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spa gine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0

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I “pensieri” di Napolitano di Montonato, le cose di Natale di Boccadamo, il Bianco e il Nero di Buttazzo, il Vivere e il Morire di Ferraris, l’occasione della filosofia di Zoretti, l’abecedario con le sue immagini di Costantini e Marzioni, l’omaggio a Via Matteotti di Coppola , la poesia di Maria Rita Bozzetti da Pasca, la televisione tra realtà e finzione da Vincenti, la mostra di Leandro, la musica di Virtus da Margiotta, Mela Amara da Forcignanò, il teatro di Mario Perrotta da Ferraris, il Salento di Fiorillo da Grasso e i segni di Pisanello, il Kids festival, i concerti da tavola, la festa dei viandanti e i tipi da museo. Un numero ricco di pensieri e di inviti questo… Buona lettura e buona domenica!

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spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0

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spagine

Napolitano e la patologia dell’eversione

di Gigi Montonato

Per dirla in due parole Napoli-tano, con la sua allocuzione dimercoledì, 10 dicembre, havoluto denunciare l’antipolitica,condannandola come “patolo-gia eversiva”, e ha messo in

guardia gli italiani da quanti capipopolo, so-stenuti da giornalisti embedded, si spaccianoper i guaritori dal male procurato dalla poli-tica. La stampa di destra (il Giornale) ha par-lato di depistaggio; Grillo, che si è sentitochiamare in causa, ha minacciato querele. Lastampa di sinistra o sedicente indipendenteha plaudito al Presidente della Repubblica,se non altro per apparire all’opinione pubblicacome chi sta dalla parte giusta e buona. Io dico, senza riconoscermi in nessuna dellearee sopracitate, che Napolitano, ancora unavolta, ha visto giusto, anche se, per daremaggiore forza alle sue argomentazioni, nonha ritenuto di soffermarsi – ma forse non cen’era neppure bisogno – sui guasti della po-litica, che sono sotto gli occhi di tutti. La politica può essere una cattiva politica manon ha alternative; l’antipolitica può essereuna buona antipolitica, ma chi la rappresentaè sempre un improvvisato, un dilettante, unFetonte, quando non anche un fetente, cheambisce di guidare il carro del sole, con leconseguenze che il mito ci ha tramandato.L’antipolitico non ha né le conoscenze né lecompetenze né le capacità, le famose tre «c»sulle quali a scuola bisognava puntare, persaper individuare i problemi del paese e ri-solverli. Come antipolitici buoni si sono pro-posti fin dagli anni Ottanta i vari Bossi eBerlusconi, i Grillo e i Salvini. Conseguenze?Non c’è bisogno di aggiungere nulla a quantoabbiamo visto e vediamo. Gli stessi si sono,poi, rivelati peggiori dei politici. Perfino i co-siddetti tecnici, una variante dell’antipolitica,hanno dimostrato, con Monti e compagni, diperdersi fuori dalle quattro operazioni aritme-tiche. Peggio della politica, c’è dunque l’anti-

politica. Questo il messaggio di Napolitano.Certo, non è tutto qui il punto. La questione èassai più complessa. Ne discutono da anni ormai gli esperti, i co-siddetti politologi; i quali, per la verità, hannodimostrato di non avere le idee chiare nep-pure loro fuori da quelle che una volta eranole consolidate coordinate della politica e cheda qualche tempo sono andate a farsi bene-dire. Non è solo questione di politica cattivae antipolitica pessima; e perciò la crisi non sirisolve col codice penale, che pure giusta-mente s’invoca oggi più che mai contro ladri,furfanti, corrotti e corruttori. C’è una que-stione che travalica i confini dell’ordinario,quale l’abbiamo conosciuto negli anni dellarepubblica, sia pure in varietà di situazioni.Il politologo Francesco Tuccari ha diagnosti-cato (lo ha fatto in un saggio su “il Mulino”,6/14) un “disturbo bipolare” alla democraziaitaliana e più in generale ai sistemi rappre-sentativi. Per esemplificare, anche qui, i dueaspetti che minacciano la democrazia sono,populismo e globalismo, per un verso il cre-scente credito di cui godono i masanielli na-zionali, che sono visti dalla gente come gliunici in grado di far giustizia di tanti pluti ecerberi affamati, per un altro il crescente po-tere del mercato globale che di fatto vanificaogni decisione autonoma e obbliga anche ipiù determinati ad uniformarsi alle sue esi-genze. Una tesi, questa, che si scontra conla cosiddetta “democrazia del pubblico”, chesi esercita attraverso i massmedia e che hapreso il posto della democrazia del popolo,che si esercita attraverso i partiti. Teoria, que-sta, sostenuta da Michele Salvati e che ri-manda al politologo francese Bernard Manin. Non v’è dubbio che entrambe le teorie criti-che hanno un fondamento. Più catastroficaquella di Tuccari, più integrata quella di Sal-vati. La prima ci dice che la democrazia si stadissolvendo, la seconda che sta cambiandopelle. La seconda è più preoccupante della

prima, perché se il pubblico ha preso il postodel popolo vuol dire esattamente che la de-mocrazia non c’è più, che tutto dipende, inmaniera fluida da chi detiene il potere media-tico, ossia da chi crea il pubblico. La do-manda, a questo punto, è: ma i massmediachi rappresentano? Un popolo trasformato inpubblico, i partiti trasformati in emittenti egiornali, possono configurarsi come demo-crazia?Il politologo venezuelano Moisés Naím so-stiene nel suo libro «La fine del potere»(2013) che chi oggi detiene il potere anche aimassimi livelli in realtà non è in grado di de-cidere nulla, dipendendo da una serie di mi-cropoteri; e per un altro verso che il poterepassa rapidamente di mano. La crisi che stiamo vivendo noi in Italia rientracon le sue variabili specifiche nella più vastacrisi mondiale delle istituzioni politiche, spe-cialmente di quelle rappresentative. L’ideaperciò che tutto possa risolversi con l’inaspri-mento delle pene, con un capillare controllosulle azioni e sui comportamenti degli “addettiai lavori” nei settori della politica e dell’eco-nomia, a tutti i livelli, come dice Renzi, l’ultimoMasaniello, è decisamente sbagliata. Nonche non sia vera la mutazione in politica e inpubblica amministrazione della malavita or-ganizzata, delle varie mafie, che meritano diessere combattute, ma la debolezza della te-rapia, basata su pene dure e vere, rivela ladebolezza della diagnosi. E’ di tutta evidenzache non è il malaffare che ha messo in crisila democrazia, ma è la democrazia in crisiche ha prodotto in Italia il malaffare. Punire i corrotti e puntare sulla rivalutazionedella politica, sull’etica dei costumi, sulla vi-gilanza dei comportamenti, probabilmentenon basta, ma è sicuramente ciò che oggi sipuò fare. Continuare a delegittimare la poli-tica non ha senso e anzi è rovinoso.

L’antidoto è peggio del male

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della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0Diario politico

Cose del Natale

Tanto più che, ormai da lungapezza, si sta attraversando, unafase di seria se non durissimacrisi economica, finanziaria e oc-cupazionale, non mi piace perniente il rito della corsa agli ac-

quisti nell’imminenza del Natale e di Capo-danno, con folle che si accalcano nelle stradedei negozi o si stordiscono nell’aria forzata deicentri commerciali. Per come si sono messe le cose, altro cherito, sembra trattarsi di vera e propria mania,di dipendenza, schiavitù e di condizionamenti,che hanno preso corpo sotto l’azione di vuotirichiami all’indirizzo di consumi il più dellevolte voluttuari e superflui.Addirittura, la situazione determinatasi si ri-vela talmente perniciosa da riuscire a intac-care la serietà e il rigore di taluni interventidelle istituzioni a tutela della salute pubblica:è il caso di amministratori comunali che, inquesti giorni, dicono e ribadiscono di essereconsapevoli di un livello d’inquinamento del-l’atmosfera cittadina di gran lunga sopra la so-glia tollerabile, ma di soprassederescientemente ad intervenire con provvedi-menti particolarmente restrittivi del traffico, alfine di non danneggiare le attività commer-ciali.Chi scrive, desidera semplicemente osser-vare che, eccettuati i panettoni propriamentelegati al Natale e l’occorrente per un buonpranzo, tutti gli altri articoli (maglioni, scarpe,sciarpe, pigiama, camicette, profumi, colla-nine, cellulari e via dicendo) possono esserebenissimo acquistati nel corso dell’anno,senza ingorghi ed eccessi straordinari di do-manda che generano solo confusione e, ine-vitabilmente, aumenti dei prezzi. Senza trascurare che a breve arriverannoanche i “mitici” saldi, da cui pure è il caso diguardarsi, giacché costituiscono spesso unulteriore furbo stimolo a concentrare gli acqui-sti in un determinato periodo.Il mio pensiero è che il Bambinello che si ac-cinge a ripresentarsi nella semplicità e nellapovertà della grotta sia triste, parecchio triste,per l’attuale andazzo.Perché non ritorniamo agli auguri basati suumili, semplici e però assai indicativi simboli,un’arancia, un ramoscello di vischio, un pen-sierino scritto a mano per esprimere affetto oamicizia?Perché non rivolgiamo la mente al “clima” e ai“regali” del Natale e di Capodanno di tanti cheversano in condizioni di nera miseria? Chissà che, così operando, non otteniamo ilrisultato di sentirci più leggeri e di respirare,dentro e fuori, un’aria migliore, anche senzail blocco della circolazione automobilistica.

Il Presidente Giorgio Napolitano

di Rocco Boccadamo

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Il filosofo francese Pierre-André Ta-guieff, ne “Il razzismo", scrive: “Nelcampo delle formulazioni ideologico-politiche del razzismo, il vecchio simescola al nuovo: il sostenitore d’undiscorso razzisteggiante, che di solito

insiste sull’incompatibilità delle culture, dellementalità o delle civiltà (come, ad esempio,l’europeo-cristiana e l’arabo-musulmana), alfine di giustificare delle misure di espulsionedegli immigrati ritenuti “inassimilabili”, in unaparticolare congiuntura può far ricorso a for-mulazioni meno eufemistiche e dichiararepubblicamente che egli crede nella “dise-guaglianza delle razze”. Nei loro discorsianti-immigrati, molti leader degli attuali mo-vimenti nazionalisti e xenofobi oscillano tral’affermazione “classica” della disegua-glianza delle razze e le nuove varianti sulladifferenza culturale, o sul fatale antagoni-smo fra le diverse civiltà”.In un tempo moderno, ipertecnologico,senza frontiere, avvilisce intimamente doverancora fare i conti con chi per pregiudizio,per comportamento, per ideologia, per igno-ranza, utilizza il seme avvelenato del razzi-smo.I caratteri biologici, che marcano fra l’altrodifferenze somatometriche, definiscono inparte i gruppi etnici.In senso lato la diversità biologica fra i varigruppi umani è una garanzia di variabilità,evoluzione della specie e perpetrazione delvivente. L’adattamento biologico è peròlento, lentissimo; sicché potremmo dire chei nostri genomi non siano poi così determi-nanti per esprimere differenze notevoli.Con buona pace degli inverosimili e anacro-nistici razzisti, cioè di chi ancora oggi credevergognosamente e spudoratamente dighettizzare la gente per il colore della pelle,per qualche altro aspetto somatico, pos-siamo ribadire (come sostiene il biologodelle popolazioni umane Cavalli Sforza) chele razze non esistano. Esistono i gruppi et-nici, però nella consapevolezza che l’adat-tamento culturale sovrasta quello genetico. Con buona pace di qualche teorico dell’iper-determinismo, noi uomini non siamo solotratti di Dna in grado di codificare caratteri:noi siamo prioritariamente la nostra storia,la nostra cultura. Noi uomini siamo terrasanguigna e cielo. Siamo stelle e luna.Siamo anelito di felicità e dolore, che a voltedivora. L’homo sapiens sapiens è, soprat-tutto, conoscenza, sensibilità, empatia. Il no-

stro mestiere di vivere è quello di coesistereadeguatamente in equilibrio con il nostro in-timo e, al contempo, saper rispondere ade-guatamente ai più diversificati stimoliambientali. Il nostro mestiere di vivere èquello di lottare tenacemente contro le ingiu-stizie. Contrastare il razzismo vuol dire ado-perarsi con strumenti culturali, razionali, dibuon senso, affinché prevalgano finalmentei valori sostanziali della reciprocità, del ri-spetto dell’altro da sé. Nella diversità risiedela cifra fondante d’ogni unicità irripetibile,d’ogni bellezza. Viviamo in un villaggio glo-balizzato senza più confini, teatro delle piùdisparate convivenze, dove genti nuoves’incontrano, si parlano, si guardano negliocchi. Non ha alcun senso antropologico frustrarel’inevitabile fluire dei popoli, magari confe-zionando leggi popolazionistiche restrittive.In Europa, alcuni gruppi politici nazionalisticie xenofobi sperano di sbarrare la strada al-l’umanità migrante chiudendo magari lefrontiere. In Italia, da sempre, il Carrocciodei Salvini, dei Borghezio, dei Maroni, deiBossi è stato il principale responsabile dipiattaforme e decisioni discutibilissime, con-troproducenti, a cominciare dall’introdu-zione, anni fa, del reato di clandestinità(oggi, finalmente smantellato). Certe chiu-sure non giovano.

Contemporanea

B&Ndi Marcello Buttazzo

Robert Mapplethorpe Foundation

La civiltà occidentale è multietnica, multicul-turale, aperta ai movimenti. Viviamo inun’era difficile, controversa, di guerrecruente e persecuzioni feroci. È evidenteche il flusso dei migranti possa essere soloblandamente controllato, disciplinato conleggi rispettose. Recentemente, Matteo Sal-vini s’è specializzato ancor più nella cacciagrossa all’immigrato e al rom. Il segretariodella Lega intende vellicare continuamentela pancia dell’elettorato, come se davvero glistranieri fossero un costante pericolo e ilmale del mondo. Secondo il prode guerrierocon felpa del Carroccio, nel nostro Paese, leclassi popolari autoctone più disagiate sa-rebbero minacciate dagli indesiderati mi-granti.Ma è irragionevole voler ingaggiare unaguerra fratricida fra i poveri, fra gli ultimi. I le-ghisti non si rassegnano a frammentare conun gioco linguistico sorpassato l’umanità in“regolare” e “irregolare”. Ma tutti siamo cit-tadini legittimi d’una società tormentata econflittuale, d’una madre Terra. Tutti ab-biamo le carte in regola per reclamare conforza diritti. Tutti abbiamo voce, fiato per gri-dare: le razze non esistono, esiste solo larazza umana.Esiste solo l’uomo con le ansietà, le aspet-tative, i progetti, le piccole gioie, i dispiaceri,il desiderio di mirare il cielo.

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contemporanea

“Io non so se lo farei, ma vorrei essere libera di decidere" èuno degli interventi al link: Liberi di decidere. Il tema è attuale,delicato, caldo. La vita di ognuno di noi a chi appartiene? LoStato può arrogarsi il diritto di negare ad ognuno la libertà ela facoltà di decidere non solo come vivere, ma anche comee quando morire? Il suo dovere non dovrebbe essere quello

di accompagnare tutti i cittadini in una vita dignitosa, di offrire adognuno la possibilità di scelta? Il testamento biologico, bloccato dafraintendimenti sul senso stesso della Democrazia, in Italia non èun diritto, anzi. Lo Stato si arroga la decisione sul come e quandoun cittadino deve morire, anche in presenza di un fine vita pieno disofferenza, dolore, impossibilità conclamata di guarire da malattiecrudeli. Il cittadino, in questo modo, rimane un ostaggio nelle manidi pochi oltranzisti della religione e costringe chi vuole finire con di-gnità a varcare i confini nazionali. Questo è un vulnus doppio: dauna parte non considera la volontà del cittadino, dall'altra permettesolo a chi ha la possibilità economica di sostenere le spese per untrasferimento in una clinica svizzera questo "lusso". Ricordo altri tempi oscuri per la democrazia, quando non c'era il dirittodella donna all'aborto, alcune femministe presero contatti con clinicheinglesi, accompagnavano a Londra a prezzi stracciati le donne che

avevano la necessità di interrompere la gravidanza. Anche ora forsedovrebbero nascere organizzazioni simili ma sarebbero fuori legge,semiclandestine. Vogliamo questo? Molto meglio sarebbe che i par-lamentari decidessero di parlare alle centomila persone che hannofirmato la petizione. Penso che nessun parlamentare di nessun co-lore politico abbia il diritto di ignorare queste richieste.Questo diritto, come dice un intervento nel video, non farebbe au-mentare le morti, ma farebbe sicuramente diminuire la sofferenza. Una legge sul fine vita non deve in nessun modo agevolare sceltedefinitive, lo Stato deve impegnarsi affinché chi lo chiede abbia tuttal'assistenza necessaria per decidere serenamente, perchè gli ven-gano prospettate tutte le possibilità diverse, ma alla fine nessuno puòarrogarsi la facoltà di sostituirsi all'individuo in scelte etiche così im-portanti. Vogliamo questo diritto!I milioni di donne e uomini che votarono per mantenere la legge sul-l'aborto non lo fecero per avere un facile contraccettivo, ma per con-sentire alle donne tutte di impadronirsi della loro dignità , libertà,capacità di autogestirsi. Chi chiede caparbiamente una legge sul finevita vuole banalmente concedere a tutti e ad ognuno la possibilità discegliere con DIGNITA'.

di Gianni Ferraris

Liberi di decidereTulip, 1985 - Robert Mapplethorpe Foundation

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spagine della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0cronache culturali

S i è concluso ieri - merco-ledì 10 dicembre - nellaLibreria Fahrenheit in viaDon Bosco 26/b (zonastazione) di Lecce l’ap-puntamento settimanale

sulla filosofia intitolato “Filosofia a di-stanza ravvicinata. Varchi in divenire:notazioni filosofiche fra Ottocento e No-vecento.”Ha aperto le danze il 19 novembrescorso Maria Cristina Fornari, profes-soressa di Storia della Filosofia, par-lando di Friedrich Nietzsche:“Crepuscolo degli idoli. Come si filosofacon il martello”; ha proseguito il 26 no-vembre Ubaldo Villani-Lubelli, asse-gnista di ricerca in Storia delle Istituzionipolitiche e parlamentari, con “La Media-zione sull’Europa di Ortega y Gasset”; il3 dicembre è stata la volta di MimmoPesare, professore di Psicopedagogiadei linguaggi comunicativi, con “Siamodove non pensiamo. Lacan e l’emer-genza del soggetto”; ha concluso il 10dicembre Antonio Quarta, professore diStoria della Filosofia Contemporanea,con “Hannah Arendt e la ricostruzionedella politica”. Il giorno prima martedì 9 dicembre - unfuori programma ha catturato la nostraattenzione: tributo al pensiero di ManlioSgalambro, il giorno in cui avrebbe com-piuto 90 anni. Titolo “Il cavaliere dell’in-telletto: Manlio Sgalambro, filosofo epensatore pop di frontiera e d’avanguar-dia, da Gorgia a Franco Battiato”. Adanimare l’incontro è intervenuta Elisa-betta Pansini, amica di Sgalambro edesperta del suo pensiero. Hanno prepa-rato la serata Mario Carparelli e IlariaCaffio che ha curato l’intero ciclo di in-contri.

Ilaria Caffio sta per laurearsi in filosofiacon una tesi su Simone Weil. Colgol’occasione per citare una massima cheracchiude il pensiero sulla religione dellaWeil: “Una volta capito che si è nulla, ilcompito di tutti gli sforzi è diventarenulla”.Questo è un pensiero che aveva comin-ciato ad abitare stabilmente in SimoneWeil, il quale aveva a che fare con unacomplessa elaborazione teologica. LaWeil faceva molto riferimento a Giovannidella Croce e lo citava spesso. Cito oraun suo meraviglioso passo sul “divenirenulla”, sul “farsi nulla di Dio”, la “de-crea-zione” di Dio che si fa mondo, che si facreatura. Ecco, il de-crearsi di Dio alquale in qualche modo deve corrispon-dere una de-creazione della creatura:«Dio non è nel tempo. La creazione, ilpeccato originale, non sono altro chedue aspetti, differenti per noi, di un atto

unico di abdicazione di Dio. E anche l’in-carnazione, la passione, sono aspetti diquesto atto. Dio si è vuotato della sua di-vinità e ci ha riempiti di una falsa divinità.Vuotiamoci di essa; questo è il fine del-l’atto che ci ha creati. In questo stessoatto, Dio con la sua volontà creatrice mimantiene l’esistenza perché io vi rinunci.Dio attende con pazienza che io vogliainfine acconsentire ad amarlo. Dio at-tende come un mendicante che se nesta in piedi immobile e silenzioso davantia qualcuno che forse gli darà un pezzodi pane. Il tempo è quest’attesa. Il tempoè l’attesa di Dio che mendica il nostroamore. Gli astri, le montagne, il mare,tutto quello che ci parla del tempo cireca la supplica di Dio. L’umiltà nell’at-tesa ci rende simili a Dio. Dio è unica-mente il Bene, per questo egli è là eattende in silenzio; i mendicanti chehanno pudore sono sue immagini.L’umiltà è un certo rapporto dell’animacol tempo, è un’accettazione dell’attesa,è per questo che socialmente ciò checontrassegna gli inferiori è il farsi atten-dere. Ma la cerimonia che rende ugualitutti gli uomini nella sua poesia è attesaper tutti: l’arte è attesa, l’ispirazione è at-tesa, porterà frutti nell’attesa, l’umiltàpartecipa all’attesa di Dio. Dunque, Dio ha abdicato alla sua onni-potenza divina e si è vuotato; abdicandoalla nostra piccola potenza umana di-ventiamo nel vuoto uguali a Dio». (Laconoscenza soprannaturale)

“Il nulla è l’ombra di Dio” (NicolàsGòmez Dàvila).

Ben venga, dunque, la tesi di Ilaria suquesta grande pensatrice religiosa fran-cese. La quale, allieva di R. Le Senne edi Alain, insegnò filosofia in vari liceifrancesi. Ella esprime intuizioni nate dauna profonda vita spirituale, unite ad unaetica fondamentale, che la posizionasempre dalla parte degli oppressi. E nons’illude che l’uomo possa redimersi dallamiseria umana con la dialettica. Da quiil carattere intellettuale particolare dellasua intuizione mistico-religiosa. Che èimperniata sul concetto di de-crea-zione…Delle sue opere ricordiamo La condi-zione operaia (1951), L’ombra e la gra-zia (1947), Attesa di Dio (1950), Laconoscenza soprannaturale (1950), Let-tera a un religioso (1951), La Grecia e leintuizioni precristiane (1951), Quaderni(1951-56), La fonte greca (1953), Op-pressione e libertà (1955). Simone Weil, per gravi problemi di sa-lute, ci lasciò a soli 34 anni.

di Antonio Zoretti

della filosofiaL’occasione

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della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0

Escogitavoessenze di erbeElargivo eleganti epitaffieffluvi d’ederaesplosioni d’epiche eterneFarneticavoeppure fremevafebbrileil mio femoreFissavo le feritee con esse fabbricavofogli fragili difollia e fiato.

di Giuliana Coppola

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira Marzioni

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spagine della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0luoghi

di Giuliana Coppola

Non ho voglia/ di tuffarmi in un gomi-tolo di strade… osservo la miagrappa e l’arancia e i chicchi di caf-fèe mi dico… lasciatemi così/ comeuna/ cosa/ posata/ in un/ angolo/ edimenticata… Ma poi, io lo so, ri-

prendo il viaggio e il gomitolo ungarettiano si sro-tola nel cervello e ora che sono qui, ha ragionePatrick Modiano, mi dico… Ho sempre pensatoche certi luoghi sono come calamite, che ti attrag-gono se passi nei paraggi. In modo impercettibile,senza che tu te ne renda conto… alzo gli occhi eme lo ritrovo sulla testa il gomitolo, ma non uno,tanti gomitoli, colorati come la meraviglia. Certo,esiste ancora la poesia; ha proprio ragione Ga-briele Carmelo Rosato che mi ricorda… Eppureabbiamo bisogno dei poeti… perché poesia/ è ilmondo l’umanità/ la propria vita fioriti dalla parola/la limpida meraviglia d’un delirante fermento…oggi, poesia è racchiusa in gomitoli sospesi nelcielo di via Matteotti a Lecce.Ora che mi ricordo, me l’aveva sottolineato Ales-sandra Peluso, un po’ di giorni fa, anche lei rinton-tita dai versi (che meraviglia)… musica, poesia/ ungioco di ciglia./ Stupore notturno… e io non so, ora,se Alessandra sarà contenta di vedere la sua me-raviglia, quella col punto esclamativo, accanto allameraviglia limpida d’ungarettiana memoria, ma ècosì la poesia, un gomitolo sorretto da angeli nelcielo e mi sono sentito felice…affranto e rinfran-cato. Ho sentito le lacrime in bocca, sensazione in-credibile per me che ho disimparato a piangere…e poi dicono che non c’è poesia… ed è pensiero diRoberto Saviano che lo scrive per “L’arte della fe-

licità” di Alessandro Rak e mi accorgo che mi vienegrumo allo stomaco, mentre si srotolano ancora imiei pensieri allegri, sereni, come… le quattro/ ca-priole/ di fumo/ del focolare…, come questo sus-surro d’alberi... Ognuno di noi ha il suo parcomentale alberato e fiorito e passeggiando per queisentieri arricchisce la sua vita e ora anche EugenioScalfari mi viene in aiuto con questo sussurro d’al-beri mentali.Intanto mi prende per mano profumo di caffè e nonè il profumo dei quarantacinque chicchi nell’aranciadella mia grappa, è profumo d’ArTè e di dolcezzae d’un ferro a diritto e uno a rovescio perchè le co-pertine che lavoro a mano iniziano sempre da qui;hanno i colori di Sabon, Emporio Lecce ed Empo-rio Nenè, Teti, Biba, Sua Maestà il Pasticciotto;hanno la fantasia de Il Mercante d’arte e MarcellaDonno e L’angolino di via Matteotti e la Casa dellaSposa e Fcn ed ora è ancora ferro a diritto ed èRubens, Oltre un sogno..., Belle arti Leonardo, Ila-rio gioielli, Casciaro eHair Stile Ely e Roby… In-tanto, il profumo del caffè è così intenso che mispinge fin qui e c’è sorriso d’Annamaria e Antonioe Stefano ed è ArTè, arte pura ed è così dolce…appisolarmi là/ solo/ in un caffè…, Caffè Matteotti,naturalmente.Penso che è ancora domenica, sette giorni dall’al-tra e sette o più di sette, chissà, sono i versi chetra un gomitolo e l’altro, sette o forse più anche igomitoli, m’hanno portata a riprendere in mano filod’Arianna che si srotola leggero nell’arte della feli-cità in via Matteotti, strada di Lecce, questa miacittà.

in via MatteottiL’Art’èdove il caffè non è solo caffè

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Non credo nelle differenze fraun testo ed un altro per chilegge di emozioni, di silenzio,di poesia e si vogliono vedereunicamente gli intenti.

Il filo il proprio, di Maria Rita Bozzetti, con-duce sempre nell’utile psichico di un verso e,se nel differente, il senso sarà per l’altro, chilegge, scrivere in un discorrere sereno di quelverso. È indispensabile sempre il ricordare o quelche si è già letto in un testo precedente. Ciòconferma il divenire dell’“utile” per compren-derne ancor più la scrittura che veste abiti perl’intransigente ed esplora i fondali di quel chel’abito nasconde.Nel sottotitolo ho voluto sottolineare que-st’aspetto, ricondurre a quanto già scrittodalla poetessa nel 2007 per “i dintorni dellatua memoria” in Pensieri ispirati da NicolaG.De Donno in vita e dopo la Sua morte. (Ed.Ibiskos Ulivieri)Quel pretesto l’ho preso da pag.39 e per untitolo da me ritenuto fondamentale per l’au-trice. In quei due primi versi c’è Fede. Ecco dunque il verso ricondotto, quell’andarepiù teso, lo scoprire il così come descritto inprefazione da Dante Maffia per l’andar, perracconto. Ho letto con piacere tutti i testi che mi ha do-nato M.R. in occasione di un parlare di Artefra laico e cristiano, fra l’astratto|informale el’estremamente visibile di un figurativo. La sua Fede l’ho ritrovata allora nel mioastratto commentato.

Nello specifico, oggi, voglio scrivere del suoancora appena da me accennato secondoracconto, quello scritto di necessità al suc-cessivo, alla Monade arroccata. La Bozzetti l’ho intravista dapprima pocofluida, non predisposta a lasciarsi andare alfemminile. Nel caratterizzare i primi due per-sonaggi, infatti, mi è apparsa sì sensibile eaccomodante ma solo nei confronti del per-sonaggio femminile, di Eli, mentre di Carlo havoluto più un farne una spalla di pura neces-sità, azzardo, quasi un castigo. La scelta dell’incominciare a scrivere del rac-conto cade su Eli ed (È) da subito il perso-naggio affrontato nell’immediato e, da finescrittrice, deve dare a chi legge di lei il carat-tere forte della donna in carriera, dell’ugual“ghigno” di rivalsa che le deve far apparire,disegnare sul volto, un interessante ritrattopsicologico. Poi m’accorgo, ho veduto come l’aver pen-sato e ripensato da parte di M.R. e, sebbenenel distacco altalenante dal suo reale, comedescritto, lentamente si smorza, si discon-nette, si rilassa.Cambia registro e Carlo diventa il suo razio-nale e lo colloca unicamente per un narraree per un altro disporre.Questi i due personaggi entrambi disegnatial maschile, per forza e per carattere, ma unoscappa l’altro insegue, in sintesi, per scene eper scelte che diverranno e sono del Senzapotere in Edizioni Lepisma.Nel racconto i termini come convinzione, vo-cazione, ipocrisia sono accompagnati da pre-supposto, abbandono, consuetudine. Il

comune ch’è l’uguale e che sta intorno conaltri personaggi viene immediatamente iden-tificato ed ha nomi, i nostri nomi che si dibat-tono in identità differenti che anelano nelritrovarsi non nel separato bensì nel profon-damente narrativo e quotidiano. Alberto è il nuovo (da pag.26) e diventa il go-mitolo risolutore del racconto, da svolgerelentamente da fatto principale e per costruirequel disporre già accennato ch’è l’indispen-sabile importante, l’immedesimazione di unascrittura da far parlare e conoscere. L’aereo diventa metafora di abbandono, unacarezza che l’Alberto avrebbe voluto faresulla mano di Eli(pag.46) M’è sembrato diravvedere un sottilissimo rimpianto da far co-vare con rassegnazione e da demandare adaltro ancora. Il senza potere diventa spettro di “un fuoritempo”. Come in tutti i senza potere nasconoanche per l’alibi. Il significato di fede anchese pronunciato da Shakespeare: “non è maitanto buio come prima dell’alba” (pag.72)apre i nuovi orizzonti. Il personaggio, Giovanna, sorella di Alberto,diventerà coscienza e anima, quello da sco-prire con la lettura.Un racconto fortemente trattato nello psico-logico, che mi ha preso e lasciato nel bene eche riprendo come incominciato. Rileggo i versi di: i dintorni della tua memoria.(pag.31)Dopo di te/le parole dal cuore/con taglio nettosi dividono/ […] in spazio riconciliato/con li-bera speranza di sognarti.

“Il chi è senza potere”“o forse quel niente è la distanza/che divide il tuo dal mio tempo …”

Eli (è)

spaginedella domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0

letture

di Francesco PascaBasilica di Santa Caterina d'Alessandria, Galatina. Particolare di un affresco

La scrittura di Maria Rita Bozzetti

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spagine

Capita che una mattina di novembre io sia ingiro per Lecce fra lo studio del consulente,con il quale cerco una strategia di difesa daquel vampiro succhiasangue che è lo Stato,e la banca, alla quale chiedo, ottenendoneun diniego, di rinegoziare un mutuo, le cuicondizioni sono diventate insostenibili.Scene di ordinaria follia. Con la mia cartellapiena di documenti sotto il braccio (prima opoi dovrò trasferire tutto su i-pad, che fa più

anni duemila) attraverso cupo e incanaglito Piazza Mazzini. Noto uneccezionale assembramento di gente, giovanissimi soprattutto, e unamico del mio paesello, un ragazzotto di circa vent’anni con il cavallodei pantaloni basso quasi fino alle ginocchia e il piercing sulla lin-gua, mi viene incontro e mi informa che si stanno svolgendo le se-lezioni per il Grande Fratello 13 (o 25 o 455? boh..). Maicol (scrittocome si pronuncia) è il figlio del mio macellaio e io sono abituato avederlo nello stazzonato camice bianco servirmi, con poca convin-zione, macinato misto e costolette di maiale. Con aria preoccupatami fa: “Ma lo sai compare che stanno facendo delle domande as-surde ai provini? Chiedono i nomi dei politici… ma chi liconosce!”.“Va bè”, gli faccio io” chiederanno i nomi dei politici cherivestono cariche istituzionali, quelli importanti…”. “Ehhh”, esclamasconsolato, “io come presidenti mi ricordo solo Berlusconi ma sechiedono anche di altri che gli dico?”. Allora propongo: “Hai carta epenna? Dai, scrivi velocemente, ché devo andare”. “No, ma possoscrivere sul telefonino”.“E dai, scrivi: Presidente del Consiglio Renzi,Presidente della Repubblica Napolitano, - Giorgio, scrivi anche Gior-gio, perché questo è più importante, - Presidente della Camera Bol-drini e del Senato Grasso. Ok? È facile, mandali a memoria e cosìnon ti sgameranno”. “Grazie compare Paolo!” (e pensare che Maicolmi appella in questo buffo modo, pur non essendo io stato suo pa-drino di battesimo o di comunione, solo perché così da sempre faanche il padre. Mi verrebbe da dirgli che questo modo di fare, neipaesi, è dovuto forse al bisogno di sentirsi più uniti in un vincolo diumana miseria intellettuale, ma tengo per me la cinica osservazione

marciando verso il mortifero mattino). Prima di separarci però Maicolmi dice ancora: “Speriamo di far presto qua, perché a pomeriggioc’è la manifestazione ‘No Tap’ e devo partecipare”. “Caspita”, os-servo, colpito da quell’inaspettato rigurgito di coscienza civile, “seicontrario al gasdotto allora?”. “Ehm no veramente, ho avuto un’im-beccata da un amico che mi ha detto che non dobbiamo ingrassareun certo Putin, e che a pomeriggio ci sono le telecamere dei tg a ri-prendere la manifestazione; e io veramente ci vado per questo”. “Ahok!”, gli rispondo e scappo a gambe levate, pensando al padre ma-cellaio che con le mani ancora sporche di sangue starà sacramen-tando in negozio, a causa della prolungata assenza del figlio.

***Chissà se George Orwell immaginasse che il personaggio del suolibro “1984” avrebbe dato il nome ad una trasmissione televisiva incui un certo numero di “ggiovani” si rinchiudono volontariamente fraquattro mura dando sfogo ad ogni più invereconda pulsione inte-riore, compresi flatulenze e pensieri squinternati debordanti in libertànel loro ginepraio mentale. E nonostante l’esplosione di individualitàportata dai social network, rifletto sul potere di seduzione che la tvancora oggi esercita su moltissima gente, agendo come uno stimo-lante per alcuni e un anestetizzante per altri. E sì che i tempi delduopolio Rai-Mediaset sono lontani, essendosi l’offerta televisivamoltiplicata all’inverosimile, e dunque forse sarebbe anacronisticoparlare dell’appiattimento generale prodotto dalla sottocultura tele-visiva. Oggi, un saggio come quello celeberrimo di Umberto Ecosulla fenomenologia di Mike Bongiorno, non avrebbe più ragione diessere, Però la pubblicità, senza richiamare visoni mitologiche dagrande Moloch, rappresenta ancora un business fiorente che ac-compagna, nel bene e nel male, la nostra quotidianità. Ed è davverostratificata nell’immaginario collettivo, che risulterebbe vano tentaredi estirparla. Per esempio succede di conoscere Tonino Guerra perla reclame dell’Unieuro (“Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita!”)e non per le sue poesie o per un film di cui è stato sceneggiatore,come accadeva qualche anno fa di conoscere Franco Cerri per ilfamoso uomo in ammollo della pubblicità (“nooo non esiste lo sporcoimpossibile”) e non aver mai ascoltato la sua chitarra jazz o ancora,

di Paolo Vincenti

Nienteè come sembra

Nelle immagini l'incidentedi Vermicino nel 1981, incui perse la vita AlfredoRampi detto Alfredino(nato a Roma l'11 aprile1975), caduto in un pozzoartesiano in via Sant'Ire-neo, in località Selvotta,una piccola frazione dicampagna vicino a Fra-scati, situata lungo la via diVermicino, che collegaRoma sud a Frascati nord.Dopo quasi tre giorni ditentativi falliti di salvatag-gio, Alfredino morì dentro ilpozzo, ad una profondità di60 metri.La vicenda ebbe grande ri-salto sulla stampa e nel-l'opinione pubblica italiana,in special modo grazie allacopertura televisiva che laRAI garantì per le ultime18 ore di evoluzione delcaso.La RAI inaugurò latelevisione del dolore.

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per restare nell’ambito musicale, Nicola Arigliano, per la reclamedell’amaro Antonetto, senza sapere che è stato cantante ispirato eraffinato (J sing ammore, Amorevole).

Oggi la televisione divide l’ “offerta formativa” per fasce di età.

Propina reality o talent show ai giovanissimi, programmi di cronacanera (con veri e vari scannamenti) al pubblico adulto, meglio sefemminile, casalingo e poco scolarizzato, talk show e dibattiti politici(con finti scannamenti verbali) al pubblico più maturo,meglio se ma-schile e di cultura medio alta. Nelle mie serate domestiche, mi ca-pita, transumando da una stanza all’altra come le greggi diD’annunzio e “zappando” da un canale all’altro, come un antico rap-sodo greco di piazza in piazza, di cogliere qualche frames dalla tivvì,(“parole parole parole…”).

***Ma davanti alle trasmissioni di nera mi fermo, a volte, basito nell’ as-sistere alle amenità con cui i conduttori rimestano nel torbido di vitea perdere, nelle quali si è consumato qualche delitto sanguinario etruculento. Così accade che, una notte di qualche tempo fa, dopoaver appreso dalla televisione di una violenza domestica trasforma-tasi in tragedia non mi ricordo in quale paesino della Val Padana, iomi rivolga ai miei figli, visibilmente turbati dalla crudezza del fatto (lanotizia viene trasmessa, senza possibilità di scampo, da un tg flashnella pausa pubblicitaria di un film cui assistevamo insieme), e dicaloro, un po’ per celia un po’ per rassicurarli, che non è vero, non c’èniente di vero in quanto narrato, ma quell’episodio è del tutto inven-tato dai telegiornali, un po’ come le liti nei dibattiti politici. I ragazziridono e io vado a dormire con questa suggestione. Penso cioè chenon si possa davvero credere a quanto raccontano i vari “QuartoGrado”, “Chi l’ha visto”, “Pomeriggio cinque”, “La vita in diretta”. “Do-menica cinque” e compagnia bella; che non possano esistere nellarealtà le turpi esecuzioni che, gongolanti, ci ammanniscono i con-duttori della tv del dolore.Tutta questa gente, cioè, crepa solo per finta e lo fa nella manierapiù eclatante per intrattenerci meglio. Così, inseguito dal demone di

Cartesio e del suo dubbio iperbolico (dubito di tutto, dalle cose piùsemplici fino a quelle più complesse), mi immagino che le varieSarah Scazzi, Roberta Ragusa, Yara Gambirasio, Elena Ceste, dicui conosciamo solo la foto e qualche breve filmato video, sianostate partorite dalla fantasia di un diabolico team di autori che scrivele varie puntate di queste saghe dell’orrore. Che esse non siano maiesistite nella realtà ma siano delle attrici chiamate a prestar loro ilvolto, come Laura Palmer che, da cadavere, era la protagonistanella fortunata serie televisiva Anni Novanta “Twin Peaks”.Delitti costruiti dunque a beneficio di massaie e casalinghe trepidantiad ogni nuova puntata della loro telenovela preferita. Ed anche levillette dei delitti siano ricostruite nei teatri di posa, nonostante il fio-rente turismo dell’orrore nelle varie Avetrana, Cogne, Gello, Brem-bate, ecc.. Sostiene infatti Antonio Ricci, il re della televisione diplastica dove tutto, dagli applausi alle risate, è finto, che “la televi-sione non è una finestra sul mondo ma una diapositiva che hannoscelto di farci vedere”. Seguendo questo ghiribizzo mentale poi, michiedo se attori e comprimari di queste torbide dark stories sianoconsapevoli fino in fondo di prestare la propria parte ad una fictiono non ne siano invece inconsapevoli, come in “Tempo fuor di sesto”,un romanzo di Philip Dick in cui il protagonista Raggle Gum vive inuna cittadina americana nella quale tutti gli abitanti sono degli attorial servizio dell’Intelligence per difendere la Terra dalle potenzealiene. Ricordate il film “The Truman Show”? In quel film il protago-nista, interpretato da uno strepitoso Jim Carrey, è il personaggioprincipale, a sua insaputa, di uno show che racconta la sua vita.Tutti gli altri, compresi i più stretti parenti, sono attori al soldo dellaproduzione riscuote consensi mondiali a danno del povero Trumanche vive una vita pre indirizzata e pianificata dal regista e grandedemiurgo. Che non ci sia niente di vero, allora, nessuna EmanuelaOrlandi, né Chiara Poggi, né Meredith Kercher, ecc.Fantasie partorite da una mente stanca di delitti e segreti e di pagi-nate di giornali e di lunghe dirette tv ad essi dedicate. Ma poi misveglio e purtroppo le atrocità sono vere, la crisi pure e il mondo ènefando.Ma almeno i miei ragazzi dormono (ancora) beati.

l’osceno del villaggio

“Prima però su Canale 9 ci sarà il terzo festival del dolore con la finale dei casi umani, meno meno umani che mai”A che ora è la fine del mondo – Ligabue

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spagine della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0arte - in agenda

É stata inaugurata ve-nerdì 12 dicembre, alMust, museo storicodella città di Lecce, lamostra-omaggio aEzechiele Leandro,con 18 dipinti, 3 scul-ture e 12 fogli mano-scritti, tutte opereprovenienti da una

collezione privata. In tale occasione sarà pre-sentato il catalogo della mostra, con testi diToti Carpentieri e Renzo Margonari e una bio-

grafia a firma di Antonio Benegiano e AmbraBiscuso.«Ezechiele Leandro. I denti del leone», que-sto il titolo della nuova mostra che vede in-sieme il Comune del capoluogo salentino e ilComune di San Cesario di Lecce, e che ci ac-compagnerà nel passaggio dal 2014 al 2015,in continuità con quanto proposto sino ad oranell’ambito di «Mustinart - Generazioni a con-fronto», il format che identifica l’attività espo-sitiva dell’Istituzione museale leccese sin dalletre mostre iniziali, quelle che costituivano laproposta di «Lavori in corso. Corpo 1».

Leandroal MuSt

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spagine della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0la musica di spagine

Ciao Virtus, è uscito ‘My Sound’ il tuo primo disco uffi-ciale. Come è nato questo lavoro discografico?Ciao a voi di Spagine! Il mio precedente lavoro, Waitingfi di Album, risaliva alla fine del 2011 perciò era ormaiforte l'esigenza di rilasciare un nuovo album che dessequalcosa di più rispetto ai vari singoli che avevano visto

la luce in questi ultimissimi anni prodotti da varie etichette italiane ed in-ternazionali. Questa mia necessità è venuta inoltre a coincidere anchecon le tempistiche dell'etichetta di cui faccio parte, RedGoldGreen, perla quale era necessario pubblicare un nuovo disco dopo quello di 'NtoniMontano, 'Nta Sta Ruga, uscito prima dell'estate. Così il dado è statotratto!Come è nata la tua passione per la musica hip hop – reggae?Nel mio esplorare un po’ tutti i generi durante l'adolescenza, ero passatoper un brevissimo periodo anche per l'hiphop (o meglio dire il rap) ma lavera specializzazione in un genere, se così si può dire, è avvenuta sola-mente con il reggae. Questa passione è nata in modo ufficiale duranteun'estate trascorsa nel paese d'origine della mia famiglia in Calabria. Qui,grazie agli ascolti dei miei amici, mi sono avvicinato inizialmente alla mu-sica dei SudSoundSystem e a quella dei conterranei Gioman & Killacate SDC Posse cominciando anche a frequentare le prime dancehall. Unavolta tornato a Roma ho continuato a coltivare questa passione allar-gando gli ascolti al reggae jamaicano ed iniziando a frequentare la scenacapitolina.L’album è stato anticipato dall’uscita del singolo ‘My Sound’, ac-compagnato dal video, che ha dato il nome al disco. Perché la sceltaproprio di questo brano?Inizialmente la scelta è stata fatta per questioni meramente musicali. Ri-tenevo che il singolo fosse di impatto e che fosse capace di mostrare lamia attitudine ragga (sia per lo stile vocale, sia per la tipologia di testo)ma al tempo stesso anche una venatura più “rap” in particolar modo peril tipo di strumentale che avevo composto per l'occasione. Divenendoanche la title track dell'intero album ha fatto sì che divenisse una sorta dimanifesto, come un voler dire: “ecco, con questo disco voglio dare l'ideadel mio sound, della mia musica in questo momento della mia vita”. Infinela scelta di questo brano mi ha dato l'opportunità di inserire nel videoclip,per via delle sue liriche “da combattimento”, l'immaginario orientale dellearti marziali, mia grandissima passione.Canti in italiano, dialetto calabrese e patwa giamaicano. La sceltadi utilizzare più lingue dimostra da parte tua quanto sia universale

il linguaggio musicale?Esattamente. La mia voglia di universalità nasce dal fatto che mettoprima di tutto la musica, il suono. Parto sempre da una melodia o un rag-gato: puro suono senza alcun senso logico-grammaticale. Successiva-mente compio una ricerca per trovare quelle parole capaci di comunicareciò che voglio esprimere concettualmente ma che soprattutto non tradi-scano la melodia ed il ritmo iniziale da dove tutto è nato.Il mio già citato precedente lavoro realizzato tutto in patwa giamaicano,mi ha permesso di arrivare ad esibirmi anche fuori dall'Italia ma ha fattoanche sì che mettessi da parte per molto tempo l'uso dell'italiano e deldialetto in quanto con questi non riuscivo ad ottenere un sound che miconvincesse. Con My Sound ho tentato così di vincere questo “falso li-mite” che mi ero imposto cercando invece di trasportare nell'italianoquello stesso impatto sonoro che avevo trovato ed ottenuto con la linguagiamaicana.Tormento, Wufer, Kg Man e Janahdan sono i nomi che hanno colla-borato in ‘My Sound’. Come sono nate queste collaborazioni?Le collaborazioni con Janahdan e WsW Wufer sono state del tutto natu-rali in quanto anche loro fanno parte di RedGoldGreen. Essendo colleghima prima di tutto amici, cerchiamo il più possibile di essere presenti neirispettivi lavori. Per il resto avevo molto piacere nell'ospitare del discoaltri due nomi che potessero rappresentare sia la scena reggae/dance-hall dalla quale provengo ma anche la musica hiphop di cui ho risentitol'influsso negli ultimi tempi. Per il primo caso l'attenzione è ricaduta suKg Man, un italiano ormai noto alla musica reggae nostrana ma capacedi farsi ben conoscere anche oltre i confini italiani, mentre nel secondoho avuto l'onore di poter collaborare con Tormento, persona dal grancuore e da sempre uno tra i più importanti rapper dell'hiphop italiano.Fai parte attiva della RedGoldGreen. Come è nata l’idea di fondarequesto movimento?RedGoldGreen nasce inizialmente come un evento che si teneva ognianno all'interno di Villa Ada, bellissimo parco nel centro di Roma, dove cisi ritrovava tutti sul prato per “dare e ricevere” musica. A partecipare c'eragran parte della scena romana, tra dj e cantanti, con la semplice vogliadi passare una giornata di sole in buona compagnia insieme alle vibra-zioni positive del reggae. Date queste premesse è stato abbastanza na-turale che dagli organizzatori, anch'essi cantanti, dj e produttori,nascesse la voglia di mettere insieme le forze con lo stesso spirito cheaveva dato origine all'evento nel parco.

di Alessandra Margiotta

Virtù(s)calabresi

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Mela

spagine

Quando si nomina l’anores-sia, vengono alla mente dichi sia – anche solo inparte – versato in materiatre possibili fattori di ri-schio: il contesto familiare,

la centrifuga mediatica, il timore di cresceree affrontare il mondo per come esso si pre-senta ai nostri occhi. Negli anni Novanta, siè attribuita forse troppa importanza al fat-tore immagine e soprattutto i profani in ma-teria hanno creduto che i disturbidell’alimentazione fossero ascrivibili aimessaggi distorti provenienti dal mondodella moda e della danza: come dimenti-care le fotomodelle anoressiche o, già in-torno agli anni Duemila, le vibranti protestedi alcune ballerine della Scala che hannodenunciato la perpetua istigazione, daparte dei loro maestri (ma si potranno poidefinire “maestri” questi personaggi che in-neggiano alla prostrazione del corpo in unadisciplina quale la danza che, invece, ri-chiede armonia e slancio vitale?), a unapericolosa magrezza?Se è vero che l’anoressia colpiva – e colpi-sce – in larga parte fotomodelle e danza-trici, terapeuti accorti come H. Bruch e S.Minuchin avevano compreso, già in queglianni, che i disturbi dell’alimentazioneavrebbero progressivamente interessatouna fetta sempre più ampia di popolazionegiovanile e la genesi di queste patologienon era da ricercarsi esclusivamente nel

bombardamento mediatico, ma anche – e,forse, principalmente – nel contesto fami-liare e sociale. Si è sempre mantenuto uncerto riserbo fra i benpensanti nel ricono-scere che la famiglia potesse indurre, in unsoggetto adolescente, una condotta ano-ressica o bulimica. Non si avevano difficoltàa descrivere le “madri frigorifero” dei bam-bini autistici, ma l’opinione pubblica non ac-cettava, non poteva accettare, che la causaprima del rifiuto del cibo da parte di una ra-gazza o – perché no? – di un ragazzo inpiena crescita fisica e intellettiva fosse ilcomportamento dei genitori: una madre ri-gida e anaffettiva; un padre assente e sot-tomesso; oppure una madre chioccia finoall’ossessione, un padre severo e distanteemotivamente dalla sensibilità dei proprifigli. Sembrava strano che i genitori – inparticolare, la figura materna sulla qualenon verranno pubblicati mai abbastanzastudi e trattati – primi datori di vita e di cibo,diventassero poi gli aguzzini psicologici deiloro stessi figli. Una madre anaffettiva in-stilla nella figlia la paura di non essere ac-cettata anche fuori dall’àmbito familiare;una madre chioccia protegge fino all’inve-rosimile, individuando pericoli anche dovenon ve ne sono. In entrambi i casi, il risul-tato non cambia: si ha paura di crescere,perché il mondo è percepito come un luogopericoloso, un roveto dal quale è meglio te-nersi lontani.Mela amara, il romanzo di Ursula Orelli,

che ho il piacere e l’onore di presentare,tradisce fra le righe un rapporto aspro ecomplesso con le figure genitoriali di riferi-mento: Chiara Rey, la protagonista, non èpiù un’adolescente quando si ammala dianoressia, tuttavia sia qui concesso di direche, idealmente, Chiara non è mai cre-sciuta: non si è svincolata, pur afferman-dosi professionalmente, dall’abbracciomorboso del padre Leonardo; non ha maidimenticato la fredda distrazione dellamadre Rachele, tutta impegnata nell’appa-renza rituale di feste e ricevimenti piuttostoche nella fatica di crescere una figlia. EChiara accusa apertamente sua madre,quando lei le si avvicina per prenderle lapressione: le chiede di andarsene, di man-darle la tata che l’aveva cresciuta e con laquale, solo, si sarebbe sentita a proprioagio. La malattia procede inesorabile eChiara disconosce la madre, l’accusa du-ramente di non esserle stata vicina.Troppo tardi per pentimenti e piagnistei.Troppo tardi per rimediare. A questo punto,però, viene da chiedersi – e rivolgo a Ur-sula la domanda – quanto serva accusareun genitore di esser stato cattivo genitore.In altre parole, riconoscere di esser natonella famiglia sbagliata aiuta a guarire? Èvero che ammettere questo con se stessiè utile a sgravarsi dell’incombente sensodi colpa con cui si cresce all’ombra di duegenitori che, inevitabilmente, sono “sba-gliati”, ma rigurgitare – e qui il termine non

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è casuale – l’odio su una madre o su unpadre, accusarli, offenderli, demolirli, aiutaa guarire? Probabilmente, il percorso è unaltro: quello che Michela Marzano, autricedi Volevo essere una farfalla, e UrsulaOrelli, autrice di Mela amara, hanno indivi-duato: si tratta di un percorso accidentato eduro che raggiunge il traguardo dell’accet-tazione serena – mai passiva – del realecon le sue contraddizioni. Ci sono genitoriobiettivamente cattivi e genitori che feri-scono senza intenzione: questi ultimi pos-sono soltanto essere perdonati, benché ilperdono giunga dopo un lungo percorsopsicoterapico o, in casi non rari, non giungaaffatto. L’anoressia è una malattia psicogena, per-tanto necessita di un trattamento terapeu-tico appropriato. Nel suo romanzo, Ursula pone a confrontodue modalità differenti di esercitare la psi-chiatria: la prima è quella che si limita astaccare una ricetta da un blocco; la se-conda è quella basagliana, fondata sul-l’ascolto del paziente e sulla comprensionedelle sue angosce. Perché non si può cu-rare un disturbo psichico senza tener contodella persona che ne è portatrice, con lasua dignità e le sue aspirazioni. Chiarasembra voler morire; chiede di nientificarsi,ma non è raro che i tentativi di suicidio, so-prattutto quelli lenti come l’anoressia, rap-presentino una potente richiesta d’aiuto; unatto di ribellione che inneggia alla vita nel

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libri

di Eliana Forcignanò

Anoressia: dai cattivi genitori ai buoni amiciNote sul romanzo di Ursula Vaniglia Orelli

amaramomento stesso in cui tenta di sopprimerla.Il cigno canta quando si rende conto di starmorendo: siamo sicuri che questo cantonon sia un’accorata richiesta d’aiuto?Chiara è aiutata da un medico che si po-trebbe definire “senza fronzoli né orpelli”,uno psichiatra che le resta accanto anche– e soprattutto – quando lei lo provoca,quando pone a dura prova la sua pazienza.Sono, allora, feconde le parole di Jung,convinto assertore della funzione del tera-peuta quale traghettatore della persona dal-l’abisso dell’inconscio alla luminosità delSé, là dove l’inconscio non si annulla, maviene integrato con la consapevolezza dipoter realizzare se stessi di là dai proprifantasmi.Un’ultima parola intendo spenderla sul-l’amicizia: Mela amara ci offre lo spaccatodi un rapporto amicale, quello della prota-gonista Chiara con Roberta e Giulio, fon-dato sul rispetto reciproco e sull’aiuto. Piùvolte, Roberta accompagna Chiara in ospe-dale, le resta vicina nonostante le sue in-temperanze, la sostiene e la coccola conamore e pazienza. Spesso, chi si ammaladi anoressia o di qualsiasi altro disturbo psi-cogeno resta solo: la malattia erige barriereinvalicabili d’incomunicabilità e paura. Cis’interroga su cosa sia meglio fare, sucome sia più conveniente comportarsi e, in-tanto, la persona ammalata vede crescereil vuoto attorno a sé: non si capisce il pro-blema – o non lo si vuol capire – e ci si trin-

cera dietro una presunta buona educa-zione che impedirebbe d’immischiarsitroppo nelle faccende degli altri. Ora, ladomanda è: gli amici sono “gli altri”? Sono“l’altro da noi”, per dirla con le parole diSartre, ma un altro vicino non solo neltempo e nello spazio bensì anche nellamente e nel cuore. “Gli altri” sono una no-zione generica, astratta; l’“altro da noi” èvivo, palpitante, reale con le sue bellezzee le sue criticità. Roberta e Giulio affron-tano la malattia di Chiara, sebbene in duemodi differenti: Giulio è più discreto, quasisilenzioso nel suo muoversi intorno aChiara; Roberta ha tutta l’irruenza ma-terna che è propria del femminile. È lei arendersi conto che, sotto i maglioni ingom-branti e voluminosi, Chiara ha soltanto lecostole scarne e tremanti. Roberta cura Chiara. Con le parole, con igesti. Il suo messaggio giunge con forzaai lettori di Mela amara e ricorda quei libridell’Etica nicomachea in cui Aristotelescrive che l’amicizia è una forma diversad’amore. Non mutano, in amicizia, né l’in-tensità, né l’afflato verso l’altro, là dove iltermine “afflato” ha proprio il significato la-tino dell’offerta. L’amicizia è un’offerta al-l’altro: essa deve rimanere tale neimomenti felici, come in quelli in cui si ma-nifestano le difficoltà. Se le parole non ar-rivano, rimangono i gesti: si possono diremolte cose in un abbraccio.

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"Étrange (straniero, diverso) è una parola scomponibile: être-ange (essere-angelo). Dall'essere angeli ci mette

in guardia l'alternativa dell'essere stupidi" (J. Lacan, Seminario XX, p. 9)

La citazione di Lancan la rubo dall'amico Mimmo chesu FB commentava l’ episodio a cui ha assistito: unclochard costretto a consumare in una sala d'aspettoun piatto che non aveva, evidentemente, diritto dimangiare al tavolo della mensa accanto che glieloaveva fornito. Forse non poteva sedere a tavola in

quanto clochard, senza casa, senza tetto. Senza dignità? E quelle parole mi sono balzate in mente ieri sera, memorabile 10dicembre 2014 in quel di Nardò. Il teatro Comunale non è grande,ed è stipato di spettatori, Mario Perrotta ci racconta Ligabue, “Unbes”.L’attore (e autore) non recita il personaggio, lui è il personaggio.Solo in scena in questo crescendo carico di tensione emotiva, Li-gabue che passa la vita dipingendo con rabbia la mancanza di “unbes”, un bacio, dell’affetto che nessuno ha mai saputo dargli. LaSvizzera non sopporta i matti nel suo lindo territorio, allora approfittadel cognome e della nazionalità del suo padre acquisito per cac-ciarlo in Italia, il paese si chiama Gualtieri, in agro di Reggio Emilia.E come ogni paese sopporta “el mat” “el tudesc”, il matto, il tedesco.Quel bizzarro personaggio che girovaga per strade e boschi dipin-gendo e scambiando quadri con un piatto di minestra, che parla unmisto di emiliano e tedesco, che guarda le donne e cerca solo, ba-nalmente affetto. Ma l’è mat, neppure le puttane lo vogliono “sonosporco, mi ha detto”.

***Avevo già incontrato Mario Perrotta quando presentava al pubblicoper le prime volte il suo “Un bes”, in una lunga intervista si dicevafra l’altro:

Nella presentazione dici che Ligabue artista sapeva di meri-tarlo quel bacio, il pazzo invece doveva elemosinarlo. Certamente. Ligabue aveva una perfetta coscienza di sé e del suovalore artistico. Amava ripetere: "quando sarò morto i miei quadrivarranno un sacco di soldi". Non era assolutamente lo scemo delpaese, come amavano pensare i suoi compaesani, semmai lo fa-ceva perché gli tornava comodo. Sapeva che, in quanto artista,avrebbe meritato attenzione e sperava che quell'attenzione si con-

cretizzasse anche in affetto da parte di qualcuno, in modo partico-lare di una donna. Ma questo, come detto, non avvenne mai nean-che dopo quel poco di fama che arrivò negli ultimi anni della suavita. Semmai, tentarono di sfruttarlo, anche le donne, ma lui questolo sapeva e a volte si vendicava in modo feroce, facendosi pagaredei quadri in anticipo e poi realizzando delle opere brutte (a suostesso dire!).

Le ultime parole delle righe che hai messo nel tuo sito, par-lando dello spettacolo, sono: “Voglio stare anch’io a guardaregli altri. E sempre sul confine, chiedermi qual è il dentro equale il fuori”. Mi ricorda un amico, Adriano Sofri, che capitòin una sventura giudiziaria e ci salutava dal carcere di Pisa di-cendo: “Ciao da noi chiusi dentro a voi chiusi fuori.

Sicuramente lo "stare al margine" è una condizione che mi affa-scina molto, sin dal progetto dedicato ai nostri emigranti degli anni'50 e '60. E' una condizione limite, appunto, che trova rispondenzaancora una volta in un'esperienza profondamente mia legata all'in-fanzia. Da figlio di genitori separati nel sud di 40 anni fa, il rischiodi essere messo al margine per questa condizione era forte e hodovuto sempre lottare per restare invece "all'interno della cerchia",tanto che spesso, finivo per ritrovarmi al centro della stessa, troppoal centro, esattamente come se stessi in scena a teatro (ecco chenon mi è stato difficile il passaggio da un "palcoscenico" all'altro).Nel mio caso poi, questa paura di veleggiare sul limite si è andatadissolvendo con il passare del tempo ed è diventata solo un ricordomentre, per quanto concerne la condizione di "malato di mente", èconnaturata ad essa anzi, è il suo superamento perché il limite sonoi cancelli e le mura del manicomio o i muri invisibili che le personeergono tra loro e te. E una volta che i muri sono saliti, tu malato dimente ti trovi oltre essi e quindi sei "fuori". Fuori dal consessoumano che ti ha rigettato. Ma, al contempo, gli stessi uomini che siautodefiniscono "sani", guardando le mura di un manicomio si de-finiscono "fuori", mentre i malati sono "dentro". E allora? Qual è ildentro e qual è il fuori? Esattamente come nella condizione carce-raria e in qualunque condizione di diversità sancita da un confine:esso stesso determina un dentro e un fuori differente secondo illato su cui ci si trova. Mi viene in mente una parola leccese - 'ppop-peti - che i cittadini di Lecce usano per indicare in modo irriverente"quelli di provincia". Il suo etimo è latino e cioè: post oppidum, oltrele mura della città.Il guaio è che anche "quelli di provincia" usano

spagine

La mancanzadi un bacio

Mercoledì 10 dicembre 2014 al teatro Comunale di NardòMario Perrotta ha “raccontato” il suo Ligabue

Antonio Liganue in un autoritratto

di Gianni Ferraris

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della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0cronache culturali - teatro

la stessa espressione per indicare con la stessa irriverenza "quellidella città" perché, dal loro lato del confine, noi cittadini siamo ef-fettivamente 'ppoppeti, ossia oltre le mura. Ecco che, ancora unavolta, un confine determina una discriminazione bilaterale e a furiadi annotare situazioni del genere, mi viene da pensare che è il con-cetto stesso di confine ad essere sbagliato.

In un’altra intervista pubblicata recentemente sulla rivista della Fon-zaione Terra d’Otranto “Il Delfino e la mezzaluna” alle pagg.216/223, racconta dell’impellenza di parlare della diversità, di vi-verla:

Vorrei farti una domanda personale. Sei diventato padre, nevuoi parlare?Il progetto Ligabue nasce per questo. sapevo che sarei diventatopadre di un bimbo o una bimba che arrivava dal centro africa. Nonsapevo da dove nè l’età, né il sesso, l’unica certezza era che sa-rebbe stato nero. Per qualcuno è un problema, per me una ric-chezza. Gabriele è arrivato dall'Etiopia e un giorno vorrà riscoprirele sue tradizioni. So che qualcuno gli farà notare la sua differenza.Mi sono chiesto se saremo in grado di aiutarlo a superare questiscogli. Lo sapremo un tempo. Queste tensioni mi hanno fatto tirarfuoriil progetto Ligabue. Un “diverso” era la figura che mi permetteva diparlare di me e delle mie tensioni. Come vedi non è una domandapersonale, è artistica. i miei testi sono le mie urgenze. Privato escena si intrecciano.

***Parole nella quali la parte “razionale” ha il sopravvento, è la logicadell’offrire una visione della diversità al pubblico, del dare un sensoa quella che chiamiamo pazzia giusto per togliercela di torno e tor-

nare alla nostra “normalità” mentre “el mat” crea, vede il mondo conocchi diversi, rivendica un bes, un abbraccio, comprensione nonper il suo stato ma per il suo essere “umano”. Il paese lo deride maacqusita i suoi quadri, i “normali” si fanno dipingere il furgoncinoche poi rottameranno senza rendersi conto di quel che fanno, purse legati a filo doppio al valore venale del denaro, neppure sannodi aver rottamato un’opera d’arte, lo capiranno solo quando l’artistamorirà e i suoi quadri avranno l’onore di essere “opere d’arte”.Non avevo mai avuto l’onore e il piacere di vedere lo spettacolo,ne avevo solo parlato con Mario. Arrivò in primavera a Lecce, èvero, ma per una sola sera e in un teatro piccolo per un artista cosìimmenso, il Paisiello, non trovai il biglietto. Ora è tornato in un teatroaltrettanto bello e altrettanto piccolo. Ancora una volta per una solasera. L’ho visto ed ho capito di getto tutte le cose che Mario, in dueinterviste, non è stato capace di dirmi, non poteva farlo: l’impattoemotivo dello spettatore. Commuoversi di fronte ad una piece tea-trale non è usuale per me, lasciarsi andare e passare dalla storianarrata a “oltre la storia” non è facile. Questa volta è successo, edho visto altre lacrime fra gli spettatori. Mi sono commosso e sonoriuscito a trapassare la storia narrata, a veder nascere quadri (Marioin scena disegna anche bene con tratti di carboncino su fogligrandi). Ho visto la grandezza del diverso e l’immensità dell’artista.Ho visto, per dirla con Lacan, un Etrange, un angelo rabbiosamentefiero e senza l’affetto che lo renderebbe una persona altra, diversa.E tornando a Lecce, nella notte limpida e senza luna, pensavo acome sono grette le città di provincia, a volte, quando disdegnanoi loro geni, li emarginano, li snobbano. Lecce austera potrebbe, do-vrebbe riabbracciare con serena calma e pacatezza i suoi “mat”, iguitti, quelli che scommettono e creano. Dovrebbe riconoscere gliartisti quando ancora hanno molto da dare. Qui ed ora per favore!

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Il Salentodi FiorilloIn mostra fino al 26 dicembre nei luoghi della Fondazione Palmieri

Il segno che suona

V enerdì 19 dicembre,dalle 19.00, al FondoVerri, il vernissage dellamostra "Il segno chesuona", opere di Do-natello Pisanello. Do-

natello Pisanello è pubblicista suanegli anni Novanta la rivista Menhir,musicista, arrangiatore di musica tra-dizionale salentina e compositore di

colonne sonore. Dai più è conosciutocome l’organettista dell’Officina Zoè,chi lo conosce bene sa che è molto dipiù... una lunga militanza la sua det-tata da una profonda convinzione aservizio del suono, della cultura edella riflessione intellettuale. In mo-stra al Fondo Verri i suoi lavori graficidove "piccoli segni", si aggregano infigure: è la musica a dettare la trac-

cia, l’ordine delle figure che trattodopo tratto si materializzano. Cosedella musica, strumenti, l’amato orga-netto, le linee della chitarra. E poi ilcolore, dosato come fosse elementofondante della melodia… il mondoSufi è la culla di questi lavori, losfondo essenziale, culturale. Quellameditazione, quel confronto con ilcreativo… Quella completezza.

In mostra dal 19 dicembre al Fondo Verri le opere di Donatello Pisanello

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della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0in agenda - arte

L'arte del paesaggio di-venta quella del passag-gio attraverso luoghi,atmosfere che fra il lumi-noso della luce locale equella emessa dai mate-

riali di una natura quasi dimenticata si scar-nificano in una essenzialità pastosa come losono i colori utilizzati dall'artista Marco Tom-maso Fiorillo. Viene, in questi casi, spontaneo chiedersiquanto valga un dipingere del genere, se insostanza la capacità documentaria delleopere di Marco Tommaso Fiorillo sopravanziquella di una fotografia. La risposta è proba-bilmente annidata fra le pieghe scaltre dei

colori dove è possibile trovare ancora il la-scito sonoro del paesaggio ovvero quel si-stema di suoni ma anche di colori chelasciano sospendere l'osservatore in unacondizione di ascolto di un altro mondo,quello che un tempo condiva con “natura-lezza” oggi perduta i passi di tutti coloro checi hanno preceduto.E se questo è vero, se il paesaggio apparesospeso, l'atmosfera, come si diceva, ge-nera un'attesa tutta speciale che è quella direcuperare quei paesaggi/passaggi. In alcuni dei dipinti il paesaggio diventa ac-quatico e l'attenzione si sposta sul mare,sulle onde, sugli stralci di roccia che deci-dono di affogarsi e affondarsi nel blu di cielo

e mare. Conta più il ritratto di un voltoumano o quello di un paesaggio? Nessuna delle due ipotesi perché in en-trambi i casi l'osservatore si trova difronte airitratti istantanei di una realtà in un gioco vi-sivo curioso: in un volto ci si può perderecome in un paesaggio così come in un pae-saggio si può ritrovare il percorso di un volto.

di Fabio A. Grassopresso l'ex chiesa di San Sebastiano,Vico dei Sotterranei, 1, Lecce, dal 10 al 26 dicembre 2014,10.00-13.00, 17 – 21.Ingresso gratuito.

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spagine della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0in agenda

Ecco a Leccedal 28 dicem-bre al 6 gen-naio il KIDSFestival inter-nazionale del

teatro e delle arti per lenuove generazioni.Il festival è ideato dalle com-pagnie Factory compagniatransadriatica e Principio At-tivo teatro in sinergia con leIstituzioni ed è un grandeesempio di collaborazione inrete e di messa a frutto delleesperienze maturate nel set-toreUn festival interamente dedi-cato all’infanzia e alle fami-glie capace di offrire nelperiodo festivo del Natale,l’occasione per il pubblico sa-lentino e per i turisti di assi-stere da pomeriggio a sera aspettacoli teatrali straordinarimessi in scena da alcunedelle migliori compagnie ita-liane e internazionali.Un Festival diffuso nei molticontenitori della città quali ilTeatro Paisiello, le OfficineCantelmo, il Castello Carlo V,i Cantieri Koreja, le Manifat-ture Knos, la Casa Circonda-

riale Borgo San Nicola diLecce, uniti per la prima voltain rete per questa nuovasfida dedicata al giovanepubblico.Un Festival dell’inclusioneperché farà tappa anchenella Casa Circondariale“Borgo San Nicola” di Lecceper offrire ai detenuti e alleloro famiglie la possibilità diassistere assieme ad unospettacolo della manifesta-zione. Un Festival che mette in reteoltre ai contenitori, soprat-tutto le esperienze e le speci-ficità artistiche maturate dallecompagnie del territorio chesi occupano d’infanzia dimo-strando straordinari risultatinel territorio nazionale e in-ternazionale. Un Festival del Salento fa-cendo in modo che negli annisuccessivi singoli comunipossano associarsi deci-dendo di ospitare per una opiù giornate una tappa del fe-stival, di spettacolo maanche di formazione.

Un Festival internazionale,che sviluppi l’ospitalità di

compagnie internazionali eavvii dialoghi costruttivi conartisti e modalità straniereper la crescita dello stessocon il confronto e lo scambiodi esperienze.La prima edizione consta di: 16 diversi titoli 30 recite in totale8 giorni di programmazionediverse fasce d’età con spettacoli a partire dabambini di pochi mesi. 10 compagnie nazionali (dicui molte eccellenze regio-nali)3 compagnie internazionali6 contenitori della città

Non solo le grandi fiabe, mauna piccola finestra sulmondo del teatro-ragazzi conla pluralità dei linguaggi cheesprime, delle tradizioni piùantiche come il teatro di fi-gura che rivive attraverso lesapienti mani di maestricome Gigio Brunello o i piùgiovani ma straordinari Bu-rambò, ai linguaggi più per-formativi delle compagnieinternazionali Cie non Novadi Nancy con l’incantevole“The afternoon of a fohen”

(29, 30 dicembre) premiato loscorso anno al Festival diEdimburgo, o l’azione perfor-mativa della compagnia sviz-zera Trickster-p che cipropone un originale per-corso per mono-spettatorenelle 9 stanze di Hansel eGretel (28,29,30 dicembre) odel poetico e divertente Tetesa Tetes (3,4 gennaio) dellacompagnia belga XL produc-tion e lo spettacolo di bolle(L’omino della pioggia - 29 di-cembre) di uno dei più talen-tuosi artisti italiani apprezzatiall’estero Michele Cafaggi.

Ed ancora di sera, le grandifiabe classiche al Teatro Pai-siello con Biancaneve, Cene-rentola, Dottor Jeckill e MrHide riattraversate dai lin-guaggi della danza e delmimo.

Un festival per tutti, per le famiglie,per chi è bambino e per chi ha decisodi non voler crescere.

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Ha preso avvio giovedì 11“Metamorfosi urbane”, ras-segna di spettacoli musicaliche, tra Cursi e San Cesariodi Lecce mette insieme,fino al 30 dicembre le di-

verse formule espressive delle culture mu-sicali e gastronomiche, si propone comemomento di espressione e dialogo fragruppiimmigrati e comunità salentine.La rassegna è promossa dal Comune diCursi, in partnership conil Comune di SanCesario di Lecce, l’Istituto di Culture Medi-terranee e l’Associazione Parco Salento,con la direzione artistico-organizzativa dellastorica d’arte Titti Pece e il coordinamentodella musicologa Fabiola Carlino.

***

Otto ‘concerti da tavola’(secondo il formatcreato nel 2010 dall’Associazione ParcoSalento, che dà origine all’idea stessa delprogetto) e due concerti all’aperto costitui-scono il programma della manifestazione,che è parte di un progetto di ricerca piùvasto e ambizioso che punta a indagare, inchiave antropologica e interculturale, il pro-cesso in corso di ‘metamorfosi urbana’, co-minciato molti anni fa con l’arrivo in terrasalentinadi massicci flussi migratori. Tante le proposte musicali e i generi attra-versati, dalle canzoni e le danze popolarialla lirica e alla sperimentazione di nuovipercorsi musicali, interpretatiin altrettanti-narrazioni gastronomiche. Attraverso espe-

rienze plurisensoriali di voci e odori, suonie sapori, il progetto si propone così di trac-ciare un viaggio nel nuovo Salento pluriet-nico, nei luoghi dell’ascolto e del gusto dovesi incontrano e dialogano le identità di cia-scuno, definendo e ridisegnando nuove‘geografie’ culturali.

Il calendarioIl calendario dei concerti si articola fra luo-ghi e momenti diversi: si è partiti l’11 dicem-bre a San Cesario, nel QuoquoMuseo delGusto (via Santo Elia, 53),con “Le sonoritàdel Mediterraneo” di Rachele Andrioli (voce)e Rocco Nigro (fisarmonica) e la partecipa-zione di EklandHasa ed Eraldo Martucci;altra data già svolta quella del 12 a Cursi,nelle sale di Palazzo De Donno (Piazza PioXII), con un singolare quartetto compostodal violoncello di Redi Hasa (Albania), la fi-sarmonica di Rocco Nigro (Salento) e levoci di RameshMuthpitchchi (Sri Lanka) eMeli Hajderaj (Albania), oggi, domenica14 sempre a Palazzo De Donno alle20.30, l’appuntamento è con con RaffaellaAprile (Salento, voce), Admir Shkurtaj (Al-bania, fisarmonica), DarshanSingh (India,britanga).Si prosegue il 17 dicembre, alle 21, per ilGran Concerto, l’Ex-Distilleria De Giorgi diSan Cesario (via Ferrovia) ospita il concertodei Radiodervish e la presentazione del loroultimo lavoro “Human Tour”. Ancora il 18 dicembre, a San Cesario nelQuoquoMuseo del Gusto (ore 21), con unanuova proposta “Tra Salento e Albania,

suoni e sapori tra le due sponde” che vedeprotagonisti Cesare Dell’Anna (tromba),EklandHasa (pianoforte e tastiera) e Redy-Hasa (violoncello).Il 20 dicembre a Cursi,alle 20.30 nella Parrocchia San Nicola Ve-scovo (Piazza Pio XII) per il Gran Concerto,è il momento della cantautrice italo-etiopeSaba Anglana, in concerto con “La danzadell’origine”. Il viaggio continua con gli ultimi quattro ap-puntamenti in cartellone previsti il 26 di-cembre a San Cesario, nel QuoquoMuseodel Gusto (ore 21), con il duo Redi Hasa(violoncello) e Maria Mazzotta (voce) ne“Tra il Salento e i Balcani, le voci e il respirodei luoghi” e il 27 dicembre (sempre alQuoquo Museo alle 21) con il concerto liricodiNevilaMatya(mezzosoprano), GiorgioSchipa(baritono) e al pianoforte il maestroEklandHasa; sempre il 27 dicembre aCursi, a Palazzo De Donno alle 20.30, i Mi-jikenda Culture Group (Kenya) si esibirannoin ritmi, danze e canti tradizionali dell’Africaorientale. La rassegna si chiude il 30 di-cembre a Cursi, alle 20.30 a PalazzoDeDonno, con l’ultimo concerto in programmache vede protagonisti i salentini ALS PRO-JECT e il senegalese JosphBa in una jamsession estemporanea.

Ingresso libero a tutti gli appuntamentifinoad esaurimento posti.

Per informazioni: Cursi: www.comune.cursi.le.it -

[email protected] - tel. 0836.1904408San Cesario: www.comunesancesariodilecce.it - biblioteca@co-

mune.sancesariodilecce.le.it QuoquoMuseo del Gusto: www.quoquo.it - [email protected]

Una rassegna a cura di Titti Pece e Fabiola Carlino

I concerti da tavolaFino al 30 dicembre tra Cursi e San Cesario in scena le culture musicali e quelle del gusto

Ad illustrare un’opera di Giancarlo Moscara, un folletto segno-simbolo del Quoquo Museo del Gusto di San Cesario di Leccee il logo di Metamorfosi Urbane

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in agenda

La festa dei viandantiLunedì 22 dicembre a Massafra in Piazza

Santi Medici, avrà luogo La Festa dei Vian-danti - Parole / Visioni / Euforia. L’Asso-ciazione culturale Il Serraglio, chequest’anno festeggia il suo decimo anno diattività con progetti legati al tema de “Il viag-

gio”, e l'Istituto d'Istruzione Secondaria Superiore "D.De Ruggieri", dopo collaborazioni artistiche e ambientalinegli anni passati si incontrano nuovamente attorno aduna storia del tutto nuova: l'adozione dell'attrice massa-frese Erika Grillo e del videomaker Alessandro Co-lazzo negli spazi della scuola.Il Progetto Adozione nasce dalla necessità di incontrareartisticamente il mondo della scuola concependo lastessa come luogo aperto e permeabile all’arte e alla cul-tura. “Il percorso che voluto sperimentare con questoprogetto - scrivono Grillo e Colazzo - è quello di farciadottare da una scuola e adottare a nostra volta, usandoil teatro come strumento e terreno di confronto. Il cuoredell'idea è quello di vivere insieme ai ragazzi i momentivivi della creazione artistica, con tutte le sue problemati-che, condividendo proprio nella scuola i momenti di crea-zione scenica. Lo abbiamo fatto ribaltando i canoni diapproccio al teatro; non portiamo a scuola uno spettacolofinito o un semplice laboratorio, ma condividiamo con lascuola il nostro processo creativo di messa in scena at-traverso laboratori di scrittura, di scenografia e di educa-zione al teatro e ai linguaggi audiovisivi. Scopo di questilaboratori è inoltre quello di vivere gli spazi stessi dellascuola come ‘atelier artistici’ perfettamente integrati conla vita sociale circostante”.

In programma:Lav(i)aggio - luoghi a 360°, proiezione cortometraggioa cura di Alessandro Colazzo, con gli allievi del labora-torio di linguaggi teatrali e audiovisivi a cura di ErikaGrillo: Alessio Convertino, Federica Moscariello, DaniaFasano, Pietro Torelli, Giuseppe Martella.Lìberàti, mostra fotografica a cura di Giuseppe Martella.Abito - Territori di tessuto, installazione artistica a curadi Erika Grillo e Mino Notaristefano.Trifolk - Rock n' roll Taranto, concerto finale!

Erika Grillo porta avanti da alcuni mesi un progetto tea-trale sul modo di abitare i luoghi e gli spazi pubblici della

città di Taranto, al centro delle recenti questioni legate altema della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini,intitolato:ABITO – Territori di Tessuto. “Un mondo di individui altempo stesso residenti e nomadi. Partire, restare, tor-nare. E tu, dove abiti? Abito. Stretto, lungo, fiorato, ca-sual, da cocktail, da sposa. E intanto perdil’appuntamento con l’amore.”Uno spettacolo che nasce da un desiderio: Abitare. Il no-stro corpo, lo spazio pubblico, le relazioni con gli altri in-dividui… i Luoghi.Partendo da principio, è necessario sottolineare il perchéla battaglia per un luogo oggi significhi una battaglia glo-bale. Le tante iniziative nate in questi anni nella città diTaranto come anche in altri borghi d’Italia - praticamentedappertutto - sono legate insieme, come se fossero natetutte da una stessa mente. C’è chi si occupa di ripensareil ruolo dei centri storici, ci sono ‘guerrieri’ nelle stradeche piantano alberi, altri che costruiscono luoghi di in-contro sotto i cavalcavia, chi ricostruisce modelli socioe-conomici aggrappandosi alla storia, chi semplicementepropone ilritorno alla terra o ad altre forme di autosostentamento.Il mondo ha sempre avuto il bisogno di fermarsi a respi-rare, di partire e poi di tornare. Come il medioevo è arri-vato dopo la tumultuosa epoca greca e romana,dovevamo aspettarci una cosa del genere dopo la lungaed estenuante corsa dal rinascimento, alla rivoluzione in-dustriale, fino ad oggi. Solo che oggi, per la prima voltanella storia, siamo partecipi di quello che succede al-trove, senza filtri, in tutto e per tutto, a volte anche controla nostra volontà; siamo nell’era globale. E non ce la fac-ciamo a rimanere indifferenti. Questo elemento da solonell’utopistica visione della “civiltà dell’empatia” (J. Rifkin)spazzerà via tutte le logiche politiche mai costruite e tuttele forme di controllo che hanno posto alla società. Eccoperché è importante il luogo. Uno qualsiasi. Quello cheognuno di noi vive quotidianamente. Non è più il mo-mento di “far la lotta contro” qualcuno o qualcosa, chesia il governo, la guerra, l’inquinamento.E’ il momento di abitare; di prendersi cura, piuttosto checurare. Se ti occupi di quel luogo, senza che tu lo dica,lo stai già facendo. E non importa se siamo sempre piùpropensi a partire, a fuggire, a cercare luoghi ‘altri’… per-ché essere in viaggio vuol dire sempre e comunque la-sciare tracce, dunque edificare luoghi.

L’associazione Il Serraglio e l’Istituto De Ruggieri adottano a Massafra l’attrice Erika Grillo

e il videomaker Alessandro Colazzo

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spagine della domenica n°56 - 14 dicembre 2014 - anno 2 n.0spazi creativi

Oggi, al Museo Ferroviario di Lecce, il primo appuntamento

L’a.p.s. 34°Fuso, nell’am-bito del progetto Museo-WebLab (Principi Attivi2012), promuove la primaedizione di Tipi daMuseo: nove creativi invi-

tati a confrontarsi con le collezioni di tremusei locali, il Museo Ferroviario di Pugliaa Lecce, il Museo della Memoria e dell’Ac-coglienza a Santa Maria al Bagno e ilMuseo Civico P. Cavoti a Galatina.Gli artisti sono: Alice Caracciolo, AlessandroColazzo, Paolo Ferrante, Luciana Lettere,Margherita Macrì, Maira Marzioni, MassimoPasca, Francesco Sambati, Chiara Spinelli.

Le opere prodotte resteranno esposte neitre musei dall’13 dicembre al 4 gennaio2015, per poi confluire tutte presso il Museoferroviario di Lecce dove, il 5 gennaio, siterrà l’evento di chiusura della manifesta-zione. In tale occasione, i lavori degli artistie creativi saranno presentati al pubblico dalLorenzo Papadia, dal critico d’arte e giorna-lista Carmelo Cipriani e dall’operatore cultu-rale e giornalista Mauro Marino.

I “Tipi da Museo” e lo staff di MuseoWebLabsaranno lieti d’incontrare i visitatori: domenica 14 dicembre dalle 9.30 alle

12.30 al Museo Ferroviario di Puglia;domenica 21 dicembre dalle 18.00 alle22.00 al Museo Cavoti;domenica 28 dicembre dalle 18.00 alle22.00 al Museo della Memoria.

A raccontare sul sito dell’associazione e suisocial media il dietro le quinte delle diversefasi dell’iniziativa c’è la guest blogger Bar-bara Vaglio. L’hashtag da seguire o da utilizzare è #tipi-damuseo.

***“Tipi da museo” ha preso avvio il 17 novem-bre. Per tre settimane ogni museo è statoesplorato “dentro e fuori” da un gruppo com-posto da un fotografo, un visual artist e unascrittrice/blogger, chiamato a immaginare eraccontare, tra creazioni e suggestioni ispi-rate dalle collezioni e dal territorio del qualesono espressione. Il ricorso a linguaggi afferenti alla fotografia,alla scrittura creativa e alla visual art, nascedall’esigenza di raccontare i musei in nuoveforme e raggiungere dei pubblici spesso in-consapevoli dell’esistenza di tali istituzioni edelle storie in esse custodite.“Tipi da Museo” vuole sperimentare forme dipartecipazione e co-creazione dell’offertaculturale dei musei visti, oltre che come luo-

ghi di tutela e conservazione, come fucine elaboratori di rigenerazione culturale e crea-tività, in cui le collezioni possano essere ma-teria per la creazione di nuovo cultura e arte.

Tipi da Museo è un’azione di MuseoWe-bLab, progetto dell’aps 34° Fuso vincitore diPrincipi Attivi 2012, che si propone di speri-mentare approcci e strategie innovative perla valorizzazione e promozione di piccole emedie realtà museali, attraverso l’uso delweb 2.0 e l’adozione della sua filosofia par-tecipativa.La manifestazione è resa possibile dalla col-laborazione di: Museo Ferroviario di Puglia,Comune di Lecce e Aisaf Onlus; Museo Ci-vico P. Cavoti, Comune di Galatina e Coop.Imago; Museo della Memoria e dell'Acco-glienza, Comune di Nardò e AssociazioneTic Tac; Ricreeremo di Enrico Antonaci(aiuto allestimenti).

INFO E CONTATTI:[email protected] | 328 0925657

sito: www.34fuso.itfacebook: 34fuso, Museoweblab

Twitter: @34fusoInstagram: @34Fuso

Della co-creazione