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Paolo Guglia – Armando Halupca – Enrico Halupca SOTTERRANEI della città di TRIESTE LINT

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Paolo Guglia Armando Halupca Enrico Halupca

SOTTERRANEI della citt di TRIESTE

LINT

Enrico Halupcasotterranei100x96b.jpg

Prima edizione E-book - versione pdf (*): gennaio 2002 2002 LINT Editoriale Associati s.r.l. via di Romagna, 30 - 34134 Trieste tel. 040 360396 - fax 040 361354 e-mail: [email protected] (*)Questo testo elettronico pu essere liberamente distribuito via Internet, a condizione che la distribuzione avvenga a titolo gratuito e senza alcuna modifica al file originario, e che dalla pagina di distribuzione siano presenti link espliciti al sito Lint Editoriale http://www.linteditoriale.com. Per ogni altra forma di distribuzione (CD-ROM ecc.) contattare la Casa Editrice. Il testo a stampa in commercio di questo volume (ISBN 88-8190-165-X formato 21x29,7 cm, 352 pagine, illustrato con 450 fotografie e 180 rilievi topografici e una mappa a colori 70x100 cm) soggetto ai normali vincoli di copyright previsti dalla legge, e non pu essere riprodotto senza autorizzazione.

http://www.linteditoriale.com

con il patrocinio di:

SOCIET SPELEOLOGICA ITALIANA

COMMISSIONE NAZIONALE CAVIT ARTIFICIALI

e CATASTO CAVIT ARTIFICIALI

DEL FRIULI VENEZIA-GIULIA

Dedichiamo questo libro:

a Michela a Licia

a Francesco, Marta, Iris

e a tutte le persone che amano la citt

di Trieste

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Presentazione stato veramente con grande entusiasmo che ho assistito nel 1988 alla stampa della prima edizione di un libro sui sotterranei di Trieste.

Che Trieste sia una citt ricca di cultura da un punto di vista storico ma anche artistico e naturalistico provato soprattutto dal grande patrimonio conservato nei numerosi istituiti culturali cittadini. Ma la citt conserva pure un ricco patrimonio nascosto nelle sue viscere, dove esistono dei sotterranei ascrivibili a varie tipologie. Opere belliche, rifugi, acquedotti, gallerie e pozzi di ogni tipo celano le testimonianze fornite da manufatti costruiti in epoche diverse ed a scopi diversi.

Dedicarsi allo studio e allesplorazione di questi vani comporta un lavoro complesso che fa capo a discipline anche molto distanti tra loro. La ricerca storica sicuramente non meno importante di quella esplorativa, che quasi sempre prevede anche lapplicazione di tecniche speleologiche. E sono stati proprio gli speleologi a dedicarsi per primi ad approfondire le conoscenze in questa nuova disciplina.

Che cosa si prova a visitare la citt da sotto? sicuramente molto affascinante, ma non solo fascino del mistero, dellignoto o curiosit esplorativa della scoperta. soprattutto un viaggio. Un viaggio che ci porta a conoscere una parte di storia della citt stessa. Viaggio suggestivo

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caratterizzato da mille sensazioni straordinarie e meravigliose. Trieste e la sua storia viste attraverso un mondo sotterraneo che si sviluppa sotto le vie, le piazze, il castello e che talvolta ci fa anche sognare seguendo antiche dicerie e leggende, che, come sempre ingigantiscono e travisano la realt. E qui si inserisce laspetto scientifico di questo volume che esce aggiornato e arricchito dopo quel primo lavoro che gi risultava di estremo interesse.

Dopo il successo di allora non potr certo mancare il favore a questopera, vero catasto illustrato delle Cavit Artificiali di Trieste, che si presenta come quanto di pi completo possiamo trovare su un argomento che non finisce mai di sorprenderci.

Sergio Dolce

direttore dei Civici Musei Scientifici di Trieste

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Nota dintroduzione Questo libro nasce per rispondere alla richiesta e allentusiasmo di moltissime persone che ci hanno invitato a rendere di nuovo disponibili i dati e le esperienze da noi raccolte durante le esplorazioni nel sottosuolo urbano della citt di Trieste. I contorni di quello che sembrava essere un mistero si sono notevolmente ridimensionati con lavanzare dellindagine sul campo della Sezione di Speleologia Urbana della S.A.S, per assumere una connotazione pi razionale e definita, ma non per questo non meno suggestiva e per certi versi curiosa e inaspettata.

Ecco dunque che se oggi possiamo accomunare nella dicitura sotterranei di Trieste bunker estesi come il complesso della Kleine Berlin fatto costruire dai tedeschi durante lultimo conflitto mondiale sotto la via di Romagna (proprio sotto ledificio che ospita attualmente leditrice LINT), o la preziosa cisterna dacqua ricavata in epoca medievale in un vano sottostante il crocifisso della cappella di San Giorgio del castello di San Giusto, oppure la grande ragnatela di torrenti coperti che confluiscono nel corso del Klutsch che dalla met dellOttocento scorre sotto la centralissima via Carducci (allepoca Contrada della Caserma), lo facciamo tenendo presenti non solo le evidenti differenze strutturali, ma anche e soprattutto della loro differente genesi storica.

A buon titolo questo lavoro potrebbe essere inteso come un vero e proprio catasto illustrato delle CA (cavit artificiali) della provincia di Trieste, dal momento che espone in modo

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esauriente tutti i dati esplorativi raccolti dalla nostra Sezione. Ma attenzione: per fare in modo che il volume non sia troppo tecnico, ma, al contrario, sia accessibile anche a un lettore inesperto nella lettura di spaccati e planimetrie, tutti i disegni topografici sono stati rifatti da Paolo Guglia adottando una grafica non strettamente tecnica, scegliendo la semplificazione l dove era possibile. Le immagini, scelte con cura da una grande serie del prezioso archivio fotografico di Armando Halupca, mostrano invece questi sotterranei dallinterno, spesso in inquadrature fatte in condizioni-limite nel corso delle esplorazioni e di difficile rifacimento, se non addirittura non ripetibili attualmente. Il volume, per comodit di reperimento, si compone di 7 sezioni tematiche:

1. Il vanto della Trieste imperiale: lacquedotto teresiano 2. Altre opere idrauliche: sorgenti, pozzi e cisterne 3. Corsi dacqua nel cuore della citt: i torrenti coperti 4. I misteriosi sotterranei dei Gesuiti nella chiesa di S. Maria Maggiore 5. La fortezza inviolata: il castello di San Giusto 6. Sotterranei di guerra: bunker e gallerie antiaeree 7. Cavit artificiali varie, gallerie ferroviarie e gallerie stradali

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Prima di concludere questa nostra breve nota dintroduzione desideriamo qui ringraziare la LINT Editoriale Associati nelle persone di Valerio Fiandra e Giancarlo Stavro Santarosa, che hanno creduto in questo nostro progetto, la Regione Friuli Venezia Giulia, che ha appoggiato liniziativa e tutti quanti ci sono stati daiuto in vario modo in questi anni di ricerche.

Buona esplorazione, dunque, e pensiamo a quellantico detto latino che dice: nunquam invenietur, si contenti fuerimus inventis. 1

gli autori Trieste, novembre 2001

1 Mai nulla si scoprirebbe, se ci tenessimo paghi delle cose gi scoperte SENECA, Epist., 33, 10

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Il vanto della Trieste imperiale: lacquedotto teresiano

La lapide del Capofonte teresiano

Lacquedotto teresiano senza dubbio la struttura principale sotterranea della citt di Trieste. Esso venne costruito per far fronte alla domanda dacqua potabile della citt settecentesca. I lavori iniziarono in seguito al decreto imperiale di Maria Teresa nel novembre 1749 e finirono nel 1752. Curatori dellimpresa furono il generale Bohn e lingegnere idraulico Franz Xaver Bonomo, come anche ricordato dalla frase scolpita nella bella lapide a cartiglio posta sopra lingresso del Capofonte in via delle Cave:

PRISCA QUIRITUM OBERRATA

NUNC DENUO URBI ET ORBI RESTITUTA

DIVIS MARIA THRESIA

CUM FRANCISCO

IMPERANTIBUS

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STUDIO ET CURA PRAESIDUM DE CHOTEK AC HAMILTON

La sorgente che alimentava questo acquedotto era posta in

luogo sotterraneo, poco distante dalla chiesetta dedicata ai Santi Pelagio e Giovanni: lacqua veniva infatti convogliata nel Capofonte attraverso una galleria che si addentrava in tre direzioni negli strati arenacei a monte del Capofonte stesso e che, secondo quanto descritto da Pietro Kandler (cfr. P. Kandler, Acquedotto di San Giovanni o come altri lo dice dello Starebrech, in LIstria I n. 80-81, 1846.) avrebbe dovuto misurare circa 250 metri.

Dal Capofonte la condotta che discendeva verso la citt diventava impraticabile e, dopo circa mezzo chilometro andava ad unirsi alla conduttura laterale proveniente da un altro vasto complesso di gallerie artificiali. La principale di queste chiamata, galleria Secker, dal nome del suo progettista. In origine essa aveva uno sviluppo di circa 300 metri, ma in seguito a ripetuti ampliamenti il maggiore dei quali effettuato nel 1898 avrebbe in seguito raggiunto uno sviluppo ben tre volte superiore a quello iniziale. Le due condutture scendevano cos riunite oltrepassando su volti il corso del torrente Starebrech nei pressi dellattuale rotonda del Boschetto, raggiungendo quindi uno sfiatatoio contrassegnato con il n. XXVIII. In questultimo venivano raccolte le acque di unaltra galleria artificiale, lunga circa 25 metri, scavata nel Fondo Giuliani, vicino al Mulino dello Scoglio.

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Da qui in avanti lacquedotto non riceveva pi apporti dacqua potabile e scorrendo lungo via Pindemonte in condutture in legno (sostituite nel 1816 dal ferro), raggiungeva la discesa di via Piccolomini per imboccare lattuale viale XX Settembre che allepoca era noto col nome di Passeggio dellAcquedotto.

Nei pressi di Piazza San Giovanni la condotta sotterranea entrava nel Borgo Teresiano e, mantenendosi sulla sinistra del Canal Grande, raggiungeva il centro citt.

Dalla condotta primaria si staccavano numerose diramazioni laterali, sia per fornire dacqua alcuni edifici privati (casa Rossetti, palazzo Carciotti), sia per alimentare le fontane pubbliche, la Fontana del Giovanin del Mazzoleni in Piazza Ponterosso (1751), quella del Nettuno in Piazza della Borsa (poi trasportata in piazza Venezia), quella dei Quattro Continenti in piazza Grande (1751) e quella dei Leoni in piazzetta Santa Lucia sul retro della chiesa di SantAntonio Vecchio.

I lavori di esplorazione sistematica dei cunicoli da parte della SAS in questi anni hanno evidenziato che le strutture degli elementi di captazione rimangono a tuttoggi ancora abbastanza ben conservate nel loro insieme e percorribili con una certa precauzione, mentre le condotte sono interrotte da molto tempo gi allaltezza dellex birreria Dreher. Lacqua che ancora scorre allinterno del Capofonte viene convogliata tramite tubatura parallela a via delle Docce per poi sfociare

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nelle acque del torrente Starebrech che scorre sotto via Giulia (vedi capitolo Torrenti coperti a pag. 109).

Le gallerie principali ancora praticabili sono: le gallerie di San Giovanni (a monte del Capofonte), la galleria Secker/Tschebull (a monte della chiesa parrocchiale di San Giovanni) e le gallerie di Timignano (Stena inferiore e superiore e complesso Store), mai collegate in verit con lacquedotto.

Le gallerie di Timignano Nel solco vallivo posto tra laltura del Boschetto e quella di Timignano scorre poco pi di un ruscello che scompare in galleria sotto via Giulia e che chiamato torrente Starebrech. Circa a met del suo percorso esso riceve le acque da alcune gallerie sotterranee artificiali, che avrebbero dovuto collegarsi con le tubature dellacquedotto teresiano. Esse erano chiamate Stena e Store e furono scavate verso la fine del XVIII secolo, quando si rese necessario incrementare lapporto idrico dellacquedotto teresiano. Il principio su cui si basa questo tipo di manufatti il seguente: scavando un cunicolo in una massa compatta di arenaria si produce una discontinuit nella roccia che va ad intercettare il flusso dacqua capillare negli interstizi presenti nella stratificazione, provocando laccumulo di acqua nella parte inferiore del cunicolo. La quantit dacqua, ovviamente, sar tanto maggiore quanti pi strati si saranno incontrati nello scavo e, di conseguenza, la lunghezza della

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galleria influir in maniera determinante sulla resa di queste sorgenti artificiali.

Le gallerie dacqua di San Giovanni Le gallerie principali, come si detto, sono quelle a monte del Capofonte, gi descritte nel 1846 da Pietro Kandler e successivamente considerate in una relazione tecnica di Eugenio Boegan che, circa sessantanni dopo, percorse i cunicoli scendendo da un pozzo di circa 8 metri. In effetti il pozzo esiste ancora e si trova sotto una botola interrata in una propriet privata a fianco della chiesa dei Santi Pelagio e Giovanni. Complessivamente il percorso sotterraneo ancora praticabile misura 196 metri ed costituito da una galleria principale che si spinge negli strati di roccia arenaria per circa 105 metri in direzione est, alla quale si aggiunge una diramazione laterale di 91 metri orientata verso nord. Da una mappa del XVIII secolo si nota lo stesso andamento delle gallerie, con la continuit oggi non pi esistente tra queste gallerie e il Capofonte teresiano (CA1 FVG-TS) di via delle Docce.

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Capofonte dellacquedotto teresiano, n. CA 1 FVG-TS, Trieste, San Giovanni Superiore, Tip. A2, Quota 97 m s.l.m., Lungh. 18 m, Disl. 1 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (1986). (foto e rilievo a pag. 15 del libro a stampa) Il Capofonte costituisce il punto di partenza dellacquedotto teresiano. Scavato a quota 97 m s.l.m., questo vano - oggi sotterraneo - rappresentava originariamente la parte seminterrata di un piccolo edificio oggi scomparso. Passato un portone metallico, si accede allambiente principale che contiene tre vasche, allinterno delle quali scorre lacqua. Questi tre bacini sono riempiti con pietrame di pezzatura decrescente, in modo da filtrare e far decantare gli eventuali sedimenti in sospensione. Alle spalle delle vasche si apre una galleria, che oggi si spinge per 10 m in direzione Est. Questo passaggio rappresenta il tratto iniziale del sistema di captazione superiore che, partendo proprio dal Capofonte, si inoltrava per oltre 250 m allinterno della collina. Nellanno 1880, dei movimenti franosi hanno interrotto il cunicolo e per accedere alle Gallerie Superiori (vedi n. CA 2 FVG-TS) attualmente necessario calarsi lungo un pozzo profondo circa 6 m. Bibliografia: De Vecchi F., Resciniti L., Vidulli Torlo M., 1994, Fontane a Trieste, Ed. B.&M.M. Fachin, Trieste, pp. 27-32. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 138-140. Guglia P., Halupca E., 1993, I manufatti per la cattura delle acque urbane, Atti del XVI Congresso Nazionale di Speleologia, Udine, pp.153-160. Guglia P., Pesaro A., 1992, Lacquedotto Teresiano nella Trieste emporiale del XVIII secolo, in Progressione 27, Supplemento semestrale ad Atti e Memorie, anno XV, n. 2, Trieste, pp. 20-24. Guglia P., Pesaro A., 1997, Il Progetto Theresia. Risultati delle ricerche e prospettive future, Atti del IV Convegno Nazionale sulle Cavit Artificiali, Osoppo, 30/31 maggio 1 giugno 1997, pp. 143-152.

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Halupca A., 1997, Acquedotto Teresiano. Tante gallerie praticabili, il Il Piccolo, 10.1.1997, rubr. Segnalazioni, Trieste. Halupca E., 1993, Galleria dacqua per Maria Teresa, in Il Meridiano, 9.11.1993, pp. 44-45. Halupca E., 1994, Microstorie. Immagini, notizie e curiosit della Trieste di un tempo, in Meridiani del Nord Est, 31.3.1994, Trieste. Halupca E., 1994, Inizia il Progetto Theresia, in La Cronaca, 25.11.1994, Trieste. Lagan I., 1997, Il Capofonte in desolato abbandono, in Il Piccolo, 7.1.1997, rubr. Segnalazioni, Trieste. Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293. Stoch F., 1992, Prime ricerche faunistiche sulle acque sotterranee nelle aree urbanizzate della Provincia di Trieste, in Bollettino 1982-1992, Societ Adriatica di Speleologia, Numero Unico, Trieste, pp. 62-66. Veronese L., 1997, Passeggiata romantica per Trieste, Ed. di Letteratura e Storia, Luglio Fotocomposizioni, Trieste, p. 105.

Gallerie Superiori dellacquedotto teresiano, n. CA 2 FVG-TS, Trieste, San Giovanni Superiore, Tip. A2, Quota 103 m s.l.m., Lungh. 235 m, Disl. 6 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (1986). (foto e rilievo a pag. 17 del libro a stampa) Come evidenziato nella descrizione della cavit n. CA 1 FVG-TS, le Gallerie Superiori si collegavano un tempo direttamente al Capofonte. A seguito di franamenti, nel 1880, stato interrotto il passaggio ed aperto un pozzo verticale che permette di by-passare lostruzione. Il sistema superiore di captazione si presenta diviso in tre rami distinti: quello Nord si sviluppa per 80 m ed dotato - alla sua estremit - di una piccola diramazione. interessante segnalare la presenza di unopera di filtraggio preliminare dellacqua, formata da un pozzetto riempito di ciottoli, chiuso da una lastra in pietra con un foro circolare. Il ramo Est lungo anchesso 80 m, mentre quello Sud stato visitato solo sommariamente causa pericoli di frana. Una buona parte delle gallerie dotata di una pavimentazione realizzata in mattoni, sotto la quale sono state

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ricavate delle canalette dove scorre lacqua. Detto sistema permetteva agli operai addetti alla manutenzione di percorrere i cunicoli senza intorbidire lacqua destinata ad uso potabile. Bibliografia: Ardito F., 1990, Citt sotterranee, Mursia Editore, Milano, pp. 143-145, 151, 153. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 141-146. Guglia P., Pesaro A., 1992, Lacquedotto Teresiano nella Trieste emporiale del XVIII secolo, in Progressione 27, Supplemento semestrale ad Atti e Memorie, anno XV, n. 2, Trieste, pp. 20-24. Guglia P., Pesaro A., 1997, Il Progetto Theresia. Risultati delle ricerche e prospettive future, Atti del IV Convegno Nazionale sulle Cavit Artificiali, Osoppo, 30/31 maggio 1 giugno 1997, pp. 143-152. Halupca E., 1993, Galleria dacqua per Maria Teresa, in Il Meridiano, 9.11.1993, pp. 44-45. Halupca E., 1994, Inizia il Progetto Theresia, in La Cronaca, 25.11.1994, Trieste. Lucchesi P., 1987, Alla ricerca dellacquedotto perduto, in Il Meridiano, 19.2.1987, Trieste. Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293. Spinella G., 1985, Lacquedotto Teresiano di San Giovanni in Guardiella a Trieste. Note preliminari, atti II Convegno Nazionale di Speleologia Urbana, Napoli. Spinella G., 1987, Acquedotto e speleologi, in Il Meridiano di Trieste, 15.3.1987, rubr. Lettere, Trieste.

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Le cavit artificiali

opportuno fare un po di chiarezza sulla corretta terminologia usata nel corso delle nostre ricerche. Il sostantivo sotterraneo, anche se correntemente utilizzato, estremamente vago e si riferisce genericamente a qualche vano che si trova nel sottosuolo. Pi correttamente meglio utilizzare il termine cavit artificiale (in breve CA), che indica specificatamente un ambiente ipogeo ideato, e quindi realizzato, dalluomo. Non tutti i sotterranei sono da considerarsi cavit artificiali. Per esempio le cantine vista la loro stretta dipendenza dalledificio sovrastante non sono considerate CA ed per questo che alcuni vani pur importanti nella tradizione locale, come ad esempio i sotterranei dei Gesuiti, sono presenti in questo libro senza alcuna numerazione del Catasto delle Cavit Artificiali. Allo stesso tempo risulta utile fare una distinzione fra speleologia urbana e speleologia in cavit artificiali. La prima definizione quella pi datata e si riferisce allattivit di ricerca ed esplorazione avviata nel sottosuolo di una citt. Quando si esce dal perimetro del centro abitato non si pratica pi, di conseguenza, la speleologia urbana. stato perci coniato a livello nazionale un termine pi generico, che abbraccia complessivamente tutte le indagini effettuate sulle opere sotterranee realizzate dalluomo e cio speleologia in CA. Ovviamente lo speleologo pu visitare e documentare sia cavit artificiali che altri vani non strettamente classificabili come tali, siano essi posizionati allinterno dei centri storici o allesterno, basta che vi siano sufficienti motivazioni ed interessi storico/costruttivi.

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Suddivisione delle cavit artificiali

Da quando esiste il Catasto Nazionale delle CA, si cercato di codificare le tipologie alle quali pu appartenere una cavit artificiale. Per una decina danni rimasta in vigore una prima classificazione che prevedeva 3 categorie primarie. Dal 2000 stato adottato un nuovo albero delle tipologie che contempla, invece, 7 gruppi principali. Nel presente libro, considerando che la maggioranza delle cavit stata presentata al Catasto con la vecchia scheda, stato deciso di utilizzare la prima classificazione. Questa prevede le seguenti categorie: A) OPERE IDRAULICHE A1) Opere di regimazione e bonifica; A2) Opere di captazione; A3) Opere di Trasporto; A4) Cisterne; A5) Pozzi; A6) Opere di presa; A7) Fognature. B) OPERE INSEDIATIVE B1) Insediamenti stabili; B2) Ricoveri temporanei e rifugi; B3) Necropoli e luoghi di culto; B4) Opere difensive. C) OPERE VARIE C1) Cave e miniere; C2) Gallerie di trasporto e camminamenti militari; C3) Opifici; C4) Magazzini e stalle; C5) Altro.

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Galleria Stena Inferiore, n. CA 4 FVG-TS, Trieste, Timignano, Tip. A2, Quota 90 m s.l.m., Lungh. 97 m, Disl. 2 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (10.11.1984). (foto e rilievo a pag. 21 del libro a stampa) Nel corso dei primi anni del 1800 i progettisti decisero di potenziare lacquedotto Teresiano, affiancando al sistema di captazione di San Giovanni, una nuova tubazione che doveva raccogliere lacqua della vallata del rio Farneto. Tale nuovo acquedotto, denominato anche Starebrech, ebbe una vita alquanto travagliata, con lavori iniziati, poi interrotti, quindi ripresi e mai completati. Esso prevedeva un sistema formato da varie gallerie, e da una tubazione che doveva congiungersi con lacquedotto Teresiano in corrispondenza della Rotonda del Boschetto. Di tutti i lavori effettuati sono rimasti alcuni tratti delle opere di captazione e parte del cunicolo di trasporto dellacqua lungo la valle. La galleria denominata Stena inferiore stata scavata in questo periodo ed formata da un semplice cunicolo di circa 100 m, con volta in blocchi di pietra nel tratto iniziale e senza alcun rivestimento nel settore terminale. Lentrata quasi occultata da una colata calcitica e la parte pi interna presenta imponenti fenomeni di concrezionamento che la rendono molto simile ad una grotta naturale. Da segnalare che, in posizione subito sovrastante, si apre la galleria Stena Superiore (vedi n. CA 5 FVG-TS). Bibliografia: Ardito F., 1990, Citt sotterranee, Mursia Editore, Milano, pp. 146-150. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 129-137. Pesaro A., 1994, Lacquedotto sotterraneo della valle di Farneto, in Il Bosco Farneto. Storia, natura e sentieri del Boschetto di Trieste, Ed. Spring, Trieste, pp. 60-64.

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Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293. Veronese L., 1997, Passeggiata romantica per Trieste, Ed. di Letteratura e Storia, Luglio Fotocomposizioni, Trieste, pp. 99-100.

Galleria Stena Superiore, n. CA 5 FVG-TS,Trieste, Timignano, Tip. A2, Quota 92 m s.l.m., Lungh. 67 m, Disl. 2 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (10.11.1984). (foto e rilievo a pag. 26 del libro a stampa) Anche questa galleria doveva fare parte del progettato acquedotto della vallata del torrente Starebrech. Lunga circa 70 m, presenta - come la sottostante Stena Inferiore (vedi n. CA 4 FVG-TS) - un tratto rivestito con volta in blocchi di pietra e la parte terminale in roccia viva. La sua ben marcata sezione a buco di serratura con linvaso dacqua nella parte sottostante, la rende particolarmente adatta a rappresentare il concetto di sotterraneo cos come appare nellimmaginario collettivo. Bibliografia: Ardito F., 1990, Citt sotterranee, Mursia Editore, Milano, pp. 146-150. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 129-137. Pesaro A., 1994, Lacquedotto sotterraneo della valle di Farneto, in Il Bosco Farneto. Storia, natura e sentieri del Boschetto di Trieste, Ed. Spring, Trieste, pp. 60-64. Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293. Pesaro A., 1997, La galleria Stena superiore a Trieste, CA 5 FVG-TS. Un problema metodologico di rilievo, Atti del IV Convegno Nazionale sulle Cavit Artificiali, Osoppo, 30/31 maggio 1 giugno 1997, pp. 215-230.

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Il Catasto delle Cavit Artificiali

Il lavoro di ricerca e documentazione, effettuato negli ultimi anni dalla Sezione di Speleologia Urbana della Societ Adriatica di Speleologia, ha portato alla raccolta di un ingente mole di documenti e rilievi. Al fine di rendere pi fruibili tali dati, questi sono stati consegnati anche al Catasto delle Cavit Artificiali del Friuli Venezia Giulia. Questa istituzione, operante dal 1989 su incarico della Commissione Nazionale CA della Societ Speleologica Italiana, raccoglie le schede di tutte quelle opere sotterranee che, in base al suo regolamento, rientrano in una delle varie categorie in cui sono state suddivise a livello nazionale le varie cavit costruite dalluomo. Tutte le cavit presentate al Catasto sono state quindi identificate con una numerazione, che risulta cos composta: per prima viene riportata la sigla CA, segue un numero progressivo, quindi si indica la regione e la provincia nella quale si trova lopera sotterranea. Per fare un esempio, il Capofonte dellacquedotto teresiano, individuato con il numero catastale CA 1 FVG-TS, rappresenta la prima cavit artificiale catalogata nella regione Friuli Venezia Giulia che si apre nella provincia di Trieste. Nel presente libro, lidentificazione delle singole cavit avviene proprio sulla base di questa numerazione catastale e della denominazione ufficiale con la quale le stesse sono conosciute.

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Tratto dellacquedotto teresiano, n. CA 13 FVG-TS, Trieste, San Giovanni, Tip. A3, Quota 55 m s.l.m., Lungh. 30 m, Disl. 1 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (18.11.1988). (foto e rilievo a pag. 30 del libro a stampa) Lacquedotto teresiano comprendeva numerose gallerie di captazione. Lacqua che fuoriusciva da queste era raccolta in canalette e convogliata in citt. Tali canalette erano di varie dimensioni, certe molto ridotte, altre praticabili. questo il caso della galleria di via delle Linfe, che rappresenta un tratto - rimasto oggi isolato - delloriginale sistema di trasporto dellacqua. Da un passaggio laterale, si accede al cunicolo principale che presenta, dopo pochi metri, un sistema di misurazione della portata a stramazzo. La galleria continua poi per circa 25 m, fino ad arrivare ad una ostruzione del passaggio. Bibliografia: Spechar R., 1990, Acquedotto Teresiano: percorso riscoperto, in Messaggero Veneto, 13.8.1990, ed. di Trieste.

Galleria Secker/Tschebull dellacquedotto teresiano, n. CA 14 FVG-TS, Trieste, San Giovanni, Tip. A2, Quota 54 m s.l.m., Lungh. 1.140 m, Disl. 12 m, Ril. Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (8.1.1990). (foto e rilievo a pag. 31 del libro a stampa) La galleria Secker/Tschebull senza dubbio, per importanza, il secondo punto di captazione dellacquedotto teresiano e pi precisamente quello che raccoglie le acque della parte bassa della valle di San Giovanni, alla quota di 54 m s.l.m.

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I lavori del 1805 sono da far risalire allintervento delling. Secker (ideatore anche di un altro cunicolo per il rifornimento idrico posto allimboccatura della Val Rosandra - n. CA 11 TS-FVG). In seguito vi furono vari prolungamenti, fra i quali la galleria Zock (1843-1845). Dopo vari lavori di miglioramento, la galleria possedeva ben cinque accessi, di cui quattro a forma di pozzo verticale. Negli anni tra il 1898 e il 1902 il ramo a monte venne allungato di altri 650 m (prolungamento progettato dalling. Tschebull), inoltrandosi per ben 174 m nel cuore calcareo dellaltipiano. Nonostante questi ingenti lavori di scavo, non si intercettarono, per, le vene dacqua carsica sotterranea che si ipotizzava scorressero abbondanti alle spalle della vallata di San Giovanni. Questa galleria, per le sue particolari caratteristiche storiche e morfologiche, stata interessata - negli anni 1994/1995 - da un ampio progetto di ricerca idrologica e biologica. Nellanno 2001, la Societ Adriatica di Speleologia ha avviato, una volta ottenute le opportune autorizzazioni, i lavori per rendere nuovamente agibile un ulteriore pozzo di entrata alla galleria, in modo da facilitare maggiormente lingresso alla stessa. Una pi immediata accessibilit permetter di intraprendere una nuova fase di ricerche multidisciplinari sullopera sotterranea e di avviare una serie di visite guidate per appassionati e studiosi. Per quanto riguarda altre cavit artificiali aperte al pubblico, vedi anche il rifugio antiaereo Kleine Berlin (n. CA 34 FVG-TS) e la galleria antiaerea di via Reni Speleovivarium (n. CA 40 FVG-TS). Bibliografia: Guglia P., Pesaro A., 1997, Il Progetto Theresia. Risultati delle ricerche e prospettive future, Atti del IV Convegno Nazionale sulle Cavit Artificiali, Osoppo, 30/31 maggio 1 giugno 1997, pp. 143-152. Halupca E., 1993, Galleria dacqua per Maria Teresa, in Il Meridiano, 9.11.1993, pp. 44-45. Halupca E., 1994, Microstorie. Immagini, notizie e curiosit della Trieste di un tempo, in Meridiani del Nord Est, 9.6.1994, Trieste.

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Halupca E., 1994, Inizia il Progetto Theresia, in La Cronaca, 25.11.1994, Trieste. Longhi G., 1993, Lacquedotto di Maria Teresa, in Il Piccolo, 25.5.1993, Trieste. Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293. Spechar R., 1989, Gallerie sotto labitato di San Giovanni, in Messaggero Veneto, 27.11.1989, ed. di Trieste. Spechar R., 1989, La speleologia urbana tra storia e leggenda, in Messaggero Veneto, 3.12.1989, ed. di Trieste.

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La galleria dacqua delling. Tschebull

Per ottimizzare la resa dellacquedotto teresiano sono stati elaborati, in attesa di soluzioni che risolvessero radicalmente il problema, numerosi progetti. Pur partendo da congetture diverse, tutte le ipotesi formulate hanno comunque previsto lallungamento dei cunicoli gi esistenti nella zona di San Giovanni. Tra le varie proposte, ling. Tschebull sugger di approfondire ulteriormente la galleria detta Secker arrivando fino alle rocce calcaree, nelle quali avrebbe dovuto trovarsi una ricca ed inesauribile riserva idrica. I lavori vennero conclusi nel 1902, ma non si ottennero gli effetti voluti. Infatti, il risultato pratico della terebrazione eseguitasi fu che la portata iniziale della galleria venne triplicata [ma] questo aumento dovuto tutto alla parte di galleria che attraversa i terreni arenarei/marnosi. interessante notare come, rispondendo ad una richiesta di parere avanzata dal Comune di Gorizia che si apprestava a valutare delle soluzioni tecniche per lapprovvigionamento idrico proposte sempre dalling. Tschebull, il Magistrato Civico di Trieste ribadisse: Le osservazioni fatte durante i lavori ed il risultato ottenuto [] non valsero per nulla a mutare limpressione di poca fiducia riportata dallo scrivente sulla teoria posta dalling. Tschebull a base del suo progetto di acquedotto per la nostra citt.

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Complesso Store dellacquedotto dello Starebrech, n. CA 158 FVG-TS, Trieste, Sottolongera, Tip. A3, Quota 116 m s.l.m., Lungh. 120 m, Disl. 1 m, Ril. Pesaro A., Guglia P., Neami E., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (15.11.1992). (foto e rilievo a pag. 36 del libro a stampa) Questo complesso, formato da 2 rami laterali di captazione e da un collettore centrale di raccolta dellacqua, fa parte del progettato acquedotto della vallata del torrente Starebrech. Perfettamente conservato nella sua struttura, drena ancora oggi una buona quantit dacqua che, attraverso una pompa, viene utilizzata per irrigare le coltivazioni dei campi sovrastanti. La galleria presenta, sia a monte che a valle, due murature di ostruzione che interrompono la possibilit di esplorazione. Un centinaio di metri pi ad Ovest, si apre la Galleria dellacquedotto dello Starebrech (vedi n. CA 183 FVG-TS), che rappresenta, di fatto, la sua continuazione in direzione della citt. Bibliografia: Garofalo P.P., 1992, Un tesoro nel pollaio, in Il Piccolo, 24.11.1992, Trieste. Pesaro A., 1994, Lacquedotto sotterraneo della valle di Farneto, in Il Bosco Farneto. Storia, natura e sentieri del Boschetto di Trieste, Ed. Spring, Trieste, pp. 60-64. Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293.

Galleria dellacquedotto dello Starebrech, n. CA 183 FVG-TS, Trieste, Sottolongera, Tip. A3, Quota 112 m s.l.m., Lungh. 26 m, Disl. 4 m, Ril. Pesaro A., Halupca A., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (22.11. 1993). (foto e rilievo a pag. 38 del libro a stampa) Questa cavit, pesantemente rimaneggiata, rappresenta ci che oggi rimane di un tratto dellacquedotto della vallata del

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torrente Starebrech. Una volta constatato che detto acquedotto non sarebbe stato pi utilizzato, gli abitanti del luogo hanno modificando le sue strutture, rendendo accessibile e portando a cielo aperto un tratto di galleria, in modo da ottenere un lavatoio che utilizzasse labbondante acqua sempre disponibile. Sono perfettamente visibili le 2 scale in pietra che portano al livello della galleria e le pietre un tempo usate dalle donne per il lavaggio dei panni. Questopera - oggi solo parzialmente sotterranea - si apre in posizione subito sottostante il Complesso Store (vedi n. CA 158 FVG-TS), con il quale era una volta direttamente collegata. Esiste, nella provincia di Trieste, un secondo manufatto ipogeo usato per il lavaggio dei panni e pi esattamente il Lavatoio di via dei Moreri (vedi n CA 92 FVG-TS). Bibliografia: Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293.

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Lacquedotto in rete

http://digilander.iol.it/apesaro/homeit.htm il sito internet dedicato a Lacquedotto teresiano a Trieste 1751-1918 viaggio alla scoperta del primo impianto idraulico di Trieste moderna. Curato dal webmaster, socio della Societ Adriatica di Speleologia Alessandro Pesaro di Trieste. Altri siti che si occupano di speleologia urbana e speleologia a Trieste: Catasto nazionale di speleologia urbana http://www.ssi.speleo.it/artificiali/catasto.shtml Sito nazionale di Speleologia http://www.speleo.it/index.html Federazione Speleologica Friuli Venezia Giulia http://www.spin.it/speleo/FedReg/ Federazione Speleologica Triestina http://www.spin.it/speleo/FedTs/ Societ Adriatica di Speleologia http://www.sastrieste.it/

http://digilander.iol.it/apesaro/homeit.htmhttp://www.ssi.speleo.it/artificiali/catasto.shtmlhttp://www.speleo.it/index.htmlhttp://www.spin.it/speleo/FedReg/http://www.spin.it/speleo/FedTs/http://www.sastrieste.it/

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Altre opere idrauliche: sorgenti, pozzi e cisterne

Tratto terminale dellAcquedotto romano sottostante piazza della Valle

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I manufatti idraulici della citt Il terreno sul quale stata edificata la citt di Trieste formato prevalentemente da unalternanza di marne ed arenarie (flysch). Questo tipo di roccia impermeabile e favorisce lo scorrimento superficiale dellacqua piovana, con la formazione di corsi dacqua temporanei a regime torrentizio, ma allo stesso tempo permette anche una limitata penetrazione nel sottosuolo, lungo le fratture, gli interstrati e le varie discontinuit (permeabilit per fratturazione).

In territorio urbano potremo trovare quindi acque di percolazione, ancora in lento movimento allinterno della massa rocciosa, oppure acque di falda.

Queste acque presenti nel terreno possono ritornare alla luce in presenza di particolari condizioni geomorfologiche (sorgenti naturali), oppure in corrispondenza dinterventi specifici realizzati dalluomo. Le acque di percolazione sono captate dai cunicoli di drenaggio e pi piani di discontinuit saranno attraversati dallo scavo artificiale, maggiore sar la resa finale della galleria. Le falde sotterranee sono intercettate invece dai pozzi: lo scavo verticale attinge le acque presenti in questi bacini ipogei, spesso di limitata estensione e normalmente posti a poca profondit dalla superficie.

Le sorgenti Ben poche sono le sorgenti naturali presenti in ambito urbano citate nei vari documenti. Sono ricordate, infatti, solamente la

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fonte Ustia (sul colle di Scorcola), la sorgente in Contrada degli Artisti e quella in localit Tor Cucherna (sul colle di San Giusto). Se si allarga larea di riferimento, includendo la periferia della citt, possibile ritrovare cenni relativi alle sorgenti della valle delle Sette Fontane, a quella del Bosco Marchesetti, a quella sotto il colle del Farneto ed alle fonti di Barcola. Le ricche sorgenti presenti nel rione di San Giovanni non sono incluse in questelenco perch tutte captate dalle estese canalizzazioni dellacquedotto Teresiano. (vedi capitolo precedente)

Esplorazione delle sorgenti Una sorgente il punto dove lacqua scaturisce naturalmente dal suolo e spesso bastano pochi adattamenti per sfruttare al meglio tale circostanza. Un piccolo bacino di raccolta ed opportune canalizzazioni permettono, infatti, di convogliare facilmente lacqua verso il luogo dutilizzo ritenuto pi opportuno. Per questo motivo, non vi sono normalmente delle descrizioni particolareggiate delle opere realizzate presso le sorgenti ed anzi, in molti casi, non viene precisata nemmeno la posizione esatta delle stesse.

Durante le esplorazioni effettuate nel sottosuolo cittadino, ci si spesso imbattuti per puro caso in queste opere, talvolta senza individuare, allinizio, quanto si stava visitando. Soltanto in seguito, analizzando in maniera pi approfondita i documenti e le descrizioni disponibili, sono stati identificati

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correttamente i singoli manufatti sotterranei precedentemente osservati.

Sul colle di Scorcola stata esplorata una galleria drenante di sviluppo ridotto, formata da un ramo principale e da due brevi cunicoli laterali. Inizialmente non era stato possibile riconoscere la cavit; solamente in un secondo tempo stato accertato che la galleria dalimentazione esplorata non era altro che lopera di adattamento eseguita in corrispondenza della fonte Ustia (n CA 6), sorgente citata molte volte nei documenti, ma mai localizzata precedentemente sul territorio.

Allo stesso modo, quando c stata loccasione di visitare un cantiere edile in via degli Artisti e sono stati percorsi alcuni vani sotterranei che sinterrompevano a contatto con la roccia in presenza di un forte arrivo dacqua, non sono state subito riconosciute le opere che si stavano esplorando. Anche in questo caso, solo dopo alcuni giorni, stato collegato tale manufatto con la presenza in questo luogo della sorgente in Contrada degli Artisti (o Sotto il Monte - n CA 131), citata in pi documenti.

Talvolta, sempre a causa dellimprecisa localizzazione dei manufatti, stata rintracciata unopera sotterranea sconosciuta, pur cercandone unaltra. il caso delle ricerche avviate nellalta valle di San Giovanni, dove si stava tentando di rintracciare la galleria Slep dellAcquedotto Teresiano. Dopo alcune giornate di perlustrazione, stata trovata una costruzione semi sotterranea dotata di bacini di decantazione e di galleria dalimentazione: non si trattava della galleria Slep

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(che non stata ancora localizzata e che deve aprirsi in ogni caso ad una quota inferiore), ma della sorgente del Bosco Marchesetti (n CA 3), anchessa pesantemente modificata per ottenere una maggiore resa idrica.

La sorgente sotto il colle del Farneto (n CA 15) era invece da noi conosciuta fin dal 1985. Era stata segnalata, quellanno, una piccola costruzione semi interrata posta lungo il torrente Bonomo, interessata da una limitata presenza dacqua. Solo nellanno 1988 stato possibile effettuare una pi attenta verifica del manufatto e sono state raccolte numerose nuove informazioni. Per prima cosa risultato che la costruzione era dotata di una piccola galleria dalimentazione; poi stato scoperto che sotto il pavimento era stata realizzata unampia cisterna per la raccolta dellacqua. Alla luce dei nuovi dati, lopera acquisiva una particolare importanza: era stata interessata, infatti, da tutti i lavori di modifica ed adattamento che, generalmente, possono ottimizzare lutilizzo di una sorgente. Non solo il punto naturale dal quale scaturiva lacqua era stato approfondito ed adattato per ottenere un maggiore rendimento, ma in prossimit della fonte era stato ricavato un vasto serbatoio dove raccogliere lacqua durante i momenti di maggior resa, per poi poterne approfittare nei periodi di magra.

Non sono state ancora localizzate, per il momento, le sorgenti della valle delle Settefontane (definizione troppo vaga), quella in localit Tor Cucherna (la zona stata interessata da troppe fasi sovrapposte durbanizzazione) e

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quelle di Barcola (si stanno approfondendo le ricerche archivistiche per definire meglio la loro posizione).

A proposito di questultima zona, opportuno ricordare anche le fonti retrostanti il piccolo porto di Cedas. Queste sorgenti sono citate in molti documenti: nellestate del 1868 il Comune organizz trasporti di acqua che partivano da questarea e si dirigevano verso la citt e potenzi due ulteriori sorgenti, nel luglio 1899 venne previsto lulteriore prolungamento delle gallerie di captazione, negli anni 1907 e 1909 vennero effettuati alcuni esperimenti di tracciatura delle acque del Timavo sotterraneo, con riscontri positivi anche presso le sorgenti di Cedassamare, nel febbraio del 1917 si ipotizz un acquedotto che avrebbe dovuto collegare le sorgenti di Cedas con labitato di Barcola.

Nonostante le numerose ispezioni, le gallerie di captazione che sono state costruite in corrispondenza di queste sorgenti, sempre ricche dacqua, non sono state ancora ritrovate.

I pozzi Analizzando i documenti e gli atti pubblici degli ultimi 250 anni, escludendo le grandi realizzazioni legate agli acquedotti, la categoria delle opere idrauliche pi spesso citata quella dei pozzi. Questi scavi nel terreno hanno, infatti, risolto il problema dellapprovvigionamento idrico per un vastissimo periodo: dallantichit fino ai nostri giorni. Si tratta di costruzioni relativamente semplici da realizzare, che possono essere di grandi dimensioni ma anche di profondit ridotta, che

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non necessitano di grandi conoscenze tecniche per lescavazione ma che assolvono brillantemente al loro scopo.

Tecnicamente un pozzo formato da una camera di captazione, dove si raccoglie lacqua; da una canna, scavo verticale che congiunge la camera alla superficie, e da una bocca, passaggio attraverso il quale possibile accede al pozzo stesso.

La camera di captazione normalmente priva di rivestimento, al fine di facilitare la fuoriuscita dellacqua dalle fessure della roccia; la sua profondit ovviamente legata alle condizioni idrogeologiche del luogo. La canna solitamente di forma cilindrica, rivestita con muratura per rinforzare le pareti e daltezza variabile in relazione alla profondit della camera di captazione. La bocca del pozzo, spesso munita di vera, realizzata in funzione di vari scopi: deve proteggere le persone durante la fase di prelievo dellacqua, prevenire possibili inquinamenti ed evitare la caduta di oggetti e animali allinterno. La vera pu essere realizzata in semplice muratura, oppure in un solo blocco monolitico di roccia.

I pozzi pi antichi sono normalmente di forma cilindrica, cio mantengono una sezione pi o meno costante dalla bocca alla camera di raccolta: sono pi facili da realizzare ed hanno una resistenza maggiore. Quelli pi recenti (seconda met del 1800) assumono invece una forma a bottiglia, con una bocca di diametro ridotto ed una canna con una sezione che inizialmente aumenta allaumentare della profondit, per poi diventare costante fino al fondo.

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Se analizziamo le dimensioni di queste opere sotterranee, la profondit dello scavo di un pozzo pu, secondo le caratteristiche locali, partire da pochi metri per giungere fino a profondit ragguardevoli. Nella citt di Udine, ad esempio, il pozzo di San Cristoforo, sito nellomonima piazza, raggiunge la profondit di 54,5 m.

Per quanto riguarda il territorio urbano triestino, la profondit massima riscontrata durante le esplorazioni stata di 18 m, ma probabilmente sono stati realizzati anche scavi pi profondi. Per quanto riguarda il diametro della canna (escludendo la bocca che normalmente di sezione pi ridotta), si riscontrano valori che vanno da un minimo di 1,2 m ad un massimo di 5,4 m, con una media di 2,6 m. In relazione alle varie morfologie, il volume dacqua disponibile in ogni pozzo poteva quindi variare da poche decine di metri cubi a volumi anche considerevoli.

I pozzi presenti in ambito urbano possono essere divisi in due grandi gruppi: quelli pubblici e quelli privati. Nel primo gruppo possiamo includere tutti i pozzi, normalmente di grandi dimensioni e di sicura resa idrica, adibiti ad uso collettivo, dove lonere della costruzione e della manutenzione era a carico dellamministrazione cittadina. Nel secondo gruppo sono incluse invece tutte le opere duso famigliare, o comunque rivolte ad un numero limitato di persone. In questo caso la costruzione e la manutenzione dellopera era a carico della ristretta comunit che ne usufruiva. Talvolta questa suddivisione abbastanza relativa, in quanto certi pozzi privati

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erano spesso utilizzati, durante i periodi di siccit, anche a fini pubblici.

Bisogna inoltre evidenziare la presenza di una categoria particolare di pozzi: i fontanoni. Anche in questo caso si tratta di scavi nel terreno per la raccolta dellacqua, ma con precise caratteristiche morfologiche e sempre duso pubblico. Molto spesso dei semplici pozzi venivano, con il passare degli anni, modificati ed ingranditi, passando cos alla categoria superiore. Per questo motivo alcune cavit sono riportate nei vari documenti con le due diverse definizioni. Dei fontanoni si tratter pi estesamente nel paragrafo appositamente dedicato.

difficile quantificare quanti pozzi siano stati scavati nel territorio urbano della citt. Una stima elaborata dallACEGAS cita 700 pozzi, mentre un recente lavoro di Ballarin e Semeraro, dedicato alla geologia della zona di Trieste, ne indica 1.800. Bisognerebbe ovviamente definire esattamente i limiti del territorio urbano, ma probabile che queste valutazioni siano da ritoccare in eccesso.

Una stima del 1882, indica che la disponibilit totale dacqua della citt ammontava a 2.254 mc giornalieri, di cui 1.100 mc fornita da pozzi e fontanoni. Ci significa che, fino a circa cento anni fa, Trieste dipendeva quasi al 50% da questo tipo dopere idrauliche.

I pozzi trattati nella presente ricerca, sono delle semplici opere di escavazione che intercettano lacqua presente nel sottosuolo, che necessitano quindi di particolari sistemi di sollevamento per il trasporto allesterno della stessa. Non

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bisogna quindi confonderli con i pozzi artesiani che nel territorio triestino, nonostante numerosi tentativi, non hanno mai portato a grandi risultati e che non rientrano nellindagine effettuata.

I pozzi pubblici Per definire quali pozzi erano considerati pubblici a Trieste, possibile fare riferimento a varie relazioni, ma due di queste possono considerarsi particolarmente esaurienti. La prima elenca 27 cavit (fra pozzi e fontanoni) ed stata formulata dal medico de Garzarolli e dal farmacista Boara nel 1822 (Archivio di Stato di Trieste, IRLL AG Busta 2236, Rapporto della commissione per la rilevazione dello stato dei pozzi, Trieste 24 giugno 1822). La seconda ne elenca solo 19 ed stata redatta dalle autorit cittadine in occasione della siccit del 1868 (Verbali della delegazione municipale di Trieste, Trieste 10 agosto 1868).

Sulla base di questi documenti si possono ricordare i seguenti pozzi cittadini: Bianco, davanti alla Cattedrale di San Giusto, del Ghetto Vecchio, del Lavatojo, del Mare, dellAmore, dellAnnunziata, dellOspedale, della Chiesa dei Gesuiti, della Marinella, di Crosada, di San Lorenzo, di San Silvestro, di Sporca Villa, dietro Casa Fister, in androna Brainech, in androna della Fontanella, in androna Jasbezza, in Barriera Vecchia, in contrada Malcanton, in Guardiella, in piazza del Fieno, in piazza della Dogana Nuova, in piazza della Dogana Vecchia, in piazza Lipsia, in piazza Santa Lucia, in

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Pozzacchera, presso Casa Baiardi, presso Casa Baraunz, presso Casa Cosmatz, presso Casa Porta, sotto il Corpo di Guardia di Rena Vecchia e Sotto il Monte.

Allinterno di questo elenco, alcuni pozzi sono facilmente identificabili, in particolare modo quelli che fanno riferimento ad una chiara collocazione (in androna della Marinella, in piazza Santa Lucia...). Altri sono invece indicati con delle definizioni meno precise (presso Casa Baraunz, presso Casa Cosmatz) e presentano quindi delle notevoli difficolt per la determinazione della loro esatta posizione.

Consultando vari documenti, stato possibile seguire levoluzione di alcuni pozzi ed i lavori di modifica che, nel tempo, li hanno interessati. il caso del pozzo antistante la Cattedrale di San Giusto: esso stato realizzato in tempi antichi e per lunghi anni ha svolto la sua funzione. Nel 1884, il pozzo stato infine chiuso e, in molti testi, si riporta che al suo posto fu eretta la nota colonna sormontata dallalabarda. Consultando le piante che riportano lesatta posizione del pozzo, facilmente visibile, per, come esso risulti alquanto spostato rispetto alla colonna e che quindi non via sia stata alcuna interferenza fra le due costruzioni. In un progetto del 1846, si previde lallacciamento di questopera sotterranea con il sottostante edificio allora adibito a manicomio (un tempo sede episcopale, quindi Ospitale), sito in via del Castello n. 2, che non disponeva dacqua a sufficienza nonostante le due grandi cisterne di cui era dotato. Non ci sono dati sicuri sulla realizzazione di questo collegamento, ma stata ritrovata

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unintervista rilasciata dallo storico Silvio Rutteri, nella quale si accenna allavventurosa esplorazione di queste canalizzazioni.

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I pozzi privati Se i documenti ufficiali trattano spesso dei pozzi pubblici, poche indicazioni sono riservate invece a quelli di carattere privato. La realizzazione di queste opere, infatti, interessava solamente i proprietari del terreno in cui il manufatto si apriva e molto spesso non rimaneva traccia della costruzione in alcun atto o progetto ufficiale. Lidentificazione di numerose cavit appartenenti a questa categoria risulta per facile consultando le varie mappe, antiche e moderne, che descrivono il territorio urbano. Le planimetrie, che ritraggono sia il centro che le aree di periferia, riportano spesso dei piccoli simboli circolari, che identificano la posizione dei pozzi presenti nelle varie propriet private. possibile cos vedere come sul colle di San Giusto, ma anche in Cittavecchia ed in generale in tutto il territorio urbano e di periferia, vi sia una considerevole presenza di pozzi di costruzione privata. Basta poi consultare la cartografia del piano Mller in scala 1:1.000 per notare particolari concentrazioni: una di queste si riscontra nella zona periferica retrostante il cimitero di SantAnna, dove, in unarea quadrangolare di 250 m di lato, sono presenti pi di 16 cavit di questo tipo.

Quasi tutte le ville padronali erano dotate di pozzi per lapprovvigionamento idrico. Lesempio pi interessante quello di villa Bazzoni, pregevole edificio neoclassico sito allinizio dellomonima via. Durante recenti sopralluoghi, svolti dalla Sezione di Ricerche e Studi su Cavit Artificiali del

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Club Alpinistico Triestino, risultato che nel parco sono presenti ben 4 pozzi, di dimensioni variabili, usati sia per le esigenze del parco stesso, sia come riserve idriche per la villa.

Allo stesso modo, erano sempre dotati di pozzi le principali fortificazioni militari, come il castello di San Giusto o il Forte della Sanza, ed i vari edifici di carattere religioso. A tale proposito basti ricordare il convento di San Cipriano che presenta ancora oggi, negli orti circostanti, due ampi manufatti per la raccolta dellacqua.

Esplorazione dei pozzi II pozzi pi antichi che sono stati rinvenuti risalgono al periodo romano. Si tratta di due opere ipogee ancora visitabili sul colle di San Giusto. Il primo posto lungo la rampa daccesso al castello (n CA 21), dove facilmente visibile la botola in pietra che ne chiude la bocca. Questa stata posta nellanno 1930. Si tratta di un pozzo profondo 5 m, di forma cilindrica con un diametro di circa 1 m. Un altro manufatto, sempre depoca romana, stato rinvenuto allinterno del battistero della Cattedrale (n CA 23): uno scavo di piccole dimensioni, di costruzione cilindrica, con una profondit di 3 m ed un diametro di circa 80 cm. Tutte le due cavit sono rivestite in conci di pietra e sinterrompono a contatto con gli strati di roccia marnoso-arenacea. In entrambi i casi, si tratta dimportanti testimonianze relative ai pozzi che, assieme ai tre acquedotti, hanno permesso la sopravvivenza e lespansione dellantica citt di Tergeste.

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Se affrontiamo invece largomento dei pozzi pi recenti di carattere pubblico, lesempio pi rilevante sicuramente quello dellopera idraulica presente nei sotterranei della chiesa di Santa Maria Maggiore: il pozzo dei Gesuiti (n CA 19). Nato inizialmente come fonte idrica privata, presenta le seguenti caratteristiche: la canna in muratura scende in profondit per 5 m, mentre la camera di raccolta si sviluppa per ulteriori 1,5 m nella roccia marnoso-arenacea. Come si pu constatare, si tratta di un pozzo con limitate dimensioni (profondit totale 6,5 m), ma che possiede interessanti particolarit. La canna, infatti, si presenta a sezione variabile: inizia con forma ottagonale, che diventa poi quadrata ed infine circolare. Anche i materiali di costruzione sono diversi. Il pozzo inizialmente realizzato con mattoni, per poi presentare, in profondit, pareti rivestite con pietre squadrate darenaria. Si tratta, molto probabilmente, di una stratificazione morfologica indicante fasi diverse di costruzione. La parte profonda del pozzo, quella formata dalla camera di captazione e dalla prima parte della canna realizzata in pietre con sezione circolare, quasi certamente preesistente al resto della costruzione ed stata inglobata nelle fondamenta della chiesa al momento della sua edificazione.

Pozzi di carattere privato si trovano in quasi tutto il territorio urbano. Fra i tanti localizzati e documentati, si possono citare due in via degli Artisti e numerosi altri nella zona di via Commerciale, in via Carpaccio, in via Virgilio, in vicolo dellOspedale, in piazzale Rosmini, in via Crispi, in via Giustinelli, sul colle di San Giusto, nel parco della

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Rimembranza e nellOrto Lapidario. Si tratta di costruzioni di dimensioni medio-piccole, con profondit massima di 13 m ed un volume medio dacqua pari a 42 mc.

Alcuni interessanti sopralluoghi sono stati fatti anche allinterno dei parchi dalcune ville appartenute a famiglie nobili cittadine. Come esempio dalle particolari caratteristiche, si pu citare il manufatto idraulico costruito nei pressi della villa Sartorio, oggi sede dellomonimo civico museo. Nel giardino sono ancora oggi visitabili alcuni ambienti sotterranei, probabilmente appartenenti ad una costruzione preesistente allattuale edificio. Procedendo lungo questi vani, stato possibile localizzare un ampio pilastro a sezione circolare: dopo opportune indagini, emerso che lo stesso non una struttura di sostegno della volta, come inizialmente interpretato. Si tratta invece della parete esterna della canna di un ampio pozzo (n CA 129) che, aprendosi allesterno, scende in profondit attraversando, dal soffitto al pavimento, tutta la sezione della galleria.

I fontanoni Per alcuni pozzi, nei documenti del passato, stata usata una definizione particolare: fontanone. Con tale termine sintende di norma un motivo architettonico ornamentale costituito da una fontana di grandi dimensioni, oppure una sorgente carsica caratterizzata da variazioni di flusso e da intermittenza di portata. A Trieste con detto termine sindica invece un pozzo,

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duso pubblico, dalle particolari caratteristiche: si tratta di scavi di dimensioni medio-grandi, coperti da una struttura a cupola, sormontati da una costruzione in muratura, dotati di sistemi di pompaggio e di vasche esterne per la raccolta dellacqua.

Questi manufatti, se non ricavati da preesistenti pozzi, sono stati generalmente scavati a partire dal 1600, fino alla prima met del 1800.

Lo scavo di un fontanone non si estendeva normalmente in profondit, ma si sviluppava in larghezza, al fine di ricavare un ampio vano nel quale contenere una cospicua riserva dacqua, da utilizzare nei mesi di siccit.

Nelle liste redatte a met del 1800, sono citati i seguenti fontanoni: della Zonta, di San Lazzaro (o di piazza della Legna), di Cavana, di piazza San Francesco (o del Borgo Franceschino - ex pozzo), di piazza della Caserma, di piazza della Valle, di piazza della Legna (ex pozzo di San Lazzaro), di corte Preinitsch, di Barriera Vecchia (ex pozzo), di piazza Lipsia (ex pozzo), di piazza Scorcola.

Certi fontanoni hanno una storia ben documentata. Ad esempio quello del Borgo Franceschino stato iniziato nel 1803, ma un forte acquazzone distrusse lo scavo ed il cantiere circostante. Ci vollero 20 anni per riprendere i lavori ma alla fine, nel 1822, vennero completati lo scavo e la costruzione sovrastante. Questo manufatto si rivelo ben presto come una delle opere di maggior resa fra quelle della sua categoria: nellanno 1824, lacqua di questo fontanone veniva convogliata

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non solo nel vicino Lavatoio Pubblico, ma addirittura nella rete di distribuzione dellacquedotto Teresiano.

Di altri fontanoni, invece, ci sono pochissime notizie e molto spesso, di questi, non pi identificabile, oggi, alcuna traccia.

Esplorazione dei fontanoni I fontanoni erano strutture che, per una loro migliore fruizione, venivano normalmente realizzate al centro di piazze o dampie aree pubbliche. Per tale motivo, quando queste costruzioni esaurivano il loro scopo, erano abbattute ed interrate. Nel sottosuolo della citt di Trieste ci sono sicuramente ancora delle ampie cavit, delle quali per si perso completamente il ricordo.

Lunico fontanone esplorato infatti, per il momento, quello che si apre in piazza Lipsia, attuale piazza Hortis (n CA 293). Scavato originariamente come pozzo del convento dei padri minoriti della chiesa di SantAntonio Vecchio, divenne pozzo pubblico quando, con la demolizione del complesso, fu creata lampia spianata della piazza. Nellanno 1822 fu quindi elevato al rango di fontanone, in occasione di consistenti lavori dampliamento ed approfondimento. La sua bocca venne cos sormontata da una costruzione in muratura, dotata di un sistema di pompaggio e di vasche per la raccolta dellacqua. Con lanno 1865 il pozzo fu chiuso e sormontato prima da una fontana con vasca, poi da unaiuola al centro della quale stato eretto un busto marmoreo. La costruzione sotterranea venne

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cos completamente dimenticata finch, nel corso delle recenti ristrutturazioni della piazza, il pozzo non ritornato alla luce ed stata possibile una sua attenta documentazione. Gli esploratori appartenenti al Club Alpinistico Triestino, attraverso un canale laterale, hanno potuto immergersi e verificare la morfologia del manufatto: allimbocco il diametro di 2,5 m ma, scendendo, esso aumenta fino ad un massimo di 4,5 m. La profondit totale di 9 m ed il fondo del manufatto si trova quindi a circa 5 metri sotto il livello del mare.

Unaltra opera tuttora visibile quella presente lungo la via Navali (n CA 91). Essa non viene citata in nessun documento e quindi pu considerarsi, in un certo senso, ai limiti della sua categoria. Allo stesso tempo, per, presenta tutte le caratteristiche identificative dei fontanoni: si apriva sulla pubblica via (era quindi disponibile a tutti), stata realizzata con dimensioni notevoli, la sua bocca non era accessibile direttamente ed era dotata di un sistema di pompaggio che alimentava una vasca esterna.

Le cisterne Se, per quanto riguarda i pozzi, si possono avanzare alcune considerazioni di carattere morfologico comuni alle varie opere, parlando di cisterne questo non possibile. Si tratta, infatti, di vasche coperte che, secondo il luogo dove sono state realizzate, hanno assunto la forma che pi si adattava alla configurazione del terreno o alla presenza daltre costruzioni limitrofe.

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Risulta strano che un sistema di raccolta dellacqua come quello delle cisterne sia stato usato abbastanza raramente a Trieste. La vasta presenza di tetti e di grondaie avrebbe reso facile, durante i periodi piovosi, laccumulo dellacqua che, conservata in serbatoi sotterranei, avrebbe potuto essere poi usata nei periodi di siccit. Nonostante la semplicit del procedimento, per, sono state ben poche le cisterne costruite in citt.

Si parl svariate volte, infatti, della realizzazione di vasti serbatoi nella valle di San Giovanni ed un ampio contenitore sotterraneo era stato progettato nel 1847 davanti alla chiesa di San Giacomo, nellomonimo rione. Tali soluzioni furono per scartate, perch i sistemi di filtraggio e di decantazione necessari per rendere potabile e sicura lacqua di questi grandi impianti, avrebbero comportato costi troppo elevati. Nei documenti consultati sono citate, infatti, solamente la cisterna sul colle della Fornace e quella nel cortile del Collegio dei Gesuiti. La prima risulta costruita sul colle di San Giusto, nei pressi della chiesa di Montuzza, e su una pianta topografica viene indicata con il nome serbatoio dellAurisina, probabilmente in relazione ad un suo collegamento, in un secondo tempo, con lacquedotto cittadino. La seconda cisterna rappresenta invece un caso abbastanza curioso. Questo manufatto ipogeo, infatti, citato in molti documenti e sono disponibili numerosi suoi disegni risalenti agli anni 1841/42. Le relazioni ed i progetti la descrivono come lelemento terminale di un artificioso congegno per la conduttura

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dacqua, che per diversi canali e filtratoi si congiunge nel serbatoio principale. Si trattava di un ampio ambiente sotterraneo a pianta rettangolare, con soffitto a volta, diviso in dodici settori da tramezzi in muratura ed alimentato da varie canalette che si raccordavano alle grondaie. Il volume totale dacqua ammontava a circa 130 mc. Nel 1984, quando incominciarono le indagini sul Complesso dei Gesuiti si cerc di rintracciare questa cisterna, della quale, come detto, esisteva una ricca documentazione. Con sorpresa, per, si accert che tutta larea dove originariamente si apriva questopera sotterranea era stata interessata da grandi lavori di ristrutturazione: proprio in quella posizione era stato infatti ricavato il piccolo teatro parrocchiale, scavato sotto al cortile al posto del contenitore idrico.

Durante le varie esplorazioni, spesso sono state rinvenute tracce di cisterne nei parchi dalcune ville della nobilt cittadina: erano dei sistemi di conservazione dellacqua che si affiancavano ai pozzi.

doveroso citare, infine, come le cisterne siano solitamente presenti, assieme ai pozzi, anche nelle maggiori fortificazioni militari cittadine. Il castello di San Giusto, per esempio, dotato di unampia cisterna, sita lungo il lato Ovest del Piazzale delle Milizie (n CA 22).

Esplorazione delle cisterne I manufatti che meglio possono rappresentare questa categoria dopere idrauliche sono le due cisterne esplorate nel parco di

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villa Hengelman. Si tratta di due manufatti indipendenti, realizzati a circa 100 m di distanza luno dallaltro, che hanno rappresentato, per un certo periodo, lunica risorsa idrica presente nel parco della villa. La cisterna pi grande (n CA 10) si apre in posizione centrale, in corrispondenza di un muro di contenimento. Aperta la porta di moderna fattura che oggi chiude limbocco, si pu scendere per una ripida scalinata di pietra, fino a giungere allampio bacino. Il vano presenta pareti in pietre squadrate darenaria ed il soffitto a botte. Sulla parete opposta, ancora visibile il cunicolo di alimentazione, mentre il volume dacqua attualmente riscontrabile ammonta a circa 35 mc. La seconda cisterna (n CA 93) stata invece costruita nella parte superiore del parco. Un portello metallico permette di accedere al basso vano sotterraneo, contenente oltre 12 mc dacqua. Detto vano, costruito con elementi squadrati darenaria e con volta a botte, presenta anchesso una ripida scala in pietra che si allunga fino sul fondo, ad una profondit di 2,5 m dalla quota dingresso.

Unaltra cisterna molto interessante stata rinvenuta lungo le pendici del colle di Scorcola. Allinterno del cortile del convento delle Figlie di San Giuseppe, si apre il vasto ingresso di questo manufatto (n CA 7). Dopo un vano iniziale, si accede subito allampio ambiente interno, largo 2 m, lungo 12 m ed alto 4 m, nel quale sono contenuti oltre 36 mc dacqua. La particolarit di questa cavit data proprio dal modo in cui lacqua viene captata e quindi conservata. Essendo il vano interno scavato in profondit nella roccia marnoso-arenacea,

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infatti possibile, come avviene del resto anche nelle wassergallerien, intercettare lacqua che scorre allinterno delle discontinuit della roccia, raccogliendola poi nella parte bassa del vano, resa opportunamente impermeabile. Tutte le pareti ed il soffitto, quindi, contribuiscono allalimentazione idrica della cisterna, come ampiamente provato dalla presenza dampie colate calcitiche in corrispondenza degli arrivi dacqua pi consistenti.

Osservazioni La ricerca svolta allinterno del perimetro urbano ha rivelato un notevole numero dopere idrauliche minori, in parte esplorate ed in parte conosciute attraverso documenti e progetti descrittivi. Non sempre stato facile dividere i manufatti secondo i vari gruppi morfologici di appartenenza: in alcuni casi, per esempio, le sorgenti erano dotate di vasti serbatoi, oppure le cisterne erano alimentate direttamente dallacqua sotterranea. Si hanno quindi, talvolta, cavit di carattere misto, non perfettamente inquadrabili in una sola categoria. Tralasciando queste difficolt interpretative, le ricerche darchivio e le esplorazioni hanno in ogni modo permesso di tracciare un quadro abbastanza preciso: emerso chiaramente come queste risorse siano state utilizzate per un lungo periodo di tempo e come il maggiore problema sia stato quello di un eventuale loro inquinamento. Quando non esisteva ancora un

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sistema fognario cittadino, la possibilit dinfiltrazioni era sempre presente e spesso non era sufficiente lastricare accuratamente larea in cui si aprivano i pozzi e le cisterne per eliminare tale rischio. Per le costruzioni pi prossime al mare era poi possibile linfiltrazione dellacqua salmastra: in tali casi, spesso non si poteva fare nulla ed i pozzi interessati da tale fenomeno potevano in seguito essere impiegati solamente per abbeverare il bestiame. Poi, finalmente, arrivata la possibilit di allacciarsi agli acquedotti pubblici cittadini. Sono cos iniziate le demolizioni progressive, iniziate nei primi decenni del 1900, che hanno portato alla quasi totale eliminazione di queste cavit. Galleria del bosco Marchesetti, n. CA 3 FVG-TS, Trieste, San Cilino Superiore, Tip. A2, Quota 145 m s.l.m., Lungh. 113 m, Disl. 21 m, Ril. Guglia P., Halupca A., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (9.1.1988). (foto e rilievo a pag. 49 del libro a stampa) Durante le ricerche della galleria Slep, abbiamo invece rintracciato questa interessante opera idraulica. Esternamente si vedevano solamente il vano seminterrato contenente un bacino di accumulo di 60 mc ed alcune canalette di scarico dellacqua. stato necessario svuotare con le pompe un pozzetto allagato ed infilarsi in un basso cunicolo fangoso per riuscire ad accedere alla galleria di alimentazione vera e propria. Questa, con una lunghezza di 75 m ed un dislivello positivo di 20 m, presenta alla sua fine un restringimento che ne impedisce

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lesplorazione, ma si vede chiaramente che la stessa prosegue ulteriormente. Qualche anno dopo la visita della cavit, stato rinvenuto un documento che ha chiarito la storia di questo manufatto: nellanno 1904 le proprietarie del bosco Marchesetti hanno proposto la vendita dellacqua uscente da una breve galleria al Comune di Trieste, che doveva iniziare in quel periodo la costruzione del sottostante Ospedale Psichiatrico di San Giovanni. La proposta prevedeva lallungamento della galleria originale e la costruzione di un bacino di accumulo. Lofferta stata respinta dal Comune, che comunque ha affermato di poter usufruire, in ogni caso, dellacqua a causa di una specifica servit. Dallanalisi di questo documento emerso, quindi, che la galleria come si presenta oggi - non esisteva ancora nel 1904 e che i lavori sono stati fatti in seguito dal Comune, in unepoca che dovrebbe risalire attorno agli anni 20 del secolo scorso. Bibliografia: Guglia P., 1999, La raccolta dellacqua nella provincia di Trieste. Prima parte: il territorio urbano, Atti dellVIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, Cave di Selz, 4-6 giugno 1999, Trieste, p. 173. Guglia P., 2001, La galleria del Bosco Marchesetti. Descrizione di unopera idraulica minore, Atti del V Convegno Nazionale sulle Cavit Artificiali, Osoppo, 28 aprile/1 maggio 1997, in stampa. Guglia P., Halupca E., 1993, I manufatti per la cattura delle acque urbane, Atti del XVI Congresso Nazionale di Speleologia, Udine, pp.153-160. Pesaro A., 1995, Le Wassergallerien dellacquedotto Teresiano, in Archeografo Triestino, CIII, pp. 239-293. Spechar R., 1990, Nuove gallerie dacqua, in Messaggero Veneto, 6.7.1990, ed. di Trieste. Spechar R., 1990, Un acquedotto Teresiano, in Messaggero Veneto, 7.7.1990, ed. di Trieste.

Fonte Ustia, n. CA 6 FVG-TS, Trieste, Scorcola, Tip. A2, Quota 45 m s.l.m., Lungh. 23 m, Disl. 1,2 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (10.7.1987). (foto e rilievo a pag. 52 del libro a stampa)

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Si tratta di unantica sorgente che faceva scaturire un piccolo corso dacqua che andava a disperdersi nelle saline della Trieste pre-teresiana nella zona denominata della Geppa, della quale oggi rintracciabile solamente il punto di captazione originale, formato da una breve galleria in parte rivestita con pietre di arenaria. Dopo un basso passaggio - che si apre alla base di un muraglione - si accede al cunicolo che presenta dei brevi tratti rivestiti con volte di arenaria, alternati a tratti in nuda roccia. Sia a destra che a sinistra si dipartono due brevi diramazioni, che terminano rispettivamente dopo circa 6 e 2 m. Arrivando alle estremit di questi due rami laterali e del cunicolo principale, si possono notare delle brevi nicchie scavate nella roccia dalle quali stilla lacqua. La sorgente viene segnalata fino dal XVIII secolo. Bibliografia: Ern C., 1987, Due gallerie nel colle di Scorcola, in Il Piccolo, 2.10.1987, Trieste. Guglia P., 1999, La raccolta dellacqua nella provincia di Trieste. Prima parte: il territorio urbano, Atti dellVIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, Cave di Selz, 4-6 giugno 1999, Trieste, p. 173. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 148-150. Guglia P., Halupca E., 1993, I manufatti per la cattura delle acque urbane, Atti del XVI Congresso Nazionale di Speleologia, Udine, pp.153-160. Pesaro A., 1996, Ulteriori risultanze sulle Wassergallerien della provincia di Trieste, in Archeografo Triestino, CIV, pp. 505-547.

Cisterna di via di Scorcola, n. CA 7 FVG-TS, Trieste, Scorcola, Tip. A4, Quota 47 m s.l.m., Lungh. 21 m, Disl. 2 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (10.7.1987). (foto e rilievo a pag. 56 del libro a stampa)

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Questa ampia cisterna - contenente oltre 20 mc dacqua - scavata nella roccia marnoso-arenacea del colle di Scorcola. Durante lesplorazione, nella quale stato usato un canotto gonfiabile per controllare tutte le pareti interne, sono stati rilevati ingenti segni di inquinamento da idrocarburi. La cisterna stata realizzata nel corso del XIX secolo. Bibliografia: Ern C., 1987, Due gallerie nel colle di Scorcola, in Il Piccolo, 2.10.1987, Trieste. Guglia P., 1999, La raccolta dellacqua nella provincia di Trieste. Prima parte: il territorio urbano, Atti dellVIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, Cave di Selz, 4-6 giugno 1999, Trieste, p. 181. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 149, 151. Pesaro A., 1996, Ulteriori risultanze sulle Wassergallerien della provincia di Trieste, in Archeografo Triestino, CIV, pp. 505-547. Stoch F., 1992, Prime ricerche faunistiche sulle acque sotterranee nelle aree urbanizzate della Provincia di Trieste, in Bollettino 1982-1992, Societ Adriatica di Speleologia, Numero Unico, Trieste, pp. 62-66.

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I sotterranei del territorio di Trieste

La presente pubblicazione descrive le cavit artificiali presenti nel territorio di Trieste. Larea interessata dallo studio comprende non solo il centro urbano, ma anche la periferia ed alcune zone limitrofe. Lattivit fatta in questi anni dalla Sezione di Speleologia Urbana della Societ Adriatica di Speleologia non ha riguardato, per, solo questo ambito e si estesa in tutta la regione. Limitandosi alla sola provincia di Trieste, numerose sono state le ricerche effettuate che hanno riguardato vari argomenti. Affrontando il problema dellapprovvigionamento idrico, sono state esplorate le cavit presenti nel complesso delle Sorgenti di Aurisina (periodo 1857/1911) per unestensione totale di 916 m e quelle inerenti lacquedotto del Sardos (anno 1922) per uno sviluppo complessivo di quasi 700 m. Altri studi sono stati avviati sulle opere minori per la raccolta dellacqua nei territori extraurbani, con indagini sulle sorgenti, sui pozzi e sulle cisterne presenti in varie localit dellaltipiano carsico e delle alture di Muggia. Non sono mancati, inoltre, alcuni approfondimenti che hanno riguardato particolari cavit dedicate alla conservazione del ghiaccio (ghiacciaie nella zona di Draga S. Elia e Grozzana). Nel campo delle cavit di origine militare sono state topografate, invece, molteplici opere sotterranee che, partendo dal XIX secolo (Forte Olmi, Batteria di S. Rocco), passano per il periodo del primo conflitto mondiale (zona monte Hermada e ciglione carsico) per arrivare allultima guerra (rifugio antiaereo a Duino e opere varie nel comune di Trieste ed in quello di Muggia).

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Ramo terminale dellacquedotto romano di Bagnoli, n. CA 9 FVG-TS, Trieste, San Vito, Tip. A3, Quota 17 m s.l.m., Lungh. 218 m, Disl. 15 m, Ril. Guglia P., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (4.6.1983) (foto e rilievo a pag. 58 del libro a stampa) Si tratta del ramo terminale dellacquedotto romano di Bagnoli, che portava in citt lacqua delle sorgenti della val Rosandra. Conosciuta fin dal 1760, questa galleria formata da un cunicolo lungo pi di 200 m, con le pareti in grosse pietre squadrate di arenaria ed il soffitto formato da grandi lastre orizzontali. In cinque punti possibile riscontrare come la volta sia stata rinforzata in mattoni e, in un altro, con un getto di calcestruzzo. Lesplorazione di questo sotterraneo oggi possibile solamente per 140 metri in discesa e 15 metri in salita. A monte il passaggio continua (come chiaramente indicato dai documenti del secolo scorso), ma un innalzamento del livello dellacqua ed un notevole inquinamento organico non permettono, attualmente, di proseguire oltre. Dallanalisi della struttura risultato difficile, in un primo momento, identificare la galleria come unopera di origine romana. Abbiamo quindi avviato una ricerca negli archivi cittadini di eventuali documenti e planimetrie che riguardassero questa cavit ed abbiamo rintracciato un certo numero di progetti redatti nel periodo 1808/1819. Abbiamo cos appreso che il ramo terminale dellacquedotto stato riadattato nel corso della prima met del 1800 per lapprovvigionamento idrico della zona di Cavana e che il cunicolo stato pi volte rimaneggiato per ottimizzare la sua resa, trasformandolo in una vera e propria galleria dacqua (Wassergallerie). Bibliografia:

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De Vecchi F., Resciniti L., Vidulli Torlo M., 1994, Fontane a Trieste, Ed. B.&M.M. Facchin, Trieste, pp. 20-23, 26. Guglia P., 1992, Lacquedotto romano di Bagnoli, in Progressione 25, Supplemento semestrale ad Atti e Memorie, anno XIV, n. 1-2, Trieste, pp. 48-50. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 122-126. Guglia P., Pesaro E., 1997, Il ramo terminale dellacquedotto romano di Bagnoli, Atti del XVII Congresso Nazionale di Speleologia, 1994, pp. 309-316. Mezzena Lona A., 1983, E stato scoperto un altro ingresso che porta ai sotterranei della citt, in Il Piccolo, 17.5.1983, Trieste. Veronese L., 1997, Passeggiata romantica per Trieste, Ed. di Letteratura e Storia, Luglio Fotocomposizioni, Trieste, pp. 67-68, 109.

Cisterna 1 nel parco di Villa Hengelman, n. CA 10 FVG-TS, Trieste, San Luigi, Tip. A4, Quota 53 m s.l.m., Lungh. 4 m, Disl. 4 m, Ril. Cleva S., Sepulcri E., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (11.10.1987). (foto e rilievo a pag. 62 del libro a stampa) Questa cisterna - contenente oggi circa 50 mc di acqua - si apre alla base di un muraglione di arenaria e presenta una recente opera esterna di chiusura in cemento armato. Sulla parete opposta allentrata si pu notare un cunicolo, di sezione ristretta, per lalimentazione del bacino sotterraneo. Nelle immediate vicinanze si apre anche una seconda cisterna (vedi n. CA 93 FVG-TS). Questopera, viste le sue caratteristiche, stata probabilmente realizzata nel corso del XIX secolo. Bibliografia: Guglia P., 1999, La raccolta dellacqua nella provincia di Trieste. Prima parte: il territorio urbano, Atti dellVIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, Cave di Selz, 4-6 giugno 1999, Trieste, p. 181.

Cisterna del bosco Farneto, n. CA 15 FVG-TS, Trieste, San Cilino Inferiore, Tip. A4, Quota 73 m s.l.m., Lungh. 9 m, Disl.

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8 m, Ril. Guglia P., Crevatin G., Societ Adriatica di Speleologia - Trieste (1988). (foto e rilievo a pag. 63 del libro a stampa) Si tratta di unampia cisterna sotterranea, posta nella valletta del torrente che scende dallabitato di San Luigi (conosciuto localmente con il nome di rio Bonomo). Esternamente, visibile solamente una parete in muratura addossata alla roccia, sulla quale si apre una porta. Attraversatala, si accede ad unampia stanza che presenta, sulla parete opposta, un basso pertugio che conduce ad una breve galleria scavata nella roccia viva, dalla quale sgorga un rivo dacqua: la sorgente naturale di alimentazione che ha motivato la costruzione della cisterna proprio in questo punto. Subito a destra della porta dentrata, visibile una scalinata in pietra che conduce al vano sottostante. Questo completamente invaso dallacqua (circa 70 mc) e per la sua esplorazione stato necessario impiegare degli speleosubacquei. Questopera sotterranea non citata in alcun documento, ma si pensa possa essere stata in qualche modo collegata con lacquedotto teresiano, che passava in posizione subito sottostante, lungo lattuale via Pindemonte. Bibliografia: Guglia P., 1999, La raccolta dellacqua nella provincia di Trieste. Prima parte: il territorio urbano, Atti dellVIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, Cave di Selz, 4-6 giugno 1999, Trieste, p. 173. Guglia P., Halupca E., 1988, I sotterranei di Trieste. Indagine ed esplorazioni, Edizioni Italo Svevo, Trieste, pp. 29-41. Guglia P., Halupca E., 1993, I manufatti per la cattura delle acque urbane, Atti del XVI Congresso Nazionale di Speleologia, Udine, pp.153-160. Spechar R., 1990, Acquedotto nel Boschetto, in Messaggero Veneto, 3.9.1990, ed. di Trieste.

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Cavit artificiali e loro pericolosit

Negli ultimi diciotto anni siamo entrati in tantissimi vani sotterranei. Abbiamo investigato cavit artificiali, visitato cantine, percorso canali e cunicoli. Alcune di queste esplorazioni sono state semplici e facili, altre molto pi complesse e difficoltose. In questo periodo abbiamo maturato, quindi, unidea ben p