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«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> Stefano Lazzarin Una magia «troppo irrimediabilmente intelligente»: Papini, Bontempelli e il fantastico novecentesco Sommario I. II. III. IV. V. Il fantastico «intelligente» Papini e l'intelligenza onnipotente La funzione-Papini nel fantastico novecentesco italiano Papini/Bontempelli: alle origini del realismo magico Bontempelli e la magia intelligente I. Il fantastico «intelligente» Dal surreale "ironico" di Gianfranco Contini 1 al fantastico "colto" di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo 2 per arrivare fino al fantastico "intellettuale" di Italo Calvino 3 , una tradizione critica ormai consolidata ha descritto il fantastico italiano del Novecento come una letteratura estremamente consapevole, intellettualistica, ironica. In una parola potremmo dire: intelligente. Non cercherò qui di ricostruire il dibattito sul fantastico italiano, né di giustificare questa definizione, avendolo già fatto in altre occasioni; 4 mi limiterò ad aggiungere una considerazione che mi sembr a indispensabile enunciare in termini espliciti: la visione del fantastico italiano come letteratura supremamente intelligente è fondata su un preciso corpus letterario, che è quello della tradizione colta. Si tratta insomma di un punto di vista, a mio avviso inoppugnabilmente radicato nei testi, ma che non esclude altre interpretazioni; queste ultime mi paiono complementari e non contraddittorie rispetto all'interpretazione da me proposta: mi riferisco in particolare al cantiere del fantastico "popolare"

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Page 1: Stefano Lazzarin Una magia «troppo irrimediabilmente intelligente»: Papini … · 2011-09-21 · del fantastico italiano del Novecento sono due: Giovanni Papini e Massimo Bontempelli

«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>

Stefano Lazzarin

Una magia «troppo irrimediabilmente

intelligente»: Papini, Bontempelli e il fantastico

novecentesco

Sommario

I.

II.

III.

IV.

V.

Il fantastico «intelligente»

Papini e l'intelligenza onnipotente

La funzione-Papini nel fantastico novecentesco italiano

Papini/Bontempelli: alle origini del realismo magico

Bontempelli e la magia intelligente

I. Il fantastico «intelligente»

Dal surreale "ironico" di Gianfranco Contini1 al fantastico "colto" di Enrico

Ghidetti e Leonardo Lattarulo2 per arrivare fino al fantastico "intellettuale"

di Italo Calvino3, una tradizione critica ormai consolidata ha descritto il

fantastico italiano del Novecento come una letteratura estremamente

consapevole, intellettualistica, ironica. In una parola potremmo dire:

intelligente. Non cercherò qui di ricostruire il dibattito sul fantastico italiano,

né di giustificare questa definizione, avendolo già fatto in altre occasioni;4

mi limiterò ad aggiungere una considerazione che mi sembra

indispensabile enunciare in termini espliciti: la visione del fantastico

italiano come letteratura supremamente intelligente è fondata su un

preciso corpus letterario, che è quello della tradizione colta. Si tratta

insomma di un punto di vista, a mio avviso inoppugnabilmente radicato nei

testi, ma che non esclude altre interpretazioni; queste ultime mi paiono

complementari e non contraddittorie rispetto all'interpretazione da me

proposta: mi riferisco in particolare al cantiere del fantastico "popolare"

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«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>

italiano, uno di quelli in cui attualmente si lavora di più e quello che

promette le scoperte più interessanti.5

In questa sede ci occuperemo dunque soltanto dei "piani alti" della

letteratura - sia detto senza nessun apprezzamento di valore. Ora, a chi

consideri esclusivamente la tradizione colta, appare chiaro che i fondatori

del fantastico italiano del Novecento sono due: Giovanni Papini e

Massimo Bontempelli. E in entrambi, non a caso, risulta presente - come

parola tematica e categoria estetica, ma anche come principio che informa

di sé i testi - quell'"intelligenza" che costituisce il contributo italiano alla

tradizione fantastica del secolo ventesimo. Se Papini riflette

continuamente sul significato e le applicazioni di questa nozione, e

concepisce il proprio fantastico come un'operazione estremamente

consapevole di riscrittura della tradizione classica, Bontempelli è il primo a

mettere in scena con tanta forza - come farà poi solo Landolfi - un

fantastico che si costruisce negando il modello canonico (ottocentesco), e

al tempo stesso dichiarandosi impossibile.

II. Papini e l'intelligenza onnipotente

In quanto autore fantastico, Papini risulterebbe quasi incomprensibile a chi

ignorasse i risvolti idealistico-spiritualistici della sua opera. Il pensatore

che individua il comun denominatore della propria epoca nella «volontà di

riconoscere i problemi spirituali e morali come più importanti di tutti gli altri

problemi»,6 il teorico del potere illimitato della volontà e

dell'immensificazione dell'io, e appunto il narratore di «favole oscure e [...]

colloqui inquietanti»,7 costituiscono la stessa personalità filosofico-poetica.

Vero e proprio Uomo-Dio, l'artista quale Papini lo concepisce forgia

mediante le proprie forze spirituali una realtà "ideale" che trasforma il

mondo "reale"; dopo la morte della filosofia, egli è diventato il depositario

del sogno nietzschiano di una potenza straordinaria, di una forza dello

spirito che collochi l'uomo al di sopra degli esseri e delle cose.8 Quale

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artista meglio del narratore fantastico, creatore di mondi immaginari,

potrebbe assumersi questa responsabilità demiurgica? Còlto da

irrepressibile «disgusto per il reale», l'io narrante di Un uomo finito (1912)

aspirerà logicamente a «rifar da [...] [sé], a modo [...] [suo] un diverso e più

perfetto reale»:9 «Io non voglio accettare il mondo com'è e perciò tento di

rifarlo colla fantasia o di mutarlo colla distruzione. Lo ricostruisco coll'arte

o tento di capovolgerlo colla teoria. Sono due sforzi in apparenza diversi

ma concordi e convergenti».10

Ebbene: per il vagheggiatore dell'impossibile ch'è Papini, l'intelligenza è

un'autentica divinità. Lo scrittore le dedica perfino, sulle pagine di

«Lacerba», un Inno all'intelligenza,11 sorta di poema in prosa da cui

estraggo il seguente canto di lode e invocazione:

«Intelligenza magnifica e miracolosa, rivelatrice del cielo e della terra.

Intelligenza stupenda e tremenda, redentrice di tutte le umanità.

Intelligenza onnipossente e invisibile - ala unica e sola di noi bipedi latrine.

Intelligenza demonica e maligna - solo fuoco rosso nei gelidi paradisi

bianchi della terra.

Intelligenza umana e pericolosa - non v'è altra potenza terrestre dinanzi a

te».12

Nella già menzionata autobiografia intellettuale Un uomo finito, non

soltanto Papini prende coscienza della propria vocazione di narratore

fantastico e ne indica a chiare lettere le fonti,13 ma tratta a più riprese la

questione dell'intelligenza: la simultanea presenza di questi due temi non

è certo imputabile al caso. Così, ad esempio, ecco l'io narrante papiniano

proclamare, nel cap. 15, la sua «fede nell'intelligenza spregiudicata e nella

divina virtù della poesia e nel perenne miracolo dell'arte»;14 nel cap. 32,

viceversa, temporaneamente sconfitto nel suo sogno di onnipotenza, egli

ironizza sulla «commedia della intelligenza».15 Arriviamo al cap. 43, dove il

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protagonista è terrorizzato dall'idea della cecità, ed esclama: «Non ho altra

forza che nell'intelligenza, non ho amici che tra i morti, non ho piaceri fuori

dei libri. E non potrei leggere più!».16 E verso la fine dell'opera, ormai nel

cap. 47, egli si autodefinisce «una guardia della pura intelligenza».17

L'intelligenza, nume tutelare di tutta l'opera papiniana, lo è più

particolarmente del narratore fantastico: l'autore del Tragico quotidiano

(1906) e del Pilota cieco (1907) è senz'altro uno dei più cerebrali

sperimentatori che annoveri la letteratura fantastica non soltanto italiana,

bensì universale. Questa forte dimensione intellettualistica del fantastico di

Papini - rivendicata nella Nota dell'autore premessa all'antologia personale

Strane storie (1954), laddove si accenna alla «frenesia cerebralista»18 dei

racconti di gioventù - è l'ispiratrice di un programma eminentemente

manierista di riscrittura della tradizione classica (ottocentesca) del genere.

Al fantastico canonico Papini contrappone un nuovo fantastico,

psicologico e quotidiano - secondo una linea di tendenza che giungerà,

come vedremo, fino a Italo Calvino - e tutto ipertestuale; i temi e i miti del

repertorio tradizionale vengono sottoposti a un processo di riscrittura

destinato a rinnovarli radicalmente, come rivela la Terza prefazione. Agli

Eruditi che accompagna la prima edizione del Tragico quotidiano:

«Voi troverete in queste pagine alcune di quelle figure che dettero

occasione a molte veglie pazienti: Amleto, Don Giovanni, l'Ebreo Errante,

il Demonio. Se per un qualche scrupolo bibliografico di aficionados della

letteratura comparata voi sfoglierete questo libretto vi accorgerete subito

che quei cittadini immaginari della nobile Dreamland hanno cambiato un

po' l'anima venendo con me. [...] E se non ho inventato dei nomi nuovi per

queste nuove anime accusatene il mio orgoglio: ho creduto impresa più

ardua e più difficile dar nuova vita ad immagini che già ebbero in dono

tante vite che il creare di tutto punto persone nuove».19

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III. La funzione-Papini nel fantastico novecentesco italiano

Da trent'anni a questa parte i racconti fantastici papiniani hanno suscitato

una rinnovata attenzione critica, come mostra il gran numero di contributi

che è ormai possibile reperire sull'argomento.20 Nonostante questa

rinascenza - testimoniata anche dall'interesse per il Papini utopico che

caratterizza un recente libro di Vittorio Roda sul fantastico21 - manca

tuttora, mi sembra, uno studio panoramico che mostri l'importanza della

lezione papiniana per i narratori fantastici del Novecento italiano. Esiste in

tal senso una vera e propria linea-Papini, che meriterebbe di essere

ricostruita in dettaglio; qui ci limiteremo a indicarne alcune articolazioni,

proponendo un primo censimento dei materiali disponibili.

1) L'importanza di Papini per Giorgio De Chirico e la metafisica - artistica e

letteraria - è stata dimostrata, con argomenti a mio parere definitivi, da

Maurizio Calvesi,22 il quale osserva fra l'altro che la parola stessa

'metafisica' giunse verosimilmente a De Chirico da Schopenhauer e

Nietzsche, ma attraverso l'uso che ne fece Papini.23 Da parte mia,

continuando a seguire il motivo conduttore del fantastico "intelligente",

vorrei sottolineare come una delle chiavi del sodalizio - per quanto di

breve durata - fra Papini e De Chirico sia appunto questa: la nozione e la

parola di 'intelligenza'. De Chirico ne parla fin dal 16 settembre 1915, in

una lettera a Paul Guillaume che Calvesi riporta a conferma dell'influenza

di Papini sul fondatore della metafisica. Il critico rileva l'affinità fra la

«tipologia [...] idealista, artecratica e metapsichica del superuomo, o

"Uomo-Dio"» papiniano,24 e la convinzione dechirichiana che esista una

categoria di esseri superiori, dotati del terzo occhio della visione artistica;

ma si ponga mente, nella stessa lettera, all'elogio dell'intelligenza

semidivina, che può richiamare il passo già citato dell'Inno all'intelligenza

di Papini:

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«ce don des Dieux (l'intelligence) est une chose peu commune; je crois

même que l'intelligence telle que nous l'entendons nous autres,

l'intelligence nietschienne [sic], l'intelligence qui tient du Dieu et de

l'acrobate, du héros et de la bête, est si rare qu'on pourrait presque dire

qu'elle est introuvable, et nous autres qui en avons ravi d'étincelles au ciel,

nous autres qui voyons, nous pouvons en être fiers, et heureux aussi, car

le bonheur, le doux et divin bonheur, nous est dû».25

Ecco insomma un primo snodo nel nostro percorso: l'intelligenza

papiniana transita per di qui e nutre la riflessione teorica della metafisica

(dechirichiana ma anche saviniana, come vedremo in seguito).26 Quando

poi De Chirico e Papini rompono, in circostanze non del tutto chiare, la

loro amicizia,27 ecco che la parola ritorna nelle Memorie dechirichiane con

un significato nuovo e polemico, proprio in relazione all'amico di un tempo

- e principe dell'intelligenza - Giovanni Papini:

«Molto contribuirono a provocare questa esterolatria, con conseguente

decadenza di ogni serietà e di ogni dignità nel campo dell'Arte e della

Letteratura, due uomini: Giovanni Papini ed Ardengo Soffici, i quali, anche

oggi, sono da molti considerati come dei "precursori" dello spirito nuovo,

come gli uomini che hanno fatto conoscere in Italia i "misteri" dello spirito

moderno francese, che hanno "purificato" l'aria, che hanno aperto la via

alle nuove idee e tante altre asinerie di cui noi ora subiamo le estreme

conseguenze e per sanare le quali ci vorranno lunghi anni di vera

intelligenza».28

Non c'è dunque da stupirsi che l'intelligenza sia un argomento ricorrente

nell'epistolario fra Papini e i due fratelli De Chirico, vista l'importanza che

tutti e tre annettono alla nozione e le svariate accezioni che le

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attribuiscono (come si può desumere dagli esempi forniti, l'intelligenza è

per Papini e i suoi interlocutori al tempo stesso categoria estetica,

contrassegno socio-professionale, traccia metafisica). Due esempi riportati

ancora da Calvesi - che riproduce nel suo saggio una parte del carteggio

Papini-De Chirico-Savinio29 - risultano illuminanti. Il primo è la lettera che

De Chirico scrive a Papini il 22 gennaio 1915: «Caro ed egregio Amico, Le

scrivo per esprimerLe le mie più sincere felicitazioni per il suo articolo: "Il

Mistero Brittanico" pubblicato nel «Resto del Carlino» del 21 corrente. È il

primo articolo intelligente che abbia letto fin'ora in un giornale»30 (si noti

che il corsivo appartiene a De Chirico, il quale forse, tramite l'enfasi, vorrà

alludere proprio all'Inno all'intelligenza papiniano uscito pochi mesi prima).

Quanto al secondo esempio, la firma in calce alla lettera - indirizzata

sempre a Papini il 20 aprile 1918 - è di Savinio: «Mi dicono meraviglie del

tuo giornale [«Il Tempo» di Roma] - certo il più intelligente che ci sia ora in

Italia».31

2) Abbiamo nominato il minore dei fratelli De Chirico; anche l'opera di

Alberto Savinio risulta in effetti attraversata da un tema sotterraneo

dell'intelligenza. Esso affiora a più riprese nei testi di Torre di guardia

(1934-1940), dove figurano persino due saggi contigui, Amore nascosto e

Richiamo,32 dedicati rispettivamente all'Intelligenza e alla Stupidità - un po'

come il dittico di Papini già citato, formato dalla Preghiera per l'imbecille e

dall'Inno all'intelligenza. Alla lode di ascendenza papiniana dell'intelligenza

Savinio affianca considerazioni di natura etnico-culturale; l'intelligenza gli

sembra - così come la ragione33 - una prerogativa della mente latina. In

Mangiatore di abissi, lo scrittore contrappone, secondo uno schema

dicotomico che ritorna spesso nei suoi testi a carattere saggistico, la civiltà

latina alla gotico-germanica, e considera l'intelligenza e l'ironia quasi due

specificità italiane:

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«L'uomo intelligente, e particolarmente l'italiano, possiede una

preziosissima facoltà che lo mette in guardia contro le seduzioni della

fantasia astronomica. Questa facoltà è l'ironia. Se Ludovico Ariosto ha

potuto senza danno montare in groppa agli ippogrifi e mandare in giro i

suoi paladini per gli spazi interplanetari, è perché messer Ludovico non si

è mai lasciato sfuggir di mano questo utilissimo filo d'Arianna: l'ironia».34

I racconti offrono conferme interessanti; basterà menzionare un esempio

abbastanza noto, quello di Mia madre non mi capisce (nella raccolta Casa

«la Vita», 1943):

«Se i libri di Nivasio Dolcemare non negano l'esistenza di Dio, è perché in

essi l'inesistenza di Dio è sottintesa e vi si parla di là dall'esistenza di Dio,

di là da molti postulati che una volta, e non per lui ma per gli altri, erano

essenziali ma che lui Nivasio non ha preso in seria considerazione

neppure da ragazzo, e che di poi ha completamente dimenticato.

Orgoglioso è Nivasio di questo argenteo vuoto che lo circonda e che egli

riempie della sua sola intelligenza, come si riempie di vino una coppa di

cristallo».35

3) Dino Buzzati conosceva i racconti e le prefazioni di Papini? Lo scrittore

bellunese, appassionato lettore dei grandi testi del fantastico europeo e in

particolar modo dei capolavori ottocenteschi, al punto da dichiarare senza

ambage che ad aver avuto «influsso» su di lui erano «gli scrittori

dell'Ottocento»,36 non sembra dover molto agli scrittori della tradizione

italiana, con la cospicua eccezione di Leopardi.37 Ma appunto Papini

potrebbe rappresentare un'altra eccezione. Sull'argomento esiste uno

studio di Neria De Giovanni, che tuttavia sottolinea le differenze più che le

somiglianze tra i due scrittori. Attraverso un'analisi prevalentemente

tematica, De Giovanni approda a una caratterizzazione oppositiva del

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fantastico papiniano e buzzatiano: in Papini, sostiene, quel che conta è

«l'eccezionalità, la straordinarietà» dell'esperienza narrata;38 in Buzzati, al

contrario, conta l'effetto di realtà barthesiano, la verosimiglianza

dell'evento che perturba l'ordine consueto della quotidianità. E dunque:

«Papini [...] non vuole fare apparire verosimili le sue storie, bensì

straordinarie e impossibili, in ciò collocandosi nella dimensione

diametralmente opposta a Buzzati che invece utilizza ogni tecnica

letteraria per indurre il lettore a credere al suo "fantastico"».39 La tesi è

interessante ma discutibile; basterà pensare a uno scritto teorico molto

importante di Papini, la Seconda prefazione. Ai Filosofi anteposta al

Tragico quotidiano. Come ha dimostrato Maurizio Calvesi, la prefazione

papiniana costituisce la fonte principale delle famose pagine di De Chirico

sulla visione "metafisica";40 ora, io credo che anche Buzzati la conoscesse,

e ne abbia tenuto conto. I passi più significativi in tal senso sono due;

entrambi pongono l'accento sui prodigi nascosti nella realtà di tutti i giorni,

che l'uomo per eccesso di routine non sa più riconoscere:

«Per maravigliarsi bisogna dimenticare: l'arte dell'oblio precederà l'arte

della meraviglia. Ma gli uomini [...] passano accanto a dei misteri senza

voltarsi [...]. L'universo diventa presto ai loro occhi uno schema banale in

cui le cose che interessano diminuiscono ogni giorno e da cui sono esiliati

con paurosa costanza i dubbi e le inquietudini tragiche e inopportune. Ad

una certa età le loro porte intellettuali si chiudono e soltanto quelli che

hanno il coraggio o la fortuna di restar bambini fanno ancora delle

scoperte».41

«Noi siamo abituati a questa esistenza e a questo mondo e non ne

sappiamo più vedere le ombre, gli abissi, gli enigmi, le tragedie e ci

vogliono ormai degli spiriti straordinari per scoprire i segreti delle cose

ordinarie».42

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Gli uomini passano accanto al mistero senza voltarsi, e soverchiati

dall'abitudine, non hanno più occhi per gli enigmi della vita quotidiana:

sono affermazioni che tutta l'avanguardia sottoscriverà, ma ciò non toglie

a Papini il merito di averle enunciate fra i primi in Europa. Per di più, è

abbastanza verosimile che proprio ai passi citati abbia attinto, più o meno

consapevolmente, Buzzati. Nel raccontino Uno ti aspetta (appartenente

alla raccolta In quel preciso momento, 1950), ad esempio, possiamo

cogliere un'eco della prefazione papiniana. Buzzati descrive qui i

successivi affioramenti del meraviglioso nella vita di un uomo qualunque -

«uno dei tanti»43 - il quale però, pur presentendo l'imminenza

dell'Occasione, è incapace di percepirla perché i suoi sensi si sono fatti

irrimediabilmente ottusi:

«A Napoli [...] si spalancano sulle vecchie viuzze immensi portoni

stemmati, scuri e taciturni, di là dei quali certo riposano segreti. Forse è

uno di questi. Bisognerebbe che tu salissi lo scalone non lasciandoti

impressionare dalla polvere, dalla sporcizia, dai topi, dagli scrostati muri.

In cima c'è un uscio socchiuso. Spingilo. Entra. Con meraviglia vedrai qui

scomparire l'abbandono, la povertà, la sudicizia [sic], tutto ti apparirà

allegro e lucente».44

Il narratore continua, suadente:

«A Napoli, per esempio. Ma forse potrebbe essere più vicino ancora, a

non più di cento chilometri, in una cittadina di provincia. Ci sono qui delle

piazzette fuori mano dove i camion non passano: e ai lati sorgono certe

anziane case piene di dignità con festoni di rampicanti. [...] Non appena

avrai appoggiato una mano sul battente di legno verde, esso si aprirà

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cigolando. E ti appariranno in fondo al portico le aiole fiorite, udrai il ronzio

delle vespe, una voce grave dalla penombra darà il benvenuto».45

E ancora:

«In un palazzotto di provincia. Ma può essere anche molto più vicino,

veramente a due passi, tra le mura della tua stessa casa. Sulla scala, al

terzo piano, hai mai notato, a destra del pianerottolo, quella porta senza

campanello né etichetta? [...] [P]rova a spingere l'uscio senza nome.

Vedrai come cede. Dolcemente ruoterà sui cardini, un impulso

irragionevole ti indurrà ad entrare, resterai sbalordito: ecco, nel cuore del

casamento popolare, l'uno dietro l'altro in vertiginosa prospettiva, saloni

principeschi. Sui tendaggi, sulle argenterie, sugli arazzi scorgerai incisi dei

segni: le sigle del tuo nome oscuro. Ma tu non provi ad aprire, indifferente,

ci passi davanti, su e giù per le scale mattina e sera, estate e inverno,

quest'anno e l'anno prossimo, trascurando l'occasione».46

Buzzati sembra aver voluto incarnare in un'immagine memorabile - il

«palazzo favoloso» che da fuori si direbbe «una casa come tante», ma

cela dietro l'uscio anonimo il «groviglio delle moschee e delle regge», la

«successione senza fine di sale immense, cortili e giardini»47 - l'idea

papiniana della contiguità e anzi consustanzialità del prodigioso e del

banale. Certo, il caso è diverso da quelli visti precedentemente, nella

misura in cui Buzzati - a differenza di Papini, De Chirico e Savinio - diffida

della letteratura troppo ostentatamente intelligente, e per esempio

manifesta alcune riserve sull'opera, a suo dire cerebrale,48 di Jorge Luis

Borges (è nota, per converso, la passione di Borges per il Papini

fantastico, del quale lo scrittore argentino avviò di fatto la riscoperta).49

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4) L'opera di Italo Calvino va ascritta al fantastico - come pensano

numerosi critici e come era incline a fare, negli anni Ottanta, lo scrittore50 -

oppure Calvino va considerato come l'esempio abbastanza singolare di un

autore che ha giocato a più riprese con il linguaggio del genere, che si è

aggirato spesso sulle frontiere di quel territorio, senza mai davvero

penetrarvi?51 Difficile fornire una risposta univoca; più ovvia, invece, la

constatazione che fra tutti gli scrittori italiani, Calvino è quello che si trova

maggiormente a suo agio nei panni del teorico. Perciò è significativo che

conferisca a Papini un rilievo assoluto nella propria teoria del fantastico.

Nella recensione al Notturno italiano, Calvino descrive l'opera papiniana

come il luogo esatto in cui l'Ottocento trapassa nel Novecento; autore di

svolta e di transizione, Papini sarebbe insomma il primo autentico

narratore fantastico novecentesco:

«Cominciando a leggere dal principio i testi ordinati cronologicamente

[nell'antologia di Ghidetti e Lattarulo], e volendo segnare il momento in cui

il racconto fantastico italiano si stacca dai modelli ottocenteschi e diventa

un'altra cosa (o cento altre cose) potremmo indicare il 1907, data del

Pilota cieco di Giovanni Papini, quel Papini giovanile caro a Borges che di

lì prese le mosse, tutto esattezza e negatività, così diverso dal Papini che

abbiamo conosciuto poi».52

Queste righe sono rivelatrici sia perché riconoscono al Papini fantastico

una delle doti più apprezzate da Calvino - l'Esattezza cui sarà dedicata la

terza delle Lezioni americane - sia perché identificano senza esitazioni

quella linea Papini-Borges che costituisce una delle strade maestre della

riscoperta del fantastico italiano a partire dagli anni Ottanta. Ma oltreché

autore fondamentale nel canone calviniano, Papini è decisivo per la

definizione di due paradigmi contrapposti del fantastico - l'uno "visionario"

prevalente nell'Ottocento e l'altro "intellettuale" o "quotidiano" dominante

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nel secolo successivo - che Calvino enuncia per la prima volta in

un'intervista del 1970 e attorno alla quale costruisce, nel 1983, la sua

famosa antologia del fantastico occidentale.53 In effetti, nell'antitesi

calviniana non è difficile cogliere il ricordo della distinzione proposta da

Papini nella già menzionata Seconda prefazione. Ai Filosofi del Tragico

quotidiano, tra fantastico "esterno" della tradizione ottocentesca e "interno"

dei racconti papiniani medesimi:

«Io mi sono proposto di suscitare la meraviglia e lo spavento ma non ho

voluto ricorrere alle strane avventure e alle eccezionali invenzioni come

hanno fatto coloro che son conosciuti col nome di "novellieri fantastici". Il

meraviglioso e il terribile di codesti racconti - e neppure il gran Poe fa

eccezione - sono il risultato di qualcosa di straordinario ma esteriore,

quasi sempre, alle anime dei personaggi. Il terribile consiste nella

stranezza delle situazioni anormali in cui si trovano uomini normali, lo

stupore nasce dal contatto tra spiriti abituali che si trovano ad un tratto in

un mondo eccezionale. La sorgente del fantastico ordinario è materiale,

esterna, obbiettiva. Io ho voluto trovare un'altra sorgente. Io ho voluto far

scaturire il fantastico dall'anima stessa degli uomini, ho immaginato di farli

pensare e sentire in modo eccezionale dinanzi a fatti ordinari. Invece di

condurli in mezzo a peripezie bizzarre, in mondi non mai veduti, in mezzo

ad avvenimenti incredibili, li ho posti davanti ai fatti della loro vita ordinaria,

quotidiana, comune, ed ho fatto scoprire a loro stessi, tutto quello che c'è

in essa di misterioso, di grottesco, di terribile. [...] Io credo fermamente alla

superiorità di questo fantastico interno sul fantastico esterno degli altri

novellieri».54

Maurizio Calvesi non nomina mai Calvino nel suo studio, per l'eccessiva

prossimità cronologica degli scritti calviniani con il saggio su Papini e la

formazione fiorentina di Giorgio De Chirico (che è, lo ricordo, del 1982):

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ma è evidente, a leggere questa pagina e con il senno di poi, che i saggi

di Calvino confermano in pieno le tesi del critico sull'importanza

sotterranea di Papini per il filone novecentesco da lui studiato - lo si voglia

definire "metafisico", "magico-realistico", "surreale", o "fantastico".

IV. Papini/Bontempelli: alle origini del realismo magico

Infine e soprattutto, resta qualcosa da dire sulle presenze papiniane

nell'opera di Massimo Bontempelli. In effetti, oltreché padre spirituale della

metafisica, Papini va considerato come il precursore più titolato del

realismo magico italiano.

Neppure questa genealogia sembra aver suscitato l'interesse degli

interpreti: a mia conoscenza, l'unico ad aver attirato l'attenzione sul

promettente dossier Papini/Bontempelli è Geno Pampaloni, in un saggio

ricco di intuizioni ma che non verte specificamente sull'argomento.55

Volendo rispondere al dubbio formulato da Gianfranco Contini se Papini

sia stato o no scrittore - «[c]atalizzatore e volgarizzatore spesso meritorio

di temi culturali, [...] [Papini] è frattanto stato anche uno scrittore?»,56

aveva scritto Contini - Pampaloni compie una rapsodica ma efficace

lettura di testi prelevati nella "prima" come nella "seconda" fase della

produzione papiniana, prima e dopo la conversione. Un ruolo di spicco

viene conferito ai racconti del Tragico quotidiano e del Pilota cieco: testi

«generalmente sottovalutati», in cui abbondano «l'intellettualismo

oltranzistico, il gusto della trovata stupefacente, la rottura delle

convenzioni, la voluttà del paradosso»,57 e che costituiscono - qui veniamo

al dunque - «le [prime] prove di un realismo magico che poi egli [Papini]

non svolse».58 Pampaloni osserva come il Papini "fantastico" metta in

scena una serie di «"casi" [...] [che] hanno caratteri singolarmente

pirandelliani», e precorra d'altra parte, con la sua scrittura «lucida e

unidimensionale, che punta a farsi referto realistico dell'irreale, [...] il

Bontempelli metafisico degli anni Venti».59

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Tali spunti, come si accennava, non vengono sviluppati, né è possibile

farlo in questa sede; mi limito perciò a segnalare l'esistenza di una lacuna

nella bibliografia specializzata, e riprendo il filo della mia indagine. Anche

in Bontempelli - come in Papini, Savinio, Calvino - l'intelligenza è nozione

e parola chiave, e risulta collegata a un'esperienza narrativa che, se non

appartiene tout court all'area del fantastico, le è sicuramente attigua. Sul

versante delle dichiarazioni di poetica e di principio, va notato come

alcune pagine bontempelliane abbiano un sentore papiniano; per esempio

quella - appartenente al discorso di commemorazione per la morte di Luigi

Pirandello, pronunziato il 17 gennaio 1937 e pubblicato in prima edizione

nel volume complessivo Pirandello Leopardi D'Annunzio (1938)60 - che

interpreta la stupidità come ottusità nei confronti del mistero del mondo, e

l'intelligenza, viceversa, come percezione della sua esistenza e

irriducibilità:

«Dicono che di fronte alla morte almeno per un momento si diventa più

buoni. Ma è ancora più vero che davanti alla morte tutti diventano per un

momento più intelligenti; anche lo sciocco per un attimo è intelligente.

Perché lo sciocco è, per definizione, il negatore di misteri; ma anche lui in

quell'attimo sente il mistero e ne è soggiogato. E la intelligenza non è altro

che questo: riconoscimento e confessione del mistero, che è la sola

realtà».61

Fin dall'inizio degli anni Venti, del resto, Bontempelli aveva arruolato

l'intelligenza al servizio di un programma di poetica che Papini avrebbe

potuto sottoscrivere: così ad esempio nell'inserto metaletterario del

capitolo settimo di Eva ultima (1923). Qui il narratore si concede una

pausa nella narrazione dei casi della protagonista, per commentare:

«sempre e dappertutto, nell'intero corso della vita, e nei fatti suoi più

quotidiani come nei più singolari, l'uomo fondamentalmente ignora che

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cosa sia strano e che cosa comune: il mirabile e l'usuale si confondono

facilmente agli occhi di chi guarda con attenzione verso il fondo delle

cose».62 La rivoluzione magico-realista era ancora di là da venire, eppure

Bontempelli aveva già perfettamente chiara la consapevolezza che il

meraviglioso e il quotidiano si mescolano e si fondono indissolubilmente;

forse perché l'aveva recepita da Papini? Anche Bontempelli, come Buzzati

e Calvino, avrà conosciuto la Seconda prefazione. Ai Filosofi di cui ho

citato vari stralci; e Bontempelli più degli altri sarà stato colpito da passi

come il seguente, dal cap. 47 (Chi sono?) di Un uomo finito: «In un mondo

dove tutti pensano soltanto a mangiare e a far quattrini, a divertirsi e a

comandare, è necessario che vi sia ogni tanto uno che rinfreschi la visione

delle cose, che faccia sentire lo straordinario nelle cose ordinarie, il

mistero nella banalità, la bellezza nella spazzatura».63 È probabile inoltre

che Bontempelli conoscesse quella sorta di prefigurazione abbagliante del

realismo magico pubblicata da Papini sulla «Vraie Italie» del marzo 1919,

sotto forma di una recensione all'opera pittorica di De Chirico. Nell'articolo

di Papini, De Chirico viene presentato come l'uomo che ha fatto in arte ciò

che Papini aveva fatto, fin dal primo decennio del secolo, in letteratura:

trovare il mistero nelle cose di tutti i giorni. Val la pena di trascrivere per

intero questa pagina profetica, ancora poco nota, mi sembra, agli studiosi,

che collega con nettezza il fantastico papiniano - designato come tale: «le

fantastique le plus inquiétant» - alla metafisica dechirichiana e al realismo

magico bontempelliano:

«Depuis 1914 De Chirico a découvert de nouveaux et plus vastes

horizons à son art. Le terrible mystère qu'il aperçut dans les villes de la

péninsule s'arrêtait à des angles qu'il fallait tourner pour voir ce qu'il y a

derrière.

Vrai Thésée s'aventurant dans le labyrinthe inquiétant des valeurs

nouvelles, De Chirico suivit le fil que lui tendait sa muse étrange. Il arriva

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ainsi dans des lieux inconnus épars dans les lieux mêmes où notre vie

insensée s'écoule. Les maisons, les chambres, les salles, les couloirs, les

portes ouvertes ou fermées, les fenêtres, lui apparaissent sous une

lumière nouvelle. Il découvre sans cesse des aspects nouveaux et de

nouvelles solitudes[,] un sens de recueillement jusque dans les objets que

l'habitude quotidienne nous a rendus tellement familiers au point

d'occulter, comme dans une boîte-à-surprises, le fameux démon que

Héraclite d'Éphèse voyait en toute chose. C'est ainsi que des biscuits, des

boutons, des boîtes d'allumettes, des cartes géographiques, des

fragments de métaux ou de bois peints, encadrés d'une certaine façon et

vus d'un certain côté, s'élèvent jusqu'au sublime d'une nouvelle religion.

Dans la latitude et la longitude d'un plancher ou d'un plafond, le peintre

révèle un étrange infini, peuplé de fantômes mécaniques et géométriques.

Il y a de la fatalité dans l'œuvre de cet artiste, et le fantastique le plus

inquiétant se fond en lui avec le sens humain le plus profond».64

V. Bontempelli e la magia intelligente

Il programma di un fantastico "quotidiano" e "intellettuale" - per usare la

terminologia di Calvino - trova perfetta realizzazione nel già menzionato

romanzo breve del 1923: Eva ultima. Capolavoro della fase

bontempelliana del «fantastico ironico-intellettuale»,65 Eva ultima è uno di

quei testi che non solo confermano la bontà delle proposte interpretative di

Contini e Calvino, ma sembrano addirittura aver fornito un contributo

testuale alla definizione del "surreale ironico" del primo e del "fantastico

intellettuale" del secondo.66 Bontempelli vi mette in scena un suo alter ego,

Evandro, mago intelligentissimo e consapevolissimo: i suoi incantesimi

formano un commento ininterrotto alla tradizione classica del fantastico,

della quale evidenziano le aporie e le assurdità, delegittimandola e

dimostrandone, in ultima analisi, l'impossibilità. Desiderando

impressionare Eva, Evandro riflette ad alta voce: «Vuoi che metta ai tuoi

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piedi gli uragani? Troppo romantico. Che evochi una corte di amadriadi da

collocare al tuo servizio? No. [...] Perché hai paura? La mia magia è

troppo irrimediabilmente intelligente per evocarti un corteo di mostri».67

Una magia troppo irrimediabilmente intelligente: questa memorabile

formulazione sintetizza il paradosso dello scrittore fantastico

novecentesco, mago sì, ma appunto, troppo intelligente e troppo poco

romantico. Per eccesso d'intelligenza Evandro diventa, come ha osservato

Luigi Fontanella, «un antimago»:68 più che suscitare il prodigio lo

decostruisce. Così, quando si tratta di rapire Eva fuori del mondo e fino

alla sua reggia piena di stregonerie - e al tempo stesso no, visto che il

sortilegio più notevole consiste nel far muovere una marionetta... -

Evandro non adopera i mezzi prediletti dal romanzo gotico; niente ausiliarii

magici, né eventualmente carrozze stipate di bravacci, bensì una moderna

automobile:

«EVANDRO Inorridisci, creatura appassionata e romanzesca: [ti rapirò]

col mezzo meno magico, più moderno, più comodo.

EVA In automobile?

EVANDRO Sì».69

Ma naturalmente, come tutte le automobili, anche questa può restare per

strada. Evandro però non si lascia scomporre; il guasto gli permette di

sottolineare, con la lucida consapevolezza degli epigoni, l'irrimediabile

desuetudine del magico in epoca di magie tecnologiche:

«Dopo una pausa, Eva scoppiò in un riso sfrontato.

"Che hai?" domandò Evandro.

"Ti pare strano ch'io rida?".

"No: certamente un ippogrifo non sarebbe rimasto in panna. Non è questo

un mezzo ottimo per disincantarti?"».70

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Evandro non la smette insomma di giocare al "meta-mago", riflettendo da

un lato sulla consunzione di un repertorio - quello del fantastico - ormai

ridotto a un teatrino di cartapesta, dall'altro sulla propria magia moderna e

banale al tempo stesso, che non corrisponde più ai clichés romantici dello

scatenamento del soprannaturale (e proprio in virtù di questo suo

carattere dimesso, risulta talvolta maggiormente inquietante). Quando i

due protagonisti giungono in macchina alla residenza di lui, ad esempio,

Eva non riesce a nascondere la delusione: non c'è traccia del castello

gotico o della casa stregata che era pur lecito attendersi; il sublime cui ella

agognava viene non solo negato, ma addirittura mortificato dai suoi

opposti, il grazioso e l'ameno:

«Eva, ancora senza muoversi, domandò:

"È qui?".

"Sì, questa".

Dopo una pausa, Eva disse con garbo:

"È grazioso"».71

Lo scarto fra la magia intelligente del Novecento e i modelli della

tradizione - sui quali Eva aveva costruito il proprio orizzonte di attese, e

insieme a lei il lettore - viene messo in risalto da Evandro con la consueta,

bontempelliana lucidità:

«"Un'altra delusione per te" ribatté Evandro. "Tu aspettavi per lo meno un

castello: rupi, burroni e poi stagni plumbei con i salici, l'acqua che

lambisce le muraglie ammuffite del maniero; una torma di presenze

occulte; e qui, in qualche atmosfera piena di fosforescenze e tremori,

nascondere alla terra, chi sa? un supremo amore"».72

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E così per tutto il romanzo: più che mirabilia Evandro evoca "meta-

prodigi"; la magia, in definitiva, non gli interessa - proprio come l'amore per

Eva - se non come banco di prova della propria intelligenza. In tal senso,

un luogo chiave di Eva ultima - al quale affideremo il compito di chiudere il

presente dossier - è il dialogo che si svolge fra i due protagonisti verso la

fine del cap. IV. Evandro vi anticipa le ossessioni del Marcolfo di Nostra

Dea (1925),73 Bontempelli vi ribadisce il proprio culto della suprema fra

tutte le facoltà:

«EVANDRO Che cosa dovrei abbandonare per mostrare di amarti?

EVA La tua intelligenza.

EVANDRO Vuoi amarmi come non sono, ed essere amata da me come

potresti essere da un altro qualunque, ma che non sia un altro, che sia

proprio io ad amarti così. Con ciò mi spieghi perché le donne amano

spesso degli imbecilli, e poi presto li cambiano, sempre inquiete e torbide;

e sfuggite quello che in realtà vi attira; perché l'amore è una forza che ci

spinge anche nostro malgrado verso ogni cosa bella, e l'intelligenza è la

cosa più bella che sia, ed è il vertice del mondo».74

Note:

1 Cfr. G. Contini (a cura di), Italie magique. Contes surréels modernes, choisis et

présentés par G. Contini, traduits de l’italien par H. Breuleux, Paris, Aux Portes de

France, 1946; prima traduzione italiana: cfr. Id. (a cura di), Italia magica, racconti surreali

novecenteschi scelti e presentati da G. Contini, Torino, Einaudi, 1988.

2 Cfr. E. Ghidetti (a cura di), Notturno italiano. Racconti fantastici dell’Ottocento, Roma,

Editori Riuniti, 1984; E. Ghidetti e L. Lattarulo (a cura di), Notturno italiano. Racconti

fantastici del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 1984. Si vedano soprattutto le prefazioni

dei due volumi: cfr. rispettivamente E. Ghidetti, Prefazione, in Id. (a cura di), Notturno

italiano. Racconti fantastici dell’Ottocento, cit., pp. VII-XII; E. Ghidetti e L. Lattarulo,

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Prefazione, in Eid. (a cura di), Notturno italiano. Racconti fantastici del Novecento, cit.,

pp. VII-XII.

3 I due saggi di Calvino che vertono specificamente sulla tradizione italiana escono l’uno

(1984) sotto forma di recensione al Notturno italiano, l’altro (1985) come trascrizione di

una conferenza pronunciata all’Università internazionale «Menendez Pelayo» di Siviglia:

cfr. rispettivamente I. Calvino, Un’antologia di racconti «neri», in Id., Saggi. 1945-1985, a

cura di M. Barenghi, 2 voll., Milano, Mondadori, 1995, vol. II, pp. 1689-1695; e Id., Il

fantastico nella letteratura italiana, ivi, pp. 1672-1682.

4 Del fantastico italiano del Novecento ho parlato fra l’altro in: S. Lazzarin, L’ombre et la

forme. Du fantastique italien au XXe siècle, Caen, Presses Universitaires de Caen, 2004;

Id., Fantasmi antichi e moderni. Tecnologia e perturbante in Buzzati e nella letteratura

fantastica otto-novecentesca, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008 (si veda

soprattutto il cap. I, Manierismo, pp. 21-31); e in una sintesi pubblicata su questa stessa

rivista: cfr. Id., Il fantastico italiano del Novecento. Profilo di un genere letterario, in cinque

racconti di altrettanti autori, in «Bollettino ’900», 2007, n. 1-2, pp. 1-35, consultabile sul

sito internet <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2007-i/Lazzarin.html>. Al dibattito sul

fantastico italiano è invece dedicato il bilancio critico che curai qualche anno fa per la

rivista «Moderna», del quale dovrebbe uscire fra qualche tempo una versione aggiornata,

riveduta e ampliata, nella forma di un volume autonomo. Questo lavoro si compone di

un’introduzione generale (cfr. S. Lazzarin, Bilanci: il fantastico italiano (1980-2007). I. Il

punto sul fantastico italiano, in «Moderna», vol. IX, 2007, n. 2, pp. 213-252) e di una

rassegna bibliografica (realizzata in collaborazione con altri studiosi: cfr. S. Lazzarin, F. I.

Beneduce, E. Conti, F. Foni, R. Fresu, C. Zudini, Bilanci: il fantastico italiano (1980-

2007). II. Repertorio bibliografico ragionato, ivi, pp. 253-270).

5 Sul fantastico "popolare" italiano esistono cinque contributi fondamentali, e tre antologie

che lo sono altrettanto. Gli studi sono i seguenti: G. De Turris, «Made in Italy». Il

fantastico e l’editoria, in M. Farnetti (a cura di), Geografia, storia e poetiche del fantastico,

Atti della Giornata di Studi (Ferrara, gennaio 1994), Firenze, Olschki, 1995, pp. 217-229;

C. Gallo (a cura di), Paure ovvero: di come le apparizioni degli spiriti, dei vampiri o

redivivi, etc., gli esseri, i personaggi, i fatti, le cose mostruose, orrorifiche o demoniache,

nonché gli assassinii e le morti apparenti furono trattati nei libri e nelle immagini; e in

particolare in «Dylan Dog», Catalogo della Mostra (Verona, Biblioteca Civica, 4 luglio-10

ottobre 1998), Verona, Colpo di fulmine, 1998; Id., «Bisogna l’impossibile». Appunti su

viaggi straordinari, società future, macchine mirabolanti, sperimentazioni meravigliose

nella letteratura «popolare» tra Otto e Novecento, in Id. (a cura di), Viaggi straordinari tra

spazio e tempo, Catalogo della Mostra (Verona, Biblioteca Civica, 23 giugno-29

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«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>

settembre 2001), San Martino Buon Albergo (Verona), Grafiche AZ, 2001, pp. 49-78; F.

Foni, Alla fiera dei mostri. Racconti "pulp", orrori e arcane fantasticherie nelle riviste

italiane. 1899-1932, prefazione di L. Crovi, postfazione di C. Gallo, Latina, Tunué, 2007;

Id., Piccoli mostri crescono. Nero, fantastico e bizzarrie varie nella prima annata de «La

Domenica del Corriere» (1899), Ozzano dell’Emilia (Bologna), Gruppo Perdisa Editore,

2010. Le antologie: G. De Turris (a cura di), Le aeronavi dei Savoia. Protofantascienza

italiana 1891-1952, con la collaborazione di C. Gallo, Milano, Editrice Nord, 2001; F. Foni

(a cura di), Il gran ballo dei tavolini. Sette racconti fantastici da «La Domenica del

Corriere», Cuneo, Nerosubianco, 2008; e soprattutto la silloge fondamentale di C. Gallo e

F. Foni (a cura di), Ottocento nero italiano. Narrativa fantastica e crudele, introduzione di

L. Crovi, Milano, Aragno, 2009.

6 G. Papini, Franche spiegazioni (A proposito di rinascenza spirituale e di occultismo), in

«Leonardo», vol. V, aprile-giugno 1907, cit. in S. Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi

per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, prefazione di W. Pedullà,

Napoli, Liguori, 2002 [1996], p. 70.

7 Così lo scrittore definisce i racconti del Tragico quotidiano, alludendo fra l’altro alle

componenti allegoriche, ironiche, metafisiche, favolose del suo fantastico, fortemente

ibridato con numerosi generi contigui: cfr. G. Papini, Prima prefazione. Ai Poeti, in Id.,

Strane storie, Palermo, Sellerio, 1992 [1954], p. 14.

8 Sul retroterra occultistico oltreché filosofico in cui affonda le sue radici il programma

ideologico-poetico papiniano cfr. S. Cigliana, Futurismo esoterico, cit., in particolare il

cap. VI, Uomo-Dio e Uomo moltiplicato, pp. 121-148.

9 G. Papini, Un uomo finito, Firenze, Vallecchi, 1974 [1912], rispettivamente pp. 91 e 92.

10 Ivi, p. 218.

11 Cfr. G. Papini, Inno all’intelligenza, in «Lacerba», 1 marzo 1914, poi in Id., Maschilità,

coll’aggiunta di Eresie pedagogiche, Firenze, Vallecchi, 1947, pp. 63-69. Nello stesso

volume, da segnalare la Preghiera per l’imbecille del 1913, che precede immediatamente

l’Inno all’intelligenza e forma con esso un dittico (cfr. ivi, pp. 51-61).

12 G. Papini, Inno all’intelligenza, cit., pp. 66-67.

13 Cfr. in particolar modo il cap. 17, La sortita, dove Papini rivela d’aver «[c]osteggia[to] i

mari tenebrosi della magia» (G. Papini, Un uomo finito, cit., p. 87), e il cap. 28, La

conquista della divinità, dove tali esperienze con l’occultismo vengono dettagliate (cfr. ivi,

pp. 146-152).

14 Ivi, p. 78.

15 Ivi, pp. 164-165.

16 Ivi, p. 198.

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17 Ivi, p. 219.

18 G. Papini, Nota dell’autore, in Id., Strane storie, cit., p. 11.

19 G. Papini, Terza prefazione. Agli Eruditi, ivi, p. 17.

20 Ecco una bibliografia: G. Pampaloni, Papini scrittore, in P. Bagnoli (a cura di), Giovanni

Papini. L’uomo impossibile, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 108-121; M. Calvesi, Papini e la

formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, ivi, pp. 122-192, e con il titolo abbreviato La

formazione fiorentina di Giorgio De Chirico anche in M. Calvesi, La metafisica schiarita.

Da De Chirico a Carrà, da Morandi a Savinio, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 15-62; N. De

Giovanni, Il fantastico in Papini e Buzzati, in «La Battana», vol. XX, dicembre 1983, n. 70,

pp. 13-31; G. Grana, Papini "metafisico": racconti "fantastici" del 900, in Id., Le

avanguardie letterarie. Cultura e politica scienza e arte dalla Scapigliatura alla Neo-

avanguardia attraverso il Fascismo, 3 voll., Milano, Marzorati, 1986, vol. II, pp. 533-544;

M.C. Papini, I «racconti di gioventù» di Giovanni Papini, in «Studi Novecenteschi», vol.

XVIII, giugno 1991, n. 41, pp. 51-62, poi con il titolo Giovanni Papini tra surrealismo e

realismo magico, in Ead., La scrittura e il suo doppio. Studi di letteratura italiana

contemporanea, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 223-238; M. Verdenelli, Il «fantastico» nel

primo Papini, in «Stazione di Posta», gennaio-aprile 1993, n. 51-52, pp. 7-18; J.

Soldateschi, Il giovane «fantastico» Papini, in «La Rassegna della Letteratura Italiana»,

vol. 101, gennaio-aprile 1997, n. 1, pp. 131-142; C. Di Biase, Giovanni Papini. L’anima

intera, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999; A.M. Mangini, Il maldestro demiurgo.

Note sul "doppio" nel fantastico papiniano, in «Poetiche», 2003, n. 2, pp. 189-237, poi in

Id. e L. Weber (a cura di), Il visionario, il fantastico, il meraviglioso tra Otto e Novecento,

Ravenna, Allori, 2006 [2004], pp. 165-198; A. Vannicelli, La tentazione del racconto. Le

novelle del primo Papini tra simbolismo e futurismo (1894-1914), Firenze, Franco Cesati,

2004; G. Tuccini, Il pragmatismo di Gian Falco: Giovanni Papini 1903-1907, in

«Chroniques Italiennes», 2005, n. 3, pp. 1-34, consultabile sul sito internet

<http://www.chroniquesitaliennes.univ-paris3.fr/PDF/Web7/Tuccini.pdf>, poi in «Critica

Letteraria», vol. XXXIV, fasc. I, 2006, n. 130, pp. 93-126. Tutti questi saggi sono forniti di

una scheda di commento nella già menzionata versione in volume del bilancio critico sul

fantastico a mia cura.

21 Cfr. V. Roda, Noterelle sul Papini "utopico", in Id., Studi sul fantastico, Bologna,

CLUEB, 2009, cap. VIII, pp. 165-182.

22 Cfr. M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit.

23 Cfr. ivi, pp. 137 sgg.

24 Ivi, p. 144.

25 Cit. ibid.

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26 Di Papini e Savinio, Calvesi parla soltanto in una lunga nota del suo saggio: cfr. ivi, pp.

167-169, nota 77.

27 Un’interessante testimonianza – ma anche un punto di vista del tutto tendenzioso –

sulla rottura fra Papini e De Chirico si legge in G. De Chirico, Memorie della mia vita,

Milano, Rizzoli, 1962, p. 101.

28 Ivi, pp. 78-79; corsivo mio. Questo passo viene citato anche da Calvesi (cfr. M. Calvesi,

Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit., p. 158, nota 61), ma con

numerose divergenze rispetto all’originale.

29 Del carteggio in questione (cfr. ivi, pp. 178-192) esiste tuttavia un’edizione molto più

completa, nell’Appendice alla prima parte della Metafisica schiarita (cfr. M. Calvesi, La

metafisica schiarita, cit., pp. 140-204). Qui Calvesi ha raccolto lettere di Gemma De

Chirico e Carlo Carrà a Papini, e soprattutto l’importante articolo di Papini su De Chirico

uscito originariamente sulla «Vraie Italie» (cfr. G. Papini, Giorgio De Chirico, in «La Vraie

Italie», vol. I, marzo 1919, n. 2, pp. 56-57, e Id., Giovanni Papini su Giorgio De Chirico, in

M. Calvesi, La metafisica schiarita, cit., pp. 151-152).

30 Cit. in M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit., p. 178.

31 Cit. ivi, p. 165.

32 Cfr. A. Savinio, Amore nascosto e Richiamo, in Id., Torre di guardia, a cura di L.

Sciascia, con un saggio di S. Battaglia, Palermo, Sellerio, 1977 [1934-1940],

rispettivamente pp. 85-86 e 87.

33 A tal proposito, si veda soprattutto il saggio dedicato ad Apuleio (Metamorphoseon, ivi,

pp. 110-117), dove si legge fra l’altro quanto segue: «non dico che nella sola mente latina

splenda la santa luce della ragione, ma che solo in essa splende serena e appieno» (ivi,

p. 110).

34 A. Savinio, Mangiatore di abissi, ivi, pp. 43-44.

35 A. Savinio, Mia madre non mi capisce, in Id., Casa «la Vita» e altri racconti, a cura di A.

Tinterri e P. Italia, Milano, Adelphi, 1999, p. 352.

36 D. Buzzati, Dino Buzzati: un autoritratto, dialoghi con Y. Panafieu, Milano, Mondadori,

1973, p. 233.

37 Sull’intertestualità buzzatiana cfr. S. Lazzarin, Il Buzzati "secondo". Saggio sui fattori di

letterarietà nell’opera buzzatiana, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2008 (sul leopardismo

cfr. in particolare il cap. VII, Dalle costanti dell’accumulazione evocativa al leopardismo di

Buzzati, ivi, pp. 199-302).

38 N. De Giovanni, Il fantastico in Papini e Buzzati, cit., p. 25.

39 Ivi, p. 22.

40 Cfr. M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit., p. 128.

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41 G. Papini, Seconda prefazione. Ai Filosofi, in Id., Strane storie, cit., p. 16.

42 Ivi, pp. 15-16.

43 D. Buzzati, In quel preciso momento, Milano, Mondadori, 1965 [1950], p. 62.

44 Ivi, pp. 62-63.

45 Ivi, p. 63.

46 Ivi, p. 64.

47 Ivi, p. 61.

48 Cfr. D. Buzzati, Dino Buzzati: un autoritratto, cit., p. 30: «Ci sono in Borges delle cose

stupende, ma ci sono pure delle cose cervellotiche, troppo cervellotiche per me».

49 Borges pubblicò una pionieristica silloge di racconti fantastici papiniani, riconoscendo,

nella presentazione del volume, il proprio debito nei confronti dello scrittore italiano: cfr.

J.L. Borges, Introduzione, in G. Papini, Lo specchio che fugge, a cura di J.L. Borges,

Milano, Mondadori, 1990 [1975], pp. 5-8.

50 Così in un passo di Visibilità – la quarta delle Lezioni americane, scritta nel giugno

1985 – dove Calvino parla della propria «esperienza di scrittore, soprattutto quella che si

riferisce alla narrativa fantastica» (I. Calvino, Saggi. 1945-1985, cit., vol. I, p. 704).

51 Ho proposto questa interpretazione in S. Lazzarin, Nouvelles des frontières de

l’Empire, in Id., L’ombre et la forme, cit., cap. IX, pp. 209-246.

52 I. Calvino, Un’antologia di racconti «neri», cit., p. 1693.

53 Cfr. rispettivamente I. Calvino, Definizioni di territori: il fantastico, in Id., Saggi. 1945-

1985, cit., vol. I, pp. 266-268; e Id., Racconti fantastici dell’Ottocento, ivi, vol. II, pp. 1654-

1665.

54 G. Papini, Seconda prefazione. Ai Filosofi, cit., pp. 15-16.

55 Cfr. G. Pampaloni, Papini scrittore, cit.

56 G. Contini, Giovanni Papini, in Id. (a cura di), La letteratura italiana. Otto-Novecento,

Firenze, Sansoni, 1974, p. 293.

57 G. Pampaloni, Papini scrittore, cit., p. 115.

58 Ivi, pp. 115-116.

59 Ivi, p. 117.

60 Cfr. M. Bontempelli, Pirandello Leopardi D’Annunzio. Tre discorsi di Massimo

Bontempelli, Milano, Bompiani, 1938.

61 M. Bontempelli, Pirandello o del candore, in Id., Opere scelte, a cura di L. Baldacci,

Milano, Mondadori, 1978, p. 810.

62 M. Bontempelli, Eva ultima, in Id., Opere scelte, cit., pp. 408-409.

63 G. Papini, Un uomo finito, cit., p. 219.

64 G. Papini, Giorgio De Chirico, cit., p. 152.

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65 Prendo in prestito questa formula a un ottimo saggio di S. Micali, Candide eroine: la

magia al femminile in Bontempelli, in J. Spaccini e V. Agostini-Ouafi (a cura di), L’Italie

magique de Massimo Bontempelli, Atti delle Giornate di Studi (Caen, 30 novembre 2007-

4 aprile 2008), in «Transalpina», vol. XI, 2008, pp. 103-118, che distingue appunto in

Bontempelli una fase del «fantastico ironico-intellettuale» e una del «realismo magico»

(ivi, p. 104). Su Eva ultima si veda già un lavoro precedente della stessa studiosa: cfr. S.

Micali, Bontempelli e la dissoluzione della "femme fatale", in «Italica», vol. 73, Spring

1996, n. 1, pp. 44-63, e più particolarmente pp. 51-57.

66 Bontempelli è un autore chiave sia del canone continiano – come mostra B. Sica,

L’Italia è magica: Contini, Malaparte, Savinio e i caratteri del surrealismo italiano, in G.

Caltagirone e S. Maxia (a cura di), Italia magica. Letteratura fantastica e surreale

dell’Ottocento e del Novecento, Atti del Convegno (Santa Margherita di Pula [Cagliari], 7-

10 giugno 2006), Cagliari, AM&D Edizioni, 2008, pp. 613-628 – sia di quello calviniano:

Calvino lo annovera, insieme a Palazzeschi, Buzzati e Landolfi, fra i più grandi autori

fantastici del Novecento, non soltanto italiano (cfr. I. Calvino, Il fantastico nella letteratura

italiana, cit., p. 1680).

67 M. Bontempelli, Eva ultima, cit., p. 390.

68 L. Fontanella, Bontempelli tra mito e metafisica: una lettura di «Eva ultima», in C.

Donati (a cura di), Massimo Bontempelli scrittore e intellettuale, Atti del Convegno

(Trento, 18-20 aprile 1991), Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 105. Questo saggio di

Fontanella è poi confluito in Id., Storia di Bontempelli. Tra i sofismi della ragione e le

irruzioni dell’immaginazione, Ravenna, Longo, 1997, cap. III, Metafisica e nuovi miti, pp.

27-40.

69 M. Bontempelli, Eva ultima, cit., p. 358.

70 Ivi, p. 365.

71 Ivi, p. 367.

72 Ivi, pp. 367-368.

73 Marcolfo pensa soltanto alla propria intelligenza – a suo dire sottovalutata – e ne parla

tanto insistentemente che alla fine Dea gli chiede, perplessa: «Perché pensa tanto

all’intelligenza?» (M. Bontempelli, Nostra Dea, in Id., Opere scelte, cit., p. 650).

74 M. Bontempelli, Eva ultima, cit., p. 387.

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Giugno-dicembre 2010, n. 1-2

Questo articolo può essere citato così:

S. Lazzarin, Una magia «troppo irrimediabilmente intelligente»: Bontempelli,

Papini e il fantastico novecentesco, in «Bollettino '900», 2010, n. 1-2,

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/Lazzarin.html>.