spagine della domenica 20

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s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri U n o m a g g i o a l l a s c r i t t u r a i n f i n i t a d i F . S . D ò d a r o e A . V e r r i d e l l a d o m e n i c a 2 0 - 9 m a r z o 2 0 1 4 - a n n o 2 n . 0 Q uando arrivo in Via Birago non piove ancora, la luce è diafana. Riconosco il posto dall'ine- quivocabile striscione accanto al grosso cancello d'entrata: Bina- rio 68 occupato e poi da un tas- sello della memoria che ricon- giunge rapidamente tutte quelle volte che passando, per strati di stagioni, da quella strada , ho no- tato sulla destra estendersi l'oscu- ro e possente stabile dell'ex ta- bacchificio. Dritto lungo la via, si intravede il giallo chiaro meringa di porta Rudiae.Al cancello un ragazzo molto giovane, capelli castani, pelle chiara, felpa imbottita. So- no venuta qui apposta, vorrei en- trare, dare una mano, gli faccio. Scopriamo essere tutti e due dello stesso paese, poco distante da Lecce, ma io lui non l'ho mai vi- sto, nè lui ha visto mai me. Aven- do lui vent'anni è di una genera- zione ancora altra, successiva alla mia che solo ieri era matricola, che solo ieri era universitaria; e che oggi lavora fuori oppure non lavora fuori oppure è diventata pazza o poeta. Dicono che in città sia successa questa nuova cosa, che l'ex tabac- chificio attanagliato da rovi, ani- mali, polvere, calcinacci, dalla metà degli anni '90, sia stato oc- cupato. La stampa locale ha dato un primo resoconto, da circa una settimana un gruppo autonomo di studenti, precari e disoccupati ha preso ad abitare e ripulire, sman- tellare, riparare, progettare azioni di riqualificazione dal basso, fare colletta per organizzare i lavori, mettere insieme manualità e co- noscenze personali, con lo scopo di vivere in modo nuovo e senza fini di lucro la città e il quartiere. Il grande cortile esterno è pie- no di erbacce, cumuli di legname, sacchi neri e scatoloni, sono le tracce di un lavoro pesante con- sumato già da qualche giorno, e anche suoni e segni di vita comu- ne, la cenere di un falò che hanno acceso ieri i ragazzi, nel centro del cortile, per passare la serata e riscaldarsi. Alcuni di loro stanno passando le notti nelle stanze fredde dei piani di sopra, altre ra- gazze spazzano e disinfettano gli ambienti per renderli abitabili e alcuni di loro vanno in giro per lasciare nel quartiere volantini. E' successo che gli abitanti in- torno sembrano essere contenti, il barista prepara loro la colazione e alcuni signore del vicinato con- segnano al cancello un po' di provviste. Binario 68 L’ex manifattura torna a vivere di Gioia Perrone continua nell’ultima pagina

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Le Spagine della domenica con un numero pieno di storie... In prima l'occupazione dell'ex manifattura dei tabacchi di via Dalmazio Birago... Buona lettura

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Page 1: Spagine della domenica 20

sp aginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un om

aggioalla scrittura infinitadi F.S. D

òdaro e A.Verri

della domenica 20 - 9 m

arzo 2014 - anno2 n. 0

Quando arrivo inVia Birago nonpiove ancora, laluce è diafana.Riconosco ilposto dall'ine-

quivocabile striscione accanto algrosso cancello d'entrata: Bina-rio 68 occupato e poi da un tas-sello della memoria che ricon-giunge rapidamente tutte quellevolte che passando, per strati distagioni, da quella strada , ho no-tato sulla destra estendersi l'oscu-ro e possente stabile dell'ex ta-bacchificio.

Dritto lungo la via, si intravedeil giallo chiaro meringa di portaRudiae.Al cancello un ragazzo

molto giovane, capelli castani,pelle chiara, felpa imbottita. So-no venuta qui apposta, vorrei en-trare, dare una mano, gli faccio.Scopriamo essere tutti e due dellostesso paese, poco distante daLecce, ma io lui non l'ho mai vi-sto, nè lui ha visto mai me. Aven-do lui vent'anni è di una genera-zione ancora altra, successiva allamia che solo ieri era matricola,che solo ieri era universitaria; eche oggi lavora fuori oppure nonlavora fuori oppure è diventatapazza o poeta.

Dicono che in città sia successaquesta nuova cosa, che l'ex tabac-chificio attanagliato da rovi, ani-mali, polvere, calcinacci, dalla

metà degli anni '90, sia stato oc-cupato. La stampa locale ha datoun primo resoconto, da circa unasettimana un gruppo autonomo distudenti, precari e disoccupati hapreso ad abitare e ripulire, sman-tellare, riparare, progettare azionidi riqualificazione dal basso, farecolletta per organizzare i lavori,mettere insieme manualità e co-noscenze personali, con lo scopodi vivere in modo nuovo e senzafini di lucro la città e il quartiere.

Il grande cortile esterno è pie-no di erbacce, cumuli di legname,sacchi neri e scatoloni, sono letracce di un lavoro pesante con-sumato già da qualche giorno, eanche suoni e segni di vita comu-

ne, la cenere di un falò che hannoacceso ieri i ragazzi, nel centrodel cortile, per passare la serata eriscaldarsi. Alcuni di loro stannopassando le notti nelle stanzefredde dei piani di sopra, altre ra-gazze spazzano e disinfettano gliambienti per renderli abitabili ealcuni di loro vanno in giro perlasciare nel quartiere volantini.

E' successo che gli abitanti in-torno sembrano essere contenti, ilbarista prepara loro la colazionee alcuni signore del vicinato con-segnano al cancello un po' diprovviste.

Binario 68L’ex manifattura torna a vivere

di Gioia Perronecontinua nell’ultima pagina

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Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Diario politico

di Gigi Montonato

L’insostenibile vaghezza

“La grande bellezza”,il film di Paolo Sor-rentino premiatocon l’Oscar qualemiglior film stranie-ro, è uno di quei rac-

conti che si possono leggere inmolti modi per ricavare altret-tante impressioni o certezze.

Lo stesso titolo può essere ri-ferito o alle immagini di Roma,alcune veramente bellissime einedite, o inteso nel significatoantifrastico del termine.

Alle suggestive “cartoline”romane fa riscontro nel filmuna carrellata di caricature, ditrovate barocche, vuote di con-tenuto ma sorprendenti e mera-vigliose nell’aspetto esteriore,in una parola di “bruttezze”.Come dire a qualcuno: è la vita,bellezza!, dopo che gli hai rifi-lato una fregatura. Sorrentinoha voluto stupire, sorprendere,meravigliare.

“E’ del poeta il fin la meravi-glia / chi non sa far stupir, vadaalla striglia” diceva il suo con-terraneo Giambattista Marinonel Seicento. Un secolo e unacultura terribilmente oggi di ri-torno, attuali, come provano itanti fenomeni privati e pubbli-ci, individuali e collettivi diquesta Italia di inizio millennio.

In Europa questo genere dimessaggio non incanta più nes-suno. Al Festival di Cannes ilfilm di Sorrentino è stato quasisnobbato. Ma l’America èl’America! E gli ha assegnatol’Oscar.

La stampa e la televisioneitaliane hanno esultato, quasil’Italia avesse rovesciato lospread rispetto alla Germania efossimo noi a dettar legge eco-nomica; come se la Nazionaledi Calcio avesse battuto il Bra-sile in finale e pareggiato ilconto dei titoli mondiali.

Le istituzioni si sperticanoancora in attestati di ricono-scenza al regista napoletano,nuovo salvatore della patria:“quindi trarrem gli auspici…”.

Di preoccuparci, invece, nonci passa per la mente. Ed è pro-prio questo il punto.

Rappresenta la “bellezza” diSorrentino la situazione italianadi oggi?

L’Italia della debolezza poli-tica, della crisi sociale, dei sui-cidi per fallimenti e disoccupa-zione, della privazione dei gio-vani di un avvenire esistenzia-le, della perdita dei valori mo-rali e civili, del degrado in cuiversa la vera grande bellezzaitaliana dei beni culturali?

Rappresenta l’Italia che nonriesce a farsi rispettare dall’In-dia e lascia marcire colà duemilitari italiani colpevoli diaver fatto il loro dovere?

No, assolutamente. Allora il film di Sorrentino è

solo una maschera grottesca insé e nell’uso, soprattutto nel-

l’uso che si vuole fare e che sista facendo.

Una maschera assolutamenteinopportuna, degradante, offen-siva. Può essere che quell’Italiarappresentata esista davvero;ma se pure fosse, sarebbeun’Italia da tenere nascosta, co-me si nascondono i quadri e glispecchi nelle case segnate dallutto.

L’America, premiando ilfilm, ha voluto premiare gli ita-liani, il nostro modo di reagirealla gravissima crisi che ci tor-menta ormai da anni e ci tor-menterà per altri decenni.

Ha voluto premiarci per ilnostro modo di essere e di vive-re, tra il superficiale e il legge-ro, lo svagato e “alla me ne fot-

to”.Mentre l’Italia delle bellezze

passate cade a pezzi, noi, inve-ce di preoccuparci di arginare ilfenomeno, facciamo film permostrare al mondo quanto sia-mo decaduti e decadenti.

Ancora una volta ha trionfatoil becerume incartato di bello edi luci, per farlo piacere. Siamonella scia dei grandi registi ita-liani, alla Monicelli più che allaFellini o alla De Sica, che pro-pone il nostro modo di riderciaddosso e con ciò di far rideregli altri anche nelle tragedie enell’epica delle guerre. Come avoler ribadire che noi italiani,in qualunque situazione ci tro-viamo, siamo sempre quelli di“Amici miei”. Quelli che Chur-chill disse che affrontano unapartita di calcio come una guer-ra e una guerra come una partitadi calcio.

Tra tutti i nostri film premiaticon l’Oscar questo è di sicuroil più mortificante, anche per-ché oggi non c’è neppure l’en-tusiasmo di altri tempi. Penso aldopoguerra di De Sica o al mi-racolo economico degli anniSessanta di Fellini, quandocrearono capolavori di alta rap-presentatività italiana. Tempi disofferenza e di speranza, di rea-lizzazioni da raggiungere (DeSica) o raggiunte (Fellini).

Il film di Sorrentino ci con-danna ad essere visti come gen-te che affronta tutto con igna-via, che si compiace dei proprifallimenti, che gode del suo es-sere nulla, che inneggia al piùinfame dei nichilismi: a quelloche fa del nulla piacere e vanto.

L’Oscar assegnato ad un filmsimile contiene un messaggioinaccettabile: noi americani vo-gliamo salvare gli italiani cosìcome sono, ci servono per sva-riare il tempo, per dimenticarele cose serie, per stordirci. Ita-liani, conservatevi: siete belli,stupendi. Voi, non i vostri beni,che vanno in malora, siete il ve-ro patrimonio dell’umanità.

Avremmo voluto dire: no,grazie!

Mentre le nostre bellezze passate cadono a pezzi, noi, invece di preoccuparci di arginare il fenomeno,

facciamo film per mostrare al mondo quanto siamo decaduti e decadenti...

Toni Servillo in una scena de La grande bellezza

d’essere italiani

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spagineQuando il giorno sembra percuotere insensibilmente

il suo tamburo, la nostra storia più autentica ci viene in soccorso, ci ricuce le ferite, ci dà fiato, respiro

Melanconiadi Marcello Buttazzo

Quando la melan-conia ti scendedentro, quandola pioggia preci-pita e batte sull’asfalto, quando il

cielo si fa scuro, è tempo di far vi-brare la fantasia. È l’ora di accende-re giardini di sole.

Quando la tristezza ti prende conla sua nera morsa ferrea, quando ilquotidiano ti asfissia con le sue“ineludibili” impellenze, con le so-verchianti urgenze da assolvere, èforse giunto il momento di aprire leali, di dare linfa e voce alla memo-ria. Di vivere il passato e il presen-te. Qui e ora.

Con piglio puro, semplice, misu-rare gli istanti dell’anima, nutrirladi cibo sostanzioso. Ambrosia deglidei. Rifiutare le convenzioni artifi-ciose, gli stereotipi avvelenati, leugge economiche che assalgono, erifugiarsi in un mondo di fiaba. Iltuo mondo. E quello dei tuoi amici.Un universo ampio di relazionigentili, cortesi, di scambi affettuosie umani, dove la civile convivenzaè davvero un libro arioso da sfo-gliare lentamente e da gustare afondo.

Quando si è soli fra le quattromura e non si riesce a bere a pienemani acqua sorgiva, quando cis’addolora per i colpi inferti da unambiente esterno troppo superficia-le, quando lacrime amare rigano ilvolto, c’è sempre un giacimento dipietruzze preziose da rastrellarecon l’abnegazione d’un pazienterabdomante. C’è una fitta trama divissuti nel sommerso e nel manife-sto, in ognuno di noi, dove il cors’allegra. C’è un nocciolo duro discorza consistente, che non si piegaallo spirare vorticoso del vento.

Quando sono affranto, penso avoi, miei cari amici. A te, Vito An-tonio, poeta e scrittore fine e sen-suale, alla tua fraternità. Con te hovisto fiorire il mandorlo, la gaggiaaulentissima, e l’albero di Giudache arabescava di viola il cielo. Ate, Caterina, che mi hai donato labellezza del dialogo costruttivo, mihai parlato del tuo piccolo Federi-co. A te, Barbara, voce potente, su-blime, che apri il giorno di sogni. Ate, Mirella, che agghindi la tua gio-vinezza spumeggiate come un’au-rora vitale. A te, Serena, che mi hairegalato la tua dolcezza, la soavità.A te, Daniela, che mi accogli sem-pre con i miei limiti, con le miemanchevolezze. A te, Tonio, artistafrancescano, stremato d’amore. Ate, Mauro, squisito punto di riferi-mento.

Quando il giorno è corrucciato esembra percuotere insensibilmenteil tamburo, la nostra storia più au-tentica ci viene in soccorso, ci ricu-

ce le ferite, ci dà fiato, respiro. Giorni fa, Serena mi ha comuni-

cato che la sua bionda cavalla Stel-lina ha partorito il piccolo puledroFaro. Un nome radioso. “Vuole es-sere una guida per tutti noi, nei mo-menti bui”. Faro di raggi scintilla,anatroccolo di luce, carro del sole.Di paglia, adorna le trecce di madreStellina, figlia di Cerere. Per i pratitrasognati scandisce il tempo inclessidre d’amore. Sulle albe dora-te conduce fremente gli ultimi sfa-villii della luna.

Quando mestizia ti penetra pianopiano nelle ossa, quando il senso distanchezza non ti vuole abbando-nare, è il caso di lumeggiare il sole.

Pensare magari alla nostra infanziaincantata, a nostra madre, al nostropaese. Dove dissipammo i nostrianni bambini. Dove scoprimmol’amore e il significato inerente del-la bellezza. Dove corremmo la vitaa perdifiato senza mai rinunciarealla speranza, all’attesa.

Lequile, paese mio, terra di ulivi.Fra notti stellate si consumava e siaccresceva il nostro amore, fiacco-la di luce.

Nazim Hikmet scrive che “duecose non si dimenticano fino allamorte, il viso di nostra madre e ilviso della nostra città”. Quando ilmalumore compare, non c’è nientedi meglio che destarsi all’alba.

Uscire, ai primi lucori, per le stradedeserte. Percorrerle.

Prestare orecchio, occhio, e tutti isensi alla meraviglia della Naturache si sveglia, alla primavera che siannuncia.

Osservare minuziosamente ilpaesaggio. Recarsi al bar per pren-dere il caffè. Eppoi rientrare subitoa casa, prima che si popoli la piaz-za. In questi giorni, nel mio paese,siamo in anticipo di campagna elet-torale per le prossime Comunali.

Per non deprimersi ulteriormen-te, è necessario non stringere trop-pe mani. Numerosi contendenti po-litici s’affollano per la via.

pagine n° 2 e 3

Ad illustrare una fotografia di Robert e Shana Parke Harrison

Contemporanea

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Nini Giacomellipagina n° 4

Laboratori

Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20 spagineIl 15 marzo, Storie in scena al Fondo Verri sarà dedicato a Lattafoglia

di parole e di musicadi Milena Galeoto

Lattafoglia

Il prossimo sabato 15 mar-zo, Storie in scena, alFondo Verri di Lecce, sa-rà dedicato all’autrice eparoliera italiana NiniGiacomelli, e al suo perso-

naggio Lattafoglia, sbarcato an-che in America, al Festival of Artsdell’Università di Stato della Cali-fornia, con uno spettacolo teatraleper ragazzi costruito attorno al te-ma dell'ecologia e del riciclaggiodei rifiuti.

E’ la storia di un viaggio nelmondo incontaminato di Valfiori-ta, dove i prati sono verdi, l'acqua èfresca e cristallina, le strade sonopulite e gli abitanti possono respi-rare a pieni polmoni l'aria tersa.Poi, l'arrivo in città dell'arrogantemister Marduk trasforma Valfioritain Zozzonia. Solo con l'aiuto diLattafoglia, una creatura con la te-sta di latta e le braccia di rami, tuttiinizieranno a impegnarsi per unmondo più pulito e diventerannopersone impegnate a difendere ilpianeta.

L’autrice è Nini Giacomelli, co-nosciuta per i testi di canzoni comeL’amico è, Grazie perché, scrittiinsieme a Sergio Bardotti, e di nu-merosi brani scritti per personaggifamosi come Ornella Vanoni,Gianni Morandi, Massimo Ranie-ri, Sergio Cammariere, SimoneCristicchi, Céline Dion, Tosca,Charles Aznavour, Chico Buarquede Hollanda, Vinicius de Moraes emolti altri ancora.

grammazione stessa è da medioe-vo. Ci sono, è vero, alcuni docentipreparatissimi che sopperiscono alnulla in maniera sublime, ma ci so-no anche molti docenti impreparatial ruolo e pressappochisti. Per con-tro ci sono bambini con un grado dimaleducazione ingestibile, genito-ri, “diversamente genitori”, prontiad azzannare l’insegnante perché ilpiccolo genio ha sempre ragione.Ci deve pur essere un motivo seoggi persino alcuni ristoranti e al-berghi in Italia (non solo all’este-ro) non accettano bambini italiani.

Riassumendo, direi che siamocarenti di strutture, di buona edu-cazione, del senso di rispetto, didignità e di buon senso”.

L’ironia è, nella maggior partedei tuo lavori, l’elemento chemaggiormente emerge. Quanto èimportante l’ironia nella lettera-tura per ragazzi?

“Credo che sia fondamentaleeducare i bambini all’ironia, so-prattutto all’autoironia. In unmondo virtuale di tuttologi, saperridere di se stessi è un buon primopasso verso la comprensione, lacompassione e la tolleranza”.

Il tuo personaggio Lattafogliasarà protagonista del prossimolaboratorio per bambini che rea-lizzeremo al Fondo Verri di Lec-ce, possiamo svelare qualcosa aipiccoli partecipanti e scoprirecom’è nata questa storia?

“È nata essenzialmente dall’esi-genza di educare i bambini allaraccolta differenziata, spiegandoloro l’importanza di proteggerel’ambiente che è la casa di tutti noi.Il mio gruppo, il CCTC, si occupada 25 anni di teatro per ragazzi e lofa sempre mischiando musica eparole; in questo modo si è svilup-pato un piccolo musical a tema,con scenografie e costumi realiz-zati in materiale riciclato. Questaesperienza ha dato vita ai laborato-ri della fantasia. L’arte di creareoggetti utilizzando materiale di re-cupero. A fine laboratorio, al gridodi “voglio viver garantito in unmondo più pulito” tutti i piccoliRiciclini diventano Cavalieri dellaNatura con qualche macchia e unpo’ di paura”.

Ti ringrazio per la disponibili-tà, certa che ti farà piacere unasorpresa che confezioneremofapposta per te.

Wow sorpresa? Aspetto curiosae impaziente. Buon lavoro a te e aiRiciclini di Lecce.

www.ninigiacomelli.it

naggi. Ho iniziato a scrivere rac-conti e poesie già nei primi annidella scuola elementare e le propi-navo per lo più ad Anna, l’ami-chetta del cuore, passavamo interipomeriggi sedute sulle scale di le-gno della mia vecchia casa , io leg-gevo e lei ascoltava. Mi ha sempreaffascinato giocare con le parole,trasformarle, dare loro dei suoni,vestirle di emozioni. Le canzonisono arrivate dopo, per caso o perconseguenza”.

Ti seguo con piacere da diver-so tempo, e mi ha da subito affa-scinato questo tuo legame con lamusica di grandi cantautori bra-siliani come Chico Buarque, Vi-nicius de Moraes e Toquino, per iquali hai tradotto e adattato deibrani. Com’è nato questo incon-tro?

“Il mio Maestro di penna, perquanto riguarda la mia attività diparoliere, è stato Sergio Bardotti,grande autore e affabulatore, unuomo colto, raffinato, curioso. Èlui che, nei primi anni 70, ha porta-to in Italia i maggiori cantautoribrasiliani permettendoci di cono-scerli e apprezzarli. Lavorandocon lui era ovvio innamorarsi an-cora di più di quella musica. Sonostata alcune volte in Brasile e hoavuto modo di conoscere ChicoBuarque, Toquinho, Tom Jobim edho fatto da subito mio quel che di-ceva Vinicius de Moraes: “la vita èl’arte dell’incontro”. La culturabrasiliana e la poesia di questigrandi cantautori, ti cambiano lavita, perché ti arrivano dentro dol-cemente e prima che tu te ne ac-corga si impossessano di te e ti co-lorano a tinte forti l’anima. Daquesti incontri, nel 1983, hannopreso vita le mie prime traduzio-ni”.

Dalle numerose raccolte di fi-lastrocche, storie e sceneggiatureper bambini e ragazzi, è evidentela tua spiccata sensibilità per illoro mondo. Nel tuo libro Lascuola suonata mostri, in chiaveironica, le pecche d’insegnanti egenitori in un sistema educativoche sembra non funzionare. Co-sa non funziona nella scuola dioggi?

Troppo facile rispondere tutto,ma farei un torto alle tante personedi buona volontà che vi operano.Di sicuro non va il rapporto politi-ca-scuola. Le scuole sono spessofatiscenti, mancano dalla cartaigienica al gesso e i supporti multi-mediali sono un sogno. La pro-

L’ecclettica e vulcanica autricedi Breno, ha dato vita anche a testiteatrali per adulti e ragazzi messiin scena da compagnie italiane estraniere, e a libri di favole e a pro-grammi radiofonici e televisivi.Nel 1988 ha fondato il Centro Cul-turale Teatro Camuno (C.C.T.C.),con un’intensa attività di laboratorie spettacoli per bambini e ragazzi,per adulti e anziani. Alcuni di essiesportati anche negli Stati Uniti.Tiene seminari e laboratori sullascrittura teatrale e creativa, e si oc-cupa inoltre di "percorsi nella me-moria" tra i racconti, i canti, le fila-strocche del territorio camuno, do-ve vive.

Per l’occasione, le rivolgo qual-che domanda per conoscerla da vi-cino.

Cara Nini Giacomelli, è statoun compito arduo sintetizzare letue numerose attività, così la pri-ma domanda che ti rivolgo è:quale tra tutte le tue passioni,musica, teatro, letteratura, co-municazione si è manifestata perprima nella tua vita o se esse so-no manifestazioni di una fortepersonalità creativa e multifor-me?

“Ho sempre avuto una fervidafantasia. Da piccola mi rifugiavonel retrobottega della merceria dimia zia Mina e mi nascondevo inuno scatolone; rimanevo lì per orea raccontarmi storie e avventureincredibili popolate di mille perso-

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Salvaguardare i be-ni culturali puòdiventare una ri-sorsa per la nostraterra. Con l'arte ela cultura si può

mangiare (almeno un panino eun bicchiere di vino). Già! Sonogli slogan del momento; ma cison sempre stati e sempre ci sa-ranno. La parola d'ordine è Re-stauro. Certo, delle macerie, diquel che resta, insomma. ComePompei o il Colosseo, l'equiva-lente di un dente cariato. Per co-sa poi... per richiamare folle dituristi a rilasciare qualche dolla-ro in più sulle tavole sempre piùvuote dell'Italia dei valori. A benguardare, purtroppo a questoserve mantenere in piedi l'anti-chità decrepita, e non certo alnobile fine che spingeva l'uomoa guardarsi dentro, per ritrovarse stesso, le sue origini, il suopassato, il senso della vita... dicui parlava Nietzsche. Cioè, ladomanda e la necessità di spro-fondare sempre più indietro, si-no ai confini estremi dell'imme-morabile. "C'è sempre qualcosadi più antico che occorre ritrova-re per far spazio al nuovo" - diràCarlo Sini. "Bisogna ritrovarel'antico, recuperare l'origine,perchè l'estraneità del presentesi illumini e renda praticabile ilfuturo." Invece, lo scopo del-l'uomo contemporaneo è mo-strar gli arcani lustri ai viaggian-ti, previo compenso, per soprav-vivere, per non morir di fame,come se a tanta indecenza nonprovvedesse già la vita tout-court.

Se la nostra economia fosseflorida non saremmo costretti achiedere l'elemosina aipassanti, e men che meno ai turi-sti, navigati e mai stanchi, cheabusano del loro tempo inspie-gabilmente troppo libero. "Lacultura per le masse è una idio-zia, la fila coi panini ai musei midà malinconia" (Gaber).

Una emozione simile la ebbiquando Paolo Fabbri (docenteanch'egli di semiologia, a Bolo-gna prima e alla Sorbona poi) di-mostrò che "l'abito fa il mona-co", capovolgendo la classicafrase siffatta che ha sempre af-fermato il contrario. Scrosciaro-no applausi, mi ricordo... Chetempi! Come Oscar Wilde in unsuo aforisma: "Solo le personesuperficiali non giudicano dalleapparenze." Ed altri ancora...

Insomma, che cosa accadreb-be se lasciassimo il Colosseo alsuo destino, Pompei alla sua fra-na, gli anfiteatri all'incuria e alloro declino... Mah! Certo, sonocose magnifiche i Teatri Roma-ni, le tombe etrusche, i templi, lecittà sepolte e ritrovate, coi lorotesori, illuminati adesso per farbella mostra di sè e usando igiardini per fare concerti e spet-tacoli, con tutti i loro arsenali.Ma vadano tutte in rovina e nonsolo loro, ma tutti i restauri delmondo, se per il loro manteni-mento è necessario che l'uomosia nella condizione esposta so-pra, cioè di bisogno, e subiscasuo malgrado tale inganno.Quindi, il passato da conserva-re ed osservare non serve più amirabili scopi ma, semmai a fre-nare la nostra fame, soprattuttoin tempo di crisi... Anche se lavera crisi, a me, appare altra. Al-tro da questo misero e sfrontatotornaconto, nel riconoscimentodei beni culturali!

Bene. E' quasi impossibilecombattere contro questo mon-do... di monete sonanti; indi nonfaccio appelli. Ma una cosa ècerta, fosse per me libererei iltempo a operare il suo decorsodi logorio, credendo che ogni re-sistenza a fermarlo con il ma-quillage non fa che aumentare ildanno e gli uomini continuanotranquillamente a produrre e au-mentare il danno credendo dineutralizzarlo. Sic!

Liberare di Antonio Zoretti

Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Beni culturali

Basta! Lancio una provoca-zione: ma, è solo "pro-vocazio-ne", e questo significa chiamarl'altro a far sentire la propria vo-ce, se ne è capace. Si tratta, cer-to, di una crudeltà, ma di Ecoia-na memoria. Non si tratta peròdi cattiveria. Poichè può essereletta come un momento di hu-mour.

"Che cosa ne sarebbe di noi odelle nostra cultura e del nostromodo di pensare se non restau-rassimo niente e lasciassimo che

il tempo cancellasse tutte le ope-re e i segni del passato, così cheman mano non resterebbe più te-stimonianza del passaggio di ciòche è stato (...)" - disse il nostroprofessore di semiotica Umber-to Eco, introducendo una me-morabile lezione nei primi anniOttanta. Ebbene, come provoca-zione non c'è male; essa provo-cò un silenzio pari a quello otte-nuto nell'ouverture di un concer-to. Riflessioni e meditazioni neseguirono. Fu esaltante.

"Che cosa ne sarebbe di noi o delle nostra culturae del nostro modo di pensare se non restaurassimo niente e lasciassimo

che il tempo cancellasse tutte le opere e i segnidel passato, così che man mano non resterebbe più testimonianza

del passaggio di ciò che è stato (...)"

pagina n° 5

Un’immagine da Pompei

il Tempo

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Due salentine è un pò di Francia

Teatro

Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Stefania De Dominicis e EmiliaTau raccontano il loro viaggio teatrale nelle Ardenne

Profumo di caffè“Mentre tutto intorno

è pioggia, pioggia, pioggia e Fran-cia”

Paolo Conte

Francia non è solopioggia, ovviamente,e Champagne Arden-ne è un distretto fa-moso per la sua bel-lezza, per il vino con

le bollicine, soprattutto è regionecon paesini piccoli, di pochissimiabitanti. Che diavolo ci fanno inquella regione francese al confinecon il Belgio Stefania De Domi-nicis di Cavallino e Emilia Tauri-sano di Lecce?

Trasformano in spettacolo iracconti che hanno imparato da-gli abitanti di quella regione, unadelle più povere di Francia, men-tre bevevano assieme a loro uncaffè.

Il loro spettacolo è narrazione,recitazione, scrittura, fotografia,giocoleria, manipolazione. Stu-diano, ascoltano, parlano, trasfor-mano e poi torneranno in queipaesi e saranno loro a rielaborarele storie nelle case, nelle sale dapranzo, davanti a un pubblico mi-nimo. Un caffè che diventa ungioco del dare/avere, un filo cheunisce ospiti e ospitati in unoscambio di ruoli. Loro, le attrici,dovrebbero essere ospitate, inve-ce invitano gli abitanti in un mo-mento di convivialità che permet-te un contatto non mediato da pal-coscenici, platee, galleria, sipari.

Ho incontrato Emilia e Stefa-nia al Fondo Verri, mentre stava-no lavorando e rielaborando le lo-ro storie. Abbiamo parlato senzabere neppure un caffè.

Come è nato il progetto?“Abbiamo risposto ad un ban-

do della regione Champagne Ar-denne che chiedeva di mettere inatto azioni culturali con lo scopodi coinvolgere a partecipare gliabitanti. Angeline, amica e colle-ga è originaria proprio di quellaregione che è una delle più pove-re di Francia, lo Champagne è ar-cinoto come eccellenza, menoforse come regione, la parte Ar-denne è invece poverissima, cisono paesini di 80 abitanti”.

sembrato un ottimo punto di con-tatto. Abbiamo proposto loro unbaratto. Noi offrivamo un caffè eloro, in cambio, ci regalavanostorie. Noi portavamo la nostravoglia di sapere ed un caffè, loroci restituivano le loro conoscen-ze. Per farlo abbiamo imbanditomeravigliose tavole nelle piazzee in luoghi dominati dalla natura,lì invitavamo le persone a sedersicon noi e a raccontare storie,aneddoti, fiabe. Alcuni Sindaci cihanno aiutati, sia pure parzial-mente, dopo questa prima fase diraccolta abbiamo iniziato a elabo-rare.”

Parliamo della rielaborazio-ne di questo lavoro, cosa propo-nete?

“Stefania sta riscrivendo i testipartendo dai racconti e intrec-ciandoli con le esperienze che ab-biamo fatto durante questi incon-tri, in sostanza, tutto ciò che noi

abbiamo imparato. Per il restofacciamo manipolazione di og-getti, antipodismo (giocoleria coni piedi), lavoro teatrale, il canto,marionette, teatro d’ombre. Uninsieme di specializzazioni cheognuno di noi possiede. Inoltrestiamo facendo un lavoro sui suo-ni, il caffè ne ha molti, quando losi prepara, quando sale, quando losi versa, ogni momento ha un suosuono, una musica. Anche questoelemento sonoro sarà presente.Soprattutto tenendo conto chenon facciamo un solo tipo di caf-fè, ma diversi: italiano, turco,francese ecc.”

L’accoglienza è stata buona?“Non abbiamo mai avuto folle

oceaniche, però ogni giorno ab-biamo fatto conoscenze incredi-bili. In un paesino dove ci dissero“qui non succede nulla” noi ab-biamo egualmente imbandito ilnostro tavolo proprio lì abbiamo

Come mai vi siete trovate inFrancia?

“Io ci vivo, Stefania mi ha rag-giunto per questo progetto” diceEmilia.

Ditemi del bando“Avevamo pensato a qualcosa

di simile per la periferia di Parigi.Abbiamo lavorato con Bertrand,in una periferia della capitale.Balzava a gli occhi nelle piazze,nelle strade il disagio, bambiniche utilizzano internet per vederefilm violentissimi, furti, degrado.Abbiamo sentito il bisogno di la-vorare con queste persone e perloro. Abbiamo iniziato a sfogliarei bandi per cercarne uno che ciconsentisse un lavoro sul territo-rio. Poi l’incontro con la regioneChampagne Ardenne”.

Quindi voi avevate già unacompagnia...

“Si, nuovo circo e fotografia.Lavoriamo per il teatro, il caba-ret, i gala. Sono lavori che si pre-stano anche ad essere rappresen-tati in strada. A differenze del-l’Italia dove il nuovo circo è pre-valentemente teatro di strada, inFrancia non è così. Là tutti i teatristabili hanno programmazioni diteatro, danza, musica e nuovo cir-co. Rientra a pieno titolo nellerappresentazioni ufficiali, è rico-nosciuto”.

Quindi siete arrivate nellazona rurale...

“Angeline, come dicevo, è ori-ginaria dell’Ardenne. Grazie alei, che ha suggerito di andare alavorare là, ci siamo mossi perscelta precisa proprio nelle zonepiù disagiate, quelle rurali, la-sciando perdere le città ed i gran-di agglomerati. Subito ci siamoposti il problema di come presen-tarci senza imporre la nostra cul-tura, volevamo cercare sul territo-rio l’identità di quelle persone,che è forte. Da qui la creazionedi un punto di contatto fisico, rea-le fra noi e loro. In Francia esisteuna cultura del caffè molto forte,prima dell’avvento della televi-sione era costume abituale invita-re i vicini a prendere un caffè cheè molto lungo e si beve tranquil-lamente seduti, facendo trascor-rere il tempo, in grandi tazze. Ci è

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pagine n° 6 e 7

spagineStefania De Dominicis e EmiliaTau raccontano il loro viaggio teatrale nelle Ardenne

Profumo di caffèdi Gianni Ferraris

conosciuto persone bellissime.Un uomo pieno di storie si è fattoKm. a piedi per venire da noi araccontarsi. Un inglese è arrivatocon il suo asinello. Prima era uncommerciante di diamanti, ad uncerto punto ha avuto problemi disalute ed ha dato una svolta allasua vita, si è messo a girare ilmondo con un asinello. Sono sto-rie nelle storie. Poi un’olandeseche camminava dall'Olanda alsud della Francia, una blogger.Lei cammina e si cuce sulla giac-ca una targhetta con il nome dichi ha condiviso con lei un pezzodi cammino, così si porta appres-so tutti gli amici”.

Possiamo parlare di un suddel mondo come zona disagia-ta? Ed è possibile un parallelocon il Salento?

“Da questo punto di vista direidi si, è un sud. Per il parallelo conil Salento in realtà la differenza èmarcatissima. Però la nostra ri-cerca è sullessere umano. La si-gnora di 90 anni che non ci aprì laporta per timore, e ci spiava dallafinestra socchiusa potrebbe esse-re mia nonna salentina. Il signorecon l’asinello perchè non potreb-be essere il barone salentino? Si-militudini le troviamo invece inabitanti di quei luoghi arrivati dafuori per viverci. Come in Salen-to, anche là si respira la possibili-tà di avere una vita meno oppres-siva, più vicina alla natura. Unavita meno ossessionata ed oppri-mente”.

Il progetto è riproponibilequi in Salento secondo voi?”

“Quando organizzammo alFondo Verri una prima rappresen-tazione venne accolta benissimo,il caffè riguarda anche noi. Certo,è proponibile, ovviamente non la-voreremmo sulle stessecorde. Quando lo porteremo inArdenne ci faremo invitare nellesale da pranzo, non nelle piazze onei teatri, pochi spettatori invitatidagli stessi padroni di casa. Quilo faremmo magari nelle corti, ciabbiamo pensato. Le corti sonomicro comunità. Sicuramente in-contreremmo tantissimo materia-le su cui lavorare. Con questospettacolo contiamo di andare in

giro per l’Europa. Magari per ilSalento non partiremmo dal caf-fè.”

Negramaro?“Pensiamoci! Ci incuriosireb-

be la possibilità di fare spettacoliin case o corti salentine. In Fran-cia è un esperimento diffuso, quisarebbe nuovo. Su questo proget-to uscirà anche un libro fotografi-co e scritto, sarà in doppia linguaitaliana e francese”

Disponibile quando?“Stiamo cercando una casa edi-

trice, pensiamo francese, però cifosse un editore italiano ci porte-remmo pensare”.

Certo che se trovaste unbando qui o una finanziamentosarebbe ottimo...

“Ovviamente. Il nostro non èun pubblico pagante. Senza fi-nanziamenti non potremmo ini-ziare”.

Forse è un invito, chissà, forsequalche fondazione o qualcheprivato o, meglio, qualche entepubblico potrebbe provare a pen-sarci.

***Riprendiamo dalla locandina

in preparazione dell’incotrodell’ottobre 2013 al Fondo Verri:

Compagnia TAUUn progetto finanziato dalla re-

gione Champagne Ardenne Partner del progetto: Associa-

tion Fleur Sociale, Compagnie LaBaladaï, Côté cour, Festival duJeune regard de Sy, FJEP de Vou-ziers, Maison de retraite de Vou-ziers, Médiathèque de Poix-Ter-ron, Médiathèque Yves Coppensde Signy-l’Abbaye, Office d’ani-mation des Crêtes Préardennai-ses, Café pour tous de Châtel-Chéhéry, Les communes de:Boult aux Bois, Falaise, Lalobbe,Poix-Terron, Saint Lambert etMont de Jeux, Signy-l’Abbaye,Sy, Fondo Verri

Di e con: Stefania De Domini-cis, Angeline Soum, Emilia Tau

Documentazione fotografica:Bertrand Depoortere

Assistente stagista: Igor David

Non so voi...ma, io il film"La grandebellezza" loconsidero pro-prio brutto!

Goffo e malconcio, decrepito. Sievince proprio la decadenza, ilpeggio di noi... Sono i nostritempi, purtroppo. Convenivascomodare e risvegliare la 'setti-ma arte' per dire questo? Megliolasciarla sopire ancora e atten-dere, con pazienza, tempi mi-gliori... Meglio il silenzio che ru-moreggiare invano. Il Cinema èaltro, e l'Arte è un'altra cosa..."Non so voi... ma, io bevo Ape-rol" - recitava uno spot pubblici-tario di qualche decennio fa. Abuon intenditor...

A proposito degli americani, iquali ad una 'scorreggia auto-riale' hanno unito un Oscar (co-sì come avvenne per Benigni), ilgrande Hitchcock apostrofava iloro film come "fotografie digente che parla". Già! Ed io miannoiai anche vedendo "La dol-ce vita" (versione edulcoratadella volgare mondanità odier-na de "La grande bellezza").Quindi, è un augurio questo si-lenzio che viene rivolto al cine-ma, sperando che si dia perspacciata, una volta per tutte,questa idea di fare arte, senzal'ausilio di mezzi e mezzucci,perchè anche le mode sono uncavillo. Ci vorrebbe, forse, unagrossa rivoluzione di pensiero(quella che auspicava CarmeloBene, il quale non riusciva a ca-pire perchè in campo cinemato-grafico non succede quello che èaccaduto alla pittura con Pol-lock), e allora potremo daccapoincominciare a frequentare l'Ar-te.

Ecco, quello che ci manca,oggi, al cinema, come nelle artiin genere, è un gestoliberatorio, di uno che sappiafare piazza pulita, distruggeremontagne di inutili parole conun colpo di mano.

E prendere soprattutto in giroi critici o le persone che credonodi aver cultura (i saccenti) e farepulizia delle forme, dei valori,

degli pseudo valori culturali; co-sì da farne una bella parodia e ri-prendere a ridere. Insomma, ab-battere la cultura, almeno nelsenso antropologico del termine:la cultura, in fin dei conti, è l'in-sieme delle rappresentazioni so-cialmente elaborate. Per questotutta l'iconoclastia, la battagliaculturale di CB è stata controla rappresentazione. (...) "Le pa-role, il pensiero, intesi come illu-strazioni, come immagini, comerepliche consolatorie, sono ap-punto rappresentazioni, bisognaliberarcene" - egli diceva.

F. Truffaut paragona il geniopubblicitario di Hitchcock sol-tanto a quello di Salvador Dalì, eguardando i suoi film - egli dice -è evidente che quest'uomo avevariflettuto sugli strumenti dellapropria arte più di tutti i suoi col-leghi. E "La finestra sul cortile" èsemplicemente un film sul cine-ma. Ecco, Truffaut conosceva ilcinema; tra l'altro nasce in Fran-cia come il cinema, e vive in uncontesto dove semiologicome Roland Barthes, CristianMetz e Andrè Bazin scrivevanoeccellenti saggi sul linguaggiocinematografico che ancora og-gi sono oggetto di studio. Non c'èda meravigliarsi, dunque, se egliasseriva che i film di Hitchcock,sfidando l'usura del tempo po-tranno competere con le nuoveproduzioni, quasi a verificarel'immagine di Jean Cocteau aproposito di Proust: «La suaopera continuava a vivere comegli orologi al polso dei soldatimorti». Il cinema invece nascemorto. Robert Altman salvavasoltanto il cinque per cento dellaproduzione cinematograficamondiale. Io ancora meno.

C'è da chiedersi, a questopunto, se gli odierni prodotti arti-stici insigniti possano resistere altempo; oppure il loro destino è li-mitato nell'immediato consumo,e resteranno solo artifici dei no-stri tempi, in questo sciocco esciancato Duemila. Comunquesia... buona visione.

Cinema

e l’osceno

di Antonio Zoretti

L’Oscar a Sorrentino

La bellezza

«E pensare che a confronto con la parodia di Villaggio "La corazzata Potemkin" di Sergej Ejzenstejn

era veramente un capolavoro d'arte cinematografica. E non per paradosso, ma proprio letteralmente»

https://www.youtube.com/watch?v=3CfVmRweoBw

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Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Memoria Per Itinerario Rosa 2014, Le Ali di Pandorarendono omaggio a Ezechiele Leandro

L’appuntamento a Lecce, dal 12 al 16 marzo nell’ex Conservatorio Sant’Anna

Eva” li ha visti protagonisti nellamanipolazione di un libro già esi-stente esplorando le potenzialitàsemiotiche di tecniche e materialiappartenenti anche a categorie chenon sono notoriamente quelle dellastampa, fino ad arrivare a materialie mezzi di tutt'altro genere, comel'apparente inconsistenza direttadelle tecniche virtuali.

***Il 13 e 14 marzo a partire dalle

17.00 si aprirà “Il laboratorio”,composto da un giorno di teoria eduno di pratica, sulla realizzazionedel libro d'artista.

Giovedì 13 marzo Lucy Ghion-na e Roberto Bergamo introdur-ranno alla storia del libro d'artista espiegheranno come si svolgerà illaboratorio per approfondire l'ar-gomento interverranno: MaurizioNocera, Mauro Marino e Clau-dio Martino.

Venerdì 14 è dedicato alla prati-

ca, quindi la realizzazione del ma-nufatto che vede affidata la partesperimentale a Roberto Bergamo,la pittorica a Daniela Cecere, lamaterica a Lucy Ghionna e l'edito-riale a Paolo Ferrante. Il terzogiorno, sabato 15, i lavori prodottinel corso del laboratorio sarannoesposti al pubblico.

Sabato 15, ore 17.00, il labora-torio di scrittura di flusso, L'isolasconosciuta, a cura di Ambra Bi-scuso: la parola prende il posto delcorpo.

Sempre sabato, in serata, Tizia-na Buccarella proporrà una per-formance dove: sperimentazione eteatro si uniscono in un adattamen-to del testo di Leandro: “La crea-zione degli angeli ed il peccato diAdamo ed Eva”.

Domenica 16 marzo è dedicataal laboratorio per i più piccini a cu-ra di Monica Lisi.

Mercoledì 12marzo alle ore18.30, pressol'Ex Conserva-torio Sant'An-na in Via Li-

bertini a Lecce, dopo il saluto delleautorità, Ambra Biscuso e LucyGhionna esporranno il program-ma della mostra/laboratorio sul li-bro d'artista: “I libri spezzati. Ladonna nella creazione di Lean-dro”.

La mostra, che unisce la ricercaalla creazione, alla produzione, al-la sperimentazione, è inserita nellamanifestazione del Comune diLecce “Itinerario Rosa 2014” e ve-de il patrocinio dell'Accademia diBelle Arti di Lecce.

In apertura la performance “Ildubbio di Eva” di Lucia Macrì eDomenico Arces; a seguire Tom-maso Ariemma, scrittore, filoso-fo, docente di estetica, parlerà dellibro d'artista visto dal punto di vi-sta estetico. Chiuderà la serata laproiezione del video di ClaudiaIngrosso: “EvE” ispirato dai testidi Leandro.

Una delle attività che negli anniha contraddistinto l'AssociazioneLe Ali di Pandora sono i laboratoricreativi, o laboratori protetti, puntofocale della nostra attività sin dallasua fondazione, dove ricerca, stori-cizzazione, sperimentazione ecreatività vivono in simbiosi, si èquindi pensato di utilizzare la no-stra “forza lavoro” per offrire mo-menti di approfondimento, creati-vità e riflessione, permettendo alpubblico di avvicinarsi a questaforma d'arte importante: Il librounique scegliendo come ispiratoredel progetto Ezechiele Leandrol'artista che fece dello scarto operad'arte. Non a caso il titolo della mo-stra: I libri spezzati è il titolo diun'opera di Ezechiele Leandro cherappresenta la natività ed è, appun-to, un libro d'artista.

Al progetto della mostra hannoaderito: Roberto Bergamo, Danie-la Cecere, Paolo Ferrante, LucyGhionna, Monica Lisi, Mauro Ma-rino noti da anni nel campo del li-bro d’artista e storicizzati in mu-sei, archivi, biblioteche nazionali.

Si è inteso lasciare grande spa-zio a giovani Artisti, allievi del cor-so di Decorazione Contemporaneadell'Accademia di Belle Arti diLecce, alla guida di Lucy Ghionna,che dopo un'attenta lettura del testodi Leandro: “La creazione degliAngeli ed il peccato di Adamo ed

I librispezzati

La locandina dell’iniziativa

Un’opera di Leandro

pagina n° 8

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Appuntazzi

Le corrispondenza da Luzzara di Gianluca Costantini

Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20 pagina n° 9 spagi ne

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Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Arte

stello Baronale di Castrignanodei Greci, nel 2010.

Nella sua dotta Prefazione,la professoressa Carmen DeStasio scrive: “L’artista Anto-nio Stanca formula innovatecondizioni emozionali con li-pogrammatica condensazionedi squarci ideali, che suggeri-scono una configurazione en-tusiastica delle idee lungo unpercorso cui confrontarsi efondersi con levità, lasciandoquel segno enigmatico che èesso stesso sinonimo di libertàda qualunque forma di decora-tivismo.[…] Stanca supera co-stantemente i confini dellametafora storica o solo spazia-le e compiacente: l’impiantoscenico riflette il dinamismodi melodie intersecanti con lostridore di suoni armonici, ir-ruenti, impetuosi, capaci diprodurre emozioni sostanzialial coinvolgimento conun’obliquità ritmica che con-ferma solennemente la propriacentralità di atto complesso,inquieto, e, al contempo, di-sarmante... con uno stuporeche si adagia lentamente su fa-si di meditazione intorno al-l’ignoto”.

***Attraverso le note biografi-

che contenute nel testo, ap-prendiamo che Antonio Stancanasce a Castrignano dei Grecinel 1942 e si diploma in De-corazione Pittorica all’Istitutod’Arte a Lecce nel 1960. Inse-gna Educazione Artistica nelleScuole Medie e parallelamenteporta avanti la sua attività arti-stica con la partecipazione asvariate mostre in tutta Italia eall’estero. Oltre alla pittura, sioccupa di scultura, grafica, fo-tografia. Sposato con Elisabet-ta Diso, e padre di due figli,vive ed opera a Galatina. Laprima fase della sua carriera,1959-60, è quella dell’Infor-male, con ovvi ed evidenti ri-ferimenti a Burri, Vedova,Fontana, insomma i capisaldidell’arte informale in Italia.La seconda fase, 1963, è quel-

Il mio primo incontrocon l’arte di AntonioStanca è avvenuto at-traverso un bellissimoarticolo di MaurizioNocera, “L’arte astrale

di Antonio Stanca”, pubblicatosul n.4 del periodico galatine-se “Il filo di Aracne”, del set-tembre-ottobre 2007.

Mi colpirono profondamen-te, su quel numero della rivi-sta, proprio l’opera di Stancariportata sulla copertina e il ti-tolo, a mio avviso felicissimo,dell’intervento critico di No-cera. Ho avuto poi modo di ap-profondire la conoscenzadell’opera di Antonio Stanca edello stesso autore, avendoloconosciuto personalmente inuno dei vari rendez vouz arti-stistici che si tengono in queldi Galatina, città che negli ul-timi anni ho molto frequenta-to, per via delle tante intrapre-se culturali cui ho partecipato(complice il caro GianlucaVirgilio, presidente dell’Uni-versità Popolare “Aldo Vallo-ne”) e dei molti amici a cuisono ormai legato.

Mi sono talmente innamora-to dei dipinti di Stanca cheavevo pensato di chiedergliuna sua opera per la copertinadel mio libro “Di tanto tempo”(Pensa editore) del 2010, perla quale cercavo, nell’imma-gine, qualcosa di astratto eforte, con il rosso come coloredominante, qualcosa che miera sembrato di trovare perfet-tamente in un’opera di Stancadelle sue ultime. Ma poi uncerto pudore mi fece desisteredal proposito di rivolgermi alui e, riducendo le mie pretese,per la copertina del libro la-sciai fare al grafico della casaeditrice.

Un dialogo a distanza co-munque si è da allora instaura-to fra me e il pittore galatine-se, io sempre a comunicargli ilmio grande interesse per i suoidipinti e la mia ammirazione,ad ogni occasione di incontro.Punto di svolta è stata la lettu-ra del catalogo “Antonio Stan-

Il colore dell’

ca. Una vita... una lunga ricer-ca”(Maglie 2010), di cui Anto-nio mi fece omaggio qualchetempo fa. Questo depliant miha davvero aperto le porte diun mondo di incontaminatabellezza e di fantastici colori,il mondo dell’arte di AntonioStanca.

Il catalogo, per la cura diSilvia Stanca, presenta in co-pertina l’opera “Ultimo ricor-do di Totò”, del 2005, olio sumdf, un omaggio da parte del

pittore al cognato SalvatoreAlessandri col quale egli con-divideva gli interessi artistici.

La carriera di Stanca vienesezionata e divisa in periodi earee tematiche o stilistico-espressive,il che aiuta il letto-re alla comprensione dell’ela-borata parabola umana e crea-tiva di Antonio e della suamultiforme attività. Il catalo-go è stato pubblicato in occa-sione della mostra antologicatenuta da Stanca presso il Ca-

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la che viene definita “La crisidell’arte”.

Stanca, influenzato dal-l’amico Umberto Palamà, so-stenitore del Futurismo, ab-bandona le realizzazioni “tra-dizionali” e si dedica ad unaprofonda riflessione sul ruolodell’artista nella società diquegli anni e, proclamando lamorte delle opere d’arte, dàsfogo ad un impegno civile epolitico di profonda contesta-zione. Ma dopo la breve pa-rentesi, egli ritorna a produrre,già nel 1970, con le “esplora-zioni dell’inconscio”. In que-sta fase, influenzato dagli stu-di sulla psicologia e psicoana-lisi, realizza dei quadri in cuiprotagonista è l’inconscio. Madopo questa parentesi intimi-stica, ritorna alla contestazio-ne e all’apertura al sociale erealizza, con stile espressioni-stico, foto, poster e collagesdai messaggi di forte impatto.Dal 1982 al 2001, la fase dellecomposizioni astratte. In que-sta fase ritorna l’amore per ilcolore che è poi il tratto distin-tivo della sua opera. Nelle suecomposizioni, olio su mdf, lecalde cromie delle opere ciparlano dai dipinti, facendociimmergere in un universo fan-tastico dal quale a fatica si rie-sce ad uscire, procurandol’opera nello spettatore unasorta di mistico rapimento,quasi una transe in cui si vienea sprofondare.

***Ecco, il potere dell’incon-

scio, a mio avviso, opera intutta le creazioni di Antonio.Perché quelle immagini di so-gno, o d’incubo, ci richiamanodagli abissi della follia, dellepaure ancestrali, e negli oriz-zonti siderali dei suoi pianetimisteriosi, si avverte quell’horror vacui che è come unfantasma ritornato dalla nottedei tempi.

Nelle volute inestricabili,nei grovigli di colore di questiquadri, avvertiamo per un atti-mo lo spaurimento di trovarcisoli fra quelle scie infuocate di

pagine n° 10 e11 spagine

sciuto, chiamato con un ana-gramma del cognome del pit-tore, dove cieli immensi e sce-nari infuocati sembrano gor-gheggiare come in un mael-strom nei vortici delle sue tele.Dal 2001 inizia la fase degli“Universi” che, insieme all’ul-tima, quella degli “universiparalleli e multiversi” è la miapreferita in assoluto.

Si tratta delle esplorazionidell’ignoto in cui domina sem-pre la luce come elemento ca-ratterizzante e ancora di sal-vezza nel panorama buio etempestoso e nella visione diansia e angoscia che avvolgela quasi totalità di queste com-posizioni.

Con la luce, Stanca vuolecelebrare il miracolo della vitaed ingrandisce milioni di voltela luce stessa, fino a dareun’immagine iperrealisticache, curiosamente, convive inuna rappresentazione astratta.Ma è come se il soffio genera-tore, invece di dare ordine econsistenza alla materia, la in-garbugliasse ancor di più, nedisperdesse l’inestricabile tra-ma. Stanca, in questi ultimianni, svolge sempre la stessatematica ma con una miriadedi immagini diverse, comedelle variazioni sul tema.

La sua ricerca si è fatta viavia più profonda, complessa,di pari passo forse con gli stu-di che l’intellettuale approfon-disce e che influenzano l’arti-sta. Nei suoi gorghi di colorel’indistinto regna sovrano ed èquesta, del resto, la peculiaritàdell’arte astratta, nella quale ilpittore abbandona ogni logicaed attinenza con il reale ;nell’antifigurativismo dei suoiquadri segue solo la voce dellapropria interiorità, ma essendoquesta imponderabile, ne con-segue che, nel suo percorsoprivo di condizionamenti, sul-la strada dell’immaginario,egli dia voce, suono, colore,ad audaci invenzioni, trionfidell’assurdo, fantasmagoriedella mente.

Il potere dell’inconscionella pittura di Antonio Stanca

di Paolo Vincenti

astri e stelle comete come ne-bulose o galassie in estinzionee di non conoscere la via, dinon sapere più il modo di ri-tornare a casa.

***Moltissime le recensioni

sull’arte di Antonio Stanca.Un’intera sezione del libro è

dedicata alla bibliografia dellepubblicazioni sulla sua attivitàartistica e degli scritti dellostesso Stanca. Fra gli altri, sisono occupati di lui: Vittoria

Bellomo, Nicola Cesari, Ge-rardo Caprioli, Valerio Gri-maldi, Antonio Mele Melan-ton, Maurizio Nocera, TotiCarpentieri, Maria Rita Boz-zetti, Giuliana Coppola...

L’ultima sezione del libro èdedicata all’elenco delle mo-stre, personali e collettive, cuiStanca ha partecipato. Dal1984 inizia la fase dei “pano-rami di Tancas”:si tratta di unaserie di viaggi ed esplorazionisu un pianeta lontano e scono-

Ad illustrarealcune operedi Antonio Stancatratte dal sitowww.antoniostanca.it

ignotoIl colore dell’

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Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Racconti salentini

Oggi, nell'ambitodi ogni comuni-tà, dal paesino dipoche centinaiadi abitanti sinoalla grande città,

esiste, per fortuna, una vasta e capil-lare rete di entità o istituzioni ches’interessa e occupa dell'accoglien-za, custodia e prima formazione deibambini in età da uno a cinque anni.

Tali strutture, peraltro, com’è no-to, mediamente insufficienti dalpunto di vista quantitativo rispettoalla domanda dell'utenza, si caratte-rizzano sotto le insegne di nidi, asili,scuole materne e/o dell’infanzia erecano, in aggiunta, denominazionie sigle carine e accattivanti, del ge-nere, ad esempio, di “Ape Maya” o“La bacchetta magica”.

Altro aspetto distintivo, constanodi ambienti resi gradevoli e coloratie ciò per attirare e coinvolgere glisguardi e i moti d’osservazione in-fantili e pure l'arredamento è conso-no ai gusti e alle preferenze degliospiti. Vi lavorano operatori, spe-cialmente operatrici, con un buonbagaglio di preparazione psicologi-ca, pedagogica e di assistenza in ge-nerale a utilità e beneficio dei picco-li, un insieme di caratteristiche chemira, chiaramente, a non far pesare,nella suggestione delle giovanissi-me creature, il distacco, per buonaparte della giornata, dalla loromamma e anche dalle abitudini do-mestiche.

Cosicché, i bambini, talvolta po-co più che neonati, s’inserisconobene, stanno con piacere nelle loro“nuove case”, sono rari i casi in cuisoffrono e si lamentano, nonostanteche la mamma resti sempre la mam-ma, uniche e insostituibili la sua vi-cinanza, la sua voce, la sua figura, lesue carezze, le sue occhiate sorri-denti.

Purtroppo, lemadri di oggi, e inun comune nucleo familiare, e nelruolo, ormai non infrequente, dipersone singole con prole, hannol’impellente e irrinunciabile neces-sità di svolgere un lavoro, dipen-dente o autonomo, o di dedicarsi auna professione e, quindi, non si ve-de in che modo potrebbero cavarse-la senza lo sbocco di una struttura diaccoglienza cui affidare il/i bambi-no/i. Non sempre ci sono i nonni vi-cini e disponibili e idonei a fare leveci della mamma, ecco perché,

dunque, alla fine le strutture in di-scorso si rivelano non bastevoli, an-che se, da alcuni anni, ci si adoperaper istituirne direttamente all'inter-no di grandi aziende o enti pubblici.

Occorre fare i conti con problemidi mancanza numerica, quindi, pernon parlare delle elevate rette da pa-garsi, soprattutto presso le realtàprivate.

Così è oggigiorno, mentre la si-tuazione non era per niente analoganei tempi andati, cinquanta – ses-santa anni fa, almeno nei piccolicentri del Sud caratterizzati da unasocietà tipicamente contadina.

Ciò è in grado di affermare il cro-nista, non solo per ordinaria cono-

scenza ma anche per antiche espe-rienze dirette e personali, con riferi-mento alla sua località d’origine diMarittima.

***V’è, intanto, da dire che, nel cor-

so dei decenni lontani, le donne simaritavano e iniziavano a partorirepresto, intorno ai vent'anni, e, diconseguenza, avevano, a loro volta,fratelli e sorelle giovani e pure i ge-nitori ancora tali, con l’effetto di no-tevole interscambiabilità e mutuali-tà, in autonomia famigliare, di fron-te ai bisogni dell'uno o dell'altromembro.

Per le donne, particolarmente,non esistevano attività impiegatizie

o di lavoro in fabbrica, maturavanosoltanto saltuarie giornate di faticain campagna, in aiuto ai genitori e aifratelli; in prevalenza, invece, se nestavano casa, le giovani attendendoal ricamo o alla preparazione delcorredo.

Di riflesso, il paese non necessi-tava in via continua di un asilo o diuna scuola materna, i bambini pic-coli crescevano fra le pareti dome-stiche o fuori degli usci, sotto la curae la sorveglianza, tra un’incomben-za e l’altra, delle mamme o di qual-che familiare, in attesa che, a sei an-ni, iniziassero a frequentare la scuo-la elementare statale.

Tuttavia, ricorreva un periodo

l’asilo di donna EmmaC’era una volta

di Rocco Boccadamo

Il palazzotto a Marittima di donna Emma e don Rafaeli

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della lavoratrice, da persona di ser-vizio a sposa in municipio e in chie-sa, non di un suo pari, ma, addirittu-ra, di un signorino, con la parallelaassunzione del titolo di donna Em-ma.

Si era stabilita, la coppia, in unantico e artistico palazzotto a duepiani nei pressi della “Campurra” diMarittima; per la precisione, il terra-neo era affittato a un artigiano, me-sciu Biasi (maestro Biagio), mentrei novelli marito e moglie, che nonebbero figli, occupavano l’ampioprimo piano. L’ambiente più gran-de, nel periodo di operatività delmagazzino o manifattura tabacco, sitrasformava, giustappunto, in asiloper i piccoli di Marittima, lì accom-pagnati velocemente la mattina dal-le rispettive mamme, in mano unaborsetta di cartone contenente unafrisella o fetta di pane, cosparse daun sottile strato di zucchero e, poi,ripresi e ricondotti a casa a metà po-meriggio.

Diverse ore d’asilo per i cuccioli,sistemati su file di seggiole o pan-chette e sgabelli di legno a recitarefilastrocche, ascoltare qualche cun-tu (racconto), canticchiare inni dichiesa, semplicemente relazionarsie giocare fra loro, sotto lo sguardodi donna Emma. In tarda mattinata,via alla discesa nel giardino, sotto-stante, del palazzotto, dove esiste-vano alcune piante di agrumi e quelposto, dopo l'invito o comando didonna Emma “forza, tutti a fare pipìe pupù” diveniva il bagno o gabi-netto per i bisogni corporali dei pic-coli.

Tanto passava allora il convento,oggi verrebbe da rabbrividire di-nanzi a simili procedimenti, di fatto,però, nemmeno l’ombra di proble-

stagionale in cui anche le donne, dadiciotto fino a cinquantacinque –sessanta anni, intraprendevanoun’attività lavorativa, che si pro-traeva da due a quattro mesi, nei“magazzini” o manifatture di lavo-razione delle foglie di tabacco ope-ranti nel paese: orario dell’impe-gno, dalle 7,30 alle 16,30, salvo unsalto casa, a mezzogiorno, per unpasto velocissimo.

In questa occupazione, capitavache fossero coinvolte sia le giovaniancora non sposate, sia le giovanimamme, sia, infine, le nonne ancorain età lavorativa e, pertanto, in quelperiodo, anche a Marittima veniva aporsi il problema dell'affidamento edella cura dei figli in età da uno acinque anni.

Ad assumere tale compito o fun-zione, più o meno a cavallo della se-conda guerra mondiale, si proposeuna donna del posto, di origini mo-deste, famiglia contadina al pari, delresto, della generalità della gente, ilsuo nome era Emma, trasformatosiper consuetudine più che per diritto,dopo il matrimonio con un uomo difamiglia abbiente, don Rafeli, indonna Emma.

Alcuni particolari sulla persona.Emma, unitamente ai propri fami-gliari, badava, sin dalla tenera età,alle terre e alla stessa abitazione del-la famiglia di chi sarebbe diventatosuo marito, erano mansioni, le sue,da persona di servizio, così usavanodire allora, oggi più giustamente de-finite da collaboratrice. In pratica,stava notte e giorno a faticare a con-tatto dei “padroni”, un rapportostrettissimo, quasi lei fosse una dicasa.

I vecchi del paese raccontanoche, talora, i “padroni” di Emma sichiedevano ad alta voce se lei, unavolta maritata, avrebbe proseguito ono l’attività di donna di servizio. Eche la ragazza, nell’ascoltare siffattidiscorsi, con acume, abilità o furbi-zia, rispondeva sempre così: “Caripadroni, a me difficilmente capiteràdi sposarmi, giacché le malelinguedel paese sussurrano e hanno ormaidiffuso la voce che io, oltre a presta-re servizio, intrattengo con voi an-che relazioni d’altro genere, pecca-minose ( ndr, e, a questo punto, chi-nava il capo) e, quindi, chi voleteche mi prenda per moglie?”.

Colpito e, chissà, forse toccatoda simili reazioni, il giovane dellafamiglia benestante, don Rafeli, ilquale aveva passato un po' d'anni inseminario senza però riuscire aprendere Messa, un giorno si sentìvinto da un modo interiore di parti-colare compenetrazione nell’ideadella donna e, con aria solenne e de-cisa, le dichiarò: “Emma, non devipreoccuparti, se nessuno ti vorràprendere per moglie, ci penserò io afarlo”.

Scaturì da qui, l'avanzamento

pagine n° 12 e 13

spagi ne

mi o di effetti collaterali dannosi acarico di un’utenza di venti – trentabambini e bambine.

Quindi, la frugalissima colazionee, da ultimo, brevi sonnellini dei piùpiccini, all’interno di un paio di na-che (culle) sistemate in un angolodello stanzone.

A tutto presiedeva la sola donnaEmma, mentre il coniuge don Rafe-li se ne restava isolato negli altri va-ni della casa, non si vedeva mai,salvo in occasione delle uscite perrecarsi al tabacchino e rifornirsi dicartine e tabacco per fumare.

Da mettere in evidenza che le fa-miglie che affidavano i figli piccolia donna Emma, non le versavanoalcuna retta, semmai si disobbliga-vano mediante sporadiche dazioniin natura, tipo un cestino di uovafresche, un pacco di zucchero, unvasetto di mostarda d'uva che tantopiaceva a don Rafeli.

Insomma, in seno alla cittadinan-za marittimese, donna Emma svol-geva in fondo una funzione bene-merita di pubblica utilità.

Una donna piccola di statura, eperò, come accennato all’inizio, as-sai attiva, intraprendente e furba.Per il suo ruolo, lei era automatica-mente invitata a ogni matrimonio obattesimo o cresima o comunionedel paese e ai relativi modesti rice-vimenti che seguivano.

Purtroppo, in dette occasioni, sidistingueva per una sua particolaredebolezza, non rinunciava mai adarraffare, con mani rapide, dallaguantiera dei “complimenti”, nonuno, come facevano gli altri invita-ti, bensì una manciata di dolcetti, in-fischiandosene dello sguardo biecoe di riprovazione che puntualmentema invano le rivolgeva il compae-

sano Nino che, di solito, si offriva disvolgere, a titolo volontario e gra-tuito, la mansione di cameriere. Unlimite, che donna Emma si portòappresso finché restò in vita.

Invece, don Rafeli, da parte sua,verosimilmente sulla scia dei suoitrascorsi da seminarista, si distin-gueva per la frequentazione assiduadella chiesa e delle funzioni religio-se (per citare, era sempre lui a reg-gere l’ombrellino a riparo del SS.Sacramento durante la processionedel Corpus Domini) e, in genere,per la collaborazione con il parrocodel paese.

In speciale modo, si ricorda an-cora oggi che, intorno al 1930 –1935, egli si fece carico della tra-scrizione, rigorosamente a mano,con bella ed elegante calligrafia sufogli di carta sottili e i margini diogni facciata contornati da disegniornamentali, di antichi manoscrittisacri, contenenti preghiere, inni,salmi, novene, liturgie varie, corre-late a Vigilie solenni e a ricorrenzecelebrative dei Santi Protettori, allaQuaresima, alla Settimana Santa evia dicendo.

Uno spesso volume che, una ses-santina d'anni fa, catturava l'atten-zione anche di chi qui scrive, che loleggeva con passione, ripassando lepagine che sembravano maggior-mente interessanti. Da notare, chetale manoscritto trovasi tuttora con-servato, nella sacrestia della ChiesaMatrice di San Vitale, a Marittima,a cura scrupolosa dei parroci che sisuccedono nel tempo.

L’opera si presenta integra, conogni facciata e pagina nella versio-ne originale, con l'unica eccezioneche, a distanza di mezzo secolo dal-la trascrizione per mano di don Ra-feli, esattamente nel 1983, il volu-me è stato rilegato e munito di unacopertina più moderna e nello stes-so tempo protettiva e resistente, cu-stodia preziosa del contenuto, allastregua di un vero e proprio gioiel-lo.

Recentemente, ho ottenuto, dalprevosto in carica, il permesso di ri-dare un’occhiata e sfogliare ancoral'antico libro; con l'occasione, ho fu-gacemente catturato alcune paginee l’intitolazione “Raccolta di SacreNovene” in copertina e sul dorso.

Avanti di passare a migliore vita,don Rafeli e donna Emma hannodeciso di donare alla chiesa il palaz-zotto della Campurra, che adesso,esteriormente integro nella sua anti-ca bellezza, si presenta triste e vuo-to.

Una pagina del libro “Raccolta di Sacre Novene”

Page 14: Spagine della domenica 20

Lecce, 9 marzo 2014 - spagine n° 0 - della domenica 20

Accade in città Con Mr.P visita all’ex tabacchificio occupato a Leccein via Dalmazio Birago... Si cercano libri per la biblioteca

pagina n° 14

dentro il grande cortile, anche sequella parte si vede meno, sovra-stata com'è da brecciolina, terra,erbacce. Un binario morto e sepol-to, che però riaffora, fin sotto aipiedi dei ragazzi a lavoro con mar-telli, spazzole e vernice.

Bisogna rintracciare i vecchi la-voratori, ci diciamo - mentre mimostra tutti ammassati vecchi sca-toli di medicinali destinati a loro,"medicinali deo stato", insieme amateriale pubblicitario degli anni'90 - rintracciare le storie di quelliche qui hanno trascorso l'esistenza.

Hai visto le stanze? E qui, tutto intorno? Tutto lasciato marcire. E adesso

proviamo a farci una biblioteca [chi vuole donare dei libri puòcontattare il 3408592011 ndr] ealtre attività utili per il quartiere.Sono contenta per i ragazzi perchèhanno capito, coscentemente o in-

coscentemente quanto sia impor-tante la cura, il ripristino, il ricucireil disuso, prendesi a mani piene lospazio vitale, la condivisione, ilrapporto col mondo che è sempreun rapporto con il proprio corpo econ lo sguardo di chi sta vicino.

Lo stanno imparando e speri-mentando con i vicini del quartie-re, con il freddo di questo ultimopezzo di inverno, con la propria as-senza dalle aule dell'università, chein certi casi ed in certi luoghi, han-no dato molte bibliografie e pocacorazza umana, poco esercizio al-l'ascolto, poco orientamento, quel-l'orientamento all'umano che partedalla fila accanto, da quella dietro,dal proprio dirimpettaio, dai luoghiaccanto alla propria casa, dalla vo-ce che hanno le tracce, e dal valoreche ha il lavoro che parte anche daquesto specifico ascolto, e dal sen-so di appartenenza che parte anchequello, da questo specifico ascolto.

E la paura?Già, la paura. Eppure i bunker

con i cartelli che si accendevano dirosso, per segnalare il pericolo diasfissia agli operai del tabacco, so-no vuoti e si sente una forte eco, seprovi a gridare. Ma è solo la tua vo-ce che urta i muri spessi e ritorna.

Paura non bisogna averne. Orapulisco insieme ai ragazzi, mi diceMr P, prima di salutarci, poi dopoun po' di pulizie mi metto a dipin-gere ancora, devo finire la cisterna,voglio fare delle belle cose...per-chè... uno non è che viene a farel'artista, o il giornalista, o... nonso... prima deve ripulire, partecipa-re, poi fare.

Al cancello una ragazza in bici-cletta, col cestino pieno di arnesientra dentro. Saluto i ragazzi, pen-so che tra poco viene aprile e saràbello. Inizia un poco a piovere manon la butta forte.

Dovreste usareuna piccola ten-da da campeggioanche dentro lastanza, per ilfreddo, dice Mr

P. al ragazzo alto che mi ha apertoil cancello e che ora è intento a tra-sportare un carrello della spesa ca-rico di pattume ed erbacce.

Mr P. è un amico e street artist daanni rientrato da Londra e attivistanella riqualificazione urbana. Fac-ciamo insieme un lungo giro, mimostra i lavori che ha già realizza-to sulle mura principali dello stabi-le e il lavoro che deve ancora ter-minare sulla superficie dell'enormecisterna ormai vuota che divide lazona del cortile dai i grandi capan-noni-bunker, adibiti un tempo perl'essiccazione delle foglie del ta-bacco.

Qualche giorno fa questa cister-na nemmeno si vedeva , era tuttopieno di rovi, mi dice Mr P, poi miguida all'entrata del primo grandecapannone dalle mura spesse esenza finestre, un luogo concepitoper essere totamente isolato,chiusoda porte pesantissime, in modo chel'anidride carbonica della cisternafiltrasse all'interno per essiccare iltabacco.

L'odore del capannone è ancorapungente, senza volerlo il mio im-maginario sfiora le camere a gas ditutte le latitudini temporali. Nono-stante gli anni, mucchietti di fogliedi tabacco giacciono aperte insie-me alla polvere e ai cavi. Ne rac-colgo una e attraversiamo tutta lasuperficie del bunker fino allastretta uscita esterna.

Mr P. Mi fa vedere cosa c'è in-torno, uno spazio verde dalle enor-mi potenzialità, pini, erba, pianteselvatiche, il capannone confinacon i binari ferroviari, dove i trenisfrecciano verso Nord e fino aqualche decennio fa pieni della no-stra gente, verso la Svizzera, o To-rino, o la Germania. Pensa chi la-vorava qua, mi dice Mr.P., a guar-dare questi treni passare pieni dicompaesni, di amici, di parenti,che se ne andavano.

Avere un posto di lavoro in que-sto tabacchificio, negli anni '70 erail massimo della vita. Mio padre,mi racconta, lavorava pure lui inun tabacchificio, a Trepuzzi, quan-do finivo la scuola ogni giorno an-davo a trovarlo. Mr P. Fissa l’oriz-zonte e racconta.

Rimango altro tempo con luisulla pensilina retrostante il capan-none, un metro sotto passa il vec-chio binario che fa tutto il giro del-lo stabile, sul quale viaggiava il tre-no interno che caricava dal bunkeril tabacco essiccato e che arriva sin

segue dalla prima pagina

di Gioia Perrone

Binario 68Nelle fotografiedi G. Perronela pensilinale segnalazionidelle sale di essiccazionee il binario internoalla manifattura