spagine della domenica 58

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spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

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Il testamento di Napolitano da Gigi Montonato; Gallipoli, 31 dicembre 2014 di Ilaria Seclì; L’orrore su un panno di onde di Rocco Boccadamo; Meno Stato più società di Marcello Buttazzo; lettera aperta a Matteo Renzi di Daniele Manni; Il segno istintuale di Donatello Pisanello di Giuliana Coppola; L’abecedario di Costantini e Marzioni; il Capodanno letto da Paolo Vincenti; La Cultura dei Tao recensito da Alessandra Peluso; Carolina Bubbico a Sanremo; Distillare la cultura e la poesia di Marcello Buttazzo da Antonio Zoretti; Racconti Salentini di Rocco Boccadamo; cronache da Montréal di Milena Galeoto; la copertina è dedicata alla prima salentina de I resti di Bisanzio di Carlo Michele Schirinzi venerdì 9 gennaio a Calimera.

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spaginePeriodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

spagine

Il testamentodi Napolitano

di Gigi Montonato

Il messaggio di fine anno, l’ul-timo, del Presidente Napoli-tano è stato un verotestamento. Il mio successoredeve muoversi nella conti-nuità. Lo ha detto esplicita-mente, quando si è rivolto aldestinatario del messaggio: atutti i cittadini e al mio succes-sore. E che lui voglia avereuna parte nella scelta delnuovo presidente lo ha dettoaltrettanto esplicitamente: midimetto ma non mi disinte-resso. Napolitano è di quegli

uomini che vogliono le due opportunitàestreme della vita: non piegarsi e non spez-zarsi. Nel suo caso piegarsi vuol dire ammet-tere di essersi comportato oltre il seminatocostituzionale, per quanto mai formalmenteviolato. Spezzarsi, non si è spezzato. Ha se-minato, vuole raccogliere.Napolitano ha detto che è importante che ilPaese abbia un governo. Non c’è chi non losottoscriva. Ed è quanto lui ha assicurato conla scelta di Renzi e la sistematica sua conse-guente difesa: non c’era altro da fare. Tantosistematica e ripetuta che a Renzi non fa fareuna bella figura. Che si senta il padre diquanto il governo Renzi ha fatto lo prova l’al-tra sua affermazione: è innegabile che è stataavviata la riforma istituzionale, come io avevoauspicato. Vanità di uomo, quella di Napolitano, di met-tere la firma ad una sua propria opera perchéa nessuno venga in mente di metterne in di-scussione la paternità? Pensiamo quello che vogliamo di quest’ul-timo mohicano, certi risultati sono indiscutibilicome quelli di certe proprietà aritmetiche.Certo, un governo al Paese è importante,specialmente oggi che facciamo parte di unpiù vasto consesso, a cui dobbiamo dareconto. Ma Napolitano non ha assicurato ungoverno qualunque, bensì un governo dellasua parte politica, sia di quella di oggi, del Pd,e sia di quella di ieri, essendo stato ai “bei”tempi del Pci un migliorista; dopo aver tentatocon Monti un governo del Presidente “peg-giorista”. Per realizzare questo, ha impeditoche il popolo italiano andasse a votare giàalla fine del 2011, chiamando Mario Monti ela sua squadra. Mai governo nella storia dellaRepubblica si è dimostrato più improvvisato,pasticcione e velleitario. Si può essere d’accordo o meno con Napoli-tano, ma tanto è accaduto. Su questo non sifinirà mai di discutere e di fare buon sangueo cattivo sangue. E’ certo, comunque, cheNapolitano si è rivelato uomo di polso nel mo-mento di maggiore crisi del Paese. Da osser-vatori si plaude.Il resto del suo lungo messaggio è stato diriempimento. Qualcosa che ha detto potevanon dirla, qualcosa che non ha detto poteva

dirla. Non è un gioco di parole. Detto e nondetto rispondono ad un preciso messaggio. Sul detto è stato abbastanza vago. Forsequalche distinzione tra corrotti e oppositoridel suo operato sarebbe stata opportuna,perché gli oppositori potranno essere duri, in-giusti e strumentalizzanti, ma è il compito cheuna democrazia garantisce loro. Almeno tre cose le poteva dire, tutte moltoimportanti. E’ stato, senza dubbio, omissivosulla questione dei due Marò prigionieri degliindiani, vicenda mortificante e avvilente; sullaquestione dell’Expo, che caratterizzerà il2015 e su cui l’Italia si gioca il suo prestigiointernazionale; sul centenario della GrandeGuerra, la prima grande prova dell’Italiaunita. Ma il capolavoro in negativo delle omissionilo ha fatto tacendo sul centenario dellaGrande Guerra. Essa costò all’Italia più di600.000 morti, 600.000 prigionieri e dispersi,circa un milione di feriti, molti dei quali mutilatie invalidi permanenti. Una guerra voluta dalpopolo italiano, se ha un senso parlare dirappresentanze politiche, economiche, cultu-rali. Dire che il popolo italiano non voleva laguerra, facendo unico riferimento a tutte lepersone che vi parteciparono e ai loro fami-gliari e non anche e soprattutto a chi le rap-presentava a tutti i livelli di rappresentanza,è uno sproposito, che nemmeno l’antibellici-smo più assoluto può giustificare. Nessunodegli altri paesi belligeranti aveva sottoposto

il quesito referendario, guerra sì o guerra no,al suo popolo. Le maggioranze aritmetichenon hanno senso in determinate circostanzepolitiche.Mettiamola così: la Grande Guerra fu operadi quel Dio della Storia che fa da pendant alDio della Bibbia; e le opere di Dio non si di-scutono, si onorano, si rispettano, si spie-gano; non si condannano mai. E’ su questegrandi tragedie collettive che si costruiscel’identità nazionale, l’orgoglio dell’apparte-nenza, la solidarietà di popolo. Cose di cuisono privi gli italiani, ragione per la quale cene lamentiamo sempre senza avere il corag-gio di spiegarcelo fino in fondo. Napolitano si prodigò tanto nel 2011 per ono-rare i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia;tanto che, nell’indifferenza diffusa di tanti altrisoggetti, sembrò quasi l’impegno suo parti-colarmente esagerato. Ma bisogna renderglimerito, perché le occasioni non si presentanomai due volte. E bene ha fatto a ricordarloanche nel messaggio suo ultimo. Per il centenario della Grande Guerra haforse temuto di essere accusato di passareper un interventista ex post, per un fautoredell’«inutile strage», su cui tanto ignominio-samente si insiste, un indiretto fautore diquanto accadde nel dopoguerra. Nessuno –diceva Machiavelli – si è mai pentito di avertaciuto. Ma nessuno può essere più offeso dichi vede, col silenzio degli altri, misconosceree vanificare l’estremo suo sacrificio.

della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0Diario politico

N on si vede bene che col cuore dice il piccoloprincipe. Ma a volte è necessario vedere congli occhi. Sono scampati alla guerra. Scam-pati alla morte in mare, certa. Sono arrivati.Mare nostrum et finesterrae. Lo sbarco deiquasi mille. Fuga dalla guerra. Scuola ele-

mentare di Gallipoli. Carabinieri e polizia, protezione civile einterpreti si dividono i compiti. Pochissime parole. Sulle gra-dinate cataste di vestiti e coperte ammucchiati in poche ore.Questo è (anche) l’uomo. Solidarietà tempestiva, l’ultimogiorno dell’anno. Come quella degli uomini che hanno presoil comando della nave, salvando così quasi mille uomini.Ancora arrivano, portano vestiti, scarpe per bambini, plaid,coperte, cibo. Mentre i pullman aspettano di riempirsi perportarli ad altra destinazione, Otranto Bari Milano Venezia.Hanno occhi grandi, i due bimbi sotto il porticato coi loro ge-nitori, hanno occhi di cielo grigio e mare aperto d’inverno,pupille enormi come il dolore che hanno attraversato e attra-versano. Immagino che i nonni non ce l’hanno fatta a partiree sono rimasti lì, soli, figli e nipoti scappati. La madre è triste,accenna uno stanco sorriso, i figli hanno i suoi occhi.Avranno lasciato in Siria il resto della famiglia. Immaginiamocosa sia una bomba. Immaginiamo cosa sia una guerra.Cosa sia separarsi forse per sempre da qualche membrodella famiglia, sapere qualcuno dei propri cari in pericolo.Eppure dover sopravvivere per amore di vite in germoglio.Sono vestiti leggeri e sono i giorni più freddi degli ultimi de-cenni. Si infilano nel pullman. I bimbi, oltre il vetro, accen-nano un nascondino di fortuna, complice la tendina del bus.Ebbà! Mandano baci al volo, alcuni adulti giungono le maniin segno di ringraziamento e preghiera, altri guardano fissi

negli occhi, il palmo sul cuore. Salutano, altri alzano il pollicequasi a tranquillizzare e ancora ringraziare chi è fuori dal pul-lman e tra qualche minuto andrà a festeggiare l’ultimo del-l’anno. Un poliziotto dice che un uomo non sa dove sia suamoglie, l’hanno ricoverata e rischia di partire senza di lei.Cerco di cancellare immediatamente queste parole, ma chiè con me conferma la loro verità. Voglio convincermi che nonsia vero. Eppure io non sono in quel dolore. Sono più in là,molto più in là del suo centro.Parte il primo pullman, dentro ci sono i bambini occhi di cielogrigio e mare aperto d’inverno. Ci salutiamo fino a che nonscompaiono. A 10 metri da qui, i carri allegorici per l’ultimogiorno dell’anno, mani e estro gallipolini, musica altissima.Li faranno scoppiare a mezzanotte. Mentre alcuni ragazzisalgono sul secondo pullman, uno di loro accenna passi didanza, strappa un sorriso ai compagni. Mia nonna dicevasempre che una veglia funebre può strappare risate come unmatrimonio risse. La forza della disperazione e della vita chevuole continuare e continua. 31 dicembre 2014. Sul terzopullman c’è una scritta: La vita è un viaggio, partire è viveredue volte. Sì, e poi “Arbeit Macht Frei”. I viaggi, come lalegge, non sono uguali per tutti.Buon anno, bimbi e mamme siriani. Buon anno padri e ra-gazzi. Che i venti, ovunque andiate, vi siano favorevoli. Ebuon anno a chi ha permesso lo sbarco dei quasi mille, a chiha distribuito cibo, ha sfamato, dissetato. A chi ha passatoun ultimo dell’anno senza tacchi scollature pellicce, in unascuola elementare aperta l’ultimo dell’anno. Una scuola ele-mentare dove si è celebrata la lezione della vita, dell’essereUMANI.

di Ilaria Seclì

Gallipoli, 31 dicembre 2014

“d illustrare Ballata Naufraga, opera di Carlo Michele Schirinzi

Domenica 28 dicembre, al fine d’adempiere al precettofestivo, mi sono, al solito, recato a Castro. A distanzad’un giorno, in questo momento, mi viene in menteche, nell'occasione, stranamente, non mi sono fermatoall’altezza del belvedere che si schiude dirimpetto alcastello aragonese, in modo da rivolgere lo sguardo

da quella postazione privilegiata, come immancabilmente faccio, versola distesa del Canale d'Otranto, nitidamente delimitato adoriente,spe-cie quando l’aria è tersa, dai rilievi del Paese delle Aquile.Così è successo, forse, giacché pioveva, era grigio, insomma le con-dizioni atmosferiche non m’ispiravano molto all’approccio visivo edemotivo con lo spettacolo dell’amata e familiare superficie d'acqua,tante volte, sia pure sottocosta, solcata alle manovre della mia bar-chetta a vela e, in più, ad ogni occasione, cantata, descritta, vagheg-giata.Chi, mai, quand’anche estimatore innamorato del panno d’onde inquestione, avrebbe potuto immaginare la tragedia e le difficoltàche,nelle medesime ore, si stavano materializzando proprio lì, a pochedecine di miglia di distanza, con un traghetto in fiamme traballante suun mare molto mossoe, soprattutto, recante a bordo centinaia di per-sone, come sequestrate al freddo e sotto l’insidia d’immani fiammeche divampavano nel ventre della nave, incontenibili sino al punto direndere incandescenti i pavimenti dei vari ponti, oltre che d’emanarecascate a salire di fumi maleodoranti.Certo, disgraziee/o incidenti del genere si possono verificare, andareper mare comportadi per sé, potenzialmente, un rischio, la forza e l'im-prevedibilità degli elementi naturali non sono un'invenzione del croni-sta,bensì realtà esistentida sempre.Ad ogni modo, nella specifica circostanza,a colpire lasciando trasudareterrore e sgomento, non è il fatto a sé stante, sebbene abbia pur im-plicato il consumo di alcune vite umane.Ciò che si configura alla stregua d’un pugno nell'occhio, un calvario,un dramma nel dramma, è stato invece registrato sul fronte degli in-terventi - tra precarietà, contrordini, esitazioni, contraddizioni-imme-

diatamente dopo l’ordine del comandare di evacuare la nave.E, non ci si trovava in mezzo a un oceano sperduto senza confini, main un ridotto specchio di mare, addirittura in un punto da cui è dato discorgere i profili della terraferma, su unasponda e sull’altra del Canale.Malgrado tale e tanta prossimità e, quindi, i tempi oggettivamente nonestesinecessari perché i soccorritori si portasserosul luogo,l’odisseadi quei passeggeri,più, ovviamente, i membri dell'equipaggio, intrap-polati sul ponte alla sommità della nave, con lo scafo ondeggiante trai miasmi del fumo, sotto il freddo(si è alla fine di dicembre, i Monti Bal-cani non lontani dal sito del naufragio), le ore sono andate passandoa iosa, i primi fortunati giunti ad essere sbarcati hanno fatto cenno al“rischio di fare la fine del topo in trappola”, all’assenza assoluta di soc-corsi per lungo tempo, ad un equipaggio che non capiva nulla, ad unclima di disorganizzazione generale.E’ proprio vero che, come è giusto e ordinario che avvenga in un paesemoderno, l’Italia dispone di mezzi all'avanguardia e sufficienti per ognievenienza, guardacoste, aerei, elicotteri, navi militari, sistemi di soc-corso, apparati idonei a far fronte alle emergenze, assoluta sintoniafra le forze chiamate a intervenire?E’ vero o, al contrario, ci s’illude che così sia, mentre, in realtà, la mu-sica è ben diversa e, però, bisogna pur sempre e comunque cercaredi conferire attendibilità al nostro proclamato ruolo e standing di paesecivile e ricco?Tutt’altro che domande, dubbi, interrogativi di spessore peregrino intal senso e sull'argomento, atteso che, fra la stesura delle presentinote, le quali sgorgano dall'animo del comune osservatore di strada,eil primo insorgere dell’incendio sul traghetto, sono trascorse oltre trentaore e, ciononostante, a quanto s’apprende in tempo reale, sulla navec’è ancora un cospicuo numero di persone, anche se costituenti l’equi-paggio, in attesa del salvataggio e del loro trasporto a terra.Si è parlato di mare mosso, vento forte, condizioni oggettivamenteproibitive e, non di meno, occorre rimarcare che c'era un pericolo inconsumazione a cielo aperto, a un palmo di mano dalla terra sicura edalle risorse disponibili.

di Rocco Boccadamo

L’orroresu un panno di onde

spagine

A quest'ultimo riguardo, mi viene di ricordare, mutuando tale particolareda una recentee purtroppo assai più grave tragedia sul mare, che, adesempio, la “Costa Concordia” aveva in dotazione ventisei scialuppedi salvataggio, ciascuna capace di imbarcaree portare a salvamentocentocinquanta persone. Ora, come non domandarsi se, domenica 28dicembre, nessun‘altra “Costa Concordia” o giù di lì si trovasse nel-l’ambito del Canale d'Otranto, del vicino Ionio o dei restanti tratti del-l'Adriatico, per un intervento maggiormente incisivo e un più veloceprelievo degli innocenti, rannicchiati sulla terrazza del traghetto, a sof-frire così a lungo il freddo e la paura?E’ comprensibile e giustificabile che ci si sia limitati a togliere dall’am-bascia, dal patimento e dal pericolo i malcapitati passeggeri con pre-lievi di una persona per volta, a mezzo dell’elicottero fermo in verticalesul traghetto?Non abbiamo, forse, assistito, in un’interminabile serie e per lunghianni, ad operazioni di soccorso e di salvataggio, nel più vasto Canaledi Sicilia anche in condizioni meteo marine avverse?Come mai, in questo caso, l’insieme ha dato l'impressione di un limite,una precarietà nella situazione, con cambiamenti di programma suiposti sicuri dove far dirigere il mezzo incidentato?A chi scrive, ha fatto male anche un piccolo particolare, ossia a dire lacomunicazione del numero, ad una certa ora di ieri sera, dei passeg-geri ancora in attesa sul traghetto: una prima fonte parlava di cento-cinquanta persone, una seconda, di trecento otto: e dire che si trattavadi esponenti ed organismi facenti parte della medesima amministra-zione statale impegnata nell'intervento a beneficio dell'incidente.A confessare un'altra verità, non è minimamente piaciuto il consuetocinguettio del nostro Capo del governo “L’Italia è orgogliosa della vo-stra tenacia. Sarà una lunga notte: intanto, grazie!“.Da lui, col suo forsennato dinamismo, decisionismo, desiderio di es-sere sempre e in ogni dove protagonista, di apparire, ci si sarebbeaspettato, sarebbe stato logico e naturale, non un componimento ver-bale sul web, ma un salto immediato, un volo materiale e concreto daRoma o dalla natia Toscana verso il Canale d'Otranto, dove portarsi

fisicamente,dentro un elicottero, a contatto con i malcapitati: “Coraggio,ci sono io qui, sarete condotti presto e tutti sulla terraferma, in salvo epresto scorderete la vostra disavventura”.Così succede il più delle volte in Italia, siamo bravissimi, si parla, siparla, mentre i fatti concreti latitano e/o sembrano affidati e rimessiamera disordinata improvvisazione.

* * *Domenica 28 dicembre, ricorreva la festa liturgica dei SS. Innocenti,martiri per opera d'un lontanissimo tiranno. Guarda la coincidenza ela concomitanza, come drammatico episodio di cronaca d’attualità, siè inserita la grave vicenda, per fortuna non devastante strage, di cen-tinaia d’innocenti pedoni del mare.Domenica 28 dicembre, si celebrava anche la festa della Sacra Fami-glia, famiglia intesa non soltanto come composizione di persone all'in-terno di singole mura domestiche, ma nel senso allargato di paese, disocietà in genere, in ogni caso un consesso che sia fondato soprattuttosul principio della mutualità e della solidarietà, a prioritario vantaggiodeideboli, di chi soffre o versain condizioni di pericolo.In conclusione di queste righe, desidero estrinsecare una mia perso-nale riflessione, suscitata, da un lato, dalla partecipazione, in veste dicredente, al precetto richiamato all’inizio e, dall’altro, dall’episodiodeltraghetto in pericolo, ancora sino a questo momento, nel canaled'Otranto: con l'auspicio, ovviamente, che la disgrazia rientri rapida-mente e definitivamentee, soprattutto, senza ulteriore aggravio in ter-mini di perdita di vite umanePenso, anzi sono convinto, che, solamente se sapremo riconoscereche, dall’incendio e dal naufragio del “Norman Atlantic”, usciamo ide-almente sconfitti un po’ tutti,a partire da domani riusciremo a invertireo almeno a modificare la rotta dei nostri comportamenti, aprendola algodimento di stagionid’autentica crescita, nel modo d’essere uomini edi relazionarci fra noi.

della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0Contemporanea

spagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

Secondo il parere di alcuni bioe-ticisti cattolici, “la secolarizza-zione si sta sgretolando, anzisi è ormai già sgretolata sottoi nostri occhi”. Le società con-temporanee sono in crisi,

sono attraversate da movimenti complessi,ma perché non sperare di preservare gli in-negabili aspetti positivi? Siamo tutti interessati da scombussolamentidi varia natura e, probabilmente, non giovadefinire domini di netta non comunicazioneed esclusione. Cattolici e laici possono dia-logare proficuamente anche in una societàsecolarizzata, superando le incomprensioni,oltrepassando gli improduttivi inasprimentidelle ideologie.È senz’altro un errore voler confinare la reli-gione solo nell’intimo dei sentimenti personalio nel chiuso delle sacrestie, come se fosseun pericolo vederla circolare fra la gente. Le religioni devono avere anche una certavalenza pubblica, a condizione però cheesse non siano discriminanti nelle scelte po-litiche dello Stato laico. Alcuni studiosi catto-lici ritengono che la secolarizzazione stiaportando “allo sfaldamento dell’individuali-smo libertario, del naturalismo darwiniano”.Forse, non è propriamente così.La cultura libertaria con la sua morale mor-bida e comprensiva segue dinamiche apertee sostenibili, cerca di coinvolgere i cittadinicon la sua flessibile visione del mondo. Nonè un caso che sulle questioni eticamentesensibili la negoziabilità dei principi sia piùconvincente della rigidità dei valori “non ne-goziabili”. Darwin, fino ad oggi, ci ha tra-smesso risultanze più efficaci rispettoall’inverosimile teoria creazionista. Non è unoscandalo asserire che siamo figli d’una scim-mia antropomorfa, e non discendenti dell’an-gelo decaduto.L’evoluzionismo, come spiegazione dei pro-cessi iscritti nel grande libro della Natura, èsupportato tra l’altro da evidenze e prove bio-chimiche, genetiche, paleontologiche. Ciòdetto, anche chi non crede può gettare unosguardo sul composito universo religioso conocchi di meraviglia e rispetto. Che i cristiani annuncino Cristo come Figliodell’uomo, non può che scuotere tutti e scal-dare il cuore degli uomini di buona volontà.Epperò, più che allo sgretolamento della se-colarizzazione, da anni ormai assistiamo allosfasciamento della politica attiva, che dimen-tica la sua vocazione e il suo agire laico e li-berale, per aderire opportunisticamente apreconfezionati modelli confessionali. Ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi,esponenti del Pdl, dell’Udc e del Pd, s’incon-travano in convegni dal titolo evocativo “Pri-

mum vivere”, al fine di avviare un “confrontomoderato” sulle tematiche eticamente sensi-bili. Tanto moderati che si decideva, ovvia-mente, di seguire unicamente epedissequamente gli insegnamenti dell’eticatradizionale. Ma ci chiediamo: in uno Statolaico e liberale, è lecito basarsi esclusiva-mente sui presupposti d’un unico modellomorale, assottigliando e mortificando di fattole prerogative dell’etica pubblica, come sel’adesione alle diverse morali fosse un limite,e non invece un arricchimento?Il sociologo Luigi Manconi ha sempre attac-cato, in passato, le pretese e le esagerazionibioetiche di certi berlusconiani e dell’inossi-dabile e trasversale “partito della vita”. Il pre-sente, ahimè, non è roseo, con Matteo Renziche non sa prendere alcuna decisione bio-politica degna d’un vero statista. Paghiamorecenti retaggi. Usciamo da obnubilanti annidi oscurantismo. I partiti, anni fa, in modoconsociativo obbedivano ai dettami dell’eticaconfessionale.Ma può essere veramente “riformista” un pro-ponimento incentrato unicamente sul rispettodei valori cosiddetti “non negoziabili”, da di-fendere strenuamente e da perpetrare addi-rittura in specifiche normative? Ancora oggi, l’ex socialista Sacconi ritieneaddirittura che si debba diventare i paladinid’una cosiddetta “antropologia positiva”. Mache antropologia è quella che vorrebbe ob-bligare i cittadini a soggiacere a certe normesul “fine vita”, senza avere la possibilità dipoter decidere liberamente sull’invasività omeno delle terapie mediche? Che registro è quello che sacralizza l’em-

Contemporanea

di Marcello Buttazzo

brione umano fino a stabilire sostanzialmenteche sia preferibile buttarlo nei lavandini o neiwater dei laboratori, piuttosto che utilizzarloper la ricerca scientifica? Che sistema èquello che, invece di costruire ponti fra gli uo-mini, innalza barrire ghettizzanti, incapaceperfino di riconoscere giuridicamente le cop-pie di fatto omosessuali? Si può continuare arincorrere fantasmi, sostenendo che l’abortofarmacologico sia un rischio capitale per ladonna? Per anni le Roccella e i Gasparri hanno sfo-derato una sgangherata cultura bioetica. Chepensare di quelli uomini delle istituzioni checontinuano a proteggere lo Statuto ontologicodell’embrione umano, con il risultato di met-tere in contrapposizione la cosiddetta “dignitàgiuridica del concepito” con i sacrosanti dirittidella donna. Quante volte i fieri alfieri “pro-life” hanno criticato l’autodeterminazione el’autonomia morale femminili, organizzandocampagne serrate e anacronistiche contro lacontraccezione o contro l’attuale ottima legge194 sull’interruzione volontaria di gravi-danza? Il mondo politico non dovrebbe maichiudersi a riccio. Questa quotidianità ha setedi possibilità, di reciprocità, di gradi di libertà.Un uomo delle istituzioni dovrebbe sempretutelare la negoziabilità dei principi, dovrebbesaper assicurare il pluralismo dei modelli mo-rali. E occorre dire che s’avverte la necessitàdavvero d’avere, in certi momenti, menoStato e più società. Sulla vita e sulla morte,sulla Ru486 e sull’aborto, sulle altre gramma-tiche del vivente, lo Stato deve saper discipli-nare blandamente, ma poi dovrebbedecidere per l’innanzi la persona.

Meno Statopiù Società

G ent.mo PresidenteRenzi, mi chiamoDaniele Manni,sono un docente diLecce, innamoratoe appassionato delproprio ruolo (nonriesco a chiamarlolavoro) e, pare,sono fra i 50 finalisti

al mondo candidati al titolo internazionale di Pre-mio Nobel per l’Insegnamento, il “Global Tea-cher Prize” della Varkey Gems Foundation. InEuropa siamo solo in nove e due in Italia (quasiil 30%), anche se so perfettamente di esseresolo stato fortunato perché c’è stato qualcunoche si è preso la briga di segnalare il mio ope-rato alla Fondazione, quindi, dietro questa puntadi iceberg, sono certo si nascondono centinaiadi colleghi altrettanto meritevoli di questo “titolo”,i quali lavorano, sperimentano e innovano ognigiorno, nel silenzio delle loro aule, fianco afianco con i loro fortunati studenti.

Ho deciso di scriverle perché oggi sono “qual-cuno” e questo mio quarto d’ora di notorietà du-rerà appena un mese, fino a quando non diverròun banale “ex” finalista e le mie parole avrannocerto un peso diverso.

Cosa le chiedo? Niente di più di quanto lei nonstia ripetendo negli ultimi giorni, ossia più consi-derazione in Italia per la professione docente,più “ritmo” nella scuola. Solo che, oltre ad ascol-tare e ad apprezzare i suoi nobili intenti, mi pia-cerebbe che in questo nuovo anno vedessimoazioni concrete, un po’ come facciamo noi“bravi” insegnanti “da Nobel” con i nostri alunni,agendo e creando risultati e non solo annun-ciando cambiamento e innovazione. E di azioniconcrete per riqualificare il nostro ruolo nella so-cietà italiana me ne vengono in mente due.

La prima, a rischio di sembrare banale, è quelladi rendere semplicemente “dignitoso” lo stipen-dio che ci viene riconosciuto, perché oggi, digni-toso, non lo è affatto. Se, pur essendo i peggiopagati e ricevendo poca o nulla stima dalla so-cietà civile, riceviamo lode e attenzione interna-zionale e la nostra opera quotidiana rende lascuola italiana una delle “istituzioni” più apprez-

zate dalla cittadinanza (al terzo posto, dopoPapa Francesco e le Forze dell’Ordine*), chiedoa Lei e al governo che rappresenta, cosa po-trebbe essere la Scuola italiana se il corpo do-cente ricevesse più credito e dignità? Comepensa che la società possa apprezzare una fi-gura così importante per la vita ed il presente(non solo il futuro) dei nostri figli se lo Stato è ilprimo a ridicolizzarne il lavoro con un riconosci-mento inadeguato? Comprendo benissimo chequesto è un momento certo non facile per met-tere sul tavolo un piano di aumenti per la cate-goria, ma qualche primo, piccolo segnale nonsarebbe affatto una mossa errata. Se si sta chie-dendo se questo mio è un tentativo per ottenereciò che in tanti non sono riusciti negli ultimivent’anni, la risposta è …sì.

La seconda possibile azione è quella di idearee realizzare iniziative concrete atte a valorizzarela professione, approfittando anche di ogni pos-sibile occasione per enfatizzare, rendere pubbli-che e diffondere le opere meritorie e le personemeritevoli nella scuola, ogni qualvolta se ne pre-senta l’opportunità. Vuole qualche esempio? LaVarkey Gems Foundation ha come missionquella di alzare il livello di considerazione del-l’insegnamento e si è inventato un premio da 1milione di dollari per accendere i riflettori di tuttoil mondo su questa straordinaria professione(sempre che il governo ed il ministero italianoabbiano, anch’essi, questa mission). E’ vero,loro sono ricchi e hanno i soldi, ma quanta ric-chezza abbiamo noi italiani in termini di creati-vità ed inventiva? E non sta certo a me suggeriremodi e metodi efficaci.

Concludo augurando a noi docenti che lei possaprendere minimamente in considerazionequanto le ho scritto e a Lei, ai suoi cari e a tuttoil suo staff un 2015 proficuo, sereno e ricco disorrisi.

Con grande rispetto e fiduciaDaniele Manni

*Rapporto 2014 della Demosdi pochi giorni fa: www.demos.it/a01077.php

e al Ministro Gianninie ai referenti dell’Istruzione in Italia

Salvare la scuolaspagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0lettera aperta al Premier Matteo Renzi

spagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

arte

S inestesia, hai pensato subito; correspondances; arte,che altro non è l’arte, hai pensato, se non questo ri-trovare in un luogo che è già sinestetico di per sestesso, l’aretè e l’ariston, il senso della virtù, l’aretèappunto, e il senso delle cose migliori, l’ariston, ap-punto, perché arista nella loro perfezione, sono le

cose belle del mondo. “Ar” è radice sacra di arte, aretè, ariston,semi che germogliano oggi qui, dove il tuo occhio si posa, trasguardo di libri e sguardo di immagini su pareti di Fondo Verri ed èsinestesia che assorbe tutti i sensi e tu ti senti felice, come quelgiorno in cui hai conosciuto Donatello Pisanello in via Nizza, a Ta-viano e da allora ti porti dentro la melodia di una felicità che è unlasciarsi andare, a volte, ed è un miracolo quando succede , di la-sciarsi andare al profumo d’un prato in fiore che un pesce elegante,sinuoso, sorridente anche lui, abbraccia tranquillo; non corre rischisulla terra il pesce, tu pensi, tra note leggere di musica e di colori.Perché c’è musica, c’è colore, le note del pentagramma e le notedell’arcobaleno, sottofondo di organetti, liuti, mandole, un tambu-rello ma più lontano ed è brusio di vento e armonia di fruscii di petalie di corolle.Ti ritornano in mente le Corrispondances di Charles Baudelaire “E’un tempio la Natura ove viventi/ pilastri a volte confuse parole/ man-dano fuori; la attraversa l’uomo/ tra foreste di simboli dagli occhi/familiari. I profumi e i colori/ e i suoni si rispondono come echi/ lun-ghi….”Ti ritornano in mente mentre ti fai guidare dagli sguardi delle crea-ture filiformi delle immagini su pareti di Fondo Verri.Donatello ti racconta che, per l’arte sua, si serve solo del pennarelli,

i semplicissimi pennarelli dei bambini di tutte le età. Sono loro a re-galargli i segni dell’arte pittorica che gli appartiene; semi di coloreche generano, in chi li osserva, amandoli subito, senso e significato;ed è musica, la musica; ed è poesia, la poesia; ed è colore, quelcolore; ed è libertà, quella libertà di esprimersi al di là di canoni, re-gole, scuole.“Autodidatta in tutto e nessun maestro” ti ripete Donatello; “ un rap-porto istintuale” col colore, tu pensi come con lo strumento musi-cale, il suo organetto diatonico, una carezza ai tasti e via, bisognasolo nutrirsi di silenzio e farsi trascinare; nutrirsi di silenzio, oggi eimmergersi nell’arte; ma poi ricordi che lì a Taviano, in via Nizza 39,su una parete a sinistra entrando nel suo studio-laboratorio-casadelle idee-regno della fantasia e della libertà-su una parete tu hailetto “Noi siamo le arpe e tu ci tocchi col plettro/ il dolce lamentonon proviene da noi/ sei tu che lo operi./ Noi siamo il flauto/ e ilsuono che è in noi è da te./ Siamo montagne impervie e l’eco èquello della tua voce”.Oggi, tra correspondances e sinestesie che danno felicità, tu pensiche Gialalad-Din…Rumi ha parlato ancora a Donatello; guida lasua musica e il suo colore, le mani e l’anima di Donatello, qualun-que cosa egli pensi e mediti, e d’un tratto “Ar” radice sacra ti riap-pare; “ar” anche in Ares, il dio alato dell’arte; gli dei a qualunquecielo appartengano, tu pensi, regalano il loro sorriso; sulle ali delsogno, del mito, della poesia e della musica lasciano i loro segnisu pareti a sinistra per chi entra in via Nizza, a Taviano; su pareti asinistra per chi entra a Fondo Verri, in via del Paradiso, a Lecce.

di Giuliana Coppola

di Donatello PisanelloIl segno istintuale

della domenica n°54 - 30 novembre 2014 - anno 2 n.0

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira MarzioniGaleotta fu la gelatina

Capriole tra Gianni e Giovanna

Era giovedì, una gelatina al gusto gianduia, Mi giaceva con gesti gentiliTra i grigi non piú giovani...Giovanna mi guardòGettó via ogni indugioGiacemmo gaudentiGiorni e giorniTra i guanciali di un hotel.

spagine

“ Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparteo se non vengo per niente?” . Confesso che perun momento mi ha sfiorato il dubbio amletico diNanni Moretti in “Ecce Bombo”, quando ho decli-nato gli inviti di amici e parenti a festeggiare lanotte di San Silvestro in grande stile, fra cenoni incase private o in locali à la page. Ma per que-st’anno ho preferito restare a casa, dando a cia-scuno di essi delle motivazioni differenti e il piùpossibile credibili. Agli amici che so essere votati

ai valori della famiglia e della tradizione e amanti del calore delfocolare domestico, ho detto: “no, non vengo, preferisco godermile gioie degli affetti famigliari quest’anno”. A quelli che hanno i genitori molto anziani oppure li hanno perdutida poco, ho fatto sapere che preferivo restare a far compagnia aimiei anziani genitori ( i quali invece sono andati a divertirsi in-sieme ai loro amici ad un cenone organizzato). Agli amici scapoli impenitenti, che mi invitavano a festeggiare inun locale da ballo, ho risposto con aria finto sconsolata: “ehh.. sa-peste che invidia mi fate! Purtroppo a me, con moglie e figli piccoli,certi divertimenti sono preclusi “(e mentre lo dicevo, i miei ragazzisi scatenavano con lo stereo acceso al ritmo di vari balli latini). Con gli amici colti, intellettuali di sinistra, ho sentenziato: “ma losapete che disdegno queste feste caciarone e volgari, io resto acasa a guardare un bel film di Nanni Moretti, come ‘Aprile’ ( lo ri-vedi ed è sempre nuovo), oppure di Gillo Pontecorvo, come il bel-lissimo ‘Kapò’”. Agli amici intellettuali di destra, ho notificato: “mene frego delle feste e dei veglioni, resto a casa a guardare un filmdi Pasquale Squitieri, anzi meglio, di Renzo Martinelli, e pensoche sceglierò ‘Barbarossa’. Sì, proprio così”. Agli amici simpatizzanti del Movimento Cinque Stelle ho fatto sa-pere: “rimarrò fra le mura domestiche a guardare un vecchio filmdi Beppe Grillo, “Cercasi Gesù”, uno dei migliori della cinemato-grafia italiana, un film profetico!”(coi Cinque Stelle bisogna sem-pre calcare un po’ la mano). Infine, convincere mia moglie è statofacilissimo, puntando sul costo eccessivo delle quote di parteci-pazione alle cene organizzate ( “e che, di questi tempi, mica sipossono buttare i soldi, eh..!”).Così, raggiunto lo scopo prefissato, il 31 dicembre mi predispongoad una tranquilla serata casalinga e alle 20.30 ascolto il discorsodi fine anno del Presidente della Repubblica, trasmesso a reti uni-ficate, in cui Napolitano annuncia le sue dimissioni per avanzatilimiti di età. L’ultimo dell’anno è sempre tempo di bilanci, consun-tivi, e troppo spesso questi sono in rosso, dunque meglio evitareil colpo apoplettico del default rinnovando, per una sera, la bollaeuforica speculativa e mantenendo nei confronti del futuro unadotta ignoranza poiché di esso, come di Dio, non si può dire nulla.(Maghi astrologi e santoni esibiscano regolare dispensa prima divaticinare). E dopo il messaggio presidenziale, via alla musica eai sorrisi e canzoni con la trasmissione di Rai 1 “L’anno che verrà”,condotta da Courmayeur da Flavio Insinna ( uno che, per varietàdi linguaggio, pare un Accademico della Crusca in confronto aCarlo Conti, il negro di Viale Mazzini). Per il deficit di bilancio dicui sopra, meglio evitare la trasmissione di Rete 4 “Terra”, chepropone un resoconto dell’anno 2014 (da dimenticare). Su Rai 2,un film di fantascienza, che però i ragazzi non sembrano apprez-zare (riescono a pronosticare se un film piacerà oppure no già dalprimo frame, incredibile..). Purtroppo, non avendo nessuno dei

dvd dei film di cui ho parlato agli amici e nemmeno l’abbonamentoa Sky Cinema, c’è davvero poco da scialare, televisivamente par-lando. Su Canale 5, una trasmissione omologa di quella di Rai 1:la festa organizzata da Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo, nellacentrale Piazza Plebiscito di Napoli. Su Rai 3, il solito circo diMontecarlo, di una tristezza infinita. E mentre sui canali gene-ralisti, cantanti intrattengono, comici cantano, soubrette condu-cono e conduttori soubretteggiano, mi rimane Sky tg 24 amanetta, pressappoco come tutte le altre sere. E dunque via aicommenti più disparati al discorso presidenziale appena pronun-ciato, alle immagini della tragedia a bordo del traghetto NormanAtlantic nel canale d’Otranto e alla notizia dell’ennesimo bambino,Simone, scannato dalla madre a San Severino Marche. A questopunto, la depressione comincia a lambirmi. Mia moglie mi guardafra il contrito e l’indispettito, per il fatto che pure la notte di capo-danno le è toccato spadellare e lavare piatti; i miei figli mi guar-dano torvi perché avrebbero preferito stare a divertirsi con gliamichetti in qualche serata danzante e sfogano la loro vivacità re-pressa dando fondo a tutte le scorte di rauti e mortaretti di cui di-spongono: in un impeto di euforia sansilvestrina fanno anchetremare i vetri ed esplodere due vasi di gerani della casa dirim-petto alla nostra, tanto che devo subire al telefono l’ira funestadegli anziani vicini bruscamente destati dal placido sonno. Inoltre,dei parenti che telefonano dopo la mezzanotte per dare gli auguri,suocera, sorelle, fratelli, cognati, nipoti, nessuno chiede di me,tutti evidentemente offesi dal mio rifiuto di unirmi a loro per i fe-steggiamenti. A questo punto, non so da quale andito della memoria,mi vengonoin mente i versi del Dies irae di Tommaso da Celano (XIII Secolo):“Dies Irae, dies illa/solvet saeclum in favilla:/ teste David cum Sy-billa. “Il giorno dell'ira, quel giorno che / dissolverà il mondo ter-reno in cenere / come annunciato da Davide e dalla Sibilla. /Quanto terrore verrà / quando il giudice giungerà/ a giudicare se-veramente ogni cosa”.

Quando si avvicina la fine dell’ anno, o di un evo, è facile chel’umanità venga condizionata da paure, timori ancestrali, e risultipiù sensibile ad oscure profezie (le più gettonate, nel giro di boadel 2000, sono state quelle di Nostradamus). Per i cristiani in pas-sato, c’era (ma c’è ancora) l’Apocalisse di Giovanni: “ed ecco sifece un gran terremoto, e il sole si fece nero, e la luna si fece tuttasangue, e le stelle caddero dal cielo sopra la terra […] e ognimonte e le isole si mossero dai loro luoghi. E i re della terra e iprincipi e i tribuni e i ricchi e i forti e ogni servo e libero si nasco-sero nelle spelonche e nelle pietre dei monti. E dicono ai morti ealle pietre: Cadete sopra noi e nascondeteci dalla faccia di Coluiche siede sopra il trono e dall’ira dell’Agnello, poiché è venuto ilgrande giorno dell’ira”. Per i pagani, vi erano le profezie della Si-billa Cumana, a cui si richiama appunto Tommaso da Celano:“Teste David cum Sibylla”. Ogni passaggio importante, ogni svoltaepocale della storia, porta con sé psicosi difficili da vincere. SanCipriano, nel 250 d.C. , voleva offrire la prova scientifica che leprofezie, sia cristiane che pagane, erano prossime ad avverarsi,“il giorno del giudizio si avvicina”. Cipriano affermava che la se-colare lotta fra Dio e il Diavolo era giunta all’ esplosione finale eche bisognava aspettarsi le trombe del Giudizio. L’umanità , nelMedioevo, si fece condizionare dalla suggestione che il dies iraefosse vicino e ad ogni nuova invasione barbarica, ad ogni epide-

di Paolo VincentiChi ben comincia

Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po'e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.

Da quando sei partito c'è una grossa novità,l'anno vecchio è finito ormai

ma qualcosa ancora qui non va.

“L’anno che verrà” - Lucio Dalla

della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

mia, guerra o sconvolgimento politico, si faceva concreta la psi-cosi dell’Anticristo. In realtà, nell’anno Mille non risuonarono le bi-bliche trombe del giudizio universale, come non sono risuonatequalche anno fa, nel Duemila, e il mondo non è ancora precipitatonelle fiamme dell’Apocalisse. “La tromba diffondendo un suonomirabile/ tra i sepolcri del mondo / spingerà tutti davanti al trono./ La Morte e la Natura si stupiranno / quando risorgerà ogni crea-tura / per rispondere al giudice.” Per il capodanno del 2000, tormedi futurologi e cialtroni mediatici si scatenavano a prevedere apo-calissi tecnologiche ( ricordate il millennium bag?).

Quest’anno invece, a movimentare l’attesa della vigilia, solo leprofezie sull’imminente fine del mondo di Ali Agcà, l’attentatore diPapa Woityla, lui sì una macchietta, che fa ridere più dei comiciinsipienti di Rai 1 e Canale 5. E mentre in tv cantano Fedez e Al-bano, Francesco Renga e Raf, e fra ricchi premi e cotillons scattail countdown per la mezzanotte, ritorno ancora ai versi di Tom-maso da Celano: “ Sarà presentato il libro scritto / nel quale è con-tenuto tutto, / dal quale si giudicherà il mondo. / E dunque quandoil giudice si siederà, / ogni cosa nascosta sarà svelata, / niente ri-marrà invendicato.”. I telegiornali trasmettono le immagini dellanave Blue Sky che arriva a Gallipoli con 800 migranti clandestini,uno degli sbarchi più imponenti degli ultimi decenni, e intanto in-formano che va stringendosi il cerchio intorno alla madre assas-

sina del piccolo Loris Stival, inchiodata alle proprie responsabilità.Così vado a dormire, fortemente scosso, mentre gli spari che ri-suonano nelle strade, nel mio blob onirico, si frammischiano ai ru-mori dei bombardamenti di qualche guerra nel medio oriente, edei morti e feriti vittime ogni anno dei botti di San Silvestro. E fra“male erbe e sterile zizzania che ricoprono i campi”, come scri-veva nell’XI Secolo il monaco Rodolfo il Glabro, in una orripilantedescrizione della carestia che aveva colpito in quel tempo la Bor-gogna, “e viandanti che vengono assaliti e poi tagliati a pezzi, cotticol fuoco e divorati, persone che vagano per sfuggire alla carestia,trovano ospitalità lungo la strada e poi vengono sgozzate durantela notte e servono da nutrimento a coloro che le hanno accolte”,chiese che sono spogliate dei loro ornamenti, abitazioni depre-date, invasione di cavallette, piaghe e pestiferi bubboni, sin-ghiozzi, afflizione, gemiti disperati, il mio sonno è più agitato chemai. Basta, l’anno prossimo, al cenone organizzato, mi prenoto fin danovembre. Qualsiasi cosa, meglio degli incubi apocalittici, anche le stelle fi-lanti, le marcette, i trenini e “ ay ay caramba” e “il mio amicoCharlie Brown”! Molto meglio le trombette sfiatate pepperepè, che le trombe diGiosafatte!

l’osceno del villaggioE l'anno che è venutoè solo un anno che è venutoe l'anno che è venutoè solo un anno che è passatoe l'anno che è passatoè solo un anno che ho vissutoe l'anno che è passatoè solo un anno che se n'è andato via.

“L’anno che è venuto” – Roberto Vecchioni

Rutger Hauer In Nostradamus (1994)

spagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

La cultura dei taodi Antonio Verri

letture

di Alessandra Peluso

L’audio libro fotografato di Santa Scioscio

L 'inverno, una stagione, che appartiene al mondo contadinodel Salento, del quale poco si conosce, raccontati da Anto-nio Verri. Il poeta, giornalista, pubblicista, scrittore, editore,nato a Caprarica di Lecce nel 1949 è morto in un incidentestradale, il 9 maggio del 1993.

Con la ri-edizione de "La cultura dei tao" Mauro Marino e Piero Rapanà,fondatori e responsabili del Fondo Verri di Lecce, hanno voluto porre al-l'attenzione di studiosi, intellettuali, lettori, un testo fondante della perso-nalità e della poetica verriana, un lavoro che mostra il continuo dialogotra il mondo contadino e la terra, l'essenzialità di una realtà a volte amara,altre magica.Un raccolto genuino di vita. Si ode il vento, il profumo dei fiori selvatici,le rose, le mimose, le margherite, si apprezzano arti e mestieri dei con-tadini. C'è il grande amore di Verri per la sua terra, ma anche lo sconfortoper non essere riuscito a vederla come immaginava: viva, per nulla pro-vinciale, solidale, aperta alla cultura, alla poesia, la sua unica ragione divita.Emerge poi la donna per eccellenza, la madre del poeta, la "mar" cheama più di tutto, figura sacra e degna di rispetto. Escogita Antonio Verri la bizzarra idea dei "tao": "questa specie di follettipredoni, di elfi colorati, che vivono a mezz'aria, che così maleficamentesono entrati nella sua vita… ci sono sempre in un paese, galoppano os-sessi sul vapore, sui tetti color pigna, sulle madri di Robinia, sulle madridell'oro di coppella… ". (p. 27). È un racconto ammaliante, il lettore ècome un bambino, resta lì incantato ad ascoltare. Eh sì, perché "La cul-tura dei tao" non solo si legge, ma si ascolta, i brani sono registrati su uncd, recitati dalle voci “fiabanti” di Angela De Gaetano, Simone Franco,Simone Giorgino, Piero Rapanà per le musiche originali di Valerio Da-niele con la voce di Alessia Tondo.Non resta che addentrarsi in questa piccola fetta di mondo, lasciarsi coin-

volgere da una realtà favoleggiante, così volutamente resa dall'abilemaestria di Antonio Verri, la sua ricercatezza nei termini, la genialità dellestorie che convergono per la volontà di rammentare una terra, la sua, uninverno, di tutti, che fa conoscere un Salento diverso, colori differenti,che racchiudevano la "grandissima dignità" dei contadini, sebbene vives-sero una "grande fame".Si legge: "Cambia, cambierà di molto il volto della campagna, degli ag-gregati umani, di interi paesi. È cambiato dal dopoguerra ad oggi, cam-bierà ancora tra due, tre generazioni. E cambieranno naturalmente ancheabitudini, modi di lavoro, rapporti…, ecco quello che non cambierà maisarà l'idea del dialogo con la terra che l'uomo ha stabilito dai tempi, ilgrosso respiro, il sibilo lungo che si può udire solo di mattina, mirandonella vastità dei campi, con accanto sentinelle silenziose gli alberi d'ar-gento".

La Cultura dei Tao” - il testo che Spagine – Edizioni Fondo Verri riproponecome audio-libro - è stato pubblicato la prima volta nel maggio del 1986,ad introduzione del catalogo della mostra fotografica itinerante “La culturacontadina”. L’iniziativa fu promossa dalla Scuola Media II° nucleo del Di-stretto Scolastico n°42 di Maglie (presidente il professor Giuseppe Chiri)e dalla Regione Puglia - Assessorato alla Pubblica Istruzione. In una notadel catalogo i curatori si ringraziano il signor Giuseppe Bernardi che misea disposizione, per le fotografie, il materiale del Museo della Civiltà Con-tadina di Tuglie. Coordinatore del progetto fu Pino Refolo, le foto furonorealizzate da Yellow Serigrafia di Maglie, la stampa fu a cura della Lito-grafia Graphosette s.r.l. di Taviano.Oggi viene riproposto corredato da un’introduzione dell’antropologo Eu-genio Imbriani, graficamente curato da Valentina Sansò.

L’augurio è che sia d'auspicio per un dialogo senza fine tra passato, pre-sente e futuro.

Un prestigioso incarico per la giovane pianista, can-tante, compositrice e arrangiatrice salentina Caro-lina Bubbico che la vedrà impegnata nella prossimaedizione del Festival di Sanremo in veste di arran-giatrice e direttrice d’orchestra. La Bubbico ricevel’ingaggio per ben due artisti: Il Volo, eccezionale

trio vocale composto da Piero Barone, Gianluca Ginoble e IgnazioBoschetto partecipanti al festival nella sezione dei Big e la cantau-trice Serena Brancale che sarà presente tra le giovani proposte conla canzone “Galleggiare”. Carolina Bubbico, laureatasi nel 2013 con il massimo dei voti eplauso accademico in Pianoforte Jazz presso il Conservatorio NinoRota di Monopoli, malgrado la giovane età, ha raccolto nel corsodegli anni diverse esperienze di scrittura e direzione; giovanissimaha infatti avuto modo di dirigere la Swing big band, orchestra jazzdel Conservatorio Tito Schipa di Lecce e di scrivere arrangiamentiorchestrali in più occasioni, dal concepimento del suo primo discoda solista “Controvento” (© Workin’ Label 2013), agli archi compostiper il brano “Giulio” contenuto nel cd “Acustronica” del batteristaMimmo Campanale, alla collaborazione con l’Ensemble 05 conospite la cantante Cristina Zavalloni fino alla recente collaborazionein una produzione dell’Orchestra della Provincia di Bari per la qualeha arrangiato il brano “La mia anima” di Serena Brancale che saràcontenuto nel suo disco d’esordio di prossima pubblicazione. Carolina, che ha partecipato per la prima volta alle selezioni del Fe-stival lo scorso anno, entrando nella rosa delle 60 proposte per lafinale nel 2014 ma senza raggiungere un esito definitivo, riscattaora il suo talento conquistando il prestigioso podio assegnato finorasolo in una occasione ad una donna e mai assegnato ad una diret-trice di così giovane età.Carolina Bubbico ha iniziato il suo percorso nel 2010 con un origi-nale progetto in solo “One girl band” che la vede impegnata nell’usodi più strumenti musicali, una loop machine, le percussioni, il basso

elettrico, oltre alla voce e al pianoforte, con i quali costruisce e in-terpreta la musica mettendo a frutto il suo intuito e la sua creativitàtrasformando suoni, parole e musica. La sua voce evocativa, fruttodi qualità naturali, ma anche di studi serissimi rende la sua musicapulsante e capace di emozionare l’ascoltatore, in una sola parola,carismatica. Nell’agosto 2011 il Premio "Best instrumentalist" nella sezione NewGeneration del Jazz Up Festival di Viterbo. Dopo una prima fase dilavoro in solo, Carolina allarga l’organico al trio chiamando al suofianco due apprezzati musicisti pugliesi, Luca Alemanno al contrab-basso e Dario Congedo alla batteria e con loro progetta e realizzail suo primo disco “Controvento”. La canzone “A me piacerebbe ridere”, singolo dall’album “Contro-vento”, vince nel 2011 il premio della sezione Videoclip del progetto“Officine della Musica” e con la regia di Gianni De Blasi, Carolinarealizza il suo primo video. A dicembre 2012 Carolina approda algrande schermo firmando la sua prima colonna sonora e parteci-pando al cast del film ”L’amore è imperfetto” di Francesca Muci(R&C produzioni e R.A.I. Cinema).La pellicola contiene i brani“Cambierà”, “At sunset” e “Controvento”. Il suo disco è trasmessoda numerose emittenti italiane e da alcune radio internazionali; èstata ospite a Radio 2 nei programmi "Radio 2 Social Club" e "Mobydick", su Rai Gulp e su Radio 24 nel programma Soundcheck cu-rato da Gegè Telesforo. Il tour di presentazione, partito in giugno,l’ha vista ospite nel 2013 con il suo Ensemble nei cartelloni d’im-portanti festival nazionali come Locomotive Jazz Festival, HydroMusic Fest, Suoni a sud. Nel 2014 spiccano le partecipazioni aPiossasco Jazz Festival, Locus Festival in apertura a Laura Mvula,,Riverberi Jazz Festival e Ravello Festival con Il Sesto Armonico di-retto dal M° Peppe Vessicchio e Fabrizio Bosso.

www.carolinabubbico.it

spagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

Carolina Bubbicoper Sanremo 2015

musica

spagine

Distillare cultura

S orprende che fabbriche dismesse offrano possibi-lità d’essere utilizzate in altro modo e per altriscopi. Questo accade anche a San Cesario diLecce nell’ex distilleria De Giorgi, dove l’associa-zione Variarti ha eseguito una serie di installazioniartistiche con i materiali trovati in loco. L’esposi-

zione ha coperto il periodo delle festività natalizie fino alla befana,con un anteprima del 13 dicembre (giorno di Santa Lucia).Sculture in pietra leccese poste nell’atrio hanno favorito l’entrata.A lato del viale grossi vasi di vetro poggiati su botti di ferro testi-moniano l’attività passata. Numerose bottiglie luminose s’innal-zano per formare un grande albero di Natale, nello spaziocentrale. A fianco non mancano ricordi, con le officine, i bottai, lapesa, i distillatori, i depositi e camion e macchine ormai fermi.Enormi sili allineati e arrugginiti son depositari e testimoni d’untempo; solo alcuni in rame posti all’interno mantengono la so-stanza di cui son fatti. Dal lato opposto un ordinato giardino è benlieto di ospitare i passeggianti, porgendo loro quiete e riposo; aibambini offre svago e divertimento.Quella che più in alto sale è la muta ciminiera che una volta esa-lava odori nostrani, dal vento allontanati. Quando dalle nuvole edalle stelle del cielo serale scendiamo nel vico nell’ombra del fa-nale, l’evento si compie: una dolce e lieta novella sale. La formadella Nascita, nell’involucro di vetro ora ci appare! E’ manifestain una stanza industriale, inusuale. Riporta con essa quello chenoi speriamo: cuore e amore. Bambin Gesù appare; mantienein tutto e in parte l’aspetto che fu suo. Appare! Chi lo mandò làlo richiede anche qui, tra le ordinate bottiglie poste intorno adesso, accomodate in un vecchio ma decoroso calesse di ferro.La sua luce è improvvisa, travolgente, egli ci accoglie appenavarcata la soglia, incantevole dono in un luogo un po’ strano. Di-

mostra che egli è ovunque, in ogni luogo, indice della sua onni-presenza. Accanto ad esso due tappatrici manuali sigillano l’av-vento, e numerose grosse bottiglie di vetro sostituisconopersonaggi e luoghi tipici del presepe. Spruzzi di lampade colo-rano l’ambiente. Tutto è diverso, ma presente a se stesso. Que-sto si evince dall’estro della stella cometa posta in alto sulla portad’entrata: una semplice scala di legno inclinata funge da scia allastella composta da tubi di ferro tenuti insieme da grossi bulloni.

Variarti ha voluto così liberare idee e propositi, sviluppati e rea-lizzati in quel particolare contesto, affrancandosi da codici esteticio vincoli formali; esprimendo la loro creatività con gli oggetti chela ex distilleria conservava. Ciò rimanda ai primi passi del vissuto degli artisti dell’espressio-nismo tedesco di inizio secolo scorso, i quali ricercavano il sog-gettivo nella realtà che li circondava. Per cui la città, la strada, lafabbrica ecc. stimolava le loro riflessioni; dedicandosi all’emo-zione, alla sensualità, al raggiungimento di una espressione effi-cace, capace di stimolare, impressionare, coinvolgere lospettatore. L’accademismo veniva così abbandonato a favore diun’arte volitiva: come volontà di cambiamento. Dall’interno al-l’esterno: dall’anima dell’artista direttamente nella realtà che locirconda. Nella fattispecie della distilleria De Giorgi Variarti ha sa-puto realizzare originali installazioni con i materiali industriali, ri-lasciando la sua espressione, appunto.Il luogo, ampio e disponibile, ha favorito questo percorso, e nepotrebbe partorire tanti altri, frutto d’esperienze artistiche e cul-turali. Un sito adatto a contenere manifestazioni d’ogni tipo,aperte alla conoscenza. E per fare questo non c’è bisogno digrosse somme in danaro, è sufficiente l’entusiasmo e la volontàoperosa di ognuno.Auguri di buon proseguo, quindi.

di Antonio Zoretti

Le installazioni natalizie dell’Associazione Variartinegli spazi del Parco Urbano della Distilleria De Giorgia San Cesario di Lecce

G li inni di Marcello Buttazzo giungono dalmare. Come la ragazza posta in coper-tina del libro: Marina, dall’etimo: donnache viene dal mare. I versi solcano leonde; Marina è pronta a riceverli, abraccia aperte. Nell'immagine tutto è

manifesto. Amore e bellezza si danno appuntamento.Come gli inni greci religiosi antichi invocavano divinitàlocali, Marcello evoca donne lontane, amori ancestrali,silenziose carezze e baci voraci. Egli avverte l’eco diqualcosa, l’eco che precede la voce. I suoi versi chia-mano nella nostalgia dell’eco dell’assenza: un ricordodel prenatale. Qualcosa che è stato mancato. Nostal-gia, ascolto, risonanza: evoca l’originario e l’arcaico.Ricco di suggerimenti preziosi e di intuizioni ammire-voli, Marcello s’inoltra con ritmo e voce ad esprimereuna primordiale pulsione musicale, che è il corpostesso di ogni parola. Egli combatte contro la cultura“negativa” e nichilista del mondo trionfante e trionfato,

che quindi respinge. La poesia diMarcello è un sigillo di bontà, nonostante tutte le catti-verie di cui l’uomo è capace. Questa è una speranzaradicata nel mondo: il bene non arriverà domani, ci ac-compagna fin dalla prima alba. Come la bellissima im-magine di copertina. Il tempo è quest’attesa. Marcello desidera l’incontro, rinuncia alle illusioni,esprime un componimento poetico indirizzato alla vita,accompagnato da un canto di “voci d’altrove”. Verticedi un evento che apparenta i sensi, come solo la poesiasa fare: sensibilità incentrata sul ritmo, vibrazione, re-stituzione e cangiamento. Versi che sono l’essenzastessa del fare poesia. Qualcosa di antico che ritornapiù nuovo di ogni futuro.Lode quindi a Marcello Buttazzo: poeta di tutti i tempi.Vanto a chi pazienta con mani esperte a cercare le ve-nule più chiare, e un cielo di giornate serene.

di Antonio Zoretti

della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0poesia

Marcello Buttazzo“E ancora vieni dal mare” Manni

S’infrattain stanze dolentila bella speranza,l’ansia d’amare.Verrà il giornoche finalmente usciremoall’apertoa salutare il mondo!

spagine

Mi sono diplomato, con unasfilza di otto e di nove, nelluglio del lontano 1960. Ri-cordo che, giusto allora,era appena passato a mi-glior vita un vecchio marit-

timese, maestro Vitale Bianchi, giàfalegname di mestiere e, soprattutto, permolti decenni, sacrestano della locale parroc-chia, in tale funzione sempre presente adogni evento, lieto e non, che si verificava inseno alla comunità paesana.Una figura, insomma, ben conosciuta e quasifamiliare.Poco tempo dopo, grazie al “pezzo di carta”della scuola e con la mente colma di tanta econvinta voglia di nuovo, ho detto ciao a Ma-rittima e alla mia Ariacorte per incamminarmiverso il mondo del lavoro.Non sono rimaste disattese, per fortuna, leaspettative postemi in tema di traguardi e dicarriera, anche se nessuno mi ha fatto regalie ho, anzi, dovuto impegnarmi, come si suoledire, anima e corpo.Mi è invero capitato di calarmi in un impiego,a diretto contatto e a confronto con la gente,che mi ha preso e coinvolto sin dall’esordio.In più riprese ho cambiato sede di lavoro, ingiro per l’Italia, dalla Puglia alla Toscana,dalla Campania alla Sicilia e alla Liguria, dallaLombardia al Lazio; e questo peregrinare –

pur con le connesse scomodità logistiche,d’insediamento, adattamento e ambienta-mento – si è tradotto in un significativo sup-porto di arricchimento delle mie conoscenzeed esperienze, non solo a livello professio-nale, ma anche e soprattutto dal punto divista culturale e umano.Devo riconoscere che ho avuto la buona ven-tura di essere assecondato – particolare nontrascurabile – dalla famiglia, prima di tutto damia moglie, quindi pure dai nostri tre ragazzi.A loro, perciò, un grosso “Grazie”.Trascorsi circa quaranta anni di servizio attivoda girovago, ho dovuto domandarmi e sce-gliere dove andare a vivere da pensionato.Il passaggio rivestiva molta importanza edha, pertanto, richiesto una lunga riflessione.Alla fine, ha prevalso, devo dire nettamente,l’opzione del ritorno alle origini, per cui misono ritrovato di nuovo abitante di Marittima,per l’esattezza lì abitante in part-time duranteil periodo invernale, allorquando mi divido frail paesello natio, appunto, e la vicina Lecce.All’inizio, sinceramente, ho talvolta avvertitoun senso di disorientamento, mi sono postodegli interrogativi. Ma, adesso, sono, conconvinzione, lieto e soddisfatto di essere ri-tornato.Certo, l’arco di tempo della mia assenza,sebbene non lunghissimo, ha coinciso conun’epoca in cui sono maturati e si sono svi-

luppati tumultuosi e radicali cambiamenti, sic-ché ora molti scenari risultano profonda-mente mutati. Anche a Marittima, diconseguenza, appaiono diffuse le tracce delnuovo: sui muri, nelle vie, sui volti e negli abitidella gente, nella stessa aria che si respira.Da sottolineare che i primi diciannove annitrascorsi nella minuscola località dei miei na-tali erano stati caratterizzati e impregnati daun’elevata dose di “partecipazione” e di coin-volgimento, tanto che dopo, pur vivendo lon-tano e nonostante lo snodarsi del tempo, misono costantemente sentito “pieno” di quelperiodo.Adesso, oramai ragazzo di ieri, mi rendo me-glio conto che in quella fase, intorno a me,non esistevano steccati o fossati rispetto aglialtri, più giovani, più grandi o più vecchi chefossero. Ai miei occhi, la comunità maritti-mese era un tutt’uno e basta.Di riflesso, nella realtà, mi succede ancora disperimentare la profonda conoscenza dellepersone acquisita allora, una vera e propriasomatizzazione, sin dai caratteri e dalle sa-gome del loro fisico.Ad esempio, sono in grado di riconoscereagevolmente un compaesano, basta che loosservi di spalle, senza alcun bisogno discrutare i dettagli del volto.Eppure, di tempo ne è passato!Lo accennavo prima, anche qui, purtroppo,

Con lo sguardodi Rocco Boccadamo

a Marittima

della domenica n°54 - 30 novembre 2014 - anno 2 n.0racconti salentini

si scorgono, inevitabilmente, immagini co-muni ad altri posti, si ha l’impressione di ve-dere in giro più autovetture e scooter cheabitanti, sono ben presenti le mode in voga,i discorsi che si ascoltano risultano spessoimbevuti del tipico, moderno consumismo,delle usanze e delle tendenze che preval-gono.Ma, ciononostante, per me, al massimo li-vello della scala dei valori, rimangono pursempre le persone, non importa se ricche opovere, colte o poco istruite, eleganti o mo-deste e approssimative nell’abbigliamento.Non essendo un critico di professione, bensìsoltanto uno spettatore e non ritenendomi,comunque, all’altezza per poterlo fare, miastengo volutamente dall’esprimere giudizi odall’additare negatività circa i cambiamenti in-tervenuti in maniera specifica nello spaccatodella nostra piccola comunità.Tanto, la situazione attuale è perfettamentealla portata e nella consapevolezza di tutti.Mi piace, invece, tentare di offrire un “contri-buto” di tacito e sereno confronto costruttivo,attraverso qualche riflessione, testimonianzao ricordo.Come in uno speciale lungometraggio cine-matografico di cui non ci si stanca mai di ri-vedere le sequenze, nella mia mente, e nonsolo lì, si succedono con incredibile fre-schezza molte scene della vita marittimesedi circa sei decenni addietro.Qui, provo a metterne a fuoco talune, chemaggiormente si sono incarnate nella memo-ria.Regnava una totale e assoluta familiarità, siconosceva tutto di tutti, i vecchi avevano pre-senti i nomi finanche dei neonati e, analoga-mente, anche i bambini conoscevano quellidegli anziani.Indimenticabili i semplici giochi delle serateestive nelle viuzze dei vari rioni, sotto una ca-suale lampadina dell’illuminazione pubblica,se e quando esistente, altrimenti al buio ri-schiarato appena dal luccichio delle stelle edalla luna: si partecipava in numerosi, sere-namente e gioiosamente, a prescinderedall’età.Quotidianamente, anche col tempo incle-mente, i giovani, gli adulti e gli anziani, disera, erano soliti “uscire in piazza”, con loscopo prevalente, se non esclusivo, d’incon-trarsi, far crocicchi, parlarsi e, così, tenersempre aggiornate le reciproche cono-scenze.Magari, ci stava anche qualche passata dallabottega di mescita del vino, ma, ripeto, es-senzialmente si discorreva, del più e delmeno, come nell’agorà delle civiltà antiche.Le ricorrenze delle feste, almeno delle prin-cipali, rinfocolavano vie più gli stimoli ai con-tatti, alla socializzazione, alle passeggiate, incoppie o in gruppi. In quelle circostanze, siregistrava anche il fenomeno dei numerosicompaesani – residenti altrove – che maimancavano all’appuntamento di un rientro,seppure di breve durata; si materializzavano,in tal modo, più ampi e festosi spunti per in-

contrarsi.Quando qualcuno versava in cattive condi-zioni di salute, non passava giorno senza chei compaesani, a frotte, di solito al rientro dallefatiche nei campi, passassero a rendergli vi-sita, per informarsi sul decorso della malattia,per condividerne le sofferenze mediante dueparole o un sorriso.In occasione, poi, della dipartita di un pae-sano, si registrava un unanime senso d’au-tentico dolore, la partecipazione e lavicinanza alla famiglia coinvolgevano la tota-lità della popolazione; la chiesa, sovente, nonbastava a contenere i partecipanti all’ultimosaluto allo scomparso, il corteo che si sno-dava verso il camposanto era quasi sempreinterminabile, eppure – malgrado tanta folla– aleggiava un clima di assoluto raccogli-mento, non volava una mosca. Con sponta-nea partecipazione e dignità, si tributava,così, un corale abbraccio finale a chi se neera andato.Nei ragazzi e negli adolescenti, era radicatal’abitudine, alla domenica, di assistere alla“prima” messa al Convento; si saltava giù dalletto verso le cinque e mezzo, in certe sta-gioni ancora notte, si compiva il tragitto apiedi sotto l’incanto di cieli tersi e stellati. Lafunzione, per le otto, era già terminata e,così, si aveva a disposizione l’intera matti-nata, per giochi e divertimenti nel boschettosulla via dell’Arenosa.D’estate, i giovani, se non c’era altro da fare,si attardavano in piazza o nelle strade princi-pali del paese per tutta la notte, sino alleprime ore del mattino, discorrendo e scher-zando, ma senza schiamazzi, per non arre-care disturbo agli altri, in un clima di autenticaamicizia e di schietto cameratismo.Succedeva, non di rado, che la loro perma-nenza così prolungata si incrociasse con leprime sortite da casa degli adulti, i quali, an-cora scuro, si avviavano verso i campi. Edera molto bello scambiarsi, insieme, quelbuongiorno avente un sapore assolutamentespeciale.Saltuariamente, di solito nella tarda seratadel sabato, si spostavano in gruppi verso lemarine per pescare i granchi, qualche scor-fano o, magari, i polpi, sorprendendoli sugliscogli bassi e nelle buche a ridosso del ba-gnasciuga erboso sotto il fascio di luce di ru-dimentali lampade ad acetilene. In qualchepunto, i gruppi s’incrociavano e facevano ilconfronto dei rispettivi bottini che, intanto,strusciavano scivolando lungo le pareti in-terne delle caratteristiche anfore di rame ozinco (capase).Gli usci delle case restavano in genere aperti,il rispetto della proprietà altrui era sacro, lenotizie di qualche furtarello costituivano unevento davvero eccezionale.All’intensità dei rapporti civili interpersonali, siabbinava una diffusa partecipazione alla vitareligiosa della comunità; la chiesa, le Messee le funzioni erano assai frequentate, senzadifferenze fra le diverse fasce anagrafiche.Ogni marittimese sentiva un tantino suo, con

umiltà ma con attaccamento, quanto dovevasvolgersi in seno alla parrocchia: liturgie, ce-rimonie, manifestazioni eccetera. Siffattocoinvolgimento materiale, diretto e continuo,era avvertito, pesato e considerato da partedel Parroco, il quale lo rispettava e ne facevatesoro.Queste, le immagini che con più frequenza siproiettano a distanza dentro di me, con rife-rimento al mio paese e alla sua gente.Ma le origini, e nella fattispecie il ritorno alleorigini, non possono, ovviamente, prescin-dere dall’ambiente naturale – in primis il cieloe il mare – circostante.Attualmente, specie trovandosi a dimorarenelle grandi città, s’avverte molto forte il rim-pianto dei cieli azzurri d’una volta, degli astriluccicanti e vicini, della luna che “sembravati parlasse”, del mare che, nelle giornate bur-rascose, pareva volerti rimproverare con ilfragore sordo e cupo delle onde, mentre,negli altri momenti, con il suo sciacquio leg-gero, ti raggiungeva dolcemente alla streguad’una tenera carezza.Sotto questo aspetto, qui, al contrario, non ècambiato pressoché nulla, e ciò con grandeappagamento per il mio animo che, di sicuro,non nutre rimpianti per l’atmosfera poco na-turale delle varie località di precedente resi-denza.Concludendo questi appunti, confesso chemi rallegro dal profondo del cuore osser-vando le generazioni giovanissime, che sipresentano come l’essenza più bella e auten-tica di questa società del ventunesimo se-colo; soffermandomi a guardarefugacemente i loro volti freschi, dagli occhivivi e intelligenti tipici delle creature chevanno sbocciando, mi viene spontaneo d’au-gurar loro buona fortuna, soprattutto per il di-venire che le attende.Egualmente mi rallegro, nell’osservare, o me-glio ammirare, le persone anziane o vecchie,spesso di ottanta, novanta e ancora più anni,in buona salute, autonome, in certi casi addi-rittura più vitali e serene di come mi appari-vano, all’epoca sotto il peso delle fatiche edelle preoccupazioni, quando ero ragazzo.E trovo, che tali ultime immagini stabiliscanoun magnifico collegamento, un bel segno dicontinuità fra le realtà di ieri, il presente e iltempo a venire.Si potrebbe con facilità obiettare che, infondo, si tratta di discorsi, rappresentazioni estorie di un tempo passato, che i ricordi sonoricollegabili più che altro all’avanzare dell’etàanziana.Da parte mia, vorrei però osservare chequando si fa riferimento alle proprie origini ealle proprie radici, il che vuol dire alla propriaanima, è bene non cancellare tutto, ma, alcontrario, custodire gelosamente i punti fermie importanti, giustappunto, del passato, conl’accortezza, beninteso, di adattarli ai muta-menti che man mano intervengono.Riconoscersi nei valori veri delle proprie ori-gini è già e comunque un passo avanti.

“Mamma, che voglia di lasagne cheho!”... Con queste parole l’ultima do-menica dell’anno passato, mi svegliala mia dolce bambina a seimila chilo-metri dal nostro paese, dove per farequesto piatto, hai già in mente dove

andare a procurarti gli ingredienti: a pochimetri da casa. Così, non mi perdo d’animoper realizzare uno dei piatti tipici nostrani cheaccompagnano i giorni di festa.Dopo una bella colazione (canadese!) conpancake e succo d’acero, un caffè per me,che qui ormai chiamo tisana alla caffeina,pensiamo bene di recarci nella nostra amata“Petit Italie”, alla ricerca di lasagne, parmi-giano (che non è il parmesan!), salsa di po-modoro e tutti gli ingredienti necessari “madein Italy”. Arrivate a boulevard Saint-Laurent, la stradache congiunge tutte le maggiori comunità delmondo che si suddividono in quartieri, ab-biamo preso il bus 55 che ci lascia propriod’avanti al nostro amato supermarket “Mi-lano”, nel cuore del quartiere italiano. Unluogo dove la tipica esposizione gastrono-mica all’italiana, bella, ricca e generosa diprodotti, ti sazia a prima vista! Come unabedda matri che ti accoglie a braccia apertein una casa che profuma di buono, e dove lepapille gustative prendono parola per escla-

mare in coro un “mmmmh!”

Che meraviglia attraversare i corridoi traboc-canti di prelibatezze caserecce: paste di tuttii formati, pomodori in tutte le salse e imma-gini di forzute massaie con le mani sui fian-chi, come a dirti: “adesso si mangia sulserio!”.Per un attimo, perdo di vista Giorgia che ri-trovo a bocca aperta davanti al tempio deiformaggi, con le manine sul vetro del bancofrigo dove c’erano loro, i regnanti indiscussidel sapore: gigantesche forme di ParmigianoReggiano.Se dovessi rifarmi alla teoria darwiniana, direiche nel DNA di noi italiani è insito questo pia-cere del gusto e di fronte a monumenti dellanostra cucina, non possiamo che restare inuno stato di contemplazione, che il Parmi-giano ce lo mettono già nelle pappe dellosvezzamento!Proseguiamo il nostro viaggio incantato trafusilli e rigatoni, salamini e tortellini, torroni epanettoni, vedendo negli occhi della mia pic-cola compagna d’avventure, vera beatitu-dine. Ah, come ci si sente a casa quando dai ban-coni dei salumi vedi spuntare i sorrisi apertidi chi sa di possedere tesori nel regno del-l’abbondanza. Quando appena girato l’an-

golo del reparto pasta, ti spunta qualcuno nelsuo bel camice candido e retina accurata-mente posta sulla testa, per offrirti una por-zione di penne all’arrabbiaTTa (come diconoqui).Oh yes, darling, tu puoi vivere da cinquan-t’anni in un altro paese, parlare a stento la lin-gua della tua infanzia, ma restare very italianquando si tratta di cibo, quello della tua tradi-zione, che come nelle parole di una pre-ghiera, quelle restano nei secoli dei secoli(amen!).Dopo aver riempito il carrello con gli ingre-dienti per il primo, il secondo, contorno e des-sert (d’accordo, per i primi, i secondi e idesserts… per almeno un’italian week!), pa-gato in dollari canadesi, una sosta obbligato-ria è al Caffè Italia, poco dopo Milano perchéle mie papille riapprendano il gusto avvol-gente di un vero espresso, pronte in un’ola digioia.Caso ha voluto che perfino la neve si scio-gliesse questa domenica a Montréal (unevento eccezionale a fine dicembre, qui) perl’occasione, per donarci un clima familiare. Eogni volta che penso se mi manchi il miopaese, posso ammettere che quando lo portinel cuore, riesci a ritagliarti una “Petit Italie”ovunque tu vada.

spagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0corrispondenze

A Montréal mangi italiano di Milena Galeoto

terza di copertinaspagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

cinema

“I Resti di Bisanzio”di Carlo Michele Schirinzivince il 3° Salerno Doc Festival

La giuria composta da Sylvain George (presidente),Anna Franceschini, Erik Negro, Fausto Vernazzani hacosì motivato l’indirizzo nell’assegnazione dei premi:"Sono rari e preziosi i luoghi che si concentrano sullapresentazione (ascolto e visione), ma anche sulla tra-smissione e sperimentazione tra generazioni e tra in-

dividui di diversa provenienza. Luoghi che privilegiano gesti poetici,gesti politici, gesti sperimentali, gesti cinematografici spesso mi-noritari. Gesti che non si possono circoscrivere dentro linee di de-marcazione prestabilite, refrattari alla frammentazioneconvenzionale del sensibile, all'assegnazione di persone e cose aluoghi predeterminati, e che ridisegnano, nella loro ricerca, nel lorostesso movimento, nuove forme di vita.Questo è il momento in cui le posizioni maggioritarie riducono ilmondo a uno solo, è il momento delle uniformazioni politiche edestetiche, per cui talvolta ci sembra inevitabile che abbia la meglioun movimento massificatore in cui i fenomeni e le cose finisconoper essere assimilati. Allora forse è importante sottolineare l'esi-stenza di questi luoghi-crogiolo, intimi, dove si possono crearespazi e tempi di immagini singolari, che aiutano a vedere, prefigu-rare, quella che potrebbe essere un'avventura "umana" diversa.Luoghi-crogiolo, immagini dialettiche che, inchiodando le finzioniutilitaristiche, permettono di vedere la condizione disumana, con-sentono quindi di individuare in un gesto ciò che riposa - esseri ocose - nella sua bellezza e magnificenza.Sono rari, senza dubbio, i luoghi dove si comprende che forse ènella disperazione che nasce la vera conoscenza dell'altro, dovesi disegna un divenire-straniero del mondo.Preziosi sono senza dubbio questi luoghi inquieti, questi luoghi cheignorano tutte le certezze e tutti i comfort, che fanno del dubbiouna forza vertiginosa in grado di aggiornare la potenza dell’esseree dell’agire. E di dare fuoco all’infinito. Sono rari i luoghi aperti a"colui il quale non teme le vertigin” (Lev Shestov).

I film che abbiamo visto qui, di tematiche diverse, di poetiche di-verse, hanno abbracciato il nostro desiderio di buttarci nel sensi-bile, e hanno messo in discussione il nostro posto e il nostrorapporto con il mondo, in rapporto agli altri e a noi stessi. Quindiringraziamo per le loro proposte tutti gli autori.

Abbiamo scelto di premiare due proposte cinematografiche dellesei che ci sono state fatte, e quindi assegneremo, come ci è statochiesto, il miglior documentario e una menzione della giuria.Tuttavia, (...) per quanto possa sembrare ingiusto ad alcuni registinon ricevere alcun premio per il loro lavoro, questa scelta rappre-senta solo la giuria, non è dogmatica o assoluta, e, naturalmente,ognuno è libero valutare sulla pertinenza o meno delle nostrescelte. L'intento principale è la necessità da parte di un individuodi decidere di utilizzare una telecamera per catturare e modellareil reale.

1. Abbiamo deciso di assegnare la menzione speciale della giuriaal film "Inseguire il vento", di Filippo Ticozzi, per la scelta del sog-getto del film, per il modo in cui affronta e gioca con il problemadella morte, in grado di fargli identificare nuovi aspetti della realtà,per presentare le nuove immagini del mondo e la bellezza dellavita.2. Il miglior documentario è stato assegnato a "I Resti di Bizanzio"di Carlo Michele Schirinzi. Vogliamo salutare con questo premiol'audacia formale mostrata dal direttore, la ricerca di una nuovaforma di narrazione per esprimere una rivolta contro l'ordine dellecose, contro le immagini autorizzate di tutto il mondo, e la neces-sità di tracciare nuove strade, singolari e minoritarie."

Il premio del pubblico è stato assegnato a "Brasimone" di RiccardoPalladino. A Gennaio (data ancora da definire) si terrà una giornatadi premiazione dei film con i registi e la riproposizione dei film vin-citori.

L’audacedirettore

Carlo Michele Schirinzie la locandina del suo film

quarta di copertinaspagine della domenica n°58 - 4 gennaio 2015 - anno 3 n.0

cinema

www.sucrette.it

Kama è lieta di presentare in anteprimavenerdì 9 gennaio 2015 alle ore 20.30 al Nuovo Cinema Elio, in via

Montinari 32 a Calimera (ingresso libero)il primo lungometraggio di Carlo Michele Schirinzi

I resti di Bisanzio

“Sembra Fata Morgana quarant’annidopo!” - Giovanni Spagnoletti (PesaroFilm Festival)

“Magnifico film!” - Silvana Silvestri (ilManifesto)

“E’ un bellissimo film” - Anton GiulioMancino (La Gazzetta del Mezzogiorno)

“E’ un film che va difeso…io ci sarò!” -Gianni Canova

“Mi sono molto commosso durante la vi-sione” - Augusto M. Seabra (Doclisboa)

“Mi è piaciuto molto” - Roberto Turi-gliatto

“Niente sarà più lo stesso” - Pedro Ar-mocida (Pesaro Film Festival)

“E’ un film-molotov” - Sergio Sozzo(Sentieri Selvaggi)

“E’ un fuorifuoco della coscienza” - Ro-berto Lacarbonara

“Io non ho capito nulla, è fuori da ogninorma” - Adriano Aprà (Pesaro Film Fe-stival)

“E’ un rogo che divampa vastamente ebrucia le carni” - Narda Liotine (Desi-stfilm)

“E’ un realismo visionario chepre(te)nde dalla storia quello che servea distruggerla” - Gemma Bianca Adesso(Uzak)

“Un cinema che non ammette repliche,

o si è dentro o si è fuori i suoi preziosiResti di Bisanzio” - Pietro Masciullo(Sentieri Selvaggi)

“I resti di Bisanzio somiglia alla linea fra-stagliata di un litorale, alterata dal motoondoso: instabile. E' la sua forza” - Ri-naldo Censi

“Bellissimo. Film liminare sul tema del li-mine, del perdersi, diluirsi negli spazi,con deliquio, desolante, desolato e poe-tico” - Luigi Abiusi (Uzak)

“Rompe con il fronte consensuale, parlaun linguaggio lontano, remoto, aspro,spaventa i fautori del grande cinema” -Giona Antonio Nazzaro

“Un cinema felicemente minoritario chechiede attenzione e pazienza, ma, incambio, dona un impagabile senso di li-bertà” - Guglielmo Siniscalchi (Il Cor-riere della Sera)

“L’audacia formale, la ricerca di unanuova forma di narrazione per espri-mere una rivolta contro l’ordine dellecose contro le immagini autorizzate ditutto il mondo, e la necessità di tracciarenuove strade, singolari, e minoritarie” -Sylvain George, Anna Franceschini,Erik Negro, Fausto Vernazzani (SalernoDoc Festival – motivazione del premio)

“Un film del sottosuolo, meraviglioso, in-visibile, che si svincola dall’economiaculturale e che proprio per questomanda all’aria quella dimensione pro-prietaria della rappresentazione facendoa pezzi i clichè degli sguardi turistici,dell’etnografie e antropologie di mer-

cato. Un film che pare elitario, ma è pu-rissimo punk che sogna di sovvertire laprospettiva rinascimentale e l’ingannodell’antropocentrismo ” - Aldo Spiniello(Sentieri Selvaggi)

“E’ un naufragio anarchico al largo di unsud, di un mondo, incrostato nel biso-gno impossibile di un altrove da sognarein fiamme. Anarchico perché rinuncia aogni costruzione del potere, a ogni va-lutazione del bene e del male. Restanegli occhi come una delle opere più co-raggiose del cinema italiano contempo-raneo, un film carico di una forza senzascampo, vanificata” - Massimo Causo(Filmcritica)

“Per vedere il mondo di Schirinzi biso-gna inabissarsi e trattenere il respiro persprofondare e arrivare in questa densitàdi mondo che è nera e assordante, eannegare, finalmente, e galleggiaresenza peso (il peso del mondo) e senzacorpo sotto il raschio di un suono metal-lico per guardare, con la testa nell’ac-qua, giù” - Vanna Carlucci (Uzak)

“È difficile pensare, al di fuori dell’ambitoproduttivo corrente, a un cinema meno‘sperimentale’ di quello di Schirinzi, vo-tato all’integralismo iconoclasta dellanon mediazione” - Adelina Preziosi (Se-gnocinema)

“E’ uno scollamento dall’ordinario, unavisione laterale del reale, un cinemadove la sottrazione apre gli occhi,scava, mostrando il baratro che il Tempoancora conserva” - Mauro Marino (Spa-gine)

alla presenza del registadei produttori Gabriele Russo e Gianluca Arcopinto

del critico cinematografico Massimo Causoe di tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del film