sotto attacco

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di Riccardo Scrocca, thriller

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Riccardo Scrocca

SOTTO ATTACCO

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SOTTO ATTACCO Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2010 Riccardo Scrocca ISBN: 978-88-6307-332-4

In copertina: Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Novembre 2010 da Logo srl

Borgoricco - Padova

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PARTE PRIMA

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01 22.09.2010 ORE 12:25 AULA 05 FACOLTÀ DI INGEGNERIA INFORMATICA LA SAPIENZA, ROMA Stefano Rame posò il gesso sul bordo della lavagna, batté le mani per liberarsi dalla polvere e lesse con soddisfazione quello che aveva appena finito di scrivere. L’importanza dell’uso dell’algoritmo di criptazione nei database a matrici con doppia chiave per la salvaguardia delle informazioni. Aveva impiegato diverso tempo per preparare quell’esame. Era un argomento molto discusso e solo la notte prima si era deciso. Alla fine aveva scelto per l’ultima esercitazione dell’anno un tema molto importante, un argomento delicato e dalle numerose implicazioni. Quell'anno i suoi studenti si erano dimostrati particolarmente motivati e interessati al corso, così aveva deciso di metterli a dura prova per cercare di ottenere il massimo da loro, in vista dell’esame finale. Docente del corso Sistemi di Sicurezza Informatica per la laurea specialistica in Ingegneria Informatica, Stefano Rame era il più quotato tra i docenti di quel corso di laurea, e le sue lezioni erano sempre affollatissime, sia per la sua indiscussa reputazione, sia per la sua affascinante personalità. Non a caso erano molte di più le studentesse rispetto agli studenti, e spesso alle sue lezioni erano presenti persone esterne al corso, colleghi, esperti o semplici estimatori. Stefano era una star nel suo campo; considerato dagli addetti ai lavori il numero uno a livello europeo per esperienza nel settore della sicurezza informatica, era egualmente apprezzato a livello mondiale. Dopo aver conseguito brillantemente la laurea in ingegneria informatica, a soli ventisette anni aveva ottenuto un master in Sistemi di Sicurezza Informatici presso il M.I.T. magna cum laude e successivamente a ventinove anni un master in Difesa dei Sistemi Informatici presso la Oxford University, con un lavoro finale che aveva ricevuto molteplici premi ed era stato tradotto in diverse lingue.

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Aveva iniziato subito a collaborare con le maggiori agenzie internazionali di intelligence e sicurezza per la salvaguardia dei dati delle grandi società e, nonostante fosse stato corteggiato da numerosissime aziende, aveva scelto di intraprendere la carriera da insegnante presso l’università dove si era formato, la Sapienza. Stefano si voltò verso i suoi studenti, incuriosito dalle loro reazioni; proprio come si aspettava, vide Markus Right sorridere soddisfatto della scelta di quel tema, mentre altri studenti meno dotati si guardavano intorno spaesati. «Sì Carmen, vuoi chiedere qualcosa?» disse sorridendo quando notò la provocante ragazza seduta in prima fila agitare con trepidazione la mano. Erano alcune settimane che quella bellissima ragazza dai lunghi capelli mossi faceva di tutto per farsi notare a lezione, cercando di catturare la sua attenzione con scollature da capogiro, che mettevano in mostra il generoso seno, minigonne minimal e tacchi vertiginosi. Sin da subito era rimasto molto colpito dalla ragazza, così aveva deciso di far finta di assecondarla, divertito da quel pericoloso gioco. «Professore senta, volevo chiederle una cosa…» La ragazza stava ancora parlando quando iniziò a squillare uno dei due cellulari di Stefano. Dopo alcuni secondi di sorpresa, riconobbe la melodia del telefono con la scheda privata, riservata per le comunicazioni di emergenza, e sentì un brivido gelido corrergli lungo tutta la spina dorsale; subito fece cenno alla ragazza di fermarsi. «Scusami Carmen, scusatemi tutti» disse con aria greve rivolto ai suoi studenti «devo rispondere, è una chiamata importante, questo numero è usato solo per le emergenze.» Un mormorio di curiosità si diffuse tra gli studenti che iniziarono a bisbigliare sorpresi. Passarono alcuni rapidi istanti in cui Stefano cercò agitato il telefono, quando lesse il nominativo sul display del cellulare capì che doveva essere successo qualcosa di davvero molto grave, così decise di chiudere in anticipo la lezione e di mandare tutti gli studenti a casa. «La lezione finisce qui signori, per lunedì prossimo voglio una relazione dettagliata sull’argomento.» Il cuore gli martellava veloce il petto, il sangue pulsava forte nelle tempie.

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“Che sta succedendo, amico?” pensò agitato, e fece un respiro profondo cercando di ritrovare almeno un minimo di calma prima di aprire il telefono e rispondere a quella chiamata da parte di Giovanni Sforza, il suo amico più caro. «Giovanni…» «Due ore fa i server della Banca Finanziaria di Roma sono stati attaccati da un gruppo di hacker abilissimi. La notizia ancora non è stata diffusa dai mezzi di informazione tradizionali, ma sulla rete già si mormora di danni incalcolabili.» Stefano trattenne il fiato: all’altro capo del telefono, Giovanni gli aveva appena raccontato un evento terroristico senza precedenti, che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per la società italiana e non solo. Stefano e Giovanni avevano vissuto insieme a Boston, ed erano rimasti in contatto sebbene le loro strade si fossero divise quando Giovanni aveva scelto di iniziare a lavorare per varie società private come consulente informatico di counter-hackering. Negli ultimi tempi non si erano sentiti molto, soprattutto a causa dei rispettivi impegni lavorativi, ma Giovanni era una delle pochissime persone di cui Stefano si fidava ciecamente ed era praticamente l’unico civile che aveva quel numero per le chiamate di emergenza. Stefano rimase alcuni istanti in silenzio, esaminando mentalmente tutti gli aspetti implicati in quella vicenda e le sue catastrofiche conseguenze. «Cazzo» esclamò turbato. «Un’ira di Dio di soldi letteralmente cancellati in pochi secondi.» Quell’affermazione gli fece venire i brividi, era appena avvenuto un evento orribile, la nemesi contro cui combatteva ogni esperto in sicurezza informatica. Passarono ancora alcuni secondi, istanti in cui il mondo perse tutti i suoi suoni e i suoi colori. Stefano si ritrovò di colpo scaraventato in un incubo assoluto, e dovette lottare con tutte le sue forze per non cedere a un attacco di panico. La situazione era gravissima, e non poteva assolutamente permettersi di perdere altro tempo. Come esperto del settore si sentì coinvolto in quella terribile vicenda, e la sua mente pronta iniziò subito a lavorare per mettere a fuoco quello che era successo, iniziando a immaginare i dettagli di quell’attacco. «Hanno buttato giù tutti i server» disse Stefano, teso.

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«Tutto… hanno cancellato milioni e milioni di dati, numeri di conto, operazioni finanziarie, dati sensibili. In pochi secondi tutto quello che la BFR ha fatto negli ultimi cinque anni è sparito.» Stefano rimase a bocca aperta: era la prima volta che veniva a conoscenza di un attacco così grave, e immaginava che le implicazioni sarebbero state spaventose. «Cristo, non è possibile, non sono servite a niente le difese progettate dalla NightCom?» «Tutti i firewall sono stati spazzati via in pochi secondi; sembra che abbiano caricato sul server un virus polimorfico con una nuova routine di payload per cancellare qualsiasi cosa.» Stefano camminava nervosamente avanti e indietro ascoltando basito Giovanni. Proprio quando era arrivato vicino alle ampie vetrate dell’aula, vide riflessa l’immagine di due persone che avanzavano verso di lui, vestite con un completo nero e occhiali scuri. Continuando ad ascoltare l’amico al telefono girò la testa e vide che avevano il tesserino identificativo in bella mostra sopra la giacca. Dietro di loro un drappello di militari in tenuta da combattimento aveva bloccato l’ingresso all’aula e stava facendo allontanare le persone che guardavano incuriosite. «I servizi sono già qui, ci aggiorniamo presto» disse con sollecitazione Stefano, e senza aspettare risposta fece sparire rapidamente il telefono in una tasca dei pantaloni dall’elegante taglio. «È il professor Rame, Stefano Rame, docente di Sistemi di Sicurezza Informatici?» L’impassibile agente dei servizi stava avanzando con decisione verso Stefano e quando gli fu quasi a ridosso alzò la mano per stringere la sua. «Professore, sono Roberto Deodati dell’ASDI» disse l’uomo; con un gesto sicuro avvicinò il tesserino a Stefano, che con sorpresa realizzò di non aver mai sentito il nome di quell’agenzia. L’agente Deodati, notando lo stupore di Stefano, si affrettò ad aggiungere: «Agenzia Servizi, Difesa e Intelligence, è normale che non ci conosca, siamo un’agenzia top secret. Questo è l’agente Ventura, dovrebbe seguirci. È una questione di sicurezza nazionale, abbiamo bisogno della sua collaborazione.» «Immagino che non dovrò preoccuparmi di avvisare» disse con chiara ironia Stefano. «Esattamente, abbiamo già provveduto ad avvisare sua madre che abbiamo bisogno del suo prezioso aiuto, e che oggi non tornerà per cena come le aveva promesso.»

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Stefano accennò a un sorriso; aveva già collaborato con i servizi in altre occasioni e ogni volta si stupiva per l’efficienza con cui si muovevano. Raccolse veloce la sua giacca, la borsa contenente l’agenda, le sue carte e il leggero netbook che portava sempre con sé, e seguì l’agente dei servizi lungo i corridoi dell’edificio di ingegneria informatica. Davanti e dietro di loro i militari circondavano il gruppetto, formando una formidabile scorta che intimoriva gli studenti e i curiosi che si affollavano lungo i corridoi e le stanze dell’edificio al loro passaggio. «Alle 10.25 è iniziato un devastante attacco informatico ai danni dei server della Banca Finanziaria di Roma a opera di un gruppo di abilissimi hacker, riceverà maggiori dettagli in volo.» Stefano sgranò gli occhi. Giovanni con la sua telefonata l’aveva preparato a quell’incontro, ma la parte relativa al volo l’aveva preso alla sprovvista. «In volo?» «Esattamente… un elicottero ci sta aspettando fuori nel piazzale della Minerva. A bordo c’è la nostra consulente per le minacce informatiche ed esperta di gestione strategica delle crisi terroristiche, Katerina Sokolova.» Stefano sentì un colpo al cuore, e sorrise stupito al pensiero di incontrare di nuovo Kate. L’aveva conosciuta in modo molto intimo durante gli anni del master a Oxford quando erano stati compagni di corso e amanti; sin dal primo incontro era rimasto affascinato dalla sua disarmante intelligenza e dalla strepitosa lunghezza delle sue gambe, così era iniziata la loro intensa relazione. Ai tempi di Oxford avevano condiviso lunghe notti insonni, passate tra appassionate discussioni sui metodi di calcolo computazionale e infuocati rapporti sessuali. Stefano sorrise di nuovo; aveva sempre avuto un’altissima considerazione di Kate, e capì subito che non era una coincidenza che fosse stato chiamato proprio lui per cercare di risolvere questa improvvisa crisi. Dopo aver conseguito il Master aveva continuato a frequentarla per un po’ di tempo, ma quando aveva deciso di tornare in Italia il loro rapporto era entrato in crisi, e con il passare del tempo si erano persi di vista; erano ormai diversi anni che non aveva più sue notizie. La prospettiva di rincontrarla e di lavorare con lei lo elettrizzava, e non vedeva l’ora di iniziare. “La situazione si fa davvero interessante” pensò tra sé e sé accennando un sorriso.

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Il gruppo di uomini si diresse verso l’elicottero che stazionava proprio al centro del piazzale, davanti alla statua della Minerva, mentre gruppi di studenti e persone nelle macchine, incuriositi da quella scena, si fermavano a osservare creando una grande confusione, cosa che contribuì alla formazione di un ingorgo spaventoso. «Una scena del genere non deve essere molto frequente all’università» disse in tono divertito all’agente dei servizi. «La questione è della massima urgenza, ogni secondo è prezioso» rispose serio l’agente Ventura. Mano a mano che avanzavano verso l’elicottero il rombo del motore si fece sempre più forte e in breve Stefano ne fu assordato. Era la prima volta che vedeva un elicottero così grosso, aveva viaggiato spesso su mezzi simili per raggiungere le basi dei servizi, ma quello che stavolta si trovava davanti era molto diverso. L’elicottero su cui l’agente Deodati lo stava invitando a salire era un NH-90 dell’esercito italiano, messo a disposizione e modificato per l’utilizzo da parte dei servizi di intelligence. Al posto delle tre postazioni per le barelle erano state alloggiate delle postazioni di monitoraggio per le informazioni, mentre ai lati e sopra la struttura erano stati installati dei dispositivi di schermatura radio per ottenere la massima copertura per le comunicazioni in codice. Dal portellone appena aperto riuscì a intravedere le vertiginose gambe della bella consulente e, di fianco a lei, una coppia di persone che non fu in grado di riconoscere, ma che indossavano entrambi dei camici. «Almeno non sono stato né il primo né l’unico» pensò con un senso di sollievo. Senza difficoltà salì sull’elicottero, seguito dagli agenti e dai militari che formavano la scorta al piccolo gruppo. Subito si posizionò di fronte alla splendida consulente russa che gli sorrise apertamente facendogli cenno di indossare cuffie di comunicazione e microfono. «Stefano.» «Kate…» rispose, un aperto sorriso stampato sul volto «vedo che il tempo per te si è davvero fermato.» Il suo sguardo scorse rapido su di lei, una bellissima donna di trentacinque anni che ne dimostrava almeno cinque di meno.

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Biondissima, aveva occhi azzurri come il mare e la pelle candida, senza alcuna ruga o segno. Portava i lunghi capelli lisci raccolti dietro alla nuca in un’elegante acconciatura e indossava una camicetta bianca sotto un’aderente tajeur gessato che a malapena celava le sue forme perfette, ottenendo al contrario l’effetto di evidenziarle. Stefano rimase abbagliato da quella visione, e il ricordo dei passionali momenti passati insieme lo travolse, facendogli quasi dimenticare la situazione di grave emergenza in cui si trovavano. Anche Kate rimase piacevolmente colpita dall’incontro e sorrise ricordando l’innato charme di Stefano. Già ai tempi degli studi universitari ne era rimasta affascinata e, ora che erano passati alcuni anni, Stefano le appariva ancora più affascinante. «Vedo che anche tu non sei cambiato di molto.» Kate e Stefano si scambiarono un istantaneo sguardo di intesa, che per una lunga frazione di secondo li escluse dal resto del mondo. «Ehm…» L’agente dei servizi richiamò l’attenzione di Stefano, che si era perso nei profondi occhi azzurri di Kate. Stefano ripiombò a terra e arrossì lievemente d’imbarazzo quando si accorse di avere su di sé lo sguardo dell’agente dell’intelligence e degli altri due civili presenti sull’elicottero. «Benissimo, vedo che già andate d’accordo» iniziò Deodati serissimo «le presento le altre due persone con cui si troverà a lavorare nelle prossime ventiquattro ore.» L’agente dei servizi si girò verso la coppia di civili e li introdusse a Stefano. «Questo è il dottor Henry Livingstone e questa è la dottoressa Stella Massimi, suppongo che questi nomi non le siano nuovi.» Stefano, che aveva ritrovato subito un perfetto contegno, fu sorpreso di sentire i nomi di due dei massimi esperti del panorama italiano di informatica, sistemi di controllo e sicurezza, e si rese subito conto che la situazione doveva essere davvero grave. «Sono davvero onorato di fare la vostra conoscenza… la vostra fama vi precede…» disse ai due ospiti e subito tese loro la mano con timidezza. Aveva letto i lavori di entrambi, li considerava due geni nei rispettivi campi, e anche se non li aveva mai incontrati personalmente ne aveva un’altissima considerazione. «Il piacere è mio, professor Rame. Ho avuto modo di apprezzare molto il suo lavoro nel campo della criptazione dei database. Appena ne avremo il tempo mi piacerebbe approfondire con lei una serie di questioni.»

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Stefano sentì un calore improvviso avvampargli il volto. «Ne sarei davvero onorato» rispose al dottor Livingstone; poi si girò verso la dottoressa Massimi, che era rimasta in disparte fino a quel momento, e le porse la mano con fare gentile. «Davvero piacere dottoressa.» «Il piacere è mio, sono sicura che il suo apporto sarà fondamentale in questo giorno così oscuro.» Stefano fu colpito dalla forza della stretta di mano della minuta dottoressa, testimonianza di un carattere deciso e di una personalità brillante. «Perfetto, ora che ci siamo presentati vi spiegherò meglio perché siete stati riuniti» Kate accavallò le gambe; dalla sua ventiquattrore tirò fuori sei fascicoli identici e li distribuì ai presenti. «Come già vi è stato detto, alle 10.25 ora locale i firewall dei server della BFR sono stati messi sotto attacco e neutralizzati in pochi secondi.» Il tono grave con cui aveva iniziato a raccontare gli eventi di quella mattina tradiva la grave preoccupazione per quell’attacco, che aveva colto di sorpresa i servizi d’intelligence e li aveva costretti a ricorrere all’aiuto di consulenti esterni. «Ancora non siamo riusciti a capire come sia stato così facile per questi pirati informatici riuscire a far collassare un intero sistema di difesa di livello Alpha in poco meno di due minuti. Alle 10.27, esattamente due minuti dopo l’inizio dell’attacco, tutti i firewall messi a sicurezza dei database informatici della BFR erano infatti già stati superati, e i pirati avevano avuto modo di caricare un micidiale virus che in pochi secondi ha cancellato totalmente, e ripeto totalmente, tutti i dati che erano contenuti nei grandi mainframe della banca.» I tre esperti rimasero in silenzio, turbati dalla gravità di quell’attacco. «Il danno economico e finanziario provocato da un simile attacco è incalcolabile» disse la dottoressa Massimi, la prima a reagire. Subito Kate si affrettò a risponderle: «Incalcolabile è la parola giusta, ma c’è una cosa ancora più preoccupante.» Stefano si agitò sul suo seggiolino, la schiena attraversata da un brivido. In pochi istanti aveva elaborato le informazioni che gli aveva fornito Kate e aveva già capito a cosa si riferisse. «Non sono stati copiati, nessun dato è stato rubato durante questo attacco quindi gli hacker non hanno agito per appropriarsene» esordì catturando l’attenzione di tutti.

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Kate lo guardò sorpresa, il sopracciglio destro alzato sul volto non lasciava dubbi riguardo al fatto che Stefano avesse esattamente indovinato quello che stava per dire. «Esattamente, ci troviamo di fronte a un attacco terroristico senza precedenti, un’aggressione preparata ed eseguita in modo da massimizzare i danni per l’obiettivo…» «…e volete che noi vi aiutiamo a capire chi possa aver realizzato questo attentato terroristico e per quale motivo» Stefano interruppe Kate prima che potesse finire la frase. Kate e l’agente dell’Intelligence si scambiarono uno sguardo di complice intesa. «Veramente sappiamo già chi è stato, o meglio, pensiamo di sapere chi possa essere stato» rispose l’agente dei servizi «abbiamo motivi fondati per ritenere che questo attacco sia stato realizzato da una misteriosa organizzazione criminale chiamata Phantom.» «Phantom…» Henry ripeté il nome sottolineando ogni singola lettera, con un tono duro e grave, consapevole del potere e delle risorse di quella misteriosa organizzazione. All’interno dell’elicottero scese un silenzio carico di tensione, e tutti si voltarono verso Henry per sentire con attenzione quello che sapeva in merito a Phantom. Passarono altri secondi di teso silenzio, mentre Henry dava forma alle sue idee. «Non si sa molto di loro in rete, sono dei fantasmi che colpiscono e poi spariscono nel nulla. Sono ricercati da tutte le polizie informatiche del mondo, ma da quando hanno iniziato a operare nessuno è mai riuscito a beccarli. Sono molto, molto abili. Secondo me è l’unica organizzazione hacker che potrebbe essere in grado di realizzare un’operazione così devastante. Questa è una catastrofe che porterà caos e distruzione nel mondo della finanza» sentenziò Henry, lasciando che le sue parole colpissero con forza gli altri. «Henry ha ragione» rispose Kate «comunque tra poco potrete mettervi a lavoro, siamo quasi arrivati alla nostra destinazione.» L’elicottero virò verso ovest dopo aver sorvolato il lago di Bracciano, una piatta e silenziosa superficie lucente, puntando verso una sterminata distesa verde.

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Stefano guardava fuori pensieroso; l’idea che potesse esistere un gruppo di hacker così pericolosi e preparati, al punto da riuscire a distruggere in meno di cinque minuti un intero sistema informatico protetto a livello Alpha, lo aveva profondamente turbato. C’era stato un periodo della sua vita in cui anche lui era stato un hacker, uno tra i più bravi in circolazione, conosciuto nella rete e sui forum con il nick “Ashen”. Aveva bucato numerosi sistemi di sicurezza, ma solo con lo scopo di saggiarne l’efficacia e quindi aumentarne la sicurezza; non si era mai spinto oltre, animato da un’imprescindibile etica morale. Improvvisamente il verde del parco naturale fu interrotto da una serie di edifici dalle forme assortite. Alcuni erano larghi e piatti, altri sembravano immensi hangar, altri ancora erano più piccoli ed erano raggruppati in modo regolare. Sembrava una normale base dell’esercito, fatta eccezione per l’intricato groviglio di metallo e plastica delle antenne e delle grandi parabole che svettavano sopra agli edifici. Tutto intorno gli alti alberi del bosco di Manziana circondavano la base, il cui perimetro era delimitato da alte mura di cemento armato sormontate da grovigli di filo spinato. «Signori, stiamo sorvolando la base segreta Fenice. La sua esistenza è di livello superiore al top secret, nessuno al di fuori dell’intelligence sa dell’esistenza di questa struttura. Per questo motivo siete vincolati al silenzio. Nessuno di voi è mai stato qui e nessuno di voi ha mai neanche sentito della sua esistenza.» L’agente dei servizi parlò rapido e senza esitazione; era abituato a fare quel tipo di discorsi e il suo tono autoritario non permetteva alcun tipo di replica. Stefano e i due scienziati lo guardarono sospettosi e incuriositi, perché quella sotto di loro sembrava una semplice base militare. Si scambiarono delle occhiate ironiche e tornarono a guardare lo spettacolo fornito dalle grandi costruzioni della base. Erano già scesi di quota e così poterono notare, oltre ai drappelli di soldati che marciavano intorno agli edifici, le telecamere di sicurezza che coprivano l’intero perimetro, mentre le mura celavano al mondo intero i segreti che erano nascosti dentro alla base. Il velivolo discese rapido verso la zona di atterraggio, dove due soldati erano in attesa dell’elicottero.

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I due agenti dei servizi furono i primi a scendere, seguiti dal dottor Livingstone e dalla dottoressa Massimi, mentre Stefano attese che anche Katerina fosse scesa dall’elicottero per fermarsi a scambiare due battute con lei, al riparo da orecchie indiscrete. «Я вижу, что вы сделали карьеру» (Vedo che hai fatto carriera.) disse rivolto alla donna. Era deciso a colpire la sua attenzione e così, facendo ricorso ai ricordi del periodo in cui si frequentavano, decise di parlarle in russo. «A вы не забыли русский» (e tu non hai dimenticato il russo) «Первый глоток водки никогда не забыть!» (il primo sorso di vodka non si scorda mai!) Kate sorrise alla sua battuta; Stefano aveva appena citato un antico modo di dire russo che significava “quando hai conosciuto una donna russa non puoi più dimenticarla” «Il lupo perde il pelo ma non il vizio» rispose sorridendo Kate. Stefano rimase a bocca aperta, sorpreso da quella risposta a tono. “La sua conoscenza dell’italiano è diventata davvero perfetta. Cavolo, che donna!” pensò sorpreso, e le si avvicinò. «Immagino che ci sia il tuo zampino dietro a questo improvviso incontro.» «Non credo ci sia bisogno di ricordarti che sei uno degli esperti più accreditati, e al momento forse una delle nostre uniche risorse per cercare di salvare l’economia italiana» rispose seria Kate, ma subito un accenno di sorriso comparve sul suo volto liscio. Approfittando del fatto che erano al riparo da occhi indiscreti Stefano la prese sottobraccio, e si avviarono verso la porta vetrata dove erano scomparsi l’agente, i due dottori e i due militari che li avevano attesi all’arrivo dell’elicottero. Kate strisciò il suo tesserino magnetico nella fessura per il controllo dell’identità. «Katerina Sokolova» disse rivolta al sensore del riconoscimento vocale. Kate informò Stefano che le misure di controllo all’interno della base erano rigidissime, data l’importanza strategica che aveva per l’intelligence. Superata la soglia della porta blindata, Stefano rimase sorpreso nel trovare davanti a sé un anonimo corridoio totalmente spoglio, che non mostrava alcun segno di presenza umana. «Non lasciarti ingannare da questo luogo. Niente è quello che sembra» disse con tono divertito Kate, notando lo sguardo sorpreso di Stefano.

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«Mi aspettavo qualcosa di più, stiamo parlando di una base super segreta dopo tutto» disse con tono ironico facendo un passo avanti nel corridoio «voi non siete mai stati qui… blablabla…» aggiunse in modo scherzoso imitando l’agente Deodati «mi aspettavo almeno qualche minacciosa guardia provvista di gadget tecnologici» disse ammiccando a Kate. «Guardi troppi film di spionaggio» rispose sorridendo. Continuarono ad avanzare lungo il corridoio dalle lisce pareti bianche, anonimo e asettico, che nascondeva dietro alle sue pareti spoglie futuristiche tecnologie per l’identificazione personale. Mentre dall’alto le telecamere a led infrarossi registravano ogni movimento all’interno del corridoio, sonde biometriche e body scanner laser verificavano lo stato psicofisico delle persone che camminavano al suo interno per determinarne eventuali cambiamenti, indicativi di una situazione di stress o di un’intenzione minacciosa. In caso di pericolo, droni automatizzati sarebbero entrati subito in azione nel giro pochi secondi, in modo da neutralizzare qualsiasi tipo di minaccia. Kate avvicinò la sua pupilla azzurra al lettore ottico che in alcuni istanti la identificò aprendo la porta dell’ascensore. «Ok, dai. Questo è un classico che non poteva mancare» disse sorridendo. Entrarono in ascensore, e non appena le porte si furono richiuse Kate iniziò a spiegare a Stefano il complesso sistema di sicurezza che sorvegliava il corridoio. «Non ti ho detto niente perché non volevo farti agitare, non sarebbe stato divertente dover avere a che fare con i droni di sorveglianza.» «Hai fatto benissimo, sono sbalordito» aggiunse guardando preoccupato l’interno della tecnologica cabina dell’ascensore. «Tranquillo, qui dentro non ci sono trappole nascoste.» Un sorriso tirato comparve sul volto di Stefano, che cercò inutilmente di sembrare più rilassato. «È una reazione normale, anche a me i primi tempi faceva accapponare la pelle ma poi, dopo che sono venuta a vivere nella base, è diventata una semplice routine» disse Kate, e diede un’alzata di spalle veloce. La base operativa dell’ASDI (Agenzia Servizi Difesa e Intelligence), il corrispettivo dell’NSA americana, si trovava a due chilometri di profondità rispetto alla superficie.

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I suoi progettisti avevano realizzato una struttura sotterranea protetta da qualsiasi tipo di aggressione, compreso un attacco nucleare, e la parte visibile dall’esterno non era che la punta dell’iceberg. La vera base era infatti un dedalo sterminato di stanze e laboratori che si snodava sotto la superficie terrestre. La discesa in ascensore fu silenziosa, carica di aspettative. Stefano era confuso, la giornata aveva preso una piega totalmente inaspettata, e ora si trovava coinvolto in una crisi terroristica senza precedenti, in una disperata corsa contro il tempo per cercare di limitare i danni. E poi c’era Kate. Le ragioni che avevano portato al suo coinvolgimento erano logiche, lui stesso aveva ipotizzato una simile eventualità già quando qualche ora prima Giovanni gli aveva comunicato quello che era successo. Scoprire che a capo delle operazioni c’era Kate lo aveva però spiazzato, e ora non poteva fare a meno di pensare che avesse giocato un ruolo importante nella sua chiamata. Dopotutto non era l’unico esperto italiano in sistemi di sicurezza. Finalmente le porte dell’ascensore si aprirono, riscuotendolo dai sui pensieri confusi. Stefano seguì Kate fuori dall’ascensore, e subito rimase accecato dalla magnificenza della base operativa. Centinaia di postazioni collegate in rete raccoglievano tutti i dati provenienti dalle telecomunicazioni satellitari globali, mentre gli immensi schermi cinematografici erano animati da proiezioni di grafici e mappe. L’azione all’interno delle postazioni di controllo era frenetica, civili e militari si affannavano lungo le varie file di computer, mentre i vari capi settore sbraitavano ordini ai malcapitati sottoposti. Tutti stavano lavorando a mille per cercar di limitare i danni creati dall’attacco di quella mattina alla BFR, e l’atmosfera che si poteva percepire all’interno dell’enorme sala era tesissima. Kate fece strada verso la zona centrale della sala di controllo, dove il Dottor Livingstone e la dottoressa Massimi si erano già messi a lavoro sui terminali che erano stati approntati per loro, mentre l’agente Deodati urlava ordini rivolti ai suoi più stretti collaboratori «È molto in gamba, determinato e tenace» disse Kate indicandolo con un cenno della testa, quasi avesse intuito i pensieri di Stefano, poi aggiunse «non perde mai la calma; è impressionante come abbia sempre pronta una alternativa infatti, non a caso, è uno dei funzionari più importanti all’interno di questa base. È il vicecomandante e risponde solamente al suo comandante e al Presidente del Consiglio.»

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Quella rivelazione non stupì del tutto Stefano, che aveva intuito che Deodati in realtà non fosse un semplice agente. Fu però sorpreso nello scoprire che avesse un grado così alto nei vertici del comando. «Collaboriamo da diversi anni. Sono stata io a suggerire i vostri nomi, e in particolare il tuo, non appena abbiamo realizzato di aver bisogno dell’aiuto dei massimi esperti nel settore. Ha voluto occuparsi personalmente del reclutamento per capire se eravate all’altezza della situazione.» «Quindi ho già superato il primo test» la interruppe Stefano, una punta di orgoglio nella voce. «Direi di sì, ma ora iniziamo a fare sul serio» gli rispose indicando con lo sguardo la sala operativa, e iniziò ad avvicinarsi alla postazione del vicecomandante. Stefano la seguì con passo veloce, ansioso di mettersi al lavoro per cercare di dare scacco a quegli spietati criminali e fare colpo su Kate. Stavano ancora attraversando l’ampia sala quando il vicecomandante li incrociò con lo sguardo e fece cenno a loro di sbrigarsi. Non appena ebbero raggiunto il resto del gruppo richiamò l’attenzione di tutti i collaboratori presenti e disse: «Ora che anche il professor Rame si è unito a noi ho bisogno di tutta la vostra attenzione. Signori, quello che sto per dirvi è confidenziale, sono sicuro che capite tutti la gravità della situazione.» Stefano guardò con aria interrogativa Kate, che si limitò a una scrollata di spalle e gli suggerì di seguire attentamente quello che stava dicendo il vicecomandante. «Ufficialmente l’attacco terroristico di oggi non è ancora accaduto. Stampa, televisione, radio, e in larga misura anche internet, sono all’oscuro di quanto è accaduto ai mainframe della Banca.» I tre esperti si guardarono meravigliati; il vicecomandante stava dicendo loro che i servizi avevano volutamente infranto la legge nascondendo all’opinione pubblica quello che era successo. «Mio Dio ma questo non è possibile, è illegale… è un insabbiamento colossale! Non potete aver compiuto un crimine così nei confronti della libera informazione» disse Henry scandalizzato. «Libera informazione? Perché, esiste in questo paese?» rispose sarcastico Stefano. Kate fece un passo in avanti e li interruppe continuando la spiegazione.

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«Abbiamo deciso di attivare questa misura critica perché il caos che si sarebbe diffuso se avessimo reso pubblica la notizia, avrebbe intralciato il nostro e soprattutto il vostro lavoro. Abbiamo solamente ventiquattro ore di tempo per cercare di trovare una soluzione al problema, limitare i danni e identificare i responsabili. Domani alle 11.25 a reti unificate andrà in onda un’edizione speciale del telegiornale per raccontare l’evento e invitare alla calma. Sarà riferito che l’attacco ai danni della BFR è avvenuto solo un’ora prima, e che un team di abili programmatori e ricercatori informatici è già entrato in azione, riuscendo a limitare i danni.» Subito le fece eco il vicecomandante che aggiunse: «Signori, abbiamo meno di ventiquattro ore e non possiamo sbagliare, il destino dell’economia italiana è nelle vostre mani.» Stefano sorrise orgoglioso del fatto che Kate l’avesse chiamato e gli avesse dato la possibilità di dimostrare la sua competenza. Era ansioso di mettersi a lavoro, e con passo sicuro si avviò verso la postazione che lei gli aveva fatto assegnare. Stefano guardò l’orologio e si accorse che erano quasi le ventidue. Erano passate otto ore da quando aveva preso possesso del terminale e si era messo al lavoro, e solamente in quel momento aveva iniziato ad accusare la stanchezza. Poco meno di dodici ore prima era nella sua aula a finire la lezione, con il programma di passare il pomeriggio a rilassarsi sul suo divano preferito, invece ora stava cercando di scongiurare una crisi economico-finanziaria dai risvolti spaventosi. Perso nei suoi pensieri non si accorse dell’arrivo di Kate fino a quando il suo inconfondibile profumo, un misto di aromi esotici e di intriganti fragranze naturali, arrivò alle sue narici, risvegliandolo. «Dammi solo buone notizie» gli bisbigliò Kate alle orecchie, appoggiandosi delicatamente alle sue spalle. «Purtroppo non ne ho. Ho passato le ultime quattro ore a controllare e ricontrollare tutti gli algoritmi che gestiscono la configurazione dei firewall. Ho cercato in tutto il sistema la porta d’accesso attraverso cui sono riusciti a passare, semplicemente non ho trovato nulla.» Stefano si spostò in modo da far vedere meglio a Kate i due grandi display del suo terminale, affollati di file, diagrammi, schemi e algoritmi del sistema di difesa della BFR.

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«Nulla di nulla. Ho ricontrollato tutto il sistema. Sono riusciti a far crollare tutti i firewall come se fossero tessere di un domino e la cosa sconvolgente è che ci hanno messo davvero pochissimo, come se fosse un gioco da ragazzi.» «Spiegati meglio» chiese Kate preoccupata. «Sono riusciti ad annullare tutto il sistema di difesa, e stiamo parlando di un sistema Alpha, il massimo livello attualmente esistente. Se ci sono riusciti con la BFR possono farlo anche con noi.» Lei lo ascoltava con molta attenzione, il volto tranquillo, lo sguardo attento. Ma dentro di sé Kate era sconvolta. Stefano aveva appena confermato una delle sue maggiori preoccupazioni, e ora stava lottando con tutte le sue forze per mantenersi calma, cercando di nascondere le preoccupazioni che si annidavano nei suoi pensieri. «Kate, dobbiamo parlarne con il vicecomandante. La minaccia è reale e potrebbe farci ripiombare tutti nel medioevo.» Stefano fece una pausa, e sul suo volto comparve un timido sorriso. «Più tardi però, perché se adesso non mangio qualcosa potrei svenire!» «Hai ragione, hai lavorato senza sosta, te la sei proprio meritata una pausa. Vieni ti porto in sala mensa.» La tensione si alleggerì e Stefano sentì il suo stomaco ormai completamente vuoto lamentarsi rumorosamente. «Sei arrivata proprio al momento giusto, meno male che ci sei tu a prenderti cura di me» le disse facendo l’occhiolino in modo scherzoso, e dopo essersi alzato, si lasciò guidare da lei verso l’ascensore. La sala mensa era uno spazio funzionale, organizzato in modo che ognuno dei ricercatori di stanza alla base Fenice potesse accedere facilmente al cibo a qualsiasi ora del giorno e della notte. Situata in un basso edificio distante circa cinquanta metri dall’ingresso della base sotterranea, la mensa si sviluppava su una superficie di quattrocento metri quadrati, e al suo interno lo spazio era interamente occupato da lucidissimi tavoli di alluminio disposti in file parallele e da dispense automatizzate in grado di servire qualsiasi tipo di pietanza o bevanda. A quell’ora buona parte del personale in servizio aveva già cenato, così non fu difficile per Stefano trovare una zona più tranquilla dove sistemarsi; scelse un tavolo isolato sul lato nord-ovest della sala, mentre Kate si diresse verso una delle dispense robotizzate libere per ordinare la cena.

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Presi dai rispettivi pensieri consumarono rapidi un semplice pasto a base di prodotti precotti senza fare neanche troppo caso al sapore di ciò che stavano mangiando, entrambi troppo preoccupati per i possibili sviluppi futuri di quella crisi. Una volta terminato il pasto, un po’ per esorcizzare la preoccupazione, un po’ perché spinto dalla nostalgia del passato condiviso con la bella russa, Stefano iniziò a tirare fuori una serie di aneddoti dei tempi di Oxford e in breve si ritrovarono a riderci sopra, rievocando quei tempi più felici. Quando finalmente si accorsero che si stava facendo davvero tardi, si diressero verso la zona alloggi, adiacente alla zona mensa, e lei lo condusse verso la stanza che il vicecomandante gli aveva assegnato in via del tutto provvisoria. Sdraiato nel letto della sua stanza Stefano guardava il soffitto grigio. L’orologio digitale sulla spoglia parete segnava le 02.10, il silenzio era assoluto. Non riusciva a dormire, gli avvenimenti delle ultime diciotto ore lo avevano profondamente scosso. La situazione che si trovava a fronteggiare era ben più grave di quella che aveva immaginato e la prospettiva che Phantom potesse a suo piacimento abbattere anche le difese più sicure che i servizi avevano a disposizione, letteralmente lo terrorizzava. Nella stanza affianco alla sua anche Kate non riusciva a prendere sonno, si girava e rigirava nel letto nel vano tentativo di addormentarsi. Era stata anche per lei una lunghissima giornata, una di quelle che davvero non si dimenticano facilmente. All’improvviso sentì dei colpi alla porta, e quando qualcuno la chiamò a bassa voce si alzò e andò ad aprire, trovandosi faccia a faccia con Stefano. «это не только одно, что не можем закрывать глаза» (Non sono l'unica quindi che non riesce a chiudere occhio) disse Kate in tono scherzoso. Stefano la guardò incuriosito e rispose «действительно слишком много вещей произошло» (Sono successe davvero troppe cose oggi). Senza tacchi Kate era leggermente più bassa di Stefano, ma anche struccata e in tenuta da notte lui la trovò estremamente sexy.

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Avanzò di un passo e la cinse con le sue braccia muscolose e abbronzate, travolgendola con il suo ardore. Si baciarono a lungo, spinti dalla passione che per anni era stata messa in disparte, risvegliata da quell’incontro in una situazione così folle. Stefano la alzò e lei lo cinse con le sue gambe affusolate. I baci divennero più intensi, le mani scivolavano strade ben conosciute. Improvvisamente Kate tirò indietro il volto e guardò negli occhi scuri di Stefano, il suo gelido sguardo azzurro ora traboccava di passione e della volontà di fuggire, anche se solo per poche ore, dalla drammatica emergenza che li aveva fatti rincontrare. Stretti l’uno all’altra finirono sul letto. I vestiti di lui volarono veloci sul pavimento mentre lei, sdraiata sul letto, ammirava il suo fisico perfetto. Rimasto in boxer, Stefano iniziò ad aprire lentamente, bottone dopo bottone, il pigiama di Kate, soffermandosi a giocare con le sue turgide forme. In pochi secondi anche gli ultimi indumenti divennero superflui e andarono a raggiungere gli altri già sul pavimento. Un pallido raggio di luna illuminava la pelle perfettamente bianca di Kate, creando uno stupefacente contrasto con la forte abbronzatura di lui. Il bianco e il nero, lo ying e lo yang, due corpi che vibravano e si fondevano fino a divenire una cosa sola, fino a scivolare nell’oblio del piacere. La luce dell’alba iniziò a rischiarare l’interno della stanza. Stefano era già sveglio e contemplava la bellezza eterea di quella donna dagli occhi di ghiaccio. L’attacco terroristico alla BFR, il volo in elicottero, il lavoro frenetico al terminale a sua disposizione nella centrale operativa del ASDI sembravano più lontani nella pace di quel momento. Kate si mosse sinuosa nel letto, ancora stretta nell’abbraccio di Stefano, e un sorriso le si dipinse sul volto. «Allora non è stato solo un bellissimo sogno» disse ancora accoccolata tra le sue braccia. «Direi decisamente di no» le rispose Stefano sorridendo, e si piegò verso di lei per baciarle le labbra e strofinare il naso contro il suo, ripetendo un gesto d’intesa che era abituale ai tempi di Oxford. «Il sole è già sorto, è meglio che torni nella mia stanza e mi prepari, ci aspetta una delle giornate più lunghe della nostra vita.» «Ce la farai?» chiese Kate con un po’ di esitazione.

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«Kate, ormai la BFR è persa, non possiamo fare più niente per recuperare i dati cancellati da quel micidiale virus. Però possiamo prenderli e scongiurare che una catastrofe del genere si possa ripetere!» Detto questo si alzò lentamente dal letto, recuperò i suoi abiti sparsi per la piccola stanza e si avviò verso la porta. Prima di uscire si girò verso Kate, che aveva già iniziato a vestirsi, e le disse: «Vedrai, alla fine vincono sempre i buoni.» Senza aspettare la sua replica uscì dalla porta richiudendosela alle spalle, un senso di inquietudine pervadeva il suo spirito, sapeva che lo attendeva una lunga giornata di lavoro. “Vedrai, alla fine vincono sempre i buoni” ripeté mentalmente tra sé e sé, come per convincersi che fosse proprio così.

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02 23.09.2010 ORE 11:20 CASA DI GIOVANNI SFORZA, ROMA Giovanni sedeva davanti al suo computer portatile. Dopo aver passato quasi l’intera notte al computer si sentiva esausto; quello che era successo nelle ultime ventiquattro ore lo aveva sconvolto al punto di non fargli chiudere occhio, pressato dall’urgenza di rendersi utile. La pallida luce del sole entrava attraverso l’ampia finestra che dava sul grande attico, mentre le nuvole correvano veloci nel cielo promettendo un miglioramento nel corso della giornata. Una leggera brezza mosse le tende e fece tintinnare un acchiappasogni appeso vicino alla grande porta finestra, riscuotendolo dall’inquieto dormiveglia in cui era caduto. “Da quante ore sono qui?” pensò sentendo le gambe addormentate e il collo bloccato. Guardò meccanicamente l’orologio prima di dirigersi verso la finestra, cercando di sgranchire un po’ le gambe. “Il tempo promette bene, e se il buongiorno si vede dal mattino…” Giovanni non poté fare a meno di notare che nell’insieme sarebbe potuta essere davvero una piacevole giornata, se non per il fatto che solo qualche ora prima la finanza italiana era stata messa in ginocchio da un pericolosissimo gruppo hacker chiamato Phantom. Nel grande soggiorno tutto era perfettamente ordinato, riflesso della sua mentalità metodica e razionale; adorava l’ordine e la precisione, fondamentali nell’organizzazione dei sistemi informatici. Paradossalmente il suo corpo iniziava invece ad accusare i segni degli eccessi che avevano caratterizzato lo stile di vita esagerato degli ultimi anni; gli erano rimasti solo pochi capelli che portava cortissimi e la sua massiccia corporatura, costruita da ragazzo con le estenuanti sessioni di allenamento per il rugby, aveva iniziato a perdere tono, soprattutto per colpa del consumo eccessivo di Redbull, delle sigarette e del mangiare senza limiti.

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Vestiva sempre abiti casual, riluttante all’idea di dover dimostrare di essere attraverso l’apparire, e aveva una passione quasi maniacale per le scarpe, che comprava rigorosamente nere e sportive. Erano anni che lavorava come consulente informatico per una grossa multinazionale del petrolio, era una figura chiave nella struttura e veniva lautamente pagato dai suoi datori di lavoro. Poteva permettersi così diversi lussi, come l’appartamento dove si trovava, un superattico in uno dei quartieri più lussuosi di Roma, e soprattutto i due bellissimi dipinti di Mondrian in bella mostra su una parete appositamente realizzata per contenerli. Il suo amore per l’arte conviveva con la sua naturale attrazione verso qualsiasi oggetto hi-tech, e così casa sua era piena di tutti gli ultimissimi ritrovati nel campo delle tecnologie. Aveva lavorato duramente per riuscire a ottenere quelle soddisfazioni. Dopo la sua laurea in Ingegneria Informatica presso Roma Tre aveva conseguito un importantissimo master presso il MIT di Boston specializzandosi in A.I. (Artificial Intelligence) e Sistemi Bio-Informatici, e aveva scritto una serie di pubblicazioni che lo avevano reso noto a tutti gli addetti ai lavori. Per molto tempo era stato corteggiato da istituzioni pubbliche più o meno segrete, ma alla fine aveva scelto di lavorare nel settore privato, dove le possibilità di guadagno erano assolutamente maggiori. Si era sempre ritenuto un hacker etico, una persona che usava le proprie conoscenze dell’informatica e dei sistemi integrati per aumentare il patrimonio culturale della società, aborrendo qualsiasi forma di distruzione che questa conoscenza potesse portare. Aveva passato le ultime ore girovagando tra i forum, cercando di scoprire più informazioni possibili su Phantom e sui dettagli di quell’attacco così devastante, ma finora la maggior parte dei suoi sforzi si era rivelata inutile. Le scarsissime informazioni che era riuscito a trovare su forum specialistici per hacker ed esperti di Information Technology, erano comunque sempre semplici voci di corridoio. Tornò al computer e inserì nuovamente la password che sbloccava il salvaschermo. “Devo riuscire a trovare qualcosa, perché nessuno sa niente?” Stava succedendo qualcosa di strano nella rete. Nonostante la sua grande esperienza e il suo impegno, non era riuscito a trovare alcun riferimento all’evento, non c’era nessuna agenzia o comunicazione ufficiale, solamente voci o dicerie che iniziavano a moltiplicarsi a macchia d’olio.

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Giovanni si era convinto quindi che a livello istituzionale si stesse operando un insabbiamento senza precedenti per cercare di mantenere stabile un sistema che rischiava di implodere come colpito da un buco nero, riuscendo parallelamente a guadagnare tempo prezioso per chi stava cercando di fermare e catturare quei terroristi. Anche se riteneva giusto il fine, non approvava quella politica e si sentiva frustrato di non poter fare niente. Stava digitando alcune parole chiave per una ricerca approfondita nella rete quando dal grande televisore lcd da quarantasette pollici, che si era regalato giusto qualche giorno prima, sentì provenire le note inconfondibili dell’arpeggio iniziale di ‘Abbandona la Nave’. Istintivamente si alzò e raggiunse il divano mentre sul grande schermo scorrevano rapide le immagini dell’ultimo videoclip dei Carnot, un gruppo rock da poco comparso sulla scena italiana ma che già era in testa a tutte le classifiche proprio con quel pezzo, che lui adorava. Era molto orgoglioso del successo che stava avendo il videoclip, dal momento che aveva collaborato alla sua realizzazione insieme al cantante del gruppo, che era un suo amico di vecchia data, Prese il telecomando del sistema surround, alzò al massimo le note distorte della canzone e sprofondò sui morbidi cuscini con gli occhi chiusi. Giovanni adorava lavorare con un sottofondo musicale perché lo aiutava a concentrarsi; era un’abitudine che si portava dietro dai tempi del liceo, quando aveva il mangiacassette sempre attaccato alla cinta dei pantaloni, che ormai era stato sostituito dal più versatile ipod. In quel momento la musica era il toccasana di cui aveva bisogno per staccare un po’ dalla preoccupazione per quello che era accaduto, e soprattutto per quello che sarebbe successo nelle prossime ore, così si lasciò andare travolto dalla forza delle onde sonore. Improvvisamente il videoclip fu interrotto dalla sigla del telegiornale. Giovanni aprì gli occhi sorpreso. Sul grande schermo era ben evidente in primo piano la scritta “Edizione Straordinaria”, mentre il volto tirato della giornalista non lasciava presagire niente di buono. -Signori e signore, ci troviamo di fronte a una minaccia terroristica senza precedenti. Stamattina alle 10.25 ora locale i server della Banca Finanziaria di Roma, la più grande risorsa finanziaria d’Italia, sono stati messi sotto attacco da una potente organizzazione anarchica Hacker chiamata Phantom.

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L’unico scopo accertato dell’attacco al momento sembra essere stato quello di creare caos nel mondo della finanza e dell’economia. Fortunatamente il tempestivo intervento di un gruppo di abili ed esperti programmatori e ricercatori informatici del Ministero ha permesso di limitare i danni. Nelle prossime ore il Presidente del Consiglio Onorevole Guido La Sarta trasmetterà un comunicato a reti unificate per tranquillizzare tutti gli onesti concittadini sul ripristino della condizione pre-crisi. La situazione è sotto controllo, vi invitiamo a mantenere la calma. Grazie per la cortese attenzione- «Balle!» urlò rivolto al televisore, e in un eccesso d’ira e frustrazione scagliò via il telecomando che si andò a infrangere in mille pezzi contro la costosa libreria. Infuriato si alzò dal divano e iniziò a camminare avanti e indietro per schiarirsi le idee, doveva calmarsi prima di poter ricominciare a lavorare. “Hanno scelto di nascondere la crisi ritardandone la comunicazione all’opinione pubblica per un giorno intero, sarà bastato?” pensò preoccupato. Non riusciva a calmarsi, camminava velocemente lungo un percorso ciclico, il pensiero fisso al suo amico, portato chissà dove dai servizi per cercare di risolvere quella crisi improvvisa. “Nonostante le rassicurazioni che i media stanno dando alla gente comune, se non sono riusciti a fermarli in tempo il tracollo della BFR avrà delle ricadute spaventose su tutti. I mercati finanziari impazziranno, i broker inizieranno a vendere presi dalla paura che tutti i soldi virtuali delle loro operazioni possano evaporare nel nulla, la borsa crollerà e si aprirà una crisi spaventosa che investirà tutti i settori dell’economia, i danni saranno inimmaginabili” Lo scenario che si andava delineando nelle sue riflessioni era assolutamente agghiacciante. Non c’era un precedente nella storia dell’economia mondiale, quello sembrava essere davvero l’undici settembre della finanza. Era ancora perso in quelle amare riflessioni quando il suo cellulare iniziò a lampeggiare. Vibrò a lungo prima che lui si accorgesse di qualcosa, e non appena realizzò che lo stavano chiamando si lanciò verso il telefono, riuscendo così a rispondere appena in tempo. «Pronto» disse agitato. «Immagino tu abbia già visto in televisione.»

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Riconobbe subito la voce di Stefano, e per lui fu come ricevere una secchiata di acqua gelida dietro la schiena. Il tono del suo amico, di solito squillante e positivo, era ora duro e pesante, indice di grande preoccupazione. «Grazie al cielo Stefano, sei tu… non ce la facevo più a stare qui senza poter muovere neanche un dito. Che succede?» Giovanni aspettava nervoso quella telefonata da ore, e aveva sperato dentro di sé con tutte le forze che l’intervento dell’amico avesse portato a una soluzione positiva della crisi; erano bastate però quelle poche parole per spegnere all’istante dentro di lui la speranza. Le cose dovevano essere andate diversamente, e l’unica consolazione che gli era rimasta era che finalmente Stefano gli avrebbe dato almeno alcune delle risposte che stava cercando da ore. «Giovanni, la situazione è molto più grave di quello che immagini… ho bisogno di te.» «Ti assicuro che non c’è uno scenario di quelli che ho immaginato in cui non siamo sull’orlo di un ritorno al medioevo» rispose serio Giovanni.

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03 23.09.2010 ORE 09:30 BASE SEGRETA ADSI, LOCAZIONE SCONOSCIUTA Stefano e Kate raggiunsero rapidi la postazione di controllo centrale dove Henry, Stella e il vicecomandante Deodati erano già al lavoro. L’ufficiale stava parlando con un’altra persona dall’aria autoritaria, che emanava un’aura di rispetto e deferenza. Stefano fu subito colpito dal taglio perfetto del suo abito Armani, e mentre si avvicinavano iniziò a osservare con attenzione quella figura imponente. Non appena il vicecomandante si accorse della sua presenza smise di parlare e salutò Stefano con una decisa stretta di mano, facendo cenno all’altro uomo di avvicinarsi. «Professor Rame le presento Michael Rouge, uno dei nostri più preziosi collaboratori a livello strategico.» Stefano strinse con vigore la mano del signor Rogue, il quale ricambiò con una stretta d’acciaio. «Signor vicecomandante, posso essere franco?» disse Stefano rivolgendosi a lui. «Assolutamente» gli rispose cordialmente quello. «Non credo che potremo fare molto per salvare i dati contenuti nei database della BFR. Ieri ho passato il pomeriggio a ricontrollare tutto il sistema di sicurezza alla ricerca di un varco, il più piccolo pensabile, e non ho trovato niente. Sono riusciti a compromettere in pochi minuti tutto il sistema di difesa di livello Alpha, che come ben sa è il livello più avanzato di difesa di cui disponiamo. Superato il sistema di protezione, l’upload del virus che ha cancellato tutte le informazioni contenute all’interno dei dischi è stata una pura formalità.» L’ufficiale iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro, la preoccupazione visibile sul volto seppur quasi impassibile. «Come può facilmente confermarle il dottor Livingstone, la maggior parte delle informazioni è persa definitivamente.» «Vicecomandante, purtroppo è esattamente così» intervenne Henry a sostegno della tesi di Stefano.

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«Cosa suggerisce quindi professore?» chiese l’ufficiale rivolgendosi preoccupato a Stefano. «Piangere sul latte versato secondo me non ha senso signore. Dobbiamo prenderli! Suggerisco di concentrare i nostri sforzi nella ricerca di tracce che possano farci risalire a Phantom e sbattere questi figli di puttana in una gabbia senza possibilità di uscire.» Stefano scandì le parole della frase con forza; era deciso a fare del suo meglio per raggiungere il suo obiettivo e impedire a quei pirati di colpire ancora. Il vicecomandante fu colpito dalla determinazione di Stefano, e dopo alcuni secondi passati in silenzio a riflettere, si rivolse a tutte le persone del team. «Benissimo Signori, facciamo come dice il professor Rame, staniamo questi porci bastardi e facciamogli capire che noi siamo la legge!» La violenza dell’intonazione scrollò tutti i membri del gruppo, che subito ricominciarono a lavorare nelle loro postazioni con rinnovato impegno. «Professor Rame vorrei parlarle un secondo in privato nel mio ufficio, dopo potrà raggiungere gli altri.» Sorpreso da quella richiesta, Stefano lanciò un’occhiata interrogativa a Kate, e seppure con un po’ di esitazione seguì i due uomini verso l’ufficio. Appena entrati, Stefano venne fatto accomodare su una poltrona davanti alla scrivania, mentre Michael Rouge si sedette alla sua immediata sinistra. «Come le avevo accennato prima il signor Rouge è uno dei nostri più preziosi collaboratori a livello strategico e di comunicazione. È il direttore generale della Nexos Inc, una delle più grandi multinazionali che operano in Italia, una società dal fatturato annuo superiore ai duecentosessanta milioni di euro.» Mentre l’ufficiale stava parlando, Stefano, dalla sua posizione laterale, guardava attentamente Michael cercando di cogliere quante più informazioni possibili. «Roberto ti prego non soffermiamoci su questi dettagli insignificanti.» Stefano rimase sbalordito da come Michael si fosse riferito al fatturato stratosferico della sua società considerandolo un insignificante dettaglio, ma riuscì comunque a nascondere la sua perplessità ai due uomini. «Dopo gli spaventosi fatti di ieri, Michael ha bisogno di persone in gamba come te che formino un team in grado di proteggere il sistema informatico della Nexos.»

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Stefano iniziò a sentirsi a disagio e provò a fare del suo meglio per non farlo notare agli altri due. «Tu sei uno dei migliori esperti nel settore, è per questo che sei qui. Sei qualificato e motivato, sei in gamba, e credo tu capisca quanto potresti essere importante per la sicurezza della società di Michael» aggiunse lanciando un’occhiata complice all’uomo seduto di fianco a lui. “Che sta succedendo qui?” si chiese turbato. Il discorso del vicecomandante lo aveva lasciato perplesso. In un momento così critico non riusciva a capire come fosse possibile parlare degli interessi privati di una società, per quanto grande potesse essere, quando l’intera economia italiana era sull’orlo della catastrofe. «La situazione catastrofica che si va delineando, con il futuro crollo della borsa e dei mercati finanziari, purtroppo per ora è senza rimedio… dobbiamo lavorare per costruire un futuro migliore» disse Michael rivolgendosi direttamente a Stefano. «Signor Rogue esattamente cosa mi sta chiedendo?» chiese in tono pungente Stefano. «Sto cercando di riunire in un team le migliori risorse nel campo dell’informatica, mettendo a disposizione di queste persone le tecnologie più avanzate per evitare che si ripeta una catastrofe di questo genere ai danni della Nexos. Sono sicuro che potrà dirigere con enorme successo il lavoro della squadra, e naturalmente se accetta avrà la mia massima disponibilità.» «Cosa?» Stefano sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale: in quel momento così buio non avrebbe mai immaginato di sentirsi fare una proposta d’affari di quel livello. «Signor Rogue, vicecomandante Deodati mi avete preso alla sprovvista, non mi sarei mai aspettato una proposta d’affari da parte vostra. In passato ho rifiutato altre proposte simili, ma stavolta sono davvero molto combattuto; pensare che ci possano essere in giro pirati informatici così preparati mi spaventa, e non posso e non voglio rassegnarmi allo scacco. Ci penserò non appena questa situazione sarà risolta, ora abbiamo del lavoro più importante da svolgere.» Dopo aver detto queste parole Stefano si alzò con decisione e salutò gli altri due con una rapida stretta di mano; voleva uscire al più presto da quell’ufficio, il suo spazio gli sembrava essere diventato troppo soffocante, come se le pareti della stanza gli si stessero per chiudere addosso.

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Il vicecomandante lo osservò mentre usciva; aspettò alcuni secondi e non appena fu sicuro che Stefano fosse abbastanza distante si girò verso Michael dicendo «È in gamba, accetterà vedrai.» Un sorriso brutale si dipinse sul volto di Michael che si alzò e, dopo aver scambiato un eloquente sguardo d’intesa con il vicecomandante, lasciò l’ufficio senza aggiungere parole. Stefano camminava sovrappensiero, le parole di Michael Rogue e del vice comandante ancora vivide in testa. La conversazione era durata solo una decina di minuti ma lo aveva lasciato profondamente turbato. Sentimenti contrastanti lottavano dentro di lui, e ora si ritrovava diviso tra l’urgenza etica di pensare al drammatico presente e la prospettiva esaltante di guidare un gruppo di eccellenza per scongiurare futuri attacchi simili. Guardò l’orologio, e si accorse che erano da poco passate le dieci “E sono solo le dieci, sarà una giornata molto lunga.” Kate stava controllando alcuni dati insieme al dottor Livingstone quando vide Stefano dirigersi verso il terminale che gli era stato assegnato. Era sicura che Stefano avrebbe fatto del suo meglio per trovare una soluzione a quella spaventosa crisi, riponeva grandi speranze in lui. Anche se negli ultimi anni si erano persi di vista lo conosceva molto bene, e sapeva che era una persona estremamente determinata, e che non avrebbe accettato di essere sconfitto senza aver prima provato qualsiasi possibile strada. Lo vide camminare lentamente, disorientato, e subito si affrettò a chiamarlo. Lui non sembrò accorgersi di nulla, perso in chissà quali pensieri, e lei lo seguì verso la postazione, desiderosa di saperne di più. Non appena lo raggiunse si accorse subito che qualcosa non andava. Stefano sembrava come assente, turbato da chissà quale ombra. «Stefano, che succede? Hai la faccia di uno che ha appena visto un fantasma» gli chiese appoggiandogli con dolcezza una mano su una spalla. Stefano trasalì al contatto e guardò Kate senza parlare. Passarono lentissimi alcuni secondi, poi finalmente Stefano prese coraggio e raccontò a Kate quello che era successo dentro all’ufficio del vicecomandante, esprimendole tutte le perplessità che gli aveva lasciato quella conversazione.

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«È davvero strano quello che è successo, comunque ora abbiamo un problema più grande e non possiamo perdere neanche un istante, potrebbero colpire ancora.» «Hai ragione Kate, magari ne riparleremo quando questo sarà solo un brutto ricordo.» «Bene» rispose lei tornando a sorridere, poi aggiunse «prima di venire qui da te stavo controllando alcune cose con Henry, dovresti andare a dare un’occhiata, potrebbe aver trovato qualcosa.» Stefano, sollecitato da quella buona notizia, ritrovò le forze e l'attenzione, e subito la seguì verso la sala di comando. Analizzando una traccia della routine di ricerca nascosta all’interno del virus che aveva disabilitato i firewall della Banca, Henry aveva fatto una scoperta molto interessante; si era imbattuto infatti in un algoritmo che aveva colpito la sua attenzione in quanto sembrava essere simile a un progetto che una giovane specializzanda in informatica aveva pubblicato su un forum hacker diversi anni prima, di cui lui era venuto a conoscenza da amici di amici. Dopo una serie di controlli incrociati aveva scoperto che effettivamente una parte dell’algoritmo derivava dall’evoluzione di una serie di funzioni che erano ipotizzate all’interno di quel progetto originale, sebbene poi la maggior parte fosse stata riscritta secondo un codice che lui non era in grado di interpretare. Quando arrivò Stefano, Henry gli illustrò la sua scoperta; Stefano si dimostrò subito interessato a quell’ipotesi e iniziò a battere quella pista, cercando riscontri e incrociando risposte. Il lavoro si fece frenetico e iniziarono a venire fuori i primi risultati, insieme a un nickname, Eris. Stefano ed Henry focalizzarono le proprie ricerche intorno alle informazioni che avevano scoperto. Mano a mano il cerchio iniziò a stringersi, e alla fine riuscirono a trovare un indirizzo. Via della Magliana 148. Kate quasi in tempo reale puntò il satellite spia dell’ASDI che sorvegliava Roma sulle coordinate spaziali esatte dell’indirizzo. Ruotando e zoomando riuscì in pochi minuti a ottenere un’immagine molto dettagliata dell’area.

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Le foto e i filmati catturati dal satellite mostravano una notevole quantità di attività concentrata in una specifica zona. All’interno di un complesso industriale molto vasto c’erano persone che entravano e uscivano da un capannone in particolare, passando attraverso un parcheggio scoperto che ospitava numerose auto di media e grossa cilindrata, mentre nel resto del complesso industriale sembrava deserto. La visione termica mostrò come, oltre alle presenze umane all’interno del grande capannone, erano rilevabili tre punti a elevata temperatura, attorno ai quali convergevano i percorsi della maggior parte delle persone. Da un’attenta analisi dei dati riuscirono così a ricostruire che verosimilmente il calore era generato da tre potenti workstation informatiche, dato che il flusso di energia consumata era costante. Kate, Stefano ed Henry concordarono immediatamente che dovevano essere le postazioni informatiche utilizzate dagli hacker per mettere sotto attacco i server di BFR, e in pochi istanti la situazione apparve chiara a tutti i presenti: quella era la base da dove operava Phantom, bisognava intervenire immediatamente per mettere fine alla minaccia di ulteriori attacchi. Informarono il vicecomandante di quello che avevano scoperto e subito lui gridò furiosi ordini ai suoi collaboratori che rapidi scattarono a eseguirli. Una speciale squadra d’assalto era stata allertata e si era già messa in viaggio: l’obiettivo sarebbe stato raggiunto in meno di dieci minuti, mentre supporto e copertura alle operazioni di assalto sarebbero state garantite da due elicotteri e un caccia dell’ASDI che sarebbero decollati dalla base entro cinque minuti. Stefano finalmente tirò un sospiro di sollievo; insieme a Henry e Kate aveva fatto un ottimo lavoro, così come aveva lavorato ottimamente tutta l’equipe di esperti improvvisata dai servizi di intelligence. Ora il compito di catturare i terroristi era passato alla speciale squadra d’assalto. “È solo questione di tempo, il più è fatto! Non ci saranno altri attacchi simili” pensò animato da una nuova forza.

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04 23.09.2010 ORE 10:20 COMPLESSO INDUSTRIALE, VIA DELLA MAGLIANA 148, ROMA Le forze speciali d’assalto erano in posizione lungo il perimetro di quella che apparentemente sembrava essere un tranquilla zona industriale. All’esterno, nell’ampio parcheggio e tra i vari edifici che formavano il complesso, non c’erano segni di attività ostile, anzi il grande parcheggio sembrava essere quasi deserto, a eccezione di qualche macchina parcheggiata, alcune motrici e diversi container vuoti. Il Capitano Giardino, che aveva il comando dell’operazione, era un veterano di numerose guerre; aveva alle spalle una brillante carriera militare costellata da molteplici successi in missioni sul territorio italiano e all’estero, e il suo impegno a servire la patria gli era fruttato numerose decorazioni al valore militare. Come coronamento della sua carriera aveva ricevuto un incarico delicato, di enorme rilevanza: dopo un’attenta selezione era stato chiamato infatti a ricoprire il ruolo più importante a cui poteva aspirare un operativo dei servizi di intelligence, quello di ‘responsabile per le situazioni critiche’. Era lui che pianificava gli interventi dell’U.S.A.T., l’unità speciale di assalto tattico, quando si trattava si risolvere situazioni critiche, ed era il migliore nel suo lavoro per senso pratico e prontezza di decisione. Assunto l’incarico, aveva formato l’unità d’elite selezionando solo i migliori uomini provenienti da marina, esercito e aeronautica; uomini addestrati per cavarsela in ogni situazione, pronti a qualsiasi sacrificio allo scopo di raggiungere l’obiettivo, che si trattasse di liberare gli ostaggi, recuperare ordigni nucleari o sventare minacce terroristiche. Erano tutti militari di grandissima esperienza, si fidavano ciecamente degli ordini che impartiva loro e non avevano mai fallito una missione. Prese la radio da una giberna e operando con i canali si mise in comunicazione con il capitano della Squadra Bravo. «Squadra Bravo siete in posizione?» «Squadra Bravo pronta, signore.»

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«Bravo e Delta massima attenzione, al mio segnale entrate in azione in modalità silenziosa, non devono né vederci né sentirci.» «Ricevuto, signore.» Il Capitano si voltò verso gli altri componenti della Squadra Alpha per accertarsi che fossero tutti pronti e iniziò ad avanzare. Il piano di assalto preparato in base alla conformazione urbanistica dell’area di intervento prevedeva due fasi. La prima aveva come obiettivo quello di conquistare le zone all’aperto del perimetro esterno al capannone, indicato dal comando come la base operativa dei terroristi, neutralizzando le minacce eventualmente presenti senza far scattare gli allarmi. Di questa prima parte si sarebbero occupate le squadre Bravo e Delta, mentre lui con la squadra Alpha avrebbe fornito copertura e supporto in caso di necessità. La seconda parte prevedeva la conquista del capannone stesso attraverso i tre ingressi, con le squadre Alpha, Bravo e Delta impegnate in un’azione simultanea in modo da riuscire a sorprendere i terroristi e costringerli a una resa immediata. «Bravo, Delta partite.» Rapidissime al suo comando le squadre Bravo e Delta entrarono in azione. Erano tutti militari di carriera, specializzati in questo tipo di situazioni, pronti a reagire di fronte a qualsiasi minaccia improvvisa. Le due squadre avanzarono silenziosamente attraverso il grande parcheggio utilizzando tutto quello che poteva fornire loro riparo come nascondiglio. Il primo bersaglio dei ricognitori delle due squadre erano le telecamere di sicurezza; studiando attentamente le mappe e i rilevamenti del satellite, Giardino e i suoi collaboratori erano riusciti a individuarne dodici, e ne avevano evidenziato tutti gli angoli ciechi. I ricognitori delle due squadre avrebbero sfruttato queste zone d’ombra per raggiungere le telecamere e sostituire l’immagine catturata con quella prodotta attraverso uno speciale filtro, che avrebbe tagliato determinate frequenze del segnale rendendo i militari praticamente invisibili. Dopo aver rapidamente messo fuori uso le telecamere, guastatori e assaltatori avanzarono furtivamente attraverso gli edifici vuoti. La tensione era palpabile e i militari procedevano con cautela, pronti a entrare in azione al minimo accenno di pericolo.

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Al riparo dalla sua posizione coperta il capitano Giardino controllava sul suo piccolo display portatile l’immagine del satellite della zona sotto attacco. Grazie al segnale GPS dei dispositivi installati sui caschetti dei suoi uomini poteva monitorare l’avanzamento tattico dei due team, e controllare che tutto procedesse secondo il piano. Secondo l’immagine sul display la squadra Bravo aveva già attraversato la parte ovest del parcheggio utilizzando i grandi container vuoti come barriere di protezione da contatti ostili, e si apprestava a raggiungere l’ingresso ovest del grande capannone mentre la squadra Delta aveva quasi raggiunto il capannone da nord, passando attraverso i numerosi edifici presenti nel complesso senza incontrare alcun tipo di resistenza. “Qualcosa non va… è tutto troppo tranquillo” pensò il capitano. Iniziava a essere preoccupato perché fino a quel momento era stato fin troppo facile avvicinarsi al capannone. Il fatto che entrambe le squadre non avessero avuto alcun contatto con gli ostili e che non ci fossero segni di attività di alcun tipo era davvero una cosa molto strana. «Squadra Bravo in posizione signore, via libera.» Il capitano guardò l’orologio; erano le dieci e mezza, c’erano voluti meno di dieci minuti per raggiungere il primo punto di ingresso. Troppo poco secondo i suoi calcoli. «Delta in posizione signore, via libera.» “Non va bene… non va bene” pensò. In testa alla squadra Alpha il capitano iniziò ad avanzare lungo il lato sud dell’area. Continuava a pensare che gli fosse sfuggito qualcosa, la sua esperienza decennale gli suggeriva che era una trappola, e finora il suo istinto non si era mai sbagliato, salvandogli in numerose occasioni la vita. Il suo sguardo volava irrequieto da un palazzo all’altro alla ricerca di qualche indizio di quell’invisibile minaccia. Tutto nell’area sembrava immobile, non c’era né vento né alcun rumore, solo silenzio. Il sibilo leggero come il vento e letale del colpo di un fucile di precisione interruppe il silenzio irreale dell’area, quando il primo colpo gli volò vicino alla sinistra. Prima che se ne rendesse conto, il sergente che copriva quel lato del campo era a terra morto, l’elmetto trapassato all’altezza della nuca, la faccia era letteralmente esplosa per la violenza dell’impatto. «Cecchino!» urlò istintivamente ai suoi sfortunati compagni e immediatamente il gruppo si sfasciò in cerca di un riparo.

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Mentre si lanciava verso la copertura più vicina, con la coda dell’occhio vide che un altro dei suoi soldati era stato colpito ed era morto già prima di toccare terra. «Squadra Bravo, Squadra Delta entrate. Noi siamo sotto il fuoco di un cecchino, non potete aiutarci. Prendete quei figli di puttana, non fateli scappare… massima attenzione, ci stavano aspettando!» disse freneticamente alla radio, dopo essersi messo al sicuro dietro a una macchina. All’istante la squadra Bravo e la squadra Delta entrarono in azione. Con consumata esperienza agirono quasi all’unisono, ripetendo una procedura che per quelle situazioni era standard. Gli assaltatori colpirono con un violento calcio le porte di legno, che cedettero sul colpo, e subito dopo il guastatore lanciò all’interno dell’edificio una granata fumogena per proteggere l’assalto da parte del resto delle squadra e disorientare i terroristi all’interno. Nella parte sud dell’area industriale i colpi continuavano a sibilare intorno al capitano Giardino, e altri due uomini della sua squadra caddero sotto i colpi inesorabili del cecchino, in quello che stava diventando un vero e proprio massacro. Dalla sua posizione riparata il Capitano riuscì a individuare il cecchino attraverso il lampo che scaturiva a ogni colpo dalla bocca del fucile di precisione. Era appostato al nono piano di un palazzo che dava sul parcheggio, e da quella posizione aveva una visuale perfetta per tenerli sotto tiro. “Siamo caduti in trappola, cazzo” pensò il capitano, e si maledisse per non aver pensato prima a quella eventualità. Stava ancora valutando tutte le possibili soluzioni, cercando di trovarne una il più rapidamente possibile, quando il silenzio irreale della scena fu riempito improvvisamente dal rombo in lontananza della squadriglia di elicotteri mandati a supporto della missione. Subito il capitano, dalla sua posizione sicura, modificò le frequenze della radio e si mise in contatto con il pilota dell’elicottero. «Qui Capitano Giardino a squadriglia elicotteri; siamo sotto attacco. Ripeto siamo sotto attacco.» «Qui Pilota della 609^ squadriglia Eliassalto, resistete signore stiamo arrivando.»

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«Soldato, un cecchino ci sta falciando, è appostato al nono piano di un edificio di dieci piani, grigio e rosa, posizionato sul lato sud-sud est dell’area, abbiamo bisogno di aiuto immediato, sta giocando al tiro al bersaglio con noi!» Il rombo degli elicotteri crebbe di volume; finalmente spuntarono da dietro a uno dei palazzi e in pochi secondi spazzarono via l’intero nono piano del palazzo indicato dal capitano. Dopo aver eliminato il cecchino che aveva seminato morte nella squadra Alpha, l’elicottero atterrò in uno spiazzo libero del parcheggio. Rapido il capitano corse in soccorso dei sui compagni ma non poté fare altro che constatarne la morte: i precisi colpi del cecchino non avevano lasciato scampo a nessuno dei malcapitati soldati. «Signore, mi scusi.» La voce del capitano della squadra Bravo risuonò improvvisamente dagli auricolari integrati nel caschetto di Giardino, facendolo trasalire. Era ancora sotto shock per aver perso compagni e amici nell’agguato, e preso dall’urgenza del pericolo non aveva più pensato alle due squadre che dovevano prendere il controllo del capannone. Dopo un attimo di confusione rispose «Capitano mi dica, li abbiamo presi?» «Signore il capannone è nostro però c’è un problema, è meglio che venga a vedere.» Il capitano raggiunse l’ingresso del capannone con il cuore che ancora gli martellava forte nel petto. Era ancora così frastornato per l’imboscata appena subita che quando entrò nel capannone ebbe bisogno di alcuni secondi per mettere a fuoco la situazione. L’enorme spazio interno era quasi completamente vuoto, fatta eccezione per tre zone più o meno definite, dove erano visibili i resti di quelli che probabilmente erano dei computer. Il capitano non era sicuro che fossero proprio di computer in quanto tutto era completamente distrutto, come se tre piccole bombe fossero esplose in quelle zone, riducendo tutto quello che era presente in minuti frammenti, proiettati nel raggio di un metro. A parte quei mucchietti informi, non c’era alcuna traccia dei terroristi. Per quello che potevano vedere il capannone poteva essere stato abbandonato anche una decina di anni prima, vista la quantità di polvere che ricopriva tutti gli interni. Il sergente Bravo raggiunse il capitano e iniziò a fargli il resoconto dell’assalto.

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«Abbiamo fatto irruzione al suo comando. Quando il fumo provocato dalla granata si è diradato ci siamo ritrovati faccia a faccia con la squadra Delta. Non c’era nessun altro nell’edificio, i terroristi erano spariti prima del nostro arrivo.» «Ci hanno fregati. Hanno lasciato dietro di loro solo il cecchino per fare più danni possibile. Sono sicuro che ci stessero aspettando, qualcuno deve averli avvertiti» rispose amareggiato il capitano.

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05 23.09.2010 ORE 10:40 BASE SEGRETA ADSI, LOCAZIONE SCONOSCIUTA Nell’ampia sala di controllo era sceso un silenzio di tomba. Henry, Stefano, Stella e Kate, insieme al vicecomandante Deodati, avevano seguito con trepidazione l’intervento dell’unità di assalto, vivendolo in tempo reale grazie alla microcamera e al sistema di comunicazione integrato nell’elmetto del capitano. Insieme con lui avevano provato l’adrenalina dell’operazione, la paura dei colpi del cecchino, la gioia rabbiosa del salvataggio da parte degli elicotteri, e ora la frustrazione e la rabbia per essere stati ingannati. Stefano fu il primo che trovò il coraggio di esprimere il suo pensiero. «Hanno avuto il tempo di preparare l’imboscata e far esplodere i computer con tutte le informazioni. Il capitano ha ragione, qualcuno deve averli avvisati, fottuti figli di puttana!» Un mormorio indistinto si diffuse tra i presenti. «Ma è una cosa impossibile! Abbiamo lavorato in modo perfetto, potevano essere nostri!» disse Henry. «E se li avessimo avvertiti noi senza saperlo?» chiese la Dottoressa Massimi rivolta agli altri del team. Henry, Stefano e Kate si girano contemporaneamente verso di lei e la guardarono. Tutti avevano pensato esattamente la stessa cosa, ma non avevano trovato il coraggio di affrontare la questione. Incoraggiata dal sostegno dei loro sguardi, Stella continuò: «forse non esiste una talpa ma piuttosto Phantom è riuscita a infiltrarsi nei sistemi informatici dei servizi. Forse mentre stavamo facendo le nostre ricerche si è attivato un qualche spyware che gli ha fornito le informazioni sul nostro assalto, e a quel punto hanno avuto tutto il tempo necessario per organizzare la fuga e la controffensiva.» Henry sbiancò sentendo le parole della dottoressa. L’ipotesi che Phantom disponesse di hacker talmente abili da introdursi nei sistemi informatici dell’ASDI e riuscire ad avere accesso a tutte le loro informazioni era sconvolgente.

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“Se le cose stanno davvero così, allora nessuno di noi è in grado di fermarli” pensò sconvolto Stefano. «È impossibile! Questa è una base con livello di sicurezza classificato oltre il top secret, nessuno ne è a conoscenza. Non ritengo possibile che siano riusciti a violare i nostri sistemi informatici» replicò il vicecomandante visibilmente irritato. Stefano lo stava osservando di nascosto da quando Stella aveva iniziato a parlare, e si era accorto che sulla gelida maschera di uomo che non perde mai la testa si iniziava a vedere qualche microscopica crepa. «Ora Signori tornate al lavoro, io devo riferire al Comandante.» Detto questo, il vicecomandante lasciò il gruppo dirigendosi con passo serrato all’ufficio del Comandante. Sia che Phantom fosse talmente potente da infiltrare delle talpe dentro all’ASDI, sia che i loro hacker fossero così in gamba da penetrare le loro difese e installare dentro ai loro sistemi degli spyware, entrambe le prospettive non lasciavano alcuna speranza e le parole della dottoressa erano come macigni sulle loro coscienze. Stefano decise che aveva bisogno di schiarirsi un po’ le idee, così si diresse verso la sala relax dove avrebbe trovato il caffè di cui aveva bisogno. Dopo alcuni secondi lo seguì il dottor Livingstone, che voleva approfittare di quel breve momento di riposo per scambiare due chiacchiere con lui. «Tu che ne pensi?» chiese Henry a Stefano mentre beveva avidamente il suo caffè. «Penso che la questione sia davvero molto preoccupante, e non riesco a valutare quale tra le due alternative sia la peggiore. Se abbiamo una talpa dentro a questa struttura, allora probabilmente qualsiasi nostro tentativo di prenderli sarà comunque vano, mentre se sono davvero riusciti a inserire degli spyware nella nostra rete, facendo questo sotto il nostro naso, allora non so proprio cosa possiamo fare.» «Hai proprio ragione, ma non ho nessuna intenzione di lasciarli vincere!» rispose con forza Henry. Stefano sorrise; vedere persone motivate e decise a conseguire i propri obiettivi senza arrendersi era una cosa sempre più rara nella società contemporanea, in cui su tutto prevaleva il compromesso. Lui non si era mai piegato ai compromessi, e riconosceva nel dottor Livingstone lo stesso fuoco che bruciava nel suo spirito.

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Dopo il breve scambio di battute, rincuorato, Stefano si diresse alla sua postazione; sentiva che qualcosa gli era sfuggito, e voleva a tutti i costi cercare di venirne a capo. Vide che lo screensaver sul il monitor segnava le 11.25, ora in cui sarebbe avvenuta la comunicazione ufficiale; tutto il buonumore e la voglia di riscatto che il dottor Livingstone gli aveva messo addosso scivolarono via all’istante. Lavorando con i vari collegamenti riuscì a mandare in proiezione su uno dei grandi schermi le immagini del telegiornale che stava iniziando. La voce della speaker si diffuse in tutta la base attraverso gli altoparlanti, catturando l’attenzione delle persone presenti, che smisero di fare ogni cosa per ascoltare con attenzione quello che stava dicendo. -Signori e signore, ci troviamo di fronte a una crisi terroristica senza precedenti. Stamattina alle 10.25 ora locale i server della Banca Finanziaria di Roma, la più grande risorsa finanziaria d’Italia, sono stati messi sotto attacco da una potente organizzazione anarchica Hacker chiamata Phantom. L’unico scopo accertato dell’attacco al momento sembra essere stato quello di creare caos nel mondo della finanza e dell’economia. Fortunatamente il tempestivo intervento di un gruppo di abili ed esperti programmatori e ricercatori informatici del Ministero ha permesso di limitare i danni. Nelle prossime ore, il Presidente del Consiglio On. Guido La Sarta trasmetterà un comunicato a reti unificate per tranquillizzare tutti gli onesti concittadini sul ripristino della situazione pre-crisi. La situazione è sotto controllo, vi invitiamo a mantenere la calma. Grazie per la cortese attenzione.- Passarono lentissimi alcuni istanti, mentre nella sala di controllo calò un silenzio pesantissimo. Tutti erano coscienti dell’inganno che si stava perpetrando a discapito dei comuni cittadini, totalmente ignari della verità sui fatti, e sentivano angosciante il peso dello scacco appena subito. “Ce l’avevamo quasi fatta” pensò tra sé e sé Stefano con amarezza, poi istintivamente prese il suo telefono cellulare e iniziò a comporre il numero di Giovanni. Aveva assolutamente bisogno del suo prezioso aiuto.

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06 23.09.2010 ORE 11:40 CASA DI GIOVANNI SFORZA, ROMA Dopo aver chiuso la telefonata Giovanni crollò sul divano. Il peso degli eventi si abbatté con tutta la sua violenza su di lui, lasciandolo senza forze. Stefano gli aveva raccontato per filo e per segno quello che era successo da quando si erano sentiti la mattina precedente, e gli aveva anche accennato al rischio di compromissione del sistema informatico della base segreta. Gli aveva chiesto di prepararsi per raggiungerlo alla base, dove aveva bisogno di lui. L’elicottero dei servizi lo avrebbe prelevato a mezzogiorno, quindi aveva solo pochi minuti per raccogliere le idee e le cose che gli sarebbero servite alla base. Dopo aver preso il suo inseparabile portatile e le poche altre cose necessarie raggiunse il punto di raccolta indicato, un grande parcheggio non lontano da casa sua, dove l’elicottero lo stava già aspettando. Il volo fu tranquillo, Giovanni era perso nei suoi ragionamenti, preso a ripassare mentalmente tutte le procedure necessarie per riuscire a trovare quello che avrebbe dovuto cercare, ovvero gli spyware fantasma messi da Phantom da qualche parte nei complicatissimi sistemi informatici della base. Mentre stava atterrando nell’eliporto della base, Giovanni vide avvicinarsi Stefano, accompagnato da una bellissima donna bionda. Appena sceso dall’elicottero Stefano gli corse incontro, visivamente rincuorato dalla presenza dell’amico. «Al telefono non mi avevi detto che alla base c’erano donne così affascinanti, altrimenti ci avrei messo di meno!» disse scherzosamente Giovanni indicando Kate. Stefano sorrise alla battuta e in cuor suo ringraziò l’amico per la sua disponibilità. Il carattere aperto e tendenzialmente positivo di Giovanni sarebbe stato davvero una mano santa in quella situazione disperata. «Smettila di provarci con la dottoressa Katerina Sokolova, o ti metterà in isolamento ancora prima che tu possa esserci utile!» disse divertito Stefano introducendo la donna.

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«Piacere dottor Sforza, spero che il viaggio sia andato bene, mi segua prego.» “Il piacere è tutto mio” rispose mentalmente Giovanni mostrando il suo sorriso migliore alla bellissima consulente, e dopo essersi scambiato una serie di amichevoli pacche sulle spalle con Stefano, tornò a osservarla. Kate si girò su se stessa e si incamminò verso l’ingresso della sala operativa. Giovanni lanciò un’eloquente sguardo a Stefano riferito a Kate, che però gli rispose con un’occhiataccia. «Abbiamo molto altro a cui pensare amico mio, ora la cosa più importante è eliminare gli spyware di Phantom, altrimenti non li prenderemo mai.» I due amici seguirono con passo rapido l’avvenente consulente e superarono i vari punti di controllo prima di dirigersi lungo il corridoio che li avrebbe condotti all’ascensore. «Qui niente è come sembra, e quello che vedrai quando usciremo da lì ti lascerà senza parole, vedrai» disse Stefano indicando le porte dell’ascensore. Quando si aprirono le porte Giovanni venne risucchiato nel vortice di attività frenetica che pervadeva la centrale operativa dell’ASDI. Si guardò intorno, meravigliato dalle futuristiche attrezzature a disposizione dei servizi, senza riuscire a nascondere l’eccitazione per avere finalmente un ruolo attivo e fondamentale in quella delicata crisi. «Che ti avevo detto?» disse Stefano rivolto all’amico poi, mentre si dirigevano alla sala di controllo centrale, iniziò a illustrargli tutto quello che aveva scoperto sulla base Fenice. Stefano introdusse il nuovo arrivato al resto del gruppo, e tutti si complimentarono con Giovanni per la sua ottima reputazione. Dopo pochi minuti di convenevoli Stefano e Giovanni presero possesso della stanza che era stata messa a loro disposizione da parte del vicecomandante. Nella stanza erano presenti due terminali affiancati, con quattro grandi monitor e un proiettore che illuminava la parete opposta ai terminali, mentre una spessa porta di vetro isolava l’interno della stanza dalla confusione generata dall’attività della centrale operativa. La priorità del successo del loro compito era altissima, e rinchiusi in quella stanza isolata Stefano e Giovanni avrebbero potuto lavorare liberamente al sicuro da occhi indiscreti.

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Proprio per l’importanza di quella missione il vicecomandante Deodati aveva chiesto a Stefano di agire in modo autonomo, senza riferire a nessun altro se non a lui, eliminando così il pericolo di una fuga di notizie. «Dimmi quello che ancora non so» chiese Giovanni con interesse. «Sei la nostra unica possibilità. Phantom deve aver inserito all’interno del sistema di controllo della base degli spyware o non so quale diabolica evoluzione di questi. Abbiamo utilizzato tutti i software a nostra disposizione per eliminarli, ma di fatto non abbiamo trovato che delle tracce. È come se si evolvessero in modo da evitare ogni nostro tentativo di neutralizzazione.» «Evolvessero?» chiese Giovanni incuriosito. «Non trovo un altro modo per spiegare quello che sta succedendo, troviamo solo delle tracce del loro passaggio.» «Stefano, solamente un sistema dotato di A.I. potrebbe comportarsi secondo il modello che hai indicato» disse Giovanni guardando l’amico. Stefano rimase in silenzio. «O mio Dio» aggiunse preoccupato Giovanni interpretando il silenzio di Stefano. «È per questo che sei qui. Datti da fare, io ti fornirò il mio aiuto per qualsiasi cosa» rispose finalmente Stefano. «Se le cose stanno davvero così avrò bisogno di un bel po’ del tuo aiuto» aggiunse Giovanni tirando fuori dalla sua borsa il portatile. Iniziò subito ad armeggiare con una complicata serie di cavi in modo da collegare il portatile ai due terminali. Ci volle un po’ di tempo, data la delicatezza dell’operazione, ma non appena ebbe cablato il portatile sui quattro monitor della postazione fissa comparve l’immagine di sfondo del desktop, e tutta una serie di icone di programmi che Stefano neanche sapeva esistessero. «Sono pronto» disse con eccitazione Giovanni, e si sedette subito in postazione per iniziare a fare le sue magie. Con precisione e ordine scandagliò i nuclei centrali del complesso software che gestiva tutti i terminali della base. Era un lavoro lungo e complicato, data la vastità del sistema informatico, e più volte lui e Stefano dovettero darsi il cambio per cercare di recuperare la concentrazione, fondamentale in quel momento. Dopo diverse ore di lavoro arrivò la fine della ricerca. Il programma che aveva creato elaborò le tracce recuperate e riuscì a interpretare il codice che aveva fornito le informazioni ai terroristi.

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«Stefano forse ci siamo, ora mando tutto sul videoproiettore» disse con eccitazione, richiamando l’attenzione dell’amico che nel frattempo si era seduto sul divano per riposarsi un po’. Stefano rapido saltò in piedi dal divano e corse ad accendere il proiettore collegato ai terminali. In pochi secondi un numero impressionante di grafici e righe di codice invase la parete dietro ai monitor. «Ecco, guarda» disse «sono riuscito a decodificare il codice sorgente. Si tratta di un processo di A.I. come sospettavamo. In pratica funziona come il Googlebot di google, solo in maniera molto più elaborata. Chiunque lo abbia programmato deve avere a disposizione enormi competenze informatiche!» Stefano aveva l’immagine ben chiara del funzionamento di un crawler: un software o script che agiva in modo automatizzato scandagliando milioni di milioni di pagine alla ricerca di informazioni, acquisendo una copia testuale delle stesse e inserendole in indici. Applicare un software del genere allo spionaggio in un sistema complesso era il modo perfetto per ottenere tutte le informazioni contenute nel sistema stesso senza che nessuno se ne accorgesse. «Hanno elaborato il codice originale in modo che lo spider potesse auto-programmarsi. Questo bot può quindi scegliere autonomamente quali informazioni prendere, riconoscendo quelle che già ha immagazzinato, e può comunicare praticamente in tempo reale con chi l’ha programmato» continuò la sua spiegazione tecnica. «Questo è un grosso problema, puoi liberartene?» chiese Stefano preoccupato. «Già fatto, o meglio, con il mio portatile ho già inserito nel sistema un super-bot. Un cacciatore di spider per capirci, lo stanerà e lo neutralizzerà, è solo questione di minuti.» Sullo schermo Stefano notò una barra di avanzamento a cui prima non aveva prestato attenzione. Essa indicava la percentuale completata nella scansione del sistema, e stava avanzando molto velocemente. Quando la barra fu completa l’interfaccia del programma mostrò che erano stati individuati e neutralizzati due processi identici, e che non erano state rilevate altre minacce all’interno del sistema. Il super-bot di Giovanni aveva eliminato i due spyware, la battaglia era vinta. Il boato delle loro esaltazioni accompagnò il responso positivo, e si strinsero con vigore, complimentandosi a vicenda per l’ottimo risultato.

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Stefano guardò l’orologio e si accorse che erano passate le venti. C’era voluta praticamente una giornata intera ma alla fine la battaglia era vinta, e con il cuore pieno di gioia lasciarono la loro stanza per andare ad avvisare il resto del gruppo del successo. Quando raggiunsero la sala mensa trovarono gli altri intenti a mangiare una semplice cena. Non appena ebbero comunicato l’esito più che positivo del loro lavoro la gioia si diffuse come una marea tra tutti i presenti, che si lasciarono andare a grida di esultanza, calorose strette di mano e pacche sulle spalle. Giovanni era l’eroe della giornata. Tutti continuarono fino a tardi ad assediarlo con domande sui procedimenti che aveva applicato e su quanto fosse stato difficile, complimentandosi con lui per il suo operato; era come se avesse compiuto un miracolo. Alla fine, dopo qualche giro di buon vino, se ne andarono tutti a dormire con il cuore più leggero. La guerra contro il terrorismo informatico di Phantom non era vinta ma quella battaglia sì, e tutti erano coscienti che quella era forse la più importante perché ora avevano una possibilità di successo. Il giorno successivo si svegliarono presto. L’eccitazione per il successo dei due ricercatori non aveva abbandonato nessuno di loro, e affrontarono il nuovo giorno con determinazione, desiderosi di mettere quei criminali dietro alle sbarre. La giornata però trascorse senza grandi passi avanti. Non riuscirono a trovare tracce significative per portare avanti le indagini, e a fine giornata il morale di Stefano, Giovanni, Henry e Stella era di nuovo a terra. Le notizie dal mondo esterno giunsero a demoralizzare ancora di più il gruppo: l’isterismo e la paura si stavano diffondendo tra la popolazione e il terribile scenario ipotizzato da Stefano e Giovanni sembrava si stesse realizzando. Per giorni continuarono a fare del loro meglio per scoprire l’identità e la base operativa dei pirati informatici, ma tutti i loro sforzi non andarono a buon fine. Era come se Phantom non fosse mai esistita, sparita nel nulla. Dopo due settimane di lavoro ininterrotto presso la base segreta Fenice, Henry, Stella, Stefano e Giovanni tornarono alle rispettive vite, o a quello rimaneva di esse. Tutto infatti era cambiato, e quella faccenda divenne per loro che l’avevano vissuta in prima linea una ferita incancellabile, una macchia indelebile. Si sentivano infatti responsabili di non essere riusciti a fermare Phantom, nonostante avessero fatto del loro meglio.

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INTERMEZZO

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Il ventitré settembre 2010 è rimasto tristemente noto nella storia dell’Italia contemporanea come il giorno più buio della sua storia recente. A seguito dell’annuncio a reti unificate il panico si generò nella popolazione, sconvolgendo l’intera economia italiana e aprendo una situazione di crisi economica spaventosa che si ripercosse per i successivi tre anni. Dal piccolo commerciante alla casalinga, dal multimiliardario al piccolo borghese, tutti quelli che avevano dei soldi in banca, su conti correnti o su conti online si riversarono nelle filiali per estinguere i conti e prelevare più contanti possibili, provocando un deflusso di moneta liquida senza precedenti che causò il tracollo delle banche che avevano una minore disponibilità di soldi contanti. Questo processo improvviso generò una contrazione globale del mercato finanziario che spinse tutti i maggiori broker di borsa a vendere anche i titoli virtualmente immuni da questa crisi: questo a sua volta fece crollare il valore delle azioni, che con effetto domino portarono alla bancarotta moltissime società, grandi e piccole senza differenza. Nello stesso tempo aumentò in modo esponenziale il tasso di criminalità e di omicidi: la sconsiderata tendenza a nascondere tutti i propri averi dentro agli appartamenti, dettata dalla paura che altri attacchi informatici potessero far evaporare nel nulla le piccole fortune accumulate con una vita di sacrificio, provocò la moltiplicazione esponenziale delle rapine negli appartamenti e degli omicidi a scopo di rapina. A completare il quadro di questa situazione già drammatica concorse anche la pesantissima crisi di governo dovuta alla morte in circostanze quanto meno misteriose del Primo Ministro e imprenditore On. Guido la Sarta. Le ultime ore del Primo Ministro furono infatti circondate dall’alone di mistero, con televisioni, giornali e internet che fornirono versioni totalmente contrastanti e incoerenti.

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L’unica cosa certa era che il Primo Ministro si trovò profondamente colpito nel proprio patrimonio personale, dal momento che molte delle società di cui lui aveva partecipazioni o di cui era proprietario erano finanziariamente collegate proprio alla BFR. Subito dopo la sua morte né il suo partito né tanto meno l’opposizione politica furono in grado di sostituirlo con una figura forte in grado di traghettare l’Italia fuori da questa devastante situazione. Dopo una prima fase di commissariamento durata sei mesi circa vennero indette delle nuove elezioni nel febbraio del 2011 che portarono alla fondazione di un governo ultraconservatore chiamato Governo di Unità Nazionale Questo nuovo Governo varò subito delle severissime norme in molti settori della società: norme sull’uso di internet e contro gli abusi informatici, inasprendo le pene e portandole fino all’ergastolo; norme sulla sicurezza, con l’inasprimento delle pene per i reati di omicidio, rapina, stupro e molti altri crimini. Il nuovo Governo decise di mettere al bando l’uso di droghe e alcool per l’effetto deleterio che avevano sui giovani, una risorsa inestimabile per far ripartire il paese, e inaugurò così una nuova stagione di Proibizionismo. Per cercare di rimettere in moto il meccanismo inceppato di un’Italia messa in ginocchio dall’attacco terroristico, il Governo di Unità Nazionale varò anche tutta una serie di provvedimenti protezionistici volti alla rinascita dell’economia italiana, e anche se i primi mesi che seguirono il ventitré settembre furono molto difficili per buona parte della popolazione che rischiò di divenire totalmente povera, già l’autunno successivo si iniziò a parlare di ripresa. Nel febbraio 2012 ci furono le elezioni politiche, e dopo un anno di regime praticamente dittatoriale si tornò ad avere un governo moderato, che però si limitò solamente ad ammorbidire alcune parti delle rigide normative applicate dal Governo precedente. Il processo di ripresa fu lungo e tortuoso ma alla fine nel giugno del 2013 finalmente si tornò a una situazione di equilibrio, con l’industria italiana che si era trasformata e aveva ricominciato a crescere. Il rovescio della medaglia di questa crisi senza precedenti, probabilmente l’unico aspetto positivo, fu la presa di coscienza da parte delle grandi società dell’importanza della sicurezza informatica nei confronti di quelle minacce virtuali che Phantom aveva reso reali.

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Nacquero così sezioni speciali all’interno delle aziende più importanti che si occuparono di ricerca e sviluppo nel campo della difesa dei sistemi informatici, elevando in modo fondamentale il livello di complessità dei questi sistemi e il loro grado di efficienza, per una maggiore garanzia contro attacchi terroristici digitali, diretti a destabilizzare l’ordine pubblico. FINE ANTEPRIMACONTINUA...