storia contemporanea

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George L. Mosse: LE GUERRE MONDIALI DALLA TRAGEDIA AL MITO DEI CADUTI. Capitolo primo. Introduzione: una diversa specie di guerra. L’epoca contemporanea è l’epoca delle masse. Così anche la morte in guerra è divenuta, nelle guerre della contemporaneità, una morte di massa. Nella prima guerra mondiale morirono circa 13 milioni di uomini un numero nemmeno comparabile con quello delle guerre precedenti (la campagna napoleonica in Russia, la più cruenta prima del 1914 era costata 400.000 vite). Per i vertici di tutte le nazioni belligeranti e per le stesse popolazioni si pose il problema di rendere accettabile la morte di massa. A questo scopo fu costruito, in parte spontaneamente (dai volontari e dai reduci di guerra) e in parte deliberatamente (dalla propaganda) il mito dell’esperienza di guerra (m.e.g.). Parte prima. Le fondamenta. Capitolo secondo. Volontari in guerra. Il m.e.g. affonda le sue radici nell’esperienza delle prime guerre nazionali (guerre della Rivoluzione francese e guerre di liberazione tedesca). Prima della Rivoluzione francese, le guerre erano state combattute da mercenari professionisti per la difesa o l’accrescimento della potenza di un monarca. L’Assemblea Legislativa, non disponendo delle risorse per pagare un esercito mercenario, introdusse l’arruolamento volontario dei cittadini. Il successo delle campagne napoleoniche mostrò la straordinaria efficacia di questo esercito di volontari. Dalla fine del ‘700 (con l’affermarsi in tutta Europa delle idee e delle pratiche del nazionalismo) in poi le guerre furono guerre nazionali, combattute in nome una nazione da una massa nazionalizzata. La potenza dell’idea di ‘nazione’ trasformò la guerra da affare di pochi a esperienza di massa. Lo stesso status di soldato subì una radicale trasformazione. Mentre i mercenari avevano costituito un gruppo marginale, temuto e disprezzato, la condizione di soldato–cittandino era ad un tempo altamente ammirata e alla portata di tutti. Per la prima volta i cittadini andarono volontari in guerra, convinti da motivazioni diverse: 1) desiderio di combattere in nome della propria nazione; 2) ripulsa della società impersonale, complessa e opprimente, ricerca di un nuovo senso del vivere; 3) ideale del cameratismo e della virilità; 4) impulso al saccheggio e aspettativa di ricchi bottini di guerra. In ogni caso la guerra si presentava come una esperienza straordinaria, ad un tempo sacra ed avventurosa, opposta alla routine della vita quotidiana borghese. Gli atteggiamenti del volontari nei confronti della guerra sono particolarmente rilevanti perché la nascita m.e.g. fu in larga misura opera loro. Il m.e.g. nacque dai resoconti, soprattutto sotto forma di poesie e di canzoni, dei soldati che tornavano dal fronte. Ma naturalmente non tutti i soldati resero pubblica la loro esperienza. La massima parte delle descrizioni dell’esperienza di guerra si devono al gruppo più entusiasta della guerra, ovvero una ristretta minoranza di giovani volontari colti (formati alla cultura del romanticismo) e di estrazione borghese.

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Page 1: Storia Contemporanea

George L. Mosse:

LE GUERRE MONDIALI

DALLA TRAGEDIA AL MITO DEI CADUTI.

Capitolo primo. Introduzione: una diversa specie di guerra.

L’epoca contemporanea è l’epoca delle masse. Così anche la morte in guerra è divenuta, nelle guerre della contemporaneità, una morte di massa. Nella prima guerra mondiale morirono circa 13 milioni di uomini un numero nemmeno comparabile con quello delle guerre precedenti (la campagna napoleonica in Russia, la più cruenta prima del 1914 era costata 400.000 vite).

Per i vertici di tutte le nazioni belligeranti e per le stesse popolazioni si pose il problema di rendere accettabile la morte di massa. A questo scopo fu costruito, in parte spontaneamente (dai volontari e dai reduci di guerra) e in parte deliberatamente (dalla propaganda) il mito dell’esperienza di guerra (m.e.g.).

Parte prima. Le fondamenta.

Capitolo secondo. Volontari in guerra.

Il m.e.g. affonda le sue radici nell’esperienza delle prime guerre nazionali (guerre della Rivoluzione francese e guerre di liberazione tedesca).Prima della Rivoluzione francese, le guerre erano state combattute da mercenari professionisti per la difesa o l’accrescimento della potenza di un monarca. L’Assemblea Legislativa, non disponendo delle risorse per pagare un esercito mercenario, introdusse l’arruolamento volontario dei cittadini. Il successo delle campagne napoleoniche mostrò la straordinaria efficacia di questo esercito di volontari.Dalla fine del ‘700 (con l’affermarsi in tutta Europa delle idee e delle pratiche del nazionalismo) in poi le guerre furono guerre nazionali, combattute in nome una nazione da una massa nazionalizzata. La potenza dell’idea di ‘nazione’ trasformò la guerra da affare di pochi a esperienza di massa.Lo stesso status di soldato subì una radicale trasformazione. Mentre i mercenari avevano costituito un gruppo marginale, temuto e disprezzato, la condizione di soldato–cittandino era ad un tempo altamente ammirata e alla portata di tutti.Per la prima volta i cittadini andarono volontari in guerra, convinti da motivazioni diverse:1) desiderio di combattere in nome della propria nazione;2) ripulsa della società impersonale, complessa e opprimente, ricerca di un nuovo senso del vivere;3) ideale del cameratismo e della virilità;4) impulso al saccheggio e aspettativa di ricchi bottini di guerra.In ogni caso la guerra si presentava come una esperienza straordinaria, ad un tempo sacra ed avventurosa, opposta alla routine della vita quotidiana borghese.Gli atteggiamenti del volontari nei confronti della guerra sono particolarmente rilevanti perché la nascita m.e.g. fu in larga misura opera loro. Il m.e.g. nacque dai resoconti, soprattutto sotto forma di poesie e di canzoni, dei soldati che tornavano dal fronte. Ma naturalmente non tutti i soldati resero pubblica la loro esperienza. La massima parte delle descrizioni dell’esperienza di guerra si devono al gruppo più entusiasta della guerra, ovvero una ristretta minoranza di giovani volontari colti (formati alla cultura del romanticismo) e di estrazione borghese.

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Un momento importante nella storia della costruzione romantica del m.e.g. fu la guerra d’indipendenza greca (1821–1831), che attirò volontari da tutta l’Europa. La Grecia rappresentava due diversi miti:1) era la culla della civiltà occidentale la cui antichità era esempio di virilità, eroismo e bellezza;2) era un paese esotico, favoloso ed affascinante.In Grecia il mito del volontariato in guerra fu efficacemente incarnato da Byron, la cui influenza segnò profondamente il m.e.g. in tutte le nazioni europee.

Capitolo terzo. La costruzione del mito: i simboli tangibili della morte.

Durante tutto l’Ottocento l’idea della morte subì una radicale trasformazione. L’atteggiamento cristiano verso la morte come ‘macabra mietitrice’, che esortava al pentimento e all’umiltà, lasciò il posto al concetto illuminista della morte come ‘sonno eterno’ e opportunità per l’ammaestramento dei vivi alla virtù.Questa trasformazione nelle rappresentazioni sociali della morte si riflesse nel mutamento della architettura dei cimiteri (la cui costruzione e cura divenne, dalla Rivoluzione francese in poi, compito dello Stato). I nuovi cimiteri dovevano avere un aspetto solenne (per sottolineare la sacralità della morte), ma acquietante (per facilitare l’elaborazione del lutto). Nei nuovi cimiteri le tombe erano immerse nella natura sotto forma di giardino all’inglese (come nel cimitero parigino del Père Lachaise, che ebbe massima influenza in Europa) oppure di bosco incontaminato (come nel movimento statunitense dei cimiteri–parchi).Per tutto l’Ottocento i caduti in battaglia erano lasciati sul campo o seppelliti in tombe di massa. La prima guerra mondiale comportò che per molte regioni non fu più impossibile continuare questa indifferenza verso i caduti1) svilupparsi al centro del m.e.g. di un mito dei caduti come martiri della religione della nazione;2) straordinario avanzamento di status del soldato;3) pressione della popolazione civile perché i loro cari avessero una sepoltura dignitosa.Si diffusero così rapidamente i cimiteri di guerra (per la prima volta separati dai cimiteri civili) che divennero presto luoghi sacri del m.e.g.Di fianco ai cimiteri di guerra come templi del m.e.g. e del nazionalismo si imposero i monumenti ai caduti. I monumenti, che prima della Grande Guerra i monumenti avevano celebrato principi o generali, vennero dedicati ai soldati comuni senza distinzioni di ordine e grado.

Parte seconda. La prima guerra mondiale.

Capitolo quarto. I giovani e l’esperienza di guerra.

La stragrande maggioranza della popolazione non voleva la guerra del ’14, non l’accolse con favore e tuttavia fece poco o nulla per rendere pubblico questo atteggiamento. Fu un’élite giovanile, ‘la generazione del 1914’ (che costituì nella storia dei volontari un apogeo di fanatismo mai più eguagliato), a monopolizzare la rappresentazione mass–mediatica della guerra trasferendovi la propria visione entusiasta. L’esaltazione di questi giovani è attribuibile:1) Alla rappresentazione irreale della guerra che la cultura romantica aveva diffusa tra la

popolazione civile. La guerra franco–prussiana era lontana ed era stata una guerra facile. Si era convinti che la guerra sarebbe stata breve (decisa in poche battaglie), avventurosa ed eroica, combattuta tra gentiluomini su campi fioriti.

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2) Al desiderio di dare un ordine nuovo al ‘caos di esperienza’ in cui si trovavano donne e uomini che vivano la transizione alla contemporaneità. La gioventù (soprattutto le sue avanguardie estetiche come i futuristi e gli espressionisti) si investì del compito di forgiare, anche attraverso la guerra, una società e un uomo nuovi e spiritualmente migliori opposti all’immobilità decadente della società borghese.

‘La generazione del 1914’ organizzò il m.e.g. in un complesso sistema di rappresentazioni:1) Virilità. Il concetto di virilità compendiava gli ideali umani della gioventù in un prototipo di

bellezza e forza fisica e spirituale. Malgrado l’importanza che le donne ebbero al fronte come infermiere, il m.e.g. fu fin da subito un mito largamente maschilista. La guerra era un modo di mettere a prova la propria virilità e il soldato volontario era l’incarnazione della virilità. Il contrario della virilità era la decadenza (sintesi di noia, esaurimento, debolezza, instabilità, solitudine) che era assieme un tratto del nemico ed una minaccia incombente sulla nazione.

2) Cameratismo. Di fronte alla crescente individualizzazione della società contemporanea il m.e.g. prometteva una straordinaria esperienza comunitaria. I membri della stessa squadra vivevano sempre assieme e dipendevano l’uno dall’altro per la sopravvivenza. Inoltre nel mito (non così nella realtà) l’esercito era un’istituzione meritocratica in cui le distinzioni sociali svanivano.

3) Modernità. La guerra sembrava capace di rinnovare gli uomini e le società costruendo una nuova civiltà in cui anche le forze della tecnologia moderna sarebbero state piegate al servizio della nazione.

Alla metà del novembre del ’14 fu chiaro che la guerra non sarebbe stata né breve né bella, ma un massacro quale l’Europa non aveva mai visto. La sognata guerra di movimento si trasformò presto in guerra di trincea. L’esperienza della trincea fu devastante per i soldati che dovevano vivere per giorni e giorni in uno spazio angusto, buio, freddo, sporco, fetido e melmoso, circondati da un paesaggio lunare, sotto il tiro dei nemici e a costante contatto con la morte.Si pose allora per i vertici delle nazioni belligeranti il problema di rendere la guerra e la morte di massa ai soldati e al fronte interno. La soluzione fu una propaganda gestita di Stato, che assorbì il m.e.g. così come era stato creato dai volontari e procedette a svilupparlo e diffonderlo ulteriormente.

Capitolo Quinto. Il culto del soldato caduto.

La principale funzione del m.e.g. era quella di rendere accettabile la morte di massa in guerra. A tale scopo si sviluppò un culto dei caduti che fu il centro del m.e.g. Il m.e.g. fece propri i temi del cristianesimo popolare e intimo e trascese la morte e la sofferenza dei soldati (paragonate a quelle di Cristo) presentandole come un atto di sacrificio e purificazione. Allo stesso tempo i caduti stessi, sempre rappresentati in gruppi di camerati, furono usati dalla propaganda come simbolo e sprone per i vivi. Sui soldati, nelle trincee questo culto non poteva avere una grande influenza, ma la sua importanza fu grande soprattutto tra i civili e dopo la guerra sui reduci.[Soltanto una volta lo spirito del natale divenne realtà nel mezzo della guerra: la vigilia del primo anno di guerra i soldati degli opposti schieramenti uscirono dalle trincee per fraternizzare. Norme rigorose furono immediatamente emanate da tutte le nazioni per impedire il ripetersi dell’episodio e fu messo in moto l’apparato della giustizia militare e della propaganda per rappresentare il nemico come un pericoloso animale da abbattere. Il primo Natale di guerra non si ripeté più]Il culto dei caduti fu una vera e propria religione laica come mostrano due ricorrenti polemiche:1) contro la produzione di massa di tombe e monumenti che fu percepita come profana e

irrispettosa della sacralità del culto dei morti;2) contro ogni forma di innovazione e funzionalismo (cimiteri e monumenti progettati per servire

anche da biblioteche o centri sportivi sollevarono pesanti critiche).

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Il culto dei caduti si espresse materialmente A) nei cimiteri di guerra, B) nei monumenti ai caduti, C) nelle Tombe del Milite Ignoto, tutti e tre costruiti per divenire i templi di questo culto, così come di quello della nazione e del m.e.g.A) In tutti gli eserciti furono create unità incaricate di prendersi cura dei caduti e furono fondate organizzazioni statali incaricate della progettazione e della manutenzione dei cimiteri militari, che, per il loro carattere sacro dovevano essere nettamente distinti da quelli civili (così come la morte in guerra era nettamente distinta dalla morte dei borghesi). Nei cimiteri di ogni nazionalità dominavano due ordini simbolici, l’uno legato all’immaginario cristiano l’altro a quello della natura.1) In Inghilterra i cimiteri–giardini avevano il loro centro nella Croce del Sacrificio e nella Pietra

della Rimembranza (la cui forma ricordava quella di un altare). Le tombe erano uniforme, ma fu permesso di incidere sulla lapide una iscrizione individuale;

2) Il Germania il principale architetto di cimiteri fu Tischler le cui preferenze andavano per i monumenti centralizzati e le tombe di massa. Egli progettò le Totenburgen poderose fortezze, le cui mura massicce circondavano uno spazio aperto con al centro una roccia o un altare. Molti furono anche gli Heldenhaine (i boschi degli eroi), foreste più o meno naturali, al cui centro stava una ‘quercia della pace’ o un monumento o un semplice masso.

3) In Austria prevalsero i boschi degli eroi.4) In Italia si diffusero i parchi della rimembranza in cui ad ogni caduto era dedicato un albero.B) I monumenti ai caduti della Grande Guerra si caratterizzarono 1) per il fatto che per la prima volta su di essi fu indicato il nome di tutti i soldati caduti, spesso senza distinzioni di grado (a dimostrazione che il m.e.g. era un mito sostanzialmente democratico); 2) per l’eroismo e la gloria che esprimevano (mostrare la miseria della guerra era percepito come blasfemo). Molti diversi simbologie si intrecciano sui monumenti di guerra:1) quella cristiana (per celebrare la morte come sacrificio);2) quella medioevale e legata alla mitologia nazionale (abbondavano spade, scudi e corazze);3) quella greca (mostrando i soldati nudi e virili come statue elleniche).C) Tutte le nazioni sentirono il bisogno di dare un centro al culto dei loro caduti, un luogo in cui le folle potessero partecipare a cerimonie e riti collettivi. La Tomba del Milite Ignoto assolse nella maggior parte dei casi a questa funzione.1) in Francia l’Arc de Triomphe costruito da Napoleone come monumento alla gloria militare della

Francia sembrò una scelta quasi necessaria;2) in Gran Bretagna la Tomba fu posta nell’Abbazia di Westminister, ma la funzione del centro del

culto fu svolta dal Cenotafio (tomba vuota);3) in Italia la Tomba fu situata nel Vittoriano, il monumento a Vittorio Emanuele II;4) in Germania mancò invece un monumento capace di fungere da centro del culto, l’impatto della

Neue Wache, costruita a tale scopo fu modesto, e il culto della nazione continuò ad essere celebrato presso diversi monumenti sparsi per il territorio nazionale.

Capitolo Sesto. L’appropriazione della natura.

La natura fu grandemente utilizzate dal m.e.g. ed essa fu un simbolo che rivestì molti ed importanti significati diversi:1) La natura additava alla patria natia (che non è mai rappresentata sotto le spoglie di una città,

anche se questa era l’esperienza che la maggior parte della popolazione aveva della propria patria) e all’eternità della sua bellezza tranquilla.

2) La natura rimandava ad un’arcadia preindustriale opponendosi ad una guerra e ad una realtà contemporanee sempre più legate alla tecnologia e alla macchina avvertite come spersonalizzanti e opprimenti.

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3) Nei cimiteri, la natura serviva a rasserenare il ‘sonno eterno’ dei caduti e simboleggiarne l’immortalità. In questa accezione i miti della natura furono innocui nelle nazioni vittoriose, ma servirono, in Italia e Germania, a rafforzare le idee nazionalistiche e bellicose.

4) La natura manifestava anche una potenza primordiale con cui gli uomini potevano confrontarsi per provare la propria virilità.

Per quanto riguarda l’ultimo punto due furono gli elementi che si imposero:1) La montagna. Dopo la guerra in Itali, Austria e Germania (soprattutto attraverso i film di

montagna) si diffuse una mistica della montagna. Le montagne simboleggiavano un elitismo che sollevava l’individuo al di sopra delle masse. Le idee di virilità e di lotta si trasferirono facilmente dalla guerra al mito della montagna (che divenne un surrogato della prima) e da questo di nuovo al nazionalismo. La gente delle montagna fu idealizzata come prototipo dell’uomo nuovo.

2) Il cielo e l’aviazione. Durante la prima guerra l’aeroplano era ancora nella sua infanzia e tuttavia attorno ad esso si sviluppo subito un mito potente. Il carattere avventuroso del volo, la solitudine del pilota, la conquista del cielo e della macchina erano tutti elementi che si prestavano alla costruzione del mito. Per descrivere la guerra del cielo furono usate metafore tratte dal mito della cavalleria e della caccia. Inoltre i piloti costituivano oggettivamente un’élite tra le forze armate e presto divennero simbolo dell’uomo nuovo.

Capitolo settimo. Il processo di banalizzazione.

Parallelamente al m.e.g. l’atrocità della guerra fu neutralizzata attraverso un processo di banalizzazione. La banalizzazione, facendo leva sulle reazioni immediate della gente e by–passando la mediazione intellettuale, favorì il m.e.g. ‘dal basso’ e fu per molti versi la sua trasposizione nella cultura popolare. La banalizzazione non poteva non entrare in conflitto con la sacralità del mito, eppure i due fenomeni convissero in quanto condividevano le medesime finalità e il medesimo universo simbolico.Il processo di banalizzazione da un lato introduceva la guerra nel quotidiano mostrandone la ‘normalità’, dall’altro la rappresentava in modo del tutto irrealistico cancellandone gli orrori. Trattare con leggere e persino umorismo gli aspetti più spaventosi della guerra permetteva alla gente di tenerli sotto controllo.Il processo di banalizzazione passò per vie diverse:1) La paccottiglia. Si diffusero in modo sorprendentemente rapido una serie di oggetti d’uso

quotidiano prodotti industrialmente che riproducevano elementi della guerra.2) La cartolina illustrata. Ai soldati al fronte venivano consegnate delle cartoline gratuite e già

affrancate per scrivere ai loro cari. Queste cartoline costituirono il più importante mezzo di comunicazione di massa della Grande Guerra e l’unico che mettesse a contatto le trincee con il fronte interno. Le illustrazioni rappresentavo una immagine disinfettata della guerra: la morte è raramente presente ed è comunque serena (assomiglia più al sonno), le ferite sono sempre leggere, la natura infonde un senso di serenità, le trincee appaiono come luoghi ameni. Molte cartoline sono umoristiche.

3) La guerra dei bambini. I bambini (soprattutto i maschi) furono oggetto e soggetto del processo di banalizzazione. Da un lato infatti, rappresentare la guerra come combattuta da ragazzi, tende a ridurla ad un gioco da bambini e a simboleggiare la continuità tra le generazioni. Dall’altro i bambini furono abituati alla guerra attraverso una rapidissima diffusione dei giocattoli di guerra (popolarissimi i soldatini di piombo) i giochi bellici, i libri per ragazzi.

4) Il teatro ed il cinema. Eccezion fatta per i drammi tradizionali e per i ‘tableaux vivants’, la maggior parte delle produzioni teatrali postbelliche, così come tutto (o quasi) il cinema, avevano intenti di intrattenimento e presentavano la guerra come melodramma o come vicenda romantica ed avventurosa.

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Nel cinema, così come nella fotografia, si rileva una totale mancanza di realismo (da sole le difficoltà tecniche rendevano impossibile riprendere in prima linea). Anche i cinegiornali furono piegati all’obbiettivo di incoraggiare lo spirito patriottico e di mascherare la guerra rendendola accettabile. La manipolazione delle immagini rese possibile alla propaganda di costruire una guerra del tutto diversa da quella reale (è netto il contrasto con la seconda guerra mondiale i cui orrori furono mostrati con piena sincerità).

5) Il turismo. Subito dopo la guerra i campi di battaglia e i cimiteri militari furono meta di pellegrinaggi organizzati dagli stessi stati per favorire il colto del m.e.g. Ma presto il pellegrinaggio fu affiancato e progressivamente sostituito dal turismo di massa (che si era andato sviluppando a partire dalla metà dell’800).

Parte terza. L’età postbellica.

Capitolo ottavo. La brutalizzazione della politica tedesca

La massiccia propaganda bellica e il m.e.g. non potevano non produrre effetti anche in tempo di pace. Gli atteggiamenti mentali della guerra si prolungarono anche dopo la fine di questa e si manifestarono soprattutto nella lotta (in senso letterale) politica che divenne per molti un surrogato dell’esperienza della guerra. L’intensità della brutalizzazione dipese in gran parte dalla forza che i gruppi estremi riuscirono a mobilitare e fu maggiore nelle nazioni sconfitte (soprattutto la Germania).Fu maggiormente la destra, che da sempre si era presentata come la depositaria del m.e.g. e del culto della nazione, a farsi interprete di questa brutalizzazione. Ciò costituì un vantaggio non indifferente (che spiega in parte il successo dei fascismi). Il processo di brutalizzazione era stato innescato dalla guerra, ma non fu la guerra a crearlo. Esso fu piuttosto una derivazione di un’epoca nuova di politica di massa, le cui esigenze furono comprese meglio dalla destra che dalla sinistra.Cinque furono le dimensioni lungo le quali si realizzò il processo di brutalizzazione:1) I soldati che erano stati dal fronte, dove non c’era stato spazio per la santificazione della morte,

tornarono a casa persuasi dello scarso valore della vita umana. La morte veniva banalizzata, sbeffeggiata, diventava parte della irrealtà della guerra.

2) La guerra aveva realizzato l’aspirazione a compiere esperienze fuori da confini della civiltà nell’ambito degli istinti primordiali.

3) Il m.e.g. aveva creato un’ossessione della virilità. I giovani uomini si trovavano di fronte alla impellente necessità di dimostrarsi virili e spesso la virilità era identificata con la risolutezza e la violenza.

4) Il cameratismo, che era stato un ideale positivo finché era rivolto verso l’interno, si fece più egoistico e divenne un arma rivolta all’esterno contro i nemici del gruppo, che dovevano essere schiacciati.

5) La propaganda aveva dovuto legittimare l’omicidio di massa e le atrocità contro nemico. Nelle guerre precedenti si erano date risposte che si concentravano sulla guerra presente, invece durante la prima guerra mondiale il nemico fu disumanizzato e si chiese la sua resa incondizionata. Fu introdotta una visione manichea fatta di nette distinzioni tra amico e nemico. Il nemico era stato presentato come un animale da abbattere senza alcuna compassione, come la sintesi di tutti i mali della nazione e il responsabile di ogni sorta di atti comunemente considerati riprovevoli. Questa visione si trasferì facilmente dal nemico di guerra all’avversario politico e da questo ad ogni individuo che fosse per qualche ragione diverso.

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In Germania furono i protagonisti del processo di brutalizzazione furono i Corpi Franchi, organizzazioni paramilitari composte da reduci e da giovani che tentarono di schiacciare la rivoluzione in patria, di scacciare i bolscevichi dagli Stati baltici e di difendere l’Alta Slesia contro i polacchi. Essi furono responsabili di brutali assassini e violenze omicide (per cui coniarono il termine ‘shädlingsmord’ estirpazione di una persona nociva) eppure attorno a loro si sviluppò un mito che ne faceva gli eredi del m.e.g. e gli uomini nuovi della nazione.La Repubblica non seppe opporsi con sufficiente decisione a questa brutalizzazione, anzi utilizzò i Corpi per domare le rivoluzioni di Berlino e Monaco e il suo apparato giudiziario si mostrò indulgente verso i crimini politici (la corte suprema tedesca decretò che poteva darsi una emergenza extralegale della nazione tale da sottrarre l’omicidio alla piena sanzione; nel 1930, tutti i colpevoli di omicidi politici commessi prima del ’24 furono graziati).

La visione manichea della realtà si tradusse in un processo di stereotipizzazione e omogeneizzazione in gruppi opposti ed in una pressione schiacciante nei confronti della conformità. Il razzismo emerse prepotentemente dal desiderio delle classi medie di una società compatta e dalla necessità di individuare in tempo di pace un nemico ed un capro espiatorio per tutte le tensioni nazionali.

Il linguaggio stesso si irrigidì e si fece più brutale. La parola ‘shädling’ (nocivo) fu trasferita dalle erbacce agli essere umani, si parlò di ‘untermensch’ (sotto uomo). La parola ‘fanatico’ assunse una connotazione positiva e l’aggettivo ‘eroico’ fu quanto mai abusato. Il ‘kämpferish’ (spirito battagliero) sostituì la discussione razionale. L’espressione ‘materiale umano’ e altre forme di meccanizzazione ebbero un effetto disumanizzante. Infine con gli aggettivi, pretesi qualificativo, di ‘ebrei’ e ‘bolscevichi’ la destre etichettò tutti i suoi nemici interni ed esterni.

Capitolo nono. Lo sfruttamento della guerra.

Nel periodo tra le due guerre la sensazione che la guerra non fosse finita fu largamente diffusa soprattutto in quei paesi in cui la transizione alla pace fu più lenta e problematica. La continuità fu propagandata dalla destra fascista che si presentò come erede del m.e.g. ed identificò i propri martiri con i caduti di guerra.La lingua fu un veicolo importante di questa continuità. Il termine tedesco ‘Einsatz’ (ordine di marciare) venne impiegato per qualunque servizio richiesto dallo Stato o dal partito e la parola ‘fronte’ divenne fenomeno di avanguardia.

Il m.e.g. non fu però dominio esclusivo della destra politica, al contrario esso influenzò (anche se molto meno intensamente) anche la sinistra. Con lo scoppio della guerra civile spagnola prese forma una nuova ondata di volontari (l’ultima destinata ad avere rilievo ideologico), che si schierò nelle Brigate Internazionali dalla parte della Repubblica. Questi volontari erano simili da quelli precedenti quanto alle forme, ma diversi quanto ai contenuti del loro entusiasmo (combattere contro il fascismo per la libertà, la democrazia e l’uguaglianza), della loro ideologia (internazionalista ed antifascista) e nel m.e.g. che promossero monopolizzando i mezzi di comunicazione di massa (legato a quella guerra particolare, non alla guerra in generale).

Subito dopo la fine della Grande Guerra parve a molti pacifisti che il conflitto fosse stato il loro miglior alleato. Il successo delle idee pacifiste fu diverso nei diversi paesi:1) In Germania il movimento ‘Mai più guerre’ ebbe successo fino a quando fu sostenuto dai

sindacati e dal Partito socialdemocratico, ma quando l’alleanza venne meno (perché la Repubblica dovette servirsi della violenza per difendersi dai suoi nemici) il pacifismo tedesco fu relegato nella posizione di una setta.

2) In Italia il pacifismo era debole e fu bloccato dall’avvento al potere del regime fascista.

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3) In Francia il pacifismo riuscì a mantenere una base politica in un ampio settore del Partito socialista.

4) In Inghilterra si ebbe il più forte movimento pacifista tra quelli attivi tra le due guerre. Esso poteva contare sulla tradizione evangelica, sull’appoggio del Labour Party e sulla efficace leadership di H.R.L. Sheppard.

Ad ogni modo il pacifismo non riuscì mai a diventare il credo della classi medie e nemmeno di quelle inferiori. Per quanto successo possano aver avuto questi movimenti e la letteratura pacifista (tra cui il celeberrimo Niente di nuovo sul fronte occidentale di Enrch Maria Remarque) essi non costituirono mai un ostacolo di rilievo al m.e.g.

Capitolo decimo. La seconda guerra mondiale, il mito e la generazione postbellica.

Con la seconda guerra mondiale si assiste all’inesorabile declino del m.e.g. Nonostante il massiccio sforzo propagandistico dei fascismi, non ci fu nel ’39 alcun entusiasmo nella popolazione e nemmeno tra i giovani. In seguito poi, data la scala del coinvolgimento della popolazione civile, la propaganda dovette prendere atto che non era più possibile tenere celato l’orrore della guerra, né esaltarne la gloria. Si assistette così ad un maggior realismo informativo che assieme ad una diffusa esperienza della realtà della guerra favorì il definitivo declino del m.e.g.Nel dopoguerra le forze che avrebbero potuto mantenere in vita il m.e.g. erano in gran parte screditate. L’impatto politico dei volontari fu modesto, nei paesi occupati essi erano considerati traditori e in Germani la vergogna del passato si accompagnò al desiderio di dimenticarlo al più presto. La sconfitta fu per la Germania e l’Italia devastante e totale e demolì completamente gli iniziatori della guerra e le loro ideologie. Il desiderio di pace era pressoché universale.I nuovi cimiteri e monumenti ai caduti abbandonarono le simbologie sacre ed eroiche e furono concepiti come ammonimenti contro gli orrori della guerra (si decise persino di lasciare in piedi alcune rovine). Alla rappresentazione dei caduti come eroi si sostituì quella dei caduti come vittime.Il processo di brutalizzazione continuò, ma a causa dei mezzi di comunicazione di massa e senza alcuna connessione diretta con la seconda guerra mondialeVa rilevata la importante eccezione dell’URSS. Qui la prima guerra mondiale non aveva dato luogo al m.e.g. perché essa era stata avversata da bolscevichi, quindi la seconda si insediò al suo posto.Rilevante è stato l’impiego della bomba atomica e la sua integrazione nei normali arsenali. Di fronte ad una minaccia di annientamento universale, che va oltre la capacità di comprensione, pare si sia verificato un ottundimento: uomini e donne hanno preferito badare ai propri affari sublimando la loro paura.

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Corso di storia contemporanea 2009-2010 Hitler e l'enigma del consenso di Ian Kershaw Introduzione "il potere di Hitler: un enigma" Tutto in Hitler lasciava prevedere un futuro di mediocrità, non venne ritenuto idoneo a promozione perché non in possesso delle necessarie capacità di comando. I suoi commilitoni lo consideravano strano, bizzarro e introverso e pochi si accorgevano di lui nonostante coltivasse già opinioni estremistiche. Per la sua formazione fu cruciale la prima guerra mondiale perché essa rafforzò i pregiudizi già latenti e la sconfitta tedesca che lo traumatizzò. Quando, dimesso dall'ospedale, restò al servizio dell'esercito con compiti di sorveglianza sui gruppi estremistici entrò in contatto con il partito tedesco dei lavoratori formazione di estrema destra e egli dimostrò di possedere una capacità insolita di esprimere il più volgari pregiudizi e risentimenti populistici in formule capaci di far presa sugli ascoltatori. Non aveva esperienza politica né posizione di prestigio. Ottenne la cittadinanza tedesca nel 1932 e si può dire che fosse un vero outsider: quello che offrì fu una serie di fobie ideologiche e un talento demagogico fuori dall'ordinario, una capacità di far leva su gli istinti più bassi delle masse utilizzando modi stravaganti. Nel 1933 molti davano per certo che il successo di Hitler fosse limitato, di breve durata ed è difficile spiegare perché avvenne il contrario; bisogna capire come riuscì a consolidare e ampliare le basi del suo potere e quindi comprenderne presupposti, modificazioni di rapporti di forza e effetti che la autorità di Hitler produsse sulle strutture governative e amministrative. Gli storici hanno difficoltà nel trovare l'equilibrio interpretativo tra il ruolo delle singole personalità e l'importanza delle strutture e delle forze oggettive come fattori determinanti dello sviluppo storico: a) ad un estremo si collocano le spiegazioni di matrice marxista-leninista che, privilegiando le strutture sugli individui, minimizzano l'importanza del ruolo svolto da Hitler e negano l'esistenza di qualsiasi spazio per l'esercizio del potere personale autonomo. Quindi per loro Hitler fu un'espressione del potere dei gruppi più reazionari che ne avrebbero preparato l'ascesa utilizzandolo come portavoce, fornendogli gli strumenti base per risollevare l'economia capitalistica dalla crisi e avviare l'espansione. Allora i veri padroni della Germania hitleriana furono i magnati dell'industria e della finanza che piegarono la politica nazista ai loro interessi. b) gli storici occidentali tendono a sopravvalutare le capacità di influenza degli industriali e la totale chiusura di fronte al fatto che, in particolari circostanze, una forma di dominio personale può emanciparsi dagli interessi economici. c) la storiografia liberale, invece, ha tendenzialmente esaltato l'importanza delle singole personalità nella storia. Nei primi anni del dopoguerra, la spiegazione del nazismo tese a identificarsi strettamente con la persona di Hitler, tanto da ingenerare l'idea che l'influenza diabolica di quell'uomo avesse potuto traviare un'intera nazione (Albert Speer lo definì una figura demoniaca). La storiografia marxista ha ammesso di non avere ancora la più pallida idea di come si possa fare un'analisi del potere personale del leader nazista nel periodo tra le due guerre, quindi la riflessione sul ruolo di Hitler e sulla natura ed estensione del suo potere è stata finora dominio della storiografia non marxista. In tempi recenti gli approcci sono stati classificati come intenzionalista, che dà per scontato il ruolo dominante del potere assoluto hitleriano all'interno del terzo Reich e considera la storia del nazismo come la storia della realizzazione programmata della visione ideologica del dittatore (contò solo la Weltanschauung di Hitler), e approccio funzionalista che sottolinea come le decisioni politiche del dittatore fossero condizionate da fattori strumentali, economici, o dal funzionamento di alcuni meccanismi-base del sistema di potere nazista; l’ideologia hitleriana non sarebbe un programma organicamente realizzato ma un canovaccio per l'azione, ciò ha messo in dubbio l'ampiezza del raggio d'azione del dittatore, la sua autonomia da condizionamenti esterni e la sua capacità di incidere realmente sulle scelte politiche. Possiamo riconoscere assolutamente alcuni punti:

o Hitler ha ricoperto un posto assoluto, di rilievo nella storia tedesca degli anni 1933-1945 e il suo ruolo nei fatti di quel periodo fu determinante anche se, nell'analisi storica, contano davvero le intenzioni di personaggi in primo piano ma anche le condizioni esterne.

o Il potere di Hitler fu qualcosa di reale ma prodotto dalla collaborazione e dalla tolleranza, dagli errori di calcolo, dalla debolezza di altri soggetti detentori di potere e influenza. La progressiva estensione del potere di Hitler fu dovuta alla loro disponibilità a fare

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concessioni e alla loro arrendevolezza fino al punto in cui la sua carica distruttiva cominciò a esercitarsi su tutto rendendo impossibile la sopravvivenza di un'autorità politica razionale.

Queste affermazioni conducono a quattro osservazioni: 1) l’esercizio del potere di Hitler fu fortemente condizionato dal potere simbolico che emanava dalla figura del Fuhrer 2) l'assunzione del comando da parte di un individuo o di un gruppo avviene a spese della perdita di potere di un altro individuo o un gruppo, ma ciò non esclude la possibilità che 2 o più individui o gruppi estendano, temporaneamente, il loro dominio a danno di una terza fazione: il crollo delle istituzioni democratiche e andò a vantaggio non solo di Hitler e del partito nazionalsocialista, ma anche delle tradizionali elite di potere 3) l’iniziale cartello di potere comprendente la componente nazista e alcuni settori della vecchia classe dirigente con il passare degli anni iniziò a sfaldarsi a causa di lotte intestine e la posizione stessa di Hitler fu rafforzata dall'emergere delle componenti a lui più legate = processo di graduale assolutizzazione del potere hitleriano a spese degli altri elementi che componevano il sistema di dominio della Germania nazista 4) di Hitler si parla come di titolare di potere carismatico. Da parte marxista, il concetto di potere carismatico è difficilmente compatibile con l'esistenza di uno Stato capitalista ma si sviluppa nei momenti di crisi. Nello Stato capitalista alla base del potere politico è l'ufficio e la funzione che tale ufficio assolve, il potere è impersonale. Ma nella Germania dei primi anni trenta, dove si assisteva a una crisi sociale ed economica gravissima, il meccanismo impersonale di funzionamento del potere fu sottoposto a un attacco da parte di coloro i quali da quello stesso potere si sentivano minacciati ed iniziò ad emergere un atteggiamento diffuso che portò ad accettare la creazione di un sistema di governo radicalmente diverso da quello precedente. È chiaro che il potere carismatico può instaurarsi solo a seguito di una crisi di proporzioni inusitate e che esso non può sostituirsi alle strutture burocratico-razionali ma vi si deve sovrapporre; nella Germania degli anni trenta il potere carismatico si trasformò in una forza dalla potenza straordinaria e si consolidò come fattore dotato di un eccezionale capacità corrosiva e distruttiva. A rafforzare le richieste di una leadership forte contribuì l'impatto traumatico della guerra e una cultura politica molto peculiare immaginata in maniera eroica a causa della storia nazionale vista spesso come lunga preparazione a un'unità della nazione conseguita in ritardo, in modo parziale e formatasi attraverso guerre. Nei primi anni trenta queste idee tornarono alla ribalta e portarono ad appoggiare chi, come Hitler, poteva rivendicare a se stesso la qualità eroica del capo carismatico, forte dell'appoggio dell'organizzazione che sembrava dotata di quelle qualità carismatiche da sembrare una comunità carismatica essa stessa. Tuttavia i rapporti della comunità carismatica con il dittatore carismatico erano di tipo arcaico e quasi feudale fondati sul riconoscimento della missione del capo; destinatari del carisma furono all'inizio solo gli attivisti del movimento che dovevano diffondere il messaggio delle grandi imprese del loro capo, i funzionari dell'organizzazione, le SS (che dovettero la loro esistenza e influenza allo stretto rapporto che le legava al Fuhrer) e i devoti di Hitler diffusi nella popolazione insieme agli ammiratori più prudenti e ai sostenitori più tiepidi. L'analisi del potere hitleriano affronterà il suo duplice fondamento nella repressione e nel consenso e le sue manifestazioni una volta raggiunta l'autonomia e il dominio assoluto, ma anche le concessioni fatte al potere da parte di gruppi dirigenti non nazisti che pur avendo poca fiducia in esso, erano disposti diventarne complici o tollerarlo, e la forza disgregatrice del potere carismatico ovvero il modo in cui corrose tutte le strutture e gli schemi razionali di governo e di amministrazione culminando nel delirio distruttivo finale; il filo sotteso all'analisi sarà influenza dissolvitrice dell’arbitrio personale sulle forme di dominio impersonali e regolate, l'impatto corrosivo della dominazione carismatica sui fondamenti legali dell'autorità politica. Per attribuire a Hitler le doti carismatiche un punto chiave fu senza dubbio la percezione dell'adeguatezza delle sue qualità personali alle richieste del momento, la concordanza delle sue promesse di salvezza con le diffuse aspettative di soluzione della crisi tedesca. Capitolo 1 "il potere dell'idea" Il fascino esercitato da Hitler sul gruppo dei suoi adepti deriva dalla forza di convinzione della sua idea, del suo credo politico e dalle sue straordinarie capacità demagogiche. Il suo stile di vita era ripetitivo ma allo stesso tempo originale: aveva un’enorme fiducia nella sua preparazione culturale da autodidatta e nelle sue doti intellettuali, disprezzando coloro che erano dotati di un'educazione

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formale. Sapeva mostrare grande sensibilità anche per le cose più banali ed aveva un fortissimo senso di lealtà. Ma, spogliato della sua filosofia politica, come uomini s'è era mediocre e furono proprio il suo credo politico e la convinzione con quello manifestava a trasformarlo in una personalità dotata di eccezionale dinamismo. Prese da sole le idee, non bastano a spiegare il successo che era per, devono essere collegate alla presa che egli stesso tennis le masse; egli infatti nostre certezze su singole scelte politiche ma mai dubitò della giustezza delle proprie idee. Il nucleo essenziale della sua Weltanschauung era costituito da: la concezione della storia come lotta tra razze, l'antisemitismo radicale, la convinzione che il futuro della Germania potesse essere assicurato solo dalla conquista dello "spazio vitale", l'idea della necessità di uno scontro distruttivo contro il marxismo e con la sua incarnazione del "bolscevismo giudeo" vittorioso in unione sovietica. A queste idee Hitler rimase fedele per vent'anni e più, soprattutto perché gli obiettivi ideologici da esse derivanti trovarono fazione nella seconda guerra mondiale. Il processo di conversazione dei suoi diversi pensieri giunse pieno compimento nel 1924 con la stesura del Mein Kampf, e da quel momento conobbe poche modifiche. I primi e più odiati i suoi nemici erano gli ebrei, è plausibile che tale timore gli derivasse dal temere che suo padre fosse ebreo; ma le vere cause della mania antisemita di Hitler sono a volte nell'ombra. Con certezza il senso di frustrazione da lui provato nel constatare la differenza fra l'alto concetto che aveva di sé e la sua vita di artista fallito, si focalizzò sul capro espiatorio che sembrava racchiudere in sé tutti i mali e gli forniva una spiegazione del suo fallimento personale e la prova che la storia era dalla sua parte. Già quando abitava a Linz era un ammiratore e leggevano previste antisemita, ma certamente le sue vesti radicalizzarlo durante la sua permanenza a Vienna durante la quale il sua mutismo divenne radicale. Una volta riconosciuti gli ebrei come colpevoli di tutti i mali, ed elevata questa convinzione a base della sua visione del mondo, prese forma un'ideologia basata sull'avversione più accesa nei confronti della società del tempo, unita alla visione utopistica dell'ordine futuro fondata sull'autorità e sul potere di uno Stato nazionale tedesco etnicamente puro. Negli anni della guerra poi sviluppò la concezione della storia come lotta tra razze in cui la più forte era destinata a vincere. Durante la degenza in ospedale maturò la decisione di intraprendere la carriera politica, ma il primo coinvolgimento nella politica attiva si deve l'acquisita consapevolezza dell'effetto prodotto dalla sua abilità dialettica sui suoi ascoltatori. Bersaglio principale delle sue idee era trattato di Versailles e in quest'ottica la nemica della Germania era l'alleanza franco-britannica mentre gli ebrei erano attaccati in quanto agenti del capitale finanziario. A orientare di nuovo il suo pensiero fu l'influsso di un poeta (Eckart) e di Rosenberg e Scheubner-Richt. Il primo contribuì alla sua visione filosofica della lotta al liberalismo come presupposto di una rivoluzione, gli ultimi due lo convinsero nei rapporti tra ebraismo e bolscevismo rafforzando le sue idee sulla radice ebraica del bolscevismo e convincendolo dell'esistenza di una cospirazione mondiale ebraica come quella che si poteva vincere dalla lettura dei protocolli dei Savi di Sion. Conciata alla vigilia della stesura del Mein Kampf la parola d'ordine era lo sterminio del bolscevismo giudeo che quindi si concluse con la lotta alla Russia bolscevica. Nel 1918, incaricato di tenere un seminario sul capitalismo, quando ancora le espressioni pubbliche del suo antisemitismo avevano come bersaglio il capitalismo, affermò che gli ebrei erano una razza e sostenne la necessità di combattere con strumenti razionali. Il loro potere gli sembrava l'espressione massima del potere del capitale; ancora non si faceva parola del marxismo benché vedesse negli ebrei principali manovratori delle forze della rivoluzione e nel 1920 mise in primo piano la richiesta della revoca dei diritti civili agli ebrei. Già allora suggerì di prevenire l'azione degli ebrei volta alla demolizione della nazione tedesca, rinchiudendoli in campi di concentramento. Nel febbraio 22 il suo unico interesse era la questione ebraica e il programma del partito nazista aveva un unico punto: il rifiuto di considerare gli ebrei membri della comunità nazionale. Ora venivano attaccati come ispiratore del marxismo e della manifestazione della rivoluzione bolscevica. Durante il processo per il fallito putsch del 8-9 novembre 23 dichiarò che suo obiettivo era quello di sconfiggere il marxismo ha credo che il movimento nato dal socialista riconosceva nel suo unico nemico. Quando la stampa ebraica notò che gli ebrei non erano più menzionati nella lotta, Hitler le spose che la questione ebraica non interessava solo la Germania ma tutte le nazioni del mondo. Nel 1922 identificava la missione del popolo tedesco nella lotta contro bolscevismo e contro la minaccia mortale dell'ebraismo, lo Stato era uno strumento per conservare la razza e questo sarebbe diventato il fine principale del politica. La nuova visione dell'obiettivo del partito nazionalsocialista (distruggere il marxismo) comportò una nuova visione geopolitica: dalle

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rivendicazioni coloniali ha un'idea di espansione a scapito della Russia e se in passato aveva caldeggiato l'idea di un'alleanza con la Russia antibritannica, ora considerava necessario di avvicinarsi alla Gran Bretagna per espandersi a spese della Russia. In Russia e bolscevismo del re aveva distrutto e rimpiazzato da vecchia classe dirigente formata da elementi di stirpe germanica e, pensando che la missione del movimento nazionalsocialista fosse di dare popolo tedesco la forza necessaria per porre fine al dominio ebraico in Russia, identificò in sé stesso il leader che poteva condurre vittoriosamente questa missione. Mentre nel 22-23, acceso dal successo di Mussolini, affermò che il suo compito era solo preparare il popolo al futuro dittatore, due mesi dopo affermò, scienze stesso le qualità necessarie di leader. Già alla metà degli anni venti sia il suo pensiero che il suo ruolo erano definiti, con una certezza che era capace di trascinare anche i seguaci più timidi. Il suo più grande talento era la volgarizzazione semplificatrice e il dialogo con le masse e già nel 22-23 nacque attorno a lui un culto della personalità. Da questo momento in poi verso di lui crebbe una fiducia come leader futuro della nazione tedesca, una fede verso questo nuovo Messia politico che illuminò molti del suo stesso ambiente gettando le basi della "comunità carismatica". Egli stesso si vedeva come unione di biologo e politico, di colui che pensa e colui che agisce e ciò gli conferì lo status inattaccabile di unico uomo in grado d'incarnare l'idea e tradurla in azione. Tuttavia le questioni pratiche nelle decisioni quotidiane di era tutt'altro che sicuro di sé ma questa flessibilità delle singole e attorno al sistema generale si rivelò di grande utilità quando le circostanze richiedevano di privilegiare un aspetto rispetto a un altro, con la convinzione che un giorno questa visione sarebbe divenuta realtà. Questo fu il vero potere dell'idea. Capitolo 2 “alla conquista del potere” tre sono i livelli di analisi: 1) il processo che portò Hitler ad assumere il controllo indiscusso sul partito nazionalsocialista 2) come riuscì a guadagnare consensi al di là degli ambienti della destra nazionalsocialista per ottenere voti di un terzo dell'elettorato e legittimare le sue pretese di potere in quanto unico uomo in grado di guidare le masse 3) il percorso che condusse interessarsi alla persona di Hitler importanti settori non nazisti della società tedesca e che poi spinse quelle figure ad accettare la sua ascesa al potere. Risposta dei nazisti alla domanda "perché negli anni trenta il potere dello Stato tedesco finì proprio nelle mani di un outsider come Hitler" fu che era solo espressione del trionfo della volontà, della lotta contro il male. Questa leggenda di partito aveva valore ovviamente propagandistico perché nulla fu inevitabile nel trionfo di Hitler nel gennaio 1933: nel determinare successo di Hitler più decisivi dei comportamenti del Fuhrer stesso fu lo svolgersi casuale di certi eventi e gli errori di calcolo delle forze conservatrici della società tedesca. Il movimento Il partito nazionalsocialista nacque nel 1919 come una delle oltre 70 formazioni di estrema destra della Germania dell’epoca e fu lo stesso Hitler a scatenare una lotta tra le formazioni terminata con la crescita della sua posizione di capo del partito. Dopo il putsch del 1923 il partito si divise e continuò la lotta tra fazioni anche dopo il 1925 nonostante il partito fosse stato da poco rifondato. Perfino dopo il 1930, mentre il ruolo del partito si andava rafforzando, vi erano lotte interne e minacce di ribellione da parte dell’ala paramilitare, le SA. Quindi era un movimento instabile composto da fazioni e interessi in contrasto che forse si sarebbe distrutto se non ci fosse stata la figura di Hitler che spingeva i capicorrente a dare una parvenza di unità e faceva diffondere il culto del capo. L’autorità carismatica fu il principale fondamento del movimento e conferì al futuro dittatore un’aura di grandezza che instillò, non solo in lui, la convinzione che possedesse le doti necessarie a guidare il nuovo grande futuro della Germania. Hitler divene il primo oratore della NSDAP nel 1921 e in un solo anno tenne più di 30 comizi, con il risultato di portare al partito 1300 iscritti in più: i suoi discorsi facevano presa sui piccoli borghesi ma anche su ricchi e influenti personaggi dell’elite sociale e politica della città. Attraverso Rohm strinse contatti con importanti ufficiali dell’esercito e già in quell’anno aveva oscurato la figura del capo del partito e co-fondatore. Quando Drexler, approfittando di un’assenza di Hitler mise in atto i suoi piani di fusione con i rivali nazional-sciovinisti, Hitler abbandonò il partito provocando una crisi che si risolse solo con la mediazione che gli attribuiva egemonia assoluta.

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Alla fine del 1922 il movimento contava 20000 iscritti e 55000 nel 1923. A partire dal 1921 si dotò anche di una formazione paramilitare, le SA. Senza l’abilità oratoria di Hitler il partito non sarebbe cresciuto così esponenzialmente, ma senza appoggi esterni e il sostegno degli ambienti più influenti della società dell’epoca, Hitler sarebbe rimasto un agitatore da birreria. Furono proprio alcuni personaggi ricchi e convertiti al movimento che lo introdussero nei salotti della borghesia della capitale bavarese e il feldmaresciallo Ludendorff lo raccomandò presso ambienti che altrimenti gli sarebbero stati preclusi. Non solo Hitler e la NSDAP furono protetti dalle autorità bavaresi, ma da esse ricevettero anche sostegno finanziario per combattere il “pericolo rosso”. Grazia a Rohm che si occupò di acquistare gli armamenti, nel 1923 le SA potevano disporre di armi, veicoli e altro materiale bellico, pronte per orchestrare l’ascesa di Hitler a capo del movimento. Durante la sua prigionia, il partito si disgregò a conferma della sua fondamentale leadership e nonostante la sua ricostituzione nel 1925, l’anno successivo era ancora in crisi, ma questa volta Hitler disponeva della forza adatta per fronteggiarla. Le cause di questa crisi erano: la scarsa popolarità di alcuni leader, la vaghezza del programma del 1920 e contrasto rispetto alla strategia politica adottata dal partito. A spingere Hiter ad accettare il ruolo di capo fu il riconoscimento del suo programma come programma del partito e l’accettazione del principio che la condotta del capo doveva coincidere con il rispetto del programma = la legittimazione della sua leadership derivava dalla capacità di fare della sua missione il veicolo di incarnazione dell’idea. Hitler rimase inattivo fino al 1926, per le questioni di ordinaria amministrazione aveva delegato; entra in azione solo quando fu costretto a farlo intervenendo durante una conferenza in cui ribadì la missione di distruggere il bolscevismo giudeo e cercando l'appoggio dell'Italia dell'Inghilterra per suo compito: soprattutto stabilì l'identità della sua persona col programma mettendo in chiaro che discutendo Hitler si discuteva l'idea e la memoria dei martiri del putsch. L'opposizione svanì nel nulla. Nel 1926, il primo congresso della NSDAP si trasformò in manifestazione di fedeltà a Hitler, il programma fu dichiarato immodificabile; la crisi era stata superata e tutto il potere di decisione ideologica e organizzativa e risiedeva nelle mani di Hitler: la NSDAP diventava partito carismatico. Nel 1926 il quadro politico sembrava molto stabile, senza lo scoppio della crisi del 1929 sarebbe rimasto tale. Alla fine degli anni 20 molte formazioni di destra in via di estinzione confluirono nel movimento nazionalsocialista in cui il culto della personalità venne istituzionalizzato; il programma del partito era tutt'uno con la persona di Hitler anche se questo programma non si presentava come un insieme di abitini chiari e fissati modo netto, veniva richiesto ad esso un atto di fede incondizionata in dogmi che Hitler stesso incarnava. Hitler mantenne sempre le distanze dalle componenti più radicale del movimento, e i principali dirigenti nazisti facevano a gara nel dimostrare a lui la loro devozione. Anche se i contrasti continuarono fino alla fine del 1932, la posizione di Hitler era così forte che la sua decisione di espellere di elementi non suscitava nessuna reazione. Quando nel 1932 il secondo uomo della NSDAP per insanabili contrasti dovette dimettersi, non riuscì a trascinarsi dietro nessuno e neanche per un momento mise in dubbio la leadership hitleriana. Egemonia di Hitler prese forma gran parte emiliani compresi fra 1925 e 1928 e quando nel 1929 iniziò l'ascesa elettorale del partito la sua natura di partito carismatico faceva sì che fosse conosciuto come movimento hitleriano; era stabilita l'autorità assoluta di Hitler e furono gettatele basi per creare la comunità carismatica. Le masse Pochi elettori della NSDAP avevano conosciuto Hitler di persona e si erano creati un'immagine abilità dalla propaganda;la maggioranza di coloro che votarono per NSDAP non lo fece per adesione al programma ma per questioni locali, per calcolo legato a interessi privati o pensando che Hitler non avrebbe fatto peggio di altri, nei villaggi inoltre la popolazione votò a favore del nazismo spesso seguendo l'esempio di alcuni notabili. Quindi in Hitler non fu né l'unico nel principale fattore che spinse le masse a votare per lui perché molto di più potere la convergenza di un'intera gamma di motivazioni materiale e sociali anche su una volta entrati nell'orbita nazionalsocialista tutti soggiacevano alle sue abilità oratorie e alla sua immagine carismatica. Il 18,1% dei soggetti presi in considerazione in un sondaggio indicavano in Hitler la motivazione ideologica dominante nella decisione al voto. Uno dei pregi dell'idea era la sua vaghezza, la

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capacità di suscitare la visione di un futuro eroico per una Germania rigenerata e risorgente dalle ceneri prodotte dalla distruzione della prima guerra mondiale. Ai primi tempi i nazionalsocialisti si definivano innanzi tutto antimarxisti. Per quanto riguarda i fattori positivi di adesione alla NSDAP erano privilegiate motivazioni ideali come l’auspicio della creazione di una comunità pacificata nazionale e solidaristica, il nazionalismo esasperato associato all’idea di espansionismo militare e infine l’anitisemitismo. Per ottenere il consenso di massa, determinante fu il modo di presentare le paure: Hitler dava voce alle paure più banali e volgari ma profondamente radicate, rendendole con uno stile ancora più banale, se possibile. Questo modo di parlare attraeva fatalmente chi già era predisposto verso il messaggio. Hitler dichiara di aver considerato la propaganda come il compito più importante dei primi anni di vita del partito, si vedeva più come un agitatore che come un enunciatore di programmi teorici. “La comprensione è troppo instabile per le masse, l’unica emozione che non vacilla è l’odio; inutile pensare che le masse possano saziarsi di concetti ideologici. Tutta la propaganda deve adeguare il suo livello a quello del più stupido dei destinatari. L’unico scopo è aizzare le masse e le passioni e infiammare la folla”. Senza la depressione economica, il peggioramento della crisi istituzionale e la disintegrazione dei partiti piccolo-borghesi, le tecniche propagandistiche non avrebbero avuto lo stesso successo. La propaganda attecchì più facilmente nelle zone a maggioranza protestante del nord e dell’est, nelle campagne e nei piccoli centri urbani e più nei quartieri borghesi che in quelli proletari. Ebbe più sostegno tra i lavoratori autonomi, i contadini, gli impiegati privati e statali; i disoccupati sostenevano altri partiti. Fino al 1933 sinistra socialista e comunista e cattolicesimo politico restarono estranei al richiamo della NSDAP, prima della presa del potere, circa 2/3 dell’elettorato continuava a rifiutare a Hitler il suo sostegno. Il 30% do consenso goduto da Hitler tra il 1929 e il 1932 era il frutto dell’impresa di propaganda che aveva iniziato a funzionare al massimo proprio dal 1930 guidata da Goebbels. Il messaggio della propaganda ripeteva costantemente i valori della forza, del potere, del dinamismo e della giovinezza, rappresentando una marcia verso il trionfo e un futuro alla cui realizzazione di anelava. Nel 1932 la NSDAP aveva 800000 militanti e circa mezzo milione di squadristi e in più 13 milioni di elettori erano pronti a votare per Hitler; nessun altro leader degli schieramenti di destra poteva offrire alle elite un controllo e direzione delle masse anche solo paragonabile a quello che poteva offrire lui. Il consenso popolare non sarebbe bastato da solo. Nel luglio 1932 dopo due campagne presidenziali, una serie di elezioni regionali e le votazioni per il Reichstag Hitler aveva raccolto il 37% dei voti e in qualità di leader del partito più forte chiese di essere nominato cancelliere, ma Hindenburg rifiutò. All’interno del movimento sorse una grave crisi e molti elementi se ne andarono, così nelle elezioni di novembre perse 2 milioni di voti e 34 seggi. Né il consenso delle masse né la sua egemonia esercitata sulla NSDAP potevano bastare. Serviva l’aiuto dall’esterno. Le elites Il passaggio di potere nelle mani di Hitler rimase in sospeso sino all'ultimo giorno. Nove mesi dopo aver respinto la candidatura a cancelliere di Hitler, mentre la NSDAP si dibatteva nella crisi elettorale, Hindenburg cambiò idea. Nel 1930 capo del governo era stato nominato Bruning che sostituiva gli istituti di governo parlamentare con una forma presidenziale: governava con decreti d'emergenza controfirmati dal presidente del Reich; né gli anni di presidenza di Ebert, questa prerogativa era stato usato per difendere la democrazia dalle forze sovversive; durante Hindenburg essa divenne fattore di delegittimazione della democrazia stessa. Il Reichstag era divenuta governabile dopo la vittoria elettorale dei comunisti, avvicinarsi a Hindenburg divenne per Hitler indispensabile. Nel gennaio 1933 molti finirono con l'accettare l'idea di un governo guidato dal capo della NSDAP ed è se non poterono fare a meno di Hitler in quanto unico esponente politico capace di garantire consenso di massa necessario a imporre una soluzione autoritaria alla crisi del capitalismo e dello stato tedesco. Le elite non avevano mostrato interesse per il nazionalsocialismo fino a che esso non era diventato movimento di massa e con la capacità di giungere al potere; notevole era in grado di diffusione di tendenti autoritarie e posizioni antidemocratiche tra alcuni esponenti delle elite.

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Spesso Hitler incontrò importante uomini d'affari per ottenere sostegni politici e finanziari, ma alla maggior parte degli esponenti del mondo economico sembrava poco utile dare il proprio appoggio a un partito che aveva poche possibilità di giungere al potere; la è NSDAP quindi, ricevette molti - aiuti di quelli versati ai suoi rivali della destra conservatrice e continuò a restare fuori dei progetti di potere dei settori più influenti fino a che essi poterono concepire scenari alternativi più congeniali. A partire dal 1929 in movimento di Hitler iniziò a giocare un ruolo più importante: una serie di elezioni svoltesi in quell'anno dimostrò uno che il movimento era in forte crescita nelle zone rurali e dopo il 1930 in movimento registrava il primo vero trionfo. Se già in coincidenza con i crack bancari del 1931 la democrazia poteva dirsi morta, attorno al 1932 dichiarata, chiusa la questione delle riparazioni dei debiti di guerra, venne a cadere anche la questione più importante che legava la Germania al trattato di Versailles. Le componenti più antidemocratiche delle elite tedesche nutrivano l'idea di sostituire alla Repubblica una forma di governo autoritaria e conservatrice. Sotto Bruning furono avviati i sondaggi della restaurazione della monarchia e quando a lui successe Papen egli pensò di impiegare la polizia e l'esercito per sopprimere partiti politici e imporre una costituzione autoritaria (effettivamente nel luglio 1932 egli depose il governo prussiano regolarmente eletto). Quando anche lui fu licenziato e il suo successore, Schleicher, cercò di poggiare governo sulla base di consenso più larga chiamando i sindacati lo stesso movimento nazionalsocialista. Questo tentativo andò a vuoto perché Hitler si oppose dato che in quel periodo aveva infittito i suoi legami con i proprietari terrieri della Germania orientale e svariati esponenti del mondo militare, agricolo, industriale e degli affari. Egli comprese che qualsiasi forma di governo autoritario perdurare doveva sconfiggere la sinistra e crear sulla base di massa a destra che solo lui sembrava offrire. Nel gennaio 1933, Papen riuscì ad affermarsi come uomo di collegamento tra i circoli economici rappresentativi dell'interesse dell'industria e del commercio, i vertici nazionalsocialisti e il palazzo presidenziale; adesso era disposto a ad accettare un cancellierato di Hitler ma chiedeva un gabinetto a forte impronta nazionale conservatrice con la sola presenza di Hitler e due ministri provenienti dalla NSDAP. Quindi Papen sfruttando il suo favore presso Hindenburg, lo convinse a nominare Hitler capo del governo. La destra conservatrice commise l'errore di illudersi di poter addomesticare Hitler e ridimensionare la forza del suo partito: le elite volevano utilizzar Hitler per qualche tempo per tutelare i propri interessi senza pensare che egli potesse sfruttare l'occasione per andare oltre questa missione. Capitolo 3 "potere e repressione" Dire che il potere di Hitler si affermava sul terrore è solo parzialmente per perché terrore e repressione funzionarono in modo selettivo: gli operai negati partiti di sinistra, gli operai, gli zingari, gli omosessuali, i mendicanti e altri elementi antisociali. Nessun vescovo cattolico. La polizia comprese restate nei quartieri operai più che in quella portata della borghesia e la maggior parte degli intellettuali si allineò a regime, ordini professionali e corpi rappresentativi si allinearono al nazismo. La repressione diretta contro le componenti più in popolari e meno dotate di potere della società; essa si attenua dopo la violenza resa dei conti a seguito della presa del potere, e riprese nei due anni che precedettero lo scoppio della seconda guerra mondiale per riprendere con l'inizio del conflitto. A partire dal 1933 il potere si basò innanzitutto sul controllo degli strumenti di comando e coercizione, a causa del collasso della democrazia Weimariana provocato a partire dal 1930 dalla frammentazione e polarizzazione della società, e privata del ruolo di guida esercitato dal potere statale, che fornì il presupposto della presa del potere e l'esercizio di esso con basi dispotiche. La repressione esasperata fu la conseguenza della conflittualità esasperata che aveva caratterizzato la società negli anni precedenti all'ascesa di Hitler. Il fenomeno che portò alla concentrazione del potere nelle mani di Hitler e al diffondersi di prassi extra giuridiche di prese non solo dall'azione del dittatore ma anche dall'atteggiamento dalle decisioni assunte dallo Stato e da quella parte della società che decise di lavorare per il Fuhrer. Dissoluzione e atomizzazione dell'opposizione

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In Germania bastarono sei mesi per distruggere ogni forma organizzata di opposizione e per spazzare l'autonomia degli enti locali; con altri sei mesi dalle stroncata anche la minaccia al potere di Hitler proveniente dal partito stesso. L'unica realtà non allineata al regime era la Chiesa, costretta sulla difensiva con un compromesso politico, la cui attenzione era spesa per contrastare le intromissioni naziste nei campi che solitamente le appartenevano. Gli avversario nazionalsocialismo erano deboli ideologicamente e organizzativamente; dal 1930 poi, le forme di governo democratiche erano caduti in discredito. Nonostante fossero solo due le figure nazionalsocialiste a fianco di Hitler nel governo, la persona più influente dopo di lui era Goring che controllava le forze di polizia della Prussia. Per il resto Hitler conservò sin dall'inizio nel domani il monopolio dei rapporti con i partner di governo e fedeli ne ho subito come una delle più influenti presenze all'interno della coalizione nazionale-nazista è salita al governo. I membri della coalizione si accordarono su due priorità 1) porre fine al regime parlamentare in Germania 2) farla finita con il marxismo; erano diverse le idee sul modo in cui ottenere questi obiettivi. Per Hitler applicato era convocare nuove elezioni per avere la possibilità di conseguire un mandato plebiscitario. Nelle settimane precedenti e seguenti le elezioni del 5 marzo 1933 egli rafforzò in movimento nazionalsocialista a svantaggio degli altri partiti così che la sinistra fu violentemente sconfitta e il 14 luglio dello stesso anno poté creare un sistema monopartitico. Poi e in sé nei corpi ausiliari della polizia prussiana un vasto numero di miliziani appartenenti ad associazioni come le SA e le SS. Incendio del Reichstag la notte del 27 febbraio egli diede l'occasione per indebolire le posizioni dei suoi partner di governo; credendo che l'incendio fosse segnale di partenza dell'insurrezione comunista, egli mise in moto un'ondata di arresti di massa dei militanti del partito comunista e con un decreto di emergenza sospese a tempo indeterminato tutti diritti e le libertà personali; lo stesso decreto permetteva di tenere in carcere per un periodo illimitato i prigionieri politici non ancora processati inaugurando lo Stato di emergenza. Nelle settimane successive fece il necessario per eliminare le opposizioni organizzate di sinistra e per sottomettere le altre organizzazioni politiche non naziste, occupando gli altri Lander tedeschi, commise violenza in quegli stati che ancora non appartenevano ai nazionalsocialisti è un numero imprecisato di prigionieri politici fu sottoposto a torture e pestaggi o direttamente eliminato. Il 20 marzo Himmler annunciò la creazione del primo campo di concentramento a Dachau e di lì a poco in tutta la Germania sorsero campi dello stesso tipo. Il 23 marzo il Reichstag approvò una legge che consentiva pieni poteri al governo con la possibilità di approvare leggi senza il parlamento e senza ricorrere a decreti presidenziali: ormai i deputati comunisti erano tutti in prigione o all'estero. L'errore più grande di questi era stato sottovalutare Hitler e il nazionalsocialismo; nel 1933 tra febbraio e marzo il partito comunista tedesco cessò di esistere. La socialdemocrazia che aveva agito con cautela per evitare di scatenare repressione, fu costretta a sciogliersi e il 22 giugno 1933 fu messa fuorilegge. Intanto i conservatori avevano perso posizioni a favore del movimento nazionalsocialista che vide crescere le sue file. I partiti di ispirazione liberale decisero l'autoscioglimento alla fine del giugno 1933, il partito cattolico resistette fino ai primi di luglio dopo essere stato privato del sostegno del clero a seguito delle disposizioni sull'apoliticità dei vescovi; con lo scioglimento di questi la NSDAP fu dichiarata l'unico partito legale del Reich tedesco. L'amministrazione era stata e curata da tutti gli impiegati e i funzionari iscritti ai partiti di sinistra e da tutti gli ebrei; erano state rimosse anche tutte le figure non allineata ancora regime in posizioni di primo piano. Attraverso i Gauleiter avveniva nazificazione forzata dei governi regionali e i Lander non avevano più sovranità legale: verso la metà del 1933 era stato cancellato ogni spazio organizzativo necessario alla sopravvivenza di un'opposizione politica efficace e questo obiettivo era stato raggiunto attraverso violenza, repressione e forza quel cestino per diffondere l'immagine di un regime intenzionato ad ottenere i propri obiettivi servendosi di qualsiasi mezzo. Le chiese piane riuscirono a conservare alcuni spazi autonomi, alcune strutture della Chiesa cattolica e rimasero intatte anche se i nazisti cercarono di aumentare la loro presa sulla popolazione cattolica imponendo proprie organizzazioni. Solo le forze armate conservarono intatta la propria forza perché Hitler aveva bisogno del loro sostegno, e quando i vertici militari cominciarono a temere di essere sottoposti alle SA, egli si dimostrò pronto a colpire quell'ala del suo stesso movimento nel 30 giugno 1934 ricordato come

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"la notte dei lunghi coltelli" che portò alla cattura e l'uccisione di numerosi esponenti di punta delle SA accusati di ordire un colpo di Stato contro il governo; le vittime furono circa 85. Questa azione eliminò l'unica forza interna al regime capace di fare opposizione. La perdita di potere delle SA andò a vantaggio delle SS così che la figura di Hitler si rafforzò ancora. Eliminate le SA, a Hitler e alla sua idea si avvicinarono anche i gruppi di potere conservatori e le elite tradizionali (quando morì Hindenburg, i militari prestano giuramento direttamente a Hitler) che determinarono un ulteriore accrescimento del suo potere. A partire dal 1934 solo i militari e le SS potevano far cadere il regime; qualsiasi altra forza sarebbe risultata velleitaria anche se la resistenza non cessò mai del tutto. Espansione del potere fu resa possibile dalla liquidazione, dall'atomizzazione, dall'intimidazione ed alla neutralizzazione delle forze di opposizione che si ottenne principalmente attraverso lo sviluppo di un'azione coercitiva e terroristica senza precedenti e di tipo dinamico, inoltre la crescita del potere delle SS come organo capace di riassumere in sé la forza dell'apparato repressivo statale e il dinamismo ideologico del partito, e disposto a lavorare per il Fuhrer più di qualsiasi altro, rappresenta un elemento fondamentale per spiegare la natura e l'espansione dello stesso potere di Hitler. Erosione e asservimento della legalità nello "stato del Fuhrer" Nel campo del diritto civile ci furono poche modifiche, ma nel penale furono conservate le norme adeguate agli scopi nazisti mentre quelle che ne ostacolavano i progetti furono scavalcate o messe da parte. Durante la guerra però, cominciò a deteriorarsi anche il clima di apparente legalità che degenerò nell'asservimento totale degli esponenti del sistema giudiziario alle pretese dell'autorità di polizia. Alcuni furono sostenitori di posizioni legalistiche che però non avevano speranza di sopravvivenza; molti altri sostenevano la necessità dell'asservimento dell'autorità legale-razionale alla volontà del Fuhrer che era totale, senza vincoli né controlli. La legge infatti non poteva fondare la volontà che per i nazisti era il primo requisito dell'azione. Lo stesso Hitler aveva gettato le basi dell'eclisse della legalità attraverso le sue interferenze nella prassi giudiziaria e il sostegno garantito al processo di autonomizzazione degli organi esecutivi di polizia rispetto alle istanze di controllo della magistratura: il binomio polizia-SS assurto a principale organo esecutivo, spodestava l'autorità delle leggi convenzionali. Himmler si ritagliò uno spazio di assoluta autonomia nell'ambito dei campi di concentramento il cui controllo passò nelle mani delle SS, questa autonomia (delle SS e della Gestapo) aumentò grazie all'appoggio diretto di Hitler. Ogni volta che Himmler violava le disposizioni del Ministro dell'interno, poteva contare sull'appoggio di Hitler. Con il decreto del 17 giugno 1936 Hitler fece in modo che Himmler rispondesse solo ed esclusivamente ai suoi ordini fondendo, qualche settimana dopo, la polizia politica con quella criminale in una nuova entità chiamata "polizia di sicurezza". Con la creazione di quest'organo anche i crimini comuni vennero portati nell'ambito di competenza della polizia politica che era un apparato alle dipendenze esclusive della volontà del Fuhrer. Nel 1936 gli organi legali di polizia erano fusi con le SS; la magistratura ordinaria non poteva che chiudere un occhio anche perché nel corso della guerra le interferenze arbitrarie del dittatore sui procedimenti giudiziari divennero più frequenti e nel 42 egli sostituì un magistrato con uno nazista segnando la definitiva capitolazione della giustizia ordinaria di fronte allo strapotere dei gli organi esecutivi di polizia. Il 26 aprile 1942 l'ultima riunione del Reichstag definiva Hitler come capo supremo della giustizia sciolta da qualsiasi responsabilità verso la legge. La polizia politica espanse la propria sfera operativa perseguitando le categorie di cittadini compresi sotto l'etichetta di "nemici dello Stato e del popolo". Si può dire che la creazione di un apparato repressivo dotato di finalità ideologiche dinamiche legate alla missione carismatica del Fuhrer fu un fattore decisivo per l'esercizio del potere, ma non bisogna pensare che esso non fosse sostenuto da ampi strati della popolazione e della società che lo vedevano come un baluardo importante del potere di Hitler: infatti la maggioranza dei casi trattati dalla Gestapo prese avvio da denunce partite da cittadini comuni. Senza il contributo di spioni e tiratori un sistema come quello nazista avrebbe avuto scarse possibilità di successo. Capitolo 4 "potere plebiscitario"

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Lo Stato hitleriano non perse mai la sua forza dinamica né fu mai un semplice autoritarismo repressivo. Le forze alleate al potere erano riuscite ad estromettere le elite tradizionali; l'espansione del potere hitleriano e la progressiva radicalizzazione della dinamica incessante del regime nazionalsocialista, erano per forza legate al consenso di cui nazismo godette presso le masse. Hitler sappi incarnare il sogno di un new deal tedesco e il consenso delle masse deriva dal fatto che seppe dar voce alle speranze allora diffuse di rinascita nazionale e di vittoria finale sui nemici della Germania; egli poi fu consapevole dell'importanza e della necessità di favorire questo consenso. Il consenso di base la NSDAP era riuscita a unificare componenti molto disparate della società tedesca unendo una propaganda dell'odio a una di rinascita della Germania incentrata sull'idea della comunità popolare; era il partito attrezzato a far presa sugli strati più ampi della popolazione. I motivi sfruttati dalla politica nazista si collegavano alle aspettative e alle delusioni della recente storia unitaria, ai traumi della guerra, della sconfitta e della rivoluzione insieme all'antipatia verso l'esperienza di una democrazia profondamente lacerata. Il Ministro della propaganda Goebbels riuscì a sfruttare

§ quelle divisioni profonde che laceravano il paese e che nutrirono un vivo desiderio di unità sfruttato dall'idea della comunità popolare

§ la paura viscerale del marxismo diffusa tra la media e l'alta borghesia che garantiva un sostegno immediato a chiunque si mostrasse capace di rimuovere queste ansie

§ l'umiliazione nazionale e la rabbia per il trattamento inflitto dalle potenze vincitrici che incoraggiarono la disponibilità ad accogliere con favore una politica estera audace che affermasse i diritti della Germania

§ inganni e i risentimenti alimentati dalle tensioni sociali della guerra, dall'iperinflazione e dalla successiva depressione.

POPOLO L'atteggiamento sociale diffuso era contrario all'ipotesi di una restaurazione delle gerarchie di classe della Germania imperiale, ai privilegi di casta si dovevano sostituire i diritti di una nuova elite costituita da uomini di successo così che uno Stato che si mostrava capace di eliminare gli elementi di debolezza dalla società incontrò grande favore. Su queste reazioni si innestarono facilmente l'invidia e il rancore per la posizione occupata dagli ebrei considerati come diversi a dispetto di tutti i loro sforzi di integrazione e l'opinione che essi fossero non solo diversi ma anche che esercitassero un'influenza negativa sul corpo sociale. Gli stessi sentimenti portavano il rifiuto delle ingerenze dello stato weimariano nella libertà economica considerando invece con favore gli interventi di un regime autoritario che, si credeva, avrebbe mirato ad accrescere le opportunità, sarebbe diventatolo Stato di piccoli riconoscendo il talento e la capacità. ELITE Se il disgusto per la volgarità dei politici che provenivano dalla plebaglia e le preoccupazioni nutrite verso la demagogia anticapitalistica allontanavano le elite, la fine dell'esperimento democratico, la distruzione del marxismo, la restaurazione dell'autorità di chi l'aveva tradizionalmente esercitata e la revisione degli accordi successivi alla guerra, le avvicinavano a regime. Figure di prestigio poi auspicavano il ritorno a un regime autoritario che avrebbe concesso libertà d'azione a un patronato desideroso di sciogliere l'industria dai vincoli del sindacalismo e avrebbe offerto nuove prospettive alle forze armate. CHIESA Nessuna delle due chiese, protestante e cattolica, nascose la propria avversione per la Repubblica di Weimar propendendo per un sistema autoritario che però non si identificava con il nazionalsocialismo. Per quanto riguarda la Chiesa protestante che addebitava alla diffusione dell'ateismo e del materialismo marxista il declino delle pratiche religiose, essa con alcuni elementi radicali e sostenne il nazionalsocialismo. Un'ala si convertì al nazionalsocialismo, le altre correnti accorsero l'atmosfera di rinascita come la premessa di un generale rinnovamento morale della popolazione; Chiesa protestante e nazionalsocialismo erano d'accordo sull'anti marxismo, l'autoritarismo e la fiducia nel Fuhrer. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica anch'essa era contraria alla democrazia di Weimar ed erano favorevoli all'autoritarismo ma questo stato non era identificato con quello del nazismo. La gerarchia cattolica aveva condannato e le tendenze anticristiane della dottrina nazionalsocialista pronunciando nei suoi confronti numerosi divieti, avvertimenti e moniti. Nelle regioni cattolica il consenso alla è NSDAP fu basso mentre fu più alto nelle regioni a maggioranza protestante. Quando però nel 1933 Hitler disse che sostenere la legge

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per concedergli i pieni poteri sarebbe servito anche a sostenere meglio i diritti della chiesa, il voto cattolico a suo favore aumentò. Sebbene la Chiesa cattolica difendesse le sue istituzioni, vi furono sempre alcuni motivi di convergenza con la dottrina e l’ideologia nazionalsocialista: - l'attacco al marxismo ateo così che l'invasione dell'unione sovietica nel 1941 sembrò una crociata contro il marxismo - la preferenza della Chiesa verso forme di governo autoritario - l'appoggio ad una politica estera temeraria che affermasse i diritti della nazione tedesca - la volontà di separare Hitler dai difetti del regime. Ovviamente, le minoranze costrette alla sottomissione dal terrore poliziesco non avevano un atteggiamento positivo verso il governo. Gli organi della propaganda Il 5 marzo 1933 fu creato il ministero per la propaganda e l'educazione popolare affidato alla guida di Goebbels, ministero col compito di convertire tutti tedeschi all'ideologia del nazionalsocialismo. Stampa, radio e cinematografia, letteratura, musica e arti visive furono allineate alle direttive del regime con l'obiettivo di veicolare un messaggio ridotto in termini elementari lasciando sul vago la dottrina nazionalsocialista: al richiamo alla comunità nazionale si univano esortazioni alla repressione di tutti i sentimenti umanitari nei confronti dei nemici del popolo. Molti dei precedenti antagonismi e delle divisioni esistenti all'interno della società non furono però mai pienamente superati, la difficoltà fu soprattutto di fronte alle vecchie generazioni operaie abituate a comportarsi secondo i dettami della coscienza di classe e che quindi ignorò lo slogan che incitava ad anteporre la comunità all'interesse individuale. Anche la classe media vedeva dei limiti nella politica nazionalsocialista, nonostante fosse la base essenziale di supporto al partito, e le chiese cercarono di rafforzare la fede nel loro credo religioso allontanando i fedeli dal nazismo. Al di là dei singoli punti di dissenso, in molti ambiti si registrò un'intesa sostanziale con intenti del regime e con la figura di Hitler. Goebbels seppe comprendere l'importanza della fede assoluta in un capo supremo, così il culto di Hitler divenne il centro dell'attività propagandistica. Il fine ultimo del nazionalsocialismo, mai pienamente indicato, poteva essere raggiunto solo seguendo ciecamente il Fuhrer e lavorare per lui era il dovere di ogni cittadino: la conseguenza di ciò fu che negli anni successivi al 1933 la popolarità di Hitler raggiunse vette imponenti. La brutalità, l'ingiustizia e la persecuzione non venivano attribuite Hitler ma ad altri. Il culto del Fuhrer permeò tutti gli aspetti della vita pubblica, nessuna forma di vita organizzata o istituzionale rifiutò di trasformarsi in centro per le lodi pubbliche di Hitler. Nel 1935 da 850000 si passò a 2,5 milioni di iscritti e nel 1939 a 5 milioni, per arrivare nel 1943 a 8 milioni. Era praticamente impossibile sottrarsi all'influsso della propaganda. La propaganda doveva essere portata negli angoli più nascosti della società e coercizione e controllo continuarono a rappresentare una componente essenziale delle tecniche di mobilitazione; la formula di saluto costringeva a una frequente identificazione anche chi era poco convinto, includendo così tutti gli aspetti della vita. Consenso plebiscitario e dinamismo del regime negli e anni successivi al 1933 venne messa in moto una struttura organizzativa per trasformare l'adesione di fondo in consenso plebiscitario; anche se esso non divenne mai totale garantì un'ampia e irresistibile legittimazione all'operato di Hitler. I suoi sottoposti cercavano di interpretarne i precetti ideologici e Hitler invece cercava di evitare il più possibile le decisioni difficili che implicassero una scelta tra opzioni proposte tra due o più dei suoi seguaci fidati. Per far passare un'iniziativa bisognava porre l'enfasi sulla sua importanza ai fini della realizzazione dell'idea. Le azioni di Hitler erano considerate dall'idea di conquista dello spazio vitale o dalla lotta contro il bolscevismo giudeo, per i suoi seguaci invece questi precetti servirono a trasformare i contenuti dell'azione in mete da raggiungere in un lontano futuro; così si sviluppò una tendenza alla selezione degli obiettivi mettendo in risalto quelli più vicini ai desideri di Hitler. Per quanto riguarda la campagna razziale, solo attraverso la definizione in negativo delle minoranze da escludere se definì l'idea di comunità popolare, quindi discriminando i gruppi la cui identità era ben definita. A scatenare le ondate di violenza contro gli ebrei bastò sempre un semplice segnale di Hitler o il suo tacito consenso.

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Poiché nella lotta per la rinascita nazionale la realizzazione della parte propositiva e positiva del programma (la creazione di una comunità popolare) era un obiettivo troppo vago, la spinta più efficace all'azione venne dalla parte negativa di quel disegno ovvero dall'eliminazione dei soggetti indesiderabili. Hitler era ben consapevole dell'importanza del consenso plebiscitario e giustificò l'uscita della Germania dalla società delle nazioni nel 1933 principalmente considerando la risonanza che tale passo avrebbe avuto nel paese sapendo che così avrebbe legato a sé ancora di più la popolazione. I plebisciti sul ritiro dalla società delle nazioni nel 1933, sulla rioccupazione della Renania nel 1936 e sulla legge di annessione dell'Austria nel 1938 furono dei trionfi utilizzati per spingere il consenso ai livelli più alti. Il secondo dei tre, offre l'esempio di come una mossa brillante in politica estera riuscì a sviare l'attenzione dalle difficoltà interne: il 99% dei voti fu a favore del si. La passività delle potenze occidentali e il consenso di massa alle gesta di Hitler scoraggiavano gli isolati gruppi clandestini; lo schiacciante consenso plebiscitario faceva sembrare che Hitler fosse costretto dal popolo a seguire la sua idea politica. Se il consenso era così fondamentale, Hitler fu costretto sempre a perseguirlo e divenne timoroso di qualsiasi azione che potesse far cadere la sua popolarità, costretto a cercare un successo dietro l'altro. Capitolo 5 "l'espansione del potere" Che le forze conservatrici che si erano servite dell'attivismo nazionalsocialista non riuscirono mai ad attenuare né arrestare il radicalismo di quel movimento, anche se l'addomesticamento delle SA, la diminuzione degli arresti politici e la sostituzione delle agitazioni antisemita con una repressione legalizzata, sembrò suggerire la possibilità di una stabilizzazione del governo. Il regime comprendeva diverse componenti i cui rapporti subirono ripetute modificazioni ma il cui fulcro era rappresentato da Hitler. La posizione di comando di Hitler divenne sempre più autonoma dalle altre componenti del regime grazie alla crescita dell'organizzazione delle SS e al consenso plebiscitario, ma anche grazie ai mutamenti delle strutture di governo e al modo in cui egli riuscì ad approfittare della debolezza e della compiacenza delle classi dirigenti tedesche e della debolezza dei capi di governo delle democrazie occidentali. La fine del governo collegiale Hitler non aveva esperienza governativa e nutriva avversione per le procedure burocratiche e la routine ma nonostante questa mancanza di esperienza, il consenso di massa gli offrì un grande vantaggio. All'inizio fu attento a evitare qualsiasi conflitto con gli altri membri della coalizione tuttavia il suo ruolo crebbe velocemente e il 24 marzo 1933 acquisì la facoltà di promulgare e rendere esecutive leggi già concordate con i membri del governo grazie al decreto che gli concedeva i pieni poteri. Le riunioni di gabinetto diminuivano sensibilmente. Già nell'estate 1933 la procedura per la promulgazione di leggi saltava la fase di discussione tra i ministri e ognuno prese a redigere i testi di propria iniziativa in viaggio degli altri perché li modificassero fino a raggiungere una formulazione gradita; a questo punto, Hitler analizzava il progetto, e lo firmava trasformandolo in legge: aveva il potere di approvare o respingere un disegno di legge ma ne restava estraneo all'elaborazione. Il governo si frazionò in uffici separati e l'unico legame tra singoli ministri e tra essi e il Fuhrer era il capo della cancelleria del Reich, Lammers il cui ruolo divenne di vitale importanza: scegliendo come presentare a Hitler una questione, egli poteva influire in modo determinante sul destino della stessa. Fino a che fu in vita Hindenburg, Hitler rispettò un orario di lavoro regolare e uno stile di governo convenzionale ma con il plebiscito dell'agosto 1934 in cui fu confermato il suo ruolo di capo dello Stato, il suo stile divenne irregolare e antiburocratico, preferendo l'idea geniale concepita sotto l'impulso del momento, rispetto a decisioni meditate. Lo stile ha antiburocratico di Hitler autorizza il disordine di tutto il sistema di governo e questa era l'applicazione pratica del principio di lasciar emergere dalla lotta i più forti e l'inevitabile conseguenza della necessità di preservare il proprio prestigio la propria immagine.

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La vaghezza e l'indeterminatezza dei compiti di organizzazione e di rieducazione della società favorirono il moltiplicarsi di conflitti e di scontri sui modi in cui rendere pratiche tali direttive. Ciò accade soprattutto per gli affari interni per e le cosiddette "politiche sociali". Nelle questioni di politica estera Hitler intervenne più frequentemente e direttamente; per le politiche razziali cercava di rimanere al di sopra delle parti lasciando che l'iniziativa partisse da altri responsabili del regime intervenne nel modo decisivo nelle questioni più importanti. Prima della guerra, i suoi interventi seguirono perlopiù richiesta esplicita di mediazione, lasciando libero corso a ogni istinto competitivo. Al posto quindi di un governo centrale capace di decidere un insieme di politiche coerenti, ci fu frammentazione e proliferazione di istituti rivali in conflitto reciproco tutti giustificati dal desiderio di applicare la volontà del Fuhrer. Si crearono nuove istituzioni, a metà tra il partito e l'istituzione statale, che furono espressione del fatto che la volontà del Fuhrer era una categoria onnicomprensiva; lo stato invece era un mezzo per arrivare al fine. Agli inizi del 38 il distacco di Hitler dal convenzionale apparato amministrativo non era ancora compiuto, ma le tendenze erano già arrivate a un punto avanzato. Con il graduale esautoramento dello Stato e la legittimazione di ogni azione sulla base che rispecchiava la volontà del Fuhrer, la visione ideologica di Hitler comincia a diventare sempre più concreta e a dettare scelte per essere realizzata. La politica hitleriana tra gioco d'azzardo e opportunismo L’espansione del potere hitleriano fu riflesso della debolezza dell'ordine nazionale e internazionale raggiunto negli anni trenta; a ciò egli aggiunse opportunismo e istinto da giocatore d'azzardo. Egli non aveva né un programma né una precisa linea d'azione, la regola era di muoversi cautamente e di accelerare al massimo il riarmo per cogliere momento buono; era la stessa linea che avrebbe adottato qualsiasi governo nazionalista tedesco. L'impronta personale di Hitler fu nella sua capacità di cogliere il punto debole dell'avversario e di spingere le relazioni diplomatiche su un terreno nuovo. In 17 maggio 1930 fece un discorso in cui protestava contro l'ingiusto trattamento riservato alla Germania in materia di riarmo; Inghilterra e Usa lo accolsero favorevolmente mentre la Francia continua a bloccare qualsiasi riconoscimento e infine convinse le altre due a mantenere le limitazioni di riarmo: allora Hitler ritirò la Germania dalla società delle nazioni. Riuscì inoltre a sfruttare l'effetto di questa decisione sciogliendo il Reichstag e indicendo nuove elezioni, unendole a un plebiscito in cui si invitavano i tedeschi a esprimere la loro fiducia nell'azione del cancelliere: il 95% dei voti gli fu favorevole. Qualche mese dopo sfruttò alla debolezza dell'alleanza franco-polacca per firmare il patto di non aggressione con la Polonia. I suoi successi lo spinsero sempre più ad identificarsi con l'immagine creata dal culto del Fuhrer e tra in 1935 e l'anno successivo il senso della propria superiorità giunse al massimo. Il referendum del 13 gennaio 1935, in base al quale la Saar doveva decidere se tornare tedesca o restare francese, segnò il 90,9% di voti favorevoli al ritorno sotto la Germania; egli reintrodusse il servizio di leva aiutato anche dall'atteggiamento accomodante della delegazione inglese nei successivi colloqui. Il patto di considerare i trattati come espedienti momentanei lo avvantaggiarono moltissimo nel suo gioco diplomatico; egli era determinato nel raggiungere un accordo con gli inglesi e con la crisi abissina, definì eterna l'alleanza con la Gran Bretagna decidendo di espandersi verso est. Nel 36 poi decise di occupare la Renania e rimilitarizzarla soddisfacendo alle aspettative delle elite nazionale-conservatrici e aumentando proprio consenso tra le masse. Sembrava che tutti gli eventi fossero a suo favore. Gli affari interni invece che dicevano meno a queste soluzioni e non avendo dei piani pronti per risolvere i problemi da offrire alla popolazione, cercò di tenersi lontano dal coinvolgimento diretto. Quando nel 35-36 ci fu una crisi di approvvigionamenti, i conservatori chiesero il ritiro dei progetti di spesa per gli armamenti e ottennero una temporanea riduzione della spesa per il riarmo a favore dell'acquisto di generi alimentari; nella primavera 1936 sembrava che le riserve di materie prime si sarebbero presto esaurita e fu costretto a scrivere un memorandum per giustificare un piano quadriennale.

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In 1936 fu un anno cruciale per la formazione del suo potere personale. All'inizio dell'anno la crisi economica, la previsione di un ulteriore aumento della disoccupazione, il calo di popolarità seguito alla scarsità di cibo, l'aumento dell'attività di opposizione del partito comunista clandestino, il declino dell'entusiasmo interno al partito e un relativo isolamento della Germania. L'occupazione della Renania pose fine a queste inquietudini e in politica interna coincide con una nuova ondata repressiva. Sempre in quest'anno, l'asse italo-tedesco e il patto anti-Comintern con il Giappone. Il suo potere era di nuovo consolidato ma sembrava che le altre potenze stessero recuperando il tempo perduto facendo perdere alla Germania il vantaggio. Si interessò alla guerra civile spagnola vedendo la come scontro finale con i bolscevichi: si intrecciavano considerazioni economiche, strategiche e ideologiche. Solo con la forza si poteva risolvere il problema dello spazio vitale e i primi obiettivi divennero Austria e Cecoslovacchia, iniziò allora ad essere ostile nei confronti della Gran Bretagna. Quando i suoi ministri della guerra e il capo delle forze armate furono contrari a un'azione militare immediata da parte della Germania, egli trovò l'occasione per eliminarli ed eliminò anche la carica di ministro della guerra e lui stesso prese il comando delle forze armate. Da questo punto in poi egli dimostrò alle elite la sua assoluta supremazia in quanto le forze armate furono privati di autonomia e l'elite di potere costituito dagli ufficiali rapporti asservita come elite funzionale. Capitolo 6 "potere assoluto" Negli anni tra il 1938 e il 1943 il potere di Hitler divenne assoluto; la guerra era un passo decisivo verso la realizzazione della sua idea e nelle fasi di preparazione ad essa si accelerò il processo di esautoramento delle normali strutture di governo e di amministrazione a vantaggio del caotico gruppo di poteri rappresentato da Hitler e dagli organi esecutivi della sua volontà. La disintegrazione dello Stato L’organizzazione della burocrazia era incompatibile con il principio personalistico di potere che era alla base dell'autorità carismatica del Fuhrer; si rifiutò sempre di partecipare qualsiasi riunione ministeriale. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'apparato governativo centrale si frantumò nelle sue parti: la cancelleria del Reich non aveva più un ruolo di coordinamento e lo stesso capo della cancelleria non riusciva facilmente ad avvicinarsi a Hitler. Un'altra figura si era fatta avanti, quella di Bormann che, da capo della cancelleria del partito e ministro del Reich, iniziò a scavalcare il governo nella regolamentazione legislativa dei territori e divenne maggior responsabile del riacutizzarsi del conflitto con la chiesa nel 1941; combinava il controllo del partito con il ruolo di segretario personale di Hitler (all'inizio non ufficiale, ufficiale dal 12 aprile 1943). Era lui a decidere chi poteva avvicinarsi ai Hitler e quali informazioni dovessero arrivare anche se alcuni leader nazionalsocialisti potevano incontrarlo (Goering, Goebbels, Ribbentrop, Himmler, Ley, Sauckel, Speer e Keitel). I Gauleiter potevano sempre incontrarlo, anche se durante la guerra a volte scelsero di agire di propria iniziativa: infatti in quel periodo ebbero diversi nuovi compiti di comando. Così aumentò l'influenza dei fanatici e degli attivisti del partito sulle strutture di base della società tedesca e si rafforzò la posizione di chi derivava proprio potere direttamente da Hitler. Nel 1942 era diventato difficile persino per la cancelleria del Reich esercitare una qualsiasi forma di controllo su un apparato di potere caratterizzato dalla crescita abnorme e incessante di organismi esecutivi pluri -stratificati. La cancelleria del Fuhrer aveva avuto un'importanza modesta, ma da lì partì iniziativa culminata nell'orchestrazione del programma di eutanasia. Una volta scoppiata la guerra Hitler non esitò a prendere decisioni in pieno accordo con l'emissione ideologica che si era assegnato anche se esse seguirono un iter sempre meno formale; incontestabile era diventata l'identificazione tra la legge e la persona del Fuhrer, che anche l'autorizzazione informale era considerata alla stregua di un atto legislativo vincolante. Durante la guerra utilizzò sempre più decreti personali alcuni dei quali non vennero neanche ufficialmente promulgati. Il 7 ottobre 1939 nominò Himmler commissario per il rafforzamento della razza tedesca, carica che gli dava pieni poteri per perseguire la germanizzazione e la purificazione razziale. L'idea diventa realtà

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L’espansione tedesca del 38-39 fu il risultato di un insieme di diverse cause interdipendenti: la pressione economica, ragioni logistiche militari, la forza delle ideologie e la debolezza delle democrazie occidentali. Questa espansione sarebbe venuta anche senza Hitler, ma le modalità, il carattere e la velocità partano chiaramente il suo marchio. I due leader che lo influenzarono furono: Ribbentrop e Goring. Il primo aveva una visione più legata alla tradizionale politica di potenza, il suo obiettivo non era la Russia ma la Gran Bretagna e ottenne il massimo riconoscimento con la firma del patto di non aggressione; tuttavia la sua visione alternativa fu solo uno strumento. Il secondo aveva giocato un ruolo importante nella politica estera nazionalsocialista nel tessere relazioni con i paesi dell'Europa sudorientale e con l'Italia (decisione di intervenire nella guerra civile spagnola), nei rapporti con l'Austria (Anschluss), non condivideva l'ossessione razziale-imperialista ed era più interessato ad fermare il dominio economico della Germania da affiancare al consolidamento dell'alleanza con l'Inghilterra. Ottenne il massimo riconoscimento con la firma degli accordi di Monaco nel settembre 1938. (La Luftwaffe preferiva utilizzare le scarse risorse militari disponibili per combattere gli inglesi piuttosto che per invadere l'unione sovietica). Il vasto consenso attribuiva ad Hitler la giustificazione per attuare Mosse espansionistiche sempre più rischiose. Nella corsa al riarmo e il tempo era sfavorevole alla Germania: il vantaggio guadagnato sarebbe andato perduto non appena gli altri paesi avessero iniziato a loro volta il riarmo. Le decisioni di Hitler in politica estera tra il 1938 e il 1939 furono contrassegnate da pragmatismo e opportunismo, quando nella conferenza di Monaco si accorse della debolezza delle potenze occidentali, la sua sicurezza crebbe convincendolo che esse non sarebbero entrate in guerra per difendere la Polonia. Le singole decisioni furono dettate da ragioni di opportunità, ma alla base c'era l'obiettivo di perseguire e affermare il dominio tedesco nell'Europa centrale; dopo che Ribbentrop riuscì a sfruttare le esitazioni della diplomazia occidentale di fronte al patto tedesco con l'unione sovietica, e dopo la spartizione della Polonia, sembrava spianata la strada per un attacco all'Occidente. Nei nuovi territori furono riprese le politiche per la purificazione della razza con la differenza, rispetto ai tempi della presa del potere, che il partito era in posizione di forza dell'amministrazione e l'apparato delle SS e della Gestapo era più efficiente e privo di scrupoli. La questione ebraica offrì ad Adolf Eichmann la possibilità di realizzare una rapida e brutale politica di emigrazione a danno degli ebrei prima a Vienna e poi a Praga. Nella stessa Germania ci fu una ripresa delle persecuzioni antisemite; l'apice di questa ondata ci fu tra il 9 e il 10 novembre 1938 con la "notte dei cristalli", azione che Hitler non aveva ordinato ma alla quale aveva acconsentito. Conseguenza o per gli ebrei la definitiva esclusione dalla vita economica e la loro segregazione ai margini della società ma soprattutto si compie il passo decisivo verso l'assassinio razionalizzato e spersonalizzato compiuto legalmente nei campi di concentramento. Il ruolo diretto di Hitler fu limitato, bastava il suo consenso, ma quasi ogni azione veniva giustificata con il pretesto che contribuiva escludere gli ebrei dalla società tedesca. Hitler affermò di essere stato costretto a non riferirsi alla questione ebraica per non inasprire rapporti con della diplomazia internazionale, ma nella sua mente pare che l'inizio della guerra fosse sinonimo dello sterminio degli ebrei; non c'erano dubbi che questo sarebbe accaduto ma non si sapeva come e dove. La guerra creò le basi di un progressivo imbarbarimento. Durante l’occupazione in Polonia, la politica di purificazione ottenne il consenso di Hitler e sembrava che dovesse svolgersi fuori da ogni vincolo di “legalità”; ci fu una crescente ondata di terrore, le regioni occidentali della Polonia divennero aree di sperimentazione del nuovo ordine nazista: chiese ai suoi Gauleiter dell’est di ottenere la totale germanizzazione in 10 anni senza fare menzione dei modi per ottenerla. Il resto della Polonia divenne un luogo di raccolta per le razze inferiori. I reparti operativi speciali si misero al lavoro per annientare gli intellettuali, mentre Himmler orchestrava la deportazione e il trasferimento, l’isolamento e la ghettizzazione. Anche per i polacchi non ebrei l’occupazione nazista costituì un momento di terrore che on risparmiò alcuna famiglia. Hitler era convinto che le potenze occidentali non avrebbero dichiarato guerra per la Polonia, ma si sbagliava: il 3 settembre 1939 ci fu la dichiarazione di guerra. Visto che i suoi capi militari erano contrari all'invasione della Russia, orchestrò la campagna sul fronte occidentale dopo i successi in Scandinavia. Il 31 luglio 1940 ordinò di preparare l'attacco contro la Russia con l'obiettivo di distruggerlo completamente in cinque mesi. Il suo obiettivo era obbligare la Gran Bretagna a

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scendere a patti, presentare la Germania come padrona dell'Europa e agire per conquistare proprio spazio vitale. Giustifica la scelta di attaccare l'unione sovietica enfatizzando le conseguenze negative del non agire e l'impossibilità di un'azione d'alternativa. Ci fu crescente ottimismo a seguito della sottovalutazione delle capacità militari sovietica. Subito parlò del suo senso di liberazione psicologica non appena venne decisa la rottura del patto con l'unione sovietica, da lui considerato come un tradimento delle sue origini e delle sue convinzioni politiche. Annunciò che la guerra sul fronte orientale sarebbe stata di sterminio e ordinò che tutti i commissari politici del armata Rossa catturati, fossero fucilati senza esitazione; l'esercito doveva lavorare con i reparti operativi delle SD. Si compiva il salto in direzione del genocidio. Da fine agosto il rallentamento dell'avanzata militari e l'aumento dei prigionieri ebrei in mano ai tedeschi provocarono un rapido aumento delle uccisioni, prima solo di uomini poi anche di donne e bambini. Intanto Heydrich aveva ottenuto l'autorizzazione per preparare la soluzione totale. Fino a metà settembre si pensava ad un'opzione territoriale, di deportazione di tutti gli ebrei in una riserva con la creazione di un unico campo di concentramento, ma sentendo vicino alla vittoria Hitler decise che gli ebrei dovessero essere allontanati definitivamente dall'Europa e si convinse nella deportazione degli ebrei tedeschi; ormai l'ordine di deportazione significava autorizzazione allo sterminio. Nell'ottobre 1941 iniziò l'operazione di eliminazione indiscriminata degli ebrei polacchi; il 20 gennaio 1942 alla conferenza di Wansee bene stabilita la soluzione finale richiesta anche a causa delle crescenti difficoltà pratiche risultanti dalla presenza di milioni di prigionieri ebrei, dalla volontà dei Gauleiter nazisti di liberarsi degli ebrei rimasti nei loro territori e dalle ambizioni organizzative delle SS. Di questa soluzione ispiratore fu Hitler, i cui ordini e desideri vennero invocati costantemente. Al Fuhrer dovette far ricorso Himmler, verso la metà dell'agosto 1941, per dare l'ordine che estendeva a donne e bambini la pratica dell'eliminazione fisica degli ebrei sovietici, e sempre lui nell'agosto 41 dispose che tutti gli ebrei tedeschi portassero cucita sui vestiti la stella gialla. A metà settembre prese la decisione di deportare gli ebrei tedeschi a est, se non abbiamo testimonianza scritta di questa direttiva e di quelle sulla soluzione finale è perché, provenendo da Hitler in persona, poteva consistere anche in un mandato in bianco. Nella sua mente, guerra e soluzione del problema degli ebrei erano un’unica cosa: aveva addossato a loro la sconfitta della prima guerra mondiale, e li aveva minacciati di estinzione totale nel caso di un nuovo conflitto. Non ci fu mai una vera opposizione dei cittadini alla politica contro gli ebrei, e nemmeno le istituzioni religiose. Obiezioni di carattere pragmatico furono sollevate dal settore industriale quando sembrava che fossero in pericolo le relazioni con l’estero, ma furono zittite nel momento in cui vennero sfruttate le proprietà sottratte agli ebrei. Anche l’esercito offrì la propria collaborazione. Il genocidio perpetrato nella Germania nazista non fu la decisione di un solo uomo, ma il prodotto della disponibilità di ampi settori della popolazione a lavorare per il capo carismatico. Quanto più le possibilità di vittoria diminuivano, tanto più Hitler tentava l’azzardo, la sete di potere prendeva il posto della strategia e l’irrazionalità della razionalità. Si consumò anche una frattura coni suoi generali tra il 1941 e il 1942, e cercò un capro espiatorio sollevandone molti dall’incarico. L’attacco del Giappone a Pearl Harbour rappresentò la migliore delle notizie possibili per la Germania visto che essa stava da tempo tentando di coinvolgere il Giappone contro gli USA per allontanarli dal contesto europeo, aveva dichiarato che avrebbe combattuto insieme al Giappone anche se non erano stati firmati accordi: l’11 dicembre 1941 dichiarò guerra agli USA anche se dal suo punto di vista, quel conflitto esisteva già da tempo. Ormai però era in difficoltà e anche l’economia di guerra si trovò sottoposta a una pressione insopportabile. La svolta delle sorti era vicina e si compì con la sconfitta a El Alamein e con il sacrificio di vite umane seguito all’assedio di Stalingrado dove morirono 250000 soldati in una battaglia durata due mesi con la cattura da parte dei russi di 91000 tedeschi sopravvissuti. Fu l’inizio della fine del potere di Hitler, nel paese iniziarono a formarsi gruppi di opposizione clandestini e lui iniziò a vacillare. Capitolo 7 “delirio di potere” Il potere di Hitler degli ultimi anni sembra un paradosso: fino a che le difficoltà erano nascoste, si comportava come se nulla fosse, di fronte alle avversità palesi egli si comportò in modo sempre più irrazionale. L’incapacità di concludere la guerra con la vittoria si trasformò non solo in forza

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autodistruttiva ma anche nella volontà di distruggere il popolo che lo aveva tradito. A partire dal 1943 si ammalò, apparvero i primi sintomi di un esaurimento nervoso ed era profondamente depresso. Iniziò progressivamente a distaccarsi dalla realtà e a rivolgersi verso un mondo illusorio e dal 43 condusse la guerra dal suo bunker. Non visitò mai una città rimanendo più scosso dalla distruzione di edifici pubblici che dalle sofferenze umane, mantenne contatti solo con segretari, aiutanti e medici personali e Bormann. Il declino fisico si accentuò dopo l'attentato del 1944, con l'avanzare dell'arteriosclerosi e di un ittero. La sua autorità tuttavia rimase assoluta e indiscussa rivelando insensatezza, mancanza di prospettive e capacità di distruzione derivanti dall'esercizio sempre più arbitrario del potere personale. Data la frammentazione delle strutture di governo, le sfere decisionali erano collegate solo attraverso la sua figura. Nonostante la creazione di un “comitato dei tre", il caos amministrativo del terzo Reich lo mise in condizione di non operare, infatti esso si scontra con gli interessi dei vari blocchi di potere e con gli interventi sporadici e arbitrari di Hitler. Il fallimento del comitato fu la dimostrazione dell'incompatibilità del potere arbitrario e non sistematico del Fuhrer con qualsiasi sistema di amministrazione razionale. L'autorità del Fuhrer restò indiscussa e così il consenso, ma mai come allora il suo potere si mostrò privo di coerenza e razionalità: derivava ormai da reazioni impulsive e spasmodiche. La responsabilità finale per le più varie e insignificanti decisioni politiche era sempre del Fuhrer, ma era nota la sua incapacità di prendere decisioni o di cercare un compromesso sulle questioni più complesse e delicate. Fino a quando erano durati trionfi, le sue capacità erano state sufficienti, ma ora in presenza della guerra totale esse erano giunte al limite. La sua incapacità di delegare e stabilire strumenti di controllo politico si riversò anche nella mancanza di direzione negli affari interni. L'incalzare degli eventi aveva ridotto a zero gli spazi di manovra e la sua politica si espresse solo nella propaganda nel terrore: si interessava alla produzione degli armamenti (nonostante avesse una comprensione ristretta della materia) da un punto di vista quantitativo piuttosto che valutando l'efficacia -uno degli errori principali fu la scelta di privilegiare carri armati pesanti per fronteggiare i più agili carri armati sovietici-. Le direttive hitleriane produssero una moltiplicazione di progetti in contrasto tra loro, anziché favorire una concentrazione razionale della produzione. Altro errore fu di premere per la produzione e l'impiego delle bombe volanti V1 e dei missili V2, favorendo un tipo di arma offensivo piuttosto che armi di difesa. Il dilettantismo di Hitler fu espressione diretta della situazione disperata in cui si erano cacciati i vertici di comando tedeschi costretti a uno sforzo difensivo vano per il quale si attrezzarono solo con ritardo e difficoltà. Quando nel 40, in contrasto con quello che dicevano i suoi generali, aveva seguito una strategia offensiva ottenendone un trionfo, il suo senso di superiorità crebbe, ma la rottura con i vertici militari dell'autunno del 42 e i limiti tattici e strategici avrebbero concorso al disastro di Stalingrado. Accentrò nelle sue mani sia la direzione generale delle campagne militari che la definizione dei loro dettagli: questo ebbe effetti catastrofici sull'esercito tedesco. La guerra non fu perduta per gli errori militari di Hitler, ma perché la sua politica aveva gettato la Germania in un conflitto che era stato condotto in modo da non lasciare nessuna via d'uscita: aveva scambiato la politica con la guerra. Non si può nemmeno dire che gli errori di Hitler fossero imposti ai vertici delle forze armate; il suo circolo di consiglieri si mostrò incline ad assecondare i suoi desideri appoggiando i suoi suggerimenti e astenendosi dalle critiche. Man mano che sembrava impossibile la sconfitta militare, si accentuò la battaglia per la distruzione dei nemici della razza tedesca, la partecipazione di Hitler in questa fase avvenne in forme discrete. A marzo del 43 autorizzò Goebbels a completare l'allontanamento degli ebrei da Berlino, in aprile cercò di persuadere Horthy a deportare gli ebrei ungheresi nei campi di concentramento, a giugno fece odiare misure radicali di deportazione e a ottobre ordinò alla deportazione degli ebrei danesi mentre quasi contemporaneamente fermò l'immediata esecuzione di 8000 ebrei romani e di mandarli come ostaggi nel campo di concentramento di Mauthausen. Fino alle ultime settimane di vita del terzo Reich gli ordini impartiti da Hitler continuarono a trovare esecutori compiacenti che tentarono di interpretarli e metterli in pratica. Le ragioni non vanno cercate solo in Hitler ma anche 1) nelle strutture di comando dello Stato nazista 2) negli interessi consolidati che restavano indissolubilmente legati al regime morente 3) nelle residue riserve di lealtà presenti nel sistema e nella popolazione 4) nella durezza delle pratiche depressive volta stroncare sul nascere qualsiasi tipo di opposizione

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5) per l'incapacità del regime nazista di creare un vero proprio sistema di governo, che impiegò che la posizione del Fuhrer fosse indispensabile al funzionamento del regime sotto qualsiasi aspetto. Le elite non espressamente nazionalsocialiste lo avevano sostenuto continuando ad avvantaggiarsi dei suoi successi, la loro collaborazione era stata sempre totale e fino alle ultime fasi della guerra restarono in piedi significativi punti di contatto. Ma negli ultimi mesi l'industria si preoccupò di progettare una sopravvivenza in un futuro non nazionalsocialista. Anche tra le forze armate furono pochi coloro che accettarono il rischio di prendere parte a un complotto contro Hitler. Questo patriottismo invece, alimentò il legame speciale che univa i capi militari a Hitler; il consenso di Hitler non si era ancora esaurito. Funzionari e attivisti della NSDAP e fanatici erano ancora assertori delle infallibilità e sacralità del Fuhrer anche perché la guerra aveva accresciuto il numero di coloro che da lui erano stati beneficiati. Inoltre la guerra di sterminio nell'est europeo, aveva aumentato il numero di individui coinvolti, complici delle atrocità del regime, consapevoli che anche per loro non c'era più via d'uscita. Sebbene la maggior parte della gente comune desiderasse alla fine del conflitto, l'idea della difesa patriottica contro gli invasori soprattutto nelle regioni orientali dov'erano diffusi sentimenti anti bolscevichi, si mescolò alle ideologie razziali creando un legame ancora più stretto; infine negli ultimi mesi il terribile crescendo di terrore impedì l'opposizione. Solo negli ultimi giorni di vita del regime, con i russi alle porte, si decisero a mettere in dubbio Hitler: Goring fece votare un decreto che lo dichiarava successore legittimo alla guida del Reich, ma Bormann lo fece passare come un atto di alto tradimento così il primo fu rimosso dal potere. Intanto Himmler stava progettando di farsi guida di un nuovo governo tedesco stipulando un trattato con gli alleati per continuare a combattere contro i bolscevichi. Hitler quando lo seppe, lo allontanò. Dopo questi fatti, fino a che in Hitler rimase in vita, però, nessuno prese mai in seria considerazione la possibilità di un suo avvicendamento. La sua autorità aveva cominciato a perdere mordente già dal settembre 1944, la sua incapacità di schierarsi su un fronte o sull'altro, cominciò a trasformarsi in un sintomo della perdita di autorità: Speer disobbedì al suo ordine di sospendere la produzione aeronautica, e anche dopo essere stato sollevato dal suo incarico, continuò a dare ordini per scongiurare la realizzazione delle direttive di distruzione della Germania. I generali a lui più fedeli appesero ordini fino all'ultimo, anche quando non aveva più niente da dire. Epilogo "Hitler: potere e distruzione" Il potere di Hitler nacque, si sviluppò e finì sotto il segno della distruzione: i suoi dodici anni al potere avevano distrutto la vecchia Germania sia come entità territoriale che come realtà sociale, e avevano segnato la fine dell'ordinamento fisico e politico dell'Europa. La sua smania di distruzione non venne mai meno: doveva sterminare gli ebrei, nel 38 voleva distruggere i cechi, del 43 l'intera popolazione polacca. La guerra contro il bolscevismo doveva essere una guerra di annientamento e fece strage di ebrei russi e di prigionieri di guerra. La sua smania non risparmiava neanche i suoi stessi soldati, la cui morte lo lasciava indifferente; furono le città tedesche ad essere distrutte e cercò di far sì che la stessa Germania non sopravvivesse alla sua morte perché il popolo lo aveva tradito. In campo artistico, letterario, musicale e architettonico il nazismo soffocò qualsiasi originalità e spirito di innovazione, bande di attività e pensiero creativi e i rappresentanti della letteratura e dell'arte furono costretti all'esilio. (Mann, Zweig, Doblin, Brecht, Kandinskij, Klee, Kokoschka, Gropius, Mies van der Rohe, Schonberg, Hindemith, il bando di opere di Mahler e Mendelssohn). Ma si rivelò incapace di riempire il vuoto lasciato da questa emorragia intellettuale. Durante il regime non emerse alcuna forma o sistema di governo che potesse essere un modello per il futuro, anche l'azione economica fu un esempio negativo perché il nucleo centrale era costituito dall'idea di una moderna schiavitù messa al servizio di un capitalismo diretto dallo Stato, idea che si incarnò ad Auschwitz. Tutti i piani del nazismo si sarebbero realizzati con la vittoria, progetti di ricostruzione monumentale delle città e la visione di una società industrializzata il cui fabbisogno di materie prime sarebbe stato soddisfatto dalla manodopera e dalle terre conquistate a spese dei popoli

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inferiori, l'industria privata sarebbe stata messa in riga o passata sotto controllo dello Stato, la classe operaia tedesca si sarebbe trasformata in una nuova elite prendendo posto della borghesia. Il sistema hitleriano era impossibilitato a fermarsi, l'espansione continua e illimitata ne costituiva l'essenza profonda; anche nei paesi conquistati si riprodusse lo scoordinamento delle istanze di governo. Alla base del potere c'era un impulso alla distruzione degli avversari e una spinta all'autodistruzione che non può essere ricondotta solo alle pulsioni di Hitler, ma insita nello stesso sistema di potere nazionalsocialista. Una forma di dominio come quella di Hitler si può instaurare solo in presenza di una crisi di sistema ed è difficilmente conciliabile con l'esistenza di forme sistematizzate di governo. Essa è per sua natura instabile e tende a distruggere ogni forma regolata di potere; poiché la sua sopravvivenza dipende dal conseguimento di vittorie sempre nuove e dal rifiuto di lasciarsi imbrigliare in pratiche governative di routine, la sua stessa logica di funzionamento la porta inevitabilmente all'autodistruzione. Sotto il regime nazista nacque un tipo peculiare di dominazione politica di sapore "neo-feudale" che prese il sopravvento sulle strutture burocratiche di governo: sorse una graduale erosione dell'apparato amministrativo che costituì la base della crescente autonomia del capo carismatico. Gli obiettivi ideologici che erano identificati più strettamente con la figura del capo finirono con l'assumere sempre più importanza e centralità. Più a lungo il potere di Hitler fosse continuato, tanto meno probabile sarebbe stata la sua riduzione a sistema e tanto maggiore il suo impatto distruttivo. L'instabilità insita a quel modello di dominio era destinata a trasformarsi in forza non solo distruttiva, ma autodistruttiva (le tendenze suicide di Hitler fanno tutt'uno con l'incapacità di riprodursi e di sopravvivere manifestata dal potere che lui incarnava). Appendice: "le ultime tendenze della ricerca storiografica su Hitler" Quando e perché Hitler divenne un antisemita patologico?

o Alan Bullock: l’antisemitismo hitleriano è uno strumento per arrivare e gestire il potere o Trevor-Roper: Hitler era un uomo di idee, benché ripugnanti o Bullock dopo il 1991: fu sia un dogmatico dalle idee profondamente radicate che un abile

propagandista o Frutto della sua esperienza viennese di artista fallito, cercava dei capri espiatori.

Quando nasce? • Fase finale della prima guerra mondiale e i mesi di rivoluzione • Periodo viennese • No periodo viennese perché alcuni suoi “amici” in quel momento erano ebrei • Kershaw: 1918-1919, con idee maturate in quel periodo che erano il frutto di un percorso già iniziato negli anni viennesi e accelerato dal trauma della guerra. Aveva bisogno degli ebrei in quel periodo per vendere i suoi quadri, il suo antisemitismo in quei tempi era normale per quei tempi. Dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale e la rivoluzione il suo antisemitismo normale divenne patologico. Tutta la sua carriera fu dedicata a cancellare la vergogna della sconfitta del 1918, vedeva negli ebrei i responsabili di quel misfatto, che ostacolavano la redenzione della Germania. Sotto l’impatto della guerra perduta e della rivoluzione socialista, quella che era solo un’antipatia divenne un’ideologia patologica e genocida. A formare l’ideologia erano poche convinzioni:

1) Fare della Germania la potenza dominante sul continente europeo e sul mondo

2) Conquistare spazio vitale a spese dell’Unione sovietica 3) Distruggere gli ebrei.

Queste idee erano supportate da un darwinismo storico, esistenza umana come lotta per la sopravvivenza del più forte. Gli elettori lo votarono non perché erano tutti antisemiti, ma perché egli aveva saputo mobilitare in forme nuove le masse deluse dietro gli slogan della rinascita nazionale e dietro la promessa di una rea dei conti finale nei confronti di chi avversava la rinascita. Coercizione e consenso furono due facce della stessa medaglia, una non poteva funzionare senza l’altra. Processi attraverso cui si arrivò alla distruzione degli ebrei:

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q settori sempre più ampi della società furono complici nelle politiche che portarono al genocidio

q le ricerche sulla soluzione finale sono state approfondite soprattutto dall’apertura degli archivi dell’unione sovietica. Coloro che premevano il grilletto per uccidere gli ebrei non erano individuo fortemente ideologizzati ma individui comuni trascinati a compiere azioni omicide; secondo altri invece la maggior parte dei carnefici furono nazisti convinti che avevano vissuto esperienze interne agli ambienti dediti alla soppressione degli avversari

q continuità tra i piani di ripopolamento e i passi che portarono all’attuazione di un programma di sterminio

q non ci fu un ordine preciso per scatenare il genocidio, ma lo sbocco di atti e decisioni i cui momenti chiave furono: invasione dell’unione sovietica (prima venivano uccisi solo uomini, poi nel 1941 anche donne e bambini), deportazione degli ebrei tedeschi, austriaci e cechi nello stesso anno, conferma per i tedeschi che gli ebrei dovevano pagare per la prima guerra mondiale, dopo la conferenza di Wannsee nel gennaio 1942 l’attuazione di un piano coordinato di deportazione e sterminio

q Fu abile nel nascondere l’azione contro gli ebrei dietro una cortina di segreto tanto che la soluzione finale fu un tabù anche per i suoi più fidati; il suo ruolo è ancora avvolto nell’ombra anche se la sua impronta personale è evidente

q All’escalation si arrivò con fasi ognuna più slanciata, in termini di deriva sterminatrice, della precedente.

Infine, Fritz Repliche ex psichiatra dice che i problemi di salute di Hitler non influirono in modo decisivo sulle sue azioni politiche e militari, ma accelerarono le decisioni nel timore che non gli restasse più tempo per realizzare i suoi progetti, si parla si “paranoia politica”.