoniano, il trasformismo delle specie animali, la scoperta della dimensione storica della natura, la definizione su cosa si dovesse intendere per scienza avevano incrinato la precedente razionalità e di conseguenza anche l’ordine pubblico e sociale pareva suscettibile di cambiamenti.

Percepiva la realtà come un soggetto dato e definitivo le cui leggi eterne e razionali andavano indagate e comprese in termini sociologici e storici.

Mirava ad individuare le regole e i principi di una futura legislazione universale e cosmopolita, piuttosto che studiare lo spirito e la natura delle leggi in quanto

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Era poco utile interrogarsi sul concetto di società giusta, sull’importanza di elaborare una legislazione che assumesse come valori fondativi ultimi la giustizia e i diritti dell’uomo.Per lui la storia e la natura avevano prodotto certi rapporti di forze e creato situazioni di dominio.

Poco interesse per l’analisi dei meccanismi del mutamento delle costituzioni e del potere costituente.

tali.

Punti di riferimento società civile, diritti dell’uomo e giustizia.

Sensibilità per argomenti come la natura del potere costituente, il complesso rapporto tra sovranità popolare e costituzione.Presenza di una costituzione scritta e sintetica di principi e di leggi fondamentali sul modello americano, il suo interesse per questioni che noi oggi chiamiamo la verifica di costituzionalità delle leggi ordinarie.

La legge rappresentava per Filangieri il mezzo per garantire la libertà civile e i diritti dell’uomo in una società giusta ed equa, ma rimane uno strumento fortemente condizionato dal contesto storico, la cui forma era mutevole e revocabile nel tempo della volontà politica.Una perfetta legislazione non era mai esistita e probabilmente non sarebbe mai esistito, tuttavia i diritti fondamentali dell’uomo erano un punto fermo per costruire legislazioni a favore dell’emancipazione umana.

Filangieri proponeva la creazione di un nuovo potere costituente capace di produrre una “pacifica rivoluzione”.Formulò la proposta di ricorrere alla creazione di una nuova magistratura : il censore delle leggi.Questa magistratura aveva il compito di segnalare al legislatore quando una legge cominciava ad essere “in contraddizione coi costumi, col genio, con la religione”.Doveva garantire l’omogeneità e l’efficienza dell’intero corpus legislativo.I censori avevano il compito di indicare la corretta interpretazione dei provvedimenti legislativi rispetto alle leggi fondamentali ed eventualmente proporne la eliminazioneI poteri reali dei censori erano volutamente limitati : essi non potevano concretamente abrogare nessuna legge, la loro funzione è consultiva, per non ledere la principale funzione della facoltà legislativa

La costruzione del nuovo costituzionalismo: sciabilità massonica ed eguaglianza

Bisogna ricordare che la Scienza della Legislazione fu scritta in un periodo particolare nella storia del moderno costituzionalismo occidentale: tra due rivoluzioni, quella americana e quella francese; in un’epoca di crisi, di transizione e di rapidi mutamenti.Con le sue riflessioni Filangieri contribuiva a chiarire de finitamente il senso moderno di “piccolo codice a parte delle vere leggi fondamentali”.Filangieri come Rousseau nel Contratto sociale e i rivoluzionari americani, preferiva sottolineare il carattere artificiale e volontario, politico prima che storico e giuridico, dell’elaborazione di una costituzione.Egli era convinto che il ricorso della corporazione dei magistrati e degli aristocratici di sangue seguaci del costituzionalismo dell’antico regime minava alle fondamenta tutta la sua idea di una nuova scienza della legislazione da fondare ex novo sulla base dei diritti dell’uomo e dei nuovi principi illuministici.All’uso più ampio della parola costituzione, come regolamento e forma di governo di un corpo politico naturalmente sviluppatosi nel tempo, egli anteponeva l’uso legale del termine, inteso come legge scritta da contrapporre al primato dei costumi e delle consuetudini. Questo uso si era affermato a partire dalla metà del XVI secolo nell’ambito del diritto canonico per indicare le leggi della Chiesa, degli ordini religiosi e, prima ancora, come tramite per la stesura degli antichi statuti comunali in età medievale.In antico regime i due usi parevano il più delle volte confondersi in definizioni generiche, come quella formulata da Bolingbroke nel 1727, nella celebre opera “the British Constitution: Or, the Fundamental Form of Government in Britain” che tanto influenzò Montesquieu , oppure nella definizione di Vattel che diceva “chi formula la Costituzione dello Stato non era altro che il regolamento fondamentale che determina la maniera in cui deve essere esercitata” (pur precisando la differenza tra potere legislativo, forma di governo e Costituzione, non scioglieva i dubbi sulla forma e natura di quest’ultima).Solo le vicende americane erano in grado di imporre una svolta decisiva e i contenuti del moderno pensiero costituzionale.

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Fondamentale fu per Filangieri quanto avveniva in America, ma anche la lunga militanza nell’ordine massonico.Alla fine del 700 nelle logge napoletane erano presenti tutti i massimi esponenti della Repubblica letteraria, gran parte del ceto dirigente e delle élites urbane della Capitale. Il fenomeno era catalizzatore una peculiare cultura illuministica in cui si mescolavano, rinnovandosi, sia gli antichi ideali del giusnaturalismo, sia la volontà di riforma politico sociale dei nuovi lumi, sia l’ideologia del progresso del movimento scientifico, dando vita ad una sensibilità religiosa del tutto nuova (rifletteva in modo diverso il rapporto tra morale e politica).Filangieri (“novello Filandro” dato dal suo istitutore monsignor Luca Nicola De Luca) sperimento, attraverso l’esperienza di massone, la nascita di una religione dell’umanità. Le logge gli apparvero uno straordinario laboratorio politico, che prefigurava nel segreto delle sue pratiche, formalmente aperte a chiunque, un nuovo ordine sociale rispetto alle tradizionali logiche “cetuali” e corporative dell’antico regime, trasformando i sudditi in cittadini liberi ed eguali.I massoni con il giuramento attribuivano un carattere sacrale di legge ai loro regolamenti, attraverso cui queste società private si reggevano e governavano costituzionalmente.Lo “spirito repubblicano” presente nelle logge conobbe una fase nuova grazie agli scritti di Jonh Locke e di James Anderson (Constitution of the Free-Mason, 1727).La traduzione di Locke in francese, ad opera di David Mazel, diffusa attraverso la loggia di Amsterdam (bien Aimée), forzava volutamente in senso radicale del pensiero e contribuiva ad avviare un ripensamento critico del vecchio repubblicanesimo classico, rielaborato in Italia nell’età di Macchiavelli.

Negli anni ’70 il fenomeno di politicizzazione della massoneria europea, si accompagnava sia alla riflessione sugli esiti della guerra dei Sette anni, che aveva cambiato gli equilibri europei ponendo all’attenzione modelli istituzionali e culturali di potenze inattese come Russia e Prussia, e alla meditazione della crisi del modello costituzionale britannico.Nel continente nella massoneria templare (della Stretta Osservanza) la lettura di critica al dispotismo, di cui “Della Tirannide” di Vittorio Alfieri, aveva fatto nascere il desiderio di fondare uno Stato massonico, una terra libera costituzionalmente governata da leggi scritte (come quelle dei regolamenti massonici).“la Libertas Americae” doveva diventare lo stimolo contro il dispotismo in Europa, solo Lessing nel 1778, nei “dialoghi” in cui ebbe il coraggio di ironizzare sui fratelli che “in Europa combattono per gli Americani”, tuttavia il nuovo mito americano scatenava sogni e passioni sociali.Richard Price e Paine erano impegnati al servizio della Rivoluzione Americana. Paine era impegnato nella loggia parigina “Neuf Soeurs”, con cui Filangieri, Franklin, Jean-Antoine Gauvin Gallois (traduttore francese de la scienza della legislazione) avevano relazioni. Questa loggia aveva anche contatti con i due “venerabili” Charles Dupaty e Claude Pastoret che furono decisivi negli anni prima della rivoluzione del 1789. La fusione tra il mondo illuministico e la vita intellettuale del mondo delle logge, due mondi dalle origini diverse e che per molto tempo si erano ignorate portò a maturazione, in particolare a Napoli, molti temi presenti nella Scienza della Legislazione, tra cui l’uguaglianza; fu proprio la massoneria ad innescare il dibattito settecentesco sull’argomento, come risulta da documenti e testimonianze delle logge.Nei cerimoniali d’iniziazione e nelle riunioni: era prassi comune ricordare agli apprendisti che tutti i fratelli erano uguali. Unica distinzione ammessa era in funzione della virtù e del talento, non certo della nascita.Dall’esterno ci furono relazioni preparate dalle autonomie ecclesiastiche per denunciare e processare le attività segrete dei fratelli.Accanto a quelle che potremmo definire le pratiche egualitarie delle logge si sviluppò a Napoli una riflessione teorica che non si limitava a riassumere le tradizionali posizioni di Platone, Aristotele, Cicerone, dello stoicismo e del cristianesimo primitivo, sino alle più recenti interpretazioni rinascimentali e dei pensatori della Riforma. Antonio Genovesi ( titolare della cattedra di etica all’Università napoletana nel 1745, e maestro di Filangieri) nella Diceosina o sia della filosofia del giusto e dell’onesto tirava le fila sulla secolare discussione sui caratteri e forme dell’eguaglianza, rilanciando per intero le riflessioni di Aristotele (che in “Politica” spiegava che a seconda del contesto storico e delle necessità del momento, era necessario servirsi ora dell’eguaglianza numerica ora di quella basata sul merito; il problema nasceva dalla constatazione sviluppata nell’”Etica Nicomachea” in cui “ tutti concordano che nelle ripartizioni vi debba essere il giusto secondo il merito, però i democratici lo vedono nella libertà, gli oligarchici nella ricchezza o nella nobiltà di nascita, gli aristocratici nella virtù. Quindi il giusto è in un certo senso una proporzione.In Politica “ la giustizia , nella concezione democratica, consiste nell’eguaglianza secondo cui il numero e non secondo il merito, con la conseguenza che la folla sarà sovrana e che fine della città e giusto sarà quello che sarà parso ai più.” Genovese per i suoi scolari riassumeva che:”… l’Egualità tra due cose può aversi o nel numero, o nel peso, o nella misura, o nella stima”.Nei primi casi si parla di un’ eguaglianza aritmetica : in cui veniva privilegiato il principio d’identità, cioè dando lo stesso a tutti. Ben più importante gli pareva l’ eguaglianza di stima (in greco significava una forma di

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eguaglianza equa tra i diversi che invece dava lo stesso solo agli stessi): come la chiamava Aristotele egualità di proporzione, vale a dire che quel “che mi dai stia ai miei bisogni come sta ai tuoi quel che ti do io”.Questo secondo tipo era un modo più equo che rispecchiava meglio la realtà sociale o l’oggettiva differenza tra gli individui.Per Genovesi l’equalità perfetta tra quello che si dà e quello che si riceve, questa egualità si chiama giustizia equità, cioè uguaglianza.

Nelle logge inglesi, il principio di eguaglianza di stima dominò la vita interna ridefinendo fin dal principio le tradizionali gerarchie sociali, nobili, ricchi borghesi, esponenti delle professioni,, mercanti impararono a convivere e a praticare nel segreto delle logge i principi della cittadinanza egualitaria garantita dalle costituzioni.L’identità massonica stava nella convinzione che il merito non è con la nascita, questo doveva costituire l’elemento fondamentale dell’ordinamento sociale e politico.

A Napoli, in un contesto storico che vedeva per la prima volta l’avvento di una grande monarchia nazionale decisa a riplasmare, attraverso l’assolutismo, il vecchio ordine sociale, molti esponenti della più antica nobiltà di sangue entrarono nelle logge, assumendone il più delle volte il comando e la direzione intellettuale, con la speranza di rilanciare la loro storica funzione politica ai vertici della società. Fautori di una inedita “vera nobiltà”, di una “nobiltà virtuosa”,che rafforzava e accompagnava il decoro delle origini con la pratica della virtù civica, essi fecero pubblicamente propri i principi di competenza, della professionalità e del talento.Da ricordare il principe di Sansevero che aveva la direzione dell’intero movimento massonico del mezzogiorno, in quanto all’inizio era ancora presente sullo stesso piano l’importanza dei natali illustri con la fama di uomo virtuoso e sapiente, dopo pochi decenni però il merito e la virtù scalzarono definitivamente il primato di sangue.Alla fine del secolo, proprio all’interno della massoneria sarebbe partita la battaglia finale contro i diritti di sangue, il principio di ereditarietà e dei privilegi feudali a opera di aristocratici come Filangieri.

La storia dell’eguaglianza nel Settecento conobbe il suo momento decisivo con la pubblicazione delle opere di Jean- Jacques Rousseau che costituivano una sfida frontale e decisiva per la stessa identità profonda dei massoni. Le famose riflessioni sulla storia della disuguaglianza come segno del moderno male sociale storicamente espresso attraverso l’inarrestabile intreccio tra le prime forme di divisione del lavoro, la nascita del mio e del tuo, lo sviluppo delle scienze e delle arti, del commercio e delle ricchezze, e quindi del lusso, che comportava inevitabile corruzione, il crescente disagio umano verso una civiltà delle apparenze in cui dominatori e dominati mostravano di aver perso per sempre la loro primitiva umanità di uomini liberi, autonomi ed eguali, suonavano come aperta e clamorosa condanna della civiltà dell’Occidente.La corrosiva ed affascinante critica della modernità da parte del ginevrino rivela impietosamente le contraddizioni e il volto oscuro di un progresso economico e materiale che stava mutando l’originaria essenza umana della persona, dal buon selvaggio all’infelice e alienato borghese dei grandi agglomerati urbani europei (una forza misteriosa sembrava all’opera per negare dalle fondamenta la politicità dell’uomo, quel suo essere, come spiegava Aristotele, “zoon politikòn” : individuo naturalmente dotato di volontà e di possibilità di scelta ).Con Rousseau il repubblicanesimo degli antichi riappariva sulla storia armato di nuove e più potenti argomentazioni filosofiche.Laddove Montesquieu, nell’Esprit des lois indicava nel regime misto inglese e nella costituzione della Gran Bretagna l’unica forma moderna del repubblicanesimo, Rousseau parlava di democrazia diretta, rivisitata alla luce della volontà generale e del governo legittimo, il nesso tra ricchezza e corruzione, la denuncia del talento come fonte di disuguaglianza e freno al diffondersi delle virtù civiche, la critica della rappresentanza politica e del lusso corruttore dei costumi civici.Questo destava inquietudine in ogni settore della vita politica ed intellettuale del continenti, soprattutto tra i philosophes, che misero al bando sia il discorso sulle scienze e sulle arti sia quello tra le disuguaglianze tra gli uomini con l’accusa di aver ceduto al primitivismo e di aver elaborato come scrisse perfidamente Voltaire: “la filosofia di un pezzente che vorrebbe che i ricchi fossero derubati dai poveri…””…a leggere il vostro libro viene voglia di camminare a quattro zampe”.

In Italia da Nord a Sud furono pronunciate parole sprezzanti contro i velenosi scritti del ginevrino che mettevano in dubbio decenni di sforzi da parte dei protagonisti della Repubblica letteraria volti a promuovere lo sviluppo economico e sociale della penisola proprio attraverso la diffusione delle scienze e delle arti e del commercio. Da Antonio Genovesi a Isidoro Bianchi, da Gianrinaldo Carli a Pietro Verri, l’Illuminismo italiano fece muro contro quelle critiche verso la modernità che invece trovavano subito orecchie attente e sensibili nel mondo cattolico.

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Ma fu soprattutto nelle logge che prese corpo una forte reazione, e non poteva essere diversamente se si esamina con attenzione la filosofia della storia enunciata sin dalle prime Constitution di Anderson.La conoscenza in tutte le sue forme: dalla geometria all’architettura, dalla vecchia alchimia alla nuova chimica, lo sviluppo delle nuove scienze naturali e delle moderne professioni costituiva la rigenerazione dell’uomo e della scienza massonica. Verso questa precisa scelta di campo si erano indirizzati i contributi di fratelli autorevoli e Gran maestri dell’ordine: Desaguliers (newtoniano), Ramsay (fautore dell’enciclopedismo settecentesco), Franklin( padre dell’elettricismo).La stessa logica egualitaria dei massoni, ridefinita a partire dalla stima, dal merito e del talento era messa in discussione dai paradossi rousseauiani. Nelle logge la nuova gerarchia che si legittimava sulla base del talento, i numerosi “frères à talens”che lavoravano nel teatro, nella musica, nella letteratura, nella pittura, non amavano certo il rozzo primitivismo teorizzato dai seguaci dal ginevrino, diffidenti verso ogni forma di genio e di possibile differenziazione sociale.La risposta più organica all’egualitarismo e al repubblicanesimo degli antichi, nuovamente messo in campo da Rousseau, venne dalle logge napoletane e soprattutto da Francescantonio Grimaldi .Francesco Grimaldi era un raffinato studioso, Venerabile maestro della loggia “L’humanitè”, pubblicò nel 1779 tre volumi, dal titolo Riflessioni sopra l’ineguaglianza tra gli uomini ( che per intelligenza e cultura sarebbe potuto diventare uno dei testi chiave del pensiero politico europeo, ma era un testo molto lungo) in cui poneva in termini del tutto originale la questione delle origini e delle cause della disuguaglianza, rovesciando le tesi di Rousseau, con un risultato non meno inquietante delle ipotesi confutate.Grimaldi voleva rifondare per la prima volta in Italia le stesse basi teoriche della riflessione politica dei contemporanei: “il Teatrise on Human Nature”di Hume, il crudo realismo del “Principe” di Macchiavelli costituivano le stelle polari di una scienza empirica della politica decisa a operare su fatti concreti, studiando sulla base di apporti di discipline come la medicina, l’anatomia comparata, la fisiologia, la chimica, l’etnologia, la statistica, “l’essenza morale, fisica e politica della scienza umana”, in modo realistico e non con i modi moderni di alcuni filosofi della politica in vena di utopie, in quanto bisogna considerare gli uomini per quello che sono e non come potrebbero o dovrebbero essere.Con questo spirito scientifico Grimaldi procedeva a quella che noi definiremmo la “falsificazione” delle ipotesi di Rousseau circa “l’uguaglianza che la natura ha messo fra gli uomini e sulla disuguaglianza che essi hanno istituita” mediante la nascita della moderna società civile.

RUOSSEAU GRIMALDIAveva ipotizzato l’esistenza di un uno “stato natura” dove individui isolati, indipendenti, liberi, eguali e felici come potevano essere solo gli uomini senza bisogni e senza contatti con i propri simili, vivevano privi dell’angoscia del tempo e quindi della morte, cui era subentrata per “cause esterne” dovute alle scoperte della metallurgia e dell’agricoltura, alla divisione del lavoro e all’appropriazione del suolo, una nuova età contraddistinta dalla disuguaglianza morale.Quest’ultima era il frutto negativo delle convenzioni, di una società civile governata dalla legge dell’apparire e del mascheramento, del dominio di pochi su molti.Se nello “stato natura” la disuguaglianza fisica tra individuo ed individuo era “appena sensibile”, nella società moderna creata dallo sviluppo economico, dalle ricchezze, l’apparizione della “disuguaglianza morale”aveva cambiato tutto procurando infelicità ed alienazione all’interno di una logica evolutiva perversa sino al raggiungimento della fase ultima e drammatica del dispotismo, quando paradossalmente, l’umanità tornava al punto di partenza tutti di nuovo eguali, questa volta non per legge di natura, ma per volontà di un uomo solo.

Polemizzava contro la rappresentazione della disuguaglianza e si rallegrava del fatto che l’ipotesi dello“stato di natura”avesse finalmente subito recenti e dure smentite ad opera di Voltaire e degli illuministi scozzesi.Però bisognava provare scientificamente che lo stato di naturale dell’uomo è la società e che l’uomo più colto, più scienziato, più distinto nella società civile nono è che un essere che sente, pensa, vuole com’è il selvaggio più stupido e brutale.Da sempre esiste la disuguaglianza fisica tra gli uomini, ed è provata da una sterminata letteratura scientifica, che si porta appresso una disuguaglianza morale.La vera storia della disuguaglianza va definita come una complessa miscela tra le potenzialità fisiologiche di ogni individuo e i condizionamenti che subiva da parte del clima, dell’ambiente, della storia e della cultura delle nazioni a cui apparteneva.L’uomo era sempre stato lo stesso, un misto di natura e storia dove regnava la diversità.La disuguaglianza era il destino dell’uomo.Una società senza gerarchie non era mai esistita e mai sembrava poter esistere.

Una delle poche prove portate da Rousseau fu l’uso: del selvaggio, descritto nella letteratura dei viaggiatori, come mito e buono, e indicato come una testimonianza vivente di una fase evolutiva intermedia tra uomo

Disuguaglianza rivista partendo dalle opere di scienziati, di Macchiavelli e di Vico.Ne risultava una radicalizzazione di stampo conservatore delle tesi illuministiche a favore della

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primitivo e uomo sociale. moderna società civile.

L’analisi scientifica di Grimaldi si concentrava sulle società dei selvaggi e sulle indicazioni da trarre sui testi dei viaggiatori. Il buon selvaggio diventava un essere abietto, cattivo, violento, sanguinario, come realmente appariva a molti esploratori, la disuguaglianza fisica, la forza e la violenza degli individui predominavano sulla disuguaglianza morale, lasciando campo libero all’istinto della specie, al bisogno di sussistere, agli aspetti più animaleschi e ripugnanti dell’umanità.

Per Grimaldi le assurde pretese di eguaglianza politica avevano prodotto solo sanguinose “rivoluzioni politiche” e nuovi dispotismi: l’ingloriosa fine dei “livellatori inglesi”, lo strazio di Masaniello, e la ferocia mostrata dei lazzaroni napoletani nulla aveva insegnato agli utopisti sognatori di improbabili repubbliche fondate sulla comunità dei beni o sul mito dell’uguaglianza naturale degli uomini.Grimaldi guardava con preoccupazione la nuova rivoluzione dei coloni americani, con le speranze di “palingenesi sociale”, un segnale allarmante gli era parso la rivendicazione voluta da Jefferson nella Dichiarazione di Indipendenza circa il “diritto di essere felice”.Questa richiesta posta tra i diritti naturali dell’uomo gli pareva priva di senso e molto pericolosa, come in genere tutta la recente retorica giusnaturalistica dei diritti dell’uomo che tanto piacevano agli allievi di Antonio Genovesi, suoi fratelli nelle logge di rito inglese (che dicevano che “Quando fosse vero che la natura ci desse un diritto alla felicità, ci dovrebbe dare una forza fisica o morale corrispondente al desiderio di conseguirla; invece Grimaldi ribadiva che alcuni uomini mostravano di avere questa forza fisica e morale).

Con le Riflessioni di Grimaldi l’Illuminismo italiano trovava la prima importante lettura moderata e conservatrice, capace di integrare le ragioni politiche e giuridiche del costituzionalismo cetuale di Montesquieu con una orgogliosa rivendicazione della disuguaglianza morale e politica delle èlites: le vere protagoniste della nascita in Occidente della moderna società civile.Al di là di alcune specifiche questioni Filangieri non condivideva quasi nulla delle tesi di Rousseau né di Grimaldi.

Come Grimaldi e tutti gli illuministi italiani, anche Filangieri contestava apertamente i paradossi del grande ginevrino contro la modernità ed a favore del mito del buon selvaggio.Analizzando le “origini delle società civili”, egli confutava l’ipotesi di uno stato di natura prima dell’avvento della società civile in cui vivevano felici, liberi e indipendenti i primi uomini. A suo parere il selvaggio andava considerato alla stregua di un “uomo degenerato, un uomo che vive contro il suo istinto, contro la sua destinazione; in poche parole la rovina, la degradazione della specie umana piuttosto che il simulacro della sua infanzia.

FILANGIERILE “ORIGINI DELLA SOCIETA’ CIVILE” cioè prima dell’avvento della società civile era una società nella quale non si conosceva altra disuguaglianza che quella che nasceva dalla forza e dalla robustezza . Questa era una società i cui membri non avevano ancora rinunciato alla loro naturale indipendenza, non avevano ancora depositato la loro forza tra le mani di uno o più uomini, non avevano ancora affidato a questi la custodia dei loro diritti, non avevano ancora messo sotto la protezione delle leggi la loro vita, la loro roba il loro onore.Questa è una società nella quale ciascuno era sovrano perché indipendente, magistrato perché custode ed interprete della legge che portava scolpita nel cuore, giudice perché arbitro dei litigi che nascevano tra lui e gli altri.

Filangieri sottolineava l’assenza di ogni forma di disuguaglianza morale in questa fase della vita dell’uomo.In polemica con Grimaldi rilanciava l’eguaglianza morale di tutti gli uomini in ogni stadio dell’evoluzione della specie, facendone la chiave di volta della sua interpretazione del patto sociale.

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La disuguaglianza di forza non si poteva estirpare da queste primitive società , con il tempo e lo sviluppo delle passioni avrebbe prodotto disordini.L’eguaglianza morale, non potendo reggere a fronte della disuguaglianza fisica, doveva soccombere sotto la preponderanza della forza.L’uomo più debole era esposto ai capricci del più forte. Bisognava porvi un rimedio. L’unico rimedio e che dato che non si poteva distruggere la disuguaglianza fisica senza rinunciare all’eguaglianza morale. Per essere tranquilli bisognava non essere indipendenti. Era fondamentale creare una forza pubblica che fosse superiore ad ogni forza privata. Questa forza pubblica si doveva comporre dall’aggregato di tutte le forze private. Era necessaria la presenza di una persona morale che rappresentasse tutte le volontà, che avesse tra le mani tutte queste forze.Era fondamentale che questa forza pubblica doveva essere unita a una ragione pubblica, la quale doveva fissare i diritti, regolare i doveri, mantenere l’equilibrio tra i bisogni di ogni cittadino con i mezzi per soddisfarli, che compensasse il sacrificio dell’indipendenza e della libertà naturale con l’acquisto di tutti gli strumenti propri per ottenere la conservazione e la tranquillità

La società civile nasceva per garantire l’esistenza stessa dell’eguaglianza morale.Per questo il capovolgimento delle idee di Grimaldi era netto, ma anche la presa di distanza da Rousseau che vedeva nella modernità il male e la fonte della disuguaglianza morale.

Filangieri dopo la lettura del secondo trattato sul governo civile di Locke, ripercorreva la questione dell’eguaglianza, adattando alla polemica continentale e italiana il linguaggio e le soluzioni del filosofo britannico. La rappresentazione di uno stato naturale, dove uomini liberi, eguali e indipendenti davano vita, proposta da Grimaldi.Il mantenimento nella società civile dei caratteri fondamentali dell’originaria “eguaglianza morale”, di cui parlava Locke, prendeva il posto della disuguaglianza morale di Rousseau.

Per Filangieri l’uguaglianza morale era l’uguaglianza dei diritti

Filandieri indicava nel modello repubblicano delle colonie americane l’autentica speranza di un avvenire migliore, quel popolo libero e commerciante stava sperimentando il tentativo di coniugare ricchezza e virtù attraverso la formulazione di una costituzione rispettosa dei diritti dell’uomo.La ricchezza in sé non era più il male assoluto.Per Filangieri le ricchezze nel mondo antico derivavano dalle guerre mentre nel Settecento (anche per Grimaldi e gli illuministi scozzesi) la produzione di ricchezza si fondava sul lavoro quotidiano, sul progresso scientifico e sulla crescita delle economie nazionali senza ricorrere alla violenza.

Per Filangieri :1. il principio che la ricchezza corrompe un popolo solo quando essa è ingiustamente ripartita2. un popolo ricco poteva non solo aver più facilmente accesso alla felicità, soddisfacendo i bisogni

materiali, ma anche nella pratica delle virtù, poiché vivere virtuosamente rendeva felici e la ricchezza consentiva di accedere più facilmente alla felicità (attraverso donazioni ad ospedali, accademie e università).

La causa della corruzione non deriva dallo sviluppo ma dall’accesso di pochi e l’eccesso della miseria di molti.

La personale riflessione di Filangieri sull’eguaglianza della ricchezza poteva avvenire solo con la nascita di una repubblica e non attraverso il rilancio anacronistico e impraticabile molto lontane dalle sue proposte costituzionali e legislative di tipo comunista della “Repubblica” di Platone o con il ricorso alle leggi agrarie dell’Antica Roma imponendo con la violenza “l’eguaglianza precisa delle fortune e dei fondi.Però lo sviluppo aveva messo in atto un processo irreversibile, da qui la conclusione che non fosse possibile ottenere una precisa eguaglianza nelle famiglie di uno stato.Tuttavia ciò non impediva di adottare una politica costituzionale e di garantire le condizioni sociali necessarie alla pratica delle virtù civili, intese come libera partecipazione alla vita della comunità.Filandieri affermava che non era necessario che i cittadini siano ugualmente ricchi, ma che le ricchezze siano equabilmente diffuse.

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Quindi bisognava unire realismo all’utopia, andare oltre l’eguaglianza dei diritti civili e politici di cui parlava Locke nel suo Secondo trattato sul governo, bisognava allargarle alle tematiche sociali ed economiche.Bisognava distinguere quando era necessario il concetto di eguaglianza come equità (nel campo sociale ed economico) dal concetto di eguaglianza aritmetica ( nel campo politico e civile).Filangieri era consapevole che gli uomini non erano mai stati eguali e mai lo sarebbero stati se non creando, con la forza e la violenza, situazioni di palese ingiustizia.L’unica politica realmente possibile era quella di combattere gli eccessi della disuguaglianza, riducendone la presenza e gli effetti.

Grimaldi (realismo politico) predicava la rassegnata accettazione delle naturali differenze in ogni campo.

Rousseau e Mably (utopismo radicale)che invocavano il ritorno all’uguaglianza degli antichi.

Filangieri affidava alla nuova politica illuministica, fondata sul governo e sulle leggi, il compito di ridurre con tutte le armi possibili la disuguaglianza dei moderni e i suoi effetti drammatici e disumani, destinati inevitabilmente a moltiplicarsi con la crescita economica e lo sviluppo delle “scienze e delle arti”.

La scuola giusnaturalistica napoletana e la fondazione storica e filosofica dei diritti dell’uomo

Per Filangieri la centralità dei diritti dell’uomo rappresentava una delle chiavi di lettura della Scienza della legislazione, precisava il diritto di resistenza dei coloni americani e quindi la legittimità della loro rivoluzione:“i coloni devono avere diritti e prerogative comuni, e tra questi il diritto più prezioso è la proprietà e la libertà di disporre di quello che era loro.Questi diritti l’uomo li acquista con la nascita e la società e le leggi li devono garantire. I diritti formano la nostra esistenza politica come l’anima e il corpo formano l’esistenza fisica. Questi diritti preziosi che non potrebbero essere tolti senza scioglierci dal nodo che ci unisce allo Stato, questi diritti dal cui possesso non ci può mai essere interdetto, e l’esercizio ci può essere sospeso per un bisogno urgente, inevitabile ed universale dell’intero corpo sociale, al contrario, quando questa causa non esiste (come nel nostro caso), quando questa divinità che si chiama interesse pubblico non può essere interamente placata da questo violento e spaventevole sacrificio, allora la soppressione anche solo momentanea di questo esercizio, diviene un’ingiustizia spaventevole, un attentato pericoloso, un’oppressione manifesta.

La teoria dei diritti dell’uomo per il filosofo napoletano per il rispetto dei diritti, la cui violazione da parte del governo inglese costituiva non solo il motivo principale per l’esplosione rivoluzionaria e della fondazione della nuova Repubblica americana, ma anche il punto di riferimento nel definire i rapporti tra gli individui, tra essi e il potere politico, tra i popoli e tra gli Stati e le loro controversie.Filangieri nell’indicare le strade necessarie per costruire un giusto ed equo ordine politico e commerciale internazionale, rilanciava il postulato etico dell’eguaglianza naturale degli uomini inteso come eguaglianza dei diritti anche nel settore dei conflitti commerciali.Per evitare le guerre determinate da forme esclusive dell’imperialismo economico andava applicato il principio secondo cui una giusta idea del “commercio vuole che tutte le nazioni si riguardino come una società unica, tutti i membri devono avere eguali diritti di partecipazione ai beni di tutte le altre.

Nel terzo volume della Scienza della legislazione, del 1783, interamente dedicato alle Leggi criminali, ogni pagina di quel trattato si fondava sul patto ideale tra liberi ed eguali e sulla garanzia fornita dalla legge positiva circa il rispetto dei diritti naturali che ogni individuo portava con sé dalla nascita.

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Diversa visione tra Cesare Beccaria e Filangieri

BECCARIA FILANGIERIMetteva in primo piano l’elemento sociale e convenzionale del diritto di punire, frutto della rinuncia degli uomini nello stato di natura a parte della loro libertà originaria.“ fu la necessità che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà, ciascuno non ne vuol mettere che la minima porzione possibile, quella sola che basti ad indurre gli altri di difenderlo. L’aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire”.

Considerava il diritto di punire un diritto fondamentale dello stato primitivo che era precedente alla società civile.Era un diritto prioritario per garantire non solo l’esistenza di tutti gli altri, ma il rispetto stesso della legge di natura tra gli individui e tra le nazioni.

Mescolava elementi tratti da Locke, Rousseau per dare sostanza e forma alla proposta di nuovi ideali umanitari circa la mitezza delle pene e il rifiuto della pena di morte.

Separava la società naturale (diritti dell’uomo) e la società civile.Questi diritti dati dalle 2 società compongono i diritti sociali quando la società li dà o li difende.Il diritto di punire andava collocato tra i diritti naturali dell’uomo

Pena di morte:“quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i propri simili? Non certamente quello dal quale risultano la sovranità e le leggi che rappresentano la volontà generale

pena di morte:replicava affermando che: “l’uomo nello stato di natura ha diritto alla vita, ed egli non può rinunciare a questo diritto, ma può perderlo con i suoi delitti.

(Bobbio (in L’età dei diritti) dopo aver dibattuto le ragioni filosofiche, etiche contrarie e favorevoli alla pena capitale, afferma che in ultima analisi contro la pena di morte non resta che ricorrere alle ragioni umanitarie e al comandamento mosaico che invita a non uccidere i propri simili.)

Filangieri dedicava un intero capitolo sulla legittimità della pena di morte correggendo le riflessioni di Pufendorf e di Rousseau, ritenute contradditorie anche se espresse a favore della pena capitale e polemizzando con Beccaria, a cui però si sentiva vicino nella comune battaglia umanitaria per ridurre al minimo indispensabile quel “veleno micidiale”rappresentato dall’abuso della pena di morte in antico regime.Ciò che colpisce nella lettura del trattato di diritto penale di Filangieri è la sua organica completezza, a partire da pochi “principi generali” tratti dalla teoria dei diritti dell’uomo. Filangieri dava ai legislatori il compito di creare i futuri codici penali.Il filosofo spiegava che la pena non era altro che la “perdita di un diritto”come conseguenza di un delitto nato dalla violazione di un patto.

Lo scopo della pena doveva mirare sia ad impedire il danno alla società, sia a dissuadere altri dal compierereati.

Il significato politico del giusnaturalismo di Filangieri è la sua interpretazione repubblicana e fortemente egualitaria della teoria dei diritti dell’uomo.Nei confronti di una larga adesione del movimento illuministico del Nord della penisola al cosiddetto dispotismo illuminata e alla lettura filo-assolutistica del giusnaturalismo proposta ad esempio da Puferdorf e dalla scuola giuridica austriaca, Filangieri non esitava a indicare nel diritto do punire (collocato nello stato di natura) un aspetto particolare e decisivo del più grande diritto di resistenza dei cittadini alle violazioni del factum subiectionis da parte del sovrano.Esplicite erano in tal senso le sue polemiche risposte a Pufendorf e a quanti sostenevano la natura convenzionale e l’attribuzione del diritto di punire alle prerogative della sovranità, affermando che la pena aveva senso e legittima solo come “atto di autorità di un superiore verso un inferiore.

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Ciò era impossibile da realizzarsi in uno “stato di natura”, dove invece regnava l’uguaglianza tra gli uomini.Filangieri precisando le implicazioni teoriche nell’intendere il concetto d’uguaglianza: “se si ammetteva che gli uomini erano da considerare uguali nello stato naturale perché hanno eguali diritti, allora è possibile affermare che qualora uno perde un diritto mentre gli altri lo conservano, colui che lo perde non è più naturalmente uguale a coloro che lo conservano. Di conseguenza tutti gli altri che non hanno perduto questo diritto sono superiori a lui, e come tale possono punirlo, il delitto nello stesso tempo distrugge l’uguaglianza trasmette il diritto di punire”.

Le tesi secondo cui il diritto di punire andava considerato uno dei principali diritti naturali dell’uomo era la premessa per l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Lo scopo era di garantire la libertà civile, ovvero la sicurezza e la tranquillità di tutti i membri della comunità politica.Per Filangieri era un’ingiustizia contro la società, lasciare al monarca la possibilità di graziare i ministri, generali, cortigiani colpevoli di gravi reati e consapevoli che in un sistema assolutistico e dispotico dove regnava il privilegio e la distinzione sociale.

L’idea repubblicana dell’individuo come titolare del diritto di punire in quanto uomo si intrecciava alla richiesta di partecipazione diretta all’amministrazione della giustizia risultava ancora più evidente nel volume della procedura penale i cui punti fondamentali erano:

• la rivendicazione dei diritti civili e di libertà per gli accusati prima della condanna;• la liquidazione del processo inquisitoriale da sostituire con il processo accusatorio secondo

l’antico sistema della Roma repubblicana;• la creazione di giurie popolari;• la revisione dei meccanismi d’appello e di ricusazione dei giudici;• l’umanizzazione della detenzione delle pene, l’abolizione della tortura.

L’obiettivo finale doveva garantire sia la maggiore sicurezza per gli innocenti, sia il maggiore spavento per i malvagi sia il minore arbitrio per i giudici.

Filangieri denunciava il processo inquisitoriale definito “un metodo assurdo e feroce che solo il dispotismo poteva ideare” e che la Chiesa cattolica aveva contribuito in età medievale ad affermare in occidente, legittimandolo attraverso procedure previste dal diritto canonico, e distruggendo in un colpo solo gran parte delle conquiste di civiltà del mondo antico.

Inquisizione: era una procedura senza garanzie per l’imputato, che univa nella stessa persona l’accusa e il giudice, essa privava il cittadino di “tutti quei diritti dei quali solo la violenza ci può spogliare”.L’inquisitore deciso a trovare le prove della presunta colpevolezza ricorreva alla carcerazione, alla tortura, agli interrogativi violenti e ogni umiliazione capace di offendere la dignità umana.

Ancora una volta contro Montesquieu che aveva negato potesse aver senso in una grande monarchia moderna ripristinare il processo accusatorio romano, in quanto la sua attuazione presupponeva la presenza di un forte “spirito repubblicano” e la diffusione delle virtù civiche del mondo antico, Filangieri replicava che la “libertà di accusare” da parte di tutti i cittadini faceva parte del diritto di punire e prescindeva dal tipo di forma di governo e dalla sovranità stessa.Filangieri dimostra come la tortura rappresentasse una degenerazione nata con il “dispotismo dei primi Cesari” con l’introduzione della “legge Giulia” che allargava ai reati d’opinione i delitti di ”lesa maestà”. In seguito i barbari e la chiesa di Roma avevano trasformato la tortura in una strumento di verità e giustizia.

Filangieri apparteneva a una nuova generazione di riformatori illuministi che pur utilizzando il linguaggio e gli schemi del giusnaturalismo ne trasformava le modalità e gli obiettivi.Il grande problema storico aperto con il moderno giusnaturalismo era la definizione di una nuova cittadinanza (diversa dal modello assolutistico del cittadini-suddito) in cui i diritti dell’uomo attraverso il contratto e la partecipazione all’esercizio della sovranità, fossero in grado di fondersi con le ragioni della comunità politica e sociale costituiva il cuore stesso del pensiero politico del tardo Illuminismo, soprattutto dopo la rivoluzione americana.

Questo poteva avvenire solo attraverso una radicale riforma legislativa dell’antico regime, come auspicavano Rousseau, Beccaria e soprattutto Helvètius, loro dicevano che si poteva comporre interessi pubblici e privati, coniugare diritti e doveri, individui e sovranità, riconoscendo il legame tra politica e diritto nel mondo moderno.

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Voltaire espresse la necessità di questo passaggio in “Dictionnaire philosophique”in cui faceva chiedere a un personaggio ad un saggio bramino indiano in quale stato, sotto quale dominio avrebbe preferito vivere, egli gli rispose “dove si obbedisce solo alle leggi”, il personaggio allora gli chiese dove si trovava questo paese, la risposta fu molto significativa: bisognerebbe cercarlo.

Filangieri lo trovò trasformando i diritti, sul piano giuridico, da principi universali di morale in diritto positivo, quindi nella costruzione di un edificio legislativo fatto di codici chiari e sintetici, che da un lato riducevano il ruolo della religione a un ruolo ausiliario, dall’altro liquidava la vecchia “scientia juris”, mettendo il legislatore di fronte all’assoluta necessità di legiferare su ogni aspetto della società civile, partendo sempre dai diritti.

Per meglio apprezzare le forti novità nella Scienza della legislazione in cui era rivendicato il passaggio dal diritto naturale al diritto positivo bisogna ricordare che le fondamenta teoriche del giusnaturalismo di Filangieri erano molto differenti da quelle degli altri illuministi europei.

Vico: meditò sul rapporto esistente tra “il diritto ideale ed eterno” e quello positivo delle nazioni: il diritto come valore universale e il diritto come fatto storico prodotto dalla volontà dell’uomo. Riflessione filosofica sulle fondamenta del moderno giusnaturalismo e in particolare sui diritti dell’uomo. Era l’unico italiano che si era cimentato con la rinascita del diritto natura e con i “nuovi politici e morali studi, Filangieri ne era l’erede .

Gravina: grande giurista a cui spettava il merito di aver avviato la nuova tradizione di studi politici caratterizzati dall’analisi storica e filosofica dei nessi esistenti tra politica e diritto. La fama dei suoi “Originum juris civilis libri tres”(1701-1708) avevano imposto la necessità di ricostruire la formazione del diritto romano. Nel “De romano imperio” e nel De imperio et iurisdiction”aveva tratto dal modello della Repubblica di Roma gli argomenti per un ordine giuridico capace di limitare in futuro il potere dei principi. Dalle sue ricerche storiche definiva i diritti e i doveri dei cittadini e nel delimitare i poteri pubblici che avrebbero interessato in seguito i migliori giuristi europei , soprattutto Montesquieu nell’ Esprit des lois.Il giurista calabrese aveva avviato il discorso sulla ripartizione e l’equilibrio dei poteri, sulla priorità dell’ordinamento giuridico in funzione di garanzia costituzionale.

Genovesi: fu tra i primi in Italia a combinare il linguaggio tipico della virtù repubblicana con quello dei diritti individuali. Egli indagò le “massime del giusto eterno” (espressione di Vico), usando allo stesso tempo il diritto romano, la scienza newtoniana ( per dare legittimità razionale e scientifica al concetto di legge di natura) e tutta la moderna teoria dei diritti dell’uomo ( Grozio, Puferdorf e Locke) per fondare la moderna “scienza morale”.

Francesco Mario Pagano: fondamentale la centralità delle” romane leggi”. Prendeva le distanze da Puferdorf e da Grozio rispetto al loro modo di privilegiare le fondamenta razionali del diritto naturale.

John Locke: era il fondatore del pensiero politico moderno per aver concepito la possibile connessione “dei corpi politici e dei diritti dell’uomo”. E’ da lui che Montesquieu aveva appreso “la temperata monarchia costituzionale” e della divisione dei poteri. Mentre Rousseau apprese: le prime idee dell’eguaglianza, dei diritti dell’uomo e del contratto sociale, l’origine del diritto di proprietà e del diritto di infliggere la pena di morte.

Filangieri: proprio da Vico e dalla sua distinzione tra il corso storico delle nazioni e la loro storia ideale ed eterna Filangieri ricavò suggerimenti per formulare la sua fondamentale comparazione tra “la bontà assoluta” delle leggi, che si riferivano al diritto naturale, e quella”relativa” delle leggi attinenti al diritto positivo.

Oltre la ragion di stato: le basi morali e religiose

I tempi per una rivisitazione del modo tradizionale di concepire la politica erano ormai maturi. L’antico regime scricchiolava rilevando con chiarezza gli epocali cambiamenti in corso non solo dal punto di vista sociale, politico e istituzionale, bensì nel modo stesso di pensare.Nella vecchia Europa di fine settecento si stava preparando ”una pacifica rivoluzione”.Per secoli i principi avevano privilegiato la soluzione di un unico e ossessivo problema: come vincere le guerre ed estendere i propri domini.Il sei-settecento aveva condotto le potenze assolutistiche continentali a privilegiare la creazione di grandi eserciti stanziali e la costruzione di formidabili arsenali, disinteressandosi della pubblica felicità.

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Finalmente dopo decenni di predicazione da parte di filosofi come Grozio, Pufendorf, Locke e Montesquieu le cose parevano rapidamente cambiare.Era arrivato il momento di superare il caos degli ordinamenti giuridici e di costruire un unico edificio legislativo capace di garantire la felicità pubblica e i diritti dell’uomo.Le condizioni storiche parevano consentirlo in quanto molti ostacoli stavano franando: la nobiltà feudale era ovunque attaccata, i corpi privilegiati dell’antico regime apertamente denunciati per il loro egoismo sociale, la sovranità assoluta dei monarchi messa in dubbio, i costumi e la sensibilità collettiva europea sempre più orientati verso e a favore delle riforme.Tuttavia la grande riforma legislativa dell’antico regime presupponeva il superamento definitivo di tutto il modo di pensare e di vivere la politica riconducibile all’universo teorico e pratico della “ragione di stato”che aveva dominato nei secoli precedenti che come diceva il gesuita Botero nel 1589 che vedeva nello stato un”dominio fermo sopra il popolo da parte del principe”.Quel modo di riflettere e di agire politico, che affidava agli “arcana imperii” e alla sola volontà dei sovrani il compito di governare i popoli, pareva a Filangieri appartenente ad un lontano passato.

La lotta politica cominciava a svolgersi alla luce del sole, coinvolgendo gruppi e ceti sociali sempre più estesi. Persino i grandi re venivano pubblicamente chiamati a rispondere delle loro azioni. Citando l’episodio del 1775 in cui il vescovo di Tours, Jean de Dieu-Raymond de Boisgelin de Cucè, aveva tuonato contro Luigi XVI, il giorno stesso della sua incoronazione a Reims.

Però cominciava a delinearsi una forte reazione direttamente ispirata ai principi di un crudo e moderno realismo politico, al ferreo rispetto del primato dell’”essere” nei confronti del “dover essere”, e quindi al rifiuto del postulato etico dell’eguaglianza naturale tra tutti gli uomini, tornavano sul campo anche tra gli illuministi le tesi di fondo enunciate da Macchiavelli nel Principe.

Filangieri al di là dell’ammirazione per lo studioso non esitò a trasformarlo nel nemico dichiarato dei diritti dell’uomo, la storia gli pareva aver finalmente sconfitto per sempre quel modo di pensare alla politica.

L’artefice principale del pensiero di Macchiavelli, del tradizionale costituzionalismo inglese fu Francescantonio Grimaldi.Grimaldi si contrapponeva al modo di concepire la politica da parte di Rousseau (fondato su un’antropologia positiva e utopicamente proiettato su n futuro repubblicano ed egualitario), Grimaldi si ispirava al crudo realismo politico, empirico e fattuale di Macchiavelli.Per Grimaldi era inutile interrogarsi su come il “governo dovrebbe essere”, ma “esaminare “come la natura ha voluto che fossero”(contenuto nel Principe).Il carattere feroce e conflittuale dell’uomo, la naturale gerarchia tra gli esseri gli parevano dati fuori discussione ormai scientificamente dimostrabili. Dopo aver polemizzato indirettamente con Jefferson circa il carattere di vero e proprio diritto universale di tutti gli uomini alla felicità contenuto nella Dichiarazione d’indipendenza, chiamava in causa lo stesso Filangieri affermando che bisognava sempre “accomodare l’eguaglianza alla giustizia stabilita, non già stabilire la giustizia sopra le massime dell’eguaglianza”.

Sempre nel 1779 appariva a Napoli l’Elogio di Niccolò Macchiavelli scritto da un altro famoso allievo di Genovesi, Giuseppe Maria Galanti. In questo libro veniva esaltata la figura di Macchiavelli, e ne difendeva la memoria e lo spirito repubblicano, utilizzando anche le testimonianze di Montesquieu, Rousseau e Linguet i quali ritenevano evidente che nel Principe la satira e non l’elogio della tirannia.Analizzando le forme degli Stati e il dibattito politico dell’epoca egli non vedeva al contrario di Filangieri un contrasto tra i “diritti del genere umano”, per Galanti Macchiavelli era nel giusto quando affermava una netta differenza tra la politica e la morale, la prima giudicava quale l’uomo è nella società, la seconda indica agli uomini come essi devono essere.

Alle spalle mondi questa improvvisa fiammata polemica sul significato autentico dell’eredità machiavelliana stava un secolo di lotte contro l’egemonia della ragion di Stato, che si era rapidamente affermato in Europa dopo le guerre civili e religiose nel tardo cinquecento e del seicento con la pratica dell’assolutismo.

In Italia, nel 1749 Ludovico Antonio Muratori (modenese) nel suo celebre trattato “Della pubblica felicità”, affidava ancora al principe il compito di aprire la strada alla nuova politica antimacchiavelliana destinata a privilegiare anzitutto il bene della collettività.

Sin dal primo Settecento era divenuto chiaro a tutti che esistevano almeno 2 modi di intendere la politica:

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1. la vecchia ragion di Stato2. una nuova vera politica: secondo Pufendorf, che pure militava nel campo dei teorici dell’assolutismo,

una politica il cui scopo stava nella “salus popoli”e nel rispetto dei diritti.

A Napoli, nel 1710, fu Paolo Mattia Doria a guidare la rivolta contro i seguaci di Tacito e di Macchiavelli. Nel trattato politico La vita civile questa singolare ed affascinante figura di repubblicano eretico, le cui coraggiose proposte di riforme suscitarono la contemporanea e violenta reazione della monarchia e della Chiesa; rivendicò pubblicamente le ragioni di quella che egli definiva la “vera e retta politica” rispetto alla “maliziosa politica” dei teorici dell’assolutismo.Muovendo da Platone, da Aristotele, da Cicerone, Doria rilanciava la figura del filosofo consigliere del principe, affermando di voler combattere contro quanti ritenevano fosse meglio “considerare l’uomo nello stato che egli è, che in quello nel quale dovrebbe essere”. Quel primo modo di riflettere aveva fatto perdere la virtù, il giusto e l’onesto creando gravi guasti nel governo dei popoli e diseducando moralmente le nuove generazioni.Tacito e Macchiavelli ne erano stati i principali responsabili. Macchiavelli autore sia dei Discorsi sia del Principe, appariva agli occhi di Doria più una singolare “farmacopea aperta a tutte le ricette” che il perfido ispiratore di governi dispotici.Doria non aveva dubbi sul fatto che la riaffermazione di una concezione della politica fondata unicamente sulla ricerca del bene comune, sulla virtù, sul governo della legge, sulla pubblica felicità poteva rinascere e affermarsi solo attraverso il superamento del crudo realismo politico machiavelliano.Antonio Genovesi pose i diritti dell’uomo al centro delle ricerche per la costruzione di una moderna “scienza della morale”da realizzarsi in tempi brevi, attraverso l’analisi scientifica e razionale della legge naturale. Il postulato dell’eguaglianza naturale dei diritti costituiva la base su cui costruire il nuovo edificio della morale. Precisava che “ogni politica, ogni economia che non è fondata sulla giustizia, sulla virtù e sull’onore distrugge se stessa”. Del resto, nel Contratto sociale Rousseau aveva spiegato che solo la volontà generale come frutto di un patto d’unione tra uomini ritenuti liberi e uguali poteva determinare la nascita del concetto moderno di moralità e di legittimità nell’agire politico.

Era questo il fatto veramente nuovo del moderno giusnaturalismo, i cui fautori s’interrogavano sui nessi esistenti tra il diritto e la politica, rivisitando in primo luogo la storia delle diverse teorie sulla morale, le concezioni etiche degli antichi in merito all’uguaglianza naturale tra gli uomini e mettendo al centro del dibattito politico il tema dei diritti umani.Ad esempio Aristotele non aveva appreso appieno le potenzialità e il profondo significato morale e politico del diritto naturale, perché secondo Barbeyrac, aveva negato nelle sue teorie l’eguaglianza dei diritti. Nella sua Politica, che aveva dominato per secoli il pensiero dei governanti dell’occidente, mancava di quelle solide radici morali indispensabili per avviare una complessiva rifondazione della politica.

Il mondo della massoneria giocò un ruolo indiretto ma decisivo nell’affermarsi di un linguaggio, di una mentalità collettiva, di valori e pratiche culturali assai vicine al “moderno spirito repubblicano” che vedeva nell’uguaglianza dei diritti la chiave per ripensare al rapporto tra politica e morale.La comunità massonica è definita la “più forte istituzione sociale del mondo morale del secolo decimottavo” e prefigurava la creazione futura di una società civile diversa rispetto a quella tradizionale d’antico regime.Il popolo delle logge aveva il compito di praticare al suo interno e di far conoscere all’esterno la “philantrophie”, le virtù civiche, il cosmopolitismo, l’amore per la scienza e la tecnica: l’Ordine doveva plasmare una comunità di fratelli attraverso il rispetto della sana morale denunciando il repubblicanesimo aggressivo di matrice machiavelliana.In risposta a queste ultime pericolose influenze occorreva che gli “apprendisti”vivessero virtuosamente l’esperienza massonica, e coniugassero il rispetto degli statuti e dei regolamenti con una morale individuale attenta ai doveri dell’amicizia e della fratellanza.In realtà studi recenti di storia sociale e culturale della massoneria hanno documentato quanto fosse differente la realtà rispetto alle enunciazioni teoriche, e quanto assai complessa e contraddittoria sia stata nel concreto l’esperienza della fratellanza nel corso del ’700.Negli anni settanta e ottanta, quando Filangieri frequentava la fratellanza, conflitti laceranti e contrapposizioni d’ogni genere, tra logge di rito inglese, logge nazionali della Stretta osservanza e il Grande oriente di Francia.Da cosiddetta società depositaria di segreti, la massoneria si avviava a diventare una società segreta, aprendosi alle suggestioni del modello settario e cospirativo, alla politicizzazione dei suoi adepti e dei suoi progetti di emancipazione sociale.Dalla predicazione morale si passava alla propaganda e all’azione politica.

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Padre camaldolese Isidoro Bianchi per rispondere alla grave crisi della massoneria europea dopo gli scontri emersi tra radicali e moderati con la rivoluzione americana e la scoperta della congiura degli Illuminati di Baviera, avvenuta due anni prima, con la conseguente reazione dei governi. Il testo “Dell’Instituto dei veri liberi muratori”chiariva che la massoneria era nata “per ricondurre l’uomo alla sua origine bontà”e al rispetto dei suoi diritti naturali, di fronte ad una società occidentale storicamente falsa, corrotta e ineguale.I compiti di natura morale era precisati fin dalle prime costituzioni ai fratelli era vietato di discutere e parlare nella loggia di religione e politica, come se politica e morale fossero due mondi diversi e privi di punti di contatto, erano concepiti come 2 differenti istituzioni.

Alla fine del settecento questa radicale divisione si stava annullando soprattutto grazie alla nascita del moderno giusnaturalismo dei diritti; il libro di Bianchi rappresentava la testimonianza dei cambiamenti. massonico attraverso la trasformazione del modo stesso d’intendere il concetto di politica con l’affermarsi del linguaggio dei diritti anche nelle logge.Isidoro Bianchi cercava invano di fornire risposte plausibili per ribadire la persistente attualità delle antiche distinzioni. Negava quella pericolosità politica che invece era parsa evidente a molti governi di fronte all’appoggio di settori importanti della massoneria alla rivoluzione americana, e soprattutto nel caso degli Illuminati di Baviera, sostenendo che anche i principi e i sovrani erano tra i maggiori protagonisti della vita della fratellanza. In secondo luogo, l’uso del meccanismo segreto, che veniva rimproverato ai massoni, era stato storicamente usato dai primi cristiani (per difendere i misteri della trinità e della rincarnazione) e sempre nel passato da scuole filosofiche.Per Bianchi il segreto era un diritto dell’umanità per garantire la ricerca e la diffusione della verità nei momenti difficili della storia.La massoneria non era altro per lui che una semplice associazione di filosofi votati al bene dell’umanità.L’accusa di Bianchi era di aver trasformato in teoria e azione politica le verità morali predicate nelle logge gli sembrava infondata se valutata all’interno degli schemi mentali tipici del mondo massonico.L’aspetto più sconcertante dello scritto di Bianchi sta nel fatto che l’autore non si accorse della lettura politica di espressioni come fratellanza, uguaglianza e libertà rispetto alle interpretazioni allora correnti.Le sue ripetute assicurazioni, secondo cui i massoni “senza mai immischiarsi negli affari politici si sono sempre studiati nel far del bene alla repubblica e ai loro cittadini” e che mai la massoneria avrebbe complottato contro lo Stato essendo i suoi compiti unicamente morali.

La formazione di diverse interpretazioni sul significato unicamente morale della propaganda dei fratelli apriva la strada ai sospetti della Chiesa.La funzione allarmante, ma al tempo stesso stimolante consentì il passaggio dalla morale alla politica, e la massiccia influenza di gran parte degli Illuministi nella massoneria(Voltaire nel 1778, pochi mesi prima di morire venne iniziato nella loggia massonica Neuf Soeurs).

A partire dalla metà del settecento incominciò l’ostinata lotta alla ragion di Stato e la lettura allo stesso tempo politica e morale dei diritti dell’uomo.

Per Filangieri, grande amico di Bianchi (che diffuse al nord La scienza della legislazione) la politica come ricerca della pubblica e privata felicità in una società giusta ed equa costituiva il cuore stesso del suo intero progetto.Per Filangieri era fondamentale il riconoscimento del principio della partecipazione alla vita della comunità nelle forme e nei modi più appropriati da parte di tutti gli uomini, se si voleva mantenere in vita il rapporto tra politica e morale.

La richiesta dei governi di proclamare la libertà di stampa nell’Europa d’antico regime si fondava proprio su questo naturale diritto-dovere dell’individuo alla partecipazione politica. A tal fine andava subito introdotta la libertà di stampa come premessa indispensabile per il formarsi di una libera opinione pubblica cui tutti potevano parteciparvi. Il legislatore deve stabilirla, il legislatore deve proteggerla.

Anche per Filangieri la nascita dell’opinione pubblica significava una conferma indiretta della sovranità popolare e uno strumento per garantire una valutazione morale dell’azione del principe da parte della società civile.Il quarto libro della Scienza della legislazione era interamente dedicato alla costruzione di un sistema di istruzione pubblica, per creare le condizioni indispensabili ad una libera partecipazione di tutti i membri della comunità politica.

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Le celebri conclusioni kantiane secondo cui la politica “doveva piegare le ginocchia davanti alla morale”sono state sottoscritte da Mably, Diderot, Voltaire, Rousseau, Jefferson, Lessing e Filangieri.Essi avrebbero trovato condivisibili anche le aspre polemiche del filosofo tedesco sia contro i teorici del nuovo realismo politico sia contro i “moralisti politici”, quei moderni professionisti dell’arte del governo accusati di costruire con cinismo e spregiudicatezza la morale necessaria ai loro loschi traffici con il potere.

In tutta la Scienza della legislazione Filangieri aveva iniziato la sua attività di filosofo della politica denunciando glia arcana juris, polemizzando con forte passione civile contro le violenze del processo inquisitoriale, rivendicando la pubblicità e la trasparenza dell’azione penale e la diretta partecipazione nelle forme opportune dei cittadini alla pratica della giustizia. Ancora meno gli piacevano gli arcana imperii (segno e strumento del dispotismo).L’uso del segreto nella sfera pubblica e nell’arte di governo contraddiceva la sua idea repubblicana di individuo libero tra eguali, responsabile delle proprie azioni, titolare di diritti e di doveri esercitati in maniera trasparente.La massoneria funzionava allo stesso tempo come efficace società di mutuo soccorso o come punto d’incontro di gruppi alla segreta ricerca di nuove esperienze intellettuali di tipo mistico, occultistico, filantropico, religioso e politico; Giuseppe II sperò a lungo di organizzare all’interno dell’Ordine il consenso necessario alla sua politica di riforme. Gli insorti americani vi videro il luogo privilegiato per la loro propaganda contro l’Inghilterra. Anche i gesuiti dopo la soppressione della Compagnia di Gesù scoprirono nelle logge un possibile rifugio e una potente arma di propaganda per creare una nuova sfera pubblica cattolica capace di dar fiato e vigore alla politica di restaurazione religiosa voluta da papa Pio VI dopo il 1782.Gli Illuministi ultimi ad arrivare, vedevano nelle logge uno strumento per garantire una circolazione e una diffusione internazionale dei loro discorsi.

Filangieri era figlio cadetto dei principi d’Arianello ( titolo concesso da un diploma imperiale di Carlo VI d’Asburgo, la famiglia risaliva alla più antica e prestigiosa nobiltà normanna arrivata nel Mezzogiorno al seguito di Roberto il Guiscardo), nipote dell’arcivescovo di Napoli, Filangieri era stato educato da il precettore don Luca Nicola De Luca che gli aveva fatto conoscere i libri di Giannone, Genovesi, ma soprattutto le opere di Anthony Ashley Cooper terzo conte di Shaftesbury.Il giovane Filangieri rifletteva sempre più intensamente sul rapporto tra volontà individuale, la politica e i meccanismi del vincolo sociale attraverso la religione.Una religione da riformare in senso civile e da ricondurre al centro della vita politica europea secondo gli schemi provocatoriamente delineati da Rousseau nella professione di fede del vicario savoiardo e nel Contratto sociale.Filangieri fu il primo in Italia a cogliere nelle logge il luogo ideale per affrontare la questione di una generale riforma religiosa dell’Occidente.La massoneria gli apparve una società di religione, un’istituzione in grado sia di sanare il crescente bisogno di religiosità dell’èlites, deluse dalle tradizionali confessioni, sia di avviare il mutamento di contenuti e di obiettivi della religione popolare.Le logge rappresentavano l’unica alternativa alle Chiese e al cristianesimo.Incompiuto e apparso postumo, il libro quinto della Scienza della legislazione, intitolato Delle leggi che riguardano la religione era dedicato alla creazione di una moderna religione civile in grado di superare la rovinosa logica delle due podestà introdotta dal cristianesimo e in particolare dal cattolicesimo con la sua ostinata concezione di una Chiesa separata e contrapposta allo Stato.Filangieri non aveva dubbi sul primato del governo civile rispetto a quello religioso.

Un buon legislatore doveva in primo luogo:1. prevenire i 2 mali estremi, pericolosi sul piano civile e sociale (fanatismo e irreligione)2. intervenire con leggi per limitare il potere temporale della Chiesa (imporre restrizioni alle differenti

forme di immunità, regolare le nomine ecclesiastiche, ridurre il numero eccessivo dei sacerdoti, fare cadere le rendite del sacerdozio, secolarizzare la maggior parte delle proprietà ecclesiastiche).

Le violente reazioni dell’Inquisizione e l’immediata messa all’Indice dei 2 primi volumi, dove erano tracciate le linee guida del progetto complessivo, non fermarono Filangieri dal proporre nel libro quinto una sorta di storia naturale delle religioni in cui illustrare i caratteri originali della nuova religione civile e costruire le modalità di un segreto processo riformatore destinato a coinvolgere lo Stato e la massoneria contro le religioni rilevate.L’origine della religione:L’origine della religione nelle prime società era spiegata come il frutto naturale della paura, dell’impotenza, della debolezza, che avevano condotto a culti antropomorfi e al politeismo, ma anche “alla luce di quel contrasto di finito e infinito che si osserva nella natura umana” e che produceva nelle menti migliori la necessità d’interrogarsi razionalmente su quell’unica “ignota ed universale forza” che reggeva misteriosamente le sorti dell’universo.Nella fase di transizione dallo stadio barbarico dell’umanità a quello civile, 3 erano le forme di religione:[email protected]

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1. quella delle “moltitudini”: con la sua fervida fantasia popolare, la teologia poetica e fantastica che dava forma al politeismo.

2. quella del “governo”: con la sua ritualità civile (gli auguri, gli auspici, gli oracoli, le feste, i sacrifici).3. quella dei “sapienti”: che cercano di correggere le superstizioni e gli eccessi della religione popolari,

interrogandosi sulla vera natura teologica delle misteriose forze naturali.

La puntigliosa analisi della terza, assai simile per il suo carattere iniziatico e segreto al cristianesimo primitivo e alle pratiche latomistiche e settarie delle originarie logge massoniche, consentiva a Filangieri di chiarire il carattere storico e strumentale degli arcana Dei.Gli arcana Dei erano nati inizialmente come conseguenza delle differenze sociali che imponevano ai patrizi “riserbati riti” rispetto alle superstiziose credenze popolari. Con il tempo e i cambiamenti economici e sociali la disuguaglianza era diventata insostenibile. La soluzione per superare i contrasti era stata l’invenzione dei “misteri”e “l’iniziazione”, utili ad allargare la cerchia degli ammessi ai riti esclusivi senza però mutare la natura spirituale e elitaria.

del politeismo popolare che si sposava con lo smodato potere assunto dal sacerdozio, pronto a usare l’arma dell’arcana Dei contro lo Stato, Filangieri proponeva un accordo tra i governi e il mondo massonico per introdurre una moderna religione di tipo civile.La “volgare religione” era intessuta di continui riferimenti ai miracoli, alle superstizioni, al potere fanatico del sacerdozio, andava revocata, screditata e infine frontalmente attaccata; poi attraverso l’introduzione di nuovi riti, di nuove cerimonie “regolate dalla occulta mano del legislatore”, si doveva procedere alla diffusione della nuova teologia civile.L’obiettivo primario della nuova religione era di produrre ed eternare la virtù e la felicità del popolo.Dove il legislatore non arrivava a imporre comportamenti virtuosi doveva arrivarci la religione.Una idea nobile e sobria della divinità, senza più nulla concedere al fanatismo e ai culti superstiziosi, era in grado di far osservare comportamenti virtuosi e il rispetto dei doveri sociali.Lo stesso dogma della resurrezione andava interpretato a tal fine. “I templi solenni della nuova religione dovrebbero essere il ricovero dei bisognosi e non l’asilo dei malvagi….il sacerdozio dovrebbe formare una delle parti più nobili del corpo sociale e non un corpo separato, egli dovrebbe essere il modello dei cittadini e non l’oggetto dei privilegi; egli dovrebbe insegnare agli altri a portare in pace i pubblici pesi e non esserne immune; egli dovrebbe inculcare la subordinazione alla legittima autorità e non esserne sottratto.Filangieri non aveva il minimo dubbio che la religione rappresentasse un fenomeno storico e politico decisivo nel mondo moderno. La religione non era da confondere interamente con la politica. Differenti erano le regole, gli obiettivi, la logica stessa attraverso cui entrambi i fenomeni avevano storicamente condizionato lo sviluppo delle società europee.

Gli arcana imperii erano differenti dagli arcana Dei, Filangieri riteneva legittimo l’uso dei secondi. La pratica del segreto da parte della fratellanza aveva senso ai suoi occhi solo nel particolare ambito religioso; un'altra cosa era la cospirazione politica, il complotto come quello che stava avvenendo in Germania con l’esperienza degli Illuminati di Baviera.Se fosse rimasto in vita, l’ennesima metamorfosi della massoneria, dopo la rivoluzione francese, da società religiosa a esperienza settaria di tipo politico, con la trasformazione di molte logge del Mezzogiorno in club giacobini, lo avrebbero probabilmente sorpreso e gli avrebbe creato non pochi problemi sul piano della coerenza teorica coi suoi principi. La lotta contro il dispotismo legittimava il segreto nella lotta politica per la libertà? per il suo discepolo Pagano non esitò un attimo a dire di sì.

Secondo gli schemi proposti dalla Legge della legislazione la politica andava fatta alla luce del sole, per essere “politica” essa doveva strutturalmente coincidere, nel rispetto dello spirito repubblicano, tutti i cittadini.Del tutto errata e piena di pregiudizi ideologici appare la persistente confusione su aspetti decisivi di tali temi alimentata da studiosi, anche prestigiosi, che amano insistere sul carattere utopico, astratto, generico, moralistico, ambiguamente ipocrita della concezione politica dei Lumi. Gli Illuministi, con il loro moralistico dover essere finalizzato a superare le logiche dell’antico regime, sono stati accusati di aver ingenuamente preteso di cambiare la storia, aprendo la strada alla crisi del mondo contemporaneo, alla stagione inquietante dell’”utopia moderna” e i suoi pericolosi sogni sociali.Al di là dell’originalità teoretiche del discorso politico illuministico che rifletteva per la prima volta sulle forme dello Stato ex parte civium alla luce dei diritti dell’uomo, del concetto di sovranità popolare, del contratto sociale, della divisione dei poteri per garantire le libertà individuali.

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L’illuminismo non fu solo un semplice movimento di uomini e idee, talvolta contrastanti e disomogenee, bensì l’ambiziosa creazione di un vero e proprio sistema culturale alternativo a quello dominante nell’antico regime: un sistema complesso che accompagnò la nascita della moderna società civile.L’Umanesimo illuministico, il suo progetto emancipatorio dell’individuo dalle antiche logiche organicistiche cetuali e dal principio tradizionali della sudditanza, richiedevano una ridefinizione generale del concetto di pubblico e di privato, di relazione tra individuo e società a partire da una precisa scala di priorità che metteva sempre al centro l’uomo e i suoi diritti per riflettere sulle funzioni della giustizia, del mercato, della religione, dei nuovi valori sociali da contrapporre a quelli tradizionali.

Per realizzare ciò la cultura del tardi Illuminismo inventò le moderne forme di lotta politica, trasformò quelle che oggi chiamiamo le modalità di comunicazione politica tra cui la libertà di stampa e il diritto repubblicano alla partecipazione politica.La nuova politica doveva fare i conti con la nascita dell’opinione pubblica,con il tema del consenso popolare. Filangieri era consapevole dell’importanza positiva, ma anche dei pericoli dell’opinione pubblica, per questo chiedeva programmi statali di educazione per tutti i ceti al fine di allargare la libera partecipazione al pubblico, invitava i filosofi alla massima coerenza nel rispetto di un’etica della responsabilità individuale intrisa di senso civico e religioso, il rispetto agli ideali e ai valori del progetto emancipatorio illuministico.

Patria o nazione?Il patriottismo repubblicano e costituzionale degli Illuministi italiani

Per comprendere le linee direttrici, i caratteri originali e le peculiarità del repubblicanesimo nel Settecento siamo costretti a ricorrere a Franco Venturi (1969) attraverso Utopia e riforma nell’Illuminismo. In quelle pagine si prendeva atto del definitivo superamento, agli inizi del XVIII secolo, del modello repubblicano come realtà politica e istituzionale di fronte allo strapotere delle grandi monarchie assolutistiche.Dopo un secolo di guerre e di rivoluzioni in cui il confronto tra le due forme di governo si era sempre risolto a favore delle monarchie.La soluzione adottata in Inghilterra, nel Seicento fu a favore di una monarchia costituzionale, che rilanciava la formula istituzionale di un governo misto e la distribuzione dei poteri e proclamava la tutela dei diritti degli inglesi attraverso il Bill of Rights, aveva dato una prima risposta al problema della libertà di fronte all’assolutismo nelle moderne società commerciali.A partire da quel momento il repubblicanesimo, quello autentico degli antichi, sembrava esser stato sconfitto per sempre.

Montesquieu riferendosi alle 2 forme di governo repubblicano apparse nella storia diceva: “La democrazia e l’aristocrazia non sono stati liberi per la loro natura. La libertà politica non si trova che nei governi moderati.”, gli unici governi che, praticando la distribuzione dei poteri e riconoscendo il principio di legalità, garantivano la libertà personale.Per Montesquieu gli antichi non conoscevano la distribuzione dei 3 poteri nel governo di uno solo, quindi non potevano farsi un’idea giusta della monarchia. Montesquieu non esitava a definire le repubbliche italiane del settecento alla stregua di “miserabili aristocrazie” che sussistevano solo per la pietà loro accordata e nelle quali i nobili senza sentimento di grandezza e di gloria, non avevano altra ambizione, che quella di mantenere la loro oziosità e le loro prerogative.Anche in Francia, dopo gli eccessi dispotici di Luigi XIV, era auspicata il ritorno a una monarchia temperata, fondata sulla costituzione naturale del regno che attribuiva ai corpi intermedi, alla nobiltà ereditaria e ai signori feudali la storica funzione di assicurare la libertà, limitando il potere del sovrano, quindi tutto ciò rendeva anacronistico il ricorso a forme istituzionali di tipo repubblicano.La morte del repubblicanesimo venne stipulato nel 1748 da Montesquieu nell’Esprit del lois, in cui dichiarò l’avvenuto declino della funzione della virtù, sostituito dall’onore come principio di governo, nelleModerne monarchie temperate chiamate a governare società condizionate soprattutto dal commercio e dalla produzione e dal consumo piuttosto che dalla guerra. Indicava però l’esprit autentico del repubblicanesimo nell’autogoverno, nel primato delle virtù politiche come mentalità, costume e impegno morale dei singoli a favore della collettività, Montesquieu consegnava più o meno consapevolmente ai suoi contemporanei qualcosa di molto simile a un manuale del perfetto repubblicano, l’elogio e l’ammirazione verso il mondo della polis greca e la Roma di Cicerone erano accompagnati dalle severa critica delle arcaiche repubbliche aristocratiche che ancora sopravvivevano a se stesse nell’Europa del sei-settecento.

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Non accennò mai alla gloriosa esperienza comunale di autogoverno e di umanesimo civico delle città italiane nel medioevo e nell’età rinascimentale, alle oligarchie di Venezia e Genova ancora in vita, meno negative erano i giudizi verso le cosiddette repubbliche federate dell’Olanda, Svizzera e dell’Impero germanico. Però restava la constatazione di quanto fosse ormai distante il vitale e prospero mondo del repubblicanesimo degli antichi rispetto alle moderne repubbliche aristocratiche condannate per la loro natura intrinseca, all’immobilismo per sopravvivere.Il fatto che lo schema elaborato da Montesquieu, oltre a rispecchiare fedelmente la realtà storica del momento, prendeva in qualche modo atto anche della nascita in Inghilterra dell’ennesima metamorfosi del repubblicanesimo classico: una metamorfosi ancora una volta fondata principalmente sul mito di Cicerone, Livio e Sallustio, utilizzati soprattutto sia come critica libertaria e anti-assolutistica, sia come denuncia alla sparizione delle virtù civiche nelle moderne società commerciali, dove incominciava a regnare indiscusso il primato dell’interesse individuale su quello collettivo. In tal senso era nata con la rivoluzione inglese a metà del seicento, una variante della tradizione repubblicana particolarmente attenta a definire la libertà civile di fronte alla monarchia, per poi allargarsi (a causa del rapido consolidamento del regime monarchico-costituzionale degli Hannover) alle esigenze di una critica efficace contro le degenerazioni dei costumi e la corruzione che stavano accompagnando la trasformazione della società inglese in una moderna economia di mercato.Gli obiettivi di questo nuovo repubblicanesimo :

• denunciare ogni forma di dispotismo, di tirannia, di concessioni all’assolutismo• rivendicare le ragioni della libertà politica• libertà filosofica• tolleranza religiosa e lotta della ragione alla superstizione con toni e accenti già di stampo illuministico.

Il realismo politico di Montesquieu si mostrava davvero eccessivo, in Inghilterra nel 1749 ribadivano la necessità di infondere lo spirito patriottico e repubblicano degli antichi nelle monarchie dei moderni, trasformandole moralmente dall’interno, apparve il celebre volume di Bolingbroke (The Idea of a Patriot King).Nel corso del XVIII secolo in tutta Europa ma soprattutto in Italia si diffuse rapidamente nel linguaggio politico l’espressione “spirito repubblicano”, inteso come mentalità antidispotica, libertaria, costume e modo di vivere nonostante la forza e il prestigio dell’assolutismo e il diffondersi del modello della società di corte fondato sul lusso e sulla cultura dell’apparenza.

Venturi ha descritto bene il complesso fenomeno di trasformazione, indagando sul “fermento repubblicano” che animò in Francia i “philosophes”e gli uomini dei parlamenti in lotta contro l’assolutismo.

Dopo la durissima critica alla ragion di Stato, agli arcana juris, il linguaggio dei diritti dell’uomo elaborato dal diritto naturale dei moderni non poteva più sfuggire al confronto con quanto restava in vita della tradizione repubblicana. Il costituzionalismo cetuale d’antico regime delle monarchie temperate, il rispetto del principio di legalità invocato da Montesquieu se da un lato avviava a soluzione la questione della libertà civile, dall’altro lato non affrontavano il gran tema posto dai giusnaturalisti .

Alla fine del Seicento John Locke aveva spiegato che la legittimità del potere politico non stava nella forza e nel diritto di conquista, ma nel consenso da parte di uomini liberi e razionali a un patto all’origine di una comunità indipendente. La finalità principale di questa comunità era il rispetto e la tutela dei diritti naturali dell’individuo.

In Europa fu Rousseau a riflettere sul principio di legittimità del potere politico e quindi del governo giusto alla luce di uno spirito repubblicano rinnovato in cui cominciavano a lievitare sempre più forti le esigenze del giusnaturalismo illuministico dei diritti dell’uomo avanzate dai philosophes come Diderot e Voltaire. Andando oltre lo stesso Locke, che aveva avviato la liquidazione della lettura assolutistica del diritto naturale che affidava al sovrano la tutela dei diritti individuali.

Rousseau attraverso il contratto sociale tra liberi e uguali ridisegnava la concezione di sovranità alla luce della volontà generale, ponendo accanto al principio di legalità quello di legittimità.

Secondo Rousseau per repubblica non si poteva più solo intendere governo delle leggi, ma occorreva in primo luogo il coinvolgimento del popolo nella loro formulazione: repubblica come volontà generale, autogoverno, partecipazione popolare diretta.Tuttavia se era fuori discussione che “ogni governo legittimo è repubblicano”non tutti i “governi repubblicani apparsi erano però da considerare legittimi”.Il Contratto sociale che rifiutava la divisione dei poteri, smascherava il meccanismo della rappresentanza come usurpazione e invocava al suo posto un impossibile ritorno alla democrazia diretta degli antichi, era destinata a

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rivelarsi inadeguato ad assecondare la nascita o la trasformazione di quei governi repubblicani ancora esistenti nell’Europa del XVIII secolo.

Laddove Rousseau sognava e predicava la creazione di utopiche comunità politiche in cui il popolo e sovrano erano la medesima cosa, i ripetuti fallimenti delle riforme istituzionali delle piccole e rissose repubbliche aristocratiche nella seconda metà del Settecento s’incaricò di smentirlo nei fatti. Da ricordare la Repubblica di Ginevra ( guerra civile tra patrizi e borghesi per allargare la partecipazione al potere, la riforma fallì nel 1782 a causa degli interventi delle monarchie confinanti), tentativi di riforma a Genova, Venezia e Amsterdam.Ovunque le antiche repubbliche aristocratiche, sotto il peso della loro secolare storia, si scoprivano incapaci di rinnovarsi e di aprirsi alla realizzazione del nuovo ideale repubblicano di Rousseau, sensibile alle istanze democratiche della sovranità popolare.

Senza la rivoluzione americana e la Dichiarazione d’indipendenza de 1776 il richiamo alla pratica delle virtù degli antichi e a quello spirito repubblicano avrebbe tardato molto.Anche se è vero che la rivoluzione americana deve molto alla cultura dei “Lumi”, altrettanto certa è la funzione che quell’evento ebbe nella storia del repubblicanesimo e della cultura politica del tardo Illuminismo.

Il repubblicanesimo ispirato alla democrazia diretta degli antichi rilanciato da Rousseau e Mably, ostile alla corruzione dei moderni e alla produzione di ricchezze, trovò un rivale sul piano politico e istituzionale nell’affermazione dei meccanismi rappresentativi della sovranità popolare elaborati dagli americani.

Paine nel 1790 in Right of Man spiegava che il repubblicanesimo dei moderni non aveva senso se si continuava a rifiutare il progresso e a contrapporre la volontà politica della storia, in accordo con le tesi dei fautori della democrazia diretta e dei critici della ricchezza unicamente come fonte di corruzione. I diritti dell’uomo potevano esprimersi attraverso la divisione del lavoro, l’evoluzione della civiltà occidentale, la rappresentanza. Affermava che una repubblica ”is not any particular form of government” .

La Scienza della legislazione era letta dai contemporanei non solo come un testo costituzionale, ma come un libro repubblicano. Filangieri aveva posto come obiettivo primario di ogni governo legittimo (quindi di natura repubblicana)al di là della forma istituzionale, il principio di legalità, il rispetto dei diritti dell’uomo, il riferimento costante alla sovranità popolare; lo aveva fatto criticando la “monarchia temperata” di Montesquieu, il governo misto, il carattere consuetudinario della costituzione inglese, il diritto di conquista, la concezione della politica e del potere sulla base dei rapporti di forza, schierandosi a favore dell’uguaglianza dei diritti umani, in polemica con il principio ereditario dei feudatari e dalla nobiltà.A differenza della Francia e di altre nazioni del continente, che non avevano mai avuto una tradizione specifica in questo campo, l’Italia poteva vantare esempi gloriosi di autogoverno di tipo repubblicano sin dal medioevo. La secolare presenza di liberi comuni e piccole repubbliche aveva segnato profondamente i caratteri e la mentalità dei popoli che abitavano nella penisola.Tuttavia non era il modello amato dagli uomini dei Lumi, in quanto l’antica libertà dei comuni era difesa con le armi contro gli imperatori germanici e il papato e si era trasformata in anarchia politica e sociale, in violenta lotta tra fazioni, tra guelfi e ghibellini, tra popolo e signori, degenerando tra il Quattrocento e il Cinquecento in ristrette oligarchie non sensibili alle virtù civiche, all’eguaglianza dei diritti e all’esigenza di allargare la cerchia di coloro in grado di godere la moderna libertà civile e politica.

Dopo il crollo dell’Impero romano, secondo il ginevrino, in Italia era iniziata una stagione di felicità ad opera della fusione tra i popoli conquistatori del nord e le popolazioni italiche.Il rapido mutamento del contesto storico e la mancata creazione di una grande federazione delle piccole repubbliche italiane per proteggersi dall’esterno e cementare i necessari equilibri sociali all’interno avevano portato a far prevalere nelle istituzioni di autogoverno cittadino gli egoismi individuali, le logiche di ceto, la lotta di frazioni.Con il Rinascimento e il Settecento la tradizione repubblica aveva consumato per intero le sue prospettive di libertà.Questa frammentazione fu ancora più evidente nel Triennio rivoluzionario e repubblicano, infatti la conquista dei francesi fece riaffiorare la frammentazione attraverso guerre tra le varie cittàIl tentativo di fondere anche nella penisola, come era avvenuta in Francia una grande “repubblica moderata, unitaria e federale” non avvenne a causa della sopravvivenza delle repubbliche già esistenti.Nella cultura meridionale era stata avviata una riflessione critica destinata a sfociare nella fondazione della scuola giusnaturalistica napoletana, che rappresenterà le origini intellettuali del repubblicanesimo dei moderni elaborato dagli uomini dei Lumi a Napoli.

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Alla base della riflessione teorica stava il modello repubblicano della Roma di Cicerone e del diritto romano. Il linguaggio delle “virtù”e della “corruzione”venne preso dalle fonti della storia greca e romana (non attraverso “Discorsi”o nei testi dell’umanesimo rinascimentale).

Rispetto a Macchiavelli, che aveva indicato come obiettivi primari del suo repubblicanesimo la pubblica libertà, il vivere libero senza essere dominati da alcuno, affidando una funzione decisiva ai crudi rapporti di forza, al libero dispiegarsi dei conflitti sociali come avveniva nel governo misto.Il repubblicanesimo degli illuministi sviluppava per intero la sua logica libertaria nel giusnaturalismo dei diritti universali dell’uomo.Filangieri collocava al centro della riflessione il pensiero costituzionale con funzione di limite all’agire politico e di garanzia rispetto ai diritti. Nel libro quarto della Scienza della legislazione, 1785, denuncia la fede repubblicana, la delicata questione Delle leggi che riguardano l’educazione, i costumi e l’istruzione pubblica.Il problema dell’educazione non riguardava più ristrette èlites, ma settori sempre più ampi della società. La nascita dell’opinione pubblica, la necessità di provvedere all’emancipazione di larghe fasce di quello che Antonio Genovesi definiva il “ceto mezzano”,in vista di una sempre più larga partecipazione politica all’esercizio della sovranità, il complesso rapporto tra il rispetto dei diritti e la necessità di promuovere nuovi vincoli sociali.

Anche Montesquieu, seppur riferendosi al repubblicanesimo degli antichi, ne era convinto, egli scrisse:” è nel governo repubblicano che si ha bisogno di tutta la potenza dell’educazione”.

In quegli stessi anni in cui si arenavano i tentativi di riformare in senso maggiormente democratico le istituzioni delle arcaiche repubbliche di Genova e di Venezia e si diffondevano le tesi moderate di Grimaldi a favore di una “rinnovata nobiltà repubblicana”, capace di coniugare virtù civili e privilegio di sangue, mentre Filangieri rifiutava la società d’antico regime.Dopo le interpretazioni assolutistiche del diritto naturale di Hobbes e Pufendorf, che attribuivano direttamente al sovrano assoluto e alle pratiche di disciplinamento sociale il compito di creare il corpo politico e assicurare la stabilità e l’organicità della società con la tutela dei diritti.Nel corso del Settecento erano emerse altre possibili letture, a Napoli, Genovesi, aveva insistito sul carattere spontaneo e naturale dell’armonia sociale; da buon seguace di Locke, gli era parso sufficiente riconoscere il legame dei diritti con la legge di natura per conseguire l’obiettivo di dare legittimità a un futuro ordine politico sociale più giusto ed equo. L’idea dell’armonia sociale come fatto etico, naturale e spontaneo, diffusa all’inizio del secolo da Shaftsesbury e rilanciata da Diderot, aveva fatto conoscere una rinnovata concezione repubblicana della virtù come amore per la patria, della comunità cosmopolita degli uomini liberi ed eguali, insistendo sulla naturale vocazione sociale del soggetto titolare di diritti.Ma negli anni settanta e ottanta incominciarono a porre alla base dell’agire politico le passioni e gli interessi. Un testo che colpì Filangieri era stato il De l’homme, di Helvètius, apparso postumo nel 1772. le tradizionali idee dei filosofi dell’utilitarismo, tra cui spiccavano gli illuministi scozzesi, che meditavano sull’interazione sociale a partire dal dominio delle passioni, si arricchiva di indicazioni circa la perfettibilità dell’essere umano e quindi sulla funzione strategica dell’educazione pubblica e in particolare della legislazione per creare le condizioni di una società più giusta ed equa.Per Helvètius, spettava al legislatore il compito di far convergere gli interessi particolari nella logica virtuosa degli interessi collettivi (questo era il modello con cui la gloriosa Repubblica romana se era retta, affidandosi a una apposita legislazione nel campo dei costumi e dell’educazione per modificare i comportamenti e trasformare l’egoistico amore per sé in passione per la patria comune).Filangieri condivideva con Helvètius il principio che non fosse il pubblico riconoscimento dei diritti e doveri degli individui a tenere spontaneamente unita una comunità politica, ma le passioni e gli interessi appositamente indirizzati dalle leggi. Ciò nonostante Filangieri prendeva le distanze dal repubblicanesimo degli antichi così forte in Francia (dopo Rousseau e Mably) e rifiutando la strada di Helvètius a favore del modello classico e tradizionale delle piccole repubbliche povere e guerriere contro quelle ricche e dedite ai commerci.Filangieri era consapevole della differenza che ci deve essere tra l’educazione pubblica degli antichi e quello dell’educazione pubblica dei moderni; era diverso cimentarsi con un popolo che si occupa solo di armi e dei lavori nei campi con una repubblica di poche migliaia di cittadini (esempio repubblica di Sparta), diverso era occuparsi di una moderna monarchia con più milioni di sudditi, una nazione contemporaneamente guerriera e agricola, manifatturiera e commerciante. Anche se gli obiettivi e gli scopi rimanevano quelli dell’antica Roma la diversità del contesto storico imponeva una diversa modalità dei programmi educativi. L’educazione nei grandi popoli e nelle moderne nazioni per coniugare lo spirito pubblico degli antichi con le ricchezze dei moderni doveva coinvolgere tutti, poiché se una sola classe di cittadini venisse esclusa dalla pubblica educazione il piano di Filangieri sarebbe imperfetto e vizioso e si sarebbe perso l’occasione di creare un forte vincolo sociale, l’unione sociale era il principale obiettivo

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dopo aver chiesto il superamento delle gerarchie di sangue e del modello corporativo. Occorreva forgiare il “carattere nazionale” di una comunità politica di tipo repubblicano di liberi e uguali nei diritti, insegnare ai cittadini a considerarsi tutti ”membri di uno stesso corpo, figli di una stessa madre e individui di una sola famiglia”.

Filangieri proponeva la realizzazione di ordine giuridico e una società in cui le differenze e le disuguaglianze, per quanto riconosciute ineliminabili, fossero comunque sopportabili, attenuate, ridotte: basate sul riconoscimento del talento naturale e della virtù degli individui, e dell’interesse prioritario della collettività a servirsi di queste loro qualità secondo uno schema che verrà formalmente riconosciuto dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo nel 1789.

La riforma del meccanismo educativo:richiede che tutti gli individui della società possano parteciparvi, ma ciascuno secondo le sue circostanze e la destinazione. In tal senso l’educazione doveva allo stesso tempo essere”universale”, ma non uniforme, pubblica ma non comune. Filangieri pensava ad una precisa ripartizione del popolo in 2 classi di riferimento per la natura degli studi e i programmi di formazione:

1. i giovani assegnati a seguire corsi di stampo professionale, destinati a lavorare nell’agricoltura, nelle manifatture, nel commercio e nell’artigianato.

2. riservata alla preparazione di coloro che si sarebbero dedicati alle “arti libere” (medici, avvocati, magistrati, uomini politici, sacerdoti).

Ciò che rendeva omogeneo i programmi di tutti gli allievi era l’insegnamento comune dei principi della morale universale.Ai maestri (considerati un ordine della magistratura tra i più rispettabili dello Stato) spettava il compito di ricordare agli allievi la funzione straordinaria che la comunità politica aveva attribuiva all’educazione pubblica. Alla lettura dei romanzi per fanciulli ( veicolo di propaganda illuministica ) affidava il compito strategico di iniziare i giovani a discorsi morali.Filangieri precisava che le 2 classi, in cui sono stati divisi gli individui della società non riguardava il loro stato politico, ma la loro destinazione; non la condizione in cui sono nati ma quella la quale le circostanze li destineranno.Il modello di società aperta, dinamica, dove le distinzioni sociali erano frutto del merito, del talento, delle virtù personali erano indicate in base ai meccanismi di selezione dei giovani. Nell’infanzia era il padre a decidere a quale delle due classi iscrivere il figlio. Nel caso della seconda classe, quella che indirizzava alle carriere prestigiose e ai mestieri più remunerativi, i costi erano a carico delle famiglie, mentre per la prima classe era interamente a carico dello Stato.Differente era il discorso per quei giovani di talento che per motivi economici e sociali erano costretti ad andare nella prima classe, in questo caso scattava la solidarietà repubblicana e il principio dell’eguaglianza delle opportunità, Filangieri pensava a qualcosa di simile alle borse di studio a carico dell’amministrazione, se ne doveva occupare un apposito “magistrato supremo dell’educazione della provincia”, al figlio del contadino sarebbe così stata concessa la possibilità di assumere il posto che gli spettava nella società.A metà degli anni ottanta, da buon repubblicano e lettore sempre più attento e partecipe dei libri dei pensatori radica inglesi non esitò ad attaccare l’assolutismo d’antico regime consigliando di abolire le truppe perpetue ed educare il popolo.Contro Rousseau e i suoi seguaci ( che avevano sminuito l’importanza delle scienze e delle arti come armi a disposizione nella difesa della libertà, della civiltà e del benessere di un popolo ) il filosofo napoletano non esitava a scrivere parole di fuoco: “gli apologisti dell’ignoranza non avrebbero mai dovuto ignorare i molteplici e innegabili rapporti che ci sono tra l’istruzione pubblica e l’opulenza pubblica, tra lo stato di sapere e dei lumi di un popolo e quello della sua industria e delle sue ricchezze”.Per Filangieri in una società civile l’istruzione diventa essenziale contro il dispotismo ed è alla base delle virtù civili dei cittadini.Nella riforma del sistema della pubblica educazione un posto rilevante era riservato ai costumi , era necessario pensare ad interventi legislativi mirati, in grado di riformare gradualmente gli aspetti obsoleti adattandoli ai diritti individuali con l’esigenza di forti vincoli sociali.

Sin dal primo volume, in polemica con Montesquieu, Filangieri aveva negato l’esistenza di 3 forze motrici dell’agire umano a seconda delle forze di governo:

1. la virtù nel governo repubblicano2. l’onore nel governo monarchico3. la paura nel governo dispotico.

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In realtà il motore era sempre lo stesso: l’amore del potere come espressione dell’amore di sè. Era compito delle leggi dirigere questa passione per renderla utile, lo stesso amore del potere che in una repubblica libera rende il cittadino virtuoso e amante della patria, lo fa diventare un mostro in un governo dispotico.Per Filangieri alcune di queste passioni avevano l’effetto terribile di “armare un popolo contro un altro popolo, generare stragi e guerre, santificare tirannie e muovere masse inferocite come i seguaci dell’ordine di Maometto; altre più positivamente spingevano all’eroismo, al martirio, all’esercizio della libertà e delle virtù repubblicane.Filangieri dedicava attenzione a 2 passioni dei popoli dell’antichità ritenute attuali a fine Settecento:

1. l’amor di patria2. l’amore per la gloria

per Filangieri solo in una repubblica libera, aperta alla partecipazione di tutti e indirizzata al bene comune, il patriottismo dei moderni avrebbe fatto rinascere lo spirito pubblico degli antichi e la pratica delle virtù civili l’amor di patria verrebbe da tutte le parti sostenuto e diffuso.

Patriottismo :attraverso la pubblicazione di storie cittadine piene di patriottismo, si celava un forte sentimento di rivolta e di opposizione verso il tentativo finale delle monarchie assolute, appoggiate dal riformismo di settori del mondo illuministico di imporre il controllo dal centro verso le periferie.Non vi era dubbio che la brusca accelerazione del processo di riforme messe in atto negli anni ottanta da Giuseppe II, Vittorio Amedeo III, Ferdinando IV e Pietro Leopoldo, con l’obiettivo di modernizzare, centralizzare ed uniformare l’apparato statale anche in periferia eliminando quel poco che restava degli antichi privilegi della comunità, sottraendo in tal modo potere e prestigio ai notabilati, proprio in un momento di forte crescita economica e civile delle province e di aspra polemica verso le capitali, alimentava la riscoperta della patria come “terra dei padri” da difendere ad ogni costo.Basta leggere il volume di Gianbattista Roberti dell’amore verso la patria, per trovare tutti i punti di un patriottismo dall’arcigno volto conservatore, contrario all’Illuminismo, abilmente capace di mettere insieme l’opposizione repubblicana al dispotismo dei sovrani assoluti con il culto della piccola patria intesa come il rispetto della tradizione, dei costumi, del lignaggio, della venerabile memoria dei padri.Di fronte alla crisi dell’antico regime che si manifestava anche attraverso la crisi d’identità dei vecchi gruppi sociali, la rottura dei vincoli comunitari e corporativi, denuncia e rifiuto di un passato dove la libertà di pochi aveva significato l’oppressione di molti, personaggi come Agostino Paradisi, Gianbattista Giovio e lo stesso Roberti rivisitavano il mito patriottico e repubblicano dei piccoli comuni aristocratici dell’Italia medievale. Spesso a fomentare le forme più conservatrici di questo patriottismo erano i superstiti della Compagnia di Gesù, sciolta nel 1773 da papa Clemente XIV su pressione dei sovrani, era stata la prima vittima delle politiche assolutistiche delle grandi monarchie europee. Il conte Gherardo d’Arco denunciava i gesuiti come propagatori del patriottismo, inteso come spirito di insubordinazione, di ambizione e di interesse.

In realtà il patriottismo era un fenomeno assai antico, da lontano veniva la contrapposizione tra:1. una concezione della patria, intesa come terra dei padri, luogo dove si nasce, sentimento

profondo di appartenenza, vincolo sociale fondato sull’amore e il rispetto per la tradizione e i costumi di una comunità. Si avvicinava pericolosamente a quello di nazione al suo primitivo significato di comunità etnica.

2. concezione di illuministi tra cui Filangieri, che identificavano la patria come istituzione politica, comunità repubblicana di uomini liberi e eguali nei diritti, soggetti solo alle leggi che essi si erano dati. Radici nella Repubblica romana.

Robert Filmer, 1680, considerato tra le fonti più autorevoli in età moderna di chiarire il significato della parola patria, nel testo il Patriarca, or the Natural Power of Kings.In quel celebre testo(cui polemizzarono Locke e Sidney) erano ribadite: la centralità del principio ereditario e la tesi che il vero patriota non poteva che essere monarchico, in quanto la patria intesa come terra dei padri attribuiva il potere di governare ai patriarchi, al re in primo luogo come pater patriae.

Shaftesbury aveva gettato semi preziosi per la comparsa del moderno patriottismo cosmopolita e repubblicano. Denunciava gli errori dei seguaci di Filmer, insistendo sulle ambiguità della lingua inglese dove mancava la parola patria, ma soprattutto sul fatto che ogni potere assoluto distruggeva l’amore stesso per la patria. Paola Maria Doria ( Vita civile)attribuiva al patriottismo degli antichi una funzione per far nascere una nuova politica contro l’assolutismo e la ragione di Stato.

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Vico (in Scienza nuova) aveva una posizione diversa rispetto a Doria. Nel suo libro emergeva il mitico amor di patria repubblicano, le virtù civiche degli antichi e dei Romani erano smascherate alla luce di una cruda e realistica ricostruzione storica della lotta feroce tra patrizi e plebei, una lotta che pareva confermare l’intuizione di Filmer, rivelando che la “vera patria” nella Roma arcaica era sempre stata “interesse di pochi padri”.

Genovese fece un ulteriore salto di qualità, avvicinò il concetto di patria a quello di nazione. Già alla fine degli anni sessanta egli aveva piena consapevolezza che la natura autentica del patriottismo stava diventando un terreno di lotta politica. Anche di fronte a un governo tirannico era innegabile che quel sentimento continuasse a fermentare e ad agire nel profondo degli animi, Genovesi se ne era convinto meditando sul “diritto di cittadinanza”

Montesquieu nell’Esprit des lois aveva dichiarato che l’amor di patria non poteva essere altro che l’amore per la repubblica, l’amore per la virtù politica e per l’eguaglianza, irritando in tal modo i fautori della monarchia.

In Italia forti reazioni nella Napoli di Ferdinando IV e di Maria Carolina furono suscitate dalla costosa ed imponente riforma militare che doveva dotare il Regno di un grande esercito nazionale.Tutto il processo che obbediva alla logica della costruzione di un moderno Stato assoluto del Regno di Napoli energicamente avviata sin dal1734 da Carlo III, incontrò violenti reazioni.Il disgusto verso l’imposizione di una ferrea disciplina, la richiesta di una professionalità, l’attenzione verso il merito e la competenza ossessiva predicata nelle nuove scuole militari costruite a Napoli già negli anni di Tanucci e si estesero rapidamente indebolendo dall’interno il processo delle riforme.Nonostante l’invito dei nobili riformatori volevano proseguire nell’educazione militare della nobiltà la reazione guadagnò sempre più terreno. Il leader dei togati napoletani Fraggianni (seguendo l’esempio dei parlamenti parigini)si era appellato alla “nazione”e al rispetto dell’antica “costituzione naturale del Regno”, per contestare il processo assolutistico di creazione di un moderno apparato burocratico controllato dalla monarchia, negli anni ottanta lo stesso appello lo fece la nobiltà di spada contro le riforme militari.Abituati da secoli alla pluralità e al conflitto di potere tra togati, baroni e monarchia, al rifiuto di controlli troppo diretti dal governo centrale sulle periferie, la politica di accentramento e la forzatura disciplinare imposta dagli “stranieri” che si erano impadroniti della corona vennero denunciate appellandosi alla nazione, alla sua storia secolare, alle sue abitudini, ai suoi costumi e in particolar modo alle sue gerarchie. Il popolo napoletano, la nazione napoletana, l’opinione pubblica napoletana, la patria napoletana cominciava ad essere sempre più la stessa cosa ogni volta che si trattava di denunciare le riforme che parevano minacciare privilegi e abitudini secolari

Evidente è la forte polemica di Vincenzo Cuoco ( nel Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli ) contro il patriottismo cosmopolita del tardo illuminismo napoletano, in particolare contro Francesco Maria Pagano, esso rappresenta il drammatico esito finale di una lunga e tormentata disputa. Cuoco accusò i seguaci di Filangieri di aver separato arbitrariamente, nei decenni che precedettero la rivoluzione a Napoli, il concetto di patria da quello di nazione inventandosi un falso e astratto patriottismo repubblicano e costituzionale per nulla rispettoso della storia del Regno di Napoli. Cuoco parlava spesso di “orgoglio nazionale”, di “avvilimento della nazione” ferita dal cosmopolitismo degli illuministi accusati di aver favorito frivole manie per le mode degli esteri, e soprattutto di aver appoggiato le riforme accentratrici della corona contro quel che restava del vecchio sistema delle autonome “libertà municipali”. Cuoco facendo riferimento al concetto di nazione come entità naturale, di individualità storica, comunità allo stesso tempo spirituale, culturale e politica rilanciato dal dibattito politico dagli eventi rivoluzionari soprattutto in Francia, distingueva tra:

1. un patriottismo autentico e positivo: incentrato sul concetto di nazione, rispettoso della storia, delle tradizioni popolari.

2. un patriottismo tutto politico: costituzionale, artificiale, falso, imposto dall’alto, inventato nei dibattiti di quelle società popolari che egli disprezzava ritenendoli covi di opportunisti e sfaccendati.

Sia Filangieri che Pagano avevano intraprese la questione di come dare corpo e identità comune alla nazione napoletana di fronte alla crisi dell’antico regime al di là delle evidentissime differenze tra regione e regione (Pagano non si stancava di ripetere che un abitante delle montagne dell’Abruzzo differisce da un pugliese quanto un tedesco da un siciliano).Filangieri dedicò un intero capitolo al “genio ed indole dei popoli”, spigando che un conto era il rispetto delle peculiarità delle nazioni frutto della storia, della geografia, del clima, altra cosa era la ricerca necessaria di elementi comuni del genere umano come diritto naturale dei popoli.

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Il vero patriottismo nel mondo moderno non poteva essere altro che passione e amore per una patria repubblicana e costituzionale di uomini liberi ed eguali sul piano dei diritti universali, altrimenti rischiava di degenerare in passione negativa, in una pericolosa fonte di guerre e di ingiustizie.

Il suo maestro di studi universitari, Antonio Genovesi, aveva ragione a segnalare l’esistenza di un senso di appartenenza naturale che accompagnava la vita della comunità. Nondimeno, quel modo di concepire la patria ispirato dal bisogno di riandare costantemente con la mente ai ricordi dell’infanzia, alla memoria dei padri che si celava da sempre sotto il nome di nazione, nulla a che vedere con l’autentico amor di patria propagandato dagli illuministi, inteso come semplice amore per la repubblica e le sue leggi.

Opinione pubblica:Questo patriottismo andava consapevolmente introdotto, diffuso, fatto circolare nell’opinione pubblica ( il fenomeno dell’opinione pubblica apparì in Europa nella seconda metà del Settecento).Filangieri aveva subito colto la sua funzione politica e costituzionale, come possibile forma di espressione diretta della sovranità popolare nei confronti del dispotismo. Contro gli arcana imperii e la ragione di Stato della vecchia politiche delle monarchie assolutistiche lui indicò quali fossero le condizioni sul piano giuridico per garantire una corretta, libera, egualitaria e trasparente partecipazione di tutti i cittadini agli stessi meccanismi dell’opinione pubblica:

• alla teoria dei diritti dell’uomo• indicando nella concessione della libertà di stampa• equa distribuzione delle ricchezze, per evitare concentrazioni di potere• impegno verso la pubblica istruzione

per Filangieri la nascita della pubblica opinione e del libero mercato non doveva rappresentare un problema all’origine di nuove fonti di disuguaglianza e di dominio, ma da considerare un’occasione di emancipazione e di progresso, se opportunamente interpretate e regolate dalla politica attraverso interventi legislativi ispirati all’idea della costruzione di una nuova società civile più giusta ed equa, definitivamente autonoma dello Stato assoluto e dal suo ingiusto ordine sociale.Il dover essere rispetto all’essere (che caratterizzava l’identità della cultura del tardo illuminismo) ispirava la necessità di abbandonare l’antica strategia di riforme dall’alto a favore di una concezione repubblicana di riforme dal basso.L’opinione pubblica era una potente autorità morale e politica ma anche una istituzione disponibile ad”essere maneggiata e diretta”, i primi a muoversi in questa direzione furono i “messieurs”dei parlamenti francesi con i loro appelli al popolo, alla nazione, autoproclamandosi i rappresentanti legittimi della volontà popolare della loro politica di contestazione dell’assolutismo.

Chiesa :nel 1775 la Chiesa prese coscienza delle novità introdotte dalla comparsa della sfera pubblica. Alla terribile Inquisizione, cui l’assolutismo aveva limato gli artigli, restava il compito di reprimere e disciplinare i chierici all’interno della chiesa.Con l’enciclica di Pio VI (Inscrutabile divinae sapientiae)diretta a smascherare e denunciare la natura demoniaca della cultura dei Lumi; tutte le strutture ecclesiastiche e gli ordini religiosi vennero mobilitati e attrezzati per orientare l’opinione pubblica verso le ragioni della santa sede.La stessa decisione fu presa da parte di molti illuministi di entrare nelle logge per aumentare la possibilità di diffondere le proprie idee.La Scienza della legislazione appartiene di diritto a quell’inattesa e burrascosa stagione di lotta per la conquista e la direzione dell’opinione pubblica. Il libro dedicato “all’educazione pubblica” del 1785, teneva conto dei radicali mutamenti intervenuti nelle forme della comunicazione sociale.Filangieri si chiedeva come si potesse diffondere tra il popolo l’amore per la patria e le sue leggi, come poter affermare la passione degli individui per la gloria e per le virtù civiche, come poter superare la lunga stagione di sudditanza dell’antico regime e forgiare il futuro cittadino senza ricorrere alla violenza e alle rivoluzioni attraverso riforme legislative; per risolvere a tutto ciò il filosofo fece appello agli insegnamenti degli antichi, riflettendo sulle leggi degli antichi in relazione alla concessione dei pubblici onori e dei riconoscimenti per aver

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servito bene la patria, dedicava molte pagine all’analisi “della passione della gloria”, in quanto la riteneva essenziale per la moderna cultura repubblicana.Nel mondo moderno si erano smarriti i valori delle virtù civiche, dell’interesse collettivo a favore di egoismi economici individuali, Filangieri riteneva che occorresse ridare al più presto uno spazio adeguato al culto repubblicano degli eroi che si erano sacrificati per la collettività.Per diffondere questa passione era necessario “rendere rappresentativa la gloria”(bisognava dare una veste materiale a questo essere morale). Fece una meticolosa rivisitazione delle cerimonie funerarie degli eroi della patria nel mondo antico, dell’organizzazione dei giochi dove erano premiati i meriti e il talento, la scelta di soggetti adeguati in campo letterario, nei romanzi, nella poesia, nell’opera musicale organizzati per esaltare le virtù civiche e rafforzare lo spirito pubblico.La proposta più organica ed ambiziosa era quella di riformare le leggi sul teatro.Teatro per Filangieri e Pagano:Esistevano 2 visioni contrastanti sul teatro, da una parte era considerato una scuola di vizi, dall’altra una scuola di virtù, ed aveva coinvolto diversi uomini dei Lumi come Lessing, Voltaire, Rousseau, Diderot, Marmontel.Marmontel “nell’Apologie du thèatre” del 1758, in risposta alla “Lettre à d’Alembert” di Rousseau aveva riassunto le posizioni di un dibattito secolare sulla funzione e sulla natura del teatro che aveva sempre visto in primo piano l’ostilità della Chiesa e il disperato tentativo degli addetti ai lavori di rivendicare dignità e prestigio sociale. Nel XVIII secolo c’era il divieto di Clemente XIII agli ecclesiastici di assistere a pubbliche rappresentazioni teatrali, gli attori erano considerati figure marginali e riprovevoli; sin dal 1746 Voltaire aveva insistito perché si cambiasse atteggiamento e si tornasse a dare loro compiti educativi.In Italia Filangieri si schierò accanto a coloro che credevano alla funzione politica e pedagogica del teatro; era necessario andare oltre ai tentativi di Corneille, Racine, Maffei e Voltaire i quali narrando con talento le gesta di Bruto e Catone, avevano cercato di emulare nelle loro opere le tragedie degli antichi mostrando “ai re e a coloro che li consigliano gli effetti spaventevoli della tirannia e dell’ingiustizia”.Riforma teatrale di Filangieri:Filangieri chiedeva leggi precise, la costruzione di una rete di teatri popolari a spese dello Stato che garantisse spettacoli gratuiti a tutti i cittadini, una riforma che trasformasse gli attori e i drammaturghi in “sacerdoti della gloria”.La riforma precisava “non dovrebbe solo rendere gli attori cittadini, ma dovrebbe anche impegnarsi a

Francesco Saverio Salfi e Francesco Mario Pagano ( drammaturghi e discepoli di Filangieri ) diedero vita anche in Italia a un moderno teatro patriottico.Salvi non si limitò a comporre e far rappresentare tragedie dove seguiva i consigli di Filangieri, ma tentò di approfondire il tema della comunicazione politica e della pedagogia repubblicana attraverso il teatro, nel “Saggio del gusto e delle belle arti” del 1785 indicava 2 punti fermi delle sue ricerche:

1. la natura sociale e politica del linguaggio poetico e letterario2. differenza tra il teatro in un regime monarchico e il teatro repubblicano.

Pagano distingueva una primitiva fase arcaica dell’umanità, in cui il piacere e le sensazioni avevano dominato il discorso poetico, e una seconda fase propria delle società civili.Altrettanto chiaramente distingueva il teatro monarchico e il teatro repubblicano: ”nelle repubbliche il teatro deve capire il popolo intero; nelle monarchie la sola gente colta e politica. In quelle il teatro e il foro sono la scuola di un popolo il quale conviene che sia erudito e colto siccome quello che ha da governar se stesso; ma nelle monarchie il volgo può essere ignorante e rozzo, come lo è: i lumi e la coltura non gli fanno di mestieri.Quale fosse il suo teatro prediletto egli lo rese presto chiaro a tutti dedicando a Filangieri la sua prima tragedia, “Gli esuli tebani”, del 1782, e ribadendo in “Corradino”, del 1789, che la tragedia è un’azione politica, grande, interessante e nazionale recata sulle scene per utilmente commuovere e istruire il popolo.Nelle sue numerose tragedie, Pagano sintetizzava il meglio di quello spirito repubblicano che ormai dominava la scena politica italiana degli anni ottanta di fronte agli entusiasmi suscitati dalla Rivoluzione americana e al crescente disincanto degli illuministi verso il dispotismo illuminato.Benché i soggetti mutassero con il rapido variare degli eventi, al centro di quelle opere “l’amore della patria” inteso come amore per la libertà, per la repubblica e le sue leggi.Gli esuli tebani che ritornavano di nascosto nella loro città natale per “liberare la patria” dal tiranno Leontida erano l’occasione per educare il pubblico e far notare la differenza tra il diritto naturale e il diritto positivo, tra la legge di natura che dava solido fondamento ai diritti dell’uomo e le leggi arbitrarie e ingiuste volute da un despota.Nel Gerbino e nell’Agamennone, scritte nel 1787, venivano denunciati i cortigiani, le passioni funeste dei re, l’uso della tortura, enfatizzati i limiti che il diritto naturale frapponeva al potere del principe.

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Nel Corradino, del 1789, in una tragedia che intrecciava amori personali, ad essere posta sul banco degli imputati era la Chiesa, per aver ostacolato la causa nazionale privilegiando un’alleanza con un re straniero contro un principe italiano.Del tutto eccentrica risultava la commedia Emilia,del 1792, in cui ironizzava sulle mode francesi, che parevano dilagare a Napoli e in tutta Italia dopo ’89, Pagano scopriva l’esigenza di insistere sulle tradizioni nazionali, associando sempre di più il termine di patria a quello di nazione, replicando con vigore ed ironia a quei “libertini per moda che affermavano non esserci a Napoli point d’esprit, point de sociètè. E tutto è male.I contenuti del Progetto di costituzione della Repubblica napoletana del 1799; nel titolo X dedicato al tema centrale dell’Educazione ed istruzione pubblica, Pagano rilanciava il progetto di Filangieri. Significativamente, all’articolo 290, compariva l’impegno dello Stato a dar vita a una catena di teatri repubblicani in cui le rappresentazioni sono dirette a promuovere lo spirito della libertà.Riforma della giustizia di Pagano:Accanto all’educazione pubblica ritroviamo la riforma della giustizia, Pagano ne aveva enunciato i principi essenziali all’interno delle” Considerazioni sul processo criminale”, del 1787.Sulla base delle teorie filangieriane di un nuovo diritto penale fondato sui diritti dell’uomo e sulla diretta partecipazione dei cittadini all’esercizio della giustizia.Egli aveva proposto una radicale riforma per sostituire il processo inquisitorio con l’antico processo accusatorio della Repubblica romana.Nella repubblica la giustizia era affare di tutti, il diritto d’accusa spettava a chiunque, così come era concessa a tutti la possibilità di ricusare i giudici per motivi fondati.Ogni dibattimento doveva avvenire in assoluta trasparenza e su un piano di reale parità, i testimoni a favore e quelli contro erano interrogati in presenza del reo e della corte, composta in parte da giudici popolari e in parte da giudici togati eletti dal popolo.Il ritorno al processo accusatorio trasformava il dibattimento in una sorta di ideale palcoscenico di fronte a tutto il popolo elevato a giudice supremo in cui si scontravano su un piano di parità le esigenze sociali di il suo diritto naturale alla giustizia: da qui l’idea di Pagano che il foro rappresentasse con il teatro l’altra grande scuola di virtù patriottiche.

Solo nel processo inglese era sopravvissuto in minima parte il processo accusatorio romano, attraverso le giurie popolari e la salvaguardia dei diritti della difesa.Per rafforzare la tesi del processo accusatorio, largo spazio Pagano dedicò alla ricostruzione storica della genesi del processo inquisitoriale e allo smascheramento politico degli arcana juris che avevano legittimato quel tremendo modo di procedere.Pagano era veramente convinto che il processo fosse davvero il metro di giudizio con cui andava misurato e valutato il grado di civiltà di un popolo.Il processo inquisitoriale era iniziato già nella Roma di Cicerone, ai tempi della congiura di Catilina, quando derogando alla consuetudine, ai soli delitti contro lo Stato si era deciso di applicare la proceduta inquisitoriale fatta di segretezza nelle indagini e nella raccolta di testimonianze da discutere dinanzi al senato senza far conoscere prima le testimonianze alla difesa. Questa procedura si era poi allargata a molti altri reati.Pagano non dedicava ampio spazio ai modelli processuali dei barbari (longobardi, normanni e popoli germanici) come i duelli, il giuramento, l’acqua bollente, il ferro infuocato e altri divini esperimenti che erano i mezzi adoperati; gli interessava di più chiarire sul piano filologico e storico come si fosse giunti al moderno processo inquisitoriale. in contrasto con molti pareri allora in circolazione, egli non attribuiva la responsabilità ai canonisti, ma a Federico II di Svevia e alla sua implacabile vocazione di dar vita a una moderna monarchia assoluta, in cui il giudice rappresentava la volontà e gli interessi del sovrano e non quello del popolo.

Nei secoli successivi i giuristi medievali s’incaricarono di dare forma giuridica e legalità della procedura inquisitoriale. Quella procedura non sarebbe diventata il luogo fisico dell’iniquità senza il concorso di quel feroce metodo introdotto dagli ecclesiastici di obbligare i detenuti a testimoniare contro se stessi con ogni mezzo, torture comprese.Il diritto canonico, nato dal diritto romano per edificare su solide basi la “pontificia monarchia”, nella sua feroce lotta all’eresia come disobbedienza a un potere assoluto, prima ancora che attentato alla fede e ai suoi dogmi, aveva elaborato una concezione unitaria e organica del processo che privilegiava in ogni caso la ricerca delle prove della colpevolezza rispetto alla ricerca della verità.Era giunto il momento di denunciare all’opinione pubblica queste atrocità e chiedere il ritorno a una concezione repubblicana della giustizia: ad una procedura processuale di tipo accusatorio che limitasse finalmente il potere arbitrario dei togati e il dispotismo della monarchia attraverso la riforma del codice penale e la definizione di una costituzione in grado di garantire in ogni occasione i diritti del cittadino.

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Non a caso le “Considerazioni”erano dedicate a Luigi de’ Medici, principe di Ottaviano, allora personaggio in ascesa nell’ambito del nuovo gruppo dirigente napoletano formatesi dopo la caduta di Tanucci e con la creazione del Supremo Consiglio delle Finanze, nel 1782: il cuore stesso del riformismo borbonico di fine secolo, cui collaborava anche Filangieri.Pagano aveva chiaro in mente la differenza tra la difficile situazione della Napoli di Ferdinando IV e l’ideale repubblicano delle riforme proposte. Un conto erano i progetti, altra cosa la loro realizzazione. A tal fine, nelle Considerazioni egli scriveva praticamente 2 libri:

1. nel primo illustrava come nella Roma di Cicerone si realizzasse per intero l’essenza repubblicana del processo accusatorio, delineando l’obiettivo ideale e finale della riforma

2. nel secondo, chiedeva l’avvio di prudenti, ma significativi interventi legislativi del governo introducendo il meccanismo della doppia ricusazione, la riforma delle udienze provinciali, la trasparenza e la pubblicità del dibattimento, la possibilità di appello a un tribunale supremo della provincia, limitando il processo inquisitoriale ai reati più gravi.

L’esplosione della Rivoluzione francese trascinò nel bene e nel male, le sorti stesse del repubblicanesimo italiano. Non c’è dubbio che le vittorie di Napoleone nel 1796 e l’arrivo della grande “Armèe”a Napoli contribuirono a far precipitare la crisi dell’antico regime e della monarchia borbonica.La riforma repubblicana della giustizia auspicata nei testi di Pagano e di Filangieri trovò la sua integrale e immediata formulazione nelle leggi del governo rivoluzionario e negli articoli della carta costituzionale del ’99. questo risultato ottenuto fu destinato a durare solo pochi mesi, e a finire tragicamente in un bagno di sangue portandosi appresso la memoria storica del diretto contributo del mondo dei Lumi alla nascita del moderno repubblicanesimo italiano, ripropone agli studiosi il difficile problema di una valutazione equilibrata delle conseguenze positive e negative che l’invasione francese ebbe rispetto il movimento riformatore, e in particolare rispetto a quel patriottismo repubblicano e costituzionale degli illuministi italiani che abbiamo cercato di ricostruire attraverso le pagine della Scienza della legislazione.Situazione napoletana, situazione di Pagano:Negli anni ottanta e ancora per qualche decennio successivo, a Napoli, Torino, Milano, Firenze gli uomini dei Lumi avevano cominciato a sperimentare un nuovo riformismo dal basso,che puntava sull’opinione pubblica, sulla politica costituzionale, sulla diffusione di uno spirito repubblicano di partecipazione, favorito dalla sperimentazione di nuove forme di sciabilità urbane e dalla richiesta di informare ed educare settori sempre più vasti della società civile.Emblematica testa la vicenda personale di Pagano, destinata ad intrecciarsi con quella di tutti gli illuministi napoletani.Nel luglio del 1789 la corona lo nomina Avvocato dei poveri presso il tribunale dell’Ammiragliato e Consolato del mare, coinvolgendolo direttamente nel processo riformatore.Cinque anni dopo lo ritroviamo a difendere i suoi fratelli massoni della Società patriottica (Lauberg, Massa, Galdi) accusati di cospirazione, di congiura ordita contro la religione, la monarchia e lo Stato.Nel frattempo la situazione era drammaticamente mutata. La trasformazione delle logge in circoli rivoluzionari, l’atteggiamento poliziesco di rigida chiusura dei Borbone delle precedenti esperienze riformatrici, avevano spinto verso la pratica rivoluzionaria ed eversiva, nasceva in quei mesi il movimento patriottico e repubblicano di matrice illuministica che avrebbe ispirato l’azione politica di molti esponenti delle élites rivoluzionarie del Triennio.Negl’anni precedenti libri come “la Scienza della Legislazione” e i “Saggi politici” erano letti liberamente, a partire dal 1795 vennero pubblicamente denunciati e messi al bando dagli inquisitori di Stato. Questi testi divennero le fonti primarie dei “catechismi repubblicani” e di quei circoli di intellettuali che si stavano organizzando per rispondere all’ondata reazionaria dei governi. Nel 1796 Pagano venne arrestato e incarcerato fino al 1798 per poi andare in esilio, prima a Roma poi a Milano.Nel’99 rientrava a Napoli per far parte del governo repubblicano e trovarvi la morte sul patibolo borbonico.

Struttura federale o unitaria della Repubblica da imporre in Italia?Di fronte alla violenza che l’invasione francese e la liquidazione dei vecchi governi avevano creato, alimentando un dibattito sulla struttura federale o unitaria della repubblica da imporre in Italia, Pagano avrebbe appoggiato l’opuscolo di Matteo Galdi, “Necessità di stabilire una Repubblica in Italia”, in cui sintetizzava le idee e i principi del patriottismo repubblicano e costituzionale degli illuministi esposti nella Scienza della Legislazione. Galdi rilanciava la concezione di patria come comunità politica di liberi e eguali, da costruire attraverso una costituzione democratica che metteva al primo posto la proclamazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini, da esercitare attraverso il meccanismo della rappresentanza.Galdi ricostruì l’esperienza storica del repubblicanesimo in Italia fino ai tempi moderni, denunciando i mali che potrebbe produrre il federalismo in Italia mettendo insieme tanta piccole repubbliche governate da notabili,

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ostili ad ogni potere centrale di natura democratico-rappresentativa (ricorda con orrore: gli Sforza, Visconti, De’Medici, Borgia).Era arrivato il momento di creare una nuova grande patria per tutti. Contro questo progetto si stavano schierando i reazionari (che auspicavano il ritorno dell’antico regime) e i patrioti moderati (soluzione federalista come male minore),che vedevano nei patrioti illuministi dei traditori della nazione (giacobini, terroristi).Galdi sosteneva i patrioti unitari, un pò come faceva tutta la propaganda dell’epoca. Dopo il trattato di Campoformido, 1797, con cui Napoleone cedeva Venezia all’Austria, e dopo la tragedia del ’99 a Napoli, cambiò ogni cosa. L’Italia veniva spartita tra le grandi potenze con la stessa logica della spartizione polacca, e la situazione creò sconforto e delusione nel movimento patriottico repubblicano.

AlfieriRappresenta le speranze e l’impegno politico dei letterati di fine secolo, la sua vicenda umana e personale racchiude in sé il dramma del repubblicanesimo illuministico italiano, travolto dagli eventi e dalla storiografia come grande progetto emancipatorio e di trasformazione della società italiana di antico regime.Era un massone di rito inglese, e aveva le stessa passione di Filangieri per la “libertas americana” e la lotta al dispotismo.Ritroviamo tra i due assonanze di linguaggio, comunanza di principi, somiglianza di temi e soluzioni, leggendo il “Della tirannide” e “Del principe e delle lettere” con la “Scienza della Legislazione”.Come Filangieri aveva abbandonato la prospettiva politica del dispotismo illuminato a favore dello spirito repubblicano e costituzionale.Nella Della tirannide aveva spiegato che la monarchia era una istituzione tirannica, se non accompagnata da una costituzione che ne fermasse gli arbitri; i filosofi dovevano rivendicare il governo delle leggi, la libertà civile, una patria di cittadini, precisando che non esisteva la patria senza libertà. Metteva a confronto le vecchie tirannie con quelle moderne, le seconde erano considerate più efficaci, subdole e pervasive, di quelle antiche. Come filandieri contestava la funzione dei grandi eserciti stanziali che favorivano la nascita delle monarchie assolute a discapito dei governi repubblicani, definiva la professione del soldato la più infame di tutti i mestieri. Anche alla Chiesa non erano risparmiate critiche e sarcasmi per la sua sanguinaria storia di prevaricazione e di offese alla libertà.Ma era fermamente contrario alla nobiltà di sangue, al sistema feudale e al principio ereditario, visto come “mal seme” che impediva la nascita di una repubblica. Definiva i signori feudali la classe più corrotta, pur essendo un nobile astigiano (1778-rinunciava a tutti i suoi feudi).

Diverso compito Alfieri e FilangieriAlfieri svolgeva l’opera di smascheramento storico e psicologico della tirannia.Filangieri e Pagano elaboravano i fondamenti politici e legislativi di una futura repubblica.

Anche Alfieri riteneva importante una conquista graduale dell’opinione pubblica, del pensiero del popolo inteso come ceto medio diceva:” la volontà o l’opinione pubblica di tutti mantiene sola la tirannide, la volontà e l’opinione di tutti può veramente distruggerla”.Ai filosofi ai letterati spettava il compito di educare le masse e di realizzare quell’egemonia repubblicana e illuministica che attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione avrebbe eliminato le tirannidi, senza ricorrere alla violenza.Anche per Alfieri l’opinione pubblica era un’istituzione politica.Come Filangieri, Alfieri condivideva l’importanza di riformare il teatro, e alla rivalutazione sociale dei protagonisti di quel mondo mal visto.Erano questi gli anni in cui Alfieri scriveva e faceva rappresentare le sue straordinarie tragedie libertarie e repubblicane come Congiura de’ Pazzi, Bruto primo, Bruto secondo, Virginia, dove si interrogava retoricamente sulla natura repubblicana e costituzionale della patria con chiari accenti illuministi.Nell’89 egli aveva salutato con entusiasmo e grandi speranze la rivoluzione francese nell’ ode “Parigi sbastigliato”, così come in precedenza aveva dedicato ai coloni americani l’altra ode “l’America libera”.Nel 1792 scappava da Parigi, inorridito dalle cacce all’uomo nei vicoli da parte di “schiavi scatenati”, quegli stessi che si sarebbero resi protagonisti dell’assassinio del re e dell’aggressione di tutti i possidenti. Il Terrore, l’invasione dell’Italia delle truppe di Bonaparte, Campoformido divennero ai suoi occhi le ulteriori conferme di una tragica illusione.Nel “ Misogallo” Alfieri spiegava che i francesi avevano liquidato con i loro comportamenti l’idea stessa di libertà per i popoli moderni. Con i loro comici e magniloquenti riferimenti alla libertà del mondo antico per giustificare le loro violenze i giacobini rischiavano di uccidere per sempre lo spirito repubblicano cui il grande drammaturgo piemontese aveva dedicato l’intera giovinezza.Da qui la volontà, nel 1792, di distinguere il vero repubblicanesimo italiano da quello falso e demagogico francese. Tuttavia l’odio verso i francesi era talmente forte da trascinare con sé tutto quello che restava dl

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patriottismo repubblicano e costituzionale del tardo illuminismo italiano. Nelle “Satire” vengono ridicolizzati i diritto dell’uomo, stigmatizzate le polemiche contro la religione e riaffiorano simpatie sempre represse per il carattere ereditario della vera nobiltà; ma soprattutto allo spirito repubblicano patriottico di tipo cosmopolita cominciava a sovrapporsi sempre più il primato rancoroso dello spirito nazionale.Nel “Misogallo” la parola patria ( comunità politica e costituzionale) lasciava spazio come per Cuoco alla parola nazione, Alfieri non riusciva più a separare la patria dalla nazione.La nazione francese era descritta in termini negativi, come comunità storica ed etica nemica cui occorreva contrapporre la nazione italiana.

Vale la pena di ricordare, per il suo valore simbolico ed emblematico, che in quell’anno il ’99, in cui I Francesco Mario Pagano fu giustiziato e la Repubblica napoletana schiacciata nel sangue, Alfieri non esitò a gioire pubblicamente all’arrivo degli austriaci e dei russi a Firenze per cacciare i francesi e reprimere i patrioti.

I caratteri originali del costituzionalismo illuministico.Dalla “scienza della legislazione”

Al “progetto di costituzione napoletana” del 1799

“Di tutte le società v’ha dunque una generale costituzione che è risposta dell’unione delle volontà tutte;… essa comprende due principali capi. Primo l’unione delle volontà tutte ad oggetto di conservare i diritti naturali di ciascuno; secondo, il modo di riunire codeste volontà e forze di esercitarle.” Pagano.

Per spiegare il concetto di costituzionalismo illuministico bisogna partire dal contesto storico in cui nacque “la scienza della legislazione”, cioè nel periodo cruciale tra le due grandi rivoluzioni, quella americana e quella francese.

La natura, la funzione e i compiti della legge avevano radicalmente ripensati, secondo Filangieri, alla luce dell’esperienza storica dei popoli e soprattutto in vista di un progetto universalistico e cosmopolita di razionalizzazione complessiva dell’ordine giuridico che non trascurasse alcun aspetto della vita politica e sociale.L’opinione dei giuristi medievali era molto distante da Filangieri, la legge non andava trovata, provata e dichiarata, mai fatta o creata d’imperio come espressione politica della sovranità.Il rex facit legem dei teorici dell’assolutismo aveva fatto scuola presso tutti i nuovi fautori della sovranità popolare: molto avevano imparato da Bodin e da Hobbes i repubblicani Rousseau e Filangieri.Così come poco utile pareva la strada imboccata da Montesquieu di analizzare, da scienziato sociale freddo e distaccato, lo spirito delle leggi e il loro storico delinearsi.Quest’ultimo modo d’intendere la legislazione aveva fornito solidi punti d’appoggio ai primi nemici di Filangieri, i fautori dell’interpretatio, i sacerdotes juris dell’antico regime capaci di trasformare la legge da strumento di libertà e di felicità per tutti in un’arma di difesa di pochi privilegiati, lasciando campo libero al dispotismo e alla conservazione delle disuguaglianze in tutte le forme.

Era giunto il momento di rilanciare in forme nuove, l’originaria scelta di grandi filosofi della Grecia in favore del governo delle leggi rispetto al governo degli uomini.Filangieri conosceva bene le riflessioni di Platone nel “Politico”sui vantaggi e svantaggi che comportava una simile opzione, condivideva le conclusioni di Aristotele sull’importanza della legge come via maestra del costituzionalismo per garantire la libertà.

Nel tardo Settecento la decisione degli illuministi di ricorrere in primo luogo al diritto e alla legge per limitare il governo, necessitava una presa di coscienza di quanto fosse cambiato il mondo dei moderni rispetto a quello degli antichi. Prima di rifiutare la modernità, andava esplorata la possibilità di coniugare gli effetti con i diritti dell’uomo e con un possibile progetto emancipatorio dei popoli europei.Polemica di Filangieri con Rousseau e Montesquieu:Rousseau si opponeva al progresso scientifico e alla modernità economica e sociale rilanciando il modello della democrazia diretta degli antichi e l’onnipotenza del potere legislativo, mentre Filangieri denunciava il carattere illegittimo ed ingiusto del principio di ereditarietà dei nobili sostenuto invece da Montesquieu.Entrambi i francesi seppur opposte, negavano tutti e due spazio al futuro, a una ragionevole utopia di trasformazione sociale d’antico regime:

1. Rousseau proponeva un improbabile ritorno al [email protected]

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2. Montesquieu legittimava l’esistente.

Filangieri pensava di realizzare una legislazione, partendo da pochi principi e soprattutto dalla teoria dei diritti dell’uomo.Il sistema era una sorta di piramide con al vertice la legge naturale da cui traeva origine e legittimità quei principi e quei diritti destinati a essere consacrati sotto forma di norme scritte a divenire “leggi fondamentali”, raccolte in un “piccolo codice” secondo il modello delle costituzioni americane e poi a discendere in tutte le leggi ordinarie.La magistratura avrebbe dovuto garantire l’armonia, l’omogeneità, la “bontà assoluta” e “relativa” della legislazione in ogni sua parte rispetto ai “principi universali della morale” e a quel diretto naturale che conteneva “ i principi immutabili di ciò che è giusto ed equo in tutti i casi”.

Attraverso la “Legge della legislazione”riuscì a definire qualcosa di simile a un moderno Stato costituzionale;capì l’importanza di riflettere su ogni segmento della legislazione, vincolare e influenzare leggi fondamentali e leggi ordinarie, questioni istituzionali e scelte economiche, politiche e sociali, allargando il suo campo d’intervento sull’educazione, sulla religione e sul mercato.Pose in alto i diritti e i principi rispetto alla legge positiva ( intesa come atto politico del legislatore ).

La sua visione era troppo distante dal vecchio sistema misto inglese basato sull’ipotesi della divisione dei poteri in funzione di garanzia. Filangieri vedeva in esso la piena legittimazione dell’antico regime, delle sue disuguaglianze cetuali, il trionfo del principio ereditario, attribuendo al re e all’aristocrazia un potere politico che non gli spettava più.Filangieri aveva spiegato che il regime misto ( King in Parliament ) frazionando la sovranità tra monarca, aristocrazia e popolo, non realizzava una ripartizione equilibrata, unitaria dei poteri per garantire la libertà, pace e sicurezza, anzi causava disuguaglianza.Nello scontro con il massimo costituzionalista inglese Wiliiam Blackstone Filangieri gli contestava incostanza della costituzione inglese, che non aveva un testo in grado di precisare compiti e funzioni istituzionali. Inoltre denunciava i limiti di quel pensiero costituzionale in cui troppo spazio era riservato alle tradizioni, ai costumi, al gioco politico delle forze in campo nella difesa della libertà fidando unicamente sulla divisione dei poteri e sulla loro contrapposizione.

Secondo l’interpretazione che gli illuministi, di fine ‘700, davano del diritto naturale, la Dichiarazione d’indipendenza conteneva la precisa indicazione di veri diritti soggettivi e non solo suggerimenti di tipo filosofico e morale; per Pagano la Dichiarazione costituiva il “principale oggetto di ogni regolare costituzione”, in quanto vi si trovavano enunciati quei principi fondamentali, anteriori e superiori a ogni legislazione, destinati a guidare ogni aspetto della vita delle moderne comunità politiche.Il teso “Costituzione” di Pagano aveva alle spalle una grande tradizione di studi di livello internazionale, rappresenta forse il capolavoro del pensiero politico- giuridico dell’Illuminismo italiano e certamente la conclusione più alta e solenne di tutto un modo di pensare alla tradizione repubblicana e costituzionale del mondo dei Lumi della penisola, affiorano continuamente riferimenti alla “Diceosina”di Antonio Genovesi, alla “Scienza della legislazione”di Filangieri, e alle “Considerazioni del processo criminale”dello stesso Pagano.Non bisogna dimenticare l’importanza e il prestigio della scuola giuridica napoletana attraverso esponenti come Filangieri e Pagano.Quando, durante i pochi mesi della tragica esperienza della Repubblica napoletana del 1799, su incarico del governo rivoluzionario, Pagano si accinse a scrivere il progetto di costituzione, la sua fama internazionale era al culmine. I suoi libri e quelli di Filangieri erano letti e usati in tutto il continente. È pertanto difficile non cogliere una nota di profondo orgoglio intellettuale e di piena consapevolezza dei propri meriti scientifici nelle parole che il giurista fu costretto a scrivere al Consiglio degli Juniori per protestare contro un decreto di espulsione, erroneamente inviatogli dagli organi di governo della Repubblica cisalpina al suo arrivo a Milano, dopo essere fuggito da Roma nel 1798.

Sin dalle prime righe del suo Rapporto ai membri del governo che dovevano esaminare il testo costituzionale, Pagano rivendicava la sua autonoma funzione di legislatore rispetto ai precedenti esempi francesi e americani. Secondo gli insegnamenti di Filangieri, un conto era la “bontà assoluta”delle leggi, altra cosa era la “bontà relativa”: non esisteva una costituzione ideale valida in ogni suo aspetto per tutti i popoli e per tutti i tempi.

Con garbo, facendo attenzione a non urtare la suscettibilità dei francesi, dal cui esercito dipendeva comunque la sorte della rivoluzione napoletana, Pagano proponeva un disegno costituzionale profondamente diverso nel suo impianto teorico e filosofico rispetto ai più recenti esempi venuti dalla Francia.

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Pagano aveva imparato dalla “Scienza della legislazione” che la costituzione doveva essere un codice scritto con estrema chiarezza, il più possibile rigido e costante nel tempo. La sua struttura doveva essere formulata attraverso un’organica concatenazione di principi e di regole, avendo come riferimento i diritti dell’uomo.

Differenze tra le 2 costituzioni secondo Pagano:

COSTITUZIONE TERMIDORIANA COSTITUZIONE DI PAGANOConfondeva in più punti diritti e principi, mezzi e finalità.Rivelava fragilità e squilibri logici che per Pagano erano da evitare.

L’eguaglianza era considerata un PRINCIPIO, dotato di forza morale: il primo e più importante dei principi costituzionali.

La questione dell’eguaglianza era collocata tra i diritti.

L’uguaglianza è un rapporto e i diritti sono facoltà, questa distinzione appariva decisiva quando si trattava di giustificare la presenza per la prima volta nella storia in un testo costituzionale, dei doveri accanto all’elencazione dei diritti.

La legittimità e la priorità dei doveri rispetto ai diritti era necessario per garantire la “conservazione della società”.

Prendeva spunto da Genovesi (in Diceosina)che definiva eguaglianza come un principio fondamentale di giustizia

I membri della Commission des Onze, che nella “Dèclaration”si erano limitati a separare i diritti dai doveri

Elaborò una costituzione più breve, ma molto più articolata.Separò i diritti dell’uomo da quello del cittadino e dai diritti del popolo, seguendo uno schema contrattualistico di matrice lockiana che opponeva l’uomo naturale a quello della società civile;tra i doveri tolse il riferimento al popolo ed introdusse i doveri dei pubblici funzionari.Forte accentuazione dello spirito repubblicano, inteso come partecipazione, alla più larga possibile al governo della cosa pubblica.

Le sanguinose giornate del Terrore avevano indotto i giuristi a tornare indietro rispetto alla costituzione giacobina del ’93, introducendo il suffragio censita rio, limitando la cittadinanza, escludendo ogni pericoloso riferimento alla sovranità del popolo.

A Napoli la scelta censitaria e le limitazioni dell’elettorato nascevano quasi naturalmente, come sviluppo dell’antico progetto politico degli illuministi italiani,improntato alla gradualità come metodo espansivo per realizzare una società giusta ed equa in grado di garantire i diritti dell’uomo.

Abbandono di ogni intervento pedagogico educativo delle masse popolari

Restrizioni della libertà politica però con un rinnovato impegno nel campo dell’educazione pubblica. ( Filangieri: “la libertà di un popolo si difende anche educando”.)

Uno dei principali motivi della vigorosa opposizione degli illuministi italiani alle teorie politiche di Rousseau stava nell’avversione alla riproposizione del principio della democrazia diretta degli antichi nel mondo moderno. Contro questa tesi si schierarono Carli, Delfico, Grimaldi e lo stesso Filangieri, mettendo in guardia dai rischi che la moderna libertà civile poteva incorrere di fronte a una malintesa forma di libertà politica alla maniera degli antichi.Pagano aveva messo in guardia dai pericoli delle “pure democrazie”e di un potere legislativo dispotico, legittimamente esercitato in nome del popolo sovrano contro i diritti dell’uomo.Grimaldi nelle sue opere non faceva che ripeterlo (citando episodi della rivoluzione inglese e Masianello) che il pericolo del dispotismo poteva venire a opera di un solo individuo, così come di un gruppo, ma anche da parte di una moltitudine.Dibattiti sulle Riforme:A Napoli il dibattito sulle riforme della pubblica istruzione si concluse con la scelta di una graduale emancipazione popolare attraverso l’educazione.

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Non si poteva concedere il diritto di voto a tutti, come non tutti potevano essere eletti; eliminato il principio ereditario occorreva trovare delle alternative, furono presi in considerazione: il principio del merito, la proprietà e il censo. Il popolo per Pagano era formato da una classe aperta, in perenne allargamento, il cui spirito repubblicano andava educato ai costumi repubblicani.

Fondamentale era trasformare la plebe in un popolo consapevole, sorvegliando il comportamento di tutti i cittadini.Solo al popolo, consapevole dei suoi diritti, ma anche dei suoi doveri di cittadini, spettava quel tremendo potere connesso al diritto d’insurrezione, che la costituzione termidoriana aveva cancellato.

Rispetto alle costituzioni francesi, Pagano non esitò a mutare i compiti e le funzioni che la Commission des Onze attribuiva al sistema bicamerale francese, egli ridefinì dalle fondamenta l’organizzazione della giustizia. Netta e clamorosa era la sua presa di distanza dal modello costituzionale elaborato dalla cultura rivoluzionaria europea è certamente nell’istituzione della Magistratura degli Efori. Lì stavano il suggello definitivo di un modello completamente differente di intendere il costituzionalismo moderno.Gli Efori rappresentano il cardine della costituzione napoletana del ’99.Quel tribunale supremo, creato per “la custodia della costituzione e della libertà”, sanciva il carattere peculiare nel modo d’intendere il costituzionalismo da parte della scuola napoletana del diritto naturale.“l’aggiunta fatta da noi alla costituzione francese, con l’introduzione degli Efori per dare una risposta definitiva a quel timore che dobbiamo avere del dispotismo e di ogni potere arbitrario.Come aveva spiegato Filangieri, la pratica costituzionale inglese, fondata sul contrasto e sull’equilibrio automatico dei poteri (che tanto aveva colpito Montesquieu nell’Esprit des lois) convinceva poco e presentava troppi margini d’incertezza e di pericoli.Non che ricorrere al principio della separazione per risolvere il problema delle garanzie costituzionali contro l’usurpazione dei poteri fosse sbagliato. Pagano criticava la filosofia stessa del costituzionalismo rivoluzionario francese troppo dipendente dalle idee, talvolta inconciliabili, di Montesquieu e di Rousseau.Sia dalla costituzione giacobina del ’93, sia in quella termidoriana del ’95, il principio di separazione era stato assunto come punto di riferimento caratterizzante, ma con risultati poco rassicuranti.Nel ’93 prevalse una lettura rousseauiana della costituzione, la proclamazione solenne della divisione dei poteri non era stata in grado di arginare l’egemonia del potere legislativo e alle manipolazioni che ne faceva il Comitato di Salute Pubblica.Nel ’95, ammaestrati dal Terrore, e nonostante le teorie di Montesquieu sulla divisione fossero state ulteriormente rafforzate, le cose non parevano migliorare, e di fatto si stava andando verso il blocco reciproco delle attività dei poteri.

Pagano criticava sia la costituzione del ’93 in quanto: se il potere esecutivo è troppo indipendente dal corpo legislativo, l’Assemblea assorbirà il potere esecutivo e concentrerà in essa tutti i poteri divenendo dispotica.Il caso della costituzione del ’95: i 2 poteri sono indipendenti uno dall’altro potranno sorgere 2 disordini, o l’inazione o la distruzione da parte del potere legislativo del potere esecutivo e giudiziario.

1. Nel mondo antico esistevano già delle istituzioni simili alla Magistratura degli Efori, a Roma esisteva il Tribunato, mentre a Sparta c’era il Consiglio degli Efori, però entrambe le magistrature erano dirette solo contro le usurpazioni del potere esecutivo (all’epoca non esisteva ancora la divisione dei poteri).

2. Il Tribunato prospettato nel Contratto sociale da Rousseau (il quale tra l’altro non accettava il principio della pluralità dei poteri sovrani) era pensato solo per difendere il primato del legislativo dai tentativi autoritari del governo.

3. il Corpo degli Efori della costituzione napoletana ad opera di Pagano nel suo Progetto era un tribunale supremo che avesse la custodia della Costituzione e della libertà. Esso farà rientrare il potere esecutivo nella sua linea se mai l’abbia oltrepassata, esso opporrà un veto al corpo legislativo se in qualche caso usurpi l’esecuzione.

Mentre la costituzione dell’anno III (francese) dedicava un intero articolo, il 22 della Dèclaration, al principio della divisione, facendone il fulcro autentico del suo impianto, in quella napoletana il principio appare dato per scontato ed esplicitamente richiamato in occasione dell’analisi dettagliata dei compiti dell’eforato. La divisione dei poteri senza una suprema corte di giustizia costituzionale capace di imporne il rispetto non aveva alcun senso per Pagano.

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[LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE

Anche a Parigi, in molti cominciavano a rendersi conto che forse non era più sufficiente far riferimento alle sole indicazioni dei due grandi padri del costituzionalismo francese: Montesquieu e Rousseau. Occorreva introdurre nuovi meccanismi e istituti di garanzia costituzionale; tuttavia al termine di un tempestoso confronto, prevalse ancora una volta la scelta di privilegiare la strada tradizionale del primato legislativo come ultima fonte di ogni legittimità: l’uomo forte della Commission, Antoine- Claire Thibaudeau bocciò l’ipotesi di Sieyès (Jury constitutionnaire) di proporre qualcosa di simile a una moderna corte costituzionale, chiedendo chi avrebbe controllato i controllori.In realtà, dietro l’ipotesi di un costituzionalismo basato sul principio di una corte suprema con compiti simili alla Magistratura degli Efori si celava un pensiero giuspolitico molto distante da quello che stava emergendo nella Francia rivoluzionaria: un pensiero che veniva da lontano e fondato essenzialmente sulle suggestioni del diritto naturale, e in particolare, sulla centralità indiscussa dei diritti dell’uomo e sulla necessità d’intervenire nel potenziale conflitto tra i principi costituzionali e quelli di sovranità della nazione.Cominciava a delinearsi la contrapposizione tra la concezione illuministica del diritto, che poneva i diritti dell’uomo al di sopra della storia, e la concezione storicistica romantica del diritto che legava invece il diritto alla storia e quindi alla sovranità legislativa dei popoli e delle nazioni.

La scuola napoletana era quella che con maggio rigore aveva meditato su queste questioni filosofiche e storiche (Gravina e Vico), approfondendo il nesso tra diritto e politica nel mondo moderno, elaborando un’originale interpretazione illuministica del costituzionalismo di matrice giusnaturalistica proprio con La scienza della legislazione. Uno degli autori chiave del dibattito nel Mezzogiorno era stato John Locke. Sin dagli anni ’30, con l’arrivo a Napoli dei Cappellano maggiore del Regno, Celestino Galiani, le idee del filosofo inglese erano state al centro di discussioni.Genovese ne aveva rilanciato il contrattualismo e la distinzione tra legge di natura e leggi positive.

1. legge di natura: da cui traevano legittimità i diritti dell’uomo, permaneva ne tempo e agiva in ogni luogo, quale regola eterna, vincolante per il legislatore e per tutti gli esseri umani. (le norme che i legislatori creano a guida delle azioni degli altri uomini e delle proprie devono essere conformi alla legge di natura, cioè al volere di Dio, di cui essa non è che l’espressione). Nessun potere legislativo poteva andare contro le leggi di natura. Prima ancora dell’esercizio della sovranità popolare veniva il rispetto dei diritti dell’uomo.

Filangieri riformulò sul piano giuridico, in termini di diritto positivo, questa filosofia politica, sottolineando quanto fosse necessario che tutte le leggi si ispirassero sempre ai principi del diritto naturale.Anche Pagano nei “Saggi politici” esprimeva questa convinzione scrivendo:” i diritti degli uomini sono nel cure di ciascuno scolpiti; l’idea di un ordine morale, prima che si intenda, per tutti si sente”.“la Scienza della legislazione” aveva spiegato la nuova funzione che doveva assumere la costituzione per gli illuministi sotto forma di un testo scritto, rigido, di pochi principi e di leggi fondamentali, superiori per natura alle leggi ordinarie del parlamento.

Pagano era andato oltre, nei ”Saggi” aveva che non tutte le leggi civili era legittime e garanti della libertà e dei diritti, quindi si apriva il problema di come assicurare il rispetto dei principi costituzionali da parte del legislatore.

Nel “Progetto” del’99 era evidente che per far rispettare una costituzione, in cui erano consacrati norme e principi considerati eterni, occorreva un tribunale supremo e dei giudici in grado di esercitare il controllo giudiziario sulle leggi ordinarie prodotte dal potere legislativo. In questo spirito nasceva il Corpo degli Efori, con l’obbligo di “rappresentare al corpo legislativo l’abrogazione di quelle leggi che sono opposte ai principi della costituzione. Spettava a questo organo il compito di controllare che la costituzione fosse conservata in tutte le sue parti, intervenendo con decreti esecutivi che cassavano atti e leggi in rotta di collisione con l’ordinamento costituzionale.

In Francia tutto ciò non avvenne, nel 1795, la soluzione trovata fu il ricorso all’articolo 377, l’ultimo del testo costituzionale: “ il popolo francese affida la presente costituzione in deposito alla fedeltà del Corpo legislativo, del Direttorio esecutivo, degli amministratori e dei giudici; alla vigilanza dei padri di famiglia, alle spose e alle madri, all’affetto dei giovani cittadini, al coraggio di tutti i francesi.Una formulazione stupefacente per la sua ingenuità che fa riflettere sulle profonde differnze tra il costituzionalismo napoletano e quello francese.

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