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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 93 OTTOBRE 2020 CITTÀ DEL VATICANO DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 93 OTTOBRE 2020 CITTÀ DEL VATICANO SORELLE Sguardi diversi Chiara Frugoni Camilla Baresani Santa Chiara di Assisi Santa Angela Merici Le due sorelle di Pablo Picasso Sisterhood Sororità Sorority Sorellanza Sororitas Sororidad Sororité

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 93 OTTOBRE 2020 CITTÀ DEL VAT I C A N O

D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 93 OTTOBRE 2020 CITTÀ DEL VAT I C A N O

SORELLE

Sguardi diversiChiara Frugoni

Camilla BaresaniSanta Chiara di AssisiSanta Angela Merici

Le d

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Sisterho o d S o ro r i t àS o ro r i t y S o re l l a n z a S o ro r i t a s

S o ro r i d a d S o ro r i t é

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numero 93ottobre 2020

LE IDEE

Sorelle, sorellanza, sororità. Indicano unione, comunione, reci-procità tra donne. L’ultimo termine è un concetto relativa-mente recente, c’è chi lo associa con toni critici a pratichefemministe che non condivide. Noi speriamo che stimoli la ri-flessione e contenga qualche scintilla di profezia nell’intento

di «Donne Chiesa Mondo» di leggere le questioni che riguardano laChiesa e il mondo con gli occhi e la prospettiva delle donne. Ciò chespesso manca nel pensare la Chiesa e nel pensare della Chiesa.

La reciprocità rinchiusa nel termine sororità ricorda questioni centralidella ecclesiologia postconciliare. La Lumen gentium ravviva l’immagine del-la Chiesa come Popolo di Dio, nel quale tutti i cristiani condividono lastessa dignità in quanto battezzati. Ognuno partecipa della vita e missionedi Cristo, Sacerdote, Profeta e Re. Non ci sono categorie di cristiani, madiversi ministeri con identica dignità. In conseguenza, la Chiesa è chiamataa vivere la sinodalità, intesa come un camminare insieme di tutti. La Chie-sa sinodale è partecipativa e corresponsabile (Commissione Teologica In-ternazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 67). L’auto -rità dei vescovi deve favorire e sancire questa partecipazione.

Reciprocità, gratuità, collaborazione, che sono fondanti del concetto disororità, sono anche ingredienti fondamentali della sinodalità. E, dunque,la particolare sensibilità relazionale delle donne potrebbe favorire la sino -dalità come dimensione costitutiva della Chiesa. Le donne hanno dimo-strato abilità nel promuovere la partecipazione di tutti nei processi che ri-guardano tutti. Se la loro presenza nei luoghi dove si prendono decisionipuò giovare ad uno slancio missionario che coinvolga l’intero Popolo diDio, la domanda è se siamo aperti a questo tipo di conversione missiona-ria delle strutture ecclesiali (Evangelii gaudium, 27 – 31). Dal punto di vistapsicologico, i rapporti di reciprocità e collaborazione rendono le personecapaci di esercitare correttamente l’autorità. Quando non si sa essere fra-tello o sorella né stabilire rapporti di collaborazione reciproca, difficilmen -te ci può essere autorità senza abusi. Lo stimolo della sororità può aiutarea purificare gli abusi di potere che oggi si verificano nella Chiesa. Ma sia-mo pronti ad accogliere questo stimolo? Giova riflettere su questa doman-da e quelle che ne conseguono, anche nella loro carica provocatoria. Nonsi è sorelle solo tra donne, si è sorelle anche di uomini.

La nuova enciclica di Papa Francesco si intitola «Fratelli tutti».

MA R TA RODRIGUEZ

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romano

Sito WebW W W.O S S E R VAT O R E R O M A N O.VA /I T/

D ONNE-CHIESA-MOND O.HTML

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Stessa dignità

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D ONNE CHIESA MOND O 2 D ONNE CHIESA MOND O3

SOMMARIO

LE IDEE

Stessa dignità

MA R TA RODRIGUEZ A PA G . 1

QUESTO MESE - AMERICA L AT I N A

Una doppia esperienzarende più forte la fede

LUCIA CAPUZZI A PA G . 4

CORSO DI TEOLO GIA

La parola delle donnenella Chiesa

A PA G . 7

QUESTO MESE - TRIBUNA

Amoris laetitia: un aereoancora in fase di decollo

MARCELA MAZZINI A PA G . 8

QUESTO MESE - LIBRI

Una incandescentecorrispondenza con Maria

MARIE CI O N Z Y N S KA A PA G . 10

TAV O L A ROTONDA

“Sororità è spingersial di là di ogni confine”

FEDERICA RE DAV I D PA G . 11

PERCORSI

Ivana Ceresae la parola che non c’era

ELISA CALESSI A PA G . 27

LE STORIE

L’ultima beghina

GLORIA SAT TA A PA G . 30

LA STORIA

Quando le donneentrarono in Concilio

ST E FA N I A FALASCA A PA G . 32

LA F O R E S TA SILENZIOSA / ETIOPIA

Almea e l’eredità della nonna:dare da mangiare ai poveri

LILLI MANDARA PA G . 38

PRO MEMORIA

Auxiliumlezione di indipendenza

GLORIA SAT TA PA G . 40

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LE IDEE

Dire sororità non èstravaganza femminista

GIORGIA SA L AT I E L L O A PA G . 21

Rabi’a, la madredella spiritualità islamica

SHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH A PA G . 37

17 D ONNECHIESAMOND O

CO M I TAT O DI DIREZIONE

Ritanna ArmeniFrancesca Bugliani Knox

Elena Buia RuttYvonne Dohna Schlobitten

Chiara GiaccardiShahrzad Houshmand Zadeh

Amy-Jill LevineMarta Rodríguez Díaz

Giorgia SalatielloCarola Susani

Rita Pinci (co ordinatrice)

IN REDAZIONE

Giulia GaleottiSilvia Guidi

Valeria PendenzaSilvina Pérez

RE A L I Z Z AT O INSIEME AElisa Calessi, Lucia Capuzzi,

Laura Eduati, Romilda Ferrauto,Federica Re David

PRO GETTO GRAFICOPiero Di Domenicantonio

COPERTINAAnna Milano

A CURA DIMarco De Angelis

REDAZIONEredazione.donnechiesamondo.or@sp c.va

ABBONAMENTIosservatoreromano.va/it/pages/abb onamenti.html

abb onamenti.donnechiesamondo.or@sp c.va

SG UA R D I DIVERSI

Povertà e lavoro:la rivoluzione di Chiara

CHIARA FRUGONI A PA G . 17

SG UA R D I DIVERSI

La scelta di Angelapioniera del riscatto

CAMILLA BARESANI A PA G . 22

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D ONNE CHIESA MOND O 4 D ONNE CHIESA MOND O5

QUESTO MESE AMERICA L AT I N A

Una doppia esperienzarende più forte la fedeUna teologia “fatta da donne” tra uguaglianza e progetti solidali

di LUCIA CAPUZZI

Lo zucchero sprofondava nella mar-garina sotto la pressione del cuc-chiaio di legno rivoltato senza sostada Diana. Gli altri 15, donne e uo-mini, sistemavano gli ingredienti e,

nel mentre, chiacchieravano. Lo spazio era stret-to ma non ci badavano. Avevano trovato un or-dine tutto loro: la più anziana appollaiatasull’unica sedia, il resto accovacciato sul pavi-mento o appoggiato alla parete. L’impasto ave-va quasi raggiunto la giusta consistenza quandoSocorro ha cominciato a leggere: «Venne il gior-

no degli Azzimi, nel quale si doveva sacrificarela Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni, di-cendo: “Andate a prepararci la cena pasquale,affinché la mangiamo”». Per un anno, una mat-tina alla settimana, Socorro Vivas Albán — do-cente di Teologia all’Universidad Javeriana diBogotà — si è recata alla periferia sud della ca-pitale accompagnata da un’équipe di studenti.Nel quartiere Bolívar, dove centinaia di migliaiadi sfollati avevano cercato rifugio dagli orroridella guerra civile, ha radunato un gruppo dipersone senza lavoro. Le ha messe intorno a untavolo e ha insegnato loro a fare biscotti da ri-vendere per sopravvivere. Nel mentre, la teologa

commentava con loro il brano dell’Ultima cena,come raccontato da Luca. Tra fornelli rudimen-tali e pentole, le parole evangeliche sono uscitedalla carta e si sono mescolate alle vite dei par-tecipanti, ferite dalla povertà, dall’esclusione,dalla violenza. Cucendo gli strappi, curandoli,lenendo il dolore, illuminando gli angoli bui.Dopotutto la teologia somiglia all’arte culinarianella capacità di sciogliere i “g ru m i ” della fede efarla fluire nell’impasto quotidiano dell’esistenzaumana. Socorro Vivas ne è certa: «Il fine diprogetti come questo è trovare nuovi luoghi teo-logici dove, in questo tempo, Dio si rivela». Lastudiosa è una delle fondatrici dell’Asociación co-

lombiana de teólogas (Act), uno spazio per pen-sare la fede al femminile. Nato nel 1999, è unodei molti movimenti con cui, nell’ultimo mezzosecolo, le cattoliche latinoamericane, laiche e re-ligiose, hanno cercato di farsi protagoniste dellacostruzione del Regno. Un fermento ispiratodal Concilio e dalla sua incarnazione nel Conti-nente, con le Conferenze dell’episcopato lati-noamericano di Medellín e Puebla. «Cin-quant’anni fa, le donne non studiavano teolo-gia. Né tantomeno la facevano. Il sapere teolo-gico era patrimonio esclusivo degli uomini diChiesa – spiega una delle esponenti della prima

generazione di teologhe latinas, la colombianaIsabel Corpas de Posada, anche lei colonnadell’Act -. Il Concilio ha cambiato le cose, resti-tuendo alla teologia l’altra metà dell’esp erienzaumana». Quella metà senza la quale, come nar-ra la Genesi, l’immagine del Creatore è mutila-ta.

Proprio nell’anno di Puebla, il 1979, si è svol-to in Messico, il Congresso di Tepeyac, conside-rato uno degli incubatori di quella che poi èstata definita la “teologia femminista latinoame-ricana”, avviata dagli studi delle pioniere Eliza-beth Schüssler Fiorenza, María Clara Bingemer,Nancy Pineda, María Alicia Brunero, María Pi-lar Aquino. La loro memoria viene raccolta etramandata grazie al lavoro delle eredi. Il termi-ne “femminista” può suonare “sosp etto” a certeorecchie clericali. In realtà, esso va compreso al-la luce del contesto. «Non si tratta di un ma-schilismo al contrario, la nostra non è una teo-logia rivendicativa. Al contrario. Riflettiamo sul-la fede a partire dalla nostra esperienza di don-ne. E cerchiamo di vivere e promuovere l’ugua-glianza, anche fra uomini e donne, come cichiede Gesù nel Vangelo. Per questo, per evita-re pregiudizi o inutili fraintendimenti preferisco

Viaggio nei movimenti con cui da 50 annilaiche e religiose centro e sudamericane

cercano di farsi protagoniste nella ChiesaUn fermento ispirato dal Concilio

Voci da Argentina, Messico, Colombia, Guatemala

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«Si sentono voci lontane con cuiprima o poi dovremo avere a che fare:sono voci di donne»: lo disse Paolo VI,cinquant’anni fa. Sulla “p a ro l a ” delledonne nella Chiesa il coordinamentoTeologhe italiane organizza a partiredall’8 ottobre un corso online di primolivello, «Teologia delle donne»: ottolezioni tematiche e due confrontiinterdisciplinari con la presenza di piùdocenti, tra le quali Lucia Vantini,Adriana Valerio, la stessa CristinaSimonelli, Marinella Perroni, SilviaZanconato, Elizabeth Green, SerenaNoceti, Antonietta Potente.Dopo aver disegnato una mappad’orientamento nel paesaggio dellateologia delle donne, il corso tratta di«Bibbia e le donne: il Nuovo el’Antico Testamento», prevede unconfronto con le docenti e poi, nelsecondo step, offre una riletturaprofonda della vita religiosa eapprofondisce i limiti del “discorso suD io” e sulla “fisionomia delle Chiese”.Il corso si rivolge a tutti e offre unaconoscenza di base delle prospettive,dei temi, dei metodi e dei contesti chele donne hanno elaborato e praticatonella storia della teologia.Un patrimonio straordinario che spessorischia di essere sottovalutato e frainteso acausa di una memoria poco educata alledifferenze e impreparata alla pluralità.I corsisti potranno inviare le adesionivia mail a partire dalla settimanaprecedente l’inizio del corso, al sitow w w. t e o l o g h e . o rg

L.M.

parlare di teologia fatta dalle donne» spiegaMarcela Mazzini, teologa dell’Università Catto-lica argentina e una delle ideatrici di Teologan-da [a pagina 8 un suo intervento sul Sinodo della

Famiglia ] . «Ho frequentato la Facoltà di Teo-logia quando non c’era nemmeno una docentedonna di tale materia. Una volta laureate, ab-biamo iniziato a riunirci fra ex compagne dicorso. Dopo anni di incontri informali, ci siamodate una struttura nel 2003 con l’obiettivo di in-centivare la teologia al femminile. Abbiamo rea-lizzato un ampio lavoro di ricerca in quattro to-mi che raccoglie il contributo delle principaliteologhe latinoamericane. Anche grazie alla col-laborazione con l’Associazione delle teologhecattoliche tedesche, inoltre, abbia realizzato in-contri internazionali. E ora andiamo avanti pro-ponendo progetti di ricerca e borse di studio»,afferma l’accademica di Buenos Aires, ferma-mente convinta della necessità che le donne fac-

ciano teologia. «Perché la fede deve essere pen-sata da tutti i luoghi esistenziali possibili. Il di-scorso teologico è impregnato dal contesto. Nonè lo stesso che a formularlo sia un maschio ouna femmina, un laico o un presbitero» conclu-de. Per tale ragione, la teologia al femminilenon è «roba da donne», come non si stanca diripetere Lucila Servitje, esponente del consigliodella Cattedra di teologia femminista costituitanel 2016 all’interno dell’Università Iberoameri-cana di Città del Messico. «Ci proponiamo diinterpretare la fede a partire dall’esperienza fem-minile. Un lavoro non solo a vantaggio delledonne. La loro discriminazione rappresenta unaferita anche per gli uomini, privati di altri modidi immaginare il rapporto con Dio e, dunque,di vivere la loro piena umanità. Non si tratta dinegare la differenza tra i generi ma di lottareperché questa non sia utilizzata per giustificarela diseguaglianza. La teologia femminista non è

un gruppo di pressione in favore del sacerdoziofemminile. E’ un servizio in favore di ogni esse-re umano. Non a caso del consiglio della catte-dra fanno parte teologhe e teologi».

«Non vogliamo sostituire un dominatore conuna dominatrice. Bensì lottiamo evangelicamen-te contro ogni relazione di dominio, in cui l’al-tro viene ridotto a oggetto, poiché si tratta diuna situazione di peccato che avvelena il cuoredi chi sfrutta e di chi è sfruttato»” sottolineasuor Geraldina Céspedes, missionaria domeni-cana del Rosario e teologa dell’Università Ra-fael Landívar di Città del Guatemala dove, nel1994, insieme alle compagne di corso e a due in-segnanti ha avviato il gruppo Mujeres y teología.Ventisei anni dopo, al tradizionale incontro an-nuale con il pubblico, si ritrovano centinaia dipersone. «Condividiamo e ci adoperiamo permettere in pratica il sogno di Gesù – prosegue –di una comunità inclusiva, dove ci sia posto pertutti».

José León Suárez, affollata cintura urbana diBuenos Aires. Consuelo era scettica sul circolo.Impegnata nel quotidiano sforzo di sopravvive-re alla crisi cronica, pensava di non avere tempoper le attività astratte. La Bibbia, invece — haimparato nelle riunioni settimanali — ha moltodi concreto da dire alla sua vita di donna pove-ra e vittima di violenza. Nella Parola, nellechiacchierate, negli esercizi di rilassamento edanza ha trovato forza e speranza. Proprio perquesto, un gruppo di religiose, tredici anni fa,ha creato Arraigos para la vida, circoli femminiliormai diffusi in tutta l’Argentina. «Il Vangelorestituisce piena dignità a chi è stato a lungo“scartato” – conclude la sociologa Ana LourdesS u á re z , veterana di Arraigos — E nel farlo tra-sforma la vita. L’ho visto accadere molte volte.Quando gli esseri umani camminano fianco afianco. Diventando Buona Notizia, gli uni pergli altri».

La parola delle donnenella Chiesa

Murales a Esteli in Nicaraga(Facebook, dal profilo Nucleo Muyeresy Teologia). Nelle pagine precedenti,uno dei circoli di Arraigos para la vida(Facebook, dalla Community)

CORSO DI TEOLO GIA

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D ONNE CHIESA MOND O 8 D ONNE CHIESA MOND O9

Amoris laetitia: un aereoancora in fase di decollo

A cinque anni dal Sinodo sulla famiglia, una riflessione di chi c’e ra

di MARCELA MAZZINI*

In un soleggiato giorno di ottobre del2015 abbiamo concluso con immensagioia il Sinodo sulla famiglia. Dibattitiintensi e qualche polemica, affrontati inaula a partire da un magnifico docu-

mento di lavoro, hanno mostrato una Chiesache capiva che la famiglia era cambiata, che lerisposte che eravamo soliti dare non servivanopiù, perché i mutamenti vissuti dalle famiglienegli ultimi decenni erano così profondi da avertrasformato persino le domande.

Ci siamo chiesti che cosa avrebbe fatto il Pa-pa con tutti quegli interrogativi e dibattiti pla-smati nella relatio finalis, pubblicata subito on li-ne dallo stesso Francesco, una volta terminatal’Assemblea. Siamo ritornati ai nostri paesi conmolte idee, iniziative pastorali e domande, e conla certezza che qualcosa d’importante era acca-duto e sarebbe accaduto.

Il 19 marzo 2016, Francesco ci ha offertol’Amoris laetitia. Non è rimasto intrappolato nel-le questioni sollevate nel sinodo e neppure inquelle che non si è potuto affrontare. Il Papa ciha parlato della gioia dell’amore che si vive nel-

le famiglie, come giubilo della Chiesa (cfr. Am o -ris laetitia, n. 1). Ci ha mostrato la centralità deivincoli tra i coniugi, i genitori e i figli, la fami-glia piccola e grande, i giovani e i nonni, e ciha invitati a vivere una nuova pedagogiadell’amore. A crearla, a farla.

Appena uscito il documento, un teologo ami-co mio mi ha detto: «Questo testo è un aereo!»,per esprimere la forza e le possibilità che vi siintravedevano.

Quando è giunto a queste latitudini, moltepersone legate alla pastorale familiare non han-no intuito che i capitoli centrali erano il 4 e il 5(sull’amore cristiano) e si sono invece focalizza-te sul famoso capitolo 8, che non è stato neppu-re chiamato con il suo vero nome (Ac c o m p a g n a re ,discernere e integrare la fragilità) ma definito “ilcapitolo dei divorziati che vivono una nuovaunione”. In tal senso, la ricezione è stata diffici-le, piuttosto ecclesiastica e a volte riduzionista,concentrandosi sulla domanda: chi può fare lacomunione e quando?

In Amoris laetitia si dice che: «In ogni paeseo regione si possono cercare soluzioni più incul-turate, attente alle tradizioni e alle sfide locali»(n. 3). I vescovi della regione di Buenos Aireshanno redatto un documento con criteri di base

per l’applicazione del capitolo 8. Tale documen-to è stato ratificato da Papa Francesco come at-tuazione valida dell’esortazione (w2.vati-

c a n . v a / c o n t e n t / f ra n c e s c o / e s / l e t t e rs / 2 0 1 6 / d o c u m e n -

t s / p a p a - f ra n c e s c o _ 2 0 1 6 0 9 0 5 _ re g i o n e - p a s t o ra l e -

b u e n o s - a i re s . h t m l ) .

I dibattiti teorici sul capitolo 8 sono prose-guiti nei circoli pastorali e teologici, ma in con-creto la prassi pastorale delle comunità non ècambiata molto. Questo perché le affermazionicontenute in Amoris laetitia sulla ricezione deisacramenti erano qualcosa che, di fatto, si vive-va già in molte comunità cattoliche dell’A rg e n t i -na, specialmente nei quartieri popolari. La mag-gior parte del “santo popolo fedele di Dio”, co-me Bergoglio ama dire, ha trovato in Amoris lae-

titia quello che già percepiva e viveva, ma sen-tirlo dal Papa è stato molto incoraggiante.

mentale, senza capire l’essenza dell’esortazione edi tutto il pontificato di Francesco, che si rias-sume nel seguente paragrafo: «Siamo chiamati avivere di misericordia, perché a noi per primi èstata usata misericordia», poiché «l’a rc h i t r a v eche sorregge la vita della Chiesa è la misericor-dia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbeessere avvolto dalla tenerezza con cui si indiriz-za ai credenti; nulla del suo annuncio e dellasua testimonianza verso il mondo può essereprivo di misericordia» (n. 310).

La riforma di Francesco, che ha cuore di mi-sericordia, finora non è stata del tutto recepitain questo documento sulla famiglia che contieneuna grande ricchezza, ancora non sufficiente-mente scoperta né sviluppata. Per il momento,riprendendo l’espressione coniata dal mio ami-co, è un aereo ancora in fase di decollo.

In concreto, in questo ambito possiamo elen-care alcuni temi che non sono stati sviluppati: ilposto delle donne nella società, nella famiglia,la questione del genere, la violenza di cui sonovittime, il maschilismo, (cfr. nn. 49, 54-55, 154-156, 197) e altri ancora. Temi che hanno avutopoca eco pastorale, teologica e sociale.

Ma il bello dei testi è che stanno sempre lì,in attesa di un’occasione per essere scoperti.Speriamo che questo “a e re o ” concluda il suodecollo, per la felicità di tante persone e di tan-te famiglie.

*Teologa, docente della Pontificia UniversitàCattolica Argentina - Facoltà di teologia e Direttoredel Diploma in competenze educative per la vitainteriore Università di San Isidro Dr. PlácidoMarín di Buenos Aires. Ha partecipato comeuditrice al Sinodo sulla famiglia del 2015

QUESTO MESE TRIBUNA

Alcuni temi non sono stati sviluppati:il posto delle donne nella società,nella famiglia, la questione del

genere, la violenza, il maschilismo

Bisogna dire — per amore di giustizia — chemolte coppie hanno iniziato un cammino di di-scernimento nella loro situazione sacramentaleche le ha portate, ognuna a suo modo, a unamaggiore vicinanza alla comunità ecclesiale. Cisono stati anche tentativi di rinnovare la pasto-rale familiare in generale e prematrimoniale inparticolare, anche se con scarso impatto sullecomunità. Rincresce che ci si sia concentratitroppo spesso sul dibattito della ricezione sacra-

Papa Francescodurante il Sinodo sulla famiglia

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D ONNE CHIESA MOND O 10 D ONNE CHIESA MOND O11

QUESTO MESE LIBRI

non smette di accompagnare il popolo nel suocammino di liberazione e nella sua lunga marciaverso la terra promessa, e il Verbo che si è fattocarne nel tuo ventre — scrive —. Sì, Maria, tu seidiventata l’Arca santa portandolo, e ci inviti afare delle nostre vite arche sante». OsservandoMaria, la religiosa s’interroga: «A volte mi do-mando se aspetto ancora che qualcuno vengacosì a deporre tuo figlio nelle mie mani. Mi do-mando se l’attendo abbastanza, se la mia sete èintatta, o se il tempo l’ha spenta. Ti devi esserecommossa molto, Maria, nel vedere così la rea-zione di Simeone, quel vecchio uomo che atten-deva la consolazione d’Israele. È forse questostato d’animo che occorre avere per riceverel’unigenito tra le proprie mani: attendere la con-solazione del mondo, spiarla come se ne andas-se della nostra vita». Si dice a volte che unbuon libro è quello che a sua volta fa venire vo-glia di scrivere. Questa corrispondenza di AnneLécu va oltre: apre un’amicizia con Maria, «atutte e a tutti coloro che vorranno intrufolarvi-si». È quindi difficile richiudere queste letteresenza avere, a propria volta, la sete di rivolgersialla madre: «che guarda la morte in faccia», alla«sorella maggiore che c’insegna la vita dei di-scepoli», alla figlia d’Israele che assomiglia aogni donna di questo popolo, alla donna, fedelee retta, «in piedi nella notte per pregare in no-me di tutti coloro che dormono».

[1] À Marie, L e t t re s , Anne Lécu, Cerf, settem-bre 2020

TAV O L A ROTONDA

“Sororità è spingersial di là di ogni confine”

Sei donne si confrontano su un concettoche personalmente sperimentano in modi diversi.

E pongono anche la questione del linguaggio, che «non è neutro»«Laiche e religiose: per prime dovremmo eliminare

tra di noi questa distinzione»

di FEDERICA RE DAV I D

Da bambina, ho parlato molto conte. Mi ricordo di essere venuta asupplicarti in una chiesa mentreero in vacanza perché guarissi unmio parente con un calcolo ai re-

ni che gli faceva male. E poi, crescendo, ti holasciata, spaventata dai devoti che tradivanoquel volto giovane, vivace, che amavo di te. Mici è voluto molto tempo per seguire di nuovodal di dentro il passo del piccolo popolo deicredenti e avvicinarmi a te senza timore di tradi-re né quelli che confidano in te né quelli chenon sopportano vergini in plastica e oggetti de-rivati”. Inizia così la prima delle ventinove lette-re indirizzate da suor Anne Lécu, religiosa do-menicana francese e medico nelle carceri, allaVergine. Questa corrispondenza, questo cantodell’anima, di una donna a un’altra, composto

in una lingua semplice e al tempo stessopoetica, non è soltanto preciso teologi-camente e profondo psicologicamente espiritualmente. È un’odissea dove sicammina con Maria, dove la si sente ri-dere e piangere, dall’Annunciazioneall’Assunzione, dove si piange e dove sirespira con lei. «Scriverti così — sussurrasuor Anne Lécu — è bere alla fonte puradi un corso d’acqua selvaggio». [1]

E quest’acqua selvaggia è movimento,lontano dalle rappresentazioni ieratiche e melli-flue della Vergine. «C’è un filo teso tra l’e s p re s -sione “viaggiatrice di Dio” che, nel Decalogo,

Una incandescente corrispondenza con MariaNuovo libro di Anne Lécu, un’odissea dell’anima

di MARIE CI O N Z Y N S KA

1. Patrizia Morgante2. Cristina Simonelli

3. Paola Lazzarini4. Anna Maria Vissani

5. Cristiana Gualtieri6. Antonietta Potente

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D ONNE CHIESA MOND O 12 D ONNE CHIESA MOND O13

crisi o separate». Paola Lazzarini si definisce «una sorella (di un fra-tello) senza sorelle. Ne ho sempre sentito il bisogno, le ho cercate al-trove. Dopo la laurea, sono entrata nella comunità delle Ausiliatricidelle Anime del Purgatorio e ho scoperto cos’è la sororità: non sce-gliersi, ma trovarsi, doversi scegliere, imparare a stare assieme, a nonchiudersi la porta in faccia e rintanarsi nella propria stanza. È statobellissimo. Sono rimasta 5 anni, ho preso i voti semplici ma nonquelli perpetui. Poi mi sono sposata e ho avuto una figlia, che è ri-masta unica; è stato molto duro accettarlo. Di nuovo, questo temaveniva a bussarmi alla porta sotto forma di mancanza: io non ero ingrado di rendere sorella mia figlia».

Da questo racconto «mi arrivano echi — confida Patrizia Morgante— nonostante non abbia avuto l’esperienza della maternità. E nonriesco ad ascoltare storie di dolore, di violenza su donne; come sesentissi dentro di me le vibrazioni di questo dolore. Mi chiedo se cu-stodiamo in noi la voce di un inconscio collettivo femminile. Io cre-do che la sororità sia molto legata al rapporto con l’anima, con laparte più intima di noi, che ci spinge a narrarci. Abbiamo un nostromodo di narrare che ci porta autorevolezza... La Uisg è un luogo so-rorale, perché il nostro obiettivo è quello di dare la possibilità allesuore, nella loro diversità, di emergere. Ci stiamo aprendo ad altreforme di vita consacrata, una spinta ad andare oltre le frontiere e i li-miti».

Ed è proprio questo il punto, per Cristina Simonelli: «Il terminesororità, io lo penso come la possibilità di oltrepassare i confini. Diresororità nella Chiesa cattolica, significa pensare a donne laiche e reli-giose senza distinzioni, per le quali l’essere donna viene prima. Vuoldire un impegno ecumenico totale, non per una sola chiesa e al di làdelle chiese. Sperimentare dei legami, delle alleanze oltre ogni confi-namento. Pur praticando il confine; anzi, a volte il confino, perchénon è che io mi senta al di fuori delle collocazioni. Come dice SoaveBuscemi, missionaria laica, stando e disertando».

Cristiana Gualtieri, ha vissuto la sororità come esperienza di ascol-to, di studio, di rilettura corale dei testi. «Ho approfondito nellaBibbia la competizione fra sorelle come Lia e Rachele, l’alleanza frastraniere come Noemi e Rut, la piena accoglienza reciproca fra nonconsanguinee come Elisabetta e Maria. Sento il bisogno di uno spa-zio: nella mia parrocchia non lo trovo più, da quando ho smesso dioccuparmi dei servizi classici come il canto o il catechismo».

Linguaggio, confini, potere, disobbedienza, sono parole ricorrentinelle riflessioni sulla sororità di un gruppo di donne che la speri-mentano in modi diversi. Cristina Simonelli, presidente del Coordi-namento teologhe italiane, docente di Storia della Chiesa e Teologiapatristica alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, 36 anni divita in contesti Rom. Antonietta Potente, teologa, suora domenica-na dell’ Unione di San Tommaso d’Aquino, 20 anni in Bolivia, do-cente universitaria lì e poi a Verona, dove è entrata nella comunità

filosofica femminile Diotima. Paola Lazzarini, sociologa della religio-ne, presidente dell’associazione Donne per la Chiesa. Patrizia Mor-gante, responsabile della comunicazione dell’Uisg. Anna Maria Vissa-ni, suora delle Adoratrici del Sangue di Cristo, teologa morale, mem-bro del comitato giuridico per la nullità del matrimonio della diocesidi Jesi, ex presidente dell’Uism nelle Marche. Cristiana Gualtieri, in-segnante di religione a Porto Sant’Elpidio.

È Cristina Simonelli a porre subito la questione del linguaggio,«che ci resiste, non è neutro. Nonostante mi dia fastidio la declina-zione maschile, in certi casi io stessa, magari in corsivo, devo scriverefraterno invece di sororale. In generale, per parlare di noi, non mipiace stringermi a una categoria: uso indifferentemente femminismo,prospettiva di genere, differenza». Per suor Antonietta Potente, «so-prattutto nella Chiesa, le cose che si dicono sulle donne sono alquan-to confuse. È che forse neanche noi abbiamo un linguaggio cosìchiaro, viviamo nella titubanza. Io credo invece che essere tra donneci dia un’autorità molto grande. Dovremmo eliminare per prime ladistinzione tra religiose e laiche: siamo tutte donne e nessuna fa par-te del clero. Dunque, siamo tutte laiche. È questa la vera distinzioneall’interno della Chiesa: essere clero o non esserlo. Ed è una grazia,questa laicità, perché ci autorizza a sentirci liberate, fuori da unoschema: è la mia spiritualità che mi può far dire che sono cresciutasecondo la tradizione domenicana, non il mio essere suora. Certo, c’èl’ingiustizia, perché ci è stato imposto».

Sororità, aggiunge suor Anna Maria Vissani «non vuol dire chiu-derci tra noi, ma far sbocciare un linguaggio un po’ più femminile,che è ciò di cui parla Papa Francesco. Io l’ho vissuta molto nella re-lazione con uomini: da giovane suora, unica donna nella facoltà teo-logica, qualche seminarista o sacerdote ha pianto sulla mia spalla. Èstato molto difficile. Mi sono sempre detta: Devo mantenere la miadistanza, perché sono una donna consacrata. Ma ho accettato di af-frontare il rischio e ho visto che, pur tremando, noi possiamo daremoltissimo agli uomini. Oggi ascolto e accompagno molte coppie in

Nessuna di noifa parte del clero:questa laicitàè una grazia,p e rc h éci autorizzaa sentircil i b e ra t eÈ la miaspiritualitàa dirmichi sono, nonl’essere suora

Antonietta Potente

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Suor Antonietta Potente cita Simone de Beauvoir: «Donne non sinasce, si diventa. Io la consapevolezza della nostra differenza l’hotrovata entrando in congregazione: il cammino di identificazione conla mia identità profonda ha coinciso con un cammino di trasforma-zione spirituale. Ho avuto la fortuna, in Bolivia, di stare all’internodi una cultura indigena, dove la donna ha un suo ruolo particolare».Dice che in America Latina, però, la teologia femminista ha dovutoaffrontare forti critiche da parte delle gerarchie negli ultimi decenni.«All’università non era facile; ma è proprio questo non facile che ciprovoca il desiderio di trovare altre compagne di viaggio. Credo chedovrebbe essere così anche in politica».

«A me fa molto male — si associa suor Anna Maria Vissani — ve-dere donne riuscire a farsi strada nella politica e imitare gli uomini.Ci potremmo cadere anche noi, all’interno della Chiesa».

E in effetti, il potere può complicare le relazioni fra donne.

«Io non credo — dice Cristina Simonelli — che la sororità sia unaquestione romantica: di sentimento sì, di affetti sì, ma prevede ancheil conflitto, le differenze. E la categoria dell’autorità, la questione del-la sua gestione. Perché un’autorevolezza che non abbia possibilità diagire, che non abbia dunque anche un potere, non so se sia un’auto-rità. Anche in un’associazione come il Coordinamento delle teologhe,io non posso dire di non avere un’autorità. Cerco di gestirla in mododa essere il perno per autorizzare altre. Ecco, intendo pensare l’auto-rità come autorizzazione di altre».

Il tema degli abusi di coscienza nelle comunità religiose non è untabù. «Ne vediamo — dice Patrizia Morgante — perché la suore sonopersone». E introduce un nuovo tema: «La sororità mi fa pensare al-le donne disobbedienti. Credo ci sia una connessione con il Cosmoche ci nutre, perché ci siamo sentite vittime come la Terra…la nuovacosmologia forse nascerà da questo nuovo modo di essere sororali».

Nella vita religiosa, continua Antonietta Potente «se le donne han-no disobbedito, hanno avuto la possibilità di coltivare una creativitàimmensa. Ma se sono rimaste solo nell’ambito istituzionale, questo èstato guidato, anche nello spirito, da uomini. Penso alla differenzafra santa Caterina e santa Chiara...Le comunità religiose hanno avutodelle impronte maschili, proprio in quell’aspetto di cui gli uomininon sanno niente; perché se ci sono dei disastri comunitari, sonoproprio a livello di relazioni maschili permeate dall’individualismo.Poi, siamo esseri umani, e tra donne a volte la relazione è faticosa.Tra noi l’autorità dovrebbe essere più simile al carisma, andrebbe

scoperta seguendo un cammino identitario. Tra gli uomini, nella po-litica, nella Chiesa, l’autorità è un ruolo, una posizione: noi invece,più ci trasformiamo, più percepiamo che ciascuna ha una sua autori-tà. La sororità è un legame cucito con il filo dell’affetto: non dipendedai ruoli, da chi è oggi la madre superiora o chi sarà la prossima».

Secondo Paola Lazzarini, «la parola autorità viene dal latino a u t o r,ma anche da a u g e re , far crescere. A me piace molto l’esempio chestiamo ricevendo da The Squad, le deputate dem statunitensi prove-nenti da minoranze etniche; la loro capacità di fare squadra arrivan-do dai margini. Abbiamo la fortuna di non essere formate ad eserci-tare il potere come gli uomini e questo ci dà la possibilità di farlo inmaniera libera, creativa, che fa crescere l’altro, autorizza, genera: senon è generativo, il potere di per sé può essere mortifero. Nel miopiccolo, da ultima, senza studi teologici, ho radunato una trentina diamiche da tutta Italia per scrivere Il manifesto delle donne per la Chie-

sa. Da qui è nata l’associazione che oggi presiedo. L’idea è viverel’alleanza tra donne valorizzandosi a vicenda, cercando un posto enon accontentandosi, funzionare da grimaldello. Da subito ho cerca-to alleanze anche all’estero e abbiamo dato vita a una rete, CatholicWomens Council. È un grande stimolo e a volte anche una fonte difrustrazione: da attivista, vedo manifestazioni come lo sciopero gene-rale delle Donne di Maria 2.0 l’anno scorso in Germania e mi rendoconto della fatica che facciamo in Italia. Ma è importante questo nonsentirsi sole, che è poi l’essenza vera dell’essere sorelle».

Racconta Anna Maria Vissani: «Alla nostra fondatrice, santa MariaDe Mattias, la Chiesa voleva imporre di fare semplicemente scuola,senza predicare in chiesa, né riunire la gente. Ma lei l’ha fatto. Un ca-risma, un’ispirazione, nasce sempre da un’identità forte e la donnadi per sé deve partorire, abbiamo tutte un grembo nel nostro Dna».Anche la questione degli abusi di coscienza, a suo avviso, ha a chefare però con i tratti comuni femminili: «Forse succede proprio per-ché tra i nostri istinti interiori c’è quello alla rivalità. Ma il rapportocon il potere non è uguale per tutte. Negli incontri internazionali deinostri Istituti religiosi non è facile capirci, perché veniamo da culturediverse. In America, ad esempio, capita che la Regola di Vita sial’unica autorità riconosciuta. In altri continenti, invece, si va dall’attri -buire molto peso ai ruoli, all’accettare facilmente la sottomissione re-ciproca. Seguo Papa Francesco quando dice che alla fine lo SpiritoSanto butta per aria tutto… nei nostri Istituti, però, ancora non c’èriuscito».

La sororitàè una questione

di affettoe di sentimenti,

ma prevedeanche

il conflittoe la gestionedell’autorità,

che intendopensare come

autorizzazionedi altre

Cristina Simonelli

Io le sorelle,ho dovutoc e rc a r m e l e :ho vissutoin una comunitàre l i g i o s a ,c re a t ol’associazioneDonneper la Chiesa,dato vitaa una reteinternazionale

Paola Lazzarini

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di CHIARA FRUGONI

Nell’immaginario collettivo Chiara è vista sempre all’interno del conod’ombra di Francesco, legata a lui da un amore più o meno sublima-to. Il film di Franco Zeffirelli del 1972, Fratello Sole, sorella luna, cheebbe uno straordinario successo, contribuì a ribadire questo stereoti-po. Chiara invece fu una santa dotata di grande coraggio e indipen-denza e di una fortissima personalità.

Quando Chiara aveva incominciato a frequentare Francesco eragiovane, nobile, ricca e bella: così la descrive al processo di canoniz-zazione Giovanni di Vettuta, il famiglio di casa. Dalla madre avevaricevuto una profonda e radicata educazione religiosa: su questa mo-dulava la propria scala di valori, vestendo ad esempio assai modesta-mente per ricordare a se stessa la solidarietà con i diseredati attraver-so la povertà presa a modello, di Cristo e della Madonna. Tuttoquello che però Chiara vedeva intorno a sé nella società di Assisi oche doveva subire in famiglia — la pressione perché accettasse diprendere marito e il successivo rifiuto di Chiara avranno notevolmen-te aumentato le tensioni — era profondamente in contrasto con quan-to le suggeriva il suo foro interiore. Rifiutando il matrimonio, avreb-be avuto davanti a sé un destino obbligato; appassire in casa o farsimonaca di clausura. In questo secondo caso i suoi le avrebbero asse-gnato una dote e nel monastero, essendo lei una nobile, avrebbe vis-suto con i privilegi di nascita.

A diciotto anni la dobbiamo immaginare irrequieta ed infelice, agi-tata da indistinti desideri senza un progetto appagante. Fu Francesco

Povertà e lavorola rivoluzione di Chiara

Le sue «sorores extra monasterium servientes»: sorelle, non serve

SG UA R D I DIVERSI

L’icona di Santa Chiarae delle prime sante dell’o rd i n e ,realizzata da Madre PierpaolaNistri, abbadessa del monasterodi Grottaglie (Taranto)

Chiara di Assisi

Nascita Assisi 16 luglio 1194Morte 11 agosto 1253

Venerata da Chiesa cattolicaCanonizzazione 1255 nella Cattedrale di Anagni

Santuario principale Basilica di Santa Chiara ad AssisiRicorrenza 11 agosto

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a sollecitare gli incontri con quella giovinetta,rimasti per un po’ di tempo riservati e segreti.

Ascoltando Francesco, Chiara ebbe la sorpre-sa di ascoltare i suoi stessi pensieri, ma distesi in un progetto cheaveva già preso forma e chiarezza. Il modo di vivere della giovanefraternità, così nuovo, e così antico perché ripercorreva la strada diCristo, di Maria e degli apostoli, sarebbe stato il suo. Suo e delle fu-ture compagne. Chiara era finalmente arrivata là dove avrebbe dasempre voluto trovarsi e dove intendeva rimanere definitivamente.Non agì però in maniera precipitosa, le occorse tempo per fare unascorta di coraggio che le bastasse tutta la vita. Uscì dalla casa pater-na di Assisi nel 1211 o nel 1212 e non vi fece mai più ritorno: visse percirca quarant’anni nel piccolo monastero di San Damiano con la ma-dre Ortolana, le sorelle Agnese e Beatrice, le nipoti Balvina e Amata,e le sue consorelle che la adoravano, fino alla morte, avvenuta l’11agosto del 1253.

Chiara fu costretta ad accettare il titolo di badessa e formalmentela clausura, ma non volle mai che la sua comunità potesse contaresulle rendite di proprietà fondiarie, come tutte le altre comunità clau-strali, dove le monache, dedite ad una vita di ascesi e di preghiera,dovevano contare su mezzi di sostentamento esterni.

Chiara come Francesco volle vivere nella più radicale povertà: siscontrò con Gregorio IX — una monachella della piccola Assisi controil Papa! — pronto a dispensare Chiara dal voto di povertà, dal nonpossedere nulla né singolarmente né in comune, e che avrebbe volutodotare il monastero in modo da mitigare quel diniego assoluto. MaChiara si oppose con decisione incrollabile e in nessun modo si la-sciò convincere. E quando il pontefice replicò «Se temi per il voto,noi te ne dispensiamo» Chiara rispose «Santo Padre, a nessun pattoe mai, in eterno, desidero essere dispensata dalla sequela di Cristo».(«Vieni e seguimi»: così aveva risposto Gesù alla domanda del giova-ne ricco che cercava la perfezione, secondo Ma t t e o 19, 21).

Chiara non vuole possedere nulla, come Francesco. Vuole mante-nere la mente libera e rifiuta recisamente compromessi con ogni for-ma di potere. Lotta tutta la vita con la Curia e con le gerarchie uffi-ciali dell’Ordine francescano non solo perché sia riconosciuto, comesi è detto, il diritto di esercitare con le compagne l’altissima povertà,ma anche per preservare il suo legame fraterno con Francesco, l’ap-partenenza alla medesima famiglia, e la condivisione di una medesi-ma forma vitae, pur declinata con le cautele di una versione al femmi-

nile. I primi frati unitisi a Francesco lavoravano, accettando comecompenso solo il cibo quotidiano. Non dipendevano dalla carità de-gli assisiani. Chiara volle che anche le sue monache lavorassero. Il la-voro manuale contribuiva a mantenere un contatto con il mondo.Quello che le monache producevano doveva essere distribuito «p ro

communi utilitate», per l’utilità di tutti, scrisse Chiara, e non soltantoa beneficio del monastero. Chiara già verso la trentina era molto ma-lata; stette inferma a letto circa ventotto anni, filando ininterrotta-mente seta o lino perché le consorelle confezionassero poi la stoffasottile dei corporali (uno degli elementi dell’arredo liturgico ancoraoggi in uso per la celebrazione eucaristica), e le relative borse «co-perte de seta e de sciamito», portati prima a benedire dal vescovo epoi distribuiti alle chiese della città e della diocesi.

Chiara fu la prima donna a scrivere una regola per le donne; inprecedenza le monache erano state costrette ad adattare alle loro esi-genze una regola scritta per gli uomini. La regola di Chiara è una re-gola belllissima, che non si basa su rigide prescrizioni ma che de-manda tutto alla coscienza della monaca, all’applicazione di amore edi pace del Vangelo. Chiara fu una donna capace di grande com-prensione e di ascolto. Se la Chiesa la costrinse ad accettare la clau-sura, il suo monastero si apriva a guarire i bambini e a guarire gli af-fanni, delle donne ma anche degli uomini.

Non tutte le monache lavoravano però in monastero, alcune di lo-ro uscivano regolarmente: Sono le sorores extra monasterium servientes.Chiara nella sua regola che cominciò a scrivere dal 1250 e che fu ap-provata solo due giorni prima della morte, dà per scontato i lorocompiti, che noi possiamo però ragionevolmente ricostruire.

Le sorores extra monasterium servientes di Chiara — notiamo che so-no chiamate s o ro re s e non servitiales, sorelle e non serve — vestono allostesso modo delle altre monache e sono trattate alla pari; non sonodistinte nell’abito (come le servitiales benedettine). Hanno però ilpermesso di non andare scalze come le compagne in monastero: evi-dentemente Chiara ritenne che le strade sconnesse e i lunghi tragittida affrontare fossero diversi dai lisci pavimenti e dai brevi sposta-menti all’interno del piccolo San Damiano. Sono, a giudizio dellabadessa, dispensate dai digiuni; non sono tenute a rispettare il silen-zio da compieta all’ora terza, cioè dal tramonto del sole fino circa al-le nove del mattino. Non devono chiedere alcun permesso alla ba-dessa per uscire. Hanno normali frequentazioni con i laici, come sidesume da una serie di raccomandazioni e divieti che le riguardano: i

Si scontròcon il Papaper difendereil suo votoFu legataa san Francescoma indipendenteC o s t re t t aalla clausura,faceva uscirele suoredal conventoper assisterei malati

Storica, medievista,specializzata in Storiadella Chiesa, hainsegnato Storiamedievale in diverseuniversità, tra cuiquelle di Pisa, Roma ePa r i g i .Una grossa parte dellasua ricerca è dedicataalle figure di sanFrancesco e santaChiara, con molti libritradotti all'estero. Inparticolare haapprofondito il modoin cui le istituzionihanno contrastatol'azione di Francesco.Nel 2011 haindividuato in unodegli affreschiattribuiti a Giottonella BasilicaSuperiore di Assisi unprofilo di diavolotracciato tra le nuvole.Il profilo non era notoe di esso non esistevaletteratura.

L’autrice

Chiara Frugoni(foto da Soul/Tv2000)

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LE IDEE

Dire sororità non èstravaganza femminista

soggiorni di queste s o ro re s fuori dal monastero non siano troppo pro-lungati («salvo lo richieda una causa manifesta»); sia mantenuto uncontegno modesto lungo il cammino; le monache non parlino trop-po, non si intrattengano in consigli né in rapporti sospetti con alcu-no. Potevano però rivolgere a chi incontrassero brevi esortazioni. Lasanta, come Francesco, mostrava un gioioso apprezzamento del crea-to ed esortava le sorelle che servivano fuori dal monastero che, quan-do vedessero «li arbori belli, fioriti et fronduti, laudassero Idio. Et si-milmente, quando vedessero li homini et le altre creature, sempre detucte et in.tucte cose laudassero Idio» (così testimonia una monaca alprocesso di canonizzazione). Mi pare dunque di potere dedurre chequeste s o ro re s — che camminano a lungo, svolgono un lavoro faticosoper il quale devono potersi debitamente rifocillare, che possono par-lare liberamente, ad esempio lodando in pubblico il creato, parlareanche dalla sera al primo mattino, considerate assolutamente alla paricon le altre monache rimaste in monastero — dovessero esercitare unapostolato attivo in servizio delle malate negli ospizi-ospedali e neilebbrosari femminili (dove un aiuto o una parola consolatoria nonpossono dipendere dalla scansione delle ore monastiche, dai tempidella meditazione e delle preghiere).

Va sottolineato quanto a Chiara stesse a cuore il servizio verso ilprossimo, un servizio concreto, tangibile, e come il suo progetto, ol-tre ad aggirare i principi essenziali della clausura fosse rivoluzionarioper i suoi tempi.

Nel Medioevo infatti la Chiesa ammetteva, come si è detto, solo lemoniales, monache tutte di clausura, donne custodite. Non concepivapossibile lo stile di vita di quelle che noi chiamiamo suore (dal latinos o ro re s ), gruppi cioè di religiose riunite in congregazioni — fiorirannosoprattutto a partire dall’Ottocento! — che abitano i conventi, e chesi dedicano all’educazione dei bambini nelle scuole e alla cura deimalati negli ospedali.

Probabilmente intorno al 1216-1217 Francesco elaborò una regolaparticolare, Del comportamento dei frati negli eremi, dedicata a quei fratiche volessero vivere per breve tempo in eremitica solitudine. Perchénon fosse disturbata la loro quiete alcuni frati, «frati-madri», come lidefinisce Francesco, si sarebbero occupati di ogni incombenza mate-riale accudendo in tutto i «frati-figli», i quali a loro volta, dopo uncerto periodo, avrebbero scambiato funzioni e ruoli con i «frati-ma-dri». Nel monastero di Chiara vediamo alternarsi in completa paritàle monache dedite alla preghiera e all’ascesi e le monache, possiamoormai darlo per acquisito, che si occupavano invece di soccorrere lemalate. Forse il santo per la sua regola prese spunto proprio dalla vi-ta di Chiara e delle compagne che in San Damiano alternavano vitacontemplativa e vita attiva, preghiera e meditazione e il caritatevoleservizio (anche al di fuori del monastero).

In fondo non si tratta di stabilire chi prese da chi: il vescovo Gia-como da Vitry, testimone attento della novità minoritica, la descriveaperta a uomini e donne chiamati, scrive, «fratres minores et sorores

m i n o re s ».

Con sororità si intende la relazione tra due donne o tra una don-na ed un uomo, ma vista dalla prospettiva della donna.Sorge subito una domanda: cosa aggiunge sororità a fraternità,dal momento che quest’ultima, come tutti i termini maschili, èinclusiva, cioè applicabile anche al femminile?

La prima risposta che si può dare è molto semplice ed immediata: il nonoccultamento della differenza sessuale.

Tale differenza, infatti, implica due differenti modi di stare al mondo, chenon sono omologabili e che richiedono di essere riconosciuti per non caderein affermazioni astrattamente teoriche su di un generico “essere umano” cherappresenta un neutro, in realtà, inesistente.

L’uso di sororità, cioè, non è una stravaganza femminista, ma risponde aduna precisa esigenza di aderire alla concretezza del vissuto, consentendo dicogliere peculiarità che, altrimenti, andrebbero smarrite.

In molti ambiti l’utilizzo di sororità può risultare fecondo, ma qui ci si vuo-le soffermare su uno solo di essi, che risulta oggi particolarmente significativo

di GIORGIA SA L AT I E L L O

EX LIBRIS

Dacia MarainiChiara di Assisi.Elogio delladisobbedienzaBur , 2013

To m m a s oda Celano

Leggendadi Santa

Chiara verginePa o l i n e

Edtoriale, 2015

Chiara FrugoniStoria di Chiarae FrancescoEinaudi, 2011

Luce Irigaray

L’importanza di questa pratica risulta subito evidente se si considera chenel nostro contesto storico-culturale i modelli che vengono proposti sono p re -valentemente maschili e, quindi, tali da suscitare sentimenti di inadeguatezzae frustrazione nelle donne.

In questo caso, la sororità può indicare una relazione che, escludendo qual-siasi esercizio di potere o di autorità, implichi, però, un forte riconoscimentodi autorevolezza a quella delle due donne che si assume la responsabilità di

per l’esistenza delle donne e chemerita di essere implementato.

È quello che il “pensiero delladifferenza sessuale” che fa capoa Luce Irigaray indica come “ge-nealogia di donne”, ovvero l’af-fidamento di una donna adun’altra che, per esperienza ecompetenze, possa fornire il suosostegno nel difficile processo dicostruzione di un’identità fem-minile compiuta ed armoniosa.

accompagnare l’altra.

La fecondità del concetto di sororità deriva,quindi, direttamente da quella della situazione acui si riferisce e che, evidentemente, non puòtrovare adeguata espressione con fraternità.

Il linguaggio ed il reale devono corrisponder-si nel modo più stretto che sia possibile e la ric-chezza del femminile richiede che il pensierosappia valorizzarla senza appiattirla sui concettie termini che non sono ad essa adeguati, perchénati per indicare un universo maschile in cui ledonne a fatica possono identificarsi.

Chiara FrugoniUna solitudineabitata. Chiara

d’As s i s iLaterza, 2006

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La scelta di Angelapioniera del riscatto

La fondatrice delle Orsoline raccontata da una (quasi) concittadina

di CAMILLA BARESANI

Nella piazza centrale di Desenzano del Garda, che affaccia su un pitto-resco porticciolo di pescatori, campeggia in cima a un alto basamen-to la statua di Sant’Angela Merici, fondatrice delle Dimesse di San-t'Orsola, ossia della Congregazione delle Orsoline. Nata nel 1474 emorta a sessantasei anni nel 1540 (una donna davvero longeva, perquei tempi), fu proclamata santa quasi tre secoli più tardi, nel 1807.Poco più di trent'anni prima dell’esito del processo di canonizzazio-ne, il bresciano Gelfino Calegari, “ingaggiato dai concittadini”, comesta scritto sul piedistallo del monumento, aveva scolpito nel marmola futura santa, seguendo il tipico stilema dello sguardo rivolto al cie-lo e degli abiti dimessi, da viandante.

Angela era nata in una famiglia contadina che viveva in una mise-randa cascina della località Le Grezze, a due passi dall’imp ortanteabbazia benedettina di Maguzzano, che però da pochi anni era statadistrutta dalle truppe viscontee e venne ricostruita nel 1492, quandoAngela era appena andata a vivere da uno zio relativamente bene-stante, a Salò, sempre sul lago di Garda. La prossimità a un luogomonastico tra i più importanti del nord Italia contribuiva da secolialla religiosità dei desenzanesi, cosicché Angela crebbe ascoltandoogni sera il racconto delle vite dei santi, fra cui, probabilmente, an-che quella di sant’Orsola. Leggendaria figura femminile del primomedioevo, Orsola era la figlia di un re cattolico dei Britanni e venneassassinata dagli Unni a Colonia mentre, sfuggendo un matrimoniocombinato, tornava da un pellegrinaggio a Roma in compagnia diun migliaio di vergini sue sodali, da lei istruite alle verità della fede.

SG UA R D I DIVERSI

La statua di sant'Angela Merici a Desenzano del Garda,opera di Gelfino Calegari, 1772

Angela Merici

Nascita Desenzano del Garda, 21 marzo 1474Morte Brescia, 27 gennaio 1540

Venerata da Chiesa cattolicaBeatificazione 30 aprile 1768 da Papa Clemente XIII

Canonizzazione 24 maggio 1807 da Papa Pio VII

Ricorrenza 27 gennaio

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In pratica, una donna fiera e indipendente,un’attivista, una figura carismatica dedita all’in-segnamento e alla sorellanza.

Torniamo alla giovane Angela. Come accadeva a quei tempi, le fa-miglie venivano decimate dalle malattie e difatti in pochi anni mori-rono il padre, la madre e i quattro fratelli maggiori, sicché Angela ela sorella superstite nel 1492 si trasferirono a pochi chilometri da De-senzano, ospiti dello zio materno di Salò, che le accolse con affettofacendo in modo che le ragazze avessero un’istruzione adeguata: nor-me igieniche, norme religiose, saper leggere e fare le somme. Angelaaveva a quel punto diciotto anni. Gli uomini scarseggiavano perchécoinvolti nelle continue guerre della Repubblica Veneta, di cui Bre-scia e relativo contado facevano parte. Le prospettive della giovanepotevano dunque essere quella più ardua di trovare un marito, maga-ri un vedovo con figli (a quei tempi, se erano sfuggiti alla morte permalattia, gli uomini morivano in guerra mentre le donne morivano diparto) oppure, più facilmente, di andare a servizio da qualche nobilesignora locale, o, ancor più facile, di restare incinta per innamora-mento o per stupro e finire in mezzo alla strada a mendicare, o ma-gari di ritirarsi in qualche convento. E, paradossalmente, i conventierano spesso luoghi di corruzione e di peccato. Morta anche la sorel-la, Angela si fece invece terziaria francescana. Tempo due anni e ven-ne a mancare pure lo zio, così Angela tornò a Desenzano, nella casadei genitori, dove iniziò una piccola scuola insegnando il catechismoalle bambine.

In seguito, trent'anni più tardi, con scatto sia religioso sia sociale,fonderà la Congregazione delle Orsoline.

Tornando alla sua statua, benché Angela incarnasse la figura diuna donna particolarmente dedita all’amore verso i bambini bisogno-si di educazione, e soprattutto al tema della libertà femminile (che aitempi significava solo un minimo di dignità e istruzione) il suo ruoloinnovativo venne tuttavia misconosciuto dai giacobini che spadroneg-giavano a Desenzano a fine Settecento. E infatti la scultura venne ri-mossa nel 1797 dalla piazza del paese in favore di un “albero della li-b ertà”. I devoti desenzanesi riuscirono poi a riportarla al suo postonel 1800.

Se rileggiamo la storia di Angela Merici applicando alle condizio-ni del passato le istanze del presente, non possiamo che considerarlauna figura carismatica del riscatto femminile, una progenitrice.L’istruzione (non solo religiosa), la liberazione dal gioco dei matri-

moni combinati o dal sesso punitivo che ti porta a finire sulla strada,la conquista del fondamentale ruolo pedagogico, e soprattutto di unadignità, sono i primi passi di quella corsa impetuosa e piena di in-ciampi che oggi ci porta a rivendicare un pari trattamento sul lavoroe nella vita privata. Naturalmente, la leggenda ha riempito la vita diAngela dei luoghi comuni della santità: le visioni rivelatorie, i pelle-grinaggi in Terra Santa e a Roma, il miracolo della vista persa duran-te il pellegrinaggio e poi ritrovata al ritorno a Brescia. Ma quello cheresta, al di là delle storie da “vita della santa”, è la figura di una don-na di carattere, indipendente e che ha trovato nella fede e nella suatestimonianza un ruolo di sorella tra sorelle, un modo di prendersicura del destino di chi non ha mezzi, lasciando un’istituzione solidache continuasse il proprio operato.

Quando nel 1530 Angela fondò la sua società religiosa — la Com-pagnia di Sant'Orsola ufficializzata poi nel 1535 — l’obiettivo non eraquello di rifugiarsi nella preghiera con le sorelle, bensì di avere unacasa comune da cui partire ogni giorno per andare in mezzo allagente e svolgere missioni caritatevoli e di affiliazione; in pratica sal-vare i giovani donne da miseria, sopraffazione, ignoranza. Di fatto, laCompagnia è stato il primo istituto religioso secolare: per Angela ciò

Bresciana di origine,ha scritto romanzi,saggi, racconti. Gliultimi libri che hapubblicato sono:Gelosia (La nave diTeseo, 2019), Gli

sbafatori (MondadoriElecta, 2015), Il sale

rosa dell’Himalaya

(Bompiani, 2014) cheha ricevuto il PremioInternazionale diLetteratura Città diComo, il PremioCortina d’Ampezzo, ilPremio Città diVi g e v a n o .Insegna scritturacreativa alla ScuolaMolly Bloom.Per la tv è autrice delformat di Romanzo

Italiano, unp ro g r a m m a“geoletterario” coninterviste a 29 scrittoriche raccontano iluoghi che ispirano laloro narrativa.

L’autrice

Camilla Baresani(foto di Giuseppe Di Piazza)

«La Compagniadi Sant’O rs o l aè statoil primoistitutore l i g i o s os e c o l a reNacqueper salvarele ragazzedando loroistruzionee dignità»

Luigi Marai, Sant’Angela Merici,sec. XIX. Diocesi di Verona

che contava non era rinchiudersiin un monastero ma vivere nel se-colo, e ne è prova che volle che ilgoverno delle Orsoline fosse ge-stito da “v e rg i n i ” e però anche da“m a t ro n e ”, cioè vedove apparte-nenti all’aristocrazia brescianache, proprio per la loro esperienzaconcreta di madri, potessero pren-dersi cura con una presenza solle-cita e affettuosa della vocazione edelle necessità delle “figlie spiri-tuali”. Sempre in fatto di primati,le Orsoline sono la prima fonda-zione religiosa che valorizzil’esperienza e le risorse delle ve-dove abbienti: oltre a occuparsidella sfera privata delle giovanisorelle, avevano un ruolo politico.Si occupavano cioè dell’inseri-

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D ONNE CHIESA MOND O 26 D ONNE CHIESA MOND O27

mento di questa nuova istituzione femminile nella socie-tà politica e civile del tempo. Un legato di amore, uma-nità e sorellanza che ancora oggi perdura nella sessanti-na di compagnie di Orsoline secolari e di congregazionireligiose presenti in Italia e all'estero.

Della splendida esperienza di suor Rita Giarretta [1],delle sue consorelle e di Casa Rut, che a Caserta dal1995 si occupa di ridar vita a donne migranti vittime del-la tratta, ha scritto su queste pagine Carola Susani. È so-lo uno dei tanti lasciti morali che, a secoli dalla morte disant'Angela Merici, realizza le intuizioni di questa donnavisionaria: per lei il progresso della società doveva inclu-dere l’istruzione del mondo femminile, e il modo miglio-

re per raggiungere questo obiettivo era l’apostolato, la militanza, l’in-clusione. A Desenzano, oltre alla statua di Angela, sul cui piedistallosiedono a contemplare il porticciolo e il ponte alla veneziana turistiche magari non sanno nulla della sua storia straordinaria, c’è la sededel Mericianum. Costruito proprio dove si trovava la sua casa natale,è il centro di spiritualità ispirato alla santa. Dal ‘78, oltre a studiare il“carisma mericiano”, si occupa di favorire le relazioni sororali tra Or-soline secolari e religiose. La parola

chenon c’era

Ivana e l’Ordine della Sororità

di ELISA CALESSI

L’idea in me venne da lontano,ma all’inizio non avevo neppu-re la parola per dirla». Nasceda una parola che non c’è,l'Ordine della Sororità. Esisto-

no “s o re l l a n z a ”, “fraternità”, ma non c’è, spiega-va la fondatrice Ivana Ceresa nel raccontare gliinizi, un termine per indicare un legame profon-do tra donne che non sia di sangue. Un’assenzalinguistica che è anche simbolica, sottolineava lateologa mantovana nata nel 1942 a Rivalta sulMincio e scomparsa nel 2009.

Ed è sempre la parola schiacciata a un sologenere, quello maschile, la lampadina che avevaacceso in lei il desiderio di fare quello di cuicercava il nome.

Un giorno, racconta in una intervista, va amessa nella chiesa di Sant’Andrea a Mantova.Sono tutte donne, ma il celebrante dice “P re g a -te, fratelli”. «Lo guardavo e dicevo: ma cosa di-ce?». Non si ferma allo stupore. «Dopo la mes-sa, sono andata in sagrestia e gliene ho dettequattro. Gli ho detto: ma non ti vergogni, nonti vergogni a chiamarci fratelli che eravamo tut-te donne?».

In un altro suo scritto afferma: «Se io dico:tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza, nonsto dicendo la verità, sto usando un linguaggioche mi nasconde». Che occulta la differenzadell’essere donna. Decisiva anche nella fede.

La “questione femminile” mi ha sempreinterrogata come donna. Mi chiedevo comepotevo viverla in modo originale: ero soloun’impiegata notarile con una laurea inScienze giuridiche in ricerca di senso per lavita. Nel 2003 ho conosciuto a Schio(Vicenza) alcune suore “di frontiera”: audaci,gioiose, impegnate a migliorare la situazionedella donna ovunque e innamorate delS i g n o re .Desideravo consacrarmi, così a quasi 27 anni,nel 2008, sono entrata in formazionescegliendo le Suore Orsoline del Sacro Cuore

di Maria il cui carisma è “la salvezza e lasantificazione della classe popolarefemminile”, come diceva la fondatriceGiovanna Meneghini. Inoltre le Orsoline misembravano più intraprendenti di altre suore.Primo anno di formazione a Monterotondo(Roma), poi due anni di noviziato a Vicenza,dove tuttora vivo. Il carisma della miacongregazione lo esprimo nell’ambito dellacomunicazione, che mi rende voce delledonne e delle loro istanze.

NAIKE MONIQUE BORGO

Perché ho scelto di farmi suora orsolina

[1] Suor Rita Giarettaa casa Rut, da lei fondata

a Caserta nel 1995,con le sue consorelle.L’articolo di CarolaSusani è nel numero

di maggio 2020di «donne chiesa mondo»

Intitolato a Maria SS. IncoronataNascita nel 1996 a Mantova • Fo n d a t r i c e Ivana Ceresa (1942-2009)Riconoscimento 18 marzo 2002 dal vescovo di Mantova Egidio CaporelloAltre sedi Mantova, Ostiglia, Asola, Grazie, Milano

PERCORSI

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Anche davanti a Dio. Ecco l’intuizione che poidiventerà un libro, il suo più importante: DireDio al femminile.

Ma Ceresa fa un passo in più. Non si fermaalla scoperta intellettuale. Decide, insieme ad al-cune amiche, di farne una pratica. Di verificar-lo, tra donne, nell’esperienza. Occorre «un viag-gio di esodo dall’omologazione al maschile», silegge nella Regola dell’Ordine. Ma è possibilesolo attraverso la relazione tra donne che cerca-no, in una relazione di “autorità” e “affidamen-to” (concetti centrali nel pensiero di Ceresa) didare concretezza a quella intuizione.

Nasce allora l'’Ordine della Sororità, associa-zione di «donne convocate dallo Spirito Santoper rendere visibile la presenza femminile nellaChiesa e nel mondo», specifica la Regola.

Per arrivarci il cammino era stato lungo. Ilprimo incontro fondamentale per Ivana Ceresaè quello con la nonna, donna forte, di fede,espressione di quel matriarcato che reggeva tan-te campagne al Nord. Dalla sua figura ricevel’ispirazione di essere teologa. Ma a quel tempo,siamo alla fine degli anni Cinquanta, il mestiereè precluso alle donne. Nel 1960 si iscrive all'U-niversità Cattolica. «Se non posso studiare teo-logia come un uomo, studierò lettere come unmare di donne fanno» si dice. Arriva il secondo,decisivo, incontro. Quello con Luisa Muraro, fi-losofa del pensiero della differenza. Entrambe

sono ospiti a Milano del Collegio universitarioMarianum.

Ivana Ceresa torna a Mantova, si sposa, inse-gna lettere alle scuole medie. Ma non smettemai di coltivare la passione per la ricerca teolo-gica. Arriva la stagione della contestazione: «Inquegli anni teologai per contestare: l’autoritari-smo, il conformismo, la misoginia, il capitalismoe tutto il resto». Ma è ancora alla ricerca di unaparità che non c’è. Poi, negli anni Ottanta, ilterzo incontro fondamentale. Quello con la co-munità filosofica Diotima dell’Università di Ve-rona, che diffonde il pensiero della differenza.Ivana Ceresa capisce che il problema, anchenella Chiesa, non è essere come gli uomini, marivendicare il proprio essere femminile.

Sono anni di studio e confronto, ritrova Lui-sa Muraro, diventata la principale teorica, inItalia, del pensiero della differenza, la Libreriadelle Donne di Milano.

Ceresa, però, è anche donna di fede. E sem-pre di più sente l'urgenza di realizzare questeintuizioni nella realtà ecclesiale. Perché, ama ri-petere, «Chiesa e mondo sono una endiadi».Studia teologia femminile, rilegge la storia disante e madri della Chiesa. Tiene convegni, se-minari, lezioni alla scuola di cultura contempo-ranea di Mantova.

Dopo uno dei tanti convegni, si ritrova conalcune amiche a condividere il desiderio di ri-flettere su questi temi insieme e in modo piùcostante. Un pomeriggio Martina Bugada [1],iconografa e sua amica, va a trovarla. Mi parladi quel giorno così: «Mi disse: “Ho pensato aquesta parola: sororità. Mi è venuta questa pa-rola che non esisteva”. Persino il computer la ri-fiutava, non era prevista». Sororità è la tradu-zione di s o ro r i t y, termine inglese che veniva usa-to nei college per indicare gruppi di studentesseuniversitarie, affiliate da un legame di comunan-

za che non era di sangue. Ceresa lo riprendedalla teologa Mary Daly, autrice di Al di là del

P a d re , che ne estende l’uso. È il 1994, cominciatutto lì. Ma ogni illuminazione va verificata.«Se Martina dice di sì — riflette Ivana — andia-mo avanti». Martina dice di sì. E dopo leiun’altra, e un’altra ancora. Diventano venti, poitrenta. Si dividono in vari gruppi per potermantenere un confronto più efficace. Si trovanoora a casa di una, ora dell’altra.

«La mia aspirazione — racconta la fondatricedell'Ordine della sororità — era quella di vedereun gruppo di donne riunirsi per imparare a so-stenersi vicendevolmente, a riconoscersi inquanto donne, a capire che il mondo non èneutro e che loro non vogliono essere al neutroma vogliono essere al femminile».

L’intuizione la incardina nella storia dellaChiesa dove ritrova alcune precorritrici: le Be-ghine del Nord, Chiara d’Assisi con le sue com-pagne, Angela Merici, la fondatrice delle Orso-line, Giovanna Francesca Chantal, la fondatricedell’Ordine della Visitazione di Santa Maria. Inqueste tracce trova conforto al dono che lo Spi-rito Santo, dice, le ha fatto: «Davo voce al miodesiderio di mettere al mondo il mondo, laChiesa, il presente, insomma e il futuro anche alfemminile».

Il 18 marzo 2002 il vescovo di Mantova,monsignor Egidio Caporello, riconosce l'Ordinedella Sororità come associazione di fedeli che,citando l’articolo 1 della Regola, desidera «viverela fede cristiana secondo la differenza femminile

nella Chiesa cattolica locale, sulle orme di quan-te, in epoche lontane e recenti, le hanno prece-dute». Oggi sono una quarantina, divise in seigruppi: cinque nel mantovano, una a Milano.Ciascuno dedicato a Maria. Ci sono donne spo-sate, single, consacrate, donne non credenti o dialtre confessioni religiose (al momento c’è unavaldese). Si incontrano una volta, due al mese,per riflettere su figure di sante, testi di teologheo per confrontarsi su temi di attualità. Una vol-ta l’anno si trovano tutte insieme per due o tregiorni.

Ogni gruppo ha una presidente a rotazionesecondo il tempo di entrata nel gruppo. Unavolta l’anno, nel giorno della Festa di SantaMaria Incoronata, a cui è dedicato l’O rdine,viene scelta per sorteggio la presidente di tuttele sororità. In obbedienza a uno dei fondamentidi questa esperienza: «l’autorità femminile — mispiega Martina — è il reciproco riconoscimentotra due o più donne che si danno sostegno inordine ai propri desideri e in base alla finalitàche vogliono perseguire».

Un concetto che Ivana Ceresa spiegava usan-do l’immagine della Visitazione: due donne, Ma-ria ed Elisabetta, si affidano l’una all’altra, in unafiducia che nasce dal riconoscimento dell’autoritàdell’altra. Antitesi al potere. Oggi la sororità haanche una Icona (a pagina 27), scritta da Marti-na Bugada [1]. La Madonna e il Bambino alcentro, a destra e a sinistra le donne ispiratrici diquesta esperienza: Angela Merici, Teresa Fardel-la, Osanna Andreasi, Paola Montaldo, Speciosa.

[1] MARTINA BUGADA «Martina testimonia e prosegue una linea femminile della praticadelle icone, e il riferimento è a Maria Sokolova (1899-1981), prima maestra della Scuoladella Lavra di San Sergio e Sergiev Posad, una delle scuole di iconografia piùimportanti della Russia, che Martina ha frequentato» [dal testo di Nella Roveri inEnciclopedia delle donne - h t t p : / / w w w. e n c i c l o p e d i a d e l l e d o n n e . i t / b i o g ra f i e / m a r t i n a - b u g a d a / ].

Ivana Ceresa, a destra, con Luisa Muraro nel 1992

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di GLORIA SAT TA

Si chiamava Marcella Pattijin, era na-ta nel 1920 nel Congo Belga e, ciecadalla nascita, viveva in una comunitàreligiosa femminile a Sint-Aman-dsberg, in Belgio. È morta nel 2013

e il mondo l’ha salutata come l’”ultima beghi-na”: la pia Marcella aveva perpetuato la tradi-zione medievale che spingeva tante donne aconsacrarsi a Dio senza prendere il velo e svin-colate dal controllo ecclesiastico. Né mogli némadri né monache: una scelta di fede e di liber-tà estrema accompagnata da una vita di pre-ghiera, penitenza, castità, lavoro assistenziale. Apartire dal dodicesimo secolo, questa realtà sidiffuse nell’Europa del Nord e le beghine, ac-cettate e sconfessate a fasi alterne dalla Chiesa,vennero spesso accusate di eresia, perfino man-date al rogo come accadde nel 1310 alla misticadelle Fiandre Margherita Porete, una delle figu-re più famose con Hadewijck di Anversa, Mariad’Oignies, Mectilde di Magdeburgo. E ancoraoggi il termine “b eghina” è associato con fretto-losa superficialità a bigottismo, arretratezza,chiusura intellettuale.

Ma in tempi recenti c’è stata un’altra donnastraordinaria che questo pregiudizio ha saputoribaltarlo: Romana Guarnieri, padre italiano emadre olandese, considerata l’ultima beghinadel Novecento, scomparsa a Roma nel 2014 do-

LE STORIE

L’ultimab eghina

po aver lasciato una traccia profonda nella cul-tura della Chiesa. Animata da una fede incrolla-bile, studiosa della mistica medievale, scrittricefinissima, viveva in solitudine in una grande ca-sa-studio con vista sul Cupolone, convinta chela ricerca intellettuale potesse essere uno stru-mento di santificazione personale ma anche disalvezza degli altri. «Essere beghina, per me, si-gnifica continuare la scelta delle figure femmini-li che ho studiato. Essere nel mondo senza esse-re nel mondo» spiegava, «essere di tutti e dinessuno. O meglio, di Uno solo: ma Lui è la li-bertà assoluta».

La sua esistenza consacrata a Dio e agli studirigorosi è stata caratterizzata da una clamorosascoperta, destinata a darle risonanza internazio-nale: nel 1944, n uno scaffale della BibliotecaVaticana, Romana identificò lo Specchio delle

anime semplici, testo mistico-filosofico di Mar-gherita Porete diventato poi un classico dellaletteratura spirituale. Nel quattordicesimo seco-lo, quelle pagine in pergamena avevano portatol’autrice a morire arsa viva in una piazza di Pa-rigi perché, in quanto donna, non aveva il dirit-to di scrivere un libro tantomeno di avventurarsinella teologia. Romana era nata a L’Aja nel 1913da una famiglia intellettuale: il padre, RomanoGuarnieri, fu tra fondatori dell’Università perStranieri di Perugia e la madre Iete van Beugeera una pittrice. Dopo il divorzio dei genitori, a12 anni la futura beghina arriva a Roma con lamamma che aveva risposato un architetto italia-no. Prende la maturità al Liceo Visconti, si lau-rea in letteratura tedesca alla Sapienza. Il pen-siero di Dio non la sfiora: sebbene battezzata, ècresciuta in un ambiente agnostico. Ma nel1938, la sua vita ha una svolta: è l’incontro condon Giuseppe De Luca, coltissimo prete roma-no animatore della cultura cattolica dell’ep o cache le fa scoprire la fede, le insegna il valoredella preghiera, soprattutto la incoraggia a con-

tinuare la ricerca e la indirizza all’attività edito-riale. Romana, scontrandosi con la famiglia e iprofessori, rinuncia a una carriera universitariaavviata (alla Sapienza avevano creato proprioper lei un lettorato in olandese) per tuffarsi ne-gli studi storici, in particolare sulla storia dellapietà. Pronuncia il voto di castità e stabiliscecon De Luca un lungo sodalizio intellettualeche genera le Edizioni di Storia e Letteratura,l’Archivio italiano per la Storia della pietà e siinterrompe solo alla morte del prete, nel 1962.

Romana continuò ad analizzare le mistichemedievali, i movimenti religiosi femminili, ascrivere libri e saggi (la sua bibliografia contacirca 200 titoli), a coltivare l’amicizia con altrestudiose e teologhe. Nella sua casa romana, fre-quentata da giovani e intellettuali, nel 1987 na-sce «Bailamme», rivista di spiritualità e politica.Negli ultimi anni costretta all’immobilità, Guar-nieri chiuse gli occhi il 23 dicembre 2004 la-sciando un grande rimpianto in chi l’aveva co-nosciuta, sia di persona sia attraverso le opere. Inipoti Adriano e Massimo donarono i 5.000 vo-lumi della sua biblioteca all’istituto VeritatisSplendor di Bologna: una testimonianza prezio-sa della parabola intellettuale, religiosa e umanadell’ultima beghina moderna che ha illuminatoil pensiero spirituale di un secolo.Un libro dedicato

A Romana Guarnieri(L’Aja 1913- Roma 2004)è dedicato il libroDonne di Vangelo –

Mistica al femminile

di Felice Accrocca,edito da Lev-LibreriaEditrice Vaticana, 2019.Il volume raccogliearticoli scritti negli anniper «L’O sservatoreRomano».

La statua nel Beghinaggio di Amsterdam(da insolitamsterdam.com)Nella pagina accanto, Romana Guarnieri

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di ST E FA N I A FALASCA

Dov’ è l’altra metà della Chiesa? Con questa domanda rivolta in aulaai 2.500 padri conciliari, la richiesta di una presenza femminile erastata così formulata dal cardinale Léon-Joseph Suenens, arcivescovodi Malines-Bruxelles. Venne poi ripetuta da altri vescovi e auspicatadagli uditori laici presenti nel corso della seconda sessione del conci-lio Vaticano II. Era il segnale di una germinale consapevolezza chefaceva percepire come fosse molto grave l’assenza dall’aula conciliaredi coloro che costituiscono la metà del genere umano. «Siamo lietidi salutare le nostre dilette figlie in Cristo, le donne uditrici, ammes-se per la prima volta ad assistere alle assemblee conciliari». E conqueste parole il 14 settembre 1964, all’inizio della terza sessione delVaticano II, Paolo VI si rivolgeva alle 23 uditrici ammesse, 10 religiosee 13 laiche. Nessuna delle nominate era presente. Il 21 settembre, laprima a fare il suo ingresso nell’aula conciliare fu la laica franceseMarie-Louise Monnet, fondatrice di Action catholique des milieuxindépendants. Le più conosciute erano l’australiana Rosemary Gol-die, segretaria esecutiva del Comitato permanente dei congressi inter-nazionali per l’apostolato dei laici, e l’italiana Alda Miceli, presidentedel Centro italiano femminile. A loro si aggiungono una ventina diesperte tra le quali l’economista Barbara Ward e la pacifista EileenEgan.

Vennero scelte donne che rappresentavano o coordinavano orga-nizzazioni laicali attive spesso a livello internazionale e superiore ge-nerali di istituti religiosi; nessuna di loro aveva alle spalle studi teolo-gici sistematici. Le “Madri del Concilio”, come vennero definite, pre-

Quando le donneentrarono in Concilio

Al Vaticano II si fecero sentire su uguaglianza e amore coniugale

senziavano, tranne una, alle riunioni vestite di nero, con un velo sulcapo, come a una funzione pontificia. Negli intervalli potevano an-dare in una saletta-bar separata, approntata per loro. Per due volte funegata a Pilar Bellosillo, presidente dell’Unione mondiale delle orga-nizzazioni femminili cattoliche, la possibilità di prendere la parola inpubblico. Non avevano né diritto di parola né di voto. La partecipa-zione delle uditrici, nelle intenzioni dei padri conciliari, doveva rive-stire un carattere piuttosto «simbolico», come indicato dallo stessoPaolo VI nel discorso in cui segnalava la nomina e ne salutava la pre-senza. In realtà, furono tutt’altro che simboliche, partecipando condeterminazione e competenza ai lavori delle commissioni. La loropresenza, come è stato più recentemente rilevato, pur circoscritta alledue ultime sessioni del Concilio, la terza (14 settembre – 21 novembre1964) e la quarta (14 settembre – 8 dicembre 1965), fu particolarmenteviva e significativa, lasciando segni importanti negli stessi documenticonciliari, presentando memorie e contribuendo con la loro esperien-za alla stesura dei documenti, in particolare su temi come la vita reli-giosa, la famiglia, l’apostolato dei laici. La presenza di due vedove diguerra contribuì a rafforzare il peso femminile anche nelle discussionisulla pace. Si deve inoltre sottolineare anche il contributo dell’econo-mista Barbara Ward al dibattito sulla presenza della Chiesa nel mon-do e al suo impegno perché la Chiesa dicesse una parola credibile sulproblema della povertà e sul tema dello sviluppo umano.

Il 23 novembre 1965, le tredici uditrici laiche, insieme agli uditorilaici, pubblicarono una dichiarazione congiunta, per rendere contodel lavoro fatto. Consapevoli di essere stati testimoni di una tappastorica di apertura della Chiesa alla sua componente laica, sottolinea-

LA STORIA

Qui e nella pagine seguenti,alcune uditricidel concilio Vaticano II

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agli Assistenti dell’Unione Donne e della Gioventù Femminiledell’Azione cattolica, che a commento della nomina delle uditrici cosìscriveva: «Nessun avrà un tuffo al cuore, come l’ebbe un parrocomio conoscente, quando l’altro giorno lesse sul giornale che Rosema-ry Goldie, da “uditrice” al Concilio, si era fatta “parlatrice”, espri-mendo davanti a un gruppo di vescovi qualche riserva sullo Schemadei laici, auspicandolo meno paternalista, meno clericale e meno giu-ridico. “Andrà a finire – concludeva sbalordito il parroco — che perqueste brave figliole l’Azione cattolica non sarà più collaborazionedei laici all’apostolato della gerarchia, ma collaborazione della gerar-chia all’apostolato dei laici!”… Vede, i laici — ho detto — giudicanoesagerazione certo clericalismo, che tutto, assolutamente tutto, nellaChiesa debba partire da vescovi e sacerdoti».

Di grande rilevanza il contributo delle uditrici fu anche per il su-peramento della tradizionale concezione contrattualistica e giuridicadell’istituto familiare, attraverso il recupero del valore fondamentaledell’amore coniugale, fondato su un’«intima comunità di vita e di

rono l’importanza vitale di alcuni documenti ai quali avevano datoun significativo contributo con discussioni e scambi di idee.

In particolare fecero riferimento al capitolo IV della Lumen gentium,dedicato ai laici, alle parti della Gaudium et spes riguardanti la parte-cipazione dei fedeli alla costruzione della città umana e al decretosull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem. Anche grazie a loro,il Concilio aveva dunque trattato questioni come la costruzione dellapace, il dramma della povertà nel mondo, l’esistenza di superare di-seguaglianze e ingiustizie, la difesa della libertà di coscienza, i valoridel matrimonio e della famiglia, l’unità di tutti i cristiani, di tutti icredenti e di tutta l’umanità. Il contributo delle uditrici laiche fu par-ticolarmente significativo all’interno delle commissioni incaricate diredigere il decreto sull’apostolato dei laici e il testo di quello che ve-niva denominato “Schema XIII”, che divenne poi la Costituzione pa-storale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la Gaudium et spes.

L’influenza delle uditrici si ebbe pertanto soprattutto su due docu-menti ai quali esse avevano lavorato a partire dalle sottocommissioni:le costituzioni Lumen Gentium e la Gaudium et Spes, nella quale emer-se la visione unitaria dell’uomo-donna come «persona umana» el’uguaglianza fondamentale dei due. Molto significativa è la rispostache Rosemary Goldie diede al teologo Yves Congar, quando il famo-so domenicano volle inserire nel documento sull’Apostolato dei laiciun’elegante espressione, paragonando le donne alla delicatezza deifiori e dei raggi del sole: «Padre — gli disse — lasci fuori i fiori. Ciòche le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come per-sone pienamente umane».

Sappiamo degli interventi autorevoli di alcune di loro (RosemaryGoldie, Pilar Bellosillo e Suzanne Guillemin) affinché l’affermazionedella dignità della persona umana superasse ogni considerazione spe-cifica sul femminile, che non si volle trattare come argomento a sé,separato, ma liberato da qualunque gabbia e limitazione. In partico-lare nel recupero della soggettualità battesimale. Il primato della pa-rità fondamentale, conferito dal battesimo alle persone credenti, con-ferisce a tutti, uomini e donne, il principio della corresponsabilitàap ostolica.

I laici, donne e uomini, non sono più pertanto relegati alla passivi-tà e alla ricettività, ma, in virtù del battesimo, ricevono un ruolo atti-vo e importante nella Chiesa. Per comprendere, su questo punto, lostato delle cose nella Chiesa, basta del resto la lettera che il futuroGiovanni Paolo I, allora vescovo di Vittorio Veneto, aveva inviato

Le donneche fecero l’i m p re s a

Uditrici religiose: Mary Luke Tobin (USA), Marie de laCroix Khouzam (Egitto), Marie Henriette Ghanem(Libano), Sabin de Valon (Francia), Juliana Thomas(Germania), Suzanne Guillemin (Francia), Cristina Estrada(Spagna), Costantina Baldinucci (Italia), Claudia Fiddish(USA), Jerome M. Chimy (Canada).Uditrici laiche: Pilar Belosillo (Spagna), Rosemary Goldie(Australia), Marie-Louise Monnet (Francia), AmaliaDematteis vedova Cordero Lanza di Montezemolo (Italia),Ida Marenghi Miceli vedova Grillo (Italia), Alda Miceli(Italia), Luz Marìa Lngoria con il marito José Alvarez IcazaManero (Messico, ebbero 13 figli), Margarita MoyanoLlerena (Argentina), Gertrud Ehrle (Germania), Hedwingvon Skoda (Cecoslovacchia-Svizzera), Catherine McCarty(USA), Anne Marie Roeloffzen (Olanda), Gladys Parentelli( U ru g u a y ) Rosemarie Goldie con un prelato durante il Concilio

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LE IDEE

Rabi’a, la madredella spiritualità islamica

amore». In tale prospettiva il contributo della messicana Luz MarieAlvarez Icaza, copresidente del Movimiento Familiar Cristiano, nellasottocommissione della Gaudium et spes fu determinante nel cambiarel’attitudine dei vescovi nei confronti del sesso nella coppia coniugale,da considerare non più come «rimedio della concupiscenza» legatoal peccato, ma come espressione e atto di amore. Luz Marie AlvarezIcaza, molto attiva all’interno del gruppo che doveva esaminare lo“Schema XIII”, pose in discussione quello che i manuali di teologia,in uso prima del Concilio, definivano «fini primari» e «fini seconda-ri» del matrimonio, dove primaria era la procreazione dei figli e se-condario il rimedio alla concupiscenza dell’atto sessuale. A un padreconciliare rispose: «Disturba molto a noi madri di famiglia che i figlirisultino frutto della concupiscenza. Personalmente ho avuto molti fi-gli senza alcuna concupiscenza: essi sono il frutto dell’a m o re » .

Si può dunque cogliere una iniziale maturazione di coscienza ri-guardo al contributo dato dalle donne alla vita del mondo e dellaChiesa. Particolarmente illuminante a questo riguardo quanto affer-mato in Gaudium et spes 60: «Le donne lavorano già in quasi tutti isettori della vita; conviene però che esse possano svolgere pienamen-te i loro compiti secondo le attitudini loro proprie. Sarà dovere ditutti far sì che la partecipazione propria e necessaria delle donne nel-la vita culturale sia riconosciuta e promossa». Si tratta tuttavia difondamenti che ancora oggi faticano a trovare sviluppo e maturazio-ne. Lo studio dei testi prodotti e dei discorsi dei Padri del resto hafatto percepire quanto fosse limitata la coscienza delle trasformazioniche già stavano avvenendo nel mondo delle donne, il cui ingressonella vita pubblica Giovanni XXIII aveva indicato nella Pacem in terris

come “segno dei tempi”. Allo stesso tempo però non si può miscono-scere che il Vaticano II abbia offerto alle donne nuove prospettive diriconoscimento di identità e ministerialità. In particolare nel recuperodella soggettualità battesimale (come affermato in Lumen gentium eGaudium et spes) sono stati aperti spazi inediti di presenza delle don-ne nella vita ecclesiale. E nuove forme di ministerialità di fatto, rin-novamento della vita religiosa, ingresso nelle Facoltà Teologiche co-me discenti e docenti hanno progressivamente modificato il voltodelle Chiese locali, nei diversi continenti, e favorito la maturazione dinuove sensibilità. In questa direzione il Concilio ha attivato un cam-biamento senza ritorno. E certamente uno dei passaggi fondamentaliper le donne è stato l’accesso agli studi teologici. Ciò significa che lastoria della Chiesa ha cominciato ad essere raccontata anche dalledonne, che la interpretano e la narrano.

Sororità e fratellanza non sono due termini astratti ma concreti nel-la storia della tradizione islamica: e questo si deve sicuramente an-che a Rabi’a, la più famosa mistica, vissuta nell’VIII secolo, pocodopo la morte del Profeta, chiamata con il titolo d’onore ummul

khayr: madre della bontà

La grande studiosa tedesca Annemarie Schimmel, che ha dedicato più di40 anni della sua vita a studiare le lingue e la cultura islamica, nel suo librointitolato La mia anima è una donna. Il femminile nell’islam (Genova, EdizioniEcig, 1998) sottolinea: «Nella preistoria del sufismo la figura di maggior rilie-vo è quella di una donna, Rabi’a al Adawiyya che, secondo la tradizione, perprima introdusse nel sufismo rigidamente ascetico dell’VIII secolo l’elementodell’assoluto amore divino, e l’islam le assegna un posto d’onore nella storiadella mistica».

La sua dottrina d’amore è riassunta nella preghiera che canta al Signore:

«O mio Dio, tutto ciò che mi hai riservato delle cose terrene, donalo aiTuoi nemici; e tutto quanto mi hai riservato nell’aldilà, donalo ai Tuoi amici.

di SHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH

Adriana ValerioMadri del

Concilio

Ventitré donne

al Vaticano II

Carocci, 2012

Marinella Perroni,Alb ertoMelloni,

Serena Noceti(Eds)

« Ta n t u m

aurora est».

Donne

e Concilio

Vaticano II

LITedizioni, 2012

Rosemary GoldieDa una finestra

ro m a n a

Cinque decenni:

il mondo,

la Chiesa

e il laicato

cattolico

EditriceAve, 2000

cammino della profonda libertà. Una infanzia da orfana, straniera, schiava,poi liberata dal padrone colpito dalla sua spiritualità, visse a Bassora, nell’at-tuale Iraq, dove acquistò una gran rinomanza di santità. Predicava, si ritirònel deserto in un eremo che divenne meta di pellegrinaggi: andavano a tro-varla anche i grandi sapienti ‘ulama dell’islam. È considerata “madre del sufi-smo” e questo ha grande significato: il sufismo ha insistito sulla parità delledonne con gli uomini, perché nella vita spirituale non esiste diseguaglianzatra sessi. Lei canta: «Voglio versare acqua nell’inferno e dare fuoco al paradi-so, affinché questi due veli scompaiano e gli esseri umani adorino Dio nonper la paura dell’inferno o la speranza del paradiso, ma solo per la Sua sem-piterna bellezza».

Ibn Arabi, il maestro maggiore, disse a proposito di Rabi’a: «Ella fu la solaad analizzare e classificare le categorie dell’amore al punto da essere famosainterprete dell’amore verso Dio».

Nel 1100, cioè dopo tre secoli dalla morte di Rabi’a, al Ghazzali, il sommoteologo, riuscì a far rientrare la nozione di mahabba (amore) nell’islam “orto-dosso”, tanto da intitolare uno dei suoi scritti più interessanti L’amore di Dio.Secondo una tradizione Rabi’a è sepolta nel Monte degli Ulivi a Gerusa-lemme.

Perché Tu mi basti.

O mio Dio, se ti adoro per ti-more dell’inferno, bruciaminell’inferno, e se Ti adoro persperanza del paradiso, escludimidal paradiso; ma, se Ti adorounicamente per Te stesso, nonmi privare della Tua bellezzaeterna».

Fede come amore, amare sen-za altri fini.

La storia di Rabi’a insegna il

EX LIBRIS

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D ONNE CHIESA MOND O 38 D ONNE CHIESA MOND O39

con una cascata di capelli neri, proseguenell’estrema periferia della città, dove si spostaper avere più spazio, una casa più grande a po-chi passi dagli slum abitati dai poveri che arri-vavano nella capitale dalle zone rurali, espulsidalle campagne da guerra e carestia che qui tro-vano però solo baracche di lamiera, fame e di-sperazione: in questa casa, diciotto anni fa, nelcuore della megalopoli africana, nasce ufficial-mente il Centro caritativo san Giuseppe di Al-mea Bordino. È una mensa per i poveri, all’ini-zio, e Almea, insieme a un frate cappuccino, pa-dre Tommaso Bellesi, distribuisce cibo e acquaa tutti i derelitti della città: lo fa con le sue ma-ni, guardando in faccia i volti di uomini, donnee bambini stremati dalla fame e dalla sete, l’al-tra faccia della metropoli africana, che MenelikII volle chiamare il “Nuovo fiore” dell’Africa.Una volta al giorno, ai poveri degli slum lei dàuna scodella di i n g i e ra , pane locale fatto di t o f f,con il wott, il sugo piccante etiope, e un po’d’acqua.

«La povertà eraintorno a me, interefamiglie di mendi-canti vivevano e vi-vono accampate suimarciapiedi. Ho sen-tito il bisogno di im-pegnarmi per il pros-simo, per i più pove-ri, ed è stato così che

A un certo puntodella sua vita Al-mea Bordino

sente che cucinare nelsuo ristorante di AddisAbeba non le bastapiù, e che deve aiutarei poveri e i disperatiammassati sui marcia-piedi, chi non ha nulla

da mangiare, né la possibilità di sfamare i figli:ed è così che comincia a distribuire cibo e ac-qua a chi non ha nulla. È il 2002: Almea si divi-de tra la sua attività di ristorazione, i figli picco-li e l’aiuto ai più poveri. Va avanti in questomodo fino al 2014, poi chiude il ristorante e dalì si dedica esclusivamente agli ultimi.

Si trasferisce in una casetta di poche stanzenel pieno centro della capitale dell’Etiopia, il se-condo Paese più popoloso del continente africa-no, due anni dopo la fine dell’ultimo conflittocon l’Eritrea che costò la vita a 50mila persone,una guerra scoppiata per un territorio conteso,che nonostante il disgelo e la firma di un fatico-so accordo, si conclude soltanto nel 2018 con lostorico abbraccio tra il primo ministro etiopeAbiy Ahmed (insignito del premio Nobel per lapace) e il presidente dell’Eritrea Isaias Afewerki.È l’anno in cui ad Addis Abeba i poveri aumen-tano a vista d’occhio, anche col flusso degli eri-trei. La storia di questa donna italo-etiope, bellae sorridente, oggi 53 anni e un volto da ragazza

Almea e l’eredità della nonna:“Dal ristorante alla mensa dei poveri”

Il cibo poi le docce, i letti, la scuola. E il Governo le affida i ragazzi di strada

di LILLI MANDARA

ho deciso di chiudere definiti-vamente il ristorante e di met-termi al servizio dei bisognosi.È il Signore che me l’ha chie-sto» dice semplicemente. Passa-no pochi mesi e lì, in quella ca-sa di periferia, Almea cominciaa offrire altro, anche una doc-cia, e ascolta, cerca di capireche cosa serva a quella genteche vive in condizioni così di-sperate. «Serviva tutto, non so-lo cibo — racconta via What-sApp Almea, finalmente a casadopo una giornata di lavoro al Centro san Giu-seppe — Quella gente chiedeva anche scuola,istruzione per i figli, consigli, assistenza, medici-ne, e noi iniziammo ad organizzarci per rispon-dere a tutti i loro bisogni». Il Centro diventapiù grande, i servizi offerti si moltiplicano e an-che la generosità delle donazioni, senza le qualiniente sarebbe stato possibile. Oltre ai pasti, Al-mea riesce ad offrire docce, vestiti, assistenzamedica, scuola e divise scolastiche, prestiti perpiccole attività, allacci per luce e acqua, un dor-mitorio. Quattordici mila poveri al Centro sanGiuseppe trovano aiuto e assistenza. Almea nonesita a sacrificare persino la sua vita col marito(che all’inizio non capisce e impiegherà anniprima di rimettersi al suo fianco, finalmentepartecipe e solidale), scegliendo di dedicarsi aidue figli piccolissimi la sera, al ritorno dal lavo-ro al servizio degli ultimi. All’inizio è sola colfrate cappuccino, ora con loro ci sono 10 volon-tari e 33 dipendenti regolarmente assunti. Il suotrasporto per i deboli lo racconta così: «Sononata ad Asmara, e da piccola vedevo mia nonnache accoglieva nella sua casa i lebbrosi, i mendi-canti, i malati: li curava, li lavava, faceva loro damangiare, scatenando le rimostranze dei figli, dimia madre che si lamentava del fatto che por-tassero in casa pulci e pidocchi. Ecco, da allora

per me i poveri hanno rappresentato una cala-mita».

Adesso però qualcosa è cambiato. Il governodi Addis Abeba, che fa parte del governo fede-rale etiope, prima ancora che scoppiasse l’epide-mia di Coronavirus, ha chiesto ad Almea di oc-cuparsi dei ragazzi di strada che sniffano colla.Sono tantissimi, sessantamila dicono le stime uf-ficiali, arrivano da tutta l’Etiopia, hanno tra i 10e i 16 anni, vivono sotto i ponti e nei tombini, oalle fermate dei bus, sotto le pensiline, sono gliscarti della società. Alcuni sono sieropositivi, cisono ragazze che si prostituiscono per sopravvi-vere. Sniffano colla per sopportare meglio ilfreddo e la fame. Sono ammassati al Blocco diAddis Abeba, periferia della città, un capanno-ne di lamiere e niente altro, ma il governo vuolerealizzare un dormitorio, per questo Almea oltrea dedicarsi ai 1.200 ragazzi che vanno a scuola,a quelli che frequentano i corsi di artigianato, aimalati di elefantiasi, ora pensa ai ragazzi distrada.Qualche intoppo si incontra. «Volevamoriunire i nostri tre centri in un unico grandeedificio, ma siamo fermi. Non nascondo di esse-re in crisi. Mi chiedo se il Signore, con questiostacoli, non mi stia mandando un segnale».Almea dice che la fede la aiuterà a decidere peril meglio.

Alcune donne ricevono aiutoal Centro San Giuseppe (da La goccia.it)

Nella pagina accanto Almea Bordino

LA F O R E S TA SILENZIOSA Etiopia

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PRO MEMORIA

di GLORIA SAT TA

Mezzo secolo di impegno, sfi-de, risultati e un primato sto-rico finora imbattuto: la Pon-tificia Facoltà di Scienzedell’Educazione Auxilium, di

cui si celebrano i 50 anni, è la prima e unicaistituzione accademica pontificia retta dalledonne. Fin dal 1970, l’anno in cui la Santa Sedericonosceva la piena indipendenza alla Facoltà(prima incorporata poi consociata nel PontificioAteneo Salesiano), sono le Salesiane di DonBosco Figlie di Maria Ausiliatrice a gestire l’Au-xilium con la missione di formare gli educatoria nome della stessa Santa Sede che continua acredere nel “genio femminile” capace di offrireun contributo originale all’elaborazione dellacultura cristiana.

La Facoltà è nata dall’esigenza di una miglio-re preparazione pedagogica di religiose e laichequando la modernità cambiava mentalità e ruolitradizionali e ha trovato accoglienza nel concilioVaticano II aperto a garantire una sempre piùincisiva presenza delle donne sia nella Chiesa

Auxilium, una lezione di indipendenza

nel 1992, in visita alla Facoltà, ne confermaval’identità. Nel giugno scorso, celebrando il cin-quantenario, Papa Francesco ha augurato adAuxilium di «riaffermare l'esigenza di una cul-tura universitaria veramente umanistica».

Partito nel 1971 con 9 allievi, oggi l’ateneo neconta 344, oltre metà dei quali laici. Prima Fa-coltà a denominarsi di Scienze dell’Educazionequando in Italia si parlava solo di pedagogia,Auxilium offre 9 corsi di laurea (triennale, ma-gistrale, dottorato). «Rappresenta una grandeopportunità al servizio della società e dellaChiesa nella formazione di educatori ed educa-trici con una particolare attenzione rivolta almondo femminile e una prospettiva internazio-nale presente fin dall’inizio», spiega Grazia Lo-parco, docente di Storia della Chiesa. «La sceltadel nome Auxilium e del motto “Con Maria,per una cultura della vita” ha qualificato ulte-riormente l’identità della Facoltà per offrire unospecifico contributo a favore di ciò che promuo-ve la persona umana nella sua dignità e nellasua apertura al trascendente», aggiunge la presi-

sia nella società. Ma ognirivoluzione richiede i suoitempi e l’idea di affidarealla gestione femminileuna istituzione Pontificiafu dapprima guardata conuna certa diffidenza dalmondo ecclesiastico. Ogniperplessità venne però fu-gata dal lavoro svolto. Eda Giovanni Paolo II che

de Piera Silvia Ruffinatto.Scattato il lockdown p erl’epidemia Covid-19, sonostati organizzati dei corsion line e non si è persaun’ora sola di lezione. An-che reagire con prontezzaa un imprevisto nasce daquel “genio femminile”che, da mezzo secolo, ge-stisce l’ateneo.

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