spagine della domenica 52 0

20
spa gine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0 Paola Leone regista della Compagnia Io ci provo con l’attore Alessio Pallara in una foto di Mattia Epifani

Upload: spagine

Post on 06-Apr-2016

226 views

Category:

Documents


3 download

DESCRIPTION

Spagine si avvia verso il bianco e nero, si avvia a diventare una “fanzine”, com’erano le pagine da muro di “Motus” che nel 2015 compie 30 anni di attività. Una piccola sigla inventata in una casa di Urbino per fare un giornale murale. Quell’esperienza è continuata immaginando una funzione aggregativa del giornale, della grafica e della comunicazione. Questo è stato Motus, questo è Spagine, questo è stato per un certo periodo Il Paese nuovo da me diretto. Il terreno comune dello scambio culturale, del pensiero, della critica, dellla proposta... non sempre ci si riesce, fondamentale in questo è l’autonomia editoriale... Cosa che certo non manca a Spagine, periodico culturale del Fondo Verri nato per rendere omaggio alla scrittura infinita di francesco Saverio Dòdaro e Antonio Leonardo Verri, anche loro “inventori” di materia, di pagine, di spagine... Da gennaio Spagine sarà disponibile nella sede del Fondo Verri in edizione cartacea stampata a in digitale con un fotocopiatore in b&n...

TRANSCRIPT

Page 1: Spagine della domenica 52 0

spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

Paola Leone regista della Compagnia Io ci provo con l’attore Alessio Pallara in una foto di Mattia Epifani

Page 2: Spagine della domenica 52 0

spagine

Se il padre è delusodi Gigi Montonato

Dopo le “annun-ciate” dimissionidi Giorgio Na-politano da Pre-sidente dellaRepubblica daparte di StefanoFolli su “la Re-pubblica” dell’8n o v e m b r e

scorso – «c’è anche la certezza che la de-cisione del Presidente è presa» – si è sca-tenata una ridda di ipotesi e di chiacchiere,ai limiti della decenza, culminata nella satirapolitica di Crozza e nella politica satirica diGrillo. Folli ha scritto che Napolitano si di-metterà entro la fine dell’anno, al terminedel semestre italiano di presidenza del-l’Unione Europea. Se la cosa non è vera, ècomunque verosimile; direi normalissima.Tanto è bastato per innescare il chiacchie-riccio perfino sul genere del suo succes-sore, come si faceva una volta quando unadonna s’ingravidava e tutti nelle famiglie in-teressate e nel vicinato ad augurarsi e ascommettere se sarebbe nato un maschioo una donna, “nnu masculazzu” o “nna fim-minazza”. Poi magari arrivavano dei ge-melli, a tener tutti contenti o scontenti.Eventualità da escludere per la presidenzadella repubblica.La reazione del Quirinale non confermavané smentiva. Napolitano faceva sapere chesarebbe stato lui e solo lui a decidere se equando si sarebbe dimesso. Tutto come nelprotocollo, direi nell’ovvio.Che Napolitano non avrebbe portato a ter-mine il secondo settennato lo disse luistesso. Disse che avrebbe lasciato quandofossero state superate alcune criticità, fracui quella economica, e si fossero realiz-zate le riforme istituzionali; come un buonvecchio padre di famiglia, insomma, cheprima di andarsene vorrebbe vedere tuttele cose in ordine e tutti i figli sistemati. Na-politano avrebbe voluto che il suo “straordi-

nario” fosse almeno ripagato dagli stessiche lo avevano pregato di restare a farlo. Ora se ne vuole andare perché gli obiettivisono stati raggiunti? Non scherziamo. Lacrisi economica c’è e continua ad essercicon sempre minori speranze per un paio digenerazioni di giovani, i quali sono defuntianzitempo alla vita produttiva del paese.Luci in fondo al buio – per usare un’espres-sione abusata – non se ne vedono. Senatoe province c’erano e ci sono: sono stati solosottratti al popolo sovrano. Quanto alle ri-forme istituzionali, legge elettorale inclusa,si è realizzato ben poco. Si litiga sul premiodi maggioranza, sui capilista bloccati, sulvoto di preferenza, sulla soglia minima diaccesso; si litiga su tutto. Mentre sulla ri-forma del mercato del lavoro soffiano ventidi guerra, che potrebbero spazzare viatutto: la manna di Renzi, i livori della sinistrapiddina, l’esagitazione di Grillo, i piani diBerlusconi e via piazza pulendo. E a propo-sito di piazza, dico di quella reale, essa lie-vita di giorno in giorno, come dimostrano lemanifestazioni di protesta guidate dai sin-dacati. E monta in maniera sempre più pe-ricolosa anche la protesta della gentecontro violenze e degrado delle zone ur-bane dove dimorano gli extracomunitari sal-vati da morte certa nell’operazione “Marenostrum”, di cui il governo italiano menavanto in Europa. Come al solito, anche que-sta volta, il potere con cinismo ha scaricatosui cittadini deboli i costi dei suoi vanti. Non occorre avere particolare intelligenzao spirito di osservazione, perciò, per ren-dersi conto che Napolitano è stanco e de-luso. Ma avrebbe deciso di lasciare nonsolo e non tanto per le sue condizioni psi-cofisiche – è un combattente della vecchiaguardia, di quella buona – quanto e soprat-tutto perché quegli obiettivi da lui auspicatiinvece di avvicinarsi si allontanano semprepiù o piuttosto vanno trasformandosi inqualcosa che somiglia tanto a ciò che a pa-role si dice di voler finalmente cambiare.

Fosse stata vicina la realizzazione di qual-cosa, Napolitano avrebbe tirato coi denti,grazie ad una lucidità mentale che finoranon lo ha abbandonato minimamente.A conferma di questa lettura sta la reazionedi Renzi e del suo partito, i quali per un at-timo hanno perso il buon umore e hannodetto sommariamente: dobbiamo accele-rare, se Forza Italia non ci sta, cercheremoin Parlamento una maggioranza che soddi-sfi le sacrosante aspettative di Napolitano.Ma è durata un giorno o due la voce grossa,poi si è affievolita e spenta negli incontriRenzi-Berlusconi, inutili e ripetitivi. E’ tor-nata, invece, a farsi sentire la minaccia delvoto di fiducia, che sembra un’autentica ghi-gliottina.Ora c’è poco da sperare. Quando in politicaci si propone come il risolutore a breve ditutti i problemi, il nemico peggiore è iltempo; più passa senza le soluzioni pro-spettate e più si annuncia la sconfitta. Renzilo sa perfettamente. Fino ad ora ha fattomolti annunci, molte minacce, molti voti difiducia; ma in concreto ha conseguito pocoo niente. La sua forza finora è stata la de-bolezza degli altri. Ma se gli altri, come pareche stia accadendo, si riorganizzano e re-cuperano la forza, allora le cose si mettonomale davvero. Il rischio è di tornare al puntodi partenza senza nulla aver combinato.La carta che può giocare Renzi è quelladelle elezioni, per la quale però manca lostrumento indispensabile: la legge eletto-rale. Se Napolitano si dimetterà prima dellasua approvazione, allora la partita per l’ele-zione del Presidente della Repubblica di-venterà drammatica, perché dipenderà dalsuccessore di Napolitano l’indirizzo cheprenderà la politica in Italia. Per continuarei suoi mille giorni Renzi dovrebbe impe-gnarsi a fondo per portare al Quirinale unsuo “tutor”. Riuscirci non è impossibile, mala politica – si sa – non è algebra.

Il presidente Giorgio Napolitanofotografato da Roberto Paglianti

Page 3: Spagine della domenica 52 0

della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0Diario politico

di Silverio TomeoLa sinistra, un miraggio?Se il populismo e il nichilismo

sembrano le cifre della poli-tica moderna, le guerre e lecrisi, ormai croniche, rappre-sentano il nuovo disordinemondiale. Il paradigma neo-

liberista è più di una teoria economica, èparte di una teologia politica dominante edegemonica, dentro un dispositivo di potereche ci governa in una sorta di stato d’ecce-zione permanente. Carl Schmitt, il filosofo che diede avvio allaricerca sulla sovranità politica nello statod’eccezione, tentò invano di formulare unanuova Costituzione per l’immaginata eranazista (organicista e corporativa, gerar-chica e improntata al Volk germanico), mala Costituzione di Weimar non venne maiabolita ma solo sospesa, e prese via il Fhü-reprinzip. Ora, che ci siano pulsioni per costituziona-lizzare lo stato d’eccezione permanente indirezione post-democratica è certo, innome della cultura dell’emergenza (econo-mica in primis, ma anche per volontà di di-sciplinamento, di semplificazione delleprocedure di decisione, verso una sovranitàsovranazionale non democratica), ma è tut-t’ora un processo tendenziale sottoposto alconflitto ed anche all’imponderabile, che èuna bella caratteristica propria dell’a/venire,da non scambiare per la lo slogan fatuo “ilfuturo è solo un inizio” della Leopolda ren-ziana.Fare dello spazio politico comune dell’ AltraEuropa per Tsipras un’associazione adadesione individuale e di massa è la propo-sta del tutto ragionevole del coordinamentonazionale scaturito dall’esperienza dei Co-mitati per l’Altra Europa delle elezioni mag-

gio. Provando a farne un processo costi-tuente nella direzione, attraverso un pro-cesso di lunga durata, verso un “soggettopolitico europeo della sinistra e dei de-mocratici italiani”. Quest’ idea-forza delcoordinamento nazionale è contenuta e ar-gomentata nella bozza del documento diMarco Revelli, che oggi si sta discutendo.Una sorta di schizofrenia tra partecipazionealla rete sociale in Europa e quella in Italia,è stata evidente nella vicenda del lungociclo dei Forum Sociali Europei: divisi quima nello stesso spazio comune europeo,per motivi attinenti all’atteggiamento versoi governi di centrosinistra, ma sostanzial-mente per differenze esasperate relative alriferimento sindacale, alla tematica dellanon-violenza, all’atteggiamento verso il mo-vimento per la pace. Una schizofrenia danon riprodurre oggi nelle esperienze regio-nali, non se ne sente proprio il bisogno.La mutazione genetica del PD renziano? Eda quale ghénos? O si tratta piuttosto diuna mutazione sistemica? Il giudizio sulPD, sul governo nella Grande Crisi Globale(come la chiama Luciano Gallino), il con-flitto d’autunno, sono tutti temi da trattare.Il populismo di governo e quello reattivo, daGrillo al nuovo tentativo della Lega dei po-poli come una sorta di Alba Dorata in salsaitaliana ma con accenti lepenisti. La crisidella destra autoritaria e affarista del lungoventennio berlusconiano, che non vennesconfitta dal centrosinistra ma dalle dinami-che della stessa crisi. Pensare rozzamenteche il PD sia il principale nemico del popoloè un’idea già messa a valore e profitto daGrillo, pensare d’altronde che si possa es-sere a lungo ondivaghi nel rapporto con ilPD porta inevitabilmente alla subordina-

zione culturale e politica.La “Syriza italiana” è un miraggio stante lasituazione attuale ed ogni forzatura nesegna l’impossibilità, sino a che non si mi-surerà con il principio di realtà e responsa-bilità. Prendere una rappresentanza alleprossime elezioni politiche, con qualsiasilegge elettorale si metterà in piedi, non saràuna cosa semplice.Se dal movimento in Spagna degli indigna-dos è nato Podemos, qui in Italia ci è natoGrillo (oltre che dall’antiberlusconismo, ne-cessario ma troppo parziale) e si sprecò inmaniera scomposta il 15 dicembre del 2011a Roma una possibile vasta alleanza so-ciale contro la crisi grazie a 400 incappuc-ciati in nero fuori controllo dediti ad azioniparallele pseudo - insurrezionaliste.Non si può glissare sulle culture politichedel conflitto e sullo spazio costituente ne-cessario all’alternativa. Così come sullaquestione del macropotere, che va bene af-frontata sul piano del ruolo dell’Europanella nuova risorgenza della questione in-ternazionale, oltre ai famosi dispositivi deimicropoteri su cui ragionava Michel Fou-cault, che si definiva ironicamente un anar-chico e arrivò ad entusiasmarsi per larivoluzione khomeinista."Il neoliberismo ortodosso ha fallito, c'è bi-sogno di più sinistra", ha detto Tsiprasquando sbarcò a Cernobbio, sottolineandoche "la sinistra è viva anche in Italia, nellasocietà. E anche all'interno della base Pd,anche se adesso vota Renzi”. Dov’è oggi lasinistra in Italia? È nella società, nelle retisociali, nelle pratiche sociali, nelle culturecritiche. È ancora uno spazio e non ancorauna forma politica.

Page 4: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

riale” che, insieme ad un’ampia costellazionedi beni non consumistici, aiutano a vivere me-glio. In quest’era di gravissima crisi econo-mica, di disoccupazione e precariatodilaganti, il sogno è un provvidenziale bal-samo salvifico. È un sollievo non da poco al cospetto d’unmondo di macerie d’intorno. Addirittura pos-siamo dire che finanche il sogno frustrato edeluso possa essere benaccetto, perchéesso presuppone un percorso, un cammino,include un positivo movimento. Il sogno e l’at-tesa. “Sogno. La vita è triste ed io son solo.O quando, o quando in un mattino ardentel’anima mia si sveglierà nel sole. Nel soleeterno, libera e fremente”, canta Dino Cam-pana. Ci chiediamo: cosa c’è di più creativo che in-seguire fantasie speranzose? Proprio ora chela incidente emergenza economica assale emortifica, è tempo di aprirsi più che mai alsole, a una stagione rinnovata. L’economia capitalistica, con le sue regoleferree, con i suoi programmi iperrazionali, ha

determinato sacche di esclusione, ha sfode-rato un ghigno impietoso, una bocca brutta edivorante. E noi tutti lambiti o toccati stretta-mente da varie forme di disagio, possiamo at-tivare un valido sistema di anticorpi:vagheggiamento, bellezza, fantasticheria, no-nostante gli impedimenti che ci incatenano eci limitano. Alcuni intellettuali troppo “rigorosi” includononel supposto “deragliamento della ragione”addirittura le tecnoscienze, di cui danno ungiudizio negativo. Certo, la scienza talvoltapuò peccare di onnipotenza, pretendendoche sempre e comunque ogni meccanicismorigido possa spiegare dettagliatamente le piùriposte leggi dell’universo. Purtuttavia, non sipuò disconoscere il valore inerente dell’ultimarivoluzione scientifica, dalle nanotecnologiealle bioscienze. Le biotecnologie, ad esem-pio, non sono un illusione, ma una realtà con-creta. Eppoi, la scienza non è solo ragione: èanche immaginazione, visione. Gli scienziatisono come i poeti, sanno maneggiare il sen-timento e sanno gettare uno sguardo oltre l’ul-

Contemporanea

La materiadi Marcello Buttazzo

della ragioneNella società contempora-nea, l’antropologia mercan-tile avanzante imposta dalcapitalismo finanziario cisventaglia addosso quoti-dianamente la sua trucefaccia. La politica attiva, in-

vece, talvolta scivola sulle chine inverecondedel rampantismo e dell’arrivismo. E, secondocertuni, perfino la ragione non se la passabene. C’è chi ritiene che il modello culturale raziona-lista, dominante almeno negli ultimi cinquan-t’anni, mostri crepe vistose e consistenti. Alcunistudiosi pensano che la ragione abbia fallito:per questo motivo le persone ricominciano asognare. Un giudizio troppo severo, categorico.Di certo, la filosofia, la matematica, la fisica, labiologia, la medicina, e le corrispettive appli-cazioni, hanno reso l’esistenza degli umani piùagevole, più feconda. Sia dal punto di vistateorico che pratico. La ragione, impiegata adeguatamente a fin dibene per far germinare conoscenza e per co-struire ponti di sapienza, è un baluardo inespu-gnabile. La ragione, pur rispondendo a sistemi di causaed effetto, non è mai statica, perché può sem-pre preannunciare scenari sorprendenti. Sem-mai, è la pessima e deteriore utilizzazione chealcuni fanno della ragione ad ingannare e a in-generare obbrobriosi mostri. Le virulenteguerre di potere, di dominio, di sterminio perfame, i cruenti conflitti etnici, lo sfruttamentodel lavoro, le persecuzioni religiose.La ragione, se non viene intaccata e sporcatada manie e prepotenze distruttive, può esserepura.Ma la ragione da sola è orfana. Un mondo, cheobbedisse unicamente a teoremi della fisica edella matematica, sarebbe dimezzato.Questo teatro dell’esistente e dell’incertezzatrova singolari barlumi di gioia con il supportovitale del sogno. Il sogno, quello sognato equello vissuto ad occhi aperti. Sogno e sogno. Sogno è un giorno al mare, all’alba, quando lenuvole rosee drappeggiano arabeschi maivisti. Sogno è correre per i prati riarsi con ipiedi sanguinanti e con i ginocchi piagati,senza provare dolore, ma sentendo il saporedolceamaro del tempo. Sogno è intrattenersi idealmente e fittamentecon la propria sfuggente chimera del cuore,anche se lei staziona perennemente e ineso-rabilmente nel suo altrove. Sogno è leggere con trasporto uno scritto ele-gante di grazia di Ilaria Seclì. Sogno è intrattenersi e dialogare nel giardinoincantato con Vito Antonio Conte, laddove per-fino le rose e le gaggie emanano effluvi poeticie d’amore. Il sogno è potente, evocativo. I sogni sono liberi, si formano nel nostro intimo,navigano nel sommerso ed emergono in su-perficie. Essi sono intimamente intrecciati avissuti, a desideri, a emozioni, a una marea dionde che si agita e si muove dentro noi. Essirappresentano quella dimensione “immate-

La materiadel sogno

Page 5: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0scritture

E’ IL MOMENTO DI LASCIARLO, QUESTO SALENTO

Outremer era il nome che iprimi Crociati diedero alregno di Gerusalemme, laTerra Santa: destinazionefinale, agognata mèta pertanti e tanti giovani che,

dalle nostre coste, si imbarcavano non giào non solo alla volta di un luogo fisico, mapiù che altro alla ricerca del proprio destino,della propria fortuna. Con questo nome ve-nivano indicate nel Medioevo quelle terredel vicino Oriente che rappresentavano,nella fantasia degli artisti e dei sognatori,nella brama di ricchezza dei mercanti edegli affaristi, un favoloso altrove, un “oltre”,di là dal mare, dove tutto era possibile, rea-lizzabile, una nuova terra promessa va-gheggiata da cavalieri, religiosi, derelitti,ciarlatani, filosofi e poeti.Outremer è dunque il sogno, il desiderio difuga, l’ansia, l’aspirazione. Oltremare,“overseas”, è l’anelito di libertà che agita icuori tormentati, che scioglie il torpore , chesmuove quell’inerzia in cui a volte si è pre-cipitati dalla noia, dalla disperazione, da unincidente dei tanti che la vita può riservare.Oltremare è un colore: un blu intenso cheprende il nome proprio da quei territori delvicino Oriente da cui venivano importate lepietre preziose come il lapislazzulo, dalquale deriva questa gradazione di blu.Oltremare è l’anelito, il desiderio di partireper rotte che nessun comandante ha trac-ciato, per traguardi che nessun equipaggiosa indicare o soltanto immaginare.Noi sappiamo solo, come il protagonista de“La linea d’Ombra” di Conrad, che bisognasalpare, che, quando è il momento, zainoin spalla e coraggio nel cuore, non si puòindugiare, ma bisogna partire, “perchél’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo in-ganno; “ dice George Gray, uno dei mortisulla collina di Spoon River, “l’ambizione michiamò, ma io temetti gli imprevisti./Eadesso so che bisogna alzare le vele /eprendere i venti del destino, /dovunquespingano la barca./ Dare un senso alla vitapuò condurre a follia / ma una vita senzasenso è la tortura /dell’inquietudine e delvano desiderio/ è una barca che anela almare eppure lo teme”.Ché, da sempre, viaggiare non è soloandar per mare, esplorare il mondo, ma èsoprattutto esplorare il proprio animo, co-noscere sé stessi. Come dice Kavafis in“Itaca”, “I Lestrigoni e i Ciclopi /o la furia di

Nettuno non temere, non sarà questo il ge-nere d'incontri /se il pensiero resta alto e ilsentimento /fermo guida il tuo spirito e il tuocorpo.”: Itaca non è solo la mèta del viaggioma è il viaggio stesso, è il pensiero checammina e si perfeziona strada facendo.Il viaggio è ragione di vita per Ulisse che at-traverso le insidie tese da Nettuno cerca lasua isola pietrosa e materna e compie cosìun percorso di purificazione attraverso lemille prove che deve affrontare. Ma l’eroeomerico diviene per Dante uomo astuto eintraprendente, il simbolo stesso dell’uomomoderno, mosso da inestinguibile curiositàverso il mondo e le cose, riscatto dalla con-dizione di brutalità e spinta verso la virtù ela conoscenza. Dal prode Odisseo fino anoi, quella spinta è forte in colui che “allargo sospinge ancora il non domato spirito”come dice Saba nella poesia intitolata pro-prio “Ulisse”.Varcare i limiti, insomma, superare quellafatidica soglia delle Colonne D’Ercole, persapere cosa c’è al di là del mare, nell’oltre-mare. E non farsi vincere dalle tempeste,non farsi abbattere dalle avversità che cer-tamente si incontreranno nel viaggio maanzi, dopo un naufragio, trovare la forza diripartire, proprio come nella poesia di Un-garetti: "E subito riprende / il viaggio / come/ dopo il naufragio / un superstite / lupo dimare."Il mare è inconscio, arcano mistero, Il mareè sintesi perfetta fra quiete e movimento,stasi e azione, desiderio e paura, ragione esentimento. Il mare è traversia, spirito diavventura, sfida con sé stessi prima ancorache con la sua eminenza blu. Non sap-piamo cosa ci aspetta domani, quali sor-prese ci riserva il nostro cammino, ma labellezza della vita è proprio questa, è que-sta la seduzione del nostro misterioso de-stino. Partire, lasciare questo Salento è decisionesofferta, dolorosa, è un salto nel vuoto,spina nel fianco, dubbio tormentoso, nottedell’Innominato, travaglio di pene. Ma èscelta da farsi, urgente, improcrastinabile,inevitabile. Perché troppo si è scritto, tropposi è detto, e chi è abituato a cantare solo,alla lunga prova disagio, non ce la fa più, acantare nel coro.Oltre il mare, forse, c’è soltanto il mare, mal’importante è viaggiare. E’ venuto il mo-mento di lasciarlo, questo Salento. Buonviaggio a tutti!

di Paolo Vincenti

Oltremare

Page 6: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0riviste

di Ada Manfreda

Addomesticaree non ascoltareAndavo in macchina l’altro giorno,

ero fuori dall’abitato, su una diquelle tante strade salentine checorrono lunghe, senza interruzioniper molti chilometri, complice lapianura, larghe quanto basta per-

ché due auto riescano a sfilarsi, provenendo cia-scuna dal senso di marcia opposto a quellodell’altra. Ad un certo punto notavo sul ciglio dellastrada un mucchietto di piccoli fiori selvatici, bian-chi, gialli e arancioni, assortiti in modo impecca-bile, la giusta quantità di giallo, di bianco e diarancio per rendere quella visione appagante. Ho pensato a quanto la bellezza di quel muc-chietto floreale stridesse terribil-mente con l’ag-gettivo ‘selvatici’. Eppure nessuna correzione,nessun intervento, nessun addomesticamento, liavrebbe resi più belli di com’erano. Chiedevano solo di essere guardati e accettati,selvatici e belli.Ho pensato a quanto siamo disabituati al selva-tico, perché non possiamo fare a meno di interve-nire, di modificare, sempre e comunque, primaancora di guardare. A quanto siamo disabituati adascoltare quello che la materia ci suggerisce. Hopensato a quanto sia addomesticato ogni aspettoche ci riguarda. E a quanto lo riteniamo giusto eindispensabile. Scontato, addirittura.Tutto nella nostra cultura invia il messaggio ‘ad-domesticato è bello’, ‘addomesticato è meglio’.Tutto, crediamo, può e deve essere addomesti-cato: la nostra mano è senza dubbio migliore diquella del Caso, o della Natura.È un valore addomesticare i comportamenti, ilproprio aspetto, lo spazio intorno. È un valore la-sciarsi addomesticare.Ciò che è addomesticato è ‘normale’, pulito, cor-retto, civile. Il selvatico è tutto il contrario di que-sto. La sequenza degli aggettivi dell’addomestica-mento ‘normale, pulito, corretto, civile’ se ne tira

dietro, scavando scavando, anche altri: gestibile,controllabile. E pure innocuo. A forza di addomesticare, questa ‘pratica di civiltà’diventa pervasiva al quadrato, al cubo, finisce pervincolare, bloccare, inibire, condizionare. Il consumismo capitalista si serve a piene manidell’addomesticamento. Quanto sono addomesticati i nostri pensieri? Ilnostro immaginario? E i nostri discorsi? Prendiamo il cosiddetto ‘politi-cally correct’: è diventato oramai, in molte, troppecircostanze, un velo che nasconde, una muse-ruola ai pensieri, una censura soft. Il ‘non si dice’blocca le possibilità di pensiero alternativo. È unagabbia conformistica che poco ha a che vederecon il garbo e la correttezza. Addomesticare.Anche il linguaggio, come la terra, l’aria e l’acqua,lo abbiamo inquinato di elementi tossici: slangesterofili, gerghi falsamente tecnici, e poi tutto ilvasto repertorio del burocratese e del politichese,e altri simili stratagemmi per annacquare il senso,per divaricare le parole dal mondo, per addome-sticare il linguaggio e ammansirlo, renderlo inno-cuo. Addomesticare.Le cose si allontanano sempre più dalle parole,bozzoli svuotati, depauperati della capacità di im-pattare nel mondo. È questo lo scopo di chi le usadisincarnate, dematerializzate: pronunciandolesenza pudore, senza onorarle, senza preoccu-parsi che corrispondano alla vita, propria e altrui.Le parole disincarnate tolgono spazio alla conver-sazione, al confronto, alla costruzione condivisae lo lasciano al solipsismo senza effetto. Ognunoparla, poi chi ha il potere di decidere, decide. Laforza viene praticata, ma assume forme addome-sticate: sottili, implicanti, a volte persino simpati-che. Sempre meno riconoscibili, sempre piùinvischianti. Il corpo tradisce questo inganno. Dice quello chele parole non dicono, diventa schizofrenico. Alloralì possiamo lavorare, lì possiamo praticare qual-

che forma di disvelamento.Ma questo lo si sa, lo si sa fin troppo bene! Tantoche è uno degli ‘oggetti’ su cui l’addomestica-mento si esercita con più forza. Anche i corpi sonosempre meno fatti di carne: bisogna negarlo ilcorpo, annullarlo il più possibile, nasconderne gliodori, eliminarne la peluria, cambiarne i connotati, più si è simili e meglio è. Non deve avere nulladi selvatico. Va addomesticato. Così come il piacere. Siamo una società (l’Occidente, si intende) pro-fondamente edonistica e tuttavia l’addomestica-mento consumistico è ancora più importante: ilgodimento va privato della sua dimensione ecces-siva, delle sue esuberanze inquietanti, creative,difficilmente prevedibili, controllabili, condiziona-bili.Il piacere non è politicamente corretto: vi è asim-metria nella seduzione, squilibrio tra il desiderio eil suo oggetto. Perciò va circoscritto, addomesti-cato, magari tirando fuori questioni di salute, di ri-spetto dell’altro, di sicurezza. Mai come oggi vi ètanto sesso addomesticato: sempre meno sco-perta, relazione, ignoto, sempre più una compra-vendita codificata di servizi tra contraenti,secondo modalità da ‘catalogo’, anche quandosono trasgressive (si attinge al catalogo tematico). Guai a lasciarsi andare, guai ad ascoltare edascoltarsi, ad accogliere l’evento.Ma se invece provassimo per un attimo a sospen-dere tutta la negatività attri-buita al selvatico dalleragioni dell’addomesticare?Forse verrebbe un po’ più facile metterci in ascoltodi ciò che ci suggerisce il ‘fuori di noi’ prima di farcisopravanzare dall’urgenza di metterci le manidentro, essere maggiormente ricettivi e curiosi, di-sposti ad includere costruttivamente l’eventoprima di rifiutarlo e di provare ad annullarlo. Forseci potremmo meravigliare di tutta la bellezza chec’è e di cui non siamo noi gli artefici.

E' online il n. 3/2014 di "Amaltea. Trimestrale di cultura"Con il dossier: I Territori sono narrazioniSummer School di Arti Performative e community care Ediz. 2014 Ecco di seguito l’editoriale del direttore...

http://nuke.amalteaonline.com/

Page 7: Spagine della domenica 52 0

della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira MarzioniAngeli

Aspettavamo assiemel'armata dell'amorel'àncora arruginitas'arrendeva all'aurora c'appigliavamoad ali d'alloroancòra aspettavamo assiemeun accidentiun altrovel'autunno appeso a un Bacioa Baccoa un bicchiere di Barolo.

Page 8: Spagine della domenica 52 0

spagine

Surreale per chi?di Francesco Pasca

Caro Ignazio,« “come camminare sulla superficie

terrestre” (?)» è forse «“come descri-vere

il bello senza averne la dimensioneesatta” (?)» (da, sketch-Poesie).

H o già conosciuto Igna-zio che racconta, affa-stella favole per adultie non; Ignazio che pa-rafrasa, bubboleggia,razionalizza in predi-

sposizione; Ignazio che unisce lecause e, per quest’ultime, perseguedapprima l’Aristotele, in quel che sene percepisce con il surreale di una“geometria tutta aristotelica”. Così m’è parso, è stato il mio leggere,nel e per un sentimento di scritturache ne ha trascurato la sensazione:(come se Ignazio volesse vedere ilmondo di sbieco.). In Cartesio ne ho veduto elaborare lastessa causa e ascriverla “nell’effi-ciente". Con Spinosa è tuttora nell’in-tento a riprovare e si è poi ri-trovatonel campo di Cartesio, in particolariidentificazioni per altra estensione.Per il movimento e per il pensiero l’hoveduto anche, è in un Hume, nelle cuicause hanno effetti che, non possonoessere scoperte dalla sola ragione. Traduzione logica è stata ed è nel tut-tora una scrittura di transito perl’esperienza.Nel Suo surreale il difficile o il compli-cato è veduto nelle idee. Nella formasemplice è fra l’essere natura o so-stanza. Gianfranco Labrosciano lo ha “intro-dotto” ultimamente per l’ennesima suascrittura. Questa volta sono raccontisurreali per Edizioni Arianna. Per il Labrosciano è un’abbondante eliberatoria nevicata, di libri ovvia-mente. A me che, di lui voglio scrivere,e ho già scritto per altre sue “favole”e per Racconti patafisici e pantagrue-

lici nell’edizione Manni, sono appenanell’inizio del raccontare. Del e nel suo dinamismo “futurista” mipiace acchiappare almeno un fiocco diquella neve, di quei cristalli per far“sciogliere” e “scegliere” i nuovi rac-conti, farne magari le sue stesse me-tafore, quelle ad esempio con cuivengo accolto nella lettura con il suoscrivere d’inizio. Ora, Caro Ignazio, sono con lui in unCentral Park, magari di una New Yorkmetropoli, nel seme gigantesco di unamela piccina piccina piccina; fra letante ed altre sue dislocazioni sonocome: l’essere in lui nel West End ocorrere verso il Met. Sono anch’io fra i pochi che ascoltanoper essere ancora alba o in un giornopieno di imprevisti, così sono con ilmio apprestarmi a leggere del suosurreale. Mi diverte e sono fra i tanti pallonciniche esplodono, per bocca e per fiatodi Ignazio (Apolloni).Ti confesso che, l’Apolloni ho avuto lasorte di conoscerlo personalmenteper lettering in un laboratorio di pro-vincia, in una cittadina del nord lec-cese, a Novoli, in quel LPN di EnzoMiglietta, ma non per la scelta dei solicaratteri tipografici da utilizzare nelsuo e nostro essere poeti visivi. Il no-stro è stato, è il lettering del rinnova-mento nella Poesia monoglossica perla singlossica. Per lui in particolare,per noi, non è stata scelta di solotesto, né divagazione per altre pubbli-cità assordanti o tracciabilità cubitalida far stupire, né per essere rispec-chio di sole immagini. Nel lavoro, qualunque sia stato illuogo dove ci siamo fatti esplodere coipalloncini, si doveva rigorosamenteessere nel rifugio stesso del soffio,esplodere con essi e in esso. Il rumore, in quel silenzio era ed è nelrumore della Singlossia.Quanti i giorni di un febbraio non bise-

Ovvero: leggere se non è una passeggiata

Ignazio Apolloni e il suo doppio, ritratto di Nicolò D’Alessandro

La copertina del libro di Ignazio Apolloni

a cura delle edizioni Arianna

Page 9: Spagine della domenica 52 0

Ignazio Apolloni è nato a Palermo dove è ritornato, dopouna lunga permanenza a Torino, Roma, New York e Los An-geles. Memore di Berkeley e sulla scia del ’68 ha fondato,assieme ad alcuni altri arrabbiati, il movimento politico-let-terario denominato Antigruppo. Esauritasi questa fase hadato vita, unitamente a Rossana Apicella, ad una ferocecontestazione della poesia visiva in nome del lettering edella singlossia, producendo opere di tale genere come La-voro poetico su una locuzione avverbiale; Sketch poesie;Poesie Impossibili; Tra il dire e il mare c’è di mezzo la poe-sia: raggruppate poi nel volume Singlossie edito dalla No-vecento nel 1997. Su tutta la sua opera narrativa StefanoLanuzza ha composto la monografia “Dall’Isola Universale.Scrittura e voce di Ignazio Apolloni”, Edizioni Arianna, 2012.Per un parrofondimento della sua opera vi rimandiamo alsito di Edizioni Arianna

sto? Sì! Tanti sono i racconti surrealidi Ignazio (Apolloni) per le EdizioniArianna. Tanti i ghirigori per afferrare la memo-ria e immergersi nell’improvviso.” Dov’ero arrivato? Quanto manca allafine, e cosa ricordo di aver letto finoad ora?” (pag. 26) Questo è il suo surreale, essere il di-pinto in: “… foss’anche la punta delnaso di una mosca da colpire standoa dorso di un cavallo in corsa e men-tre tengo la pistola dietro le spalle.”Questa è la sua memoria, colpirenell’assurdo, come per l’incontro de-scritto con Franca Alaimo nel chioscodi Monreale, in un divertimento lessi-cale, fra un Orate frates e un Oratesoroses.Questo quel che sarebbe divenutoSinglossia, questo il sostare “nell’or-rendo” di un trabocchevole, questo ildimorare fra assi cartesiani da deci-frare nelle collocazioni dei punti di unfonosemantico, di un idosemantico, diun diacronico. Come vedi caro Ignazio, leggo passodopo passo e scrivo, m’appunto, dis-serto come la sua scrittura sulle “pro-porzioni poetiche”. Mi nutro di pescegotico, per le edizioni Geiger di Gior-gio Celli; ciclostilo in proprio le descri-zioni in atto di Roberto Roversi; recitoanch’io gli sguardi i fatti e Senhal diAndrea Zanzotto; mi tuffo di corpo eanimo anch’io nel Laboratorio delleArti, in un Domenico Cara. (pag.37)Ora smetto di fare. Fine di un glober-trotter. Ho altro da leggere o meglioscrivere di Ignazio e voglio sottrarmida qualsiasi effrazione o meglio an-cora, dallo scassinare o ricavare il ve-rificare, trovare il contraffatto. Caro Ignazio, brandelli di fotolito im-presse sono da sempre pronti peraltre lacerazioni, per nuovi decollage,per altrettanti brandelli da collocarenel Palazzo della Penna in quel di Pe-rugia e in attesa di infrarossi da pro-iettare sui tanti Mimmo Rotella daindagare.Ignazio mi stupisce sempre nel suomacinare, dà opportunità a me chescrivo di trovarmi all’unisono nel sur-reale. L’Apicella, Rossana, me lo ha sempreadditato, descritto fra i poeti da co-gliere, al volo, come il lettering di un

fumetto colto o di un lettering situatofra “Pensieri Minimi e Massimi Si-stemi”.Ora, se mi consenti, viaggio ancoraper i racconti di Ignazio(Apolloni), è lìil Mito e mi diventa tapis roulant.Mio caro Ignazio, il Mito è anche il miocavallo e, il suo Arturo, quello del-l’Ignazio(Apolloni), è come fosse ilmio Alber(t)o, entrambi mostranoOpere da galleria per tele di Caravag-gio e Tintoretto. Sai bene ch’è difficile: “mettere ordinealle idee per tracciare un quadro ve-rosimile del personaggio.” (pag. 91) Fortuna vuole che il suo Arturo viva daturco e per nome ha Kabib e che vivanella dimensione onirica d’immaginemusico-visiva per una chitarra (reale)a firma di Giuseppe Chiari. Nel surreale però vi possono sostarefirme come sul retro delle tele del Ca-ravaggio e del Tintoretto. Il Barone di Münchhausen m’è parsoin quel racconto. Personalmente l’hotagliato a metà come il suo cavallo,ora può con quest’ultimo continuare anutrirsi all’infinito, come fa con i suoiracconti surreali e non solo, in quelch’è detto per: la scomparsa di Ettoree Andromaca. Sì, caro Ignazio, surreale è il ritrovarsinel metafisico di Giorgio De Chirico,in Caffè Greco, e poi sedersi a Trinitàdei Monti. Non farà specie nel sur-reale passare anche da Cosenza eammirare “la scomparsa” in quellasplendida collezione all’aperto.Il suo libro l’ho letto d’un fiato, tutto,nelle sue centonovantasei pagine, madi rimbalzo (pag. 132) ritorno a leg-gere, così, per averlo veduto sparatosu di una palla da cannone e con unmagnete in tasca per annullarne lagravità, sino ad Osaka. Caro Ignazio, sono stupito ancora,m’accorgo ora del palloncino e delsuo avere: (un’asticella ricoperta an-ch’essa di striscioline di lattine pienedi colore, in piena torsione). Michele Lambo le ha offerte a FrancoSpena come manciate di lettere.Spero siano come le mie, come que-sta mia divagazione. Un abbraccio. “Scagliare la pietra in un abisso” È

“sciogliere il sale nel mare”. (da,sketch-poesie)

della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0autori

L’opera di Ignazio Apolloni

www.edizioniarianna.it

Page 10: Spagine della domenica 52 0

spagine

Lavita èmera-viglia

di Alessandra Peluso

...Nella giungla della società il poetasi divincola, a tratti felice, altri fiero,altri ancora mansueto, ma mai sotto-messo né stanco del suo vivere...

La copertina di Monsieur L’Alchimistedi Mauro Ragosta

Page 11: Spagine della domenica 52 0

della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

N ella logica folle, quasischizofrenica, boicot-tando ogni struttura,gioca il poeta MauroRagosta sino a pene-trare negli interstizidella mente. Pervadee invade la poesia diRagosta, pone lo

scacco al più abile mago, scrivendo “Mon-sieur L'Alchimiste”, pubblicato nel 2010. Inquesto prezioso pamphlet poetico scorreun'energia creativa inconscia al di là delreale, coinvolgendo - da avanguardistaquale l'autore si dimostra - anche una vi-sione politica nelle sue poesie. I versi sono valorizzati da segni grafici cheformano acrobatiche figure, muovendo adelineare quella che è la poesia visiva, unapoesia che si esprime andando oltre l'usodella parola e servendosi dei simboli, com-prendendo tutti i sensi dell'essere e non es-sere umano. Una nuova forma di poesiasperimentale che maturerà in “Salento mio”(2014). In avanscoperta maneggia il verso, car-pendo i segreti più intimi di se stesso, delladonna, dell'universo. L'amore per lui è “balsamo dell'esistenza”,è “il desiderio di libertà”, è il bisogno di unavita e di colui che insegue un amore comeun segugio. Tenta di raggiungere ciò che gliè proprio, ciò che resta un mistero e allora“dopo la lunga / e faticosa salita, / eccoti fi-nalmente / di fronte al mistero, / senza or-pelli, / nudo e bello / guardi ad est / ti voltiad ovest / il probabile / equivale al possi-bile”. (p. 47). E nelle possibilità della vital'uomo, il poeta, Mauro Ragosta, compie ilviaggio, una sfida che pone a se stesso eal lettore, aiutandolo a orientarsi come unmarinaio, la rotta. Sono versi di natura inti-mistica, che non inducono alla sempliceautoreferenzialità fine a se stessa, ma a unidentificarsi con l'altro, a essere parte del-l'Universo come solo un eclettico alchimistasa fare.Allitterazioni, metonimie, anafore campeg-giano e attraversano il mare sconfinatodella poesia astrale di “Monsieur L'Alchimi-ste” che si paventa drammatica come nel“Riccardo III” poetato in modo sublime daShakespeare. Ecco sì, la vita è drammatica in alcuni mo-menti dell'esistenza, forse troppi, pare dirciRagosta, e come il poeta statunitenseEdgar Lee Masters - al quale ha dedicatoanche dei versi - oltrepassa il destino, piùdolce, a volte, del dormire.La poesia è distacco, lontananza, assenza,separatezza, malattia, delirio, suono, e so-prattutto, urgenza, vita, sofferenza. Èl'abisso che scinde orale e scritto. (CarmeloBene). Da questo abisso Ragosta si tiene lontano,esaltando la magia della vita nella sua piùelevata profondità anche in una stagioneapparentemente decadente come l'autunoo fredda e penosa come l'inverno: «Iocome la natura / in autunno, / con le giallefoglie, / che cadono / sotto un cielo bru-moso. / E sì, / mesto mi ritiro / per affron-tare / l'inverno conio, / crogiuolo incantato

/ là dove si compie la magia della vita /nella sua massima profondità». (p. 57). Senza inganno, prosegue, dunque, il per-corso poetico di Mauro Ragosta nel 2012con la pubblicazione di “Diletti e Delizie”,una silloge che pare si contrapponga al-l'opera di Dostoevskij “Delitti e Castigo”.Così magistralmente batte sul prosceniodel nulla la sua melanconica esistenza.Una sorta di panacea sono le poesie con-tenute in “Diletti e Delizie”, una cura per leferite che la vita pone e impone. Un doloreche mitiga servendosi dell'arte poieticadella poesia, o forse è la poesia che siserve del poeta, garantendogli una guari-gione sicura.Anche in questa raccolta i versi solfeg-giano, seguendo un ritmo alternato, a volteincrociato, altre contrapposto, spesso li-bero, stagliandosi su quel mare benignonel quale “il capitano”, ora “mercenario dimare, sempre impigliato in/ guerre nonsue”, si dimostra “un uomo chiamato a / di-fendere col cuore il proprio vascello, /quando la sorte lo richiede. (p. 33).Sul filo dell'esistenza, come un funambuloRagosta si regge sul verso, destreggian-dosi nei piaceri della vita, nella quale anchei dolori, come una sorta di alchimia, si tra-sformano in luce, in gioia e “la vita / quellavera / quella arancio / dove tutto è stuporee meraviglia / emozione intima / e / trionfodel cuore” (p. 39).

È una meraviglia la vita, un equilibrio dianime e corpi, un sostentare a morsiun'esistenza di sofferenza, senza mai vol-tarsi a capitolare, ad abbassare il capo oad ammainare le vele; il poeta in “Diletti eDelizie” scorge la certezza di esistere, pa-lesando una poesia sociale, politica, lastessa idea di poesia che manifestava PierPaolo Pasolini.Ecco, allora, Mauro Ragosta esprime inversi la sua idea di società, la funzionedello Stato, l'idea di libertà, incita ad unanon omologazione della gente perché “Dionon ama il conformismo / perché ci ha fattoopere uniche”, e non possiamo “essere pe-core consumistiche / incapaci e paurose diesprimersi / se non nella più becera omo-logazione / e / squallida imitazione / svuo-tate dell'essere”. (p. 53).Si paventa l'eco di Carmelo Bene che ago-gna la massa, affinché il singolo possatrionfare nella più folle distruzione del sog-getto che depone la volontà, s'ignora, nonsceglie il deserto.Certamente, neanche il poeta Ragosta hascelto il deserto, ma è possibile che loabbia attraversato come un signifcato hasuperato il significante per darne un sensoalla vita.E cosa c'è di bello, se non vivere? Un in-terrogativo che rimbomba a tal punto dasentir risuonare l'eco, intenso, acuto, lanci-nante. Vive il poeta e ne è consapevolesemplicemente perché il cuore batte, il san-gue scorre nelle vene, i desideri accendonole passioni, atte a motivare l'esistenza, e al-lora si legge: «Che cosa c'è di così perfetto/ se non sentire il proprio cuore che batte /e la vita, / con i suoi bizzarri desideri / e con

le sue folli passioni, / che scorre nellevene?». (p. 55). Mauro Ragosta dimostra di vivere e amarela vita esaltando la terra natìa, di contro apoeti come ad esempio Vittorio Bodini, Car-melo Bene, Antonio Verri, sebbene il Sa-lento non sia stato sempre generoso conl'uomo-poeta. Eh sì, questo connubio èpresente e onnicomprensivo nel libro dipoesia visiva “Salento mio”. In quest'opera sono coinvolti tutti i sensi.L'estremo lembo di terra ionica si sente, siassapora, si osserva e sconvolge, la-sciando a bocca aperta il lettore, visitatoredi questa galleria d'arte - appare un po'così - sfogliando il libro.Immagini e parole, foto e versi, il tutto con-dito con delicata e raffinata cura. Dietro aframmenti di paesaggio salentino, oculato,tipico di un attento osservatore, si celanoparole, brevi fraseggi, che rendono manife-sto il piacere nel vivere, gustando l'acre sa-pore della sofferenza.Il faro, l'ancora, i lampioni, il mare, la retedei pescatori, il fico d'India sono emblemidi un essere che - trovata l'essenza del sé- cerca di darsi, offrire un punto di riferi-mento, un ancoraggio, un modo per libe-rarsi dalla rete dei luoghi comuni, dallecelebri faziosità di un'omologata società. Irrompe col verso, stordendo lo sguardo diun'anima inquieta, che trova sollazzo nellemeravigliose immagini, pennellate dai co-lori vivaci e decisi.La poesia è vita, provoca forti battiti dicuore, fa rabbrividire, arrossire, coinvolge isensi così come avviene in “Salento mio”nel quale Mauro Ragosta esige la presenzadi immagini nel tempo che fugge, per cat-turarlo - in una dolce illusione - esplicitan-done il senso in poche parole, superandol'ostacolo stesso della parola. Ragosta è tenacemente convinto di speri-mentare la poesia visiva non più in augenel meridione da parecchio tempo. Econo-mista della parola e del numero, sostienela necessità di un Salento che deve evol-versi non solo culturalmente. È un “Salentod'Esportazione” come il titolo della piccolacasa editrice salentina, nella quale sonocontenute le soluzioni culturali innovativeda esportare, affinché questa terra noncontenga soltanto miriadi di incontri deiquali resta poco; ma produca, emani la fie-rezza dell'uomo contro ogni archetipo limi-tante e costrittivo.Nella giungla della società il poeta si divin-cola a vivere, a tratti felice, altri fiero, altriancora mansueto, ma mai sottomesso néstanco del suo vivere che da “MonsieurL'Alchimiste”, passando per “Diletti e Deli-zie, sino a giungere in “Salento mio”, si di-mostra fedele amante della sua patria ilSalento, per il quale combatte le battagliedi una vita. È valoroso come un capitano,solca i mari del Sud, senza mai perdere divista la meta.Raffinate creazioni poetiche che sembranoessere un ponte tra sé e gli altri, dialo-gando con la vita.

Excursus della produzione poetica di Mauro Ragostapoesia

Page 12: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

Èprobabile che siano stati gli Iddiidella lettura a condurmi dalleparti di Congo del belga DavidVan Reybrouck. Sulla mia scri-vania circolavano da un po' ditempo La sofferenza del Belgio

di Hugo Claus, e il Congo è stato una coloniabelga; Gli anelli di Saturno di W.G. Sebald, eun capitolo di questo libro fascinoso è dedicatoa Conrad e a Sir Roger Casement che hannodenunciato, verso la fine dell'Ottocento, lospietato sfruttamento coloniale da parte delBelgio; infine, l'autobiografia di Mark Twainche, nel 1905, pubblicò un atto d'accusa con-tro il re del Belgio Leopoldo II, il quale, a partiredella 1876, aprì alla colonizzazione dell’Africacentrale.Non potevo, dunque, non concludere con lalettura di questa magnifica storia del Congo.Un libro in cui tutto mi è apparso degno di at-tenzione, perfino la bibliografia commentata eragionata (lo ha notato anche J.M. Ledgardnella sua recensione sul “New York Times” del1 maggio 2014) e i ringraziamenti a fine vo-lume, di solito ridicoli e tediosi, ma che quisono quasi un racconto, nel racconto, dellagenesi pratica di questa storia del grandePaese africano.Il Congo ha una estensione di 2,3 milioni dikm2 e meno di mille km di strade asfaltate, lavita media di un congolese non supera i 45anni, la mortalità infantile è tra le più alte delmondo,le incalcolabili ricchezze del sottosuolosembrano una dannazione più che una bene-dizione; si aggiungano una geografia com-plessa, una biodiversità tra le più spettacolaridel globo, due fusi orari….La forma saggistica di Congo è capace di in-trecciare sia il dato storico alla narrazione deisingoli destini, sia le riflessioni personali all’im-pianto giornalistico (numerosissime sono le in-terviste rifuse nel libro). Con uno stile e unascrittura stratificati ed evocativi, Van Rey-brouck rende anche un dettaglio materiale, ilfarfallino di Lumumba, il copricapo leopardatodel dittatore Mobutu, la spada di Re Baldo-vino, veicoli di un significato storico. Tutti ele-menti che dimostrano l'attitudine umana diquesto archeologo e giornalista di Bruges, ecioè la capacità di cogliere, nella grande Sto-ria, le voci individuali di un intero popolo.Come il fiume Congo – semplicemente le

fleuve per i congolesi – accoglie centinaia diaffluenti prima di sfociare nell'Oceano Atlan-tico, così Van Reybrouck è in «cerca di ciò che

lettureDavid Van Reybrouck, Congo. trad. dal nederlandese di Franco Paris, Feltrinelli 2014

di Sebastiano Leotta

Ma il libro è anche un affollarsi di personaggi:Leopoldo II, Henry Morton Stanley, il negrieroarabo Tippo Tip, i missionari cristiani, i funzio-nari belgi, Patrice Lumumba carismatico e di-lettantesco, l’egocentrismo patologico diMobutu, ma anche il primo ciclista congolese,il fondatore della religione kimbanguista,Simon Kimbangu, i musicisti dell'African Jazzautori del pezzo musicale più famoso di tuttoil Congo, Indépendance cha cha. E, ancora, il mondo congolese: le sue molte-plici lingue come il lingala, lo swahili, il ki-kongo; le sue tribù (bakongo, baluba, tutsi,ecc.) e le città, soprattutto Kinshasa, autenticotermitaio di 8 milioni di abitanti…Uno degli aspetti più incisivi di Congo sono lepagine sulla cosiddetta tribalizzazione. Attual-mente vaste zone del Congo, come il Kivu,dove sono concentrati i maggiori distretti mi-nerari, sono dominate da milizie paramilitari dietnia tutsi in rivolta contro l’autorità dello statocentrale come l' M23 o il CNDP del signoredella guerra Laurent Nkunda. Difatti il Kivu èsottratto all'autorità di Kinshasa: le violenze ei crimini contro popolazioni inermi non si con-tano. Apparentemente sembra una guerra fratribù ma, come cerca di dimostrare Van Rey-brouck, la “coscienza tribale” è un effetto deldiscorso coloniale ottocentesco: «Ciò non si-gnifica, scrive l’autore, che non ci fosserostate tribù, ovviamente sì […] adesso peròquelle differenze venivano ingrandite e fissateper sempre. Piovevano stereotipi. Le tribù nonerano comunità rimaste immutabili nel corsodei secoli, lo diventeranno nei primi decennidel Ventesimo secolo».Nel caso del Congo, e del Ruanda, le societàetnografiche belghe isolarono, quasi in vitro,alcuni caratteri originali di una tribù opponen-doli a quelli di un’altra tribù. La manipolazionedell’appartenenza etnica è diventata semprepiù un elemento chiave dei conflitti in Congo.E i primi a comprenderne l’alto potenziale di-struttivo sono stati proprio gli attori belligeranti.Politici, militari, uomini d’affari, miliziani e traf-ficanti sono stati capaci di nascondere, dietrol’illusorio scudo etnico, obiettivi e interessi chevanno ben al di là dei cosiddetto “odio tribale”Quando si tratterà di appropriarsi e saccheg-giare coltan, tantalio , stagno e rivenderli ille-galmente alle multinazionali, si riscopriràl’appartenenza etnica solo come pretestoconflittuale. In Congo bellezza e dolore umano vanno dipari passo, sembra dirci Van Reybrouck. Daquelle parti, come scrive Badibanga, un poetacongolese degli anni Trenta, «la Rėve etl’Ombre étaient de très grands camarades».Ultime notazioni. La traduzione italiana è nellacollana “Varie” di Feltrinelli, il libro ha più di650 pagine, è incollato con poca perizia etende a sfasciarsi durante la lettura; la miacopia è oramai a pezzi. Sarebbe stato utile in-serire alla fine del libro una sintetica cronolo-gia storica congolese, soprattutto degli ultimicinquant’anni. Anche questo significa farebuona editoria.

finisce raramente in un testo, perché la storiaè molto, molto di più di ciò che si scrive […]volevo intervistare delle persone, non neces-sariamente personalità influenti, ma individuisegnati dalla Storia con la S maiuscola». Unaimmensa epica fluviale.Congo è il racconto di un continente nel con-tinente, è il racconto di un Paese che è grandecome l'Europa occidentale provvisto di straor-dinarie ricchezze naturali e anche umane,direi. Dall'avorio e dalla gomma ai quattro mi-lioni di deportati che divennero schiavi tra ilXVI e XVIII secolo; dal rame al coltan, dai dia-manti all'uranio e al cobalto del presente.Come immaginare la nostra modernità senzale risorse del Congo?Senza coltan, per esempio, niente smar-tphone, tablet, tivù a schermo piatto, pc por-tatili…Congo copre un arco temporale amplissimo.Si parte dalla storia del Congo precedenteall’arrivo degli occidentali e alla colonizza-zione belga (paternalistica e spietata e tuttaviamodernizzante) da parte di una nazione eu-ropea ridicolmente minuscola rispetto allagrandezza del Congo (85 volte più grande), esi continua con la narrazione dell'indipen-denza, confusa e terribile, del 1960, (centralel’assassinio di Patrice Lumumba, nel 1961, ilprimo capo del governo del Congo libero). Ilcaos postcoloniale culminerà nella dittaturagrottesca di Mobutu (1965-1990). Van Rey-brouck conclude, infine, con la storia più re-cente: le due guerre del Congo tra il 1996 e il2002 con più di tre milioni morti, l’attuale pre-sidenza dei Kabila, padre e figlio e con il neo-colonialismo soft della Cina.

Congo

Page 13: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0c’era una volta

Questa è una storia che ini-zia con “C'era una volta”Lupiae, la contea fondatada Roberto il Giuscardoche ne fece uno dei luoghidi riferimento della cultura

cavalleresca. E dopo le varie dominazioniche non hanno oppresso ma tanto amato,nel XV Lupiae divenne il fulcro culturaleche avrebbe caratterizzato tutto il Salento.Era il Rinascimento. Ancora oggi Lupiae è capace con la suamagia di attrarre persone e luoghi. Di questabellezza restano stanze di memoria cheogni tanto affiorano per quel caso e perquella sorpresa che rende straordinaria lagente che abita questa città oggi chiamataLecce. Era il '98 del secolo passato, e camminandonei pressi della Basilica di Santa Croce,c'erano strane orme che ti conducevano inun luogo chiamato “Corte della Misericor-dia”.Sorrido pensando che chi legge non potràtrovare questo luogo sulla cartina della città.Non una delle tanti corti che rendono bellequeste nostre vie che sanno alzarti losguardo verso un cielo di azzurro infinito everso lune saracene, “Corte della Misericor-dia” è un luogo che esiste solo nella memo-ria di chi lo visitò. Nacque per casodall'anima di uno dei tanti viaggiatori cheuna volta guardato il nostro cielo invece diproseguire il loro viaggio per un po' si fer-mano e per quel che basta, mai abbastanza,donano frammenti di magia. Quel viaggia-tore era Davide Nettuno, di passaggio traqui e altre terre. Napoletano per nascita ecittadino del mondo per vocazione portòpassione, abilità e sogno per i figli che que-sta terra avrebbe generato. “Corte della Mi-sericordia” era un piccolo laboratorio disogni per bambini dove Nettuno dalla suaanima al cuore di un bimbo costruiva giocat-toli in legno forse per regalare l'opportunitàdi fare un’esperienza diversa e così dev'es-sere stato se penso a quanti negli anni mihanno raccontato con il rimpianto nel cuoredi quel laboratorio.Davide aveva solo venticinque anni quandoper per una via di Napoli, sempre tra unviaggio e l'altro, magari anche tra una vita el'altra, rimase folgorato dinanzi alla vetrina

Corte della misericordiadi Rosanna Gesualdo

di un artigiano che costruiva giocattoli inlegno. In quel momento decise chel'avrebbe fatto anche lui. Non essendo unimprovvisatore da quel momento trascor-sero ben quindici anni di studio e approfon-dimento prima che fosse pronto perfabbricare i suoi giocattoli. Nacque così“Corte della Misericordia” e così molti deinostri bambini ebbero accesso a uno spaziodi sogno e ne divennero protagonisti asso-luti.Erano mani sapienti quelle di Nettuno, ca-paci di trasmettere tutta la sua passione inun pezzo di legno. Dalla passione dell'Arti-giano al cuore di un bambino che avrebbepotuto creare il proprio mondo e scrivere asua volta un'altra storia, la propria, con“C'era una volta....” Ora c'è che dopo ven-t'anni di assenza Davide Nettuno, ancorauna volta di passaggio incontra il nostrocielo, il caldo intollerabile delle nostre estati

torride, lo scirocco che spezza il respiro el'amore che ognuno di noi rincorre per unavita intera e al di là della stessa. Riamatocon la medesima passione da una tra le “fi-glie” più controverse e impegnate sul frontedell'ardore culturale di questa nostra terra,invece di proseguire il suo viaggio decide direstare. Resta con un nuovo progetto, conla promessa di una nuova magia scegliendoancora una volta il legno come suo com-pagno di viaggio. A un'intervista ancora dice no, schivo comeun tempo, fedele a quel pudore delle emo-zioni che in lui diventa passione dell'agire.Cosa tanto nota quanto cara a chi dell'agiresu questa terra né ha fatto vocazione al dilà di tutte quelle brutte e sporche “lungag-gini” che come una presa al collo tolgono ilrespiro. Per fortuna siamo terra di guerrieriche trova la sua forza nel dire ancora: “C'erauna volta....”

Page 14: Spagine della domenica 52 0

Per difendere la bellezza

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0in agenda

Il 29 novembre 2014, a partire dalle ore 16, a Brindisi prenderà ilvia la manifestazione pubblica Save Torre Guaceto: tutti i cittadiniscendono in piazza e invitano alla mobilitazione civica, artistica,poetica, studentesca, istituzionale, di legalità, di cultura, di azionee di pensiero per dichiarare con forza il proprio dissenso.

Le sorti della Riserva di Torre Guaceto sono appese a un filo d’acquache dal 26 settembre sfocia nel cuore dell’Area Marina Protetta. Un filod’acqua che pesa ben 5000 tonnellate al giorno di scarichi fognari pro-venienti da due comuni della Provincia di Brindisi. Uno filo d'acqua ab-norme che non potrà far altro che gonfiarsi ulteriormente con le fortipiogge della stagione autunnale. La Regione Puglia e l'Acquedotto Pu-gliese hanno autorizzato il depuratore di Carovigno allo scarico nel Ca-nale Reale che sfocia nella zona Riserva di Torre Guaceto, unico pezzorimasto incontaminato e trainante per l'economia, nel territorio brindi-sino.Lo scarico rappresenta il primo collegamento industriale che si allacciaalla Riserva dopo vent’anni di apparente pace per la tutela dell’area; èun brutto pasticcio istituzionale, tecnico e politico attorno al quale Re-gione Puglia e Acquedotto Pugliese girano a vuoto da vent’anni chiu-dendo il cerchio con il disastro degli ultimi mesi. Lo scarico rappresentala voragine di sperpero di denaro pubblico. Cifre da capogiro per unpaese dove intanto crollano le scuole e la politica diviene esercizio dipromesse e parole senza fiato, chiacchiere allo stato puro. È una precisae ragionata manovra che cancella tutte le prove del crimine ambientale.Eppure Torre Guaceto sarà il manifesto del mare protetto d’Italia all’Expo2015, rappresentando il modello di equilibrio tra agricoltura, pesca e tu-tela degli ambienti naturali per lo Stato Italiano. Una vera beffa.Uno sfregio a quello che di buono, con il lavoro di decine di anni, un in-tero territorio produttivo, turistico e culturale è riuscito a costruire intornoa Torre Guaceto, un’offesa meschina ad un ideale di bellezza, cura e cit-tadinanza che in questa terra vive sotto le ceneri di un'area martoriatafino alle profondità del sottosuolo.Di contro abbiamo l’unica cosa positiva di questa brutta vicenda: la forzadi migliaia di cittadini anonimi e comuni che da mesi, e da tutta Europa,

si sono incontrati e riconosciuti in una mobilitazione contro lo scarico inmare, che pretende il rispetto per chi non è più disposto a sopportareanche quest’ultimo saccheggio. Cittadini che non vogliono fidarsi ancorae non voglio perdere anche Torre Guaceto.Per questo, tutti i cittadini scendono in piazza e invitano alla mobilitazionecivica, artistica, poetica, studentesca, istituzionale, di legalità, di cultura,di azione e di pensiero, il 29 novembre 2014 a Brindisi, per una manife-stazione che dichiara con forza:- che non ci bastano e non crediamo alle soluzioni d’emergenza da at-tuarsi in quattro mesi (a partire da ottobre) promesse da Regione ed Ac-quedotto e che costeranno 800.000 euro;- che Torre Guaceto e la bellezza ancora custodita nella nostra terra nonsi toccano;- che noi non ci riconosciamo in questa gestione prevaricante, dannosae cieca;- che la Regione Puglia e la sua Presidenza devono chiudere subito loscarico nella Riserva.

Di seguito gli altri appuntamenti in programma per novembre:sabato 22 novembre, ore 15,00Punta del Serrone, Litoranea Nord BrindisiAlberi di pace e controventoAspettando la manifestazione per Torre Guaceto del 29 novembre, sipiantano gli alberi promessi dello spettacolo Storia d'amore e alberi nel-l'ambito del progetto Un bosco in Paradiso. Un'azione pensata per nutrirela bellezza e l'impegno contro l'inciviltà e la distruzione proprio dove lastupidità ha distrutto quello che di buono si sta costruendo nel territoriobrindisino. Vieni a piantare il tuo alberodomenica 23 novembre, ore 16,00Piazza 'Nzegna, CarovignoLa festa della torreIn programma, nella piazza centrale di Carovigno un appuntamento conl'arte dedicato ai più piccoli e a tutta la famiglia. Il programma, in fase diaggiornamento, prevede, performance artistiche, lettura di fiabe e labo-ratori per bambini.

Il 29 novembre a Brindisiuna manifestazione in difesa di Torre Guaceto

Page 15: Spagine della domenica 52 0

La rassegna “Special Guest Writers” ideata e curatada H24 FabrìKa venerdì 21 novembre, alle 20.00c/o la sede di H24 FabrìKa in Vico Dietro SpedalePellegrini, 29/a – Lecce propone “1970-D'Amoree Rabbia” un reading poetico in cui la scrittura diRosanna Gesualdo incontra i versi di Luigi Indrac-

colo.“1970-D'Amore e Rabbia” è un canto a due voci quella delpoeta Luigi Indraccolo e di Rosanna Gesualdo scrittrice, criticae curatrice d'arte. Una sorta di “lotta” in cui la parola insiemead emozioni e vita vissuta diviene protagonista assoluta.Una scrittura la loro scevra da compromessi che non manda adire ma che talvolta sa rimandare al mittente. Provocatoriacome i due interpreti, che nulla hanno a che spartire con la“bella” società del perbenismo. Perché ai nostri la tipica fami-gliola in perfetto stile “Mulino Bianco” non va giù neanche ad-dolcita da mugnai e gallinelle. Perché ai nostri il meccanismostritola pensiero del “produci-consuma-crepa” non garba. Entrambi nati nel 1970, belli sani e di alto lignaggio, sotto unabuona stella come si direbbe, che nel periodo dell'adolescenzasarebbe stata parzialmente oscurata dal loro particolarissimomodo di sentire e guardarsi attorno. Entrambi ribelli, da sempre e per sempre irriverenti nei con-fronti delle ipocrisie del buon vivere, insofferenti alle regolesenza ragione, Luigi e Rosanna si conoscono da ben ventisetteanni. Al di là dei viaggi e della vita vissuta altrove, il tempo e lascrittura segnano il passo della loro amicizia.

editoria indipendente / poesia

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0in agenda

D’amore e di rabbiaH24 Fabrìka: per Special Guest Writers Rosanna Gesualdo e Luigi Indraccolo

Il ragazzodalla faccia pulita

http://www.villaggiomaori.com/catalogo/#!/Elio-Ria-Il-ragazzo-dalla-faccia-pulita/p/44007437

Un tempo fatto di segni, cicatrici e riscatto, una scrittura che disangue proprio è interprete e cantore. Sangue vivo spremuto dalproprio cuore, non potrebbe che essere così per questi due poetiche non hanno mai piegato la testa davanti al compromesso.“1970-D'Amore e Rabbia” è dunque il gioco di quei due bambininati nel 1970, il loro tributo a se stessi, alla parola che sa fermarel'attimo e salvare la vita. Attestazione del vero, dito puntato controi “mercanti nel tempio” e al contempo un dolcissimo canto diamore nei confronti dei propri compagni di vita.

“Nel terzo millennio si avverte l’assenza del poeta, del sognatore, del pazzoispirato. La poesia è stata estirpata, non attrae più nessuno, se non nei casidi commemorazione. Non un canto riesce a sconvolgere un’alba: si odonovoci rauche». È a partire da queste considerazioni che Elio Ria ha inteso ri-comporre un affresco del «poeta maledetto” che lo libera da quel tratto ma-linconico dominante, restituendoci un’immagine finalmente diversa di Arthur

Rimbaud. Attraverso una narrazione emozionale della sua vita, dei suoi viaggi, deisuoi incontri e della sua poetica, riscopriamo un «ragazzo dalla faccia pulita» che nonpuò smettere di appassionare e ispirare nuove generazioni di poeti e di amanti dellaparola.

ISBN: 9788898119332Pagine: 158

Prezzo: €14,00per acquistarlo clicca sotto...

Da Elio Ria un saggio su Arthur Rimbaud

Page 16: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0

Teo Ciavarella è un notopianista pugliese chevive da anni a Bologna.Attualmente è docentepresso il Conservatoriodi Musica G. Fresco-

baldi di Ferrara e nel suo curriculumsi leggono svariate collaborazionianche con personaggi famosi nelmondo dello spettacolo. ‘Il Piano B’ èil libro scritto da Ciavarella e rivolto achi vorrebbe imparare a suonare edimprovvisare. Un metodo sempliceed efficace per rendere il linguaggiodella musica accessibile a tutti.Maestro Ciavarella, come è natal’idea di scrivere Il Piano B?Io faccio seminari estivi da diversianni, sia per persone adulte maanche per bambini. In tutti questianni ho sperimentato delle cose cherendono la musica più fruibile per chivuole avvicinarsi al mondo della mu-sica senza essere immediatamentetravolto da note musicali, scale, teo-rie che portano ad abbandonare. Laforza di questo libro sta nei video cheentro la fine dell’anno saranno pub-blicati tutti su Youtube. Chi legge illibro, pagina per pagina, può avereproprio un riscontro sonoro e consiglidi come sviluppare l’esercizio.Il libro è stato scritto solo per chinon conosce la musica?Non proprio, è stato scritto principal-mente per chi parte da zero, inveceper chi già conosce la musica puòtrovare degli stimoli oppure può es-sere preso come spunto didatticodagli insegnanti di musica nellescuole medie.Questo manuale, per chi non hamai letto la musica, potrebbe risul-

tare difficile?No perché le risposte si trovano neivideo dove gli esercizi vengono suo-nati e spiegati.Perché ‘Il Piano B’?Nel senso che è una via alternativaper chi volesse iniziare a suonare. E’chiaro che poi chi volesse approfon-dire deve studiare il percorso com-pleto fatto di teoria ed armoniamusicale.Nella parte finale del libro ci sonodegli esercizi di improvvisazioneutilizzando i nomi di persone…Quando eseguo questi esercizi du-rante le presentazioni sembra unasorta di rito magico perché ogni per-sona ha una storia da raccontare esoprattutto ognuno dentro di sé hauna melodia.Come è nata la passione per lamusica, in particolare per il jazz?Sono nato in un paese dove la mu-sica tra i miei coetanei era una pra-tica molto diffusa quindi fin da piccoloho sempre suonato. Quando ungiorno mi regalarono il pianoforte mialzavo la mattina e mi mettevo a suo-nare tutto il giorno. Mio padre poiascoltava molto la musica jazz e miamadre era una cantante, quindi nellamia casa la musica era importante.Agli inizi degli anni ottanta mi sonotrasferito a Bologna per l’universitàed ho passato le serate a suonare ingiro conoscendo tanti artisti bolo-gnesi.Maestro lasci un messaggio a chiè interessato a leggere il libro...Ringrazio molto chi lo leggerà. Speroche piaccia e soprattutto che vengatravolto dalla voglia di fare musica edi improvvisare.

La musica accessibile di Teo Ciavarella di Alessandra Margiotta

Page 17: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0in agenda

Page 18: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0ritratti

di Giuliana Coppola

Afferrare il soffio

Dell’Armonia, della Car-men e d’un quarto statoma di fiori…già, l’Armo-nia; ora la vado cer-cando e mi ricordo d’untratto che non è che

devo cercarla io, l’Armonia; è lei che miviene incontro, andando, nelle cosetutte che mi circondano, a patto che sudi loro io fermi sguardo e attenzione.Oggi è il “quarto stato”, di Volpedo e deifiori della Carmen; non l’avevo mai pen-sato, ma esiste anche questo, il quartostato dei fiori, a Lecce e, se giro l’an-golo di Santa Croce, ne sento il pro-fumo ed è primavera eterna comeeterno è il sorriso dell’arte. Giorni dipioggia, lunghi; sento davvero che pe-netrano nell’anima e non so come di-fendermi perché sono continuecontinue le lacrime del cielo sui mali delmondo. Eppure , mi piace tanto la piog-gia, ma ci sono momenti e momenti eora che neppure è iniziato inverno e do-mina scirocco d’autunno, ho bisogno diprimavera, di soffio di vento leggero (ri-cordi Salvatore Toma?), o di vento forteche spazzi via nuvole e asciughi la-crime.E vado, anche se piove, e mi piace-rebbe sentir dietro passi di gente cheavanza con me, che mi dà la spintaperché sfida scirocco, così andandoavanti tutti insieme ché lunga è la

strada; poi mi volto e non vedo nes-suno e dico “son sola” e invece ritrovola Carmen e c’è la sua primavera e c’èil quarto stato, un uomo, una donna, unbimbo in braccio, e ancora, accanto, in-torno, in ogni frammento di spazio, ilsuo quarto stato, quello del suoi fiori,che mi viene incontro e sa di carta e dicolla e di colore ed io non distinguo sesono viole e primule o girasoli ed iris egelsomini e rose, una prima, una se-conda, una terza fila che avanza; boc-ciolo di rosa a dirigere passi sicuri e loso, lo sento che sono una forza, chehanno la forza del bello, del fresco, delnuovo; respirano; sono la vita. Poi hocercato la definizione, quella giusta enon l’ho trovata in me; me l’ha sugge-rita d’un tratto un maestro di violino trale pieghe d’un film “La vita è un soffio,la vita è un respiro, la vita è un sospiro;l’arte è afferrare il sospiro della vita”.Ecco Carmen, la Carmen Rampino, echi altro se non lei, nell’angolo di SantaCroce a Lecce, afferra con l’arte sua, ilsoffio, il sospiro e il respiro della vita ecrea con l’arte sua un quarto stato an-tico e giovane, insieme, un secolo rac-chiuso in un profumo di carta, di colla,di colore che scaccia inverno ed è pri-mavera di viole o primule, chissà, men-tre acqua di pozzanghere infinite arrivaalle caviglie e non m’importa nulla,tanto sorride angolo azzurro di cielo.

Page 19: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0racconti salentini

Per il ragazzo di ieri che scrive, le reminiscenze colle-gate al Natale sono naturalmente molteplici, siacome numero, sia come genere e contenuto: circo-stanze, azioni, vicende e sensazioni indubbiamentepregnanti, ma, per la verità, nient’affatto trascenden-tali. Nella mia lontana infanzia, la festività della ve-

nuta al mondo del Bambinello aveva la sua configurazione centralenell’allestimento in casa, per opera materna, di un piccolo e rudi-mentale presepe, fatto di vecchi cartoni modellati a grotte e mon-tagnole, colorati di vernici e, alla fine, ricoperti di muschio e dipolvere di calce. Nella stalla della nascita, le tradizionali statuinedel Pargolo e, intorno, la Madonna, S. Giuseppe, il bue e l’asinello,con la graduale aggiunta, quando le finanze familiari lo consenti-vano, d’altre effigi, vale a dire Magi, pastori e pecorelle.Momento religioso fondamentale era la Messa di mezzanotte, conil Salvatore portato in processione lungo il perimetro interno dellachiesa – oddio, fredda quasi come la grotta di Betlemme, e perònessuno sembrava curarsene – gelosamente nella mani del vec-chio Parroco, preceduto da uno stuolo di bimbe e ragazzine vestitedi bianco e con elementari coroncine sul capo, a guisa d’angeli,frutto, l’insieme, delle amorevoli cure della signorina Nena.I regali per i piccoli a casa? Molto poveri e spartani, come i doni re-cati a Gesù, vale a dire una pigna e un’arancia a ciascuno. A tavola,niente panettoni o torroni (prodotti del tutto sconosciuti nel paesenatio), ma solo una coppa di pittule bagnate nel miele e qualchealtro semplice dolce, sempre di preparazione materna.Prerogativa tipica del pranzo, poi, le letterine scritte dai già scolarie infilate sotto il piatto del papà, recitanti, in poche righe, montagned’impegni e promesse che però, di solito, non avevano attuazioneconcreta, eppure abituavano al concetto dei buoni propositi.Intanto che si mangiava, ogni anno, puntuale come un orologiosvizzero, si materializzava il passaggio per strada – a cavallo di unabici sgangherata recante una sporta di vimini appesa al manubrio

– di un omino proveniente da un piccolo centro del Capo di Leucadistante una decina di chilometri, il quale si annunciava con il grido– sospeso nell’aria, sincopato e sommesso – di “càrtine, pétrine!”(si ponga attenzione alla posizione degli accenti).Chiarendo, quel velocipedista venditore proponeva, di contrab-bando, rettangolini di carta sottili (cartine) raccolti in minuscole bu-stine, con cui era dato di fabbricare, privatamente e ovviamente inmaniera non lecita, le sigarette, affrancandosi, in tal modo, dal-l’onere di acquistarle dal tabaccaio. Inoltre, microscopiche pietrine,cilindretti di cerio e ferro, che, a, loro volta, inserite negli accendini,generavano, con il semplice sfregamento, le scintille sufficienti ainfuocare e accendere le sigarette, come anzi arrotolate a mano;così, si risparmiava anche l’acquisto dei mitici zolfanelli.Veleggiando sulle onde del tempo, fra le date del Natale che mihanno lasciato dentro le impronte più profonde, mi sovviene il 25dicembre 1965, con mia moglie e Pier Paolo appena arrivato, equello immediatamente successivo, orfano del sorriso della mia an-cora giovane mamma.Quindi, agli sgoccioli dello scorso millennio, il Natale che, appenasveglio, ho voluto dedicare, prima ancora che a qualunque altrapersona o atto, alla visita in ospedale a un amico sottopostosi a undelicato intervento chirurgico, al quale, nell’occasione (unica voltanella mia vita), mi sono peritato di radere la barba. Intanto che vadoriferendo quest’ultima scena, credo che il mio amico, da lassù, midica ciao con un sorriso.Infine, il Natale 2005, contraddistinto, oltre che dalla consueta riu-nione di tutta la famiglia d’adulti, anche dalla presenza del mioprimo e diletto nipotino Paolo (nel frattempo, si sono aggiunti Gaia,Andrea, Elena ed Ester).Ho riferito una piccola sequenza di ricordi natalizi lontani e recenti,forse fuori dagli abituali schemi, se non, addirittura, completamenteatipici: di ciò, chiedo umilmente venia, assicurando, a ogni modo,che, nell’esprimere queste righe, ci ho messo il cuore.

di Rocco BoccadamoCose del natale

Page 20: Spagine della domenica 52 0

spagine della domenica n°52 - 16 novembre 2014 - anno 2 n.0teatro

COPERTINA

L’avevamo incontrata all’indomani di“Io non sopporto niente e nessuno,nemmeno Spoon River”. Era il2012. Sono passati poco più di dueanni e torniamo a parlare di “Io ciprovo”, il percorso teatrale labora-

toriale coordinato da Paola Leone e rivolto ai de-tenuti della sezione maschile della Casacircondariale Borgo San Nicola di Lecce.In realtà quello che allora era solo progettualitàè andato oltre il termine della laboratorialità, finoa diventare una vera e propria compagnia di at-tori: «Il lavoro non si è mai fermato - spiega laregista - Ho continuato a costruire intorno a noifiducia e relazione, non solo con i detenuti, maanche con la direzione, la polizia penitenziaria ela popolazione fuori».Le ore da dedicare al percorso sono aumentate,fino a dar vita ad una vera e propria consuetu-dine nel tempo del carcere: i momenti per leprove ma anche la trasformazione del personaleinterno, che da sonnecchiante spettatore è di-ventato vero e proprio pubblico. Moltissimianche coloro che hanno deciso di andare oltrele mura, in questi anni, per assistere alle rapre-sentazioni e a “Ubu R1E”, il cortometraggio diMattia Epifani presentato l'anno scorso alle Ma-nifatture Knos di Lecce.La prossimità con l’evoluzione di questo pro-getto non può non attestare l’entusiasmo deisuoi protagonisti (fra cui anche l’aiuto regista An-tonio Miccoli). «L’entusiasmo mi piace – spiegala coordinatrice – ma ho visto tante persone spe-gnersi subito, e quindi preferisco dire che sem-plicemente amo questo lavoro perché nonposso farne a meno. È il privilegio della sco-perta. La condivisione della lettura di un testonuovo con altre 20 persone e il tentativo di rac-contarlo senza avere un modello in testa. E que-sto per me è bellissimo».L’ultimo testo esplorato è “La panne” di FriedrichDürrenmatt, modellato insieme fino a diventare“L’ultima cena di Alfredo Traps…”.«Un testo che ho incontrato per caso ma che hodeciso di proporre perché sembrava moltoadatto a mettere in scena il diritto e la giustizia.Un diritto e una giustizia molto diversi da quelliraccontati dal diritto e dalle istituzioni… Ma il tea-tro e l’arte hanno questa funzione: rimescolarele carte e riattivare possibilità rimosse permet-tendo di vedere il possibile nell’impossibile».Ecco dunque come nasce l’osservazione di

di Paola Teresa Grassi*

http://www.klpteatro.it/lultimo-sogno-di-traps-per-una-sera-fuori-dal-carcere

alla narrazione in maniera quasi sognante, com-plice la bravura di chi la agisce, facendo dimen-ticare d'essere di fronte a una compagnia di eximputati ora detenuti – quello stare ‘comodi’ nellamodalità teatro che molto assomiglia a quell’es-sere ‘come in una favola’ che il protagonista (in-terpretato da un attore-detenuto) afferma ad uncerto punto; d’altra parte il testo continuamentericorda l’identità di imputato (potenzialmente de-tenuto) di colui che agisce la rappresentazione(l’attore-detenuto) e che inevitabilmente ridestada quella illusione momentanea – il microfonoda tribunale, la tattica processuale, ‘Ma io nonho commesso nessun reato!’, ‘Un reato lo sitrova sempre…’).L’illusoria sensazione di sicurezza, quel ‘sentirsial sicuro’ di fronte alla giustizia (incarnato dagliaffabili ex giudici che mettono in scena i loro an-tichi mestieri), viene riprodotta in scena e coin-volge l’osservatore su questo duplice registroemotivo. Una dinamica che molto bene conoscel’imputato-detenuto qui (anche) attore.Chissà che prima o poi non arrivi una tournée e,magari, anche un teatro nuovo all’interno delcarcere dove poter provare ogni giorno, capacedi diventare ambiente permanente della forma-zione oltre che occasione di lavoro concreta perchi ‘dentro’ abita. «Un teatro ‘aperto’ alla città».

L’ultima cena di Alfredo Traps…tratto dal racconto La panne di Friedrich Dürrenmattcon: Gjeli Luftar, Alessio Pallara, Giuseppe Ballabene,Gertian Zaho, Gaetano Spera, Maurizo Mazzei, Marco Er-rini, Francesco Chiarillo,Pierluigi Bolognese,e la straordinaria partecipazione di Luca Pastoreprogetto e produzione: Factory Compagnia Transadriatica,Io ci Provoideazione e regia: Paola Leonedrammaturgia: Mariano Dammaccoassistente alla regia e non solo: Antonio Miccolicostumi: Lapi Louscenenografia: Luigi Conte e Paola Leonecostruzione scenografie: i falegnami-detenuti sezione ASe il loro mastroluci: Davide Arsenioprogetto grafico: Simone Miri e Francesco Maggioreriprese video e foto: Mattia Epifani

quella che forse è una ‘panne’ nel funziona-mento di quel meccanismo di riflessione sul mo-mento presente che è il pensiero critico.La dimensione del paradosso quasi surrealeesplode molto bene nella resa di questo co-pione presentato in quattro repliche lo scorsoaprile in carcere, ma riallestito per una sera‘oltre le mura’ al Teatro Paisiello di Lecce (nuovareplica martedì 18 novembre).Una conquista importante, ma anche un conte-nitore adattissimo (il piccolo elegante teatro abi-tato per l’occasione da una folla di agenti) adarricchire in maniera quasi meta-teatrale l’origi-naria drammaturgia.L’intelligente ed interessante meccanismo infattioffre allo spettatore due diverse prospettive chesono anche due diverse tonalità emotive: dauna parte la rappresentazione, che porta dentro

da Krapp's Last Post

*

http://www.klpteatro.it

Martedì 18, alle 11.30, Paola Leone e la compagnia di Io ci provo,al Teatro Paisiello incontrano gli studenti dell’Università del Salento

La giustiziain scena