stefano lazzarin una magia «troppo irrimediabilmente intelligente»: papini … · 2011-09-21 ·...
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«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
Stefano Lazzarin
Una magia «troppo irrimediabilmente
intelligente»: Papini, Bontempelli e il fantastico
novecentesco
Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
Il fantastico «intelligente»
Papini e l'intelligenza onnipotente
La funzione-Papini nel fantastico novecentesco italiano
Papini/Bontempelli: alle origini del realismo magico
Bontempelli e la magia intelligente
I. Il fantastico «intelligente»
Dal surreale "ironico" di Gianfranco Contini1 al fantastico "colto" di Enrico
Ghidetti e Leonardo Lattarulo2 per arrivare fino al fantastico "intellettuale"
di Italo Calvino3, una tradizione critica ormai consolidata ha descritto il
fantastico italiano del Novecento come una letteratura estremamente
consapevole, intellettualistica, ironica. In una parola potremmo dire:
intelligente. Non cercherò qui di ricostruire il dibattito sul fantastico italiano,
né di giustificare questa definizione, avendolo già fatto in altre occasioni;4
mi limiterò ad aggiungere una considerazione che mi sembra
indispensabile enunciare in termini espliciti: la visione del fantastico
italiano come letteratura supremamente intelligente è fondata su un
preciso corpus letterario, che è quello della tradizione colta. Si tratta
insomma di un punto di vista, a mio avviso inoppugnabilmente radicato nei
testi, ma che non esclude altre interpretazioni; queste ultime mi paiono
complementari e non contraddittorie rispetto all'interpretazione da me
proposta: mi riferisco in particolare al cantiere del fantastico "popolare"
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italiano, uno di quelli in cui attualmente si lavora di più e quello che
promette le scoperte più interessanti.5
In questa sede ci occuperemo dunque soltanto dei "piani alti" della
letteratura - sia detto senza nessun apprezzamento di valore. Ora, a chi
consideri esclusivamente la tradizione colta, appare chiaro che i fondatori
del fantastico italiano del Novecento sono due: Giovanni Papini e
Massimo Bontempelli. E in entrambi, non a caso, risulta presente - come
parola tematica e categoria estetica, ma anche come principio che informa
di sé i testi - quell'"intelligenza" che costituisce il contributo italiano alla
tradizione fantastica del secolo ventesimo. Se Papini riflette
continuamente sul significato e le applicazioni di questa nozione, e
concepisce il proprio fantastico come un'operazione estremamente
consapevole di riscrittura della tradizione classica, Bontempelli è il primo a
mettere in scena con tanta forza - come farà poi solo Landolfi - un
fantastico che si costruisce negando il modello canonico (ottocentesco), e
al tempo stesso dichiarandosi impossibile.
II. Papini e l'intelligenza onnipotente
In quanto autore fantastico, Papini risulterebbe quasi incomprensibile a chi
ignorasse i risvolti idealistico-spiritualistici della sua opera. Il pensatore
che individua il comun denominatore della propria epoca nella «volontà di
riconoscere i problemi spirituali e morali come più importanti di tutti gli altri
problemi»,6 il teorico del potere illimitato della volontà e
dell'immensificazione dell'io, e appunto il narratore di «favole oscure e [...]
colloqui inquietanti»,7 costituiscono la stessa personalità filosofico-poetica.
Vero e proprio Uomo-Dio, l'artista quale Papini lo concepisce forgia
mediante le proprie forze spirituali una realtà "ideale" che trasforma il
mondo "reale"; dopo la morte della filosofia, egli è diventato il depositario
del sogno nietzschiano di una potenza straordinaria, di una forza dello
spirito che collochi l'uomo al di sopra degli esseri e delle cose.8 Quale
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artista meglio del narratore fantastico, creatore di mondi immaginari,
potrebbe assumersi questa responsabilità demiurgica? Còlto da
irrepressibile «disgusto per il reale», l'io narrante di Un uomo finito (1912)
aspirerà logicamente a «rifar da [...] [sé], a modo [...] [suo] un diverso e più
perfetto reale»:9 «Io non voglio accettare il mondo com'è e perciò tento di
rifarlo colla fantasia o di mutarlo colla distruzione. Lo ricostruisco coll'arte
o tento di capovolgerlo colla teoria. Sono due sforzi in apparenza diversi
ma concordi e convergenti».10
Ebbene: per il vagheggiatore dell'impossibile ch'è Papini, l'intelligenza è
un'autentica divinità. Lo scrittore le dedica perfino, sulle pagine di
«Lacerba», un Inno all'intelligenza,11 sorta di poema in prosa da cui
estraggo il seguente canto di lode e invocazione:
«Intelligenza magnifica e miracolosa, rivelatrice del cielo e della terra.
Intelligenza stupenda e tremenda, redentrice di tutte le umanità.
Intelligenza onnipossente e invisibile - ala unica e sola di noi bipedi latrine.
Intelligenza demonica e maligna - solo fuoco rosso nei gelidi paradisi
bianchi della terra.
Intelligenza umana e pericolosa - non v'è altra potenza terrestre dinanzi a
te».12
Nella già menzionata autobiografia intellettuale Un uomo finito, non
soltanto Papini prende coscienza della propria vocazione di narratore
fantastico e ne indica a chiare lettere le fonti,13 ma tratta a più riprese la
questione dell'intelligenza: la simultanea presenza di questi due temi non
è certo imputabile al caso. Così, ad esempio, ecco l'io narrante papiniano
proclamare, nel cap. 15, la sua «fede nell'intelligenza spregiudicata e nella
divina virtù della poesia e nel perenne miracolo dell'arte»;14 nel cap. 32,
viceversa, temporaneamente sconfitto nel suo sogno di onnipotenza, egli
ironizza sulla «commedia della intelligenza».15 Arriviamo al cap. 43, dove il
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protagonista è terrorizzato dall'idea della cecità, ed esclama: «Non ho altra
forza che nell'intelligenza, non ho amici che tra i morti, non ho piaceri fuori
dei libri. E non potrei leggere più!».16 E verso la fine dell'opera, ormai nel
cap. 47, egli si autodefinisce «una guardia della pura intelligenza».17
L'intelligenza, nume tutelare di tutta l'opera papiniana, lo è più
particolarmente del narratore fantastico: l'autore del Tragico quotidiano
(1906) e del Pilota cieco (1907) è senz'altro uno dei più cerebrali
sperimentatori che annoveri la letteratura fantastica non soltanto italiana,
bensì universale. Questa forte dimensione intellettualistica del fantastico di
Papini - rivendicata nella Nota dell'autore premessa all'antologia personale
Strane storie (1954), laddove si accenna alla «frenesia cerebralista»18 dei
racconti di gioventù - è l'ispiratrice di un programma eminentemente
manierista di riscrittura della tradizione classica (ottocentesca) del genere.
Al fantastico canonico Papini contrappone un nuovo fantastico,
psicologico e quotidiano - secondo una linea di tendenza che giungerà,
come vedremo, fino a Italo Calvino - e tutto ipertestuale; i temi e i miti del
repertorio tradizionale vengono sottoposti a un processo di riscrittura
destinato a rinnovarli radicalmente, come rivela la Terza prefazione. Agli
Eruditi che accompagna la prima edizione del Tragico quotidiano:
«Voi troverete in queste pagine alcune di quelle figure che dettero
occasione a molte veglie pazienti: Amleto, Don Giovanni, l'Ebreo Errante,
il Demonio. Se per un qualche scrupolo bibliografico di aficionados della
letteratura comparata voi sfoglierete questo libretto vi accorgerete subito
che quei cittadini immaginari della nobile Dreamland hanno cambiato un
po' l'anima venendo con me. [...] E se non ho inventato dei nomi nuovi per
queste nuove anime accusatene il mio orgoglio: ho creduto impresa più
ardua e più difficile dar nuova vita ad immagini che già ebbero in dono
tante vite che il creare di tutto punto persone nuove».19
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III. La funzione-Papini nel fantastico novecentesco italiano
Da trent'anni a questa parte i racconti fantastici papiniani hanno suscitato
una rinnovata attenzione critica, come mostra il gran numero di contributi
che è ormai possibile reperire sull'argomento.20 Nonostante questa
rinascenza - testimoniata anche dall'interesse per il Papini utopico che
caratterizza un recente libro di Vittorio Roda sul fantastico21 - manca
tuttora, mi sembra, uno studio panoramico che mostri l'importanza della
lezione papiniana per i narratori fantastici del Novecento italiano. Esiste in
tal senso una vera e propria linea-Papini, che meriterebbe di essere
ricostruita in dettaglio; qui ci limiteremo a indicarne alcune articolazioni,
proponendo un primo censimento dei materiali disponibili.
1) L'importanza di Papini per Giorgio De Chirico e la metafisica - artistica e
letteraria - è stata dimostrata, con argomenti a mio parere definitivi, da
Maurizio Calvesi,22 il quale osserva fra l'altro che la parola stessa
'metafisica' giunse verosimilmente a De Chirico da Schopenhauer e
Nietzsche, ma attraverso l'uso che ne fece Papini.23 Da parte mia,
continuando a seguire il motivo conduttore del fantastico "intelligente",
vorrei sottolineare come una delle chiavi del sodalizio - per quanto di
breve durata - fra Papini e De Chirico sia appunto questa: la nozione e la
parola di 'intelligenza'. De Chirico ne parla fin dal 16 settembre 1915, in
una lettera a Paul Guillaume che Calvesi riporta a conferma dell'influenza
di Papini sul fondatore della metafisica. Il critico rileva l'affinità fra la
«tipologia [...] idealista, artecratica e metapsichica del superuomo, o
"Uomo-Dio"» papiniano,24 e la convinzione dechirichiana che esista una
categoria di esseri superiori, dotati del terzo occhio della visione artistica;
ma si ponga mente, nella stessa lettera, all'elogio dell'intelligenza
semidivina, che può richiamare il passo già citato dell'Inno all'intelligenza
di Papini:
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«ce don des Dieux (l'intelligence) est une chose peu commune; je crois
même que l'intelligence telle que nous l'entendons nous autres,
l'intelligence nietschienne [sic], l'intelligence qui tient du Dieu et de
l'acrobate, du héros et de la bête, est si rare qu'on pourrait presque dire
qu'elle est introuvable, et nous autres qui en avons ravi d'étincelles au ciel,
nous autres qui voyons, nous pouvons en être fiers, et heureux aussi, car
le bonheur, le doux et divin bonheur, nous est dû».25
Ecco insomma un primo snodo nel nostro percorso: l'intelligenza
papiniana transita per di qui e nutre la riflessione teorica della metafisica
(dechirichiana ma anche saviniana, come vedremo in seguito).26 Quando
poi De Chirico e Papini rompono, in circostanze non del tutto chiare, la
loro amicizia,27 ecco che la parola ritorna nelle Memorie dechirichiane con
un significato nuovo e polemico, proprio in relazione all'amico di un tempo
- e principe dell'intelligenza - Giovanni Papini:
«Molto contribuirono a provocare questa esterolatria, con conseguente
decadenza di ogni serietà e di ogni dignità nel campo dell'Arte e della
Letteratura, due uomini: Giovanni Papini ed Ardengo Soffici, i quali, anche
oggi, sono da molti considerati come dei "precursori" dello spirito nuovo,
come gli uomini che hanno fatto conoscere in Italia i "misteri" dello spirito
moderno francese, che hanno "purificato" l'aria, che hanno aperto la via
alle nuove idee e tante altre asinerie di cui noi ora subiamo le estreme
conseguenze e per sanare le quali ci vorranno lunghi anni di vera
intelligenza».28
Non c'è dunque da stupirsi che l'intelligenza sia un argomento ricorrente
nell'epistolario fra Papini e i due fratelli De Chirico, vista l'importanza che
tutti e tre annettono alla nozione e le svariate accezioni che le
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attribuiscono (come si può desumere dagli esempi forniti, l'intelligenza è
per Papini e i suoi interlocutori al tempo stesso categoria estetica,
contrassegno socio-professionale, traccia metafisica). Due esempi riportati
ancora da Calvesi - che riproduce nel suo saggio una parte del carteggio
Papini-De Chirico-Savinio29 - risultano illuminanti. Il primo è la lettera che
De Chirico scrive a Papini il 22 gennaio 1915: «Caro ed egregio Amico, Le
scrivo per esprimerLe le mie più sincere felicitazioni per il suo articolo: "Il
Mistero Brittanico" pubblicato nel «Resto del Carlino» del 21 corrente. È il
primo articolo intelligente che abbia letto fin'ora in un giornale»30 (si noti
che il corsivo appartiene a De Chirico, il quale forse, tramite l'enfasi, vorrà
alludere proprio all'Inno all'intelligenza papiniano uscito pochi mesi prima).
Quanto al secondo esempio, la firma in calce alla lettera - indirizzata
sempre a Papini il 20 aprile 1918 - è di Savinio: «Mi dicono meraviglie del
tuo giornale [«Il Tempo» di Roma] - certo il più intelligente che ci sia ora in
Italia».31
2) Abbiamo nominato il minore dei fratelli De Chirico; anche l'opera di
Alberto Savinio risulta in effetti attraversata da un tema sotterraneo
dell'intelligenza. Esso affiora a più riprese nei testi di Torre di guardia
(1934-1940), dove figurano persino due saggi contigui, Amore nascosto e
Richiamo,32 dedicati rispettivamente all'Intelligenza e alla Stupidità - un po'
come il dittico di Papini già citato, formato dalla Preghiera per l'imbecille e
dall'Inno all'intelligenza. Alla lode di ascendenza papiniana dell'intelligenza
Savinio affianca considerazioni di natura etnico-culturale; l'intelligenza gli
sembra - così come la ragione33 - una prerogativa della mente latina. In
Mangiatore di abissi, lo scrittore contrappone, secondo uno schema
dicotomico che ritorna spesso nei suoi testi a carattere saggistico, la civiltà
latina alla gotico-germanica, e considera l'intelligenza e l'ironia quasi due
specificità italiane:
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«L'uomo intelligente, e particolarmente l'italiano, possiede una
preziosissima facoltà che lo mette in guardia contro le seduzioni della
fantasia astronomica. Questa facoltà è l'ironia. Se Ludovico Ariosto ha
potuto senza danno montare in groppa agli ippogrifi e mandare in giro i
suoi paladini per gli spazi interplanetari, è perché messer Ludovico non si
è mai lasciato sfuggir di mano questo utilissimo filo d'Arianna: l'ironia».34
I racconti offrono conferme interessanti; basterà menzionare un esempio
abbastanza noto, quello di Mia madre non mi capisce (nella raccolta Casa
«la Vita», 1943):
«Se i libri di Nivasio Dolcemare non negano l'esistenza di Dio, è perché in
essi l'inesistenza di Dio è sottintesa e vi si parla di là dall'esistenza di Dio,
di là da molti postulati che una volta, e non per lui ma per gli altri, erano
essenziali ma che lui Nivasio non ha preso in seria considerazione
neppure da ragazzo, e che di poi ha completamente dimenticato.
Orgoglioso è Nivasio di questo argenteo vuoto che lo circonda e che egli
riempie della sua sola intelligenza, come si riempie di vino una coppa di
cristallo».35
3) Dino Buzzati conosceva i racconti e le prefazioni di Papini? Lo scrittore
bellunese, appassionato lettore dei grandi testi del fantastico europeo e in
particolar modo dei capolavori ottocenteschi, al punto da dichiarare senza
ambage che ad aver avuto «influsso» su di lui erano «gli scrittori
dell'Ottocento»,36 non sembra dover molto agli scrittori della tradizione
italiana, con la cospicua eccezione di Leopardi.37 Ma appunto Papini
potrebbe rappresentare un'altra eccezione. Sull'argomento esiste uno
studio di Neria De Giovanni, che tuttavia sottolinea le differenze più che le
somiglianze tra i due scrittori. Attraverso un'analisi prevalentemente
tematica, De Giovanni approda a una caratterizzazione oppositiva del
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fantastico papiniano e buzzatiano: in Papini, sostiene, quel che conta è
«l'eccezionalità, la straordinarietà» dell'esperienza narrata;38 in Buzzati, al
contrario, conta l'effetto di realtà barthesiano, la verosimiglianza
dell'evento che perturba l'ordine consueto della quotidianità. E dunque:
«Papini [...] non vuole fare apparire verosimili le sue storie, bensì
straordinarie e impossibili, in ciò collocandosi nella dimensione
diametralmente opposta a Buzzati che invece utilizza ogni tecnica
letteraria per indurre il lettore a credere al suo "fantastico"».39 La tesi è
interessante ma discutibile; basterà pensare a uno scritto teorico molto
importante di Papini, la Seconda prefazione. Ai Filosofi anteposta al
Tragico quotidiano. Come ha dimostrato Maurizio Calvesi, la prefazione
papiniana costituisce la fonte principale delle famose pagine di De Chirico
sulla visione "metafisica";40 ora, io credo che anche Buzzati la conoscesse,
e ne abbia tenuto conto. I passi più significativi in tal senso sono due;
entrambi pongono l'accento sui prodigi nascosti nella realtà di tutti i giorni,
che l'uomo per eccesso di routine non sa più riconoscere:
«Per maravigliarsi bisogna dimenticare: l'arte dell'oblio precederà l'arte
della meraviglia. Ma gli uomini [...] passano accanto a dei misteri senza
voltarsi [...]. L'universo diventa presto ai loro occhi uno schema banale in
cui le cose che interessano diminuiscono ogni giorno e da cui sono esiliati
con paurosa costanza i dubbi e le inquietudini tragiche e inopportune. Ad
una certa età le loro porte intellettuali si chiudono e soltanto quelli che
hanno il coraggio o la fortuna di restar bambini fanno ancora delle
scoperte».41
«Noi siamo abituati a questa esistenza e a questo mondo e non ne
sappiamo più vedere le ombre, gli abissi, gli enigmi, le tragedie e ci
vogliono ormai degli spiriti straordinari per scoprire i segreti delle cose
ordinarie».42
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Gli uomini passano accanto al mistero senza voltarsi, e soverchiati
dall'abitudine, non hanno più occhi per gli enigmi della vita quotidiana:
sono affermazioni che tutta l'avanguardia sottoscriverà, ma ciò non toglie
a Papini il merito di averle enunciate fra i primi in Europa. Per di più, è
abbastanza verosimile che proprio ai passi citati abbia attinto, più o meno
consapevolmente, Buzzati. Nel raccontino Uno ti aspetta (appartenente
alla raccolta In quel preciso momento, 1950), ad esempio, possiamo
cogliere un'eco della prefazione papiniana. Buzzati descrive qui i
successivi affioramenti del meraviglioso nella vita di un uomo qualunque -
«uno dei tanti»43 - il quale però, pur presentendo l'imminenza
dell'Occasione, è incapace di percepirla perché i suoi sensi si sono fatti
irrimediabilmente ottusi:
«A Napoli [...] si spalancano sulle vecchie viuzze immensi portoni
stemmati, scuri e taciturni, di là dei quali certo riposano segreti. Forse è
uno di questi. Bisognerebbe che tu salissi lo scalone non lasciandoti
impressionare dalla polvere, dalla sporcizia, dai topi, dagli scrostati muri.
In cima c'è un uscio socchiuso. Spingilo. Entra. Con meraviglia vedrai qui
scomparire l'abbandono, la povertà, la sudicizia [sic], tutto ti apparirà
allegro e lucente».44
Il narratore continua, suadente:
«A Napoli, per esempio. Ma forse potrebbe essere più vicino ancora, a
non più di cento chilometri, in una cittadina di provincia. Ci sono qui delle
piazzette fuori mano dove i camion non passano: e ai lati sorgono certe
anziane case piene di dignità con festoni di rampicanti. [...] Non appena
avrai appoggiato una mano sul battente di legno verde, esso si aprirà
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cigolando. E ti appariranno in fondo al portico le aiole fiorite, udrai il ronzio
delle vespe, una voce grave dalla penombra darà il benvenuto».45
E ancora:
«In un palazzotto di provincia. Ma può essere anche molto più vicino,
veramente a due passi, tra le mura della tua stessa casa. Sulla scala, al
terzo piano, hai mai notato, a destra del pianerottolo, quella porta senza
campanello né etichetta? [...] [P]rova a spingere l'uscio senza nome.
Vedrai come cede. Dolcemente ruoterà sui cardini, un impulso
irragionevole ti indurrà ad entrare, resterai sbalordito: ecco, nel cuore del
casamento popolare, l'uno dietro l'altro in vertiginosa prospettiva, saloni
principeschi. Sui tendaggi, sulle argenterie, sugli arazzi scorgerai incisi dei
segni: le sigle del tuo nome oscuro. Ma tu non provi ad aprire, indifferente,
ci passi davanti, su e giù per le scale mattina e sera, estate e inverno,
quest'anno e l'anno prossimo, trascurando l'occasione».46
Buzzati sembra aver voluto incarnare in un'immagine memorabile - il
«palazzo favoloso» che da fuori si direbbe «una casa come tante», ma
cela dietro l'uscio anonimo il «groviglio delle moschee e delle regge», la
«successione senza fine di sale immense, cortili e giardini»47 - l'idea
papiniana della contiguità e anzi consustanzialità del prodigioso e del
banale. Certo, il caso è diverso da quelli visti precedentemente, nella
misura in cui Buzzati - a differenza di Papini, De Chirico e Savinio - diffida
della letteratura troppo ostentatamente intelligente, e per esempio
manifesta alcune riserve sull'opera, a suo dire cerebrale,48 di Jorge Luis
Borges (è nota, per converso, la passione di Borges per il Papini
fantastico, del quale lo scrittore argentino avviò di fatto la riscoperta).49
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4) L'opera di Italo Calvino va ascritta al fantastico - come pensano
numerosi critici e come era incline a fare, negli anni Ottanta, lo scrittore50 -
oppure Calvino va considerato come l'esempio abbastanza singolare di un
autore che ha giocato a più riprese con il linguaggio del genere, che si è
aggirato spesso sulle frontiere di quel territorio, senza mai davvero
penetrarvi?51 Difficile fornire una risposta univoca; più ovvia, invece, la
constatazione che fra tutti gli scrittori italiani, Calvino è quello che si trova
maggiormente a suo agio nei panni del teorico. Perciò è significativo che
conferisca a Papini un rilievo assoluto nella propria teoria del fantastico.
Nella recensione al Notturno italiano, Calvino descrive l'opera papiniana
come il luogo esatto in cui l'Ottocento trapassa nel Novecento; autore di
svolta e di transizione, Papini sarebbe insomma il primo autentico
narratore fantastico novecentesco:
«Cominciando a leggere dal principio i testi ordinati cronologicamente
[nell'antologia di Ghidetti e Lattarulo], e volendo segnare il momento in cui
il racconto fantastico italiano si stacca dai modelli ottocenteschi e diventa
un'altra cosa (o cento altre cose) potremmo indicare il 1907, data del
Pilota cieco di Giovanni Papini, quel Papini giovanile caro a Borges che di
lì prese le mosse, tutto esattezza e negatività, così diverso dal Papini che
abbiamo conosciuto poi».52
Queste righe sono rivelatrici sia perché riconoscono al Papini fantastico
una delle doti più apprezzate da Calvino - l'Esattezza cui sarà dedicata la
terza delle Lezioni americane - sia perché identificano senza esitazioni
quella linea Papini-Borges che costituisce una delle strade maestre della
riscoperta del fantastico italiano a partire dagli anni Ottanta. Ma oltreché
autore fondamentale nel canone calviniano, Papini è decisivo per la
definizione di due paradigmi contrapposti del fantastico - l'uno "visionario"
prevalente nell'Ottocento e l'altro "intellettuale" o "quotidiano" dominante
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nel secolo successivo - che Calvino enuncia per la prima volta in
un'intervista del 1970 e attorno alla quale costruisce, nel 1983, la sua
famosa antologia del fantastico occidentale.53 In effetti, nell'antitesi
calviniana non è difficile cogliere il ricordo della distinzione proposta da
Papini nella già menzionata Seconda prefazione. Ai Filosofi del Tragico
quotidiano, tra fantastico "esterno" della tradizione ottocentesca e "interno"
dei racconti papiniani medesimi:
«Io mi sono proposto di suscitare la meraviglia e lo spavento ma non ho
voluto ricorrere alle strane avventure e alle eccezionali invenzioni come
hanno fatto coloro che son conosciuti col nome di "novellieri fantastici". Il
meraviglioso e il terribile di codesti racconti - e neppure il gran Poe fa
eccezione - sono il risultato di qualcosa di straordinario ma esteriore,
quasi sempre, alle anime dei personaggi. Il terribile consiste nella
stranezza delle situazioni anormali in cui si trovano uomini normali, lo
stupore nasce dal contatto tra spiriti abituali che si trovano ad un tratto in
un mondo eccezionale. La sorgente del fantastico ordinario è materiale,
esterna, obbiettiva. Io ho voluto trovare un'altra sorgente. Io ho voluto far
scaturire il fantastico dall'anima stessa degli uomini, ho immaginato di farli
pensare e sentire in modo eccezionale dinanzi a fatti ordinari. Invece di
condurli in mezzo a peripezie bizzarre, in mondi non mai veduti, in mezzo
ad avvenimenti incredibili, li ho posti davanti ai fatti della loro vita ordinaria,
quotidiana, comune, ed ho fatto scoprire a loro stessi, tutto quello che c'è
in essa di misterioso, di grottesco, di terribile. [...] Io credo fermamente alla
superiorità di questo fantastico interno sul fantastico esterno degli altri
novellieri».54
Maurizio Calvesi non nomina mai Calvino nel suo studio, per l'eccessiva
prossimità cronologica degli scritti calviniani con il saggio su Papini e la
formazione fiorentina di Giorgio De Chirico (che è, lo ricordo, del 1982):
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ma è evidente, a leggere questa pagina e con il senno di poi, che i saggi
di Calvino confermano in pieno le tesi del critico sull'importanza
sotterranea di Papini per il filone novecentesco da lui studiato - lo si voglia
definire "metafisico", "magico-realistico", "surreale", o "fantastico".
IV. Papini/Bontempelli: alle origini del realismo magico
Infine e soprattutto, resta qualcosa da dire sulle presenze papiniane
nell'opera di Massimo Bontempelli. In effetti, oltreché padre spirituale della
metafisica, Papini va considerato come il precursore più titolato del
realismo magico italiano.
Neppure questa genealogia sembra aver suscitato l'interesse degli
interpreti: a mia conoscenza, l'unico ad aver attirato l'attenzione sul
promettente dossier Papini/Bontempelli è Geno Pampaloni, in un saggio
ricco di intuizioni ma che non verte specificamente sull'argomento.55
Volendo rispondere al dubbio formulato da Gianfranco Contini se Papini
sia stato o no scrittore - «[c]atalizzatore e volgarizzatore spesso meritorio
di temi culturali, [...] [Papini] è frattanto stato anche uno scrittore?»,56
aveva scritto Contini - Pampaloni compie una rapsodica ma efficace
lettura di testi prelevati nella "prima" come nella "seconda" fase della
produzione papiniana, prima e dopo la conversione. Un ruolo di spicco
viene conferito ai racconti del Tragico quotidiano e del Pilota cieco: testi
«generalmente sottovalutati», in cui abbondano «l'intellettualismo
oltranzistico, il gusto della trovata stupefacente, la rottura delle
convenzioni, la voluttà del paradosso»,57 e che costituiscono - qui veniamo
al dunque - «le [prime] prove di un realismo magico che poi egli [Papini]
non svolse».58 Pampaloni osserva come il Papini "fantastico" metta in
scena una serie di «"casi" [...] [che] hanno caratteri singolarmente
pirandelliani», e precorra d'altra parte, con la sua scrittura «lucida e
unidimensionale, che punta a farsi referto realistico dell'irreale, [...] il
Bontempelli metafisico degli anni Venti».59
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Tali spunti, come si accennava, non vengono sviluppati, né è possibile
farlo in questa sede; mi limito perciò a segnalare l'esistenza di una lacuna
nella bibliografia specializzata, e riprendo il filo della mia indagine. Anche
in Bontempelli - come in Papini, Savinio, Calvino - l'intelligenza è nozione
e parola chiave, e risulta collegata a un'esperienza narrativa che, se non
appartiene tout court all'area del fantastico, le è sicuramente attigua. Sul
versante delle dichiarazioni di poetica e di principio, va notato come
alcune pagine bontempelliane abbiano un sentore papiniano; per esempio
quella - appartenente al discorso di commemorazione per la morte di Luigi
Pirandello, pronunziato il 17 gennaio 1937 e pubblicato in prima edizione
nel volume complessivo Pirandello Leopardi D'Annunzio (1938)60 - che
interpreta la stupidità come ottusità nei confronti del mistero del mondo, e
l'intelligenza, viceversa, come percezione della sua esistenza e
irriducibilità:
«Dicono che di fronte alla morte almeno per un momento si diventa più
buoni. Ma è ancora più vero che davanti alla morte tutti diventano per un
momento più intelligenti; anche lo sciocco per un attimo è intelligente.
Perché lo sciocco è, per definizione, il negatore di misteri; ma anche lui in
quell'attimo sente il mistero e ne è soggiogato. E la intelligenza non è altro
che questo: riconoscimento e confessione del mistero, che è la sola
realtà».61
Fin dall'inizio degli anni Venti, del resto, Bontempelli aveva arruolato
l'intelligenza al servizio di un programma di poetica che Papini avrebbe
potuto sottoscrivere: così ad esempio nell'inserto metaletterario del
capitolo settimo di Eva ultima (1923). Qui il narratore si concede una
pausa nella narrazione dei casi della protagonista, per commentare:
«sempre e dappertutto, nell'intero corso della vita, e nei fatti suoi più
quotidiani come nei più singolari, l'uomo fondamentalmente ignora che
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
cosa sia strano e che cosa comune: il mirabile e l'usuale si confondono
facilmente agli occhi di chi guarda con attenzione verso il fondo delle
cose».62 La rivoluzione magico-realista era ancora di là da venire, eppure
Bontempelli aveva già perfettamente chiara la consapevolezza che il
meraviglioso e il quotidiano si mescolano e si fondono indissolubilmente;
forse perché l'aveva recepita da Papini? Anche Bontempelli, come Buzzati
e Calvino, avrà conosciuto la Seconda prefazione. Ai Filosofi di cui ho
citato vari stralci; e Bontempelli più degli altri sarà stato colpito da passi
come il seguente, dal cap. 47 (Chi sono?) di Un uomo finito: «In un mondo
dove tutti pensano soltanto a mangiare e a far quattrini, a divertirsi e a
comandare, è necessario che vi sia ogni tanto uno che rinfreschi la visione
delle cose, che faccia sentire lo straordinario nelle cose ordinarie, il
mistero nella banalità, la bellezza nella spazzatura».63 È probabile inoltre
che Bontempelli conoscesse quella sorta di prefigurazione abbagliante del
realismo magico pubblicata da Papini sulla «Vraie Italie» del marzo 1919,
sotto forma di una recensione all'opera pittorica di De Chirico. Nell'articolo
di Papini, De Chirico viene presentato come l'uomo che ha fatto in arte ciò
che Papini aveva fatto, fin dal primo decennio del secolo, in letteratura:
trovare il mistero nelle cose di tutti i giorni. Val la pena di trascrivere per
intero questa pagina profetica, ancora poco nota, mi sembra, agli studiosi,
che collega con nettezza il fantastico papiniano - designato come tale: «le
fantastique le plus inquiétant» - alla metafisica dechirichiana e al realismo
magico bontempelliano:
«Depuis 1914 De Chirico a découvert de nouveaux et plus vastes
horizons à son art. Le terrible mystère qu'il aperçut dans les villes de la
péninsule s'arrêtait à des angles qu'il fallait tourner pour voir ce qu'il y a
derrière.
Vrai Thésée s'aventurant dans le labyrinthe inquiétant des valeurs
nouvelles, De Chirico suivit le fil que lui tendait sa muse étrange. Il arriva
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ainsi dans des lieux inconnus épars dans les lieux mêmes où notre vie
insensée s'écoule. Les maisons, les chambres, les salles, les couloirs, les
portes ouvertes ou fermées, les fenêtres, lui apparaissent sous une
lumière nouvelle. Il découvre sans cesse des aspects nouveaux et de
nouvelles solitudes[,] un sens de recueillement jusque dans les objets que
l'habitude quotidienne nous a rendus tellement familiers au point
d'occulter, comme dans une boîte-à-surprises, le fameux démon que
Héraclite d'Éphèse voyait en toute chose. C'est ainsi que des biscuits, des
boutons, des boîtes d'allumettes, des cartes géographiques, des
fragments de métaux ou de bois peints, encadrés d'une certaine façon et
vus d'un certain côté, s'élèvent jusqu'au sublime d'une nouvelle religion.
Dans la latitude et la longitude d'un plancher ou d'un plafond, le peintre
révèle un étrange infini, peuplé de fantômes mécaniques et géométriques.
Il y a de la fatalité dans l'œuvre de cet artiste, et le fantastique le plus
inquiétant se fond en lui avec le sens humain le plus profond».64
V. Bontempelli e la magia intelligente
Il programma di un fantastico "quotidiano" e "intellettuale" - per usare la
terminologia di Calvino - trova perfetta realizzazione nel già menzionato
romanzo breve del 1923: Eva ultima. Capolavoro della fase
bontempelliana del «fantastico ironico-intellettuale»,65 Eva ultima è uno di
quei testi che non solo confermano la bontà delle proposte interpretative di
Contini e Calvino, ma sembrano addirittura aver fornito un contributo
testuale alla definizione del "surreale ironico" del primo e del "fantastico
intellettuale" del secondo.66 Bontempelli vi mette in scena un suo alter ego,
Evandro, mago intelligentissimo e consapevolissimo: i suoi incantesimi
formano un commento ininterrotto alla tradizione classica del fantastico,
della quale evidenziano le aporie e le assurdità, delegittimandola e
dimostrandone, in ultima analisi, l'impossibilità. Desiderando
impressionare Eva, Evandro riflette ad alta voce: «Vuoi che metta ai tuoi
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piedi gli uragani? Troppo romantico. Che evochi una corte di amadriadi da
collocare al tuo servizio? No. [...] Perché hai paura? La mia magia è
troppo irrimediabilmente intelligente per evocarti un corteo di mostri».67
Una magia troppo irrimediabilmente intelligente: questa memorabile
formulazione sintetizza il paradosso dello scrittore fantastico
novecentesco, mago sì, ma appunto, troppo intelligente e troppo poco
romantico. Per eccesso d'intelligenza Evandro diventa, come ha osservato
Luigi Fontanella, «un antimago»:68 più che suscitare il prodigio lo
decostruisce. Così, quando si tratta di rapire Eva fuori del mondo e fino
alla sua reggia piena di stregonerie - e al tempo stesso no, visto che il
sortilegio più notevole consiste nel far muovere una marionetta... -
Evandro non adopera i mezzi prediletti dal romanzo gotico; niente ausiliarii
magici, né eventualmente carrozze stipate di bravacci, bensì una moderna
automobile:
«EVANDRO Inorridisci, creatura appassionata e romanzesca: [ti rapirò]
col mezzo meno magico, più moderno, più comodo.
EVA In automobile?
EVANDRO Sì».69
Ma naturalmente, come tutte le automobili, anche questa può restare per
strada. Evandro però non si lascia scomporre; il guasto gli permette di
sottolineare, con la lucida consapevolezza degli epigoni, l'irrimediabile
desuetudine del magico in epoca di magie tecnologiche:
«Dopo una pausa, Eva scoppiò in un riso sfrontato.
"Che hai?" domandò Evandro.
"Ti pare strano ch'io rida?".
"No: certamente un ippogrifo non sarebbe rimasto in panna. Non è questo
un mezzo ottimo per disincantarti?"».70
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Evandro non la smette insomma di giocare al "meta-mago", riflettendo da
un lato sulla consunzione di un repertorio - quello del fantastico - ormai
ridotto a un teatrino di cartapesta, dall'altro sulla propria magia moderna e
banale al tempo stesso, che non corrisponde più ai clichés romantici dello
scatenamento del soprannaturale (e proprio in virtù di questo suo
carattere dimesso, risulta talvolta maggiormente inquietante). Quando i
due protagonisti giungono in macchina alla residenza di lui, ad esempio,
Eva non riesce a nascondere la delusione: non c'è traccia del castello
gotico o della casa stregata che era pur lecito attendersi; il sublime cui ella
agognava viene non solo negato, ma addirittura mortificato dai suoi
opposti, il grazioso e l'ameno:
«Eva, ancora senza muoversi, domandò:
"È qui?".
"Sì, questa".
Dopo una pausa, Eva disse con garbo:
"È grazioso"».71
Lo scarto fra la magia intelligente del Novecento e i modelli della
tradizione - sui quali Eva aveva costruito il proprio orizzonte di attese, e
insieme a lei il lettore - viene messo in risalto da Evandro con la consueta,
bontempelliana lucidità:
«"Un'altra delusione per te" ribatté Evandro. "Tu aspettavi per lo meno un
castello: rupi, burroni e poi stagni plumbei con i salici, l'acqua che
lambisce le muraglie ammuffite del maniero; una torma di presenze
occulte; e qui, in qualche atmosfera piena di fosforescenze e tremori,
nascondere alla terra, chi sa? un supremo amore"».72
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E così per tutto il romanzo: più che mirabilia Evandro evoca "meta-
prodigi"; la magia, in definitiva, non gli interessa - proprio come l'amore per
Eva - se non come banco di prova della propria intelligenza. In tal senso,
un luogo chiave di Eva ultima - al quale affideremo il compito di chiudere il
presente dossier - è il dialogo che si svolge fra i due protagonisti verso la
fine del cap. IV. Evandro vi anticipa le ossessioni del Marcolfo di Nostra
Dea (1925),73 Bontempelli vi ribadisce il proprio culto della suprema fra
tutte le facoltà:
«EVANDRO Che cosa dovrei abbandonare per mostrare di amarti?
EVA La tua intelligenza.
EVANDRO Vuoi amarmi come non sono, ed essere amata da me come
potresti essere da un altro qualunque, ma che non sia un altro, che sia
proprio io ad amarti così. Con ciò mi spieghi perché le donne amano
spesso degli imbecilli, e poi presto li cambiano, sempre inquiete e torbide;
e sfuggite quello che in realtà vi attira; perché l'amore è una forza che ci
spinge anche nostro malgrado verso ogni cosa bella, e l'intelligenza è la
cosa più bella che sia, ed è il vertice del mondo».74
Note:
1 Cfr. G. Contini (a cura di), Italie magique. Contes surréels modernes, choisis et
présentés par G. Contini, traduits de l’italien par H. Breuleux, Paris, Aux Portes de
France, 1946; prima traduzione italiana: cfr. Id. (a cura di), Italia magica, racconti surreali
novecenteschi scelti e presentati da G. Contini, Torino, Einaudi, 1988.
2 Cfr. E. Ghidetti (a cura di), Notturno italiano. Racconti fantastici dell’Ottocento, Roma,
Editori Riuniti, 1984; E. Ghidetti e L. Lattarulo (a cura di), Notturno italiano. Racconti
fantastici del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 1984. Si vedano soprattutto le prefazioni
dei due volumi: cfr. rispettivamente E. Ghidetti, Prefazione, in Id. (a cura di), Notturno
italiano. Racconti fantastici dell’Ottocento, cit., pp. VII-XII; E. Ghidetti e L. Lattarulo,
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
Prefazione, in Eid. (a cura di), Notturno italiano. Racconti fantastici del Novecento, cit.,
pp. VII-XII.
3 I due saggi di Calvino che vertono specificamente sulla tradizione italiana escono l’uno
(1984) sotto forma di recensione al Notturno italiano, l’altro (1985) come trascrizione di
una conferenza pronunciata all’Università internazionale «Menendez Pelayo» di Siviglia:
cfr. rispettivamente I. Calvino, Un’antologia di racconti «neri», in Id., Saggi. 1945-1985, a
cura di M. Barenghi, 2 voll., Milano, Mondadori, 1995, vol. II, pp. 1689-1695; e Id., Il
fantastico nella letteratura italiana, ivi, pp. 1672-1682.
4 Del fantastico italiano del Novecento ho parlato fra l’altro in: S. Lazzarin, L’ombre et la
forme. Du fantastique italien au XXe siècle, Caen, Presses Universitaires de Caen, 2004;
Id., Fantasmi antichi e moderni. Tecnologia e perturbante in Buzzati e nella letteratura
fantastica otto-novecentesca, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008 (si veda
soprattutto il cap. I, Manierismo, pp. 21-31); e in una sintesi pubblicata su questa stessa
rivista: cfr. Id., Il fantastico italiano del Novecento. Profilo di un genere letterario, in cinque
racconti di altrettanti autori, in «Bollettino ’900», 2007, n. 1-2, pp. 1-35, consultabile sul
sito internet <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2007-i/Lazzarin.html>. Al dibattito sul
fantastico italiano è invece dedicato il bilancio critico che curai qualche anno fa per la
rivista «Moderna», del quale dovrebbe uscire fra qualche tempo una versione aggiornata,
riveduta e ampliata, nella forma di un volume autonomo. Questo lavoro si compone di
un’introduzione generale (cfr. S. Lazzarin, Bilanci: il fantastico italiano (1980-2007). I. Il
punto sul fantastico italiano, in «Moderna», vol. IX, 2007, n. 2, pp. 213-252) e di una
rassegna bibliografica (realizzata in collaborazione con altri studiosi: cfr. S. Lazzarin, F. I.
Beneduce, E. Conti, F. Foni, R. Fresu, C. Zudini, Bilanci: il fantastico italiano (1980-
2007). II. Repertorio bibliografico ragionato, ivi, pp. 253-270).
5 Sul fantastico "popolare" italiano esistono cinque contributi fondamentali, e tre antologie
che lo sono altrettanto. Gli studi sono i seguenti: G. De Turris, «Made in Italy». Il
fantastico e l’editoria, in M. Farnetti (a cura di), Geografia, storia e poetiche del fantastico,
Atti della Giornata di Studi (Ferrara, gennaio 1994), Firenze, Olschki, 1995, pp. 217-229;
C. Gallo (a cura di), Paure ovvero: di come le apparizioni degli spiriti, dei vampiri o
redivivi, etc., gli esseri, i personaggi, i fatti, le cose mostruose, orrorifiche o demoniache,
nonché gli assassinii e le morti apparenti furono trattati nei libri e nelle immagini; e in
particolare in «Dylan Dog», Catalogo della Mostra (Verona, Biblioteca Civica, 4 luglio-10
ottobre 1998), Verona, Colpo di fulmine, 1998; Id., «Bisogna l’impossibile». Appunti su
viaggi straordinari, società future, macchine mirabolanti, sperimentazioni meravigliose
nella letteratura «popolare» tra Otto e Novecento, in Id. (a cura di), Viaggi straordinari tra
spazio e tempo, Catalogo della Mostra (Verona, Biblioteca Civica, 23 giugno-29
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
settembre 2001), San Martino Buon Albergo (Verona), Grafiche AZ, 2001, pp. 49-78; F.
Foni, Alla fiera dei mostri. Racconti "pulp", orrori e arcane fantasticherie nelle riviste
italiane. 1899-1932, prefazione di L. Crovi, postfazione di C. Gallo, Latina, Tunué, 2007;
Id., Piccoli mostri crescono. Nero, fantastico e bizzarrie varie nella prima annata de «La
Domenica del Corriere» (1899), Ozzano dell’Emilia (Bologna), Gruppo Perdisa Editore,
2010. Le antologie: G. De Turris (a cura di), Le aeronavi dei Savoia. Protofantascienza
italiana 1891-1952, con la collaborazione di C. Gallo, Milano, Editrice Nord, 2001; F. Foni
(a cura di), Il gran ballo dei tavolini. Sette racconti fantastici da «La Domenica del
Corriere», Cuneo, Nerosubianco, 2008; e soprattutto la silloge fondamentale di C. Gallo e
F. Foni (a cura di), Ottocento nero italiano. Narrativa fantastica e crudele, introduzione di
L. Crovi, Milano, Aragno, 2009.
6 G. Papini, Franche spiegazioni (A proposito di rinascenza spirituale e di occultismo), in
«Leonardo», vol. V, aprile-giugno 1907, cit. in S. Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi
per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, prefazione di W. Pedullà,
Napoli, Liguori, 2002 [1996], p. 70.
7 Così lo scrittore definisce i racconti del Tragico quotidiano, alludendo fra l’altro alle
componenti allegoriche, ironiche, metafisiche, favolose del suo fantastico, fortemente
ibridato con numerosi generi contigui: cfr. G. Papini, Prima prefazione. Ai Poeti, in Id.,
Strane storie, Palermo, Sellerio, 1992 [1954], p. 14.
8 Sul retroterra occultistico oltreché filosofico in cui affonda le sue radici il programma
ideologico-poetico papiniano cfr. S. Cigliana, Futurismo esoterico, cit., in particolare il
cap. VI, Uomo-Dio e Uomo moltiplicato, pp. 121-148.
9 G. Papini, Un uomo finito, Firenze, Vallecchi, 1974 [1912], rispettivamente pp. 91 e 92.
10 Ivi, p. 218.
11 Cfr. G. Papini, Inno all’intelligenza, in «Lacerba», 1 marzo 1914, poi in Id., Maschilità,
coll’aggiunta di Eresie pedagogiche, Firenze, Vallecchi, 1947, pp. 63-69. Nello stesso
volume, da segnalare la Preghiera per l’imbecille del 1913, che precede immediatamente
l’Inno all’intelligenza e forma con esso un dittico (cfr. ivi, pp. 51-61).
12 G. Papini, Inno all’intelligenza, cit., pp. 66-67.
13 Cfr. in particolar modo il cap. 17, La sortita, dove Papini rivela d’aver «[c]osteggia[to] i
mari tenebrosi della magia» (G. Papini, Un uomo finito, cit., p. 87), e il cap. 28, La
conquista della divinità, dove tali esperienze con l’occultismo vengono dettagliate (cfr. ivi,
pp. 146-152).
14 Ivi, p. 78.
15 Ivi, pp. 164-165.
16 Ivi, p. 198.
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
17 Ivi, p. 219.
18 G. Papini, Nota dell’autore, in Id., Strane storie, cit., p. 11.
19 G. Papini, Terza prefazione. Agli Eruditi, ivi, p. 17.
20 Ecco una bibliografia: G. Pampaloni, Papini scrittore, in P. Bagnoli (a cura di), Giovanni
Papini. L’uomo impossibile, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 108-121; M. Calvesi, Papini e la
formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, ivi, pp. 122-192, e con il titolo abbreviato La
formazione fiorentina di Giorgio De Chirico anche in M. Calvesi, La metafisica schiarita.
Da De Chirico a Carrà, da Morandi a Savinio, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 15-62; N. De
Giovanni, Il fantastico in Papini e Buzzati, in «La Battana», vol. XX, dicembre 1983, n. 70,
pp. 13-31; G. Grana, Papini "metafisico": racconti "fantastici" del 900, in Id., Le
avanguardie letterarie. Cultura e politica scienza e arte dalla Scapigliatura alla Neo-
avanguardia attraverso il Fascismo, 3 voll., Milano, Marzorati, 1986, vol. II, pp. 533-544;
M.C. Papini, I «racconti di gioventù» di Giovanni Papini, in «Studi Novecenteschi», vol.
XVIII, giugno 1991, n. 41, pp. 51-62, poi con il titolo Giovanni Papini tra surrealismo e
realismo magico, in Ead., La scrittura e il suo doppio. Studi di letteratura italiana
contemporanea, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 223-238; M. Verdenelli, Il «fantastico» nel
primo Papini, in «Stazione di Posta», gennaio-aprile 1993, n. 51-52, pp. 7-18; J.
Soldateschi, Il giovane «fantastico» Papini, in «La Rassegna della Letteratura Italiana»,
vol. 101, gennaio-aprile 1997, n. 1, pp. 131-142; C. Di Biase, Giovanni Papini. L’anima
intera, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999; A.M. Mangini, Il maldestro demiurgo.
Note sul "doppio" nel fantastico papiniano, in «Poetiche», 2003, n. 2, pp. 189-237, poi in
Id. e L. Weber (a cura di), Il visionario, il fantastico, il meraviglioso tra Otto e Novecento,
Ravenna, Allori, 2006 [2004], pp. 165-198; A. Vannicelli, La tentazione del racconto. Le
novelle del primo Papini tra simbolismo e futurismo (1894-1914), Firenze, Franco Cesati,
2004; G. Tuccini, Il pragmatismo di Gian Falco: Giovanni Papini 1903-1907, in
«Chroniques Italiennes», 2005, n. 3, pp. 1-34, consultabile sul sito internet
<http://www.chroniquesitaliennes.univ-paris3.fr/PDF/Web7/Tuccini.pdf>, poi in «Critica
Letteraria», vol. XXXIV, fasc. I, 2006, n. 130, pp. 93-126. Tutti questi saggi sono forniti di
una scheda di commento nella già menzionata versione in volume del bilancio critico sul
fantastico a mia cura.
21 Cfr. V. Roda, Noterelle sul Papini "utopico", in Id., Studi sul fantastico, Bologna,
CLUEB, 2009, cap. VIII, pp. 165-182.
22 Cfr. M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit.
23 Cfr. ivi, pp. 137 sgg.
24 Ivi, p. 144.
25 Cit. ibid.
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
26 Di Papini e Savinio, Calvesi parla soltanto in una lunga nota del suo saggio: cfr. ivi, pp.
167-169, nota 77.
27 Un’interessante testimonianza – ma anche un punto di vista del tutto tendenzioso –
sulla rottura fra Papini e De Chirico si legge in G. De Chirico, Memorie della mia vita,
Milano, Rizzoli, 1962, p. 101.
28 Ivi, pp. 78-79; corsivo mio. Questo passo viene citato anche da Calvesi (cfr. M. Calvesi,
Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit., p. 158, nota 61), ma con
numerose divergenze rispetto all’originale.
29 Del carteggio in questione (cfr. ivi, pp. 178-192) esiste tuttavia un’edizione molto più
completa, nell’Appendice alla prima parte della Metafisica schiarita (cfr. M. Calvesi, La
metafisica schiarita, cit., pp. 140-204). Qui Calvesi ha raccolto lettere di Gemma De
Chirico e Carlo Carrà a Papini, e soprattutto l’importante articolo di Papini su De Chirico
uscito originariamente sulla «Vraie Italie» (cfr. G. Papini, Giorgio De Chirico, in «La Vraie
Italie», vol. I, marzo 1919, n. 2, pp. 56-57, e Id., Giovanni Papini su Giorgio De Chirico, in
M. Calvesi, La metafisica schiarita, cit., pp. 151-152).
30 Cit. in M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit., p. 178.
31 Cit. ivi, p. 165.
32 Cfr. A. Savinio, Amore nascosto e Richiamo, in Id., Torre di guardia, a cura di L.
Sciascia, con un saggio di S. Battaglia, Palermo, Sellerio, 1977 [1934-1940],
rispettivamente pp. 85-86 e 87.
33 A tal proposito, si veda soprattutto il saggio dedicato ad Apuleio (Metamorphoseon, ivi,
pp. 110-117), dove si legge fra l’altro quanto segue: «non dico che nella sola mente latina
splenda la santa luce della ragione, ma che solo in essa splende serena e appieno» (ivi,
p. 110).
34 A. Savinio, Mangiatore di abissi, ivi, pp. 43-44.
35 A. Savinio, Mia madre non mi capisce, in Id., Casa «la Vita» e altri racconti, a cura di A.
Tinterri e P. Italia, Milano, Adelphi, 1999, p. 352.
36 D. Buzzati, Dino Buzzati: un autoritratto, dialoghi con Y. Panafieu, Milano, Mondadori,
1973, p. 233.
37 Sull’intertestualità buzzatiana cfr. S. Lazzarin, Il Buzzati "secondo". Saggio sui fattori di
letterarietà nell’opera buzzatiana, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2008 (sul leopardismo
cfr. in particolare il cap. VII, Dalle costanti dell’accumulazione evocativa al leopardismo di
Buzzati, ivi, pp. 199-302).
38 N. De Giovanni, Il fantastico in Papini e Buzzati, cit., p. 25.
39 Ivi, p. 22.
40 Cfr. M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio De Chirico, cit., p. 128.
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
41 G. Papini, Seconda prefazione. Ai Filosofi, in Id., Strane storie, cit., p. 16.
42 Ivi, pp. 15-16.
43 D. Buzzati, In quel preciso momento, Milano, Mondadori, 1965 [1950], p. 62.
44 Ivi, pp. 62-63.
45 Ivi, p. 63.
46 Ivi, p. 64.
47 Ivi, p. 61.
48 Cfr. D. Buzzati, Dino Buzzati: un autoritratto, cit., p. 30: «Ci sono in Borges delle cose
stupende, ma ci sono pure delle cose cervellotiche, troppo cervellotiche per me».
49 Borges pubblicò una pionieristica silloge di racconti fantastici papiniani, riconoscendo,
nella presentazione del volume, il proprio debito nei confronti dello scrittore italiano: cfr.
J.L. Borges, Introduzione, in G. Papini, Lo specchio che fugge, a cura di J.L. Borges,
Milano, Mondadori, 1990 [1975], pp. 5-8.
50 Così in un passo di Visibilità – la quarta delle Lezioni americane, scritta nel giugno
1985 – dove Calvino parla della propria «esperienza di scrittore, soprattutto quella che si
riferisce alla narrativa fantastica» (I. Calvino, Saggi. 1945-1985, cit., vol. I, p. 704).
51 Ho proposto questa interpretazione in S. Lazzarin, Nouvelles des frontières de
l’Empire, in Id., L’ombre et la forme, cit., cap. IX, pp. 209-246.
52 I. Calvino, Un’antologia di racconti «neri», cit., p. 1693.
53 Cfr. rispettivamente I. Calvino, Definizioni di territori: il fantastico, in Id., Saggi. 1945-
1985, cit., vol. I, pp. 266-268; e Id., Racconti fantastici dell’Ottocento, ivi, vol. II, pp. 1654-
1665.
54 G. Papini, Seconda prefazione. Ai Filosofi, cit., pp. 15-16.
55 Cfr. G. Pampaloni, Papini scrittore, cit.
56 G. Contini, Giovanni Papini, in Id. (a cura di), La letteratura italiana. Otto-Novecento,
Firenze, Sansoni, 1974, p. 293.
57 G. Pampaloni, Papini scrittore, cit., p. 115.
58 Ivi, pp. 115-116.
59 Ivi, p. 117.
60 Cfr. M. Bontempelli, Pirandello Leopardi D’Annunzio. Tre discorsi di Massimo
Bontempelli, Milano, Bompiani, 1938.
61 M. Bontempelli, Pirandello o del candore, in Id., Opere scelte, a cura di L. Baldacci,
Milano, Mondadori, 1978, p. 810.
62 M. Bontempelli, Eva ultima, in Id., Opere scelte, cit., pp. 408-409.
63 G. Papini, Un uomo finito, cit., p. 219.
64 G. Papini, Giorgio De Chirico, cit., p. 152.
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
65 Prendo in prestito questa formula a un ottimo saggio di S. Micali, Candide eroine: la
magia al femminile in Bontempelli, in J. Spaccini e V. Agostini-Ouafi (a cura di), L’Italie
magique de Massimo Bontempelli, Atti delle Giornate di Studi (Caen, 30 novembre 2007-
4 aprile 2008), in «Transalpina», vol. XI, 2008, pp. 103-118, che distingue appunto in
Bontempelli una fase del «fantastico ironico-intellettuale» e una del «realismo magico»
(ivi, p. 104). Su Eva ultima si veda già un lavoro precedente della stessa studiosa: cfr. S.
Micali, Bontempelli e la dissoluzione della "femme fatale", in «Italica», vol. 73, Spring
1996, n. 1, pp. 44-63, e più particolarmente pp. 51-57.
66 Bontempelli è un autore chiave sia del canone continiano – come mostra B. Sica,
L’Italia è magica: Contini, Malaparte, Savinio e i caratteri del surrealismo italiano, in G.
Caltagirone e S. Maxia (a cura di), Italia magica. Letteratura fantastica e surreale
dell’Ottocento e del Novecento, Atti del Convegno (Santa Margherita di Pula [Cagliari], 7-
10 giugno 2006), Cagliari, AM&D Edizioni, 2008, pp. 613-628 – sia di quello calviniano:
Calvino lo annovera, insieme a Palazzeschi, Buzzati e Landolfi, fra i più grandi autori
fantastici del Novecento, non soltanto italiano (cfr. I. Calvino, Il fantastico nella letteratura
italiana, cit., p. 1680).
67 M. Bontempelli, Eva ultima, cit., p. 390.
68 L. Fontanella, Bontempelli tra mito e metafisica: una lettura di «Eva ultima», in C.
Donati (a cura di), Massimo Bontempelli scrittore e intellettuale, Atti del Convegno
(Trento, 18-20 aprile 1991), Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 105. Questo saggio di
Fontanella è poi confluito in Id., Storia di Bontempelli. Tra i sofismi della ragione e le
irruzioni dell’immaginazione, Ravenna, Longo, 1997, cap. III, Metafisica e nuovi miti, pp.
27-40.
69 M. Bontempelli, Eva ultima, cit., p. 358.
70 Ivi, p. 365.
71 Ivi, p. 367.
72 Ivi, pp. 367-368.
73 Marcolfo pensa soltanto alla propria intelligenza – a suo dire sottovalutata – e ne parla
tanto insistentemente che alla fine Dea gli chiede, perplessa: «Perché pensa tanto
all’intelligenza?» (M. Bontempelli, Nostra Dea, in Id., Opere scelte, cit., p. 650).
74 M. Bontempelli, Eva ultima, cit., p. 387.
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/>
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2010
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Giugno-dicembre 2010, n. 1-2
Questo articolo può essere citato così:
S. Lazzarin, Una magia «troppo irrimediabilmente intelligente»: Bontempelli,
Papini e il fantastico novecentesco, in «Bollettino '900», 2010, n. 1-2,
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/Lazzarin.html>.