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1 Sperare, Resistere, Cantare Illuminare la nostra realtà con la luce della Parola di Dio CEBI - Belém do Pará - 14 - 16 giugno 2013 Frei Carlos Mesters Come continuare a credere che un bambino vincerà il gigante Golia, che una donna nei dolori del parto sarà più forte del drago, che i due centesimi della vedova continuino a valere più dei milioni dei ricchi? INTRODUZIONE Il punto di partenza del cammino La tragedia di oggi - La tragedia di ieri La crisi della cattività in Babilonia, la crisi della cattività oggi La terribile immagine di Dio che falsificò la visione della vita e della natura I DIECI PASSI DEL LUNGO CAMMINO La lezione dei Profeti e la missione delle Comunità 1. La nuova lettura della natura 2. La riscoperta dell’Amore Eterno

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Sperare, Resistere, CantareIlluminare la nostra realtà con la luce della

Parola di Dio

CEBI - Belém do Pará - 14 - 16 giugno 2013 Frei Carlos Mesters

Come continuare a credereche un bambino vincerà il gigante Golia,

che una donna nei dolori del parto sarà più forte del drago, che i due centesimi della vedova continuino a valere più dei milioni

dei ricchi?

INTRODUZIONEIl punto di partenza del cammino

La tragedia di oggi - La tragedia di ieriLa crisi della cattività in Babilonia, la crisi della cattività oggiLa terribile immagine di Dio che falsificò la visione della vita e della natura

I DIECI PASSI DEL LUNGO CAMMINOLa lezione dei Profeti e la missione delle Comunità

1. La nuova lettura della natura2. La riscoperta dell’Amore Eterno3. La nuova immagine di Dio: Dio di famiglia4. Il processo di rilettura e di ripensamento di tutte le cose5. I due Decaloghi, della Alleanza e della Creazione: "Così in terra come in cielo!"6. I due libri di Dio: Natura e Bibbia, una nuova sintesi7. La nuova Missione del popolo di Dio: servire

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8. Una nuova pastorale: tenerezza, dialogo, riunione e coscienza critica9. Un nuovo modo di celebrare la vita: la lezione dei salmi10. . Il punto di arrivo in Gesù

IL PUNTO DI ARRIVO IN GESÙGesù conferma il cammino percorso

1. Gesù rende nuova la relazione umana alla base, nella “Casa”.2. Recupera la dimensione sacra e di festa della Casa3. Ricostruisce la vita comunitaria nei villaggi della Galilea4. Cura i malati e accoglie gli esclusi5. Recupera l’uguaglianza fra uomo e donna6. Va incontro alle persone7. Supera le barriere di genere, religione, razza e classe

CONCLUSIONEGesù è la sintesi del nuovo cammino

1. Figlio dell’uomo2. Servo di Dio3. Redentore dei fratelli e delle sorelle

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INTRODUZIONEIl punto di partenza del lungo cammino

La tragedia di oggi e la tragedia di ieriLa crisi della cattività in Babilonia, la crisi della cattività di oggi

La terribile immagine di Dio che falsificò la visione della vita e dellanatura

La tragedia di oggi e la tragedia di ieriIl messaggio e il testo finale dell’incontro dei vescovi

dell’Amazzonia per i 40 anni della Camminata a partire dall’incontro di Santarém nel 1972, descrive i vari aspetti della tragedia

dell’aggressione all’ambiente naturale e le conseguenze per la vita dei popoli dell’Amazzonia. Le domande sono molte e molto serie. Umanamente parlando, una comunità fluviale, una tribù indigena, i piccoli gruppi di migranti che sono venuti da lontano, le nostre CEBs, i Circoli Biblici: quale è la forza che essi hanno per affrontare l’agrobusiness? Come questi possono impedire l’aggressione della progressiva invasione delle loro terre e il crescente disboscamento?

Come la mentalità rurale può sopravvivere nel crescente inurbamento? Dal 2006 più della metà dell’umanità abita nelle città. E noi che

siamo qui riuniti come possiamo impedire la caotica urbanizzazione che genera tante favelas e disumanizzazione? Potremo

resistere all’espansione del sistema neoliberale? Come annunciare e irradiare la Buona Novella di Dio che Gesù ci ha portato? Quale è il nostro futuro? Esiste un futuro? E il nuovo papa Francesco? Gli altri ci domandano:”Che cosa chiedete e pretendete?”

Nell’epoca della cattività di Babilonia, i funzionari di Nabucodonosor dicevano al popolo di Dio: “Quale è il vostro Dio? Dove sta questo Dio? Egli esiste?” Queste domande tanto antiche continuano ancora ad essere attuali. Sarà che David continuerà ad affrontare Golia? I due centesimi della vedova continuano a valere più del milione dei ricchi? La donna nei dolori del parto è capace di affrontare il Drago di oggi? Come affrontare questa crisi?

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La crisi della cattività di ieri, la crisi della cattività di oggi

La termite che indebolisce la resistenza della trave della fedeUna crisi di fede è come la termite che penetra nelle travi del

tetto. Lentamente! Il padrone di casa non se ne rende conto, né vi presta attenzione. Continua a vivere senza preoccuparsene; disattento a tutto. Improvvisamente un temporale si abbatte sulla casa e il tetto crolla. Crolla d’improvviso, così, ma è a causa della mancanza di attenzione che viene da lontano da parte del padrone di casa. E il padrone dà la colpa al falegname: “Lavoro fatto male!”

Così è successo con il popolo di Dio. Disattento a tutto, ha permesso che la termite di una falsa immagine di Dio mangiasse da dentro la trave della sua fede. Lungo i 400 anni della monarchia (dal 1000 al 600 a.C.) Jahvé, il Dio liberatore, fu ridotto a immagine di un Dio identificato in tutto con gli interessi della monarchia, contrari agli interessi della vita del popolo e all’obiettivo dell’Esodo. I profeti mettevano in guardia sul pericolo, ma nessuno prestava loro attenzione (Dn 9,6), inoltre c’erano molti falsi profeti che dicevano il contrario (Ger 28,1-11; Ez 34,1-10). I Re manipolavano l’Alleanza a favore dei loro propri interessi commerciali. Le conseguenze di questa progressiva infedeltà si rivelarono nel disordine e nella disintegrazione della vita del popolo. Comparvero l’impoverimento, l’oppressione e la disumanizzazione. Segnali questi che l’alleanza si era spezzata. Certo se fosse stata osservata, non sarebbero apparsi i poveri. "Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi!" (Dt 15,4).

La riforma deuteronomista che non riuscì a comprendere la radice della crisi.

Nel 722 a.C., il regno del Nord di Israele fu totalmente distrutto e la popolazione fu condotta in schiavitù in Assiria. Messo in guardia dalla disintegrazione del regno del Nord di Israele, quelli del regno del Sud di Giuda decisero di cambiare e proclamarono una riforma. È la cosiddetta Riforma Deuteronomista, iniziata da Ezechia e assunta con forza dal re Giosia (2Re 23,1-30). La riforma mirava a ricondurre il popolo all’osservanza della Legge. L’accento cadde sull’osservanza, sulla responsabilità del popolo. L’insistenza sull’osservanza era talmente forte che si arrivò a dire al popolo: Ora dipenderai solo da

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te. Davanti a te sta l’opzione di scegliere tra la vita e la morte, tra la benedizione e la maledizione: “Vedete, io pongo oggi davanti a voi una benedizione ed una maledizione; la benedizione, se obbedite ai comandi del Signore vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedite ai comandi del Signore vostro Dio" (Dt 11,26-27). Il capitolo28 del Deuteronomio enumera le benedizioni come frutto dell’osservanza fedele della legge di Dio (Dt 28,1-14) e i mali come frutto delle trasgressioni e dell’infedeltà (Dt 28,15-68). Cose terribili e castighi incredibili sono enumerati per obbligare il popolo a osservare la legge, e così, evitare il disastro della disintegrazione. Prevalse la paura del castigo sulla volontà di servire per amore. Non cambiarono l’immagine di Dio che aveva falsificato tutto.

E la riforma che arriva a partire dal secolo XVIII?Qualcosa di simile sta accadendo con noi. Dal secolo XVII, la

termite della miscredenza cominciò a rodere dentro la visione che avevamo di Dio e della natura. La visione ingenua della fede andò scomparendo come neve al sole e in molti la religiosità andò inaridendo. La terra smise di essere una rivelazione di Dio, e diventò mercanzia. La vita si secolarizzò. D’improvviso il tetto crollò: apparve l’inquinamento, apparvero i disastri ecologici. Tuttavia, nonostante tutti i segnali e le minacce, noi non ci siamo convertiti. Si è visto Rio+20! È mancato e mancano lo “spirito” e il senso di umanità, di servizio, di donazione. L’idolo del profitto non lo permette.

Anche nella Bibbia, nonostante tutti gli avvisi e le minacce, essi non si preoccuparono di osservare la legge. Con la morte di Giosia nel 609 a.C. Morì anche la riforma. Nel mese di agosto del 587 a.C., arrivò Nabucodonosor e tutto fu distrutto (2Re 25,8-12; Ger 52,12- 16). Persero tutto quello che, fino a quel momento, era stata l’espressione visibile della presenza di Dio: il Tempio fu incendiato (2Re 25,9). La Monarchia già non esisteva più (2Re 25,7). La Terra divenne la proprietà dei nemici (2Re 25,12; Ger 39,10; 52,16). I segnali tradizionali della presenza di Dio furono distrutti come coppa di vetro che si rompe in mille pezzi (Ger 18,1-10). Dio sembrò stare lontano e ormai non mostrava più loro il suo volto (Sal 10,1; Sal 12,2- 4; 27,9; 30,8; 69,18; 80,4).

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Una conclusione affrettata e tragicaDavanti a questa terribile situazione di distruzione e abbandono

il popolo esclamò: raccogliamo quello che abbiamo piantato. Non fa progredire il piangere sul latte versato. Abbiamo aperto i portoni e l’acqua ha invaso e distrutto tutto. Noi abbiamo rotto il contratto con Dio e sopra di noi sono cadute le maledizioni previste dal contratto. (Dt 28,15-68). Abbiamo rotto con Dio ed egli ha rotto con noi proprio in conformità ai molti avvisi che ci aveva mandato (Dt 6,14-15; 9,11- 14.19; 11,16-17). Fu una totale “secolarizzazione” della vita. La termite continuò ad avanzare e d’improvviso arrivò la tempesta della cattività e tutto crollò! Hanno dato la colpa al Creatore: “Lavoro fatto male!”

Questa situazione di disperazione e di disincanto è espressa, a tutte lettere, nella 3° Lamentazione (Lam 3,1-18). La terribile immagine di Dio che traspare fra le righe di questo lamento è quella di un dio vendicativo che vuole solo castigare e non offre futuro, né provoca adorazione:

“Io sono l’uomo che ha conosciuto il dolore da vicino, sotto la frusta della sua ira. Egli (Dio) mi ha condotto e mi ha fatto andare nelle tenebre e non nella luce. Egli ha voltato e rivoltato contro di me la sua mano, tutto il giorno. Ha consumato la mia carne e la mia pelle, e ha spezzato le mie ossa. Intorno a me ha innalzato un muro di veleno e di afflizione, mi ha fatto abitare nelle tenebre come i morti, da molto tempo sepolti. Mi ha chiuso fra quattro mura senza uscita, e incatenato, mi ha catturato. Gridar e chiedere aiuto non serve a nulla, egli è sordo alla mia supplica. Ha sbarrato la mia strada con pietre, ha distorto il mio cammino. È stato per me come un orso in agguato, un leone in imboscata. Mi ha reso la strada impossibile, mi ha fatto a pezzi e mi ha lasciato inerte. Ha teso il suo arco e ha fatto di me il bersaglio delle sue frecce. Nei miei fianchi ha conficcato le frecce della sua faretra. Sono deriso da tutti i popoli, la loro canzone di tutto il giorno. Ha riempito il mio stomaco di erbe amare, mi ha ubriacato di fiele. Mi ha fatto sbattere i denti sulla sabbia, mi ha steso sulla polvere. È sparita la pace dal mio spirito, la felicità è

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finita. Io dico: “Sono finite le mie forze e la mia speranza in Jahvé” (Lam 3,1-18).

Questa terribile immagine di Dio ha falsificato la visione della vita e della natura. Chi ha nella mente e nel cuore questa immagine di Dio si sente rifiutato per sempre. Se si pone in attesa di Dio nella strada della vita con questa foto in mano, non lo incontrerà mai. Perché questo Dio non esiste! La falsa (antiquata) immagine di Dio della monarchia impediva al popolo di farsi un’opinione corretta della tragedia della cattività. È tragica l’affermazione di Isaia: "La sua mente ingannata lo ha illuso, in modo che non riesce a salvare la sua propria vita e nemmeno è capace di dire: “Non sarà una menzogna ciò che io tengo nelle mani?" (Is 44,20). Essi erano incapaci di scoprire la menzogna che impediva loro di discernere (Ger 6,15; Sal 36,3; Rm 1,18).

In quel tempo, come oggi, molti si adattarono alla cattività, abbandonarono la fede in Jahvé e aderirono al Dio di Nabucodonosor o agli dei del sistema neoliberale. Altri non vollero accettare la dura realtà della cattività e si aggrapparono al passato. Preferirono lottare per il ritorno al tempo dei re: restaurare tutto nel modo del passato. Le comunità dei discepoli e discepole di Isaia, invece, affrontarono la sfida della dura realtà della cattività: Cosa vorrà dirci Dio attraverso questa terribile oscurità di totale abbandono di Dio nella quale noi ci troviamo qui nella cattività?

Quale è la falsa immagine di Dio che oggi sta alle spalle del sistema neoliberale e della lenta e progressiva secolarizzazione della vita degli ultimi duecento anni? Quale è l’immagine di Dio che stava dietro l’errata lettura della Bibbia che ha legittimato la depredazione della natura? Quale è l’immagine di Dio che sta alle spalle del progresso della scienza? Molti scienziati si dichiarano atei. Talvolta hanno ragione, poiché il Dio che loro dicono non esistere di fatto non esiste. Saramago che si proclamava ateo disse questa frase: “Dio è il silenzio dell’Universo; l’essere umano è il grido che tenta di interpretare il silenzio”.

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I DIECI PASSI DEL LUNGO CAMMINOLa lezione dei Profeti e la missione delle Comunità

La nuova lettura della natura. La riscoperta dell’Amore Eterno.

La nuova immagine di Dio: Dio di famiglia.Il processo di rilettura e di ripensamento di tutte le cose.

I due decaloghi: dell’Alleanza e della Creazione: "Così in terra come in cielo!"

I due Libri di Dio: Natura e Bibbia, una nuova sintesi.La nuova Missione del popolo di Dio: servire.

Una nuova pastorale: tenerezza, dialogo, riunificazione e coscienza critica.

Un nuovo modo di celebrare la vita: la lezione dei salmi.Il punto di arrivo in Gesù.

Come uscire da quella oscurità? Quale il cammino? Essi cercarono ed incontrarono una luce. Non la luce di sempre, quella della fine del tunnel! Incontrarono una luce diversa, che esisteva dentro il proprio tunnel, ma che essi mai avevano intravisto. Ora gli occhi si erano aperti e quello che sembrava essere l’assenza di Dio era la sua presenza. Quello che appariva oscuro era più chiaro del sole a mezzogiorno (Sal 139,12). L’oscurità era luminosa. L’assenza di Dio era la sua presenza! Tutto cambiò. È quello che ci accingiamo a vedere ora. Poiché qualcosa di simile sta già accadendo oggi.

È pieno di speranza vedere come, sullo stimolo dei profeti, dal più fondo del fondo del pozzo di quella terribile schiavitù rinacque la speranza, e comparve un nuovo cammino. Le Comunità riscoprirono la presenza liberante di Dio nella natura e nella vita e rincontrarono il senso della propria missione come popolo di Dio.

Andiamo a vedere da vicino i punti principali che segnarono il cammino delle Comunità da quel tempo, poiché esse sono di grande portata per la missione delle nostre CEBs oggi. Non si tratta di una sequenza cronologica, ma di aspetti differenti di una medesima esperienza di Dio, della vita e della natura. Per questo, possono capitare alcune ripetizioni in quello che segue.

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1. La nuova lettura della naturaIn quella disperazione generalizzata, il profeta Geremia seppe

incontrare motivi di speranza. È come se dicesse: Voi dite che Dio ormai non ha cura di noi; che abbiamo finito di essere popolo di Dio! Io affermo che Lui non ci ha abbandonato. E sapete perché? È perché il sole domani nascerà. Nabucodonosor può essere forte ma non riesce ad impedire la nascita del sole all’indomani.

“Così dice Jahvé, colui che pone il sole per illuminare il giorno e la luna e le stelle per illuminare la notte, colui il cui nome è Jahvé degli eserciti: quando queste leggi verranno meno dinnanzi a me – oracolo di Jahvé – allora anche la progenie di Israele cesserà di essere una nazione davanti a me per sempre!” (Ger 31,35-36). “Se voi potete spezzare la mia alleanza con il giorno e con la notte, in modo che non vi siano più giorno e notte al tempo loro, così allora sarà rotta anche la mia alleanza con il mio servo Davide” (Ger 33,20-21).

Geremia aiutò il popolo a leggere la natura con un nuovo sguardo di fede. Era nei fenomeni della creazione che lui vedeva un segnale della presenza Dio e della sua fedeltà al popolo: nella sequenza inalterata dei giorni e delle notti; nel sole che si alzava tutti i giorni sopra la città distrutta; nella luna calante e crescente; nell’alternanza delle stagioni dell’anno: primavera, estate, autunno e inverno; nelle piogge, nelle piante, nelle sementi, ecc. Tutto questo era per Geremia un segnale della certezza che Dio manteneva la sua fedeltà al suo popolo e che Egli non aveva rotto la sua alleanza, come alcuni andavano dicendo (Is 49,14). La natura diventò segno trasparente della presenza gratuita di Dio in mezzo al suo popolo.

La certezza della nascita del sole non dipende dai potenti di questo mondo, né dall’osservanza della legge, ma sta impressa nella logica della creazione. È pura gratitudine, espressione del ben-volere del Creatore. È promessa che non viene meno. Noi possiamo rompere con Dio, ma Dio non rompe con noi. Ogni mattina, attraverso la sequenza dei giorni e delle notti, egli ci parla al cuore: “Come é vero che io ho creato il giorno e la notte e ho stabilito le leggi del cielo e della terra, così è certo che non abbandonerò mai la discendenza di Jahvé e del mio servo David” (Ger 33,25-26). È da questo sguardo

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sulla natura che nasce il testo della Genesi che descrive la creazione del mondo.

INTERROGATIVI: E oggi quale è il nostro nuovo modo di guardare alla natura per invertire il nostro approccio aggressivo che legittima e favorisce la sua depredazione? Come fare in modo che la terra, invece di essere una merce senza vita e senza progetto, al servizio dell’idolo del profitto, possa essere sperimentata come compagna della preservazione della vita per tutti? Come fare questo a livello di vita personale, famigliare e comunitario?

2. La riscoperta dell’Amore eterno.Fu nella stessa situazione oscura senza orizzonte, che i profeti

disseppellirono la radice dell’amore fedele di Dio. Geremia offre questa frase: “Io ti ho amato con amore eterno; per questo conservo il mio amore per te” (Ger 31,3). E quest’altra affermazione di Isaia: “In un impeto di ira, per un momento ti ho nascosto il mio volto; ma ora, con amore eterno, avrò pietà di te, dice Jahvé, il tuo redentore” (Is 54,8). Furono i profeti, soprattutto Geremia, Osea e Isaia, che seppero riscoprire questa dimensione infinita dell’amore gratuito di Dio (Is 41,8-14; 49,15; Ger 31,31-37; Os 2,16).

Fra le righe di queste frasi, la gente fa la seguente scoperta. È come se Dio, l’innamorato, dicesse al popolo, sua innamorata: “Dopo tutto quello che tu hai fatto, tu non meriteresti di essere amata. Ma il mio amore per te non dipende da ciò che tu hai fatto per me o contro di me. Quando cominciai ad amarti, io lo feci con un amore eterno. Per questo, nonostante tutto quello che mi hai fatto, nonostante i tuoi difetti, tu mi piaci, io ti amo per sempre! “Io ti ho amato con amore eterno; per questo conservo il mio amore per te” (Ger 31,3). "Può la madre dimenticarsi del suo bambino, può cessare di amare il figlio delle sue viscere? Anche se lei si dimenticasse, io non mi dimenticherei di te” (Is 49,15).

E la gente si domanda: “Allora, che cosa avvenne perché Dio parlasse così? Quale fu la rottura che avvenne? In cosa consiste questo amore eterno Dio? Loro scoprirono che la storia non era incominciata con l’imposizione delle leggi che richiedevano osservanza. Molto prima della consegna della legge ebbero la

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rivelazione dell’amore di Dio nell’alleanza con Noè, nella promessa fatta ad Abramo e Sara e nella liberazione dalla schiavitù del Faraone. Liberando il popolo, Dio gli rivelò il suo amore, conquistò un titolo di proprietà. È come se dicesse: “Ora tu sei mio!” (Is 43,1). “Ora, voi siete il mio popolo ed io sono il vostro Dio” (Es 19,4-6; 24,8).

La riscoperta della certezza dell’amore più grande ed eterno di Dio restituì l’autostima al popolo, lo aiutò a superare il senso di colpa e lo portò a dare una risposta di amore nell’osservanza dei Dieci Comandamenti o, come essi dicevano, delle Dieci Parole (Dt 4,13; 10,4). Fecero l’Alleanza: “Faremo tutto quello che Jahvé ha ordinato e obbediremo!” (Es 24,73). Amore reciproco! La parola amore in ebraico è hêsed. La traduzione più corretta è “amore fedele”. Ora sappiamo che nulla, nemmeno il fallimento, può separarli dall’amore di Dio (Is 40,1-2ª; 41,9-10.13-14; 43,1-5; 44,2; 46,3-4; 49,13-16; 54,7-8; ecc; Rom 8,35-39).

INTERROGATIVI:Come avviene oggi questa riscoperta dell’amore di Dio? L’ultimo censimento ha rivelato che i credenti sono cresciuti più del 20% e che ilo numero dei cattolici è diminuito. Molti dei credenti erano cattolici. Essi dicono: “Ho scoperto Gesù e mi sono convertito!” Noi ci lasciamo mettere in discussione, oppure minimizziamo questa riscoperta dell’amore come cosa soggettiva? Sappiamo ridestare questo amore per Gesù e per il povero? Senza questo, nulla da fare! Parrucca in testa calva.

3. La nuova immagine di Dio: Dio di famigliaLa disintegrazione dei valori del tempo della monarchia creò una

diversa congiuntura. Là in cattività, i valori che prima facevano parte della vita, ormai non esistevano: il possesso della terra, il tempio, i pellegrinaggi, il culto, il sacrificio, il sacerdozio, la monarchia, il re. Nulla di tutto questo è rimasto. In cattività, l’unico spazio di una relativa autonomia e libertà che ormai restava al popolo, era lo spazio famigliare: il padre, la madre, il marito, la sposa, un fratello o una sorella, il mondo piccolo e fragile della famiglia, della “casa”.

Dunque, fu in questo piccolo spazio della famiglia, della “casa”, del clan, della piccola comunità, che rinacque nei discepoli di Isaia una nuova esperienza di Dio. La nuova immagine di Dio, trasmessa da

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loro, riflette questo ambiente famigliare della Casa. Dio è Padre (Is 63,16; 64,7), è Madre (Is 46,3; 49,15-16; 66,12-13), è Marito (Is 54,4-5; 62,5), è il parente prossimo (goêl o fratello più anziano) (Is 41,14; 43,1). Jahvé, il Dio che prima era legato al Tempio, al culto ufficiale, al sacerdozio, al clero, alla monarchia, ora è vicino a loro, “in casa”, casa piccola, diroccata e, umanamente parlando, senza futuro, ma Casa, e non Tempio. Non ripresero le antiche immagini religiose, ma usarono immagini nuove prese dalla vita famigliare e comunitaria.

Essi umanizzarono l’immagine di Dio e sacralizzarono la vita, la famiglia, la piccola comunità, come lo spazio del rincontro con Dio. Dio ora si nasconde e si rivela (Is 45,15), dove prima nessuno lo cercava: in casa, nelle quotidiane relazioni famigliari, nelle piccole comunità di base, in mezzo al popolo esiliato ed escluso! È il rinnovamento delle chiese nell’America Latina a partire dalle Comunità Ecclesiali di Base. Fu a partire da questo mondo piccolo e limitato della “casa”, senza prestigio e senza potere, che tutto è rinato e continua a rinascere, fino ad oggi.

INTERROGATIVI:Quale l’immagine di Dio che anima le nostre CEBs? Oggi ci sono molte immagini di Dio: Comunità Ecclesiali di Base, Congregazione Mariana, Apostolato della Preghiera, Movimento Fede e Politica, Opus Dei, Neo-Catecumenali, Movimento Carismatico, tante! Quale l’immagine che meglio si avvicina a Dio e alla nostra missione? Quale ci aiuta maggiormente ad essere fedeli a quanto Dio ci chiede nell’attuale situazione in cui ci troviamo? Come dialogare e non imporre?

4. Processo della rilettura: ripensare tutte le coseLa nuova maniera di guardare la natura, la riscoperta dell’amore

eterno e il rincontro con Dio in “casa”, nella piccola comunità, hanno dato nuovi occhi per intendere in modo nuovo il senso di tutto ciò che avevano vissuto nel passato. Cominciarono a rileggere tutto: la natura, la storia, la politica, la creazione, il passato e il presente e, così, cominciarono a reintegrare tutti gli aspetti della vita disintegrata del popolo esiliato. Fu un processo lungo di secoli. L’espressione finale di tale rilettura, iniziata nella schiavitù è la Bibbia stessa.

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Essi cominciarono a ricordare le storie del proprio passato, non per aumentare la nostalgia, ma per trasformare la nostalgia in speranza: “Dio non ci ha abbandonato. Il cammino continua! Stiamo rifacendo la storia”. Ricordano l’alleanza di Dio con Noè (Is 54,8-9) e la chiamata di Abramo e Sara!”. Ricordano soprattutto l’Esodo: la fine della cattività (Is 40,2); il cammino nel deserto (Is 40,3); il cantico nuovo sulla riva del Mar Rosso (Is 42,10); il passaggio attraverso l’acqua (Is 43,2); l’acqua che sorge dal fondo secco (Is 44,3); l’effusione dello Spirito (Nm 11,17.25; Is 44,3); ecc. “Siamo coinvolti in un nuovo Esodo, molto più grande del primo” (Is 43,16-19).

Essi cominciano a rileggere i valori della vita che nel passato tenevano orientato il popolo. Mantengono le stesse parole, ma danno ad esse un nuovo senso e le collocano in una nuova prospettiva. Ecco alcuni esempi:

* Il popolo di Dio non è più una razza, poiché ora anche gli stranieri ne fanno parte (Is 56,3.6-7).

* Il tempio non sarà più solo per i giudei, ma sarà casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56,7).

* Il culto è universale, poiché gli stranieri vi partecipano (Is 56,6- 7).

* Il sacerdozio non è solo di Levi, poiché stranieri riceveranno lo stesso sacerdozio (Is 66,20-21).

* Il regno non è più una monarchia di David, bensì il Regno Universale del proprio Dio (Is 52,7; 43,15).

* Il messia (unto), non è solo il re davidico, ma anche Ciro, il re dei persiani (Is 45,1; 44,28).

* L’elezione non è più un privilegio, bensì un servizio da prestarsi a tutta l’umanità (Is 42,1-4).

* La missione non è l’essere il popolo un gruppo separato, ma l’essere “Luce delle Nazioni” (Is 42,6; 49,6)

* La legge di Dio non è solo di Israele, essa sarà di tutti quei popoli che in essa incontrano una luce (Is 2,1-5).

* Gerusalemme non è la capitale di Giuda, bensì il centro di pellegrinaggio per tutti i popoli (Is 60,1-7).

La nuova esperienza di Dio, da un lato li aiutò a percepire gli errori e gli inganni della ideologia del tempo dei re; da un altro lato fu fonte di creatività per ripensare, uno per uno, tutti i valori del

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passato, liberarli dagli errori e dalle limitazioni, adattarli alla nuova situazione. Aggiornarono le fotografie antiquate e furono capaci di riconoscere Dio nella strada della vita.

INTERROGATIVI:Come fare oggi questa rilettura tanto importante, tanto necessaria e tanto urgente? Il Vaticano II è una rilettura. Medellin è una rilettura. Aparecida è una rilettura. Senza memoria del passato, non c’è orizzonte del futuro. Come aiutare il popolo delle CEBs a fare questa rilettura? Quale è il compito del CEBI in questa rilettura? Ci sono stati molti tentativi, ma né tutti nascono dalla riscoperta dell’amore di Dio nel mondo complesso di oggi, né tutti nascono dal dialogo sincero.

5. I due decaloghi: Alleanza e CreazioneDi tutti i libri della Bibbia, i capitoli dal 40 al 66 del libro di Isaia

sono quelli che più usano la parola creare, più di venti volte! È la nuova comprensione dell’azione creatrice di Dio. Il verbo BARÁ (creare) indica la qualità dell’azione con la quale Dio accompagna e ha cura del suo popolo. Dio crea l’universo e la terra; crea anche il popolo e l’Esodo (Is 43,15). Tutto è frutto dell’azione creatrice. “Jahvé che ti creò, colui che ha disteso i cieli e ha gettato le fondamenta della terra?”(Is 51,13). Egli libera, salva e conduce il popolo con la sua potenza creatrice (Is 40,25-31).

Azione salvatrice e azione creatrice si identificano. Il Dio che chiama Abramo è il Dio Creatore. Il Dio che crea il mondo è il Dio che chiama Abramo. Illuminazione reciproca tra Creazione e Salvezza. È la stessa azione. Al lato delle Dieci Parole (Dieci Comandamenti) che sono all’origine dell’Alleanza, essi cominciano a prestare attenzione alle Parole Divine che sono all’origine delle Creature. Al lato della Legge dell’Alleanza, scoprono la Legge della Creazione. La legge di Dio data al popolo sul monte Sinai aveva al suo centro le Dieci Parole dell’alleanza (Es 20,1-17; Dt 5,6-22). Allo stesso modo la narrazione della Creazione ha al suo centro Dieci Parole divine. L’autore che ha redatto la narrazione della Creazione (Gn 1,1-2,4ª) ripete dieci volte l’espressione “e Dio disse”. Come ha fatto per il popolo, così Dio ha fatto per le creature: “fissò una legge che mai passerà” (Sal 148,6):

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1. Gn 1,3E Dio disse: sia fatta la luce 2. Gn 1,6E Dio disse: sia fatto il firmamento 3. Gn 1,9E Dio disse: le acque si uniscano e appaia l’asciutto4. Gn 1,11E Dio disse: la terra si copra di verde 5. Gn 1,14E Dio disse: ci siano le luci nel firmamento 6. Gn 1,20E Dio disse: le acque producano esseri viventi 7. Gn 1,24E Dio disse: che la terra produca esseri viventi 8. Gn 1,26E Dio disse: facciamo l’uomo 9. Gn 1,28E Deus disse: siano fecondi 10. Gn 1,29E Dio disse: vi do in cibo ogni erba verde

E Dio disse

~yhiªl{a/ rm,aYOæw:

Questo modo di descrivere la creazione è ben di più di un gioco di parole. Le Dieci Parole della Creazione sono l’espressione della nuova lettura della natura. L’armonia dell’universo è frutto dell’obbedienza delle creature alle Dieci Parole con le quali Dio affrontò e vinse il caos. Il caos della cattività è sorto perché il popolo non aveva osservato le Dieci Parole della Legge dell’Alleanza. Le creature, al contrario del popolo, osservano sempre la legge della Creazione. Per questo esiste un’armonia nella natura. Nel Padre- Nostro Gesù dirà: “Sia fatta la tua volontà così in terra come in cielo”. Gesù chiede che si arrivi ad osservare la Legge dell’Alleanza con la stessa perfezione con la quale il sole e le stelle del cielo osservano la Legge della Creazione. Nell’armonia dell’universo le comunità scoprono come realizzare la propria missione. Il Decalogo della Creazione descrive l’azione amorosa di Dio a nostro favore, il Decalogo dell’Alleanza descrive come deve essere la risposta amorosa dell’essere umano a Dio.

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INTERROGATIVI:Senza rendersene conto, nel pensiero di molti salvezza e creazione sono separati: sovrannaturale e naturale, grazia e natura. La vita è una cosa e la fede è un’altra. Come fare per arrivare a questa visione integrata della natura? Quale è la pedagogia e la pratica per arrivare a questo?

6. I due libri di Dio: Natura e BibbiaIl paragone è di San Agostino ed esprime una convinzione

profonda che proviene dalla Bibbia ed era uno dei fondamenti del modo in cui gli antichi Padri della Chiesa facevano teologia.

1º LIBRO: la naturaIl primo libro di Dio non è la Bibbia, bensì la natura, l’universo, la

vita, il mondo, i fatti, la storia. È attraverso il Libro della Natura o della Vita che Dio vuole di parlare con noi. Dio creò le cose parlando. Tutto ciò che esiste è l’espressione di una parola divina, come così bene recita il salmo: “I cieli narrano la gloria di Dio, e lo spazio annuncia l’opera delle sue mani. Il giorno all’altro ne dà notizia, una notte all’altra lo racconta. Senza discorsi e senza parole, senza che si oda la sua voce, a tutta la terra arriva il suo eco, ai confini del mondo la sua parola” (Sal 19,2-5).

Ogni essere umano è una parola ambulante di Dio (Gn 1,27). I bambini sono parola di Dio per i padri; i padri sono parola di Dio per i bambini. Ma noi non ci rendiamo conto che stiamo vivendo in mezzo al libro di Dio e che ciascuno di noi è una pagina viva di questo libro divino. C’è qualcosa che ci impedisce di riconoscere la presenza della Parola nella vita, qualcosa che “soffoca la verità” (Rom 1,18; Is 44,20; Sal 36,3). Che cosa ce lo impedisce?

San Agostino dice che è stato il peccato, cioè questa nostra mania di voler dominare tutto, di trattare la natura come merce e di pensare che siamo padroni di tutto. Per questo, le lettere del Primo Libro di Dio si sono confuse e noi non siamo riusciti a scoprire la parola di Dio nel Libro della Vita. Abbiamo perso lo sguardo della contemplazione, la capacità di stupirci. Per rimediare a ciò è nata la Bibbia, il Secondo Libro di Dio.

2º LIBRO: la Bibbia

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La Bibbia fu scritta non per sostituire il Libro della Vita, ma per aiutarci a capirlo meglio e a scoprire in esso i segni della presenza di Dio. Dice San Agostino che la lettura orante della Bibbia (1) ci restituisce lo sguardo della contemplazione, (2) aiuta a decifrare il mondo e (3) fa che l’Universo diventi nuovamente una rivelazione di Dio, torni ad essere ciò che deve essere, “Il Primo Libro di Do”.

Il testo della Bibbia non è caduto improvvisamente dal cielo. È nato per i pochi, frutto dell’azione dello Spirito di Dio e di un lento processo di ricerca dell’essere umano. Mosso dal desiderio di incontrare Dio nelle crisi e nelle depressioni della vita, il popolo è andato scoprendo i segni della sua presenza e, all’interno dei criteri della cultura di quel tempo, ha trasmesso ai figli le sue scoperte. Così è andata nascendo la Tradizione Viva del Popolo di Dio, trasmessa oralmente di generazione in generazione, lungo i secoli, fin dai tempi di Abramo e Sara.

Ma fu là, nella comunità della cattività, a partire dall’esperienza dell’amore di Dio, che cominciò ad essere articolata la redazione finale di questa tradizione orale del popolo di Dio. Alla fine scrissero tutto in un libro. Così, la chiave generale per capire la Bibbia è questa: Noi possiamo rompere con Dio. Siamo deboli. Parliamo molto. Ma Dio, egli nel suo amore, mai rompe con noi. Il suo amore è eterno, ci dà speranza e coraggio per ricominciare.

È in questa prospettiva che devono essere lette e rilette, meditate e pregate, narrate e cantate le storie della creazione, del paradiso, dell’alleanza con Noè, della chiamata di Abramo e Sara, della liberazione dall’Egitto e della conclusione dell’Alleanza con l’impegno dell’osservanza dei Dieci Comandamenti, tutto! La Bibbia reca il risultato della lettura che il popolo ebraico è riuscito a fare della vita e della natura per scoprire in esse la parola amorosa di Dio. Questo Secondo Libro di Dio (la Bibbia), così diceva San Agostino, aiutò il popolo a capire meglio il Primo Libro (la Vita, la Natura).

Qui vale la pena di riprendere una parola di Clemente di Alessandria, un saggio africano del secolo IV. Egli diceva: “Dio salvò i giudei giudaicamente, i greci grecamente, i barbari barbaramente”. E possiamo continuare: “I brasiliani brasilianamente; i latini latinamente, ecc.”. I giudei, i greci e i barbari, ciascuno nel suo tempo

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e nella sua cultura, nel mezzo delle crisi, furono capaci di scoprire i segnali della presenza di Dio nelle proprie vite. Così anche noi, brasiliani e latini, siamo sfidati a fare oggi lo stesso che essi fecero nel loro tempo: scoprire la stessa presenza divina entro la nostra realtà; creare nuovi modi di celebrare che rispondano al desiderio più profondo del cuore dell’uomo; irradiare questa fede agli altri come una grande Buona Notizia per la vita umana.

INTERROGATIVI:Cosmo-visione (superata) della Bibbia? Ci può aiutare a interpretare questo immenso universo che la scienza ci rivela? Come ci può aiutare a affrontare la sfida della preservazione dell’ambiente? Come loro, così anche noi dobbiamo “scrivere la nostra Bibbia”, questo è, dobbiamo imitare il popolo di Dio e, come loro, leggere la nostra realtà per scoprire dentro di questa gli appelli di Dio ed esprimerli dentro i criteri della nostra cultura. Come realizzare questo compito?

7. La nuova Missione del Popolo di Dio: servireFu in questo ambiente di cattività che il popolo scoprì la sua

missione come Popolo di Dio: non per essere un popolo glorioso, collocato sopra gli altri popoli, ma per essere un popolo servo, Servo Sofferente, la cui missione è rivelare l’amore di Dio, irradiare la bontà di Dio, diffondere la giustizia, non perdersi mai d’animo e, così, essere la “Luce delle Nazioni” (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). I quattro cantici del Servo di Jahvé parlano di questa missione (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Nella figura del Servo essi presentano al popolo esiliato un modello di come devono intendere e realizzare la propria missione come Popolo di Dio.

Il Servo di Jahvé non è un determinato individuo, bensì il popolo stesso. Ma quale popolo? È il popolo della schiavitù, descritto nel quarto cantico come un popolo oppresso, sofferente, sfigurato, senza aspetto di persona e senza un minimo di condizione umana, popolo sfruttato, maltrattato e ridotto al silenzio, senza grazia né bellezza, pieno di sofferenza, evitato dagli altri come un lebbroso, condannato come un criminale, senza giudizio né difesa (Is 53,2-8). Ritratto perfetto di una terza parte dell’umanità di oggi!

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I quattro cantici sono un abbecedario per aiutare il popolo, tanto di ieri come di oggi, a scoprire e ad assumere la propria missione. Descrivono i quattro passi che il Servo deve percorrere per realizzare la sua missione: Il primo cantico (Is 42,1-9) descrive come Dio sceglie e presenta il popolo oppresso per essere il suo Servo. Il secondo (Is 49,1-6) mostra come questo popolo, ancora senza fede in se stesso, va scoprendo la sua missione. Il terzo (Is 50,4-9) narra come il popolo assume la sua missione e la esegue malgrado la persecuzione. Il quarto (Is 52,13 - 53,12) è una profezia riguardo il futuro del Servo e della sua missione: egli morirà, ma la sua morte sarà fonte di salvezza per tutti.

Alla fine, un breve riassunto dei quattro cantici definisce la missione del Servo (Is 61,1-2). Fu questo riassunto che Gesù scelse per presentarsi con la propria missione davanti alla comunità di Nazaret (Lc 4,18). Gesù è il primo che percorse i quattro passi fino alla fine. Per questo, egli è diventato la chiave principale per capire tutto il significato e la portata della missione del Servo, descritta nel libro di Isaia.

In Gesù, il modello del Servo riprese forma e vigore. Egli disse: “Io non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto di molti” (Mt 20,28). Imparò da sua madre che disse: “Ecco qui la serva del Signore!” (Lc 1,38). Essa lo imparò dalla tradizione degli Anawim (poveri), per i quali il popolo di Dio è nel mondo non per dominare, ma per servire. Essi attendevano il Messia Servitore. È stato così che lo intesero i primi cristiani. Gesù veniva visto da essi come il Servo di Dio (At 3,13.26; 4,27.30). Essere servo di Dio era il titolo con il quale essi si identificavano (Rm 1,1): “servi della giustizia” (Rm 6,18), “servi di Dio” (Rm 6,22).

INTERROGATIVI:Quale la tendenza che oggi predomina nella formazione del clero: servire i più poveri o insistere nello specifico del clero? Come noi, che siamo parte dei coordinamenti e dell’animazione delle comunità, vediamo la nostra missione? Come la viviamo? Questo è il punto sul quale Gesù più ha insistito. Che cosa faccio con il potere che ho: servizio, controllo o autopromozione?

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8. Nuova Pastorale: tenerezza, dialogo, riunione di ciò che è disperso, coscienza

La gratuità della presenza amorosa e universale di Dio diventa la fonte di una nuova pastorale che, fino ad oggi, traspare nelle linee e tra le linee dei capitoli dal 40 al 66 del libro di Isaia. Ecco alcuni aspetti:

* TenerezzaPer la persona che vive oppressa e triste nella solitudine della

cattività, non bastano imposizioni, ammonimenti, precetti, né servono gli argomenti dell’analisi critica della realtà, perché essa alzi la testa, abbia speranza e cominci a osservare la situazione con speranza rinnovata. E’ necessario, prima di tutto, curarla dalle ferite del cuore, accogliendola con molta tenerezza e bontà. Infatti, le prime parole: “Consolate! Consolate il mio popolo!“ (Is 40,1) risuonano per le pagine di tutto il libro, dall’inizio alla fine.

I discepoli hanno un approccio premuroso, pieno di tenerezza e consolazione, di incoraggiamento, di accoglienza. “Non gridano, non spengono la candela che ancora manda un po’ di fumo“ (Is 42,2-3). Cioè, tormentati, non tormentano. Oppressi dalla situazione in cui si trovano, non opprimono, trattano e accolgono il popolo con molto rispetto. Cercano di chiamarlo col suo proprio nome (Is 43,1). Usano un linguaggio semplice, concreto e diretto, in una attitudine di tenerezza, mai vista prima, che funziona come balsamo e dispone le persone a guardare la realtà con maggior obiettività. Ci sono molte espressioni di tenerezza sparse nei capitoli dal 40 al 66 di Isaia: Is

40,1-2a; 43,1-5; 44,2; 46,3-4; 49,13-16; ecc. Ecco un esempio: “ Tu sei il mio servo! Io ti ho scelto, non ti respingerò. Non temere, perché io sto con te. Non restare intimorito, poiché Io son il tuo Dio. Io ti do forza, io ti aiuto e ti sostengo con la mia destra vittoriosa! ... Non temere! Sono io che ti aiuto! Non temere vermiciattolo di Giacobbe, mio vermetto di Israele! Io stesso ti aiuterò. Oracolo di Jahvé , il tuoredentore è il Santo di Israele!“ (Is 41,9.10.13-14; Is 54,7-8).

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* DialogoNei capitoli dal 40 al 66, dall’inizio alla fine, traspare un’attitudine

di ascolto e dialogo. Essi conversano, fanno domande, discutono, criticano, portano il popolo a riflettere sui fatti (Is 40,12-14.21.25-27 ecc.). Insegnano dialogando, da pari a pari con il popolo. Questo modo di insegnare è proprio di chi si considera servo e discepolo e non padrone della verità: “Il Signore mi ha dato una lingua di discepolo perché io sappia portare allo sfiduciato una parola di conforto. Di giorno in giorno egli mi risveglia, rende attento il mio orecchio, perché io ascolti come i discepoli“ (Is 50,4). Un discepolo non assolutizza il suo proprio pensiero, non impone le sue idee autoritariamente, ma sa insegnare ascoltando e imparando dagli altri. Ecco un esempio di come facevano: “Perché tu dici, Giacobbe, e tu confermi, Israele “Il mio cammino è nascosto al Signore e il mio diritto viene trascurato da Dio? Non lo sai, forse? Per caso non lo hai udito? Jahvé è un Dio eterno, creatore delle regioni più lontane della terra. Egli non si stanca né si affatica, la sua intelligenza è insondabile“ (Is 40,27-28).

Per questo modo di convivere e di trattare con il popolo, i discepoli non solo parlano di Dio, ma anche - e questo è importante - lo rivelano. Essi comunicano qualcosa di quello che essi stessi vivono. Dio diventa presente per questa attitudine di tenerezza e di dialogo. Il popolo si rende conto che il Dio dei discepoli è diverso dal Dio di Babilonia, diverso anche dall’immagine di Dio che essi ancora portavano nella memoria dai tempi della monarchia di prima della distruzione del Tempio. Così, a pochi si aprono gli occhi. Il popolo comincia a percepire qualcosa di nuovo che sta accadendo. “Non sta forse venendo?“ (Is 43,19 ).

Finora, questi primi passi sono i più difficili, i più lenti e i più importanti. Ci fu bisogno di molta pazienza da parte dei discepoli, perché quel popolo esiliato si rianimasse fino a credere nuovamente in se stesso e in Dio, e si risollevasse (Is 49,4.14).

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* RiunioneE’ in questo stesso periodo della cattività che si comincia a

insistere di nuovo sull’osservanza dell’antica legge del sabato (Is 56,2.4; 58,13-14; 66,23; Gen 2,2-3). Questo affinché la gente avesse almeno un giorno alla settimana per incontrarsi, condividere la propria fede, lodare Dio, rianimarsi reciprocamente. Facevano riunioni di notte e domandavano: “Alzate gli occhi al cielo e osservate: Chi ha creato tutto questo? E’ quello che organizza e mette in marcia l’esercito delle stelle e le chiama per nome una a una. Tanto grande è il suo potere e tanto salda la sua forza che nessuna di esse manca all’appello. Perché, Giacobbe, vai dicendo e tu, Israele, vai ripetendo: “Jahvé ignora il mio cammino e il mio Dio trascura la mia causa? “( Is 40,26-27)

In queste riunioni, essi rinfrescavano la memoria (Is 43,26; 46,9), raccontavano le storie di Noè, di Abramo e Sara, della Creazione; ricordavano l’esodo (Is 43,16-17), citavano gli avvenimenti politici e domandavano : “ Chi ha operato tutto questo?” (Is 41,2). La risposta era sempre la stessa: “E’ Jahvé, il Dio del popolo, il nostro Dio!” Così la natura cessava di essere il santuario dei falsi dei; la storia non veniva più decisa dagli oppressori del popolo; il mondo della politica non era più il dominio di Nabucodonosor. Dietro a ogni cosa cominciano a riapparire i tratti del volto di Jahvé, il Dio del popolo. La natura, la storia, la politica smettono di essere estranei e ostili al popolo e si trasformano in alleati dei poveri nel suo cammino come Servo di Dio.

* Coscienza criticaFu necessaria molta pazienza perché il popolo riprendesse animo

e riuscisse a credere di nuovo in se stesso e in Dio (Is 49,4-14). Lo sconforto era molto grande, essi erano come il profeta Elia quando sdraiato sotto l’albero chiedeva solo di morire (1Re 19,4). Avevano perfino perso il gusto di cantare (Sal 137,1-6). Questo scoraggiamento aveva due cause legate tra loro come i due bracci di

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una bilancia: una esterna che da fuori pesava su di essi , vale a dire la distruzione di Gerusalemme, l’esilio, la perdita di tutte le sicurezze e dei diritti; l’altra interna che da dentro svuotava il cuore: la mancanza di prospettiva e di fede, il peso morto dell’antica visione di Dio. Dio sembrava aver perso il controllo della situazione; Nabucodonosor sembrava essere il padrone di tutto. Si era squilibrata la bilancia della vita!

I discepoli e le discepole affrontano le due cause: disfano il peso dell’oppressione e riempiono il vuoto del cuore. Per disfare il peso dell’oppressione essi usano il buon senso e fanno un’analisi critica della realtà. Smascherano il potere che opprime e l’ideologia dominante che inganna. Tutto viene analizzato e criticato con ironia e precisione e confrontato con la nuova visione che la fede in Dio comunica loro (Is 40.15.17.22.23; 41,6-7.21-29; 44,18-20.25; 47,1-15).

Per riempire il vuoto del cuore, i discepoli aiutano il popolo a leggere in modo nuovo il mondo che li circonda e a percepire in esso i segnali della presenza amorosa di Jahvé (Is 54,7-8; 55,8-11; 41,1-5; 44, 27-28; 45,1-7). Essi vanno scoprendo che, benché Egli sia presente nell’universo intero, la casa preferita di Dio è in mezzo al suo popolo oppresso e esiliato. Dio fa l’opzione per i poveri: “Io sto con te!” (Is 41,10).” Tutto do in cambio per te!“ È là che Egli deve essere cercato (Is 55,6), ed è da là che egli vuole irradiare sul mondo come “Luce dei Popoli” (Is 42,6).

In questo modo, riempiendo il vuoto del cuore (causa interna) e alleggerendo il peso dalle spalle dell’oppresso (causa esterna), essi spostano il peso della bilancia. Il popolo si riequilibra di nuovo nella vita. Ora, non è più la persecuzione che indebolisce la fede, ma piuttosto la fede rinnovata e illuminata che indebolisce il potere dei potenti. Il volto di Dio riappare nella vita. Il popolo, animato da questa Buona Novella, si sveglia (Is 51,9.17; 52,1), si rialza in piedi (Is 60,1), comincia a cantare (Is 42,10; 49,13; 54,1; 61,10; 63,7) e aresistere (Is 48,20).

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INTERROGATIVI:Qua le domande sono semplici e evidenti: usare i quattro punti come criterio per fare una valutazione del proprio atteggiamento verso il popolo e della nostra pastorale nella comunità.

9. Una nuova celebrazione della vita: la lezione dei salmiIl libro dei Salmi nacque poco a poco lungo i secoli. La sua

redazione finale è del periodo dopo l’esilio, attorno ai secoli V o IV aC o ancora più tardi. Solo una parte dei salmi si trova nel Libro dei Salmi, il resto è sparso nella Bibbia, in quasi tutti i suoi libri, tanto dell’AT come del NT. I Salmi sono il lato orante della storia del popolo di Dio. In essi troviamo di tutto: Legge, Storia, Sapienza, Profezia. Essi rivelano lo sguardo orante del popolo sulla Creazione di Dio. I fenomeni della natura aiutano a pregare.

I due estremi del libro dei Salmi: il Salmo 1 e il Salmo 150. Il Salmo 1 parla del cammino, della pratica della giustizia, della lotta contro l’empio. Il Salmo 150 parla della festa, della danza, dell’ allegria. Lotta e Festa, militanza e celebrazione, politica e fede, osservanza e gratuità. Due momenti importanti della vita, due poli fondamentali della preghiera. Ci sono persone a cui piacciono solo la festa e la preghiera. Vogliono restare sul Tabor. Non piace loro scendere per andare a Gerusalemme. Sono festosi, ma nell’ora della difficoltà si perdono. Ad altri non piace interrompere il cammino per salire sul Tabor, pensano sia una perdita di tempo, sono più immediatisti. Il libro dei Salmi riflette i due poli, le due dimensioni: gratuità e osservanza. La preghiera dei salmi è come l’acqua di un fiume che percorre e fertilizza la storia e la vita del popolo di Dio, dall’inizio alla fine, dalla sorgente fino al mare.

Dobbiamo recuperare la creatività e la capacità di ammirare. Su questo punto il popolo della Bibbia dà lezione a tutti noi. Nonostante tutte le loro limitazioni, essi hanno saputo leggere il Libro della vita. Hanno saputo scoprire e cantare la bellezza dell’Universo che rivela l’amore di Dio e la grandezza del Creatore. Hanno saputo tradurre in parole, condividere e trasmettere le loro scoperte, arricchendo le generazioni seguenti. I Salmi sono uno degli esempi più belli.

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Quando un artista ha un’ispirazione, egli cerca di esprimerla in un’opera d’arte. L’arte che da lì proviene porta dentro di sé questa stessa ispirazione; per questo le opere d’arte attraggono e coinvolgono tanto le persone. Lo stesso accade quando leggiamo e meditiamo la Bibbia. L’ispirazione che ha portato gli autori e le autrici a comporre i salmi, continua ad essere presente in quelle antiche preghiere. Attraverso la nostra lettura attenta e orante, quello Spirito entra in azione e comincia ad agire, per rivelare a noi la stessa immagine di Dio che è stata espressa nel testo. Ecco alcuni di questi salmi:Salmo 8: “ La Tua presenza irrompe per tutta la terra”

Dio si rivela nella natura.Salmo 19(18): “I cieli cantano la gloria di Dio!”

Essi sono espressione della Legge di DioSalmo 46(45): “Dio è nostro rifugio e nostra forza!”

Egli sta con noi! Non abbiamo paura.Salmo 104(103): “Manda il tuo Spirito e tutto sarà creato!”

L’ordine della Creazione viene da Dio.Salmo 136(135): “Ha creato il cielo e la terra! Eterno è il Suo amore!”

Tutto è rivelazione dell’amore.Salmo 139(138): “Tu mi conosci quando sono seduto!”

Il Creatore è presente in tutto.Salmo 148: “Alleluia! Lodate il Signore tutte le creature!”

Invito alla lode universale.

Questi Salmi ci danno un’idea di quello che significava per quel popolo in schiavitù la fede nel potere creatore di Dio. Non era per avere informazioni su come Dio aveva creato il mondo nel passato, ma piuttosto per sapere qual era il Dio che stava con loro in cattività, nel fondo più profondo del pozzo, in quella oscurità senza luce, in quello sconforto senza futuro, e quale era il potere creatore che Egli usava per accompagnare il suo popolo! La riscoperta sorprendente della presenza creatrice della Parola di Dio in quella vita soffocata di cattività disumana, senza direzione e senza senso, fu come la resurrezione del popolo che illuminò la vita e la stessa natura! Umanizzò la Vita.

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INTERROGATIVI:Tocchiamo qui uno dei punti più importanti per la formazione delle Comunità, infatti è attraverso la celebrazione che si trasmette la maggior parte dei valori che esse cercano di vivere. Come preghiamo? Come cantiamo? Come celebriamo? Quali sono i modelli che usiamo? Quali i libri dei canti che usiamo abitualmente? E’ nel canto che si rivela e si esprime il livello di coscienza della comunità.

10. Il punto di arrivo in Gesù.Il lungo cammino delle Comunità dell’Antico Testamento con le

sue tappe e scoperte, ha trovato la sua continuazione e conferma in Gesù, nella sua maniera di vivere e annunciare la Buona Novella di Dio.

Come i Profeti , Gesù non permette che le tradizioni religiose allontanino il popolo dalla vera esperienza di Dio e dalla vita. Egli mantiene le antiche pratiche, ma dà ad esse un significato nuovo. Così egli mostra una grande libertà di fronte alle consuetudini religiose: elemosina (Mt 6,1-4), modi di pregare (Mt 6,5-15), digiuno (Mt 6,16-18), pratiche di purificazione legale (Mc 7,1-23), osservanza del sabato (Mc 2,23-28), condivisione della mensa con pagani e peccatori (Mc 2,15-17), Tempio (Mc 11,15-17). Egli arrivò a dire che Dio può essere adorato in qualsiasi luogo, purché ciò avvenga in spirito e verità (Gv 4,21-24). Gesù vuole che le persone vadano oltre la lettera e percepiscano l’obiettivo della legge che è amore verso Dio e verso il prossimo (Mt 7,12; Mc 12,29-31). A coloro che identificavano la volontà di Dio con la lettera della Legge, egli diceva: “Anticamente è stato detto, ma io vi dico“ (Mt 5,21-22.27-28.31- 34.38-39.43-44). Secondo Gesù, la torah vuole il ben-vivere del popolo: “Sono venuto perché abbiano vita e vita in abbondanza”(Gv 10,10).

Come i discepoli e le discepole di Isaia , Gesù difende i diritti dei poveri e riconosce in essi la sapienza di Dio (Mt 11,25-26). Bontà, tenerezza e semplicità sono le caratteristiche del modo con cui Gesù accoglie le persone: il vecchio Zaccheo (Lc 19,1-10), le madri con bambini (Mt 19,13-14), il lebbroso che grida al margine della strada (Mt 8,2; Mc 1,40-41), il paralitico da trentotto anni (Gv 5,5-9), il cieco

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dalla nascita nella piazza del Tempio (Gv 9, 1-13), la donna curva nella sinagoga (Lc 13,10-13), la vedova di Naim (Lc 7,11-17), i fanciulli che acclamano nel Tempio (Mt 21,15-16) e tante, tante altre persone. E’ il contrario dell’atteggiamento dei farisei e degli scribi che consideravano il popolo ignorante e maledetto e pensavano che il popolo non avesse niente da insegnare loro (Gv 7,48-49; 9,34).

Come i saggi , Gesù aveva un’enorme capacità nel mettere a confronto le cose di Dio con le cose più semplici della vita del popolo. Le parabole provocano e portano le persone a riflettere sulla loro stessa esperienza e fanno in modo che questa stessa esperienza le porti a scoprire Dio presente nella vita. La parabola cambia il punto di vista.

Tutti questi atteggiamenti di Gesù rivelavano l’esperienza di Dio che lo animava dall’interno. Egli irradiava una nuova immagine di Dio, in aperto contrasto con la concezione di Dio che veniva espressa nei comportamenti e nelle struttura religiosa ufficiale dell’epoca. Gesù è un laico che non ha studiato nella scuola ufficiale, ma il popolo riconosceva che in Lui c’era sapienza (Mc 6.2) e restava impressionato dal modo in cui Gesù insegnava: “Un nuovo insegnamento! Dato con autorità! Diverso da quello degli scribi (Mc 1,22-27). Come Giobbe agli occhi dei tre amici, così Gesù agli occhi degli scribi e dei farisei era un uomo senza Dio (Gv 9,16), contrario al Tempio e alla Legge di Dio (Mt 26,61).

IL PUNTO DI ARRIVO IN GESÙIl modo di procedere di Gesù conferma il cammino percorso.

Gesù ricostruisce la relazione umana alla base, nella “Casa” Recupera la dimensione sacra e festiva della Casa

Ricostruisce la vita comunitaria nei villaggi della GalileaSi prende cura dei malati e accoglie gli esclusi

Recupera l’uguaglianza tra uomo e donnaVa incontro alle persone

Supera le barriere di genere, religione,razza e classe.

1. Gesù ricostruisce le relazioni umane alla base, nella "Casa"

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In un’epoca in cui la religione ufficiale insisteva sullo spazio sacro del Tempio e sulle cose legate al culto, Gesù recupera la dimensione casalinga della fede. L’ambiente della Casa esercita un ruolo centrale nella vita di Gesù. Quando si parla di casa, non si tratta solo di casa di mattoni o di pietra e neppure solo ma di una famiglia piccola, ma anche e soprattutto del clan, della comunità. Fino all’età di trenta anni, Gesù visse in un ambiente comunitario e domestico là a Nazareth. Durante i tre anni in cui si mosse nella Galilea, entrava e viveva nelle case della gente. Entrò in casa di Pietro (Mt 8,14), di Matteo (Mt 9,10), di Giairo (Mt 9,23), di Simone fariseo (Lc 7,36) , di Simone il lebbroso (Mc 14,3), di Zaccheo (Lc 19,5). L’ufficiale riconosce: ”Non sono degno che tu entri nella mia casa” (Mt 8,8). E la gente cercava Gesù nella sua casa (Mt 9,28; Mc 1,33; 2,1; 3,20). Quando andava a Gerusalemme, Gesù si fermava a Betania in casa di Marta, Maria e Lazzaro (Gv 11,3; 5,45; 12,2). Quando invia i discepoli e le discepole, la missione che dà loro è di entrare nelle case della gente e di portare la pace (Mt 10,12 -14 ; Mc 6,10; Lc 10,1-9).

2.Gesù recupera la dimensione sacra e festiva della CasaGesù, sua madre e tutti i discepoli prendono parte alla festa di

nozze in Cana (Gv 2,1-2). Gesù accetta inviti per pranzare e cenare a casa delle persone: di Simone il lebbroso, (Mc 14,3) di Simone il fariseo (Lc 7,36), di Marta e di Maria (Gv 12,2 ) di un altro fariseo (Lc 11,37; 14,12). E’ nella sala superiore della casa di un amico che Gesù celebrerà l’ultima Pasqua con i suoi amici (Mt 26, 18-19). Manda i discepoli e le discepole a ricostruire i clan nei villaggi della Galilea sulle quattro basi della vita comunitaria: ospitalità, condivisione, comunione della mensa e accoglienza degli esclusi (Lc 10,1-9). Dopo la resurrezione, Gesù entra in casa con i due discepoli a Emmaus e viene da loro riconosciuto nel gesto tanto domestico della frazione del pane (Lc 24,29-30).

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3. Gesù ricostruisce la vita comunitaria nei villaggi della Galilea

Nell’antico Israele il clan, cioè la famiglia allargata, la comunità, era la base della convivenza sociale. Era la garanzia di vita per una persona: garantiva la terra, la protezione, la difesa, i legami relazionali, le tradizioni che davano identità a una persona. Era la maniera concreta del popolo di quell’epoca di incarnare l’amore a Dio e al prossimo. Difendere il clan era lo stesso che difendere l’Alleanza tra Dio e il popolo. Ma all’epoca di Gesù, a causa della politica dei romani e al sistema della religione ufficiale, la vita comunitaria si stava disintegrando. Più della metà del bilancio familiare se ne andava in imposte, tasse, tributi, decime. Tali politiche di esclusione generavano malati, affamati, marginalizzati, vedove, orfani, indemoniati, poveri. Questa situazione portava le famiglie a ripiegarsi su se stesse nell’impossibilità di esercitare il loro dovere di goêl, di aiuto disinteressato ai parenti dello stesso clan o comunità. La famiglia stessa di Gesù voleva impedire che Gesù si preoccupasse degli altri e volevano riportarlo indietro a Nazareth. Gesù reagisce e non vuol sapere: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Tutti quelli che fanno la volontà del Padre che sta nei cieli” (Mc 3,34-35). Gesù allarga la famiglia, ricostruisce il clan, la comunità. Egli vuole evitare che le famiglie si chiudano in se stesse e cosi disintegrino la vita del clan, della comunità. Perciò egli dice: “Se qualcuno viene a me e non odia suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, fratelli e sorelle e perfino la sua stessa vita non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Comanda che le piccole famiglie si aprano alla vita in comunità.

4. Gesù si prende cura dei malati e accoglie gli esclusiIl primo lavoro di Gesù fu prendersi cura dei malati (Mc 1,32).

Gli infermi, a causa della loro malattia, considerata un castigo divino, erano allontanati dal convivio sociale, vagavano per le strade in cerca di una elemosina. Nel volgersi verso i malati, Gesù si fece carico di

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una parte della società del suo tempo. Toccando il lebbroso per curarlo tanto dalla lebbra come dalla esclusione, Gesù ha assunto coscientemente una marginalizzazione sociale tale da non permettergli più di entrare nelle città (MC 1,45). Gesù annuncia il Regno per tutti! Non ha escluso nessuno. Ma lo annuncia a partire dagli esclusi. Egli offre un posto a coloro che non avevano posto nella convivenza umana. Con amore e tenerezza accoglie quelli che non erano accolti. Accoglie come fratello e sorella coloro che la religione e il governo disprezzavano e escludevano: gli immorali: prostitute e peccatori (Mt 21,31-32; Mc 2,15; Lc 7,37-50; Gv 8,2-11); gli eretici :pagani e samaritani (Lc 7,2-10; 17,16; Mc 7,24-30; Gv 4,7-42); gli impuri : lebbrosi e indemoniati (Mt 8,2-4; Lc 11,14-22; 17,12-14; Mc 1.25-26); i marginalizzati: donne, bambini e malati (Mc 1,32; Mt 8,17; 19,13-15; Lc 8,2s); i collaboratori: pubblicani e soldati (Lc 18,9-14; 19,1-10); i poveri: il popolo della campagna e i poveri senza potere (Mt 5,3; Lc 6,20-24; Mt 11,25-26).

5. Gesù recupera uguaglianza tra uomo e donnaGesù ha accolto e dato continuità alla resistenza delle donne

contro la loro esclusione. La ragazza prostituita è accolta e difesa da Gesù contro il fariseo (Lc 7,36-50). La donna incurvata è accolta da Gesù come figlia di Abramo contro il dirigente della sinagoga (Lc 13,10-17). La donna adultera, accusata dai farisei, non viene condannata da Gesù (Gv 8,1-11). La donna impura è accolta senza censura e curata (Mc 5,25-34). La Samaritana, disprezzata come eretica, è la prima persona a ricevere il segreto che Gesù è il Messia (Gv 3,26). La donna straniera di Tiro e Sidone è da lui presa in considerazione (Mc 7,24-30). Le madri con figli piccoli che si scontrano con i discepoli sono accolte e benedette da Gesù. (Mt 19,13-15; Mc 10,13-16). Le donne che sfidando il potere rimasero vicine alla croce di Gesù (Mt 27,55-56.61) furono le prime a sperimentare la presenza di Gesù resuscitato (Mt 28,9-10). Maria

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Maddalena, considerata indemoniata, ma curata da Gesù (Lc 8,2), ricevette l’ordine di trasmettere la Buona Novella della resurrezione agli apostoli (Gv 20,16-18). Contrariando un gran numero di rabbini che non accettavano donne nei loro gruppi di studio, sappiamo che molte donne seguivano Gesù e facevano parte della comunità dei discepoli attorno a Lui (Lc 8,2-3; Mc 15,40-41). Accettare le donne come discepole alla pari dentro il gruppo non deve essere stato facile per i discepoli (Lc 24,11).

6. Gesù va incontro alle personeInvece di rinchiudersi in una sinagoga o in una scuola e

esercitare il potere di uno scriba, Gesù rompe questo schema diventando un predicatore ambulante. Dove trova gente che lo ascolta, egli parla e trasmette la Buona Novella di Dio, in qualsiasi luogo. Nelle sinagoghe, durante la celebrazione della Parola nei sabati, (Mc 1,21; 3,1; 6,2). In riunioni informali nelle case degli amici, (Mc 2,1.15; 7,17; 9,28; 10,10). Andando in cammino con i discepoli, (Mc 2,23), lungo il mare, sul bordo della spiaggia, seduto su una barca (Mc 4,1). Nel deserto in cui si è rifugiato e dove la gente lo cerca (Mc 6,32-34). Sulla montagna da dove proclama le Beatitudini (Mt 5,1). Nelle piazze dei villaggi e delle città dove la gente trasporta i suoi malati (Mc 6,45-46). Perfino nel Tempio di Gerusalemme, nei pellegrinaggi, quotidianamente, senza paura (Mc 14,49). Egli va incontro alle persone, stabilendo con loro una relazione diretta attraverso la pratica dell’accoglienza. Prima di proporre o esporre un contenuto fondamentale della dottrina, Gesù propone un cammino di vita. La risposta è seguire Gesù in questo cammino: “ Venite a me tutti voi che siete stanchi di reggere il peso del vostro fardello e io vi darò riposo , … imparate da me …” (Mt 11, 28-30).

7. Gesù supera le barriere di genere religione, discendenza e classe.

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Gesù supera le barriere di genere, religione, discendenza e classe. Gesù non si chiude dentro la sua razza e religione, ma sa riconoscere le cose buone che esistono nelle persone di altra discendenza e religione. Egli accetta lezioni da parte di queste: dalla Cananea (Mt 15,27-28), dalla Samaritana (Gv 4,31-38), e perfino dai Romani (Mt 8,5-13). Egli accoglie e discute con Nicodemo (Gv 3,1) che era un membro della classe alta giudaica, con seggio nel Sinedrio. Accoglie e conversa con una donna samaritana (Gv 4,7), con questa donna Gesù riesce a stabilire un dialogo costruttivo superando una delle barriere più difficili, la religione. Per la samaritana Gesù era un giudeo, ossia un nemico religioso, oppressore dei samaritani. Pazientemente Gesù deve disarmare la samaritana dicendo: “Donna, io sono giudeo, ma non sono tuo nemico!”. Per stabilire un dialogo con lei, Gesù comincia a conversare rivelando un bisogno che potrà essere saziato solo con il lavoro di quella donna: “Dammi da bere!”. Rivelare una propria necessità è un buon modo di avviare un dialogo! Il lungo dialogo tra Gesù e la Samaritana dimostra quanto Gesù era aperto alla presenza delle donne nel suo gruppo. Il testo di Giovanni mostra che gli stessi suoi discepoli restano meravigliati dal dialogo di Gesù con la samaritana (Gv 4,27).

Fu questa la Buona Novella che Gesù visse e diffuse durante i tre anni in cui andò per la Galilea annunciando il Regno di Dio. Il suo messaggio dispiacque ai potenti ed essi lo catturarono, lo condannarono e lo uccisero sulla croce. Ma Dio lo resuscitò, confermandolo davanti ai suoi discepoli per mezzo di molte apparizioni (1Cor 15,3-8). Animati dallo Spirito di Gesù nel giorno di Pentecoste (At 2,1-4; Gv 20,21-23) i discepoli dettero continuità all’annuncio della Buona Novella del Regno. La forza che li sosteneva nell’annunciare la Buona Novella è espressa nella testimonianza dell’apostolo Paolo: “ Vivo ma non sono io, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Gesù era tutto per loro!

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CONCLUSIONE

Per approfondire ed esprimere quello che era Gesù per loro, conservavano e divulgavano titoli, nomi e attributi. Solo nel Nuovo Testamento più di cento! Ogni titolo era un tentativo di rivelare un qualche aspetto della ricchezza che Gesù significava per la loro vita. I tre titoli più antichi di Gesù sono contenuti in questa frase: “Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita per il riscatto di molti” (Mc 10,45). Tutti tre vengono dall’Antico Testamento: Figlio dell’Uomo, Servo di Dio e Redentore (riscatto) dei fratelli. Ogni titolo rivela un determinato aspetto della ricchezza che illumina il cammino che conduce al Ben-Vivere del Regno.

Figlio dell’Uomo

Figlio dell’Uomo è il titolo che più Gesù amava usare. Appare più di 80 volte nei soli quattro Vangeli! L’espressione Figlio dell’Uomo viene dai profeti Ezechiele e Daniele. In Ezechiele l’espressione è ripetuta 93 volte e accentua la condizione umana del profeta. Nel libro di Daniele l’espressione Figlio dell’Uomo appare nella visione dei grandi imperi del mondo (Dn 7,1-28). Gli imperi sono rappresentati con sembianze di animali (Dn 7,4-8), infatti sono animaleschi; disumanizzano la vita, “animalizzano” le persone. Il Regno di Dio è presentato sotto l’immagine di un essere umano, di un Figlio dell’Uomo (Dn 7,13). Il Figlio dell’Uomo, il popolo di Dio, non si lascia disumanizzare, né ingannare dalla ideologia dominante dei regni animaleschi. La sua missione consiste nel realizzare il Regno di Dio come un regno umano, regno che non perseguita la vita, ma invece la promuove! Umanizza le persone. Presentandosi come Figlio dell’Uomo, Gesù assume come sua questa visione umanizzante. E’ come se dicesse “Venite con me! Questa missione è di tutti noi. Andiamo insieme a realizzare la missione che Dio ci ha affidato, e a

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realizzare il Regno umano e umanizzante che Egli ha sognato!”. E fu questo che Gesù fece e visse durante tutta la sua vita, soprattutto negli ultimi tre anni. Egli fu così umano, ma così umano, come solo Dio può essere umano. Quanto più umano, tanto più divino. Quanto più “Figlio dell’Uomo” tanto più “Figlio di Dio“. Tutto quello che disumanizza le persone allontana da Dio. E’ umanizzando che si costruisce il Ben-Vivere del Regno di Dio.

Servo di Dio

Questo titolo viene da una profezia di Isaia nella quale il futuro Messia è presentato come Servo di Dio (Is 42,1-9). Al tempo di Gesù, l’elite aspettava un Messia Re (Mc 15,9-32); Santo o Sommo Sacerdote (Mc 1,24), Generale (Lc 23,5; Mc 13,6-8), Dottore (Gv 4,25), Giudice (Lc 3,5-9), Profeta ( Mc 6,4; 14,65 ). Nonostante le differenze, tutti essi aspettavano un messia glorioso tra i popoli. Solo i poveri aspettavano il Messia Servitore annunciato dal profeta Isaia (Is 42,1; 49,3; 52,13) e interpretavano la missione del popolo di Dio, non come un dominio, ma come un servizio all’umanità. Maria, la povera di Jahvé, dice all’angelo: “Ecco la serva del Signore!”. E’ stato da lei e dai poveri che Gesù ha imparato il cammino del servizio. Questo popolo- servo è descritto come quello che “non grida, non alza la voce, non fa udire in piazza le sue grida, non spezza la canna incrinata né spegne lo stoppino della candela che ancora emette fumo” (Is 42,2). Perseguitato, non perseguita, oppresso, non opprime. In lui il virus della violenza oppressiva, tipico degli imperi, non riesce a penetrare. L’attitudine resistente del Servo di Jahvé segnò la vita di Gesù. Isaia dice del Servo : “Proclamerà il diritto con fedeltà, senza venir meno e senza abbattersi, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra“ (Is 42,4). Gesù percorre il cammino del servizio fino alla fine, fino alle ultime conseguenze. Egli definisce la sua missione: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire“ (Mc10,45). Egli non era venuto per instaurare una nuova religione, ma per portare la dimensione del

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servizio in tutte le religioni. E’ umanizzando e servendo che si costruisce il Regno di Dio .

Redentore dei fratelli

Gesù inizia la sua predicazione proclamando un nuovo giubileo, un “Anno di grazia del Signore” (Lc 4,19). L’obbiettivo dell’Anno Giubilare era di ristabilire i diritti dei poveri, accogliere gli esclusi, reintegrarli nella convivenza, e così tornare al senso profondo e originale della Legge di Dio. Uno dei mezzi per portare a buon fine l’Anno Giubilare, era la legge del “Riscatto” (Goêl, Redentore) (Lv 25,23-55). Gesù è il Goêl, il redentore dei fratelli, che è venuto a pagare il riscatto perché noi potessimo essere liberati dalla schiavitù e ricuperare la vita in comunità. Molta gente era emarginata in nome della Legge di Dio. Gesù, a partire dalla sua esperienza di Dio, denuncia questa situazione che nasconde il volto di Dio ai piccoli (Mt 23,13-36). Come redentore (goêl), fratello più vecchio, egli offre un posto a quelli che non hanno posto. Accoglie quelli che non erano accolti, e riceve da fratello quelli che la religione e il governo disprezzavano e escludevano (Mc 3,34). Non avendo denaro per pagare il riscatto, egli consegnò se stesso, il suo corpo e il suo sangue, perché tutti potessero vivere in fraternità (1Cor 11,23-26 ; Mc 14,22- 24; Lc 22,20).

Gesù, il Redentore dei fratelli! È forse il titolo più antico per esprimere quello che Gesù significa per noi. Il termine ebraico goêl, è così ricco che non può avere una traduzione univoca nella nostra lingua: redentore, salvatore, liberatore, difensore, avvocato, paraclito, parente prossimo, fratello più anziano. San Paolo lo definì molto bene nella lettera ai Galati: “Io vivo, ma non sono più io che vivo, infatti è Cristo che vive in me. E questa vita che ora vivo, io la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi amò e diede se stesso per me” (Gal 2,20).

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Gesù, Figlio dell’Uomo, Servo di Dio, Redentore dei fratelli. Umanizzare, servire, accogliere. E’ umanizzando, servendo, accogliendo che si recupera la Missione delle Comunità e si costruisce il Ben-Vivere del Regno di Dio. Cosi si inizia il regresso dalla disintegrazione iniziata con Adamo che ebbe il suo culmine nella Torre di Babele.

La confusione delle lingue della Torre di Babele cominciò a essere superata nel giorno di Pentecoste.

La disintegrazione del diluvio causata dalla magia cominciò a essere superata dalla forza della fede.

La violenza 70X7 di Lamec cominciò a essere superata dal perdono 70X7 di Gesù.

La morte della fraternità causata da Caino, cominciò a essere superata dall’amore per il prossimo.

L’allontanamento di Dio causata da Adamo ed Eva è superata da Gesù che incarna Dio.