struttura del suolo

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SOCIETÀ ITALIANA DELLA SCIENZA DEL SUOLO ATTI DELLA TAVOLA ROTONDA SUL TEMA "STRUTTURA DEL SUOLO" FIRENZE 22 Maggio 1970

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SOCIETÀ ITALIANA DELLA SCIENZA DEL SUOLO

ATTI DELLA TAVOLA ROTONDA SUL TEMA

"STRUTTURA DEL SUOLO"

FIRENZE

22 Maggio 1970

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SOCIETA ITALIANA DELLA SCIENZA DEL SUOLO

ATTI DELLA TAVOLA ROTONDA SUL TEMA

"STRUTTURA, DEL SUOLO"

FIRENZE

22 Maggio 1970

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,-2-

COMITATO ORGANIZZATORE

Prof. G. P. BALLATORE

Prof. L. CAVAZZA

Prof. A. MALOUORI

Prof. F. MANCINI

Prof. A. MASSACESI

Prof. G. STEFANELLI

Segretario: Prof. S. CECCONI

Page 4: STRUTTURA DEL SUOLO

. I

-3-

ELENCO DEI PARTECIPANTI

ARU Dr. Angelo - Centro Reg. Agrario Sperim. - Cagliari BALLATORE Prof. Gian Pietro - Dirett. Ist. Agron. e Colt. Erbacee

Università - Palermo BALLONI Prof. W aldemaro - Ist. Microbiologia Agr. e Tecnica -

Università Firenze BENVENUTI Prof. Antonio - Ist. Agronom. e Colt. Erbacee Univer­

sità Pisa BERTONE Dr.ssa Giovanna - Ist. Agronom. e Colt. Erbacee Univer~

sità - Firenze BoNCIARELLI Prof. Francesco - Dirett. lst. Agronom. e Colt. Er­

bacee Università - Perugia Boscm Prof. Valentino - Ist. Sperim. Agronomico - Sezione di

Modena Bos1 Dr. Pietro - Ist. Meccanica Agraria Università - Firenze BRUNO Dr. Vincenzo - Ist. Chimica Agraria Università - Firenze. CAP ARRINI Prof. Pietro. - Dirett. Ist. Meccanica Agraria Università

- Catania CASTORINA Dr. Salvatore - Ist. Sperim. Patologia Vegetale - Roma CAVAZZA Prof. Luigi - Dirett. Ist. Agronom. Gener. e Colt. Er­

bacee Università - Bologna CEccoNI Prof. Carlo Alberto - Ist. Chimica Agraria Università -

Firenze CECCONI Prof. Sergio - Dirett. Ist. Chimica Agraria Università -

Torino Cmsc1 Prof. Giancarlo - Ist. Sper. Studio e Difesa Suolo - Firenze CIONI Ing. Aldo - Ist. Meccanica Agraria Università - Firenze DELL' AGNOLA Dr. Giorgio - Ist. Chimica Agraria e Industrie Agra-

rie Università - Padova EscHENA Prof. Tomaso - Dirett. Ist. Chimica Agraria Università -

Sassari

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-4-

FERRARI Dr. Giovanni - Ist. Geologia Applicata Università - Firenze FIEROTTI Prof. Giovanni - Ist. Agronom. Gen. ·e Colt. Erbacee Uni-

versità - Palermo FLORENZANO Prof. Gino - Dirett. Ist. Microbiologia Agr. e Tecnica

Università - Firenze FuMELLI Dr. Aldo - Via Bernardo Pasquini, 3 - Firenze Fusi Dr. Paolo Ist. di Chimica Forestale Università - Firenze CALIGANI Dr. Pier Francesco - Ist. Meccanica Agraria Università -

Firenze GATTORTA Prof. Giuseppe - Ist. Sperim. Nutriz. Piante - Roma GIOVAGNOTTI Prof. Celso - lst. Mineralogia e Geologia Università

- Perugia GoLDBERG FEDERICO Prof .ssa Linda - Ist. Chimica Agraria Univer­

sità - Milano HAussMAN Prof. Giovanni - Dirett. lst. Sper. Colture Foraggere -

Lodi IANNINI Dr. Biagio - Staz. Sperim. Viticoltura Enologia - Conegliano LANDI Prof. Renzo - Ist. Agronom. Gen. e Colt. Erbacee Univer-

sità - Firenze LANZA Prof. Felice - Dirett. Ist. Sper. Agronomico - Bari LoPEZ Dr. Giacomo - Ist. Sper. Agronomico - Bari LOTTI Prof. Goffredo - Dirett. lst. Industrie Agrarie Università ·_

Pisa MALQUORI Prof. Alberto - Dirett. Ist. Chimica Forestale Univer-

sità - Firenze MANCINI Prof. Fiorenzo - Dirett. Ist. Geologia Applicata Univer-

sità - Firenze MAsSACESI Prof. Alessandro - Commissario Minist. Ist. Sper. Stu­

dio e Difesa Suolo - Firenze MATERASSI Prof. Riccardo - Ist. Microbiologia Agr. e Tecnica

Università - Firenze PALMIERI Prof. Francesco - Ist. Chimica Agraria Università - Napoli PAN1cucc1 Dr. Mario - lst. Sper. Studio e Difesa Suolo - Firenze PATUELLI Dr. Cesare - Ente Autonomo Irrigazione - Arezzo PORCELLI Prof. Sergio - lst. Sperim. Agronomico - Bari. RADAELLI Prof. Luciano - Istituto di Chimica Forestale Università

- Firenze RAMUNNJ Prof. Angelo - Istituto Chimica Agraria Università -

Napoli

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-5-

RASPI Dr.ssa Antonietta - lst. Geologia Applicata Università -FirenZJe

ROMAGNOLI Prof. Luciano - Ist. Geologia Applicata Università -Firenze

ROTINI Prof. Orfeo Turno - Dirett. Ist. Chimica Agraria Università )Pisa

SALANDINI Prof. Roberto - Ist. Naz. Piante da Legno « Giacomo Piccarolo » Torino

SANESI Prof. Guido - Ist. Geologia Applicata Università - Firenze SPALLACCI Dr. Pasquale - lst. Sperim. Agronomico - Sez. Modena STEFANELLI Prof. Giuseppe - Dirett. Ist. Meccanica Agraria Uni-

versità - Firenze ViDRICH Dr. Veriano - Ist. Chimica Agraria Università - Firenze VIOLANTE Prof. Pietro - Ist. di Chimica Agraria Università - Na'."

poli WoLF Dr. Ugo - Ist. Geologia Applicata Università - Firenze ZANINI Prof. Emilio - Dirett. Ist. Agronomia Università Cattolica

del S. Cuore - Piacenza VIOLANTE Prof. Pietro - Ist. di Chimica Agraria Università - Napoli

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TAVOLA ROTONDA

SULLA STRUTTURA DEL SUOLO

Alle ore 10 del 22 maggio 1970, presso la sede dell'Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo in Piazza D' Aze-:­glio 30 - Firenze, si sono aperti i lavori della Società Italiana del~ la Scienza del Suolo sul tema «La Struttura del Suolo».

Ai partecipanti è stato porto il saluto dal Prof. Gian Pietro Ballatore, Presidente della Società Italiana della Scienza del Suolo e dal Prof. Alessandro Massacesi, Commissario Ministeriale del-

l'Istit.uto ospitante.

SALUTO DEL PRESIDENTE DELLA SOCIETA' ITALIANA

DELLA SCIENZA DEL SUOLO PROF. G. P. BALLATORE

Cari Colleghi,

sono particolarmente lieto di porgerVi il saluto più cordiale ed il benvenuto del Consiglio di Presidenza della Società Italiana della Scienza del Suolo.

Ad un anno di d1stanza ci troviamo di nuovo riuniti nella sede dell'Istituto Sperimentale per lo studio e la Difesa del Suolo di Firenze, Istituto che, con la consueta lungimiranza e apertura verso tutti i problemi della Scienza del suolo, ha voluto, ancora una volta, gentilmente ospitarci. Credo quindi di interpretare il Vostro pensiero rivolgendo al Prof. Massacesi ·e a tutti i suoi va­lenti collaboratori il nostro più sentito ringraziamento per questa ambita collaborazione.

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Noi siamo oggi riuniti per questa Tavola Rotonda sulla strut­tura del suolo ,e suoi odierni aspetti pedologici ·e agronomici, che si ricollega alle precedenti manifestazioni culturali della nostra Società. Come ricordate proprio un anno f à in quest3: stessa Sede abbiamo tenuto una Tavola Rotonda sul tema «Preparazione meccanica ·e caratteristiche agronomiche del suolo». Successiva­mente a Bari, nell'ottobre dello stesso anno 1969, abbiamo tenuto un Convegno sul tema « Il movimento dell'acqua nel terreno », che suscitò un dibattito di grandissimo interesse $dentifico ed applica­tivo, con richiami anche ad alcuni concetti fondamentali enunciati nella precedente Tavola Rotonda. ·

In questi due incontri di studio affiorava sempre il problema della struttura del ·suolo, a causa dei suoi legami molto stretti. e spesso preminenti con la preparazione meccanica del suo.lo alla coltura e con i movimenti dell'acqua nel terreno.

Pertanto il Consiglio di Presidenza della Società, in una del­le sue riunioni, deliberò di svolgere una Tavola Rotonda sulla Struttura del Suolo, affidando al Prof. A. Malquori l'incarico di introdurre il tema a cui ha dedicato, -con competenza, parte dei suoi interessanti studi sulla fisico-chimica del suolo.

Come ebbi a sottolineare in altre occasioni, questi incontri su specifici aspetti della Scienza del suolo, ci consentiranno di potere affrontare più compiutamente, in un prossimo avvenire, un Con­gresso nazionale sulla fertilità del suolo.

Non è il caso ch'io mi soffermi sul tema della Tavola Roton­da per non sottrarre nulla al Relatore e per lasciare più tempo alle discussioni che seguiranno; del resto, nelle lettere circolari che vi sono state più volte inviate, ci siamo sforzati di sottolineare la importanza e l'interesse che questo incontro poteva rivestire per tutti noi.

Siamo qui riuniti Studiosi di ogni età e di divers·e formazio-. ni culturali, ma tutti interessati al problema della struttura del suolo. Vi prego quindi di volere integrare la relazione introduttiva con il contributo delle vostre ·esperienze e conoscenze, al fine di potere chiarire tanti punti oscuri o controversi della formazione, evoluzione, conservazione e valutazione della struttura del suolo.

Può darsi che questa Tavola Rotonda non consentirà di potere raggiungere il suddetto obbiettivo; è certo, però, che dopo questo incontro potremo meglio prepararci per un successivo Convegno nazionale, articolato in Sezioni, che dovrebbe consentire una più

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chiara definizione di tutti gli aspetti fisico-chimici e metodologici della struttura del suolo e dei suoi importantissimi riflessi agro-

nomici.

SALUTO DEL COMMISSARIO MINISTERIALE

DELL'ISTITUTO PER LO STUDIO E LA DIFESA DEL SUOLO

PROF. A. MASSACESI

L'Istitutò del Suolo è lietissimo di ospitare per la seconda volta la Società Italiana della Scienza del Suolo per una Tavola Rotonda nel corso della quale l'illustre Maestro Prof. Alberto Mal­quori, Dirèttore dell'Istituto di Chimica Agraria e Forestale del­l'Università di Firenz.e, svolgerà un tema di grandissinio interesse: « La struttura del Suolo ·e i suoi diversi aspetti pedologici e agro-nomici».

Il ripetersi di queste riunioni tra uomini di scienza è motivo per noi di sommo gradimento, date le finalità e gli intenti vicinis­simi della Vostra Società e quelli dell'Istituto del Suolo; per cui auguro che queste riunioni abbiano a ripetersi e diventare tradi­zione nell'interesse di un sèttore basilare dell'Agricoltura italiana che è proprio quello riguardante la fisica ·e la biologia dei nostri difficilissimi terreni.

Nel porgere a Voi tutti il saluto più cordiale e, consentitemi, affettuoso, dell'Istituto del Suolo ·e mio personale, ringrazio l'illu­stre Vostro Presidente Prof. Ballatore per avere scelto a sede di questo convegno il nostro Istituto, e formulo i migliori auguri per­chè i Vostri lavori possano apportare un ·concreto contributo al progresso della nostra agricoltura che, troppo spesso, attraversa . momenti difficilissimi.

Il Prof. G. P. BALLATORE, in qualità di Presidente della So­cietà 1 taliana della Scienza del Suolo, viene invitato alla unanimi­tà a dirigere i lavori della Tavola Rotonda.

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INTRODUZIONE DEL PROF. ALBERTO MALQUORI

SUL TEMA

« LA STRUTTURA DEL SUOLO

E SUOI ODIERNI ASPETTI PEDOLOGICI E AGRONOMICI»

Debbo fare una premessa, cioè che la relazione introduttiva verte esclusivamente sui problemi agronomici e tralascio di trattare gli effetti più inerenti alla parte pedologica, agli aspetti naturali­stici ·e morfologici della struttura ed anche alla parte meccanica.

La presenza nel terreno (naturale o agrario) di aggregati o grumi formati dall'aggruppamento, apparentemente stabile allo stato indisturbato, di particelle eterogenee minerali e organiche diverse per forma e natura, è alla base di quella che noi intendiamo per « Struttura del Suolo ».

Struttura significa quindi aggregazione o grumosità del terre­no ·e si riferisce .di .solito ad aggregati o grumi con dimensioni non superiori ai 1 O mm. Al disòpra di questo limite si parla di zolle e quindi di zollosità del suolo, cioè di maxistruttura artificiale in quanto prodotto dalla compressione di aggregati e particelle sin~ gole in masse zollose ad opera dei vomeri.

Sulla compattezza delle zolle hanno molta influenza le con­dizioni di umidità del terreno durante le arature benchè in se­guito, sia le vicissitudini climatiche sia i lavori meccanici deter­minino un loro progressivo sminuzzamento fino a liberare gli aggregati in esse presenti.

Da un punto di vista chimico agrario si considera come con­dizione agronomicamente strutturale di un terreno 1a stabilità della sua struttura, ossia la resistenza che i suoi aggregati offrono all'azione disintegrante dell'acqua.

Cosicchè lo studio della struttura prende in considerazione tanto' la formazione degli aggregati e le condizioni che ne miglio­rano 1a stabilità, quanto l'influenza degli agenti naturali e delle

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pratiche colturali sulla sua degradazione, intesa appunto come per­dita di aggregazione stabile.

E tutto questo perchè ogni variazione di porosità e di per­meabilità, doè di due caratteristiche fisiche che divengono· sempre più sfavorevoli alla vita della pianta, a mano a mano che il disfa­cimento degli aggregati arricchisce lo strato arabile di particelle più fini le quali inevitabilmente vanno ad intasare i pori sòttostan­ti creando sempre maggiori difficoltà al libero movimento dell'aria e dell'acqua.

Accanto a questi aspetti negativi stanno, viceversa, quelli fa­vorevoli, che risiedono nell'arricchimento dello strato arabile con nuovi aggregati stabili come conseguenza di migliori condizioni per lo sviluppo della microflora, quando l'ossigenazione dello stra­to, favorita dalle lavorazioni, rende più facile l'attacco del mate­riale organico decomponibile, rappresentato il più delle volte dai residui di una coltura.

La stabilità della struttura di un terreno è forse la carat­teristica che più di tutte è suscettibile di variazioni continue, più negative che positive se il terreno vi,ene incessantemente e a lungo sfruttato dalle coltivazioni.

Ciò vale, in particolare, per i terreni minerali con meno del 70% di sabbia, cioè con quelli dove l'abbondanza di particelle fini o limose o argillose può costituire causa di ·compattezza spes­so indesiderabile, se gli aggregati non sono sufficientemente· stabili all'acqua.

Per i terreni invece che contengono più del 70% di sabbia e quindi sono praticamente sciolti, non ha senso il parlare di strut­tura e di aggregati stabili, poichè in tali terreni non si hanno pro'." blemi ad es. di permeabilità mortificata da instabilità strutturale, ed è anche molto improbabile l'avvento di condizioni asfittiche che pongano in difficoltà la nutrizione delle colture.

I problemi allora della struttura del suolo vanno riferiti a tutti i terreni che non siano sabbiosi, così che tali problemi di.; vengono sempre più importanti a mano a mano che la tessitura dei terreni si fà più argillosa.

Invero, molti di questi terreni si presentano privi di struttura in senso agronomico, ·e sono in genere incolti e sodi. La messa a coltura di tali terreni presuppone una formazione di struttura per uno strato anche limitato, ottenuta con l'insediamento di una co­tica erbosa o meglio, se è possibile, coll'introduzione di leguminose

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da foraggio o da granella, ottenendosi in tal modo aggregati co­stitutiti ad es. da granuli argilloso-calcarei cementati da polisac­caridi agglutinanti con notevole stabilità, anche se destinata col tempo ad affievolirsi.

In questi casi estremi, come del resto per tutti quelli più normali dove si trovano terreni agrari con struttura generalmente non molto stabile, diviene compito primario dell'agronomia il mi­glioramento o . almeno la conservazione e la difesa della struttura del suolo secondo i criteri e con i mezzi forniti dalla conoscenza delle caratteristiche chimico-agrarie del terreno e di quelle della tecnica agricola.

Per intendere meglio quest'influenza, sarà bene perciò accen­nare tanto ai modi di formazione che a quelli di disfacimento dei vari aggregati.

1) Formazione degli aggregati.

a) Flocculazione di colloidi (microstruttura).

L'elettronegatività dei colloidi argillosi e organici del terreno, rende questo pa:titicolarmente sensibile all'azione flocculante di mol­ti cationi, fra i quali il calcio tiene un ruolo dominante nei terreni agrari chimicamente non anomali.

··· L'azione flocculante del calcio, pur costituendo la premessa necessaria per la formazione di una microstruttura, non conduce al­la formazione di aggregati stabili se si esercita solo sopra i colloidi argillosi, data l'estrema finezza del flocculato che non ha potere di cementare in modo resistente i granuli di argHla con altri gra­nuli minerali. Questo è ad es. il motivo per cui molti terreni argil­loso-calcarei poveri di sostanza organica sono privi di struttura an­che se il calcio vi abbonda.

Diversamente vanno le cose quando il calcio agisce da ca­tione flocculante contemporaneamente su colfoidi argillosi e su

_ colloidi organici. Si dà così il caso che in alcuni suoli argillosi ric­chi di calcio, la sostanza organica in stato di completa umificazione (a -humus) è capace, anche se contenuta in modesta quantità, di frenare H colloidismo del terreno, in quanto trovasi uniformemente distribuita nello stato arabile e ìntimamente collegata ai colloidi argillosi tramite ponti di calcio. È possibile allora reperire in que­sti terreni una buona microstruttura anche se gli aggregati sono

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dotati di una debole stabilità all'acqua, non possedendo gli umati di calcio un'efficace azione cementante.

Risu1ta perciò evidente che la microstruttura di un ·terreno è favorita dalle interazioni fra colloidi diversi per natura ma non per carica, i quali vengono flocculati da uno stesso catione. Quando invece i colloidi sono diversi e per natura e per carica, fa micro­struttura assume aspetti molto migliori come ad es. nella ·floccula­zione reciproca fra colloidi argillosi elettronegativi e idrossidi col­loidali di ferro eiettropositivi.

In questi casi alla flocculazione si unisce la cementazione dovuta all'idrossido ferrico il quale per essiccamento si disidrata · in modo irreversibile inglobando in un grumo stabile i diversi co­stituenti più o meno fini del suolo. Valga l'esempio della terra ros­sa, generalmente povera di sostanza organica, dove la grande re­sistenza degli aggregati all'acqua è dovuta quasi unicamente alla forza dei cementi ferrici.

b) Cementazione di particelle eterogenee in aggregati ( gra­nulazione o macrostruttura) .

Se la presenza di colloidi minerali ·e organici allo· stato floc­culato .è la necessaria premessa per la formazione di aggregati, poi­èhè questi devono inglobare particelle di natura diversa (minerali primari, calcare ecc.) è indispensabile 1l'opera di agenti chimici che svolgano il ruolo di cementi o di agglutinanti i quali conferiscono al grumo asciutto una sufficiente resistenza all'azione disgregante dell'acqua.

A tale ufficio sono principalmente indicati alcuni composti or­ganici, ad es. polisaccaridi, come destrani e levani, che vengono prodotti durante la decomposizione del materiale vegetale in ·seno al terreno.

Anche in questo caso l'azione cementante è una conseguenza della disidratazione di questi composti che si ricollegano d'altra parte all'attività della microflora batterica e fungina, la quale con­tribuisce alla stabilità degli aggregati con la proliferazione del mi­celio che avvolge come rete fittissima le particelle terrose. In tali casi si pensa ·Che l'aggregazione sia per metà dovuta al micelio stesso e per metà alla sostanza prodotta, e ·che la migliore struttura si formi durante la decomposizione delle ife fungine da parte dei batteri del suolo.

Anche gli idrogèli ferrici hanno un ottimo potere cementante,

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benchè tiispetto ai ·cementi orgamc1 siano meno adatti ad agglo­merare particelle diverse pur riuscendo a conferire al grumo .~una resistenza all'acqua sempre più elevata e più costante nel tempo a mano a mano che procede la loro disidratazione.

Pertanto la granulazione prodotta dagli agenti organici è queila che consente una maggiore porosità all'interno dell'aggregato ben­chè la cementazione sia ora soggetta ad essere indebolita o di­strutta ad es. per successiva decomposizione ossidativa ..

Anche la pianta contribuisce alla formazione degli aggregati per mezzo delle radici che offrono alla microflora, pullulante nella rizosfera, un materiale facilmente trasformabile in gomme e mucil­lagini le quali avvolgono le particelle terrose e le attaccano alle radici stesse. La ramificazione inoltre delle vadici avventizie o se­condarie a decorso più o meno superficiale aiuta a diffondere nello strato arabile un materiale organico decomponibile in prodotti con azione cementante.

Ciò diviene particolarmente utile nei terreni sciolti dove 1a formazione dei grumi si giova molto dell'incorporamento di mate­riale organico fresco o in via di decomposizione (letame).

Da sottolineare infine la grande importanza della fauna terri­cola (lombrichi in particolare) i cui escrementi costituiscono dei grumi molto stabili in quanto formati per impasto di :terra e cata­boliti organici durante il loro passaggio attraverso gli apparati digerenti.

La struttura migliore di un terreno da un. punto di vista agro­nomico è quella perciò dove gli aggregati sono stati ottenuti per cementazione organica. La loro stabilità dipende così dalla natura del legante e daHa sua resistenza di fronte alla demolizione ossi­dativa.

A differenza pertanto degli aggregati a cemento ferrico, che hanno stabilità quasi permanente, quelli a cemento organico sono stabili fino a che il cemento resiste, il ·che può importare variazioni notevoli anche da una stagione all'altra.

Un aspetto che rende spesso gli aggregati a cemento organico più· resistenti all'azione dell'acqua è il carattere idrofobo o idro­repellente di alcuni colloidi organici di tipo gommoso o ceroso che rendono poco bagnabile il grumo di terra. La difierenza di bagnabilità fra grumi di diversa cementazione sta sovente all'ori­gine della loro diversa stabilità dell'acqua, specie quando questa resta per breve tempo in eocesso nel terreno.

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2) Influenza delle pratiche colturali sulla stabilità della strut­tura del terreno.

Le considerazioni più sopra esposte ci sembrano utili per spiegare gli effetti spesso contrastanti delle pratiche colturali sulla stabilità degli aggregati terrosi, e per illustrare i mezzi e gli inter­venti più adatti al miglioramento e alla conservazione della strut-

. tura di un terreno agrario.

a) Influenza delle lavorazioni

Per la preparazione di un buon letto di semina è necessaria l'aratura del suolo, che, rompendo la crosta superficiale, lo dissoda e fo apre all'aria e all'acqua, mentre vengono sradicate le erbe infestanti. Coll'aratura viene creata una struttura artificiale (maxi­struttura) mediante la formazione di zolle più o meno voluminose, il cui successivo sminuzzamento dipende e dalla tessitura del terreno e dal suo contenuto di acqua durante la lavorazione. Se il terreno è troppo asciutto '1e particelle non legano tra di loro, mentre se è troppo umido le zolle si essiccano formando masse spesso assai dure.

Le zolle ·Si formano infatti al passaggio dell'organo lavorante che comprime insieme particelle singole e aggregati terrosi, e non rappresentano perciò elementi strutturali stabili dato che o con successive operazioni meccaniche (es. ·erpicature) o per azione di agenti climatici (es. gelo e disgelo, bagnamento ed /essiccamento) possono rompersi in frammenti sempre più piccoli mentre gli aggregati presenti riacquistano la loro individualità.

Considerate indipendentemente da altre pratiche colturali, le lavorazioni riescono quindi solo in modo temporaneo a modificare la struttura del suolo, con pronto beneficio per le colture da semi­nare, mentre, dopo un certo numero di stagioni, le stesse determi­nano nella maggior parte dei casi un progressivo deterioramento della stabilità degli aggregati.

A parte il fatto che la pressione e la trazione degli attrezzi sul terreno riesce a rompere meccanicamente un oerto numero di aggregati, il dissodamento del terreno ne facilita sempre la aerea­zione esaltando i processi biochimici di ossidazione della sostanza organica, compresi i cementi dei grumi.

Questo risultato sfavorevole ·delle lavorazioni sulla stabilità

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della struttura viene· controbilanciato se mediante ie stesse lavora­zioni s'incorpora al suolo materiale organico, come residui di colture, letame o scarti aziendali.

Quanto più veloce è. la decomposizione del materiale organico nel terreno tanto più rapidamente vengono cementati gli aggre­gati la cui stabilità dipènde da un successivo attacco della micro­flora sul cemento organico, quando le condizioni ambientali siano favorevoli. Più lenta ma più duratura risulta invece la formazione e la stabilità del cemento organico quando questo proviene da attacco microbiologico meno favorito dalle condizioni ambientali.

b) I nfiuenza delle successioni colturali

Le lavorazioni che da sole tendono a deteriorare la struttura di un terreno, hanno invece un effetto favorevole se riferite ad un piano colturale che preveda opportune rotazioni o successioni di colture in modo tale da assicurare al suolo una copia di residui organici sufficiente al mantenimento di una data stabilità strut­turale~

Anche se fra le varie colture esistono differenze più quanti­tative che qualitative circa i loro residui nel terreno, si tratta di materiali di facile decomponibilità adatti a fornire sempre nuove sostanze cementanti con un efficacia che sarà tanto maggiore quan­to più diffusa e persistente sarà la distribuzione di questi materiali in seno al terreno.

Ai prati poliennali spetta perciò il primo posto nel condizio­namento ottimale della ·struttura del suolo grazie al loro esteso ed altamente ramificato capillizio radicale che,. se appartenente. a leguminose, soggiace anche ad una rapida decomposizione quale effetto dell'azoto acquisito per simbiosi batterica.

Come confermato da numerose indagini sperimentali, con le rotazioni dove siano incluse colture a residuo copioso (prati, medi­cai, ecc.), a residuo medio (mais) e a residuo scarso (frumento, avena), non è difficile conservare se non migliorare la stabilità strutturale di un terreno contro i danni causati dalle lavorazioni. Al contrario una successione pluriennale di una stessa coltura a scarso residuo determina una netta diminuzione di aggregati stabili.

A parte il fatto di residuare nel terreno come sorgente di cementi organici per la formazione di una struttura, le radici delle piante in crescita esercitano anche un'azione meccanica di

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compressione e agglomerazione sulle particelle di terra. Attraverso il loro metabolismo, possono inoltre agevolare la disidratazione dei grumi per assorbimento di acqua, ed influenzare nei terreni calcarei la stabilità degli stessi coll'emissione di anidride carbonica che discioglie il calcare a distribuzione incoerente che viene suc­cessivamente riprecipitato in modo uniforme nel granulo con la disi­dratazione.

Gli effetti favorevoli dei residui delle colture si manifestano in modo evidente in alcune monocolture a successione continua, come a des. il mais, dove coll'interramento degli stocchi unito a concimazione azotata, si assicura annualmente quel carico di so­stanza organica capace di cons,ervare al suolo un livello di fertilità fisica abbastanza costante.

I problemi divengono invece più ardui quando si tratta di colture a residuo scarso, le quali senza un periodico arricchimento organico, determinano una lenta e progressiva degradazione della struttura di un terreno per i motivi che abbiamo più sopra accen­nato. I danni non giungono certo improvvisi e la loro entità di­pende logicamente dalle caratteristiche chimico-colloidali del ter­reno. Maggiori preoccupazioni si possono avere per i terreni limosi o sabbiosi nei quali la carenza di sostanza organica, più che nei riguardi della 1stabilità della struttura, incide sfavorevol­mente per l'eccessivo dilavamento e lo scarso potere di .ritenzione idrica del suolo.

3) Influenza delle concimazioni

a) Sovesci e letamazioni

Queste due pratiche colturali che oggi m molte ristruttura­zioni agricole si stanno notevolmente riducendo, rappresentano i più eccellenti mezzi di condizionamento aziendale della struttura del suolo. H sovescio di leguminose costituisce forse il migliore sistema per la produzione rapida di agglutinanti organici data la grande appetibilità di questo materiale fresco da parte della mi­croflora del terreno. Tuttavia, come si è detto più sopra, la rapidità dell'effetto è collegata con una minore stabilità nel tempo, così che l'azione favorevole del sovescio ha spesso una breve durata.

Coll'impiego del letame si ottengono invece a questo riguardo effetti meno pronti ma più durevoli, sempre in dipendenza dei

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processi ossidativi favoriti e dalla tessitura del suolo e dalla sua lavorazione.

Non va dimenticato che il letame rappresenta anche un inte­gratore biologico della fertilità del terreno ed, un secolare collaudo lo rende ancora insostituibile per la creazione di un materasso di semina dotato di soffi.ce grumosità. E' infatti nelle aziende dove il letame non è più disponibile che si affaccia il problema del tasso organico dei terreni che potrà essere mantenuto solo attraverso l'incorporamento di residui delle colture o di altro materiale de­componibile, pena il loro decadimento strutturale, specie se questi sono soggetti ad intense e ·continue lavorazioni.

b) Concimazione chimica

I fertilizzanti chimici in quanto elettroliti sono in grado di agire sui colloidi minerali e organici del suolo determinando stati di flocculazione che a loro volta possono condizionare la stabilità della struttura del terreno.

Intorno all'azione dei vari ioni sussistono ancora alcune di­vergenze di opinioni, fatta eccezione per il sodio il cui effetto sfa­vorevole sulla struttura è attribuito all'elevato grado di idrata­zione di questo ione, che accentua in ogni caso il colloidismo argilloso.

Per il potassio si parla tanto di interazioni positive col sodio nel deteriorare le proprietà fisiche del suolo, quanto di un suo comportamento più vicino a quello del calcio e del magnesio che non a quello del sodio, trovando in alcuni terreni un migliora:. mento delle qualità fisiche dopo aggiunta di sali potassici.

Conflitto di risultanze esiste anche per l'effetto dell'ammonio sulla struttura del terreno, mentre per quanto riguarda le conci­mazioni con ammoniaca liquida si è trovato che a dosi elevate di ammoniaca gli aggregati vengono in un primo· tempo indeboliti in seguito a solubilizzazione della sostanza organica nei suoli cal­cio-carenti. Col successivo essiccamento i colloidi organici possono formare altri tipi di legami più solidi dei precedenti e determinare

· quindi un aumento della stabilità della struttura. Il catione calcio, come si è già osservato, viene considerato

come un miglioratore della microstruttura specie nei terreni argil­losi, in conseguenza della formazione di ponti di calcio fra le par­ticelle di argilla e i poliuronidi delle sostanze umiche. Tale azione

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favorevole del calcio può del resto· essere anche considerata come indiretta, in relazione al miglioramento ambientale per la flora microbica, il che comporta un aumento della sostanza organica del suolo con i suoi effetti sempre benefici per la struttura.

Dei composti calcici che accompagnano i concimi è da ricor­dare che la calce è di solito un agente favorevole alla struttura del terreno se contenuta entro certi limiti oltre i quali si provoca una diminuzione delle quantità di ferro e di alluminio mobili con ·conseguente diminuzione della stabilità degli aggregati. Il solfato di calcio provoca una temporanea flocculazione senza beneficio per la stabilità degli aggregati, mentre il calcare ha in genere scar­so effetto su questa stabilità.

Gli ioni calcio possono anche agire sfavorevolmente sulla struttura quando i grumi di terra vengono in contatto con sali di calcio in eccesso. L'azione del calcio, come si è già avvertito più avanti, è di tipo flocculante e non cementante, il che spiega come sia facile reperire terreni di pessima stabilità strutturale i quali sono tuttavia già flocculati con calcio.

Anche per il magnesio i giudizi si alternano nel considerare l'influenza di questo catione trascurabile o sfavorevole ai fini strutturali.

Per quanto riguarda gli anioni dei fertilizzanti tradizionali, solamente i fosfati avrebbero un'azione cementante, capace di fa­vorire la macrostruttura del terreno e la sua stabilità.

Quest'azione favorevole degli ioni fosforici si esplica sia in­direttamente coll'impedire la rimozione del calcio, sia direttamente col cementare le particelle del suolo più fini, attenuando i fenomeni di rigonfiamento e di contrazione. Anche la creazione di un miglio­re ambiente nutritivo per la microflora in seguito alla distribuzione di concimi fosfatici, concorre senza dubbio a migliorare le sue qualità strutturali.

Da più recenti indagini è stato infine confermato che i sali di sodio hanno sempre azione deteriorante sulla stabilità all'acqua degli aggregati del terreno mentre lieve o nullo è l'effetto dei sali di potassio e di ammonio. I sali di calcio e di magnesio hanno a volte azione analoga a quella dei sali di ·sodio e a volte interme­dia fra questa e quella dei sali dipotassio e di ammonio. Fra gli anioni solo i fosfati hanno· spesso azione favorevole sulla struttura mentre nulla o debole è quella dei cloruri, nitrati e solfati.

Pertanto, nelle interazioni fra fertilizzanti chimici e terreno

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ai fini delle caratteristiche strutturali di quest'ultimo, avranno ovviamente maggiore importanza i sali solubili fra i quali i fosfati si comporterebbero talvolta come .efficaci condizionatori della strut­tura del suolo. Gli effetti positivi di questi fertilizzanti si manife­stano in modo particolare nella concimazione di produzione alla semina o in copertura con fosfati granulari idrosolubili, dato che colla dissoluzione dei granuli in seno al terreno si formano solu­zioni fosfatiche di alta concentrazione specie se provengono da fosfati alcalini o di ammonio.

Da quanto siamo venuti esponendo risulta quindi evidente che un'oculata scelta dei concimi chimici può récare un notevole contributo alla conservazione e al miglioramento della struttura di un terreno.

4) Influenza del diserbo chimico

Sebbene la pratica del diserbo chimico non sia ancora diffusa in Italia come in altri Paesi, pur tuttavia la lotta chimica contro le erbe infestanti va anche da noi assumendo un'importanza sem­pre crescente nei programmi colturali nei quali la riduzione dei costi di produzione è collegata a quella della mano d'opera.

Premesso che gli erbicidi non possono avere effetti diretti sulla stabilità della struttura dato che le dosi d'impiego sono una centesima parte o meno di quelle dei fertilizzanti, dosi che poi nel terreno subiscono quasi 1sempre una degradazione per via mi­crobica, per quanto invece si riferisce ad una loro azione indiretta possiamo dire che il diserbo chimico, come quello meccanico, fa­cilita in linea generale il deterioramento della struttura di ·un ter­reno quando è richiesta un'operazione meccanica anche superfi­ciale, per i motivi . più sopra segnalati, e sopratutto quando col­l'impiego di diserbanti a traslocazione radicale o antigerminello, si tronca la crescita delle malerbe e si riduce drasticamente la loro azione protettiva come fornitrici di sostanza organica al terreno. , I i l

Dal punto di vista delle proprietà fisiche del suolo le erbe infestanti agiscono infatti favorevolmente sulla stabilità degli ag­gregati proteggendoli in parte da eventuali erosioni, allo stesso modo dei prati e dei pascoli.

Coll'impiego di erbicidi ad azione disseccante ,sulle parti ae­ree dei vegetali si ottiene un diserbo che non richiede lavorazioni

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del suolo e vi lascia intatti gli apparati radicali delle piante, senza alcun danno per le sue condizioni strutturali.

A questo tipo di diserbo si riallacciano i sistemi della «non coltura ». Tali sistemi possono in certi casi riuscire vantaggiosi, non escludendo peraltro che a lungo andare possa instaurarsi un immobilismo che conduce inevitabilmente all'involuzione e al de­cadimento della fertilità del suolo.

5) Erosione e struttura del suolo

Il parlare come si è fatto finora intorno all'influenza delle pratiche colturali sulla struttura del terreno, può servire a com­prendere se le stesse hanno anche influenza sulla sua erodibilità nelle zone collinari.

Le perdite di terreno agrario per trascinamento operato dal­l'acqua ruscellante sono talvolta ingenti sotto circostanze climati­che, eccezionali,, ma divengono sempre più probabili a mano a mano che diminuisce la stabilità degli aggregati terrosi.

In presenza di uno strato arabile bene e stabilmente struttu­rato, la permeabilità del terreno all'acqua diminuisce col tenwo molto più lentamente di quanto succede nei terreni a struttura poco· stabile nei quali l'acqua si infiltra con sempre maggiore dif­ficoltà via via che i pori vengono intasati dalle particelle prove­nienti dai grumi disintegrati. In tal modo l'acqua in eccesso è costretta a scorrere in superficie asportando materiale terroso che a sua volta intasa le scoline e i capofossi aggravando sempre più la situazione.

Di fronte a tali eventi acquista palese importanza la struttu­ra del sottosuolo e la canalizzazione delle acque percolanti. E' noto infatti che le opere idrauliche hanno un ruolo primario nelle sistemazioni collinari e la loro razionale distribuzione collegata a terreni bene strutturati, rappresenta la migliore difesa contro l'erosione dei terreni.

Da questi concetti si evidenzia l'importanza del mantenimento di un'adatta grumosità del terreno che indebolita dalle lavorazioni, può essere ripristinata coll'incorpamento di materiale organico.

Anche nell'agricoltura collinare perciò la scelta di opportune rotazioni nelle quali trovino posto prati avvicendati, erbai, e col­ture a residuo copioso o medio, contribuisce alla salvaguardia di una stabilità degli aggregati superficiali che, se impoveriti di so-

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stanza organica, possono con facilità disfarsi e costipare il suolo favorendone l'erosione ad opera dell'acqua.

I pericoli di erosione superficiale vengono certamente ridotti nei terreni a sodo o a pascolo delle zone collinari argillose dove le lavorazioni, aprendo il passaggio in profondità all'acqua, diver­rebbero spesso causa di smottamenti.

Nell'occorrenza di stagioni particolarmente piovose la buona sistemazione colturale dei terreni che prevede la conservazione o il miglioramento della loro strutttra, può veramente costituire una difesa efficace contro il disordinato corso dell'acqua e contro la perdita per erosione di terra fertile.

PRESIDENTE - Ringrazio vivamente il Prof. Malquori per la sua concisa ed interessante relazione introduttiva che ha toccato diversi punti di fondamentale importanza, di cui alcuni ancora oggi molto dibattuti, sui quali evidentemente ha voluto richiamare la nostra attenzione.

Per lo svolgimento della discussione potremo seguire due metodi: 1°) esame della struttura del suolo, nell'ordine, dal punto di vista pedogenetico, chimico-agrario, meccanico-agrario e meto­dologico; 2°) esame della struttura del suolo prima dal punto di vista morfologico, poi dal ·punto di vista della stabilità ed infine la sua valutazione analitica (metodologia).

PROF. E. ZANINI - Sono perfettamente d'accordo sulla prima impostazione che ha suggerito Ballatore, però dovrebbe essere an­che possibile formulare delle domande in merito alla esposizione così come è stata fatta dal Prof. Malquori; questo potrebbe darci la possibilità di chiarire alcuni' punti prima di entrare nella di­scussione generale. ·

PROF. O. T. ROTINI - Sono anch'io d'accordo sulla opportu­nità di approfondire questo problema, che lo si faccia in un modo o nell'altro. Ritengo anche conveniente che la discussione si svolga sul piano interdisciplinare evitando così questa divisione fra pedologi, chimici agrari e agronomi. Mi sembra, che la seconda proposta, quella di Zanini di discutere globalmente sarebbe molto più adeguata. Trattando i singoli problemi della morfologia della struttura e della stabilità della struttura senza divisioni specializ­zate ognuno potrebbe portare validamente e con maggiore effica-

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eia il suo contributo a seconda che sia chimico, pedologo, agrono­mo o meccanico agrario.

PROF. L. CA v AZZA - Io penso che tutte le proposte siano buone; ma si potrebbe cercare di fare qualche cosa secondo il pri­mo schema, cioé parlare prima sugli aspetti pedologici, che sono quelli di base della struttura e parleranno l'agronomo, il chimico­agrario, ecc ..... , che s'interessano a mettere in evidenza ciò. che è di loro competenza. Su ogni singolo aspetto considerato in quella prima sequenza si può far intervenire chiunque e si potrebbe co­gliere l'occasione allora di inserire le domande o i chiarimenti ai propri dubbi sulla relazione generale.

Secondo questo programma, cioé, quando capita l'argomento o la domanda di tipo pedologico descrittivo, fai la domanda, poi, la ripeti quando si passerà a parlare dell'argomento nell'aspetto agronomico o nell'aspetto meccanico.

PROF. S. CECCONI - Per quanto riguarda la metodologia mi sembra fondamentale che un accordo sui metodi di analisi sia necessario pdina di addentrarci in una discussione generale. Se infatti affrontiamo il problema della metodologia dopo tutti gli altri problemi ho paura che dovremo poi ricominciare d'accapo, perchè ancor oggi non c'è realmente grande accordo fra i vari specialisti sulla determinazione e quindi sul significato di struttura, stabilità e tipo di struttura.

PRESIDENTE - D'accordo con quello che dice il collega Cec­coni; se, però cominciamo con la metodologia, rischiamo di con-fondere le idee ..

Ci sono dei concetti di base fondamentali che vanno discussi preliminarmente. Inoltre, alcuni risultati possono prescindere dagli aspetti metodologici della valutazione della stabilità della struttura o da altre caratteristiche della struttura stessa. Ci sono aspetti invece la cui enunciazione deve essere basata per forza su una base metodologica di determinazione. Quando qualcuno di noi riferisce in base a dati analitici deve indicare il metodo di analisi usato, e ciò al fine di poterci meglio intendere.

Ritengo che il problema della metodologia analitica debba essere esaminato per ultimo.

In conclusione l'ordine di discussione potrebbe essere il se-

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guente: morfologia della struttura, stabilità della struttura, meto­dologie analitiche.

Non intendo porre limiti di tempo agli interventi, ma desi­dero che questi siano strettamente pertinenti al tema della Tavo­la Rotonda.

DISCUSSIONE

PROF. E. ZANINI - Io vorrei semplicemente rompere il ghiac­cio senza attenermi a tutta questa discriminazione, la quale è più che giusta, ma implica una certa preparazione ·su determinati aspetti ·sui quali ci sarà naturalmente, chi. è già preparato e ha già il desiderio di esporre le sue idee.lo vorrei anzitutto esprimere all'amico Malquori il compiacimento più vivo per la Sua esposi­zione soprattutto, parlo da agronomo, perchè l'amico Malquori, pur essendo un chimico-agrario, ha fatto una illustrazione così densa di aspetti agronomici, tanto da richiamare alla mia memoria e al mio animo quella collaborazione fraterna che si era instaurata fra L. Marimpietri e chi Vi parla in questo momento. Mi riferisco agli anni trascorsi all'allora Stazione Chimico-Agrria Sperimentale di Roma quanto tutti i problemi che si ponevano allora alla no­stra attenzione erano sviscerati attraverso questa comunicativa fra Lui, chimico-agrario, ed io, agronomo. Ecoo perchè mi sembra di ritornare un po' a quei tempi attraverso la relazione Malquori in quanto mi ha dato l'impressione di una fusione di conoscenze di carattere chimico e di carattere agronomico con il risultato ben positivo che ne è scaturito. E' perciò che desidero compiacermi con tutto il cuore.

Vorrei cominciare, formulando due domande, e la prima è questa: « nella relazione Tu parli di ·struttura con riferimento ai terreni argillosi e hai affermato che il problema non si pone per i terreni sabbiosi, o, per meglio dire, che non possiamo parlare di struttura per i terreni sabbiosi». Ora siamo d'accordo che per un terreno sabbioso non possiamo parlare di struttura, ma ciò non significa che non ci si debba preoccupare, per tutte quelle conside­razioni che Tu hai fatto e in modo particolare per l'ultima, di creare una struttura in questi terreni sabbiosi. Mi sembra che que­sto sia uno dei problemi che l'agronomo debba avere molto a cuo­re, sotto tutti i profili, se detti terreni devono essere coltivati.

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Migliorare molti di questi aspetti agronomici, parliamo della capa­cità idrica e via dicendo, è oggi un problema di carattere agrono­mico di notevole rilievo, specie se devono essere sottoposti ad una agricoltura intensiva. Se facciamo riferimento, come tu hai detto, al fenomeno dell'erosione, tanto più grave quanto più i ter­reni sono poco strutturati, mi sembra che questo sia un problema che non può essere certo trascurato. Ecco perchè gradirei cono­scere meglio il pensiero del relatore in proposito.

La seconda domanda si riferisce a quanto dici a proposito delle possibilità delle piante di assicurare una buona struttura. Tu hai fatto riferimento al problema della monocoltura, come il mais, e hai detto che con l'interramento degli stocchi, unito a concima­zione azotata, si assicura annualmente quell'apporto di sostanza organica capace di conservare il suolo ad un livello di fertilità fisica abbastanza costante. Ora qui non mi è chiaro, attraverso questa tua esposizione, se intendi come fertilità fisica il fenomeno prettamente di carattere strutturale o se lo riferisci a qualche cosa di più complesso nel quale caso non si può dire che si tratti uni­camente di un problema di struttura. Comunque a parte questa sottigliezza, ho letto proprio in questi giorni, con interesse, un bi­lancio della sostanza organica che ha fatto l'amico Lanza, dal quale risulta che per una produzione di 100 O.li di granella di mais, se si interrano gli stocchi ecc., si ha un bilancio attivo ri­spetto alla distruzione dell'humus che si ha per effetto dei noti fenomeni annuali; residuo attivo, se non sbaglio, di 2-3 O.li di humus (rispetto a quello che è la dotazione finale). Quindi non vi è dubbio che questa coltura, sotto il profilo della conservazione della sostanza organica, ha un bilancio positivo che può anche lasciare tranquilli sotto il profilo di una successione continua, ma la domanda che faccio io è questa: siamo sicuri che questa so­stanza organica, che deriva da questo interramento di stocchi, è tale da agire effettivamente sulla aggregazione delle particelle? Non è una sostanza organica ben diversa da quella che si ha attra­verso le letamazioni o attraverso lo stesso apparato radicale? Per­chè le due cose sono certamente distinte. Chiedo scusa se ho diva­gato, ma mi sembra che questi siano argomenti che, ripeto, pos­sano proprio rompere il ghiaccio e aprire un'ampia discussione. Grazie.

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PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Zanini per le sue interessanti precisazioni sul valore agronomico della struttura e l'esplicito ri­chiamo alla natura della materia organica in rapporto con l'evolu­zione della struttura del suolo.

PROF. A. MALOUORI - Voglio ringraziare il Prof. Zanini per aver ricordato un grande e comune Amico scomparso al quale eravamo legati da profonda amicizia.

Rispondo adesso alle due domande: la prima riguarda la struttura nei terreni sabbiosi, dove effettivamente non si parla di stabilità di struttura, dove i grumi non sono numerosi e dove non c'è pericolo che movimenti di particelle fini possano creare con­dizioni asfittiche ed intasamenti sugli strati inferiori. In questi casi il problema è diverso: la sostanza organica è necessaria per l'economia dell'acqua; così che per questi terreni più che parlare di stabilità di struttura, si parla del problema della conservazione dell'acqua. La sostanza organica infatti non è tanto importante perchè può formare grumi stabili, quanto perchè agisce da tam­pone assorbente per l'acqua.

Circa la seconda domanda che riguarda i residui del mais e delle monocolture continue, penso che questi abbiano un effetto positivo dato che si tratta di materiale fresco e facilmente decom­ponibile.

Da molto tempo vengono posti in commercio dei preparati come l'acqua-humus, cioé sostanze molto umificate che dovrebbero avere un'azione strutturale quale invece non hanno. Possono averla invece certe sostanze intermedie che durante la decomposizione danno sostanze agglutinanti le quali dopo essiccamento formano grumi stabili. Ma sòstanze come l'humus, introdotte nel terreno in forma solubile non è detto che diano strutture stabili. Quando nel terreno rimangono stocchi o radici, che per avere rapporti C/N elevati richiedono aggiunte di azoto onde creare maggiore attività microbica e impedire perdite d'azoto dal terreno stesso ad opera dei batteri, questi residui vegetali per decomposizione for­mano sostanze le quali hanno il potere di formare struttura gru­mosa.

Tale struttura può col tempo scomparire, ma siccome annual­mente si interrano gli stocchi, si assiste (ad es. in prov. di Siena) da molti anni a una mais-coltura, senza letamazione e con inter­ramento di stocchi arricchiti di azoto, rimanendo le proprietà del

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terreno ad un livello costante e accettabile. Ora, il mais, è pianta favorevole alla struttura perchè lascia un residuo di una certa en­tità; nel caso del frumento il residuo è minore e bisogna interrare la paglia sempre con aggiunte opportune di azoto.

PRESIDENTE - Credo che il Prof. Zanini sia soddisfatto della risposta che il relatore ha dato ai quesiti da lui posti.

Per quanto riguarda il problema dei terreni sabbiosi, su cui si è soffermato Zanini, ritengo che non sia più il caso di parlare di terreni privi di struttura e di terreni più o meno struttwali, ma solo di struttura che può variare dalla fase monogranulare di una sabbia alla fase grumosa stabile di una terra nera e risulta in ogni caso modificabile in seguito all'azione di svariati fattori.

Desidero poi richiamare l'attenzione su un punto dell'inter­vento di Zanini, se cioé ai fini del miglioramento della struttura del suolo attraverso l'interramento dei residui colturali, sia del tutto indifferente la natura di questi residui. Il Gelzer, operando su un campo in partenza ricco di humus e calcio, di cui metà lasciato ad incolto e metà a seminativo ininterrotto per un cinquan­tennio, ha potuto rilevare le seguenti variazioni nel contenuto di humus e nella parte strutturale:

Terreno

incolto

seminativo

Humus %

9.55

8.59

Parte strutturale %

83.2

42.4

Come è dato constatare, per effetto del seminativo continuo non si è verificata una accentuata distruzione dell'humus; si può pensare, tuttavia, che sia andata distrutta la parte più attiva di esso, ossia quella più utile per l'agglomerazione delle particelle terrose, anche se non si può escludere una certa azione della la­vorazione nella diminuzione del valore della struttura dall'83 .2 % del terreno incolto al 42.4% del terreno coltivato. Forse l'esempio riportato non è del tutto pertinente, ma ritengo valida l'afferma­zione che non basta parlare di materia ··organica più o meno fer­mentata od umificata nel suolo, ma in queste discussioni bisogna fare riferimento al tipo di humus; così se si formano in preva­lenza acidi umici bruni avremo un tipo di aggregazione struttu-

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rale, mentre se prevalgono gli acidi umici gr1g1 avremo un altro tipo di aggregazione e forse una struttura più stabile.

PROF. O. T. ROTINI - Credo che su questo argomento potreb­be intervenire Cecconi, che ha tenuto a Roma, or sono due mesi, una conferenza al corso di aggiornamento sulla difesa del suolo. Mi pare che Cecconi abbia sostenuto, ed a ragione, che quel che conta per la struttura, per i legami ed i cementi, è soprattutto la sostanza organica fresca, che sovesciata nel terreno, si degrada formando le sostanze utili per i legami, da cui dipende effettiva­mente la struttura e la stabilità di struttura del suolo.

PROF. S. CECCONI - Il Prof. Ballatore ha riferito di prove cinquantennali nelle quali alla fine delle prove stesse il suolo col­tivato denunciava una stabilità di. struttura del 43 % , rispetto al-1'83 % dell'incolto. A questo proposito bisogna ricordare che oltre a tutte le altre variabili vanno presi in considerazione particolar­mente due aspetti: l'azione della lavorazione del suolo e l'azione della alterazione della sostanza organica. Per quanto riguarda il seminativo appare logico che le lavorazioni abbiano contribuito alla maggior disgregazione degli aggregati; per l'incolto, dove co­me il Prof. Ballatore diceva, il tenore di sostanza organica è stato mantenuto su valori analoghi a quelli del seminativo, non si sa come sia stato mantenuto tale livello di contenuto di sostanza organica, cioè quale tipo di sostanza organica veniva aggiunta, se letame, residui vegetali o altro ancora.

lo personalmente non credo molto al letame come decisivo miglioratore della stabilità di struttura in quanto la sua decom­posizione è generalmente molto lenta, e in oltre i prodotti che ne derivano, specialmente quelli azotati, sono così appetiti dalla mi­croflora che scompaiono rapidamente senza poter quindi formare, ad esempio, legami con i minerali argillosi; la loro formazione poi è così lenta che anche l'attività microbica non ne viene potente­mente avvantaggiata. La sostanza organica fresca invece inter­viene sulla struttura del suolo non solo attraverso i prodotti della sua decomposizione ma anche durante il ·suo ciclo vitale, ad esem­pio attraverso i prodotti di escrezione radicale e può darsi che tali prodotti giochino un ruolo assai determinante sulla variazione della stabilità di struttura di un suolo. Basta pensare all'effetto delle leguminose, ad esempio la ·sulla, quasi sempre grandemente positivo almeno nello ·spazio esplorato dal loro apparato radicale.

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In terreni fortemente argillosi è stato osservato che i 20 cm. di terreno più superficiale sono stati portati dall'insediamento di le­guminose da indici strutturali praticamente nulli a valori del 60 70% ed è difficilmente pensabile che tali forti cambiamenti siano interamente dovuti al disfacimento di residui vegetali morti. E' quindi mia impressione, sia ben chiaro non suffragata da prove sperimentali, che un ruolo assai importante anche se in ·gran parte indiretto, sia svolto dai prodotti di escrezione delle radici e in particolare modo dagli acidi aspartico e glutamico, che sembrano gli amminoacidi più rappresentati in questi prodotti, i quali por­tano l'attività microbica a livelli molto più alti. I residui vegetali in decomposizione che apportano al suolo fra l'altro zuccheri e acidi organici non molto complessi e le radici viventi con i loro prodotti di escrezione sono quei fattori che io penso abbiano una azione di strutturazione e di aumento della stabilità di struttura fra le più importanti. L'azione del letame sulla stabilità di struttura è per me da ridimensionare. E' ovvio che il letame aggiunto ad un terreno privo di sostanza organica porti un beneficio strutturale e tale beneficio sarà tanto più grande quanto maggiore è la quan­tità di letame aggiunta ma se prendiamo in considerazione un terreno normale non penso che la somministrazione delle con­suete dosi di letame porti a miglioramenti della stabilità di strut­tura degni di nota. Ecco perchè tornando al problema dell'inter­ramento degli stocchi di mais in terreni aereati io vedo un'azione positiva della sostanza organica in disfacimento e proprio nel tratto compreso fra sostanza organica verde e sostanza comple­tamente umificata perchè proprio in questo passaggio si verifi­cano le reazioni chimiche e chimico-fisiche· che portano alla for­mazione di complessi organo-minerali, ponti di calcio, ecc.

Bisogna considerare il problema nella sua totalità in quanto la sostanza organica, il calcio, ecc. agiscono ·sulla struttura solo in presenza uno degli altri e non portano generalmente alcun bene­ficio senza una loro interazione.

Probabilmente, anzi certamente, apparirò troppo drastico sul negare una grande azione miglioratrice del letame sulla stabi­lità di struttura del suolo ma ho preso questa posizione proprio per combattere l'opinione quasi generale dell'azione taumatur­gica del letame, buono per tutti gli usi. Che questa opinione esista è dimostrato anche dalla somministrazione del letame nelle risaie del Piemonte ove in molti casi sono preoccupatissimi della sempre

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più difficile possibilità di reperirlo. Orbene in alcune prove spe­rimentali, peraltro non sufficientemente approfondite, le parcelle letamate non davano luogo a produzioni di riso maggiori di quelle non letamate ma anzi si avevano spessissimo nelle prime produzioni significativamente inferiori. Ciò mi sembra abbastanza logico in quanto in sommersione, in ambiente asfittico, la decom­posizione del letame, quando avviene, non porta certamente a prodotti molto utili; cioè o non si ha -alcun effetto se il letame non si altera o altrimenti l'alterazione può provocare la forma­zione di composti che peggiorano invece di migliorare la situa­zione. Quanto ho detto riguarda naturalmente un aspetto setto­riale ristrettissimo e non va inteso come una generalizzazione.

PRESIDENTE - &ingrazio il Prof. Cecconi per il suo inter­vento alquanto sorprendente sul ruolo della materia organica nel suolo e più in particolare del letame. Le sue considerazioni sulla azione benefica della sostanza organica fresca in fase di decom­posizione e degli escreti radicali sono validi, però sino ad un certo punto, mentre ci lascia un poco perplessi la sua affermazione sulla scarsa efficacia del letame come miglioratore della struttura. Al riguardo ci sono in giro idee molto controverse, che rispecchiano talora le particolari situazioni sperimentali in cui si è operato. Presso il mio Istituto si stanno conducendo accurate, ricerche al riguardo, ma prima di entrare più profondamente nel merito della questione mi piacerebbe ascoltare il pensiero di altri Colleghi.

Per quanto riguarda poi l'effetto depressivo sulla produzione del letame somministrato in risaia, esso è comune ad ogni tipo di materie organiche; è ormai noto che queste determinano effetti sfavorevoli in ambiente riduttore, molto umido, dove si ha disper­sione dei cementi colloidali e degli ossidi di ferro in particolare.

PROF. G. FLORENZANO - Vorrei intervenire brevemente, da un punto di vista biologico, nella questione interessantissima che ha sollevato il Prof. Zanini a proposito della sostanza organica residuata da colture e sottolineare, dopo quanto ha così recisa­mente affermato il Prof. Cecconi nei riguardi del letame, che in biologia del suolo, si distinguono due tipi d'influenza delle atti­vità microbiche sulla struttura: effetti di carattere transitorio o contingente determinati dalla sostanza organica fresca e dai re­sidui vegetali, che sono rilevanti e benefici sulla struttura anche

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se limitati nel tempo, ed effetti determinati dai componenti umici del suolo ai quali si devono attività biologica duratura e stabilità di struttura. Così ad es.: polisaccaridi e poliuronidi che si for­mano per attività microbiologiche a carico della sostanza orga­nica e che rappresentano, in certo senso, prodotti di degradazione e di sintesi, hanno un effetto immediato sulla struttura che si ri­leva dopo pochi mesi dalla :immissione di sostanza organica; però si tratta di materiali morbidi, facilmente degradabili, importanti nella formazione della struttura, ma la loro scomparsa determina il ripristino dello status quo. Quando invece si sono formati i veri componenti organici· del suolo, quelli umici, allora questi, come ha dimostrato Swaby in Australia, si legano· permanente­mente, con il concorso di aminoacidi, di grassi e di composti organici della più varia natura e realizzano un effetto duraturo sulla formazione e la stabilità degli aggregati.

PRESIDENTE - Ringrazio vivamente il Prof. Florenzano per le sue preziose precisazioni, che vengono da me condivise. Mi consenta di aggiungere qualche parola a quanto lui ha detto.

Come è ormai riconfermato dalle ricerche di Harris, Clapp ed Emerson (1965), i polisaccaridi ed i poliuronidi di origine. microbica sono più efficaci, più che nei suoli naturali, in quelli coltivati, dove svolgono un ruolo importante, limitato però agli stadi iniziali di formazione della struttura. In particolare, questi composti cementano le particelle minerali più grosse, cosa che non potrebbero fare i composti umici. Anche Monnier (1965) ha confermato questi referti: i composti pectici, i poliuronidi, sono di fatto dei cementi molto efficaci; essi danno luogo a strutture areate e stabili solo lì per lì, ossia transitorie e di corta durata, all'opposto degli acidi umici meno efficaci, ma più resistenti e più durevoli. Ma anche per quanto riguarda gli acidi umici, bi­sogna fare delle distinzioni in relazione con la loro influenza sulla struttura. Si possono. distinguere acidi umici bruni o poco polimerizzati e acidi umici grigi o molto polimerizzati. I primi hanno catene alifatiche più o meno lunghe, che formano con . le argille dei legami che possono essere interrotti assai facilmente; i secondi, invece, con i loro nuclei più o meno sferici e di na­tura aromatica, si uniscono più strettamente e più direttamente con le argille dando aggregati di piccole dimensioni ma molto stabili. Queste unità strutturali più piccole e più stabili, a loro

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volta, possono essere riunite in aggregati dagli acidi umici bruni (che Tiulin chiamava liberi) che pur determinando legami più lenti, danno così luogo ad edifici porosi più grossi e logicamente attivi, grazie alle loro catene alifatiche (Duchauour, 1969).

In definitiva, riassumendo anche il pensiero di Florenzano, mi sembra di poter concludere che le materie organiche espli­cano nei riguardi della struttura azioni diverse, a seconda dello stadio della loro decomposizione nella massa del suolo. C'è una prima fase in cui i batteri che si sviluppano abbondantemente a spese delle materie organiche fresche incorporate o residuate determinano un miglioramento notevole, ma di breve durata, della stabilità strutturale. In una seconda fase intervengono i prodotti transitori dell'umificazione, la cui azione specifica sul miglioramento della struttura risulta generalmente meno intensa rispetto a quella dei corpi batterici, ma più lunga. Infine in una terza fase più avanzata della decomposizione delle materie or­ganiche compaiono i prodotti umici, biologicamente più stabili dei precedenti, la cui azione sulla stabilità della struttura è de­bole, ma assai durevole e quindi cumulativa.

PROF. G. FLORENZANO - In confronto ai polielettroliti tipo . Krilium che sono inerti biologicamente, questi aggregati sono biologicamente attivi.

PROF. A. MALOUORI - Rispondo al Prof. Florenzano. Effet­tivamente è vero che la sostanza organica deve essere distinta in prodotti in via di degradazione e in prodotti ormai arrivati alla umificazione più o meno completa. Però ora noi ci manteniamo molto sulle generali. Si parla di formazione di grumi, ma ne parliamo molto superficialmente perchè siamo ancora molto lon­tani dal sapere effettivamente comé stanno le cose. Però il fatto che i prodotti di decomposizione hanno una azione temporanea è vero; 1.'azione permanente allora è legata a sostanze organiche più complesse, tipo humus, acidi umici grigi, i quali se sono salificati da Fe determinano una struttura molto stabile. L'ele­mento minerale presente nell'humus ha molta importanza. Ab­biamo ad es. in Sicilia delle terre nere che sono fortemente ar­gillose per argilla montmorillonitica, che è l'argilla a carattere più colloidale che conosciamo. Si è osservato che basta anche 1-2 % di sostanza organica non per determinare una struttura

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buona, ma per farla meno cattiva. Cioè, se si elimina la sostanza organica si ottiene veramente un fango argilloso. La presenza invece di sostanza organica anche in piccole quantità, però al­tamente umificata, e quella del Ca che la floccula e la lega, non crea dei grumi stabili, ma toglie molto del colloidismo a questa argilla. Dal punto di vista agronomico, insisto sempre sul fatto che il grumo deve essere polifasico, e quindi anche se si pos­sono fare dei grumi di una stessa argilla, non si ottengono strut-

. ture agronomiche perchè dentro al grumo manca il microcosmo che rappresenti il terreno in toto.

PRESIDENTE - Il Prof. Malquori, rispondendo al Prof. Flo­renzano, ha richiamato la nostra attenzione sul ruolo di alcuni costituenti fondamentali della struttura ed in particolare alle ar­gille. E' noto che le argille di tipo 2/1 (montmorilloniti in par­ticolare) sono più efficaci di quelle ti tipo 1/1 (Kaolinite), ma su questo problema del ruolo dei costituenti · nella formazione dei complessi organico-minerali spero -che si abbiano altri inter­venti. Comunque, ancora oggi è sentita la necessità di ricono­scere meglio la natura delle argille in rapporto con la struttura.

PROF. G. FLORENZANO - A quanto ha detto il Prof. Mal­quori sui requisiti chimici ed agronomici di un grumo polifasico, cioè dell'aggregato, che è un microhabitat, si deve aggiungere che a livello di quel microcosmo, si svolgono le attività micro­biologiche.

PROF. S. CECCONI - Un chiarimento solo: per evitare con­fusioni è bene puntualizzare che quando parlo di sostanza or­ganica in alterazione in contrapposto al letame, che è anch'esso d'altra parte sostanza organica in decomposizione, faccio rife­rimento a tutti i prodotti che si formano ·partendo dal residuo vegetale fresco fino ad arrivare al cosiddetto humus maturo. Quindi se per assurdo il letame si formasse nel suolo anzichè nella concimaia, io non ci vedrei molta differenza con la sostanza organica fresca.

Ho sempre sostenuto che l'azione positiva sulla struttura non è data tanto dalla presenza finale dell'humus ma piuttosto dalle innumerevoli reazioni che portano la sostanza organica fresca a divenire humus e con questo quindi non sono certa-

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mente in disaccordo con quanto dice il Prof. Florenzano. E' proprio attraverso queste alterazioni che si arriva alla forma­zione di sostanza umificata che ha legato minerali argillosi e cationi minerali portando alla formazione di un grumo omo­geneo. Se invece somministriamo al suolo un tipo di sostanza organica già precedentemente umificata ho l'impressione che le ulteriori trasformazioni siano molto ma molto più lente e non abbiano molta influenza sulle caratteristiche strutturali.

PROF. F. BoNCIARELLI - Mi è parso di cogliere sia nell'in­tervento del Prof. Zanini sia in quello dell'amico Ballatore una sorte di diffidenza ver,so la materia organica proveniente da. gra­minacee (paglie di cereali, stocchi di mais, ecc.); mi sembra che essi abbiano messo l'accento su questo interrogativo: siarrio si­curi che questa sostanza organica messa nel terreno funzionerà bene e darà luogo a delle trasformazioni positive? Mi è parso anche di cogliere degli elementi, nell'esposizione del Prof. Flo­renzano, che dovrebbero aiutarmi a rispondere positivamente circa il valore « umigeno », chiamiamolo così, di queste sostanze or­ganiche finora un po' disprezzate. Infatti negli stocchi dei mais o nelle paglie di frumento c'è molta cellulosa e emicellulosa i cui prodotti di demolizione sono quelle sostanze intermedie, i poliuronidi, che servono da primo cemento del grumo struttu­rale, ima essi contengono anche la lignina, che è la molecola base per la. fabbricazione dell'humus stabile; quindi, secondo me,

· non manca niente a questi materiali per produrre coi prodotti intermedi e coi prodotti finali, rispettivamente, humus labile e humus stabile. Quello che manca, semmai, è l'azoto: è l'elevato rapporto C /N di queste sostanze che ha indotto a giudicarle male, ma al giorno d'oggi possiamo abbastanza facilmente ed economicamente abbassare il C/N, fornendo a queste materie organiche tutto l'N di cui difettano. Così facendo, secondo me, uno stocco di mais interrato nel terreno si dovrebbe rendere tanto facilmente trasformabile quanto lo sono le radici di erba me­dica che si decompongono facilmente grazie all'N che conten­gono intrinsecamente. Quindi io penso che si possa dar fiducia a queste sostanze organiche che erano state sempre guardate con diffidenza. Al giorno d'oggi io credo che esse possano essere va­lorizzate, come diceva Cecconi, per fabbricare del letame nel terreno.

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Posso aggiungere un'altra cosa: in Umbria ci sono parecchie aziende che fanno mais, su terreni strutturalmente più difficili di quelli di Cerreto e Merse: partiti da uno stato strutturale piut­tosto scadente inizialmente, ad ogni ciclo di mais si è potuto constatare aumento di sofficità.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Bonciarelli per il suo in­tervento ben centrato, che viene da me pienamente condiviso per la prima parte, mentre mi lascia dubbioso per la seconda parte.

Tutti gli interventi precedenti concordano nel fare rilevare l'importanza della materia organica ai fini del miglioramento della struttura. Il punto controverso è quello sui fini della migliore evoluzione della fertilità del suolo, prescindendo per ora da con­siderazioni di ordine economico, domando se ci si debba preoccu­pare dell'apporto di materie organiche, senza tenere conto dei diversi effetti. che a lungo andare esse possono determinare in rapporto alla loro origine, natura e composizione.

Alcuni interventi hanno fatto rilevare che di ciò si debba tenere conto; d'altra parte, allo stato attuale delle conoscenze, si dispone di esperienze limitate nel tempo per potere esprimere giudizi definitivi sull'azione di questa o di quella materia or­ganica nei riguardi della stabilità strutturale e quindi dell'evo­luzione della fertilità del suolo. Si può intanto affermare, in base alle ricerche di diversi Autori, che la provenienza, oltre che la natura della materia organica, determinano una diversa evo­luzione della stabilità strutturale. Al riguardo sono ben note le esperienze condotte da Henin e Coll. (1969): l'effetto stabiliz­zante dovuto all'aggiunta di acidi umici o ad apporti ripetuti di letame, si modifica assai poco dopo un mese di soggiorno del campione in stufa; per contro, lo stesso suolo migliorato sotto prato di tre anni di foglietto o campioni dello stesso suolo già strutturalmente stabilizzati in presenza di fieno di erba medica o di glucosio in fermentazione, sempre dopo un mese di soggiorno in stufa, hanno fatto rilevare una riduzione molto forte del loro indice di stabilità strutturale.

Nostre ricerche in corso .sul miglioramento della fertilità di diversi tipi di suolo (sabbia, terra rossa, terra nera), fino ad oggi hanno messo in chiara evidenza una efficacia sensibilmente mag­giore del letame rispetto alla torba, specie per quanto riguarda

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i rapporti acqua-suolo, dipendenti in gran parte dall'indice di stabilità strutturale più o meno alto o basso.

Ancora, altre ricerche, già portate a termine presso il mio Istituto, sugli effetti delle sanse esaurite di olive, attivate o non biologicamente, ed opportunamente integrate con concimi mi­nerali, hanno fatto constatare, rispetto al letame, effetti nulli o depressivi sulla fertilità del suolo, e quindi sulla produttività delle colture saggiate (Fava, Pisello, Pomodoro e l_'eperone); solo la Fragola coltivata su terreno sub-alcalino ha tratto beneficio dall'incorporamento nel suolo di questo materiale organico ad elevato rapporto C/N, forse per effetto dell'abbassamento del pH da esso determinato. ·

In questo campo di ricerche bisogna distinguere materia organica da materia organica e ritengo, inoltre, che sia necessario attendere molti anni, certamente oltre il decennio, prima di po­tere trarre conclusioni valide, specie quando si opera in mono­coltura continuata e con l'incorporamento nel suolo dei residui organici e delle paglie della stessa coltura.

PROF. E. ZANINI - Volevo dire semplicemente che non c'è nessuna preferenza da parte nostra. Però è tale la casistica che oggi si presenta, per cui il fare una affermazione categorica come questa: « senz'altro non si è ottenuto risultati » mi sembra che sia prematuro; tanto più che noi non abbiamo fatto come diceva Ballatore, una sperimentazione ad hoc per accertare quale è il comportamento in quelle determinate condizioni.

Il problema d'altra parte io l'ho sollevato, perchè è un pro­blema di interesse generale. L'ha detto giustamente adesso Bal­latore: c'è un problema delle torbe, c'è un problema di lignina, c'è un problema di grande quantità di sostanze organiche che oggi vengono immesse nel commercio, aggiunte o non aggiunte ai fertilizzanti minerali e che dovrebbero sostituirsi a quello che era il tradizionale letame dei nostri predecessori. Quindi se noi · riconosciamo che in queste sostanze umiche è la chiave per as­sicurare la buona struttura del terreno, evidentemente credo che questo potrebbe essere proprio lo spunto per vedere quali in­terazioni si determinano fra terrem>, pianta e sostanza organica aggiunta o prodotta dalle piante nel decorso della loro vita at­traverso l'apparato radicale.

PROF. A. MALOUORI - Si è venuto delineando il concetto

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che, per avere un effetto favorevole sulla struttura da parte della sostanza organica, l'humus si deve formare nel terreno, non deve essere portato da fuori. Quindi non è vero che i prodotti come le paglie si decompongano attraverso i poliuronidi ecc. Questi scompariranno, ma la parte lignina resta, non può scomparire tutta la sostanza organica, può scomparire quella che ha agglu­tinato il grumo ma l'altra resta sotto forma umica. Introducendo ad es. nel terreno una torba, questa ha poca o nulla influenza sulla struttura in quanto contiene sostanza umica già formata che non ha potere agglutinante sul terreno. L'humus si deve formare nel terreno e allora può avere un'azione cementante.

Tornando poi al letame non si deve dimenticare che si tratta di un integratore biologico, e che con esso portiamo una massa di microflora insieme a materiale organico che può an­cora essere trasformato.

PROF. G. FLORENZANO - Solamente desidero aggiungere, a proposito dell'osservazione del Prof. Cecconi sulla formazione in situ dell'humus, che ciò è vero fino a un certo punto, perchè se si porta nel terreno torba si porta del materiale inerte, che non ha influenza favorevole sulla struttura finchè non viene at­tivato, ma, se si portano sostanze umiche anche formate altrove, anche « fuori della pancia del ruminante », allora si tratta di materiale biologicamente attivo che , ha azione cementante (così come i composti microbiologicamente attivi), partecipa alla vita del suolo e concorre alla formazione di aggregati stabili. Poi c'è il fatto che nei materiali ligninici che residuano dalla degradazione della sostanza organica vegetale e entrano nel ciclo della umi­ficazione, l'apporto di azoto, specialmente se massivo (se lo azoto è carente per il C/N molto elevato, il problema non si pone), può essere un'arma a doppio taglio agli effetti della evoluzione della struttura, nel senso che l'umificazione, processo lento per sua natura, richiede ripetuti cicli microbici durante i ·quali le cellule morte concorrono con le loro proteine a processi di con­densazione delle unità struttuiiali degli acidi umici. Tutto ciò può non verificarsi in presenza di disponibilità relativamente larghe di azoto assimilabile.

PROF. O .T. ROTINI - La discussione che si è svolta finora, ha proceduto come se di legami ce ne fosse uno solo e questo,

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secondo me costituisce un errore metodologico. Affinchè i co­stituenti elementari del terreno possano legarsi tra loro per for­mare gli aggregati sono necessari composti leganti di diversa na­tura. Si tratta di aggregare micelle di argilla, piccoli granuli di sabbia, particelle di sostanza organica più o meno decomposta ed una serie di composti, che sono compresi nella frazione de­nominata limo; quindi non bisogna ·credere che di legami ce ne sia un solo. Di legami ce n'è qualche dozzina e su questi le­gami si è già svolta da tempo una profonda sperimentazione. Il microbiologo di Adelaide, Swaby, ha osservato che, per le so­stanze organiche più complesse, il potere aggregante aumenta nell'ordine: acidi fulvici, umati di calcio, umati di ferro e acido umico. I possibili meccanismi per la cementazione degli aggre­gati sono numerosi. K.K. Gedroits nel 1926, successivamente W. Flaig, I .N. Antipov Karataiev e V .V. Kellerman si sono in­teressati a fondo di questo argomento. Riassumiamo qui a grandi linee la vasta articolazione di· questi meccanismi. Ricordiamo in primo luogo i legami tra argilla e argilla che possono manife­starsi, come previsto da E.W. Russel nel 1935, con un catione che fa da ponte tra le funzioni negative dei piani di due ma­cromolecole:

Arg --- Mn+ --- Arg

oppure tra le funzioni negative e quelle positive come previsto da W.W. Emerson:

Spigolo Arg - Al - OH2+ -- Arg

Abbiamo inoltre i legami tra spigoli di argilla e polimeri orga­nici attraverso:

a) - anioni scambiabili tra funzioni positive dell'argilla ed il car­bossile del polimero;

b) - legami di idrogeno tra gli ossidrili dell'argilla ed i polimeri carbonilici o amidici;

c) - cationi che fanno da ponte tra le funzioni negative dell'ar­gilla e i carbossili dei polimeri ed infine

d) - i legami di Van der Waals che congiungono l'argilla ai po­limeri, secondo D.J. Greenland. Vengono poi i legami di idrogeno che congiungono gli ossi­

drili dei polimeri e l'ossigeno delle argille; i cationi ponte tra

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i piani esterni e i carbossili dei polimeri ed infine i legami di Van der Waals secondo D.J. Greenland.

Un terzo tipo di legame interessa il quarzo, il limo ed i colloidi organici e comprende legami chimici tra la superficie del quarzo, delle argille ed i gruppi attivi degli altri costituenti, oppure tra i grani di quarzo presenti nelle matrici limose e ar­gillose stabilizzati nei seguenti modi:

1) - con particelle di argille orien~ate secondo E.J. Russel;

2) - con silicati deidratati irreversibili secondo A.K. Dutt, se­squiossidi secondo J .F. Lutz oppure con i complessi urfio­sesquiossidi secondo Z.S. Filipovich;

3) - con umati deidratati irreversibili secondo A.N. Sokolocskii e D.I. Sideri;

4) - con microaggregati limosi stabilizzati con umati di ferro se­condo A.F. Tiulin ed infine

5) - con colloidi organici e argillosi legati con i meccanismi già citati a proposito delle argille.

Quindi vedete che razza di complicazione c'è in questa formazione dei microaggregati. lo sono d'accordo con Cecconi, anche se ha un po' esagerato in questa svalutazione del letame. Il letame effettivamente è importante anche a prescindere dal problema dell'aggregazione, il letame ha tante funzioni nel ter­reno. Poi non ,è detto che il letame maturo, quando viene im­messo nel terreno, sia proprio digerito fino all'ultimo stadio, quindi anche il letame aggiunto nel terreno può subire ancora delle degradazioni, specie 1se il terreno è ricco di microorga­nismi, e quindi può sempre dare luogo alla formazione di com­posti organici nuovi, di neoformazione, diciamo così, capaci di reinserirsi nella formazione degli aggregati. Sia ben chiaro però che non è soltanto il letame, e che non sono soltanto gli acidi umici impegnati della formazione degli aggregati, ma sono · so­pratutto in primo luogo i composti polimeri, i polisaccaridi e poi tutti gli altri cementi organici ed inorganici di cui abbiamo cercato di rappresentare molto in succinto il quadro generale.

PRESIDENTE - Ringrazio ancora i Proff. Zanini, Malquori e Florenzatio, che con i loro ripetuti interventi si sono sforzati

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di portare ulteriori chiarimenti 1sul valore da attribuire ai di­versi materiali organici in funzione di miglioratori_ della strut­tura del suolo. Il problema, però, rimane ancora abbastanza con­troverso e noi speriamo che possa essere meglio approfondito in un prossimo Convegno. Un particolare ringraziamento desidero pure rivolgere al Prof. Rotini, che ha richiamato, con la com­petenza che ci è nota, la nostra attenzione sui molteplici legami e sulle forze di varia natura che intervengono nella formazione dei micro-aggregati ed aggregati strutturali partendo dalle par­ticelle elementari del terreno. Questo argomento è stato appena sfiorato nelle precedenti discussioni e quindi l'intervento di Ro­tini è caduto al momento opportuno.

PROF. S. CECCONI - Vorrei porre un termine alla questione del letame, questione che si trascina ormai troppo a lungo. Quando si parta di letame bisogna tenere conto anche del fattore eco­nomièo: che il letame abbia di solito azione positiva è ormai scontato ma, ad esempio, tutti sanno che la zootecnica si sta staccando sempre più dalla terra e questo è un fatto che noi non possiamo trascurare per comodità di di1scussione. Non mi sembra economicamente assennato pensare di tenere ad es. cento bovini per letamare il terreno di un'azienda agricola, anzi la cosa mi sembra del tutto assurda. Se quindi sembro drastico sull'argo­mento del letame è perchè tengo conto del fattore economico e non posso ammettere che si vada a comprare letame per ten­tare di migliotiare la stabilità strutturale di un suolo. Chiusa per quanto mi riguardà la parentesi del letame vorrei ricordare che a proposito dei legami che concorrono alla formazione dei grumi stabili bisogna tener conto, come ben ha illustrato il Prof. Rotini, non solo della sostanza organica ma anche di tutte quelle so­stanze minerali capaci di dare luogo a macromolecole, le quali abbiano la possibilità di passare irreversibilmente dallo stato di solo a qùello di gelo in modo da permeare particelle plurime già formate ma ancora instabili. Ci sono ad esempio delle «terre rosse » molto povere di sostanza organica umificata e che sono dotate di altissima stabilità di struttura. Nella determinazione granulometrica della maggior parte delle « terre rosse » il pre­trattato con soluZ1ioni acide può portare a variazioni notevolis­sime nei risultati con valori per le particelle argillose passanti dal 1 O al 90 % . Siccome le terre rosse hanno un contenuto basso

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di sostanza organica acquistano una grande importanza da un punto di vista strutturale i cementi ferrici e non solo gli umati ma anche e principalmente gli ossidi idrati di ferro in quanto questi ultimi, in condizioni di non eccessiva alcalinità, hanno la possibilità di passare sotto forma macromolecolare allo stato di solo e così riescono ad avviluppare le particelle flocculate formando una specie di « sacchetto ». Per disidratazione irrever­sibile si forma così una pellicola che non viene più attaccata dai microorganismi a differenza dei cementi organici i quali una volta formati, se c'è intorno una vita microbica molto intensa, possono a loro volta essere attaccati dalla flora batterica e venire spez­zati. Il cemento ferrico invece è molto più duraturo, salvo con­dizioni eccezionali.

Le terre nere e le terre rosse ad es. che sono spesso limi­trofe, differiscono notevolmente nelle cause della loro stabilità di struttura. Mentre neHe prime il responsabile principale è un cemento organico legato al minerale argilloso generalmente mont­morillonitico attraverso ponti di calcio, le terre rosse presentano una alta stabilità di struttura non in funzione della sostanza or­ganica ma bensì dei cementi ferrici. Il problema della stabilità di struttura deve essere quindi affrontato considerando ·non solo la sostanza organica ma tutti gli altri cementi. Ho ripetuto un po' quello che ha detto il Prof. Rotini ma ho 1creduto di dover pun­tualizzare largomento.

PRESIDENTE - Ancora un vivo grazie al Prof. Cecconi per questo altro suo intervento. Non riprendo il problema del le­tame perchè già si è detto molto. Per quanto, invece, riguarda la presunta stabilità strutturale delle terre rosse, ritengo che bi­sogna distinguere da caso a caso. E' pur vero che nelle terre rosse povere di materia organica intervengono ed in parte sop­periscono i cementi ferrici nella formazione degli aggregati; ma è anche vero che questo tipo di aggregazione, troppo rigido, poco elastico, in assenza di ogni apporto di materia organica e cori l'insistenza sempre maggiore delle lavorazioni meccanizzate, è più facilmente soggetta a deteriorarsi.

Come hanno reso noto recentemente i Proff. Fierotti e Sarno del mio Istituto, buona parte delle terre rosse a vigneto della Sicilia occidentale, deficienti di materia organica, all'analisi (56 campioni) sono risultate astrutturali o a basso indice di stabilità

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strutturale (metodo Mayer). La situazione è stata percepita dai tecnici e dagli agricoltori. ed oggi, dove non è possibile reperire letame a buon mercato, si ricorre sempre di più all'interrimento dei sarmenti e persino delle vinacce esaurite.

Comunque, in questa prima Tavola Rotonda non possiamo soffermarci ai casi particolari e quindi, come giustamente faceva rilevare Rotini, è bene approfondire i concetti fondamentali e generali che stanno alla base della evoluzione della struttura de] suolo e dei suoi riflessi pedologici e agronomici.

PROF. E. ZANINI - Rotini ha messo in chiaro quale gamma di legami ci siano. Allora se c'è tutta questa gamma di legami evidentemente una determinata sostanza organica può agire se­condo un determinato legame, un'altra sostanza organica può agire secondo un altro determinato tipo di legame. Quale è la conseguenza? Che a seconda della solidità di questi legami, noi avremo la possibilità di ottenere questi grumi. Allora a noi che cosa interessa? Che si formi il grumo, siamo perfettamente d'ac­cordo, ma anche che questo grumo si conservi. E allora ecco la necessità di indagare fino a che punto quella sostanza organica sia responsabile.

PRESIDENTE - D'acGordo con quanto ha detto il Prof. Zanini. Fino a questo momento si sono succedute al microfono sempre le stesse persone alle quali. proprio per l'interesse che hanno suscitato con i loro dibattuti interventi, rinnovo i sensi della mia gratitudine.

Ora, però, piacerebbe ascoltare qualche voce nuova.

PROF. F. LANZA - Ho chiesto la parola perchè il Prof. Zanini mi ha chiamato in causa con la sua comunicazione preliminare. In effetti mi riallaccio alle sue ultime parole. Noi stiamo inda­gando sulla fertilità del terreno in condizioni di monocoltura di mais, perchè l'esperimento che abbiamo visitato a Cerreto a Merse alcuni anni fa ci ha indubbiamente interessato, pur rile­vandovi una carenza iniziale e cioè la mancanza di conoscenze sul livello iniziale della fertilità del terreno (tempo zero). Quando si è presentata l'occasione di seguire un analogo esperimento in diverse condizioni pedologiche e climatiche, cioè in pianura ,Pa­dana, partendo dall'inizio, l'abbiamo ritenuto molto interessante.

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Ora siamo al quarto anno di monocoltura. ·Abbiamo parlato di sostanza organica, in termini generali, ma intendiamo indagare in profondità su questo settore. Il discorso, come diceva Zanini, è molto ampio. Noi d troviamo di fronte ad una grossa proble­matica in agricoltura. Lo stesso Cecconi dice che non possiamo mantenere cento capi per fornire solo letame. Il letame tende a scomparire, c'è la specializzazione colturale, che, comunque la si voglia prendere. sta diventando una realtà agricola, economica e specialistica. Si va verso aziende ·con precisi ordinamenti pro­duttivi e quindi in molte di queste aziende non avremo più le­tame. Da qui il problema del mantenimento e quindi del con­trollo periodico dei livelli di fertilità dei terreni.

Tre"'.quattro anni sono pochi per poterne parlare in termini significativi, ma le rese aziendarli (200 ha) sono in continuo au­mento, mentre con laute ed equilibrate concimazioni chimiche (550 Kg/ha di unità fertilizzanti N P K) sia il bilancio della sostanza organica che quello degli dementi assimilabili fonda~

mentali risultano largamente positivi. Naturalmente si tratta di ter­reni tipici della pianura padana, sciolti, fertili ed irrigui già con ottimo rapporto C/N. Ma l'interramento degli stocchi di mais e 250 Kg/ha/anno ,di azoto forse ci permetteranno di poter fare a meno del letame senza ridurre il livello di humus di questa azienda. La risposta definitiva l'avremo tra alcuni anni.

PROF. L. CA v AZZA - Mi ricollego agli argomenti già presi in esame. Per quanto riguarda l'importanza della struttura, penso che nessun problema si ponga quando i terreni sono sabbiosi con grana uniforme e relativamente grossolana. Vi sono, però, dei terreni che si classificano sabbiosi per la loro forte percentuale di sabbia, ma che contengono discrete quantità di limo e ar­gilla, spesso in rapporti (tra loro e con la sabbia) taH che si av­vicinano a quelli realizzati dagli ingegneri per la costruzione delle strade cosidette stabilizzate in terra; in terreni di questo genere frequenti, per es. nelle sabbie rosse pleistoceniche del Me­tapontino, con l'essiccamento che succede al periodo delle piogge, si può raggiungere un notevole costipamento e il problema della permeabilità può quindi diventare importante malgrado la gra­nufometria prevalentemente sabbiosa del terreno. In questi ter­reni il problema del mantenimento di una buona struttura, d'altra

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parte, è reso più difficile dalla maggiore rapidità di decompo­sizione de1la sostanza organica.

Per quanto riguarda la definizione di struttura del terreno, penso sia opportuno mettere bene in evidenza che si tratta non di un'unica proprietà del terreno, ma di un complesso di pro­prietà più o meno ben distinte e tra cui si fa spesso confusione. Forse invece che usm.·e il concetto di « stato di aggregazione », si potrebbe preferire definirlo come quella proprietà complessa consistente nelle relazioni di posizione e di legame tra le parti­celle elementari del terreno; si metterebbe così meglio in evi­denza non solo l'aspetto dell'aggregazione (e cioè dei legami tra particelle), ma pure quello dei rapporti spaziali tra cui, impor­tantissimo, quello di porosità entro e tra agglomerati.

L'interesse a distinguere i vari aspetti della struttura sta anche nel fatto che in pratica molto spesso un terreno può avere struttura buona sotto un aspetto e pessimo sotto l'altro. Quando i meccanici parlano di struttura o quando ne parlano gli agro­nomi a proposito di lavorazioni, preparazione del letto di semina ecc., essi generalmente si riferiscono alla « distribuzione di fre­quenza degli agglomerati classificati in base alla loro grossezza (per es. è preferita una bassissima frequenza di zolle e possibil­mente di zollette e di particelle singole, mentre si ritiene gene­ralmente opportuna la massima abbondanza di grumi e microag­glomerati).

Un aspetto diverso è quello del grado di distinguibilità della struttura. Quando si si esamina il « profilo » di certi terreni non si riesce a metterne facilmente in evidenza lo stato di aggrega­zione; anche l'esame di zolle e zollette può mettere in varia mi­sura in· evidenza l'esistenza in essi di potenziali aggregati minori. Si tratta di una proprietà che può cambiare notevolmente secondo l'umidità del terreno (per es. nei terreni argillosi di struttura in­stabile può manifestarsi solo allo stato secco); ad essa i pedo­logi danno importanza come carattere diagnostico.

A:Ltro aspetto è quello della forma degli agglomerati. Gene­ralmente, in un terreno agrario in buone condizioni, gli agglo­merati sono approssimativamente isiodiametrici con superfici scabre molto irregolari. Si possono però avere (per es. nelle depressioni ove è ristagnata a lungo 1l'acqua e dopo essiccamento o anche solo quando la superficie del terreno si « incrosta ») agglomerati di forma all'esterno più o meno regolarmente poligonale, con lati

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rettilinei, superficie superiore liscia spesso un po' concava, aventi spessore relativamente ridotto (forme a piastre), generalmente a struttura mail definita sulla faccia inferiore e comunque mal de­lineati verso il basso. La casistica aumenta notevolmente quando si passa all'esame dei terreni naturali (per es. le fini strutture la­mellari vescicolate superficiali e quelle grossolane colonnari dei « solonez ») ed assumono grande importanza diagnostica per i pedologi.

Importante è ancora la conoscenza della porosità entro gli agglomerati, che ne1l'insieme costituisce la microporosità, con­trapposta alla macroporosità costituita dagli spazi tra gli agglo­merati. Può essere importante, si noti, non solo la conoscenza della porosità complessiva, ma anche quella della distribuzione dei pori (espressa come rapporto in volume) in funzione· del loro diametro (cioè se vi sono molti o pochi pori grossi e piccoli entro gli agglomerati); è una proprietà intimamente legata aHe pro­prietà idrologiche del terreno.

Una ·caratteristica di grande interesse ai fini della lavora­zione del terreno, ma non solo per questo, è la stabilità degli agglomerati agli agenti meccanici. Il limite superiore (per coe­sione) dello stato di « tempera » del terreno è appunto in re­lazione a questo aspetto; anche fa possibilità di realizzare con la frangizollatura o con le erpicature un buon letto di semina dipende molto dalla durezza di zolle e zollette. Questa caratteri­stica per ogni dato terreno varia molto in funzione della sua umidità, ma a parità di umidità, può essere molto diversa tra i vari terreni.

Un aspetto della struttura a cui pm frequentemente si riferisce l'agronomo è quello della sua stabilità all'azione del­l'acqua, vista sia come fenomeno chimico-fisico (rigonfiamento e dispersione dei colloidi) che come effetto dell'azione battente dell'acqua di precipitazione o di scorrimento alla superficie del terreno. E' in generaie la proprietà che preoccupa di più lo agronomo.

Piuttosto vago, ma distinto, è infine il concetto di defor­mabilità o cedevolezza degli agglomerati, strettamente connesso con quello più generale di sofficità del terreno. E' nota in pro­posito l'importanza della natura dei cementi che tengono insieme ,gli aggregati (quelli di tipo inorganico, specialmente ii composti ferrici od il carbonato di calcio, impartiscono agli agglomerati

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una rigidità notevolmente maggiore di quella realizzata dai ma­teriali organici). Questo aspetto della struttura è particolarmente importante nei niguardi dell'accrescimento delle radici e, soprat­tutto, dell'ingrossamento degli organi sotterranei di riserva delle piante.

Per quello che riguarda le relazioni tra . colture e strutture del terreno, a .. quanto è stato detto nella relazione, e cioè che il frumento è una coltura che lascia nel terreno pochi residui ra­dkali, vorrei aggiungere che appunto per questo da un certo tempo ed i vari Paesi è stata studiata la tecnica dell'interra­mento delle sole stoppie o dell'intera produzione di paglia del· frumento, opportunamente congiunta a somministrazione comple­mentare di azoto inorganico; analoga tecnica si ha per il gran­turco con l'interramento degli «stocchi». In questo modo con queste colture si riescono ad apportare non indifferenti quan­tità di materia organica nel terreno e certi risultati spe:tiimentali ottenuti in Puglia mostrano che in tal modo si ottengono sulla stabilità di struttura del terreno risultati superiori a quelli otte­nibili dalla concimazione letamica. Non si dimentichi poi il de­ter.ioramento di struttura a cui le sarchiate (bietola, mais da gra­nella ecc.) 1sottopongono il terreno ·col lasciarne la superficie a lungo ·esposta all'azione ddle piogge ed alla deleteria (a questo fine) azione delle sarchiature. In questo senso la coltura del fru­mento danneggia ·molto meno la stabilità di struttura e questo era ancora pm vero quando si seminava a 1spaglio e si verifica oggi, anche per le sarchiate, quando si introduce il diserbo chimico.

L'azione, ·indiretta, del diserbo chimico sulla struttura del terreno è di varia natura. Rispetto alla sarchiatura esso evita l'eccessivo amminutamento degli agglomerati esistenti alla super­ficie del terreno (polverizzazione, specialmente dannosa se effet­tuata con moto-coltivatori rotativi) e non aumenta l'aereazione del terreno e perciò la demolizione della materia organica (ma l'effetto può essere negativo nei riguardi delle radici) ed il con­seguente deterioramento della struttura. Date le esigue quantità di prodotto attivo applicate sull'unità di superficie del terreno, non si può pensare ad una diretta azione di queste sostanze sulla stabilità di struttura del terreno; ci si deve però preoccupare delle modifiche che esse, pur in dose così modesta ma special­mente con la ripetizione dei trattamenti nel tempo, possono ap-

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portare alla popolazione microbica del terreno e non si può dire a priori se in peggio od in meglio e se sempre nello stesso senso per tutti i terreni. Un'azione analogamente indiretta nella strut­tura, mediante modifiche nella popolazione microbica del ter-reno, potrebbero pure avere le escrezioni radicali a cui ha fatto

già cenno il collega Cecconi. Per quanto riguarda l'azione del letame è chiaro, dalla ormai

vasta letteratura, anche se non sempre si mettono in eguale evi­denza tutti i risultati sperimentali, che esso può manifestare nella struttura effetti positivi (i più comuni nei terreni argillosi) op­pure nulli o negativi secondo i casi. Esso per es. può avere ef­fetti negativi se libera a=oniaca in condizioni tali da influen­zare il pH del terreno e tendere a disperdere l'argilla, come mise in evidenza Williams; a parte questa azione nella struttura può diffondere agenti parassitari e semi di malerbe e può liberare in maniera non ideale gli elementi nutritivi .. Sui terreni sabbiosi è molto spesso trascurabile l'azione del letame come miglioratore di struttura (prevale nettamente in questi casi l'azione chimica

del letame). D'altra parte l'azione della materia organica sulla struttura . dipende in genere molto dal tipo di composti intermediari che

si formano nel corso del processo di decomposizione e non solo questi composti sono molto diversi, ma anche le vie seguite nel processo di decomposizione possono essere molto diverse secondo la composizione della popolazione microbica e le condizioni chi­miche e fisiche in cui i processi si svolgono; passando dalla su­perficie di un agglomerato al suo centro, per es., ed in misura diversa secondo il diametro dell'agglomerato stesso, varia sen­sibilmente il grado di aereazione, e per lo più anche la compo­sizione chimica del mezzo, sì che diversa è, per qualità e inten­sità, l'attività microbica ·e diversa può essere conseguentemente l'azione dei materiali organici sulla struttura del terreno. Queste considerazioni debbono mettere in guardia da un eccessivo sem­plicismo nell'affrontare lo studio di questi processi.

Nell'attesa che le conoscenze teoriche si approfondiscano in questo senso, è necessario affrontare ad un livello meno pro­fondo ma più ampio e generalizzabile il problema dell'azione della concimazione organica sulla struttura dei terreno. Si sa bene, in proposito, che in generale i materiali organici freschi esplicano sulla struttura un'azione favorevole, rapida e con effetti molto

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evidenti, ma che, di solito dopo pochi mesi, si attenuano anche rapidamente e tendono asintoticamente a zero; altri materiali hanno azione più 1enta o lentissima (es. torbe), ma tutti si può ritenere che presto o tardi si decompongano completamente (altri­menti l'accumolo di sostanza organica anche nei terreni più aerati, tenderebbe nel tempo all'infinito). La sostanza organica presente in un terreno è· la somma delle frazioni derivanti dalla demoli­zione dei materiali apportati in tutte le epoche passate, ciascuno demolito sino allo stadio che i1l tempo, a parità di ogni altra con­dizione, gli ha permesso di raggiungere ed è per questo e per le caratteristiche della curva di decomposizione, che può stabilirsi un equilibrio tra apporti e demolizione di materia organica sino ad instaurare nel terreno un equilibrio o, meglio, un regime sta­zionario. Quanto detto induce a considerare puramente conven­zionale e non sotto ogni aspetto opportuna la comune distinzione tra « humus labile » e « humus stabile »; si eviterebbero così eccessive semplificazioni nello studio dell'efficacia dei concimi organici ai fini del miglioramento della struttura.

Nel discutere di struttura del terreno a fini agronomici, ci si dovrebbe porre subito la questione del fine per cui può interessare un miglioramento di essa e dei modi in cui la struttura può influenzare l'esercizio dell'agricoltura. La struttura non è solo complessa come proprietà del terreno; essa è pure complessa nelle sue azioni sulla produzione agraria. Da essa viene influenzata la microflora terricola (çhe, a sua volta, la influenza), ma v·engono soprattutto influenzate molte proprietà fisiche del terreno, quali la relazione tra conducibilità idrica e tensione dell'acqua nel ter­reno (molte pratiche colturali), come rullature e sarchiature, operano su1la struttura per questo scopo), la relazione tra ten­sione dell'acqua e umidità del terreno, la relazione tra· umidità e coesione del terreno, che ne influenza la lavorabilità, intesa come stato di tempera, come resistenza specifica e come risultato della lavorazione (è importante per es. che la struttura del terreno ammetta in questo l'esistenza di numerose superfici a coesione differenziata tra loro inter·secanti, si che al variare dell'impulso applicato dall'organo di lavoro, e perciò pure dalla sua velocità, :si riesca a far risolvere la massa terrosa in agglomerati di oppor­tune dimensioni).

Ciò che importa o dovrebbe importare ai fini dell'agronomo però, è la conoscenza della relazione funzionale, quantitativa, tra

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la struttura del terreno, opportunamente misurata, e (qualunque ne sia i1 meccanismo d'azione) la resa deHe colture agrarie. Or­bene, a parte le ancora enormi incertezze esistenti nella scelta dei criteri di misura o, comunque, di valutazione quantitativa del­la struttura ed a parte l'attuale inadeguatezza delle conoscenze suHa relazione funzionale tra sostanza organica e struttura del terreno (in altri termini non sfamo ancora in grado di predire che con tanti q ./ha di un dato concime organico la struttura di un dato terreno migliorerà di tanto), non ci è ancora dato di poter di­re che, 1per ben determinate condizioni, aumentando la struttura di tanto, la resa aumenterà di tanto. Si ha anzi motivo di ritenere che vi sono situazioni in cui un aumento, per es. di stabilità della struttura non faccia aumentare affatto le rese (per es. in certi terreni argillosi con struttura già inizialmente ottima, in terreni sabbiosi senza particolari problemi idrologici ecc.).

Sino a quando non si sarà in . grado di stabilire, sia pure approssimativamente, una curva d'azione (empirica) della strut­tura del terreno sulla resa delle colture, occorrerà guardarsi sem­pre attentamente dal pericolo di fare della pura accademia in proposito e, peggio, di formulare giudizi azzardati sul piano ope­rativo. In pratica, per ora, l'agronomo è molto più sicuro quando studia l'azione della concimazione organica nel suo complesso, senza tentare di distinguerne quantitativamente l'efficacia realiz­zata come miglioratrice della struttura, dagli altri suoi numerosi

effetti.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Cavazza per il suo lungo ma interessante intervento. Sarebbe preferibile, tuttavia, che gli interventi venissero diluiti nel corso della giornata, anzichè dire molte cose in un solo fango intervento, e ciò al fine di rendere più efficace e più pertinente la partedpazione di altri Colleghi alla discussione. Cavazza ha richiamato la nostra attenzione su alcuni concetti fondamentali relativi alla struttura, e sul:la elasti­cità di questi concetti, in relazione alle diverse situazioni che si pssono riscontrare nella pratica agricola.

Effettivamente nel suolo coltivato la struttura naturale ri-sulta modificata e la nuova struttura acquisita è sempre una compromesso tra quella che dsulterebbe dalla tendenza naturale del suolo e quella che vi determina l'agricoltore, per cui si pos­sono avere tanti equilibri generalmente instabili. La struttura

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non è una proprietà, ma la risultante di molteplici fattori o forze, è uno stato del suolo che possiamo apprezzare ma non misurare. Ab­biamo diversi modi per apprezzare la struttura, ma ritengo, d'ac­cordo con diversi pedologi ed agronomi, fra cui Cavazza, che ancora oggi ci sfugge un aspetto fondamentale: cioè :l'attitudine del suolo a prendere un tipo di struttura piuttosto che un altro. E' necessario, quindi, approfondire gli studi in questa direzione per chiarire il giuoco complesso di forze di natura fisica che si esercitano nel suolo e per scoprire gli svariati stati di equilibrio di queste forze. Cavazza ha pure richiamato il nostro interesse sulla neces.sità di studiare il terreno in situ, di procedere cioè ad un esame minuzioso del profilo ed alla . descrizione dettagliata della morfologia della struttura. Questa è materia più specifica dei pedologi, che sono presenti in buon numero in sala ed ai quali rivolgo l'invito a prendere la parola. Frattanto cedo il mi­crofono al Relatore, che vuole dire qualcosa sull'intervento svolto dal Prof. Cavazza.

PROF. A. MALOUORI - Desidero sottolineare, sull'intervento del Prof. Cavazza qualcosa riguardo alla porosità e alla struttura; io ritengo che, indipendentemente dalla 1stabilità del grumo, la porosità sia in relazione alla qualità del cemento con cui si è formato il grumo, nel senso che più il cemento è di natura organica, 1più il grumo è poroso. Così un grumo di una terra rossa è molto meno poroso di un grumo di un terreno conte­nente più sostanza organica. Che poi il grumo deHa terra rossa sia più stabile, questa è un'altra cosa. La porosità interna del grumo, che dovrebbe rispecchiare un po' lo stato del suolo intero, viene creata dalla sostanza organica attraverso i miceli fungini, le colonie batteriche, ecc. che determinano proprio la porosità all'interno del grumo; nel caso di elementi prevalentemente mi­nerali, questa porosità è molto minore.

Importante, e di attualità, è anche l'influenza sulla struttura del terreno dei diserbanti, cioè di molecole organiche, più o me., no azotate le quali vanno introdotte nel terreno quando devono svolgere un'azione erbicida in pre-emergenza oppure anti-germi­nello. Proprio in sede ministeriale è stato recentemente deciso che nelle propostte per l'omologazione dei nuovi erbicidi da appli­care al terreno, vengano anche riferiti i controlli sul terreno stes­so, per vedere che azione hanno queste sostanze sulla microflora

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del suolo e su tutti i processi biochimici relativi al terreno. Non si esclude quindi che,. come diceva Cavazza, alcune sostanze possano avere influenza sulla trasformazione della sostanza orga­nica nel terreno.

Occorre, tuttavia, tenere presente che tali prodotti vengono dati in dose di 3-4 Kg./ha e che sono tutti più o meno biode­gradabili. Quello che conta allora è la persistenza nel terreno, perchè uno si può degradare in una settimana mentre per un altro occorrono tre mesi, e quindi è da vedere se in questo periodo può essere influenzata la microflora del suolo. Nella maggior parte dei casi si osserva una mortificazione dell'attività micro­biologica che, però, cessata l'azione, ritorna di nuovo in pieno vigore nel terreno. Quindi non si dovrebbero avere mortifica­zioni permanenti ad opera di queste sostanze, ma solo azioni temporanee.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Malquori per questo suo interessante chiarimento e dò la parola al primo geopedologo che si è prenotato, il Prof. Romagnoli.

Prof. L. ROMAGNOLI - Io mi riallaccio a quanto detto dal prof. ROTINI a proposito del fatto che vi sono diversi altri fattori oltre la sostanza organica che influenzano la struttura del suolo. Per fare questo cito due casi estremi riscontrati durante le ricerche da me compiute sui suoli dell'Aspromonte (Calabria).

Devo premettere che i suoli che si rinvengono non derivano da gneiss, micascisti, filladi ecc., come si era finora ritenuto estra­polando le indicazioni fornite dalla carta geologica, ma si formano a spese di un deposito di cenere vulcanica che proviene dagli apparati delle isole Eolie e che non era stata indicata su alcuna carta geologica nè citata in altri lavori precedenti.

Questa cenere copre, con spessore variabile in ,funzione del­l'erosione subita, una notevole porzione del massiccio; vi è anche una stretta dipendenza fra il suo spessore ed il rigoglio della vegetazione specialmente arborea, tanto che dall'esame delle foto­grafie aeree è possibile fare una serie di classi di erosione in fun­zione della densità della vegetazione stessa. Dove l'erosione ha asportato completamente la cenere vulcanica affiora la roccia nuda e quindi si hanno delle radure nella vegetazione.

I suoli che si formano a spese di questa cenere vulcanica sono

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di due tipi. Nelle zone altimetricamente più elevate, coperte da vegetazione specialmente forestale, si ha un suolo chiamato local­mente « Pidda » ricco di sostanza organica ma privo di ag­gregazione con i caratteri di andosuolo essendo in prevalenza com­posto da minerali amorfi (allofane).

Nonostante l'elevato tenore in sostanza organica questo tipo di suolo è privo di aggregazione e quindi secondo la terminologia semplicistica in uso da noi può essere definito come un terreno sciolto ed accomunato ai suoli che si formano ad esempio sulle sabbie arcosiche che, pur essendo sciolte, sono una cosa comple­tamente diversa anche per gli agricoltori locali che li definiscono « renuso ».

Nella parte inferiore del massiccio·, specialmente sui terrazzi al disotto dei 400 m., a spese della stessa cenere vulcanica si for­mano dei suoli argillosi, chiamati localmente «mate » o « maddo », con bassissimo tenore di sostanza organica ma con aggregazione prismatica molto accentuata e tenacissima allo stato secco. Le analisi mineralogiche eseguite sulla frazione argillosa di questi suoli dal Dott. RISTORI dell'Istituto di Chimica Agraria dell'Uni­versità di Firenze hanno rilevato la presenza della montmorillonite che è di neoformazione.

Questi suoli argillosi, al contrario dei precedenti andosuoli pur avendo un bassissimo tenore in sostanza organica hanno una aggregazione forte e quindi, sempre secondo la suddetta termino­logia semplicistica possono essere ritenuti dei terreni pesanti e venire accomunati ad esempio alle terre nere della Sicilia dalle quali si differenziano però per altri caratteri oltre che per il colore.

La individuazione e la separazione dei vari tipi di suolo, unita­mente alla conoscenza del loro comportamento, ha dei riflessi pra­tici non indifferenti sia per quanto riguarda la conservazione del suolo che la previsione dei costi di gestione al livello aziendale.

In Giappone, dove gli andosuoli simili ai « Pidda » sono molto diffusi, gli studiosi hanno ·stabilito che questi suoli devono essere lavorati con un certo grado di umidità al disotto del quale gli aggregati si rompono in grumi minutissimi ed il suolo di­viene facile preda dell'erosione eolica. Infine lo sforzo meccanico richiesto per lavorare l'andosuolo è molto minore di quello neces­sario a lavorare un suolo argilloso come il « mato », questa· cono­scenza permette anche di prevedere i costi di esercizio con maggior precisione.

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. PRESIDENTE - Un grazie anche al Prof. Romagnoli, che ha ribadito con un esempio molto appropriato la necessità di tenere presente il tipo di suolo quando si studia o si parla di struttura. Ha chiesto di parlare il Prof. Patuelli. -

PROF. C. P A TUELLI - Noi tecnici, discutendo sulla coltura del mais ci preoccupiamo del suo possibile utilizzo come granella od allo stato cereo solo ai fini del minor costo delle unità foraggere, senza considerare quindi l'importanza che riveste la possibilità o meno di poter interrare l'ingente quantità di materia organica residua.

È stato in questa sede ampiamente riferito che il potere inter­rare quanto resta sul campo coltivato a mais per granella significa conservare ed anche migliorare la struttura del terreno, natural­mente integrando con adeguate concimazioni chimiche.

Utilizzando il mais allo stato cereo, la materia organica dispo­nibile è solo quella proveniente dagli allevamenti, ma con i nuovi metodi di stabulazione questa è sempre molto limitata e comunque insufficiente.

Un'approfondita ricerca ritengo sia da considerare molto utile ed interessante ed in merito, per facilitare la eventuale presa in considerazione, disponendo l'Ente che presiedo di un'azienda agri­cola sperimentale sita in Valdichiana dove da vari anni si coltiva negli stessi appezzamenti mais per grànella sono ben lieto di met­terla a disposizione per eventuali· ricercatori. Presso l'azienda è in funzione un piccolo laboratorio che può facilitare i lavori di ricerca.

È comprensibile come l'Ente per i suoi compiti istituzionali sia interessato a questo tipo di sperimentazione.

PRESIDENTE - Apprezziamo l'intervento del Prof. Patuelli e lo ringraziamo per l'offfferta di collaborazione e per volere mettere a disposizione degli Studiosi l'azienda ed il laboratorio di analisi dell'Ente Autonomo Irrigazione di Arezzo.

PROF. G. FIEROTTI - È stato ripetutamente affermato nel passato ed oggi anche in questa sede, che le terre rosse sono dotate di un elevato indice di stabilità strutturale. Da un'indagine, però, condotta da me e da Sarno presso l'Istituto di Agronomia Gene­rale su 54 campioni di terra rossa su panchina calcarea del quater­nario, nessun campione si è classificato come molto strutturale,

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uno solo è risultato strutturale, cinque mediamente strutturali, quattordici poco strutturali e ben trentasei astrutturali. Essendo stati eseguiti la maggior parte dei prelievi in zone agrumicole e cioè intensivamente lavorate si potrebbe obiettare che questi risul­tati ·sono giustificati, dato che le intense lavorazioni porterebbero alla progressiva demolizione. del grumo terroso condizionandone la resistenza all'acqua. A questa possibile obiezione faccio pre­sente che fra i campioni ve ne erano alcuni prelevati anche in zone non sottoposte a lavorazione, ed inoltre che le terre nere sottoposte pure esse a continue ed intense lavorazioni e spesso adiacenti alle terre rosse di cui ho parlato, al contrario di queste presentano sem­pre un alto indice di stabilità strutturale. La differenza di compor­tamento, allora, fra le terre rosse ad alto indice di stabilità strut­turale e quelle da me studiate è da ricercarla esclusivamente in un fatto pedologico. Infatti le prime sono le classiche terre rosse originatesi su calcari mentre le seconde, come ho già accennato, si sono originate su panchina calcarea. Ne consegue che, allor­quando, si parla di suoli in generafo e di caratteristiche dei suoli in particolare non bisogna generalizzare ma occorre specificare a quale tipo pedologico di suolo si fa riferimento anche perchè le caratteristiche dei suoli siano esse fisiche, chimiche, idrologiche ecc. nelle classificazioni pedologiche cambiano non solo fra ordini diversi ma anche nell'ambito di uno stesso ordine man mano che si passa ai gruppi, alle famiglie o alle stesse serie.

PROF. S. CECCONI - Vorrei aggiungere una cosa; abbiamo fatto fino ad ora un discorso sulla struttura quasi unicamente in funzione della produzione agricola. Questo non mi sembra giusto in quanto si presentano spesso tante situazioni per le quali è necessario assicurarsi della stabilità di un terreno anche indipen­dentemente dalla produzione agricola. A:d esempio, le terre rosse hanno una struttura assai stabile intrinseca ma deteriorabile piut­tosto facilmente con le 'lavorazioni, in quanto i granuli sono cemen­tati, come dicevo poco prima, principalmente da sostanza mine­rale che una volta distrutte hanno bisogno di condizioni particolari e di tempi molto lunghi per potersi risostituire. Al contrario la struttura delle terre nere è funzione principalmente oltre che del particolare tipo di minerale argilloso predominante anche della sostanza organica la quale anche se distrutta o trasformata tende continuamente a rinnovarsi con i residui vegetali della coltiva-

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zfone. È quindi necessario operare preventivamente una scelta prioritaria cioè bisogna o puntare sulla produttività di un deter;. minato suolo o avere il coraggio di lasciarlo improduttivo per salvarne appunto la stabilità di struttura.

PROF. G. SANESI - L'intervento sia di Fierotti che ora del Prof. S. Cecconi hanno sfiorato degli aspetti di gen~si della strut­tura che non erano stati toccati dalla relazione del Prof. Malquori. Vi sono cioé degli aspetti genetici che, noi che studiamo il suolo in campagna, prendiamo maggiormente in considerazione. Secondo me, fermo restando quanto contenuto nella relazione Malquori, altri due punti devono essere messi in evidenza: l'importanza del substrato pedogenetico e l'importanza delle condizioni microam­bientali del suolo. La struttura cioè a parità di substrato pedoge­netico può arrivare ad essere molto diversa secondo le condizioni microambientali del terreno e a parità di condizioni microam­bientali variare al variare del substrato pedogenetico o delle sue caratteristiche fisico-chimiche.

Potrei dare a questo scopo degli .esempi. A Vallombrosa, dove sto studiando dei suoli e le condizioni microambientali di questi, mi trovo sovente di fronte a profili evolutisi da substrati non uniformi. Si nota cioè oltre i 60-70 cm. di profondità una discontinuità litologica. I materiali oltre i 70 cm. sono dei sedi­menti, derivanti dalla formazione del macigno e probabilmente di origine periglaciale. Trattasi di materiali estremamente densi e poco porosi nonostante siano molto equilibrati come tessitura. Viceversa i materiali dalla superficie fino ai 70 cm. sono molto porosi, hanno bassa densità e presentano differenze di ordine chimico o mineralogico, analisi dei minerali argillosi effettuate dal Dott. G. Ristori dell'Istituto di Chimica Agraria della Facoltà di Agraria di Firenze danno gli stessi risultati per ambedue i tipi di substrato la cui unica differenza sembrerebbe consistere in un diverso costipamento dei materiali al momento della sedimen­tazione. Differenze quindi che l'osservazione del profilo mette chiaramente in evidenza.

Che cosa accade nell'ambito di questi profili? Le radici delle piante non penetrano nel substrato più compatto ma permeano completamente la prima parte del suolo e giunte ad esso si· dispongono orizzontalmente; l'attività biologica è intensa nel livello superiore, assai scarsa o assente in quello inferiore; nella

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prima parte del profilo c'è un ritorno di materia organica, un'alte­razione della medesima, un arricchimento in colloidi organici. La struttura è evidente di tipo grumoso, porosa, al di sotto dei 70 cm. essa non si forma più e questo orizzonte è massivo, cioè privo di struttura. Evidentemente c'è all'origine di ciò una diversa natura del substrato su cui si è formato il suolo ma vi sono anche condi­zioni microambientali diverse. Da circa due anni seguo l'anda­mento dell'umidità e della temperatura di questi suoli ed uno dei risultati è che questo orizzonte profondo ha condizioni termi­che ma anche idriche poco variabili nel corso dell'anno. In esso sono presenti minerali argillosi a reticolo espandibile però rima­nendo questo materiale tutto l'anno pressapoco nelle stesse condi­zioni di umidità viene a mancare quella possibilità dei compo­nenti di espandersi e ritrarsi, idratarsi e disidratarsi che è una delle condizioni di formazione della struttura. In questo caso solo una lavorazione meccanica può cambiare tutto. ma in condizioni naturali il processo genetico è estremamente importante perchè condiziona il formarsi o non formarsi di una struttura e la pos­sibilità per le radici delle piante di esplorare ed utilizzare l'acqua e gli elementi contenuti in questo .livello.

Un secondo esempio mi è dato da certi suoli che ho avuto occasione di osservare in Maremma nei dintorni di Grosseto. I suoli a cui mi riferisco si sono formati da sedimenti marini argil­losi anch'essi, all'origine, piuttosto compatti. Le argille di questi suoli sono di tipo illitico in tutto il profilo. Si nota chiaramente che la struttura del suolo oltre una certa profondità è molto meno sviluppata ·e quasi assente. La parte inferiore del profilo è costi­tuita da un orizzonte che noi chiamiamo frangipan molto denso e presentante solo alcune rare fessurazioni verticali ma privo di vera struttura.

Questo orizzonte presenta una bassissima stabilità di strut­tura, come molti frangipan, ·ed è soggetto a periodiche sommer­sioni per una falda che rimonta dal basso e che in inverno può giungere fino in superficie. Queste condizioni micro-ambientali impediscono in materiali di questo tipo il formarsi di ogni tipo di aggregazione e neppure le lavorazioni possono migliorare defi­nitivamente la sistemazione in quanto non appena la falda rimonta ed imbeve il suolo, si forma una massa fluida che nuovamente perde porosità e si costipa in un materiale che al disseccarsi indu­risce notevolmente e non presenta fessurazioni. Questo fenomeno

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genetico è comune al formarsi di molti frangipan e di suoli come i planosols.

Localmente gli agricoltori dicono che il suolo dopo lavorato « chiude » ed il fenomeno si riflette su molti aspetti pratici. Anche qui, ad esempio, le radici delle piante arboree tendono netta­mente a rimanere in superficie e gli alberi soffrono in estate di carenze idriche.

Voglio fare ora un'aggiunta riguardo al nostro modo di vedere la struttura. Innanzitutto noi osserviamo la struttura diret­tamente sul profilo e ciò in quanto solo gli spazi e le forme esi­stenti in campagna sono quelle che contano e che le radici possono sfruttare. Un orizzonte senza fessure non è penetrabile alle radici, ove esiste un solido non penetra un ~ltro solido. Le strutture vengono classificate in funzione della loro forma, dimensioni e, per alcune, porosità.

Si distinguono forme rotondeggianti che possono essere porose, esse si formano per processi di espansione e retrazione delle par­ticelle e sono limitate da facce di compressione quasi prive di pori. L'osservazione diretta mostra che la penetrazione di radici all'interno di questi aggregati è minima e le radici si accumulano in fitti reticolati all'esterno di questi. Oltre ad avere diversa forma ogni aggregato è classato secondo le dimensioni.

Qual'è il motivo di tale suddivisione su basi di forma-gran­dezza? Il motivo è il diverso sviluppo di superficie che presenta, a parità di volume, ciascun tipo di struttura.

I frangipan a cui poco fa accennavo sono massivi e non presentano alcuna forma di struttura, conseguentemente l'utiliz­zazione di questo volume di suolo è nulla perchè, non esistendo nè porosità nè fessurazioni, non si ha possibilità di penetrazione delle radici.

Una struttura prismatica con prismi di 20 cm. di lato offre molto meno sviluppo di superficie che non una stessa struttura di 1, 2 cm. di lato. Le strutture grumose offrono il massimo di sfruttamento da parte delle piante.

Lo sviluppo in superficie in connessione con le forme e dimen­sioni della struttura è un parametro che si può misurare attraverso sezioni sottili di suolo ed è indubbiamente un parametro di notevole importanza.

PRESIDENTE - Il Prof. Sanesi, con chiarezza di termini, ha

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messo in luce degli aspetti che fino a questo momento non erano stati presi in considerazione, cioè quelli relativi alla genesi della struttura ed all'importanza del suo esame in situ per valutarne le manifestazioni morfologiche nei diversi orizzonti, le cui ripercus­sioni agronomiche non sono per niente da sottovalutare. Lo rin­grazio per questo suo interessante contributo di esperienze vissute e dò la parola al Prof. Chisci.

PROF. G. Cmsc1 - Nei precedenti interventi ampio risalto è stato dato al ruolo che l'introduzione della sostanza organica, sotto varie forme, esercita sulla genesi e la stabilità strutturale del suolo.

Sembrerebbe opportuno dibattere in maniera più approfon­dita anche il ruolo particolarmente importante che sulla forma­zione e la stabilità strutturale viene esercitato dalle piante vive con caratteristiche perennanti, non tanto e non solo in relazione all'apporto di sostanza organica nella forma di residui vegetali, quanto per l'effetto diretto ed indiretto che la porzione radicale esercita a livello fisico-chimico e biologico nella rizosfera.

In particolare sembra opportuno soffermarsi sulla funzione di genesi strutturale esercitata dalla «cotica di prato » argomento di cui mi sono particolarhente occupato in collaborazione con il Prof. Haussmann, al quale si deve in Italia la introduzione e l'ap­profondimento delle teorie sull'evoluzione della fertilità agrono­mica del suolo, formulate dalla scuola pedologica russa capeg­giata dal Williams.

In seguito ad una serie di ricerche condotte alcuni anni ad­dietro sui tipici terreni sabbioso-limosi della Val Padana in sinistra del Po (terreni ladini), si poteva constatare che - partendo dal­l'impianto di un prato polifito - l'entità e la stabilità dei grumi strutturali (determinati mediante vagliatura a umido con il metodo Meyer) compresi tra 4 e 1 mm 0, tende ad aumentare, mentre le grosse zollette instabili ( > 1 O mm 0) create dalla lavorazione del terreno, tendono a diminuire. Quanto sopra risulta strettamente correlato con l'incremento dello sviluppo radicale e con una sen­sibile variazione delle entità, delle caratteristiche e delle attività dei micro e dei macroorganismi del terreno (CARINI e CESARINI -BRUNELLI, 1961).

Intorno al 3° e 4° anno di impianto, un aumento non equili- . brato della anaerobisi - dovuto ad accumulo di residui radicali indecomposti, prevalentemente di graminacee nello strato superfi-

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ciale del terreno Jdub-surfice-mat) - si accompagna ad una. ridu­zione dello sviluppo degli apparati radicali delle foraggere peren­nanti, e contemporaneamente ad una riduzione della porzione di grumi stabili della frazione 4-1 mm 0 .

Di conseguenza anche la produzione di materia organica della porzione epigea tende a ridursi per un certo numero di anni (detti dai tedeschi « anni di miseria »), finchè non si realizza· un certo equilibrio interno al 7°-8° anno in cui la cotica foraggera tende a stabilizzarsi nelle caratteristiche di un prato permanente.

Questo quadro evolutivo - accennato qui molto sommaria­mente - costituisce il passaggio della cosidetta fase « arativa »

alla fase « sodiva » della cotica di prato, caratterizzate da regimi fisico e biologico nettamente differenziati, così come da condi­zioni strutturali profondamente diverse.

In un lavoro attualmente in fase di elaborazione, ho potuto inoltre constatare che modificazioni della struttura del suolo si verificano anche in cicli molti più brevi, ad esempio nel corso di una stagione, in stretta correlazione con l'entità e l'attività degli apparati radicali di essenze foraggere perennanti, pur non consta­tando modificazioni valutabili nella entità e nelle caratteristiche della sostanza organica del suolo.

Anche l'esame recente di profili di terreni « arativi » e « so­divi » nella zona delle argille plioceniche di origine marina del volterrana, ha consentito di osservare - in questi regosuoli carat;. terizzati da assenza di una facies di profili differenziati - un macro­scopico effetto sulla struttura dell'investimento a colture forag­gere, che può estrinsecarsi in un aumento del 100-300% della permeabilità.

Queste varie osservazioni tenderebbero a sottolineare che la funzione di genesi strutturale esercitata dalla cotica di prato è assai più complessa ed importante di quanto sarebbe spiegabile solo attraverso l'apporto di sostanza organica da parte dei residui vegetali.

Maggiore importanza sembra assumere in questo caso l'azione diretta degli apparati radicali sul terreno e quella indiretta di creazione nella rizosfera di condizioni fisiche e biologiche idonee ad una particolare dinamica micro e macro biologica del suolo.

È pertanto evidente che· 1a funzione delle colture foraggere negli avvicendamenti trascende il semplice concetto dell'apporto

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dei residui organici e della produzione di letame, agli effetti della genesi e del mantenimento della struttura del suolo.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Chisci che ha approfondito quanto già accennato in precedenti interventi, ·cioè l'importanza delle diverse coltivazioni, di quelle prative in particolare, ai fini del miglioramento della struttura del suolo. È ormai ben noto che la percentuale di aggregati maggiori di mm 2, sotto differenti colti­vazioni decresce nell'ordine seguente: prato stabile > prato in rotazione > grano in rotazione ?- grano continuo.

Precedenti interventi sono stati dedicati all'interrimento delle paglie, come mezzo per attenuare od eliminare gli effetti negativi della coltura continua e su questo argomento non ritengo sia più il caso di soffermarci.

Il Prof. Chisci ha lumeggiato in particolare la funzione del prato ai fini del miglioramento della struttura. Posso confermargli che in ambienti meridionali e nei suoli argillosi, che maggiormente mi interessano, il prato biennale di Sulla e la semplice favata determinano effetti immediati sul miglioramento dello stato strut­turale del suolo, che a mio avviso sono di grande interesse agrono­mico, come ebbi modo di fare rilevare in un mio studio del 1957 sui terreni siciliani. A questo riguardo posso pure ricordare il caso di aree montane, anche estese qualche migliaio di ettari, da me studiate, dove l'equilibrio o climax del prato-pascolo venne pro­fondamente alterato nel passato con la destinazione a colture cerea­licole, col conseguente instaurarsi dell'erosione superficiale, l'affio­ramento dell'orizzonte limoso-argilloso e la perdita della struttura. Su questi suoli da me studiati non fu possibile restaurare la fertilità perduta attraverso. lo inserimento delle leguminose da foraggio e da granella nell'ordinamento produttivo, perchè nessuna di queste specie riuscì a dare risultati produttivi soddisfacenti.

L'impiego del flotal o di altri correttivi a base di composti ferrici non fece sortire effetti apprezzabili, data la forte prevalenza del materiale Hmoso nel substrato affiorante. Solo con l'impiego di prodotti ad azione agglutinante, come il Krilium, fu possibile con­ferire al suolo una buona struttura idonea per l'attecchimento di colture prative e da erbaio a bas,e di leguminose; ma questo pro­dotto è molto costoso e non poteva, quindi, essere impiegato su vaste superfici. In siffatte situazioni l'unka strada da percorrere, forse, è quella del maggese non lavorato (l'antica terzeria o la quar-

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teria) per ripristinare quella fertilità biochimica iniziale così grave­mente deteriorata. Ma su questo argomento potrà dire qualcosa in più il Prof. Fierotti, dopo che saranno esauriti gli interventi di co­loro che si sono già prenotati.

PROF. F. MANCINI - Nel suo intervento Sanesi ha richiamato giustamente il problema delle differenti strutture nei vari orizzonti del suolo. A questo proposito direi che da parte nostra non è, per quanto riguarda le dimensioni, accettabile il limite di un millimetro che Alberto Malquori poneva poco fa. Abbiamo tutta una serie di strutture, soprattutto neglì orizzonti profondi, che superano lar­gamente il centimetro, sia, in certi casi, nel senso verticale che nel senso orizzontale. Va anche sottolineato che l'evidenza varia anche da momento a momento. I tuoi vertisuoli, Presidente, le tue terre nere, hanno un aspetto totalmente diverso se uno esamina il profilo durante i mesi invernali o lo osserva nei mesi estivi, quando un'ag­gregazione granulare almeno in superficie è in molti casi partico­larmente evidente, aggregazione che purtroppo è granulare e non grumosa, quindi non ha altro che una scarsa porosità.

Un altro punto su cui vorrei richiamare l'attenzione dei col­leghi è quello che riguarda differenti situazioni di carattere ecolo­gico. L'amico Florenzano, con una vivacità che non gli conoscevo difendeva stamani decisamente la posizione dei microbiologi e permettete a me, che non sono certamente uno zoologo, di toccare tuttavia brevissimamente questo aspetto. Ci occupiano di suoli coltivati e di suoli non coltivati certo in misura considerevole. Se ci soffermiamo un momento sulla popolazione animale presente nel suolo, troviamo che ci sono già delle sostanziali differenze nel macroambiente. Come esempi citerei la funzione delle termiti nei tropici. Esse creano in un'area dominata dai suoli caolinitici condi­zioni di arricchimento in carbonato di calcio e quindi la possibilità di locale formazione di montmorillonite. Varia quindi il pH, la capacità di scambio ed anche la struttura.

Nei nostri ambienti si nota la presenza di determinati gruppi di animali che hanno nel suolo anche una funzione di formazione di aggregati, che chiamiamo aggregati coprogeni. Giovanni Ferrari, io stesso, tutti gli altri che si sono occupati di pedogenesi nei mas­sicci calcarei dell'Appennino, abbiamo con sorpresa; a mano a im~no che le indagini andavano avanti, vista l'azione enorme che una serie di micromammiferi esercitano nei suoli, soprattutto nei

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suoli sottili o rendziniformi o nei suoli bruni calcarei. Si osserva ogni anno all'inizio della primavera, al momento della fusione delle nevi, una serie di gallerie scavate dalle talpe si che in pochissimi anni abbiamo probabilmente un'omogeneizzazione animale dell'in­tero profilo, certamente sottovalutata dai ricercatori precedenti.

Franz, che è forse il più illustre studioso di problemi di pedo­zoologia che abbiamo in Europa, ha segnalato popolamenti a diverse caratteristiche ed attitudini ecologiche in ambiente conti­nentale e in ambiente oceanico. Se consideriamo in una piccola zona delle nostre Alpi (osservazioni interessanti al riguardo si devono a Marcuzzi dell'Università di Padova), i suoli di tipo pod­zolico su substrato silicatico e i suoli adiacenti tipo rendzina o bruni su substrato calcareo, ecco che solo in questo ultimo caso abbiamo popolamenti di lombrici nel suolo che ha un pH abbastanza elevato e possibilità di rifornimento di Calcio e Magnesio. Viceversa c'è un popolamento sostanzialmente diverso, certe volte limitato soltanto ai primissimi orizzonti, nei suoli di tipo podzolico molto più poveri. Ecco dunque un altro aspetto questo della fauna del suolo che riterrei di notevole importanza, sono allora veramente moltissime le cause che cooperano alla formazione di questa struttura e necessita quindi di vedere il problema da tutti i punti di vista~

PRESIDENTE - Mi ha fatto piacere ascoltare l'intervento del Prof. Mancini che ha richiamato con efficacia la nostra attenzione sulle variazioni stratigrafiche e perfino stagionali della struttura e sugli interessanti aspetti -ecologici che condizionano la forma­zione degli aggregati coprogeni, specie nei suoli non coltivati.

Il problema della struttura del suolo si rivela quanto mai complesso e quindi sono più che mai convinto che abbiamo fatto bene a sceglierlo come tema di una tavola rotonda ed a volergli dedicare un prossimo convegno. -

I lavori a questo punto (sono le ore 13,30 circa) vengono interrotti per permettere ai Convenuti di partecipare al lunch offerto dall'Istituto ospitante.

PRESIDENTE - Nel riprendere i nostri lavori pomeridiani desi­dero ricordarvi che sarebbe opportuno soffermarci sulla termino­logia e sulla valutazione della struttura del suolo.

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Potremo affrontare i due aspetti separatamente, ma ritengo che parlando di metodologia il richiamo alla terminologia relativa agli aggregati strutturali sarà spesso inevitabile.

Se siamo d'accordo, potremo dedicare gran parte di questa seduta pomeridiana al problema d~lla metodologia richiamando, quando necessario, anche questioni di terminologia.

PROF. A. ARu - Questa mattina è stato accennato al problema dei diversi tipi di struttura in seno al profilo. Ora se il ricono­scimento del tipo dei vari aggregati nel profilo ha un'importanza notevole sotto l'aspetto genetico, non meno importante risulta dal lato agronomico, proprio al momento della messa a coltura. In­fatti è fondamentale ràggiungere o creare un profilo colturale omo-geneo, per quanto è possibile.

La struttura di tipo prismatico, a cui è stato fatto cenno stamani, è ancora più evidente nelle aree meridionali, con pedo­genesi di tipo mediterraneo. Questo tipo di struttura, insisto su questo termine, spesso non consente alle radici un normale ap­profondimento nemmeno alle piante di scarsissime esigenze, come ad esempio l'Eucalipto. Il problema agronomico è quindi di mo­dificare la struttura, attraverso lavorazioni opportune, al fine di creare uno stato di aggregazione che consenta alle radici di esplo­rare tutto il profilo. Perciò prima della messa a coltura si deve individuare i vari tipi di struttura e l'opportunità o meno di mo­dificarli o di conservarli. L'importanza di questo problema, nelle aree meridionali, lo riscontriamo soprattutto quando si debbono eseguire degli impianti arborei, per i quali si ha necessità di un profilo omogeneo e con uno stato di aggregazione più idoneo alla vita delle piante.

Il problema che ci dobbiamo porre è come arrivare a quel tipo di struttura che risponde meglio alle esigenze delle specie coltivate e per assicurare gli scambi tra suolo ed atmosfera.

Non c'è dubbio che la sostanza organica, particolarmente nelle aree più calde, assume un ruolo fondamentale e, come ac­cenna il Prof. Cecconi, non possiamo reperirla se non in aziende particolari, nel letame. I sovesci periodici sono indispensabili e nei nostri ambienti i migliori risultati si ottengono o col favino o col lupino.

Sempre nelle zone più calde, stiamo da alcuni anni osser-vando i risultati che si ottengono con l'uso di erbicidi e dissec-

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canti, nei suoli impiantati a colture arboree, in confronto ai suoli coltivati normalmente .. Stando ai primi risultati risulta più con­veniente applicare . la normale tecnica colturale ed eliminare gli erbicidi. Non bisogna dimenticare inoltre che tracce di questi er­bicidi sono state trovate nei prodotti anche trasformati, come ad esempio nei formaggi. Pare infatti che partite di formaggio spe­dite in America siano state respinte perchè contenevano dosi ele­vate di tali erbicidi, ritenuti cancerogeni.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Aru per le sue interessanti considerazioni. Però, ora, portiamo l'attenzione ai metodi di va­lutazione della struttura del suolo.

DOTT. A. FuMELLI - Vorrei porre alcuni interrogativi ai pre­senti di questa qualificata riunione. Come uomo pratico, pongo quesiti perchè la Scienza possa trasferire le sue acquisizioni nel campo della pratica.

Anzitutto, vorrei sapere, quale parte ha la struttura del ter­reno, sul fenomeno del guastaticcio; vale a dire, terreni lavorati, come suol dirsi in «calda-fredda». Penso che nel fenomeno debba entrare in ballo anche il fattore biologico (arresto dell'attività bat­terica); tuttavia credo che anche il problema della struttura debba avere notevole influenza.

Il secondo quesito è questo: conviene più produrre mais da granella, oppure allo stadio ceroso da insilare? perchè in questi ultimi tempi è stato rilevato, da numerosi sperimentatort che dal mais insilato allo . stadio cereo, si ottengono dalle 8 alle 12 ed

. anche 15.000 U. F. (unità foraggere). E' vero che c'è il problema degli stocchi di granturco che, come qualcuno ha spiegato sta­mani, sotterrati con le lavorazioni, influiscono sulla struttura del terreno modificandolo, l'agricoltore però, vuol sapere come sta la faccenda perchè alla fine della gestione deve fare quadrare i propri bilanci.

Altro problema è quello della materia organica, particolar­mente del letame; se n'è parlato questa mattina; ma non ho ca­pito bene se il letame ci vuole o non ci vuole. Secondo me ci vuole e tanto, tanto. Sotto l'aspetto pratico ho constatato (e certamente tanti fra i presenti) questo fato incontrovertibile: in ogni podere, sia esso sulle sabbie litoranee che sulle zone delle argille plioce­niche, il contadino, nel suo orto, a suon di vanga e di letame,

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ci fa venire ogni ben di Dio, anche il pepe! Collegato alla materia organica è il sovescio. Trentacinque, quarant'anni fa leggevo sulla stampa tecnica (ed ero alle prime armi), un monito lanciato da qualche tecnico qualificato, che andava per la maggiore: « sove­scio agricoltura a rovescio », intendendo dire con ciò che era più utile, più vantaggioso, far passare la pianta verde, attraverso lo stomaco degli animali. Allora .ecco l'ultimo quesito: per modificare la struttura del terreno, come si fa? Sovesciando la pianta, oppure facendola passare prima attraverso lo stomaco degli animali?

Ultima cosa infine; una questione di carattere sentimentale: poichè ho avuto l'immensa fortuna di vivere molti anni a fianco del compianto Prof. Passerini, che mi fu Maestro di tecnica e di vita, nii sia consentito, in questa occasione, di ricordarlo ai pre­senti nella Sua qualità di grande uomo di scienza ancor più quanto appariva, apprezzatissimo molto all'estero, un po' meno in Italia, perchè non riusciva simpatico per il Suo temperamento, per le verità che non sapeva nascondere e che ai più dispiace conoscere.

Lo ricordo proprio in questa circostanza, soprattutto perchè la Sua dipartita passò quasi ignorata dalla stampa all'infuori di rare eccezioni che Lo commemorarono. Grazie.

PRESIDENTE - Grazie, Dott. Fumelli, per il suo intervento. Ai quesiti tecnici da Lei posti risponderà il Relatore. Però non posso fare a meno di una precisazione. Lei ha voluto ricordare alla nostra memoria il Prof. Gino Passerini. Posso dirLe che, pro­prio in questa sede, un anno fa, in occasione di un'altra tavola rotonda dedicate alle caratteristiche fisico-meccaniche del suolo il Prof. Passerini è stato degnamente e sinceramente commemorato da me e dall'amico Massacesi.

Noi della Società Italiana della Scienza del Suolo siamo con­vinti che il Prof. Passerini fu molto apprezzato anche in Italia per le sue qualità morali e doti di grande Scienziato. Quando ci viene di nominarlo noi ci chiniamo riverenti alla Sua memoria ed a noi che studiamo il terreno agrario ci capita spesso di doverlo ricordare, quanto. meno attraverso la consultazione di alcune sue pubblicazioni scientifiche di fondamentale importanza. Ed ora la parola al Prof. Malquori.

PROF. A. MALOUORI - Rispondo molto brevemente alle tre

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questioni poste dal Dr. Fumelli. Per quanto riguarda l'arrabbia­ticcio, o calda-fredda, si tratta di un noto fenomeno che ancora non si è riusciti ad inquadrare scientificamente con prove dirette per capirne bene le cause. Io penso che migliore è la struttura del su.olo e minori sono i pericoli di insorgenza di questo fenomeno, mentre più facilmente degradabile è la struttura e più facilmente si può presentare il fenomeno in parola. In un primo tempo fu messo in rel,azione all'attività microbica senza dare prove dirette, cioè conferme sperimentali o riproduzioni sperimentali. Tuttavia, dato che l'arrabbiaticcio si manifesta specie nei terreni un po' forti, pesanti e più facilmente soggetti a degradazione strutturale, un miglioramento della struttura dovrebbe, a mio parere, portare a una diminuzione, non dico scomparsa, di questo fenomeno. Per quanto riguarda il letame si tratta di una questione che fu posta anche a Verona ad una Tavola Rotonda sulla tecnica ed economia delle concimazioni. Ad un certo punto si parlò della sostanza or­ganica, del letame che veniva ancora prodotto in molte aziende, ma che in molte altre manca o difetta. Un agricoltore si alzò e chiese: «Avendo una grande produzione di letame, che cosa devo fare, gettarlo via? » e gli fu risposto: « Beato Lei che ha letame ». Effettivamente gli agricoltori se hanno una sufficiente scorta di letame e giusto che l'adoperino. Il problema si pone per chi non ha più sufficiente produzione di letame ed allora deve rkorrere ad altri mezzi, per non fare consumare completamente quella poca sostanza organica che si può trovare nel terreno.

Per quanto riguarda il sovescio, io penso che dovrebbe essere più efficace come condizionatore di struttura l'incorporazione di materiale fresco nel terreno che non digerito attraverso gli animali.

PRESIDENTE - A proposito dell'intervento del Prof. Malquori; vorrei ritornare per l'ultima volta sul problema del letame.

Da vari interventi che si sono svolti nel corso della giornata, mi è sembrato di dover trarre un'impressione doppiamente nega­tiva. Da alcuni è stato quasi decretato il tramonto del letame come materiale idoneo a migliorare la struttura del suolo ed è stato detto che dove il letame c'è il suo impiego risulta costoso ed antieco­nomico.

Sul primo punto ho già espresso il mio pensiero in senso decisamente contrario.

In merito al secondo punto, bisogna sfatare innanzitutto la

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convinzione che il bestiame è destinato a scomparire dalla azienda agraria e con esso il letame. Il settore zootecnico attraversa senza dubbio una situazione di congiuntura assai difficile, ma è una situazione che potrà essere mutata favorevolmente, almeno così si pensa; prova ne sia che la C.E.E. sta compiendo sforzi per incana­lare la potenzialità produttiva dell'agricoltura di un settore quanto meno deficitario, qual'è quello della carne.

Comunque, in Italia il bestiame è ancora presente in un gran­dissimo numero di aziende ed il letame da esso prodotto viene portato in gran parte sul terreno perchè l'agricoltore crede nei bene­fici,. anche strutturali, di questo materiale. Basta visitare le aziende, durante i periodi di preparazione del suolo alle colture, per render­si conto di questa realtà. Noi pensiamo ed auspichiamo che le aziende, per motivi di sopravvivenza e di adeguamento agli impe­rativi economici, debbano raggiungere un grado di meccanizzazione agricola ottimale, direttamente o in forma associata, in rapporto alle loro dimensioni. Le aziende che hanno raggiunto un buon grado di meccanizzazione e che dispongono di letame, impiegano regolarmente questo materiale ricorrendo ai carri spandiletame provvisti di organi di raccolta e di distribuzione. Questa operazione meccanizzata, in rapporto anche ai maggiori benefici che consente di potere ottenere, non credo che costi molto di più di quella necessaria, ad es. per l'abbattimento degli stocchi di granturco o quanto meno per la trinciatura ed interrimento e conseguente distribuzione sul terreno di forti quantitativi di azoto indispen­sabili per normalizzare il C/N ed avviare i processi microbiologici di umificazione. Voglio dire che nella realtà delle aziende agricole ci sono tante situazioni o necessità, che possono essere rese più o meno valide adeguando ad esse le tecniche più idonee e non pos­·siamo quindi fossilizzarci sull'una o sull'altra impostazione.

Per il momento la pratica dell'interrimento delle paglie e degli stocchi sembra che vada bene e gli agricoltori la applicano.

Le esperienze a lungo termine in corso ci diranno fino a qual punto possiamo accettarla o se dobbiamo modificarla; ma non possiamo affermare che questa sia la migliore strada da seguire e che il letame debba essere impiegato solo negli orti e nelle serre a forza di braccia. Fra l'altro la meccanizzazione sta entrando anche negli orti industriali e nelle serre e quivi si ricor­re all'interrimento di residui vegetali solo quando non è possibi­le procurarsi letame entro un raggio di diverse diecine di Km.

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Il Prof. Cecconi vuol dire ancora qualcosa sul letame.

PROF. S. CECCONI - Voglio solo dire che in questa sede si fa talvolta confusione fra l'effetto generale del letame e la sua azio­ne nei confronti della struttura. Io non dico certamente che l'effet­to generale del letame non risulta quasi sempre positiva ma avan­zo dei seri dubbi che il letame provochi un buon miglioramento della stabilità di struttura di un suolo.

PRESIDENTE - Abbiamo dedicato troppo tempo al letame e le posizioni sono assai controverse. Riprenderemo questo argomento al prossimo Convegno. La parola al Prof. Lanza che vuole soffer­marsi brevemente sul mais quale fonte di materia organica.

PROF. LANZA - E' opportuno chiarire che siamo un po' fuori tema, ma ritengo utile una precisazione su quanto finora si è detto sul rapporto « mais-sostanza organica del suolo ».

Mi pare che i problemi qui prospettati sono risolvibili: perchè o l'azienda ha un ordinamento foraggero-zootecnico - e quindi il mais che asporta come pianta intera dal terreno con i tagli (come mais-verde o mais-ceroso) ritorna poi al terreno sotto forma di leta­me; oppure si tratta di azienda cerealicola, che produce mais da granella per il commercio - e allora rimangono stocchi e foglie da interrare e da integrare con concimi azotati per favorire la umificazione con un rapporto C /N ottimale.

PRESIDENTE - Esauriti questi ultimi interventi, possiamo final­mente dedicarci ai problemi di metodologia. Prego il Prof. Rotini di volere introdurre questo argomento.

PROF. ROTINI - Stamattina abbiamo molte volte parlato di stabilità di struttura, ma nessuno ha detto in che modo viene determinata. Ora io ho l'impressione che se desideriamo appro­fondire questo argomento della struttura e della stabilità della struttura bisogna metterci d'accordo sul modo come questa stabilità della struttura dovrà venire determinata. A me risulta che l'appa- · recchio, che lodevolmente Malquori e Cecconi hanno perfezionato già da una decina di anni, si è diffuso abbastanza in Italia. L'abbia­mo noi a Pisa, l'hanno a Roma, l'ha Barbieri a Portici, credo che ne abbiano un modello anche a Bologna, ma io vorrei, su questo

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apparecchio, fare qualche precisazione nella speranza che un esa­me più approfondito di questa metodica possa contribuire all'otte­nimento di risultati più concordanti. Perché questo apparecchio, è andato molto bene fintanto che si trattava di determinare la sta­bilità di struttura in linea molto approssimativa. Ma ora che abbia­mo l'esigenza di fare dell'osservazioni più acute, è necessario otte­nere da questa apparecchiatura dati maggiormente significativi.

Nella sottocommissione per gli anti-parassitari del ministero della Sanità, è stato stabilito che prima di dare il benestare ad un prodotto sanitario, e, specialmente ad un erbicida, si debba, fra le altre misure, effettuare prove relative all'influenza che l'anti­parassitario manifesta sulla stabilità di struttura del terreno.

Credo che fra. qualche mese i nostri laboratori saranno inte­ressati a fare la determinazione della stabilità di struttura. Quando il Prof. Amberger, direttore dell'Istituto di Chimica Agraria di W eihenstephan mandò dei terreni per la misura della stabilità di struttura, le misure vennero ripetute priina di mandare i risultati e purtroppo questi non erano più gli stessi.

Naturalmente in questa 1sfasatura di dati c'erano anche errori di esecuzione; quando si usa per la prima volta un apparecchio, si commettono degli errori ed il più rilevante deriva dal fatto che in queste determinazioni non era stato inserito lo stabilizzatore. La rete elettrica fa degli sbalzi così enormi da giorno a giorno, da ora a ora, che se non si mette uno stabilizzatore, si finisce col com­mettere degli errori assai rilevanti. E' evidente che quando il vol­taggio cambia, cambia la velocità di rotazione del cestello e conse­guentemente anche l'azione dinamica dell'acqua.

Lavorando con questo apparecchio è stata messa in evidenza che i cestelli ruotino tutti in modo uniforme. I primi apparecchi erano fatti con la puleggia e con le cinghie di trasmissione e la presenza della cinghia di trasmissione, che può subire piccoli slit­tamenti, si presta a qualche errore. Questo difetto è stato corretto modificando la trasmissione delle piccole ruote collegate diretta­mente all'asse dei cestelli in modo da garantire che tutti girino con la stessa velocità.

Vi riassumo così telegraficamente queste cose per non perdere troppo tempo, ma non è male che.·· di queste correzioni che noi a Pisa abbiamo apportato all'apparecchio se ne discuta fin da ora e così, quando ci troveremo un'altra volta a trattare l'argomento della struttura avremo tutti lavorato con metodi un po' più uni-

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formi. Un'altra questione sulla quale bisogna mettersi d'accordo è il numero dell'oscillazioni al minuto. Ora io vi posso dire che cambiando il numero delle oscillazioni al minuto, cambia il risul­tato della misura, per cui occorre scegliere un certo determinato numero di oscillazioni con il quale tutti devono lavorare se si vuole che i risultati siano comparabili.

Abbiamo cercato di stabilire quale potrebbe essere il numero delle oscillazioni più vantaggioso per queste misure e per ottenere dati ripetitibili; dalle nostre osservazioni risulta che dobbiamo fare oscillare i cestelli con 60 oscillazioni al minuto, anziché quaranta.

Abbiamo poi cercato di studiare il rapporto tra l'acqua e il terreno. Il rapporto tra acqua e terreno era stato indicato in 5 gr. su circa 800 cc. di acqua. Le nostre prove con diversi tipi di ter­reno: una terra rossa, un terreno argilloso del Pliocene del Vol­terrana ed un terreno argilloso dell'alluvione pisana hanno dimo­strato che 5 gr. sono troppi. Se lavoriamo con un grammo otte~

niamo certi determinati risultati, che aumentano molto lievemente con 2'. gr. e con 3. Quando però si passa da 3 gr. a 4 o a 5, i 5 gr. che erano stati consigliati finora, si nota un aumento molto ripido per cui basta poi un piccolo spostamento per commettere degli errori molto gravi. Operando su diversi tipi di terreno abbiamo visto che effettivamente con 3 gr. si riesce ad ottenere dei risultati abbastanza buoni per qualsiasi terreno, tanto per quelli pesanti quanto per quelli sciolti.

Ora, io avrei anche tante altre piccole considerazioni da fare, dovrei dirvi per esempio, che ci siamo preoccupati di precisare se i tempi andavano bene; evidentemente l'ora che è stata stabi­lita per la seconda misura non si può aumentare perché altrimenti si aggraverebbe anche la· laboriosità della determinazione e poi questo problema era già stato studiato da Cecconi. Ci siamo invece preoccupati di studiare il problema della prima misura, quella che si fa secondo i vecchi suggerimenti dopo 5 minuti ed abbiamo visto che effettivamente 5 minuti vanno bene perchè fino a 6 minuti gli spostamenti del risultato sono modesti, ma appena si passa da 6 a 7 o 8 c'è subito una caduta per cui il tempo proposto in origine è un dato da confermare. Mi sono permesso di raccomandarci queste piccole modifiche perchè ritengo che sia utile in questa seduta approfondire i particolari del metodo, perchè se noi non accordiamo gli strumenti finiremo con ottenere dei risultati stonati e cioé non comparabili fra loro. Vi propongo quindi che la quan-

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tità di terreno da impiegare nelle misure sia 3 grammi; e, soprat­tutto vi proporrei di apportare all'apparecchio originale piccole modifiche in modo da garantire lo stesso numero di giri in tutti i 9 cestelli e un numero di oscillazioni di almeno 60.

PRESIDENTE - Ringrazio vivamente il Prof. Rotini per l'acuto esame critico ch'egli ha fatto al metodo Malquori-Cecconi, attual­mente maggiormente usato in Italia.

Alcune cosiderazioni da lui svolte sono d'interesse più gene­rali e valgono, quindi, anche per altri metodi.

Nel mio Istituto l'apparecchio Malquori-Cecconi è stato in­trodotto solo in questi giorni, mentre da diversi anni lavoriamo con l'apparecchio di Meyer modificato da Haussmann e Carini.

L'apparecchio Meyer risulta costituito da un cilindro nel qua­le sono collocati quattro setacci di diametro variante, dall'alto in basso, da mm. 4 a mm. 0,25. L'apparecchio viene fornito a doppio cilindro per poter effettuare contemporaneamente due determina­zioni. Il campione di suolo integrale (non setacciato) viene posto nella parte alta del cilindro, ossia sul setaccio di mm. 4 e si attende che un determinato numero di flussi e riflussi di acqua, regolati da un sistema a sifone, per un tempo prestabilito, abbiano agito sugli aggregati di suolo, con conseguente formazone di aggre­gati più piccoli o di particelle elementari, che vanno a depositarsi nei diversi vagli sottostanti.

Il· merito che riconosco ·a questo apparecchio è quello di con­sentire una valutazione più dettagliata dell'indice di stabilità di struttura, proprio perchè si agisoe sul campione integrale con la pos­sibilità di poter valutare contemporaneamente quali sono le dimen­sioni di grumi che condizionano maggiormente la struttura di que­sto o quel tipo di suolo.

L'apparecchio è stato impiegato recentemente per valutare lo effetto dei diversi metodi di irrigazione (gravità, pioggia lenta, pioggia molto lenta), applicati per un quadriennio ad un suolo ar­gilloso destinato ad erba medica. E' stato rilevato che esprimendo l'indice di stabilità strutturale conglobando le particelle terrose di diametro maggiore di mm. 1, non si rilevano differenze apprez-zabili fra i diversi metodi di irrigazione. ·

Per contro, valutando la distribuzione dei grumi terrosi nei singoli vagli, ossia con diametri compresi fra mm. 4 e mm. 3, fra mm. 3 e mm. 2, fra mm. 2 e mm. 1, fra mm. 1 e mm. 0.5 era

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possibile cogliere differenze sensibili fra i campioni di suoli pro­venienti dai diversi trattamenti irrigui ed evidenziare, pertanto, processi di degradazione della struttura che sfuggono, invece, quando si opera con apparecchi e metodi basati su un solo vaglio. In questo caso, mi si può dire: si può ripetere l'operazione sosti­tuendo il vaglio con un altro di diametro diverso; ma a parte le perdite di tempo, il metodo è poco ortodosso, perchè devo ritor­nare a setacciare il campione secco per ottenere gli aggregati di un nuovo diametro, da sottoporre all'azione dell'acqua.

E' mia convinzione che il modo migliore per apprezzare in laboratorio la struttura del suolo sia quello di operare sul cam­pione integrale e di valutare contemporaneamente le percentuali di grumi terrosi stabili di diverso diametro.

Nel mio laboratorio i campioni di suolo integrale, ciascuno di diversi chili, prelevati in campagna secondo le norme consuete, vengono posti in bacinelle di terracotta smaltata con fondo forato ed innaffiati in modo da portarli al livello della saturazione; una volta raggiunto, per graduale asciugamento, lo stato di tempera, ciascun campione viene lavorato con una minuscola vanghetta da laboratorio, in modo da conferirgli uno stato di sminuzzamento molto vicino a quello che viene raggiunto in campo con i normali lavori preparatori. Con tali accorgimenti ciascun tipo di terreno rag­giunge uno stato di grumosità tipico, cioè strettamente dipendente dalle sue caratteristiche fisico-meccaniche e biochimiChe, mentre i consueti procedimenti (rulli, pistoni a caduta fissa, macine), rea­lizzando un amminutamento soggettivo o troppo standardizzato. Dal campione integrale così preparato si prelevano i saggi di suolo per la valutazione dell'indice di stabilità strutturale nell'ap­parecchio di Meyer.

Ritengo che l'aspetto metòdologico da me segnalato non deb~ ba essere trascurato se si vuole che il dato analitico sia di aiuto per interpretare certi fenomeni che si verificano in pratica. A tale riguardo ricerche portate a termine presso il mio Istituto, ma an­cora inedite, hanno fatto rilevare che la germinabilità di diverse specie foraggere (Lolium perenne, Phalaris tuberosa, Festuca pra­tensis, Bromus inermis, Lotus cornicultus, Medicago sativa, Hedi­sarum coronarium) può variare sensibilmente da un tipo di suolo all'altro (terra bruna poco strutturale, terra bruna strutturale, ter­ra nera strutturale, suolo alluvionale vertico mediamente strutturale, rendzina di buona struttura), a seconda dal loro grado di struttura.

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Difatti, la germinabilità è risultata più elevata nei tipi di suolo caratterizzati da una struttura migliore, come la terra nera, la terra bruna strutturale e la rendzina ben dotate di humus dolce. In tutti i tipi di suolo presi in esame e per tutte le specie consi­derate, la germinabilità si è innalzata adottando come substrato la terra setacciata a 3 mm. anziché a 2 mm.; questo aumento della germinabilità, in rapporto al maggiore diametro degli aggregati terrosi, è risultato sensibilmente più accentuato nei suoli caratte­rizzati da un indice di stabilità strutturale più basso, come la terra bruna ed il suolo alluvionale vertico.

A proposito di queste ricerche alle quali ho fatto brevemente cenno è opportuno, forse, fare rilevare che trattando gli stessi tipi di suolo setacciati a 2 mm. con correttivi della struttura, il grado di germinabilità delle specie sopra elencate si innalza sen­sibilmente; in altri termini, suoli in partenza molto differenziati nel grado di struttura e negli effetti sulla germinabilità, finivano col fornire valori di germinabilità assai vicini fra di loro in seguito al miglioramento delle condizioni di struttura mediante aggiunta di Krilium o di Flotal.

Anche questi ultimi risultati rafforzano la mia convinzione che non si può operare su aggregati terrosi ricavati setacciando preliminarmente a secco ad un solo dato diametro, pena la limi­tazione delle informazioni anche o soprattutto di ordine agrono­mico che noi chiediamo all'analisi.

Queste constatazioni sperimentali confermano quanto è gi~ noto in agronomia, cioè che « i grumi terrosi del buon letto di se­mina dovrebbero avere, quanto meno, le dimensioni delle · semen­zine che si vanno ad impiegare ».

PROF. S. CECCONI - Anzitutto bisogna dividere il problema in diverse parti. Cominciando da quanto ha detto il Prof. Rotini ammettiamo per comodità di discussione la validità del metodo che io non ho inventato ma che ho solo collaborato con il Prof. Malquori a mettere a punto. E' ovvio che l'apparecchiatura deve essere controllata e stabilizzata e deve essere sottinteso che i ce­stelli debbano durante l'analisi percorrere sempre lo stesso tragitto, con lo stesso numero di giri o scatti al minuto, con la stessa velo­cità. Una volta standardizzato tutto questo bisogna anche ricor­dare che la determinazione in oggetto è empirica· e non può rap­presentare la situazione esatta della stabilità di struttura di un

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terreno. L'importante è che sia riproducibile, entro certi limiti almeno, e quindi una volta d'accordo sul numero di giri al minuto, siano essi 20, 30, 40 ecc. basta trovarsi tutti d'accordo e operare tutti con le stesse modalità. La cosa più importante mi sembra ap­punto il trovare l'accordo generale.

Ciò che non sono riuscito a capire dall'esposizione del Prof. Rotini è la differenza riscontrata operando su 3 o 5 gr. di terra, il perchè il metodo possa andare con 3 e non con 5 gr. Probabil­mente ciò che ha più importanza non è tanto il rapporto terreno­acqua quanto il rapporto peso di tetreno..,dimensioni del cestello in quanto far ruotare la stessa quantità di terreno in 800 cc. od in un litro di acqua non mi sembra possa portare a risultati diversi.

E' assai importante invece che si costruisca un cestello tale da dare la possibilità alla frazione disgregata durante la prova di uscire dal cestello stesso. Può darsi che se il cestello ha un bordo di sostegno un poco più alto parte del materiale disgregato rimanga bloocato meccanicamente all'interno del cestello, specialmente se quest'ultimo non viene lavato alla fine della prova con un getto di acqua. L'ideale sarebbe quindi avere un cestello a forma di sfera di rete in modo da eliminare tutti i punti morti.

Cioé l'unièa spiegazione che riesco a darmi sulle differenze riscontrate dal Prof. Rotini che operando con 3 gr. trova valori riproducibili mentre ciò non avviene con 5 gr. è che adoperasse cestelli troppo piccoli o che il cestello non venisse ben lavato alla fine delle prove.

Vorrei anche accennare a quanto detto dal Prof. Ballatore sull'opportunità di fare la determinazione dell'indice di stabilità di struttura lavorando con grumi di una o di un'altra dimensione.

Penso che prima di tutto bisogna accettare un determinato metodo; accettato questo nulla ci vieta di lavorare invece che su grumi di 2 mm. su grumi di 3, di 4, di 5 o più mm. Il problema non viene spostato e si potrebbe addirittura lavorare non su grumi di una sola dimensione ma ad esempio fare la prova sia su grumi di 2 che su grumi di 4 mm, ma però tutti si operi in questo modo. Potremo cioé stabilire un'indice di struttura attraverso 3-4 valori ottenuti su particelle di diametro x, y, z. ecc.·

Naturalmente in questo modo aumenta la precisione ma si allunga il tempo necessario per l'analisi. L'operazione in un modo o in un altro' dipende quindi da cosa noi vogliamo ottenere, se

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determinazioni più rapide, o determinazioni più precise, ·ma ciò è un problema che riguarda non solo questo tipo di analisi ma tutte le determinazioni analitiche specie di un materiale così eteroge­neo come il terreno. Bisogna quindi accordarsi anche su questo.

Se vogliamo analisi più precise si può operare ad esempio in doppio o in triplo su particelle di 1-2-4-10-20 mm ottenendo una serie di dati di valore statistico o addirittura scegliere volta per volta quelli più significativi. Se· vogliamo invece fare una sola determinazione e questo mi sembra il modo più pratico per ana­lisi di questo tipo, vi dico sinceramente che non so se è meglio lavorare sui 2 sui 3 sui 4 o sui 5 mm. Attualmente nel mio ed in altri Istituti il diametro usato per queste prove è quello com­preso fra 1 e 2 mm. e per convincermi a cambiare occorre che mi si dia la dimostrazione scientifica che l'analisi è più rispon­dente se fatta su particelle di diametro diverso. Io sono pronto a recepire qualunque suggerimento, anzi sarei molto contento se qualcuno mi dimostrasse la validità di un determinato metodo non naturalmente dicendo preferisco così oppure il Robinson o uno di Gottinga lavora in quest'ultimo modo. lo personalmente sono pronto ad accettare qualunque altro metodo concordato per­chè non ho certo sposato il metodo da me adoperato adesso. Ci sono vari altri metodi di analisi che ho messo a punto anni fa e che oggi non adopero più perchè mi sono reso conto che sono ormai sorpassati. Concludendo debbo sinceramente dire che non so attualmente se è meglio lavorare con particelle di diametro di 1-2 mm. o di altra dimensione; questo sarà indice di grossa igno-ranza ma ripeto che non lo so.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Cecconi per i chiarimenti for-niti; comunque le mie perplessità sul modo di approntare e se­tacciare prdiminarmente il campione per l'analisi, purtroppo, ri~ rnangono.

Forse ·è necessario fare una disamina più approfondita ·dei vari metodi e relativi apparecchi, prendendo quanto di buono c'è negli uni e 11-egli altri, in modo da pervenire ad attrezzature più rispondenti alle nostre esigenze agronomiche. E' poi necessario compiere maggiori sforzi per avvicinare i risultati analitici alle osservazioni di campagna, che spesso invece vengono trascurate.

Nel caso dell'apparecchio Meyer posso affermare che non si può scendere al disotto di 1 O gr. di terra se non alterando profon­damente il risultato dell'analisi.

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PROF. ROTINI - Ma io vorrei ricondurre un po' la discussio­ne all'origine, perchè il problema di fondo non è quello di sce­gliere un tipo o un altro tipo di grumi, il problema è quello di parlare lo stesso linguaggio, e cioè fare le determinazioni nello stesso modo. Anche se non riusciamo a spiegare perchè il metodo va meglia con 3 che con 5, quello che conta è fare le misure in modo che queste siano ripetibili. Ora per quanto riguarda la faccenda dei 5 gr. e dei 3 gr., la spiegazione potrei darla. Abbiamo fatto le esperienze ripetendo le misure 3 volte ed abbiamo visto che fintanto che mettiamo 1 gr., 2 gr., 3 gr. i dati sono fra di loro omogenei, danno cioé lo stesso residuo. Quando invece pas­siamo a 4, 5, 6 i dati non tornano più. Perche? se, ad es. lavoriamo con un terreno che contiene il 50% di argilla, aggiungendo 5 gr. di terreno si aggiungono 2,5 gr. di argilla; lavorando invece con 3, se ne aggiunge soltanto un grammo e mezzo, quindi è evidente che nei 5 minuti della prima misura con 3 grammi di terreno, si ottiene la ·completa eliminazione delle particelle non sufficien­temente stabili, cosa che non si verifica con 5 gr. Ma ora vorrei concludere, ripetendo ancora quello che ho già detto da principio. Quello che conta è che ciascuno di noi mediti su quello che abbia­mo detto oggi. Quando ci incontreremo la prossima volta, sarà necessario fissare in che modo in Italia intendiamo determinare la stabilità di struttura, allo scopo di determinarla tutti nello stesso modo, perchè solamente così potremo ·ottenere risultati com­parabili.

PROF. A. MALOUORI - Circa alcune osservazioni del Prof. Ro­tini ricordo che l'uso del nostro apparecchio .per la determinazione della struttura prevede di fissare esattamente il tempo e la durata della prova ed il nu~ero di doppi giri alternati al minuto, tanto è vero che per ovviare ad eventuali variazioni della tensione, fac­ciamo ruotare a vuoto i cestelli per un certo tempo, fino ·a rag­giungere la velocità di regime, dopo di chè ha inizio la prova. La perdita di materiale comincia quando mettiamo il cestello coi grumi dentro l'acqua; e perciò questo viene sistemato sullo apparecchio quando siamo sicuri che in quelle condizioni in seno all'acqua il cestello può nuotare nel modo stabilito, ad es. facendo in un minuto 40 doppi giri alternati. Poi fissiamo i tempi, ad es. 5 minuti. Quello che d ha confortato finora, è che ripetendo le misure anche a distanza di anni, ritroviamo gli stessi dati. Bisogna

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tenere presente che non si richiede per queste misure un'esattezza straordinaria.

PRESIDENTE - Un vivo grazie ai Proff. Rotini e Malquori per questi utili chiarimenti. La parola ora al Prof. Cavazza, che si è interessato anche di apparecchi e metodi per la valutazione della struttura.

PROF. L. CAVAZZA - Trovo molto interessante il problema po­sto dal Prof. Rotini; è effettivamente opportuno chiedersi quale sia il significato dei dati che si citano a proposito della struttura del terreno. Come ha detto il Prof. Rotini, ci si pone per lo più come fine quello di misurare la stabilità di struttura all'acqua. Altri hanno cercato di studiare la stabilità agli agenti meccanici, per esempio Chepil lo ha fatto determinando le variazioni nella distribuzione di frequenza degli agglomerati di un terreno sotto­posto a prolungato setacciamento a secco.

Ritornando ai metodi di misura della stabilità all'acqua, sor­gono problemi vari. Tra i vari metodi c'è quello di Vilenski, con­sistente nel contare il numero delle gocce di acqua (di volume e frequenza di caduta dati) necessarie a disgregare un grumo di data grossezza (generalmente 3-5 mm. di diametro) in frantumi non superiori a 2 mm. di diametro; il metodo è estremamente labo­rioso ed i dati sono piuttosto ingombranti; ma così è possibile studiare con maggior dettaglio il fenomeno.

Altro criterio è quello ideato da Tiulin, sostanzialmente sem­plificato da Toder, da Mayer e successivamente modificato più volte da vari ricercatori (in Italia: Malquori, Gattorta, Barraccio e Pallotta). Esso consiste essenzialmente nel misurare la frazione di materiale agglomerato che rimane su un setaccio nel quale era stato posto del terreno con agglomerati di dato diametro massimo ed eventualmente anche minimo, dopo che questo è stato sotto­posto, sul setaccio stesso immerso in acqua, ad un certo numero di oscillazioni effettuate con determinate modalità. Col criterio originale, non uno ma una serie di setacci sovrapposti veniva usata, col terreno posto in quello superiore; si misurava la varia­zione della distribuzione di frequenza degli agglomerati dopo il . trattamento. Questa versione del metodo è laboriosa e non si pre­sta ad una semplice esposizione sintetica dei risultati, ma tiene conto di un fattore normalmente trascurato da chi adotta, come

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normalmente facciamo la versione semplificata ad un setaccio, e cioè che non c'è nessuna ragione per assumere a priori che i gru­mi di varie classi di grossezza abbiano in media la stessa stabilità all'acqua. Da ciò consegue l'importanza pratica della scelta del limite superiore per il diametro degli agglomerati del campione da esaminare quando si adotta la versione ad un solo setaccio.

Per quanto riguarda il movimento del setaccio in seno all'ac­qua sempre alternato, esso può essere lineare v.erticale (criterio più comune), rotatorio (criterio usato da Malquori e Cecconi), elicoi­dale (Féodoroff); dai confronti effettuati nell'Istituto di Agrono­mia di Bari sembra preferibile quello verticale che, se il materiale terroso posto sul setaccio non è eccessivo, ne evita l'accumulo alla periferia del setaccio stesso, cosa che invece è favorita dalla forza centrifuga del moto rotativo o di quello elicoidale.

Per ottenere un'agitazione più uniforme del materiale senza zone di accumulo, la quantità del campione di terr.eno in esame non deve essere eccessiva rispetto alla superficie del setaccio; a Bari si è trovato conveniente l'impiego di 10 gr. di terra secca su di un setaccio di 12 cm. di diametro. A Bari (confrontare descri­zione in « Rivista di Agronomia », 3 pag. 50, 1969) si adotta ora un setaccio a maglie con luce netta di 0,2 cm; si è avuta una certa difficoltà a procurarsi una tale maglia (che non è di uso corrente in Italia), tanto più che molto spesso i costruttori a cui si affida la costruzione dell'apparecchio fanno passare per maglie di 0,2 mm. altre di luce un po' diversa.

Il 1cestello, il cui fondo è costituito dal setaccio, ha il bordo alto 5 cm.; oscilla nell'acqua con corsa di 3 cm. essendo regolato in modo che quando è al punto morto superiore della corsa, il suo fondo sia ricoperto da 1 cm. di acqua e quando è al suo punto ·morto inferiore, ci sia 1 cm. tra il pelo liquido e l'orlo su­periore del cestello. Si applicano oscillazioni con frequenza. di 30 al minuto e durata complessiva della prova di 30 minuti. Questa durata è stata scelta perchè sufficiente a mettere bene in ev1denza le differenze tra diversi terreni o diversi trattamenti allo stesso terreno ed al tempo stesso perchè non eccessivamente lungo; una riduzione della durata di trattamento combinata ad un aumento di frequenza . delle oscillazioni porta ad analoghi ri­sultati medi, ma, tende ad aumentare l'errore di determinazione.

· Per quanto riguarda il materiale da sottoporre ad esame, a scopo di studio si può operare separatamente su agglomerati di

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classi diverse (per es. tra 5 e 3 mm., tra 3 e 2, tra 2 ed 1); per l'interesse pratico che rivestono gli agglomerati più piccoli, per le tendenze che manifesta la letteratura sull'argomento e per la pra­ticità di esaminare la stabilità di struttura sullo stesso materiale che si suole impiegare per l'analisi granulometrica, si preferisce ora a Bari operare su tutta la frazione di terra fine, doé con agglomerati di diametro inferiore a 2 mm. Si noti che adoperando setacci da 0,2 mm., si misura così effettivamente, la stabilità di struttura degli agglomerati di diametro della stessa classe della cosiddetta sabbia grossa (classificazione di Attemberg).

Sul materiale agglomerato residuato sul setaccio alla fine della prova, seccato e pesato, si determina poi la frazione di particelle elementari (sabbia grossa, in questo caso) che non potevano attra­versare il setaccio ossia in generale, una sorta di « scheletro » del campione (particelle di 0 > 0,2 mm.). Il risultato finale è espres­so come rapporto percentuale tra la frazione disgregabile che è in­vece rimasta sul setaccio dopo il trattamento in acqua ( diffe­renza tra il materiale residuo ed· il suo « scheletro ») e la quan­tità totale sul campione sottoposto ad analisi diminuita dello stesso « scheletro » (ossia del materiale agglomera bile totale capace di passare attraverso il setaccio). E' evidente· che il dato finale assume un significato diverso e non strettamente comparabile, secondo le caratteristiche del materiale analizzato ed i criteri di analisi e di espressione del risultato stesso.

La regolarità delle oscillazioni, che, come osservato dal Prof. Rotini, va sempre verificata, può essere assicurata o mediante lo impiego di uno stabilizzatore di corrente (come si fa per es. su un apparecchio in uso a Padova) o mediante il ricorso a metodi ad induzione (come si fa a Bari); l'inserimento di un reostato o di un freno meocanico può facilmente facilitare la regolazione. Si rac­comanda una trasmissione ad ingranaggi, invece che a puleggia, per mettere al sicuro dal pericolo di slittamenti.

Lo stato in cui si trova il terreno all'atto del prelevamento e la preparazione del materiale da sottoporre ad analisi hanno grande influenza sui risultati. A parte la variabilità della stabilità della struttura di uno stesso terreno nel corso dell'annata ed in conseguenza delle operazioni colturali, uno stesso terreno fornisce risultati significativamente diversi, a seconda dell'umidità del ter­reno all'atto del prelevamento e delle successive condizioni di essiccamento, tanto da non permettere di attribuire un valore as-

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soluto ai metodi oggi noti per misurare la stabilità di struttura e questo a parte la convenzionalità del significato insita nella natura di questi metodi. In realtà possediamo metodi idonei solo a mettere in evidenza differenze tra stabilità di struttura di terre­ni prelevati nello stesso momento e con la stessa procedura metodi, cioé, di valore solo comparativo; basta ripetere prelievi e determi­nazioni talvolta pure a due settimane di distanza per accorgersene. E' anche evidente la scarsa utilità di ricercare una precisione del 5 o 1 O% nella stima della stabilità di struttura di un terreno come tale, cioé non a titolo di confronto.

Un'informazione utile ai fini dell'interpretazione dei risultati, può essere ottenuta introducendo nella tecnica di preparazione del campione i criteri ideati da Hénin. Questi consistono nel ripetere il trattamento in acqua su tre sottocampioni dello stesso campione di terreno, dei quali uno (materiale agglomerato secco all'aria) è utilizzato secondo la procedura solita, il secondo è invece prima saturato di alcool assoluto ed il terzo di benzolo prima di es­sere sottoposti all'agitazione in acqua. Il risultato finale è net­tamente diverso dopo i tre pretrattamenti e, ciò che più conta, varia in maniera diversa in ciascuno dei tre casi, secondo la natura dei cementi coinvolti nella formazione degli agglomerati; cresce di più la stabilità dopo il pretrattamento in benzene quando prevale l'azio­ne dei cementi organici, mentre cresce di più dopo pretrattamento con alcool se prevale l'azione dei cementi inorganici. Anche questo interessante eppur ancor poco usato criterio analitico, ha, tuttavia, un valore prevalentemente comparativo.

Prima di terminare, ritengo opportuno ricordare che i proce­dimenti di misura della stabilità di struttura che stiamo discutendo non sono mai entrati negli altri Paesi tra i criteri analitici stan­dardizzati di esame dei terreni, ed anzi tendono oggi nettamente a passare di moda; si tende invece oggi a portare più diretta­mente l'attenzione sull'esame delle caratteristiche fisiche che dalla struttura dipendono (per es. proprietà idrologiche).

PRESIDENTE - Grazie anche al Prof. Cavazza per le sue inte­ressanti enunciazioni e considerazioni critiche. La parola, ora, al Dott. Panicucci.

Dott. M. PAN1cucc1 - Desidero intervenire solo per chiedere una precisazione poiché mi sono meravigliato molto, in una Ta­vola Rotonda sulla struttura, di avere sentito parlare di acqua

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solo ora nel pomer1gg10, quando siamo venuti a discutere dei metodi per la misura della stabilità di struttura del terreno, se si esclude un breve accenno che all'acqua ha fatto stamani il Prof. Cavazza. Ed allora devo confessare che mi è venuto un forte dubbio, e forse non solo a me, sul perchè non si sia parlato della azione dell'acqua sulla struttura; infatti i casi sono due: o non ne è stato parlato poiché si pensa che sia tutto chiaro circa l'in­fluenza dell'acqua sulla struttura del terreno - ed allora è solo mia colpa non esserne abbastanza aggiornato - .oppure, se le cose non stanno così, ritengo che sarebbe stato opportuno non soffermarsi esclusivamente sul problema della sostanza organica, anche perchè come ora stiamo vedendo, proprio per la stessa mi­sura della stabilità della struttura l'acqua è l'elemento indispensa­bile in tutti i metodi in esame. Quindi io dico che se non è appu-

. purato che tutto è ormai chiaro, ed io credo proprio che è molto probabile che non lo sia, sarebbe opportuno affrontare questo pro­blema, ormai in un'altra occasione, perchè l'acqua è l'elemento che oltre a condizionare la struttura del terreno, determina e condi~ ziona addirittura la presenza stessa del terreno. Grazie.

PRESIDENTE - Il Prof. Cecconi ha chiesto di rispondere al Dott. Panicucci.

PROF. CECCONI - Voglio rispondere subito alla questione sol­levata dal Dott. Panicucci. La funzione dell'acqua nel contesto della struttura del suolo è rimasta in sott'ordine perchè almeno per quanto riguarda la sua azione disgregante sul grumo di terra risulta oggi abbastanza chiaro come attraverso l'effetto battente, . quello dirompente durante l'essiccazione e l'imbibizione, ecc. la acqua provochi generalmente la rottura dei grumi con formazione di particelle più minute e facilmente asportabili. D'altra parte non fanno parte del tema principalmente di questa tavola rotonda ·tutti gli aspetti idrici che non sono propri della stabilità di struttura del suolo anche se ne sono strettamente collegati. Sono problemi di vasto interesse ma di così largo respiro che sarebbe necessaria un'altra tavola rotonda dedicata unicamente a questo argomento.

Rispondendo al Prof. Cavazza siamo d'accordo che i metodi oggi usati sono comparativi ma hanno la possibilità di dirci se un determinato suolo ha una stabilità di struttura, almeno nelle sue grandi linee, buona o media o cattiva.

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Sono inoltre perfettamente d'accordo con il Prof. Cavazza sulla necessità di distinguere nettamente i metodi da applicare nei lavori di routine da quelli da usare nei lavori di studio. Il Prof. Cavazza ha poi detto che nel metodo da lui adoperato fa le os­servazioni dopo mezz'ora e dopo un'ora. Per quanto riguarda il materiale non disgregabile cioè quello che possiamo ·chiamare grosso modo sabbia grossa tanto per intenderci... (interruzione non registrata dal Prof Cavazza).

E' cioè lo stesso sistema messo a punto dal Prof. Malquori e da me per cui noi facciamo le misure ·dopo solo 5 minuti perchè sottoponendo il suolo ad una sollecitazione più intensa abbiamo riscontrato una certa costanza di valori dopo questo tempo. L'al­tro problema è quello relativo alle condizioni del terreno da analiz­zare. E' più giusto portare all'analisi il terreno così come è stato prelevato dalla sua sede naturale con il pericolo di provocare frantumazioni durante il trasporto e le varie manipolazioni prima dell'analisi oppure fare un setacciamento senza macinazione mec­canica ma con disgregazione manuale in modo da lavorare su par­ticelle di diametro compreso fra due determinati valori qualunque essi siano per essere sicuri di portare nell'imbibitore solo particelle integre?

Noi adoperiamo quest'ultimo sistema ma ripeto che non giuro affatto sulle . dimensioni da noi scelte e cioè diametro compreso fra 1 e 2 mm.; probabilmente vanno bene lo stesso o forse ancora meglio altre dimensioni.

PRoF. CAVAZZA - Noi separiamo gli agglomerati della classe che desideriamo, senza frantumare prima quelli più grossi, perchè l'esperienza e le informazioni ottenibili dalla letteratura lasciano credere che la stabilità degli agglomerati che si isolano spontanea­mente àll'atto del prelevamento del campione, sia diversa da quella degli agglomerati di egual diametro ottenuti artificialmente.

PROF. CECCONI - Si, ma ho notato nella letteratura su questo argomento come le particelle di dimensioni diverse possano reagire diversamente di fronte a determinate situazioni come gelo, pro­sciugamento, ecc. Talvolta addirittura lo stesso trattamento va ad aumentare la stabilità di struttura delle particelle di un determi­nato diametro, mentre va a peggiorare quella di particelle di diame­tro diverso.

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PROF. ARu - Nella discussione mi pare che esista un errore di fondo e cioé che non si metta in relazione il risultato dell'analisi con l'oggetto- analizzato. La struttura e la sua stabilità non solo è diversa da suolo a suolo, ma anche nei vari orizzonti di un profilo Ad esempio un vertisuolo presenta normalmente una struttura granulare fine in superficie e prismatica grossolana in profondità, per cui l'analisi è applicabile alla prima e difficilmente alla se­conda.

Se questo tipo di suolo viene lavorato in profondità avviene che la distribuzione dei vari tipi di aggregati ritorna nelle condi­zioni iniziali. Per altri tipi di suolo, come ad esempio molti suoli lisciviati sui terrazzi quaternari antichi, avviene che si ha una struttura minuta in superficie e prismatica in profondità. Prepa­rare il terreno per la messa a coltura significa rompere questi ag­gregati grossolani in altri più minuti che si conservano, al con­trario dei vertisuoli, per molto tempo.

Ecco perchè occorre osservare il profilo nei suoi orizzonti e dedurre le giuste considerazioni.

PROF. CECCONI - Non facciamo confusione fra struttura e stabilità della struttura.

PROF. ARu - Prof. Cecconi, gli aggregati prismatici di molti suoli sono talmente stabili che è impossibile frantumarli in ele­menti più piccoli con l'aiuto delle sole mani, come avviene per molti suoli lisciviati a pseudogley nel nostro ambiente mediterra­neo, anche se contengono un certo grado di umidità.

PROF. ROMAGNOLI - L'osservazione fatta dal Prof. Cavazza che noi talora discutiamo su questioni superate mi sembra molto pertinente e credo sia imputabile alla mancanza di comunicabilità fra i cultori delle varie discipline; -ciò provoca appunto una ca­renza di informazioni sugli sviluppi delle branche collaterali. Questo è avvenuto anche per la classificazione del suolo, ed a questo proposito mi sembra significativo citare ciò che T. Tara­melli, Prof. di Geologia all'Università di Pavia, diceva nel 1882 in una nota dal titolo · « dello studio geognostico · del suolo agra­rio in rapporto al proposto censimento dei terreni produttivi del Regno d'Italia » pubblicato nel 1883 sul secondo volume del Bollettino della Società Geologica Italiana. Egli sosteneva· che pa-

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rallelamente al progettato allestimento della carta geologica del territorio italiano venisse dato il via alla realizzazione della carta del terreno agrario, che doveva essere rilevata con criteri diversi dal­la precedente. A proposito dei coefficienti naturali della produtti­vità agraria ... « fra questi la natura del suolo al giorno d'oggi non si può definire semplicemente coi vari epiteti di terreno leggero, pesante, caldo, freddo, volpino, di groana, di zerbino ... ».

Le differenze di struttura e ·di tessitura non possono essere il ~olo criterio di distinzione fra un suolo e l'altro; tali differenze possono essere introdotte solo ad un basso livello di classificazio­ne, al livello cioè della famiglia o della serie, per separare dei suoli molto simili geneticamente.

Io mi auguro che in seguito ai rinnovati contatti che avven­gono in queste riunioni promosse dalla nostra Società si arrivi ad una maggiore uniformità di espressione, usando i termini da tempo entrati nell'uso comune in ·campo internazionale.

PRESIDENTE - Devo ringraziare tutti i colleghi che hanno riat­tivato il dibattito sul problema metodologico, portando contributi di esperienze dirette ed osservazioni di grande interesse.

PROF. G. FIEROTTI - Gran parte delle cose che volevo dire le ha già dette il Prof. Cavazza per cui mi astengo dal ripe­terle, solo vorrei insistere sul problema della scelta del diame­tro del grumo su cui deve essere determinato l'indice di stabilità strutturale; deve essere quello di 2 mm. quello di 3 mm. o ancora di più? Questa scelta a me sembra che sia un'operazione molto importante al fine del giudizio da dare ai terreni. Per avvalorare questo assunto permettetemi di portare un esempio. Le terre nere mediterranee sono caratterizzate fra l'altro dal cosiddetto self­mulching il quale si forma in superficie ed è composto da grumi terrosi il cui diametro è quasi sempre superiore ai 2 mm. conferen­do al suolo quella particolare struttura così utile ai fini agrono­mici. Se per analisi dell'indice di stabilità strutturale si utilizza solo la porzione di suolo passata al vaglio di 2 mm. ovviamente si viene a scartare quasi del tutto la porzione costituita dai grumi del self-mulching alterando in tal modo quella che è la realtà di questi suoli.

Il problema si pone ovviamente anche per altri tipi pedologici. Da quì l'importanza che riveste la scelta del diametro del

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grumo, che sarebbe auspicabile poter stabilire definitivamente in questa sede od in sede più opportuna.

Se il Presidente mi permette ora vorrei per cinque minuti uscire dal campo della metodologia e dare alcuni chiarimenti che mi so­no stati richiesti su quella sperimentazione di cui il Prof. Balla­tore stamattima aveva accennato circa l'uso del Krilium e del Flo­tal. Noi abbiamo operato su di un regosuolo molto degradato quindi astrutturale, abbiamo trattato il terreno con Krilium e con Flotal. La semina è stata effettuata con trifoglio alessandrino. Abbiamo irrigato ogni tre giorni, la sperimentazione è stata con­dotta sotto serra. Risultati: con Krilium nei vasi trattati la germi­nazione è avvenuta esattamente 5 giorni dopo la semina. Nei vasi non trattati la germinazione è avvenuta dopo 10-12 giorni; inol­tre nei vasi trattati è aumentato il grado di permeabilità e sono stati stretti i tempi di irrigazione da ogni tre giorni a 2 giorni e talvolta anche giornalieri. Per quanto riguarda l'indice di stabilità strutturale da un terreno poco strutturale o astrutturale si è pas­sati ad un terreno molto strutturale. Rispetto al controllo poi la produzione si è triplicGtta. Grosso modo col Flotal sono stati otte­nuti gli stessi risultati. Ma ciò che sembra abbastanza importante sono i risultati ottenuti sulle caratteristiche microbiologiche di questi terreni. Nei terreni trattati col Flotal non è stata notata alcuna variazione della carica microbica; invece nei terreni trat­tati con Krilium si è avuta una netta diminuzione rispetto al con­trollo di aspergilli e penieilli e un fortissimo aumento (il controllo quasi non ne conteneva) di micro-organismi anaerobi. Invece nes­suna modificazione è stata notata sugli azoto-batteri. Grazie.

PRESIDENTE - Il Prof. Fierotti ha ripreso un argomento trat­tato stamani perchè qualcuno gli ha chiesto dei chiarimenti.

Consentitemi di prolungare questa breve deroga all'andamen­to dei lavori per consentire di prendere la parola a chi aveva chie­sto tali chiarimenti.

PROF. BoNCIARELLI - Ringrazio per i chiarimenti forniti che mi hanno dato l'occasione di riconfermarmi in una mia idea~ Quan­do si parla di struttura e di stabilità di struttura, spesso si corre il rischio di perdere di vista quello che interessa l'agronomo che

. poi è il « benessere » della pianta. Il fatto di sentire che il trifoglio alessandrino ha dato una produzione tripla di quella del controllo

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semplicemente attraverso una modifica della natura fisica del ter­reno mi induce a ribadire che, paradossalmente, quando si parla di struttura del terreno, quello che conta non è tanto il terreno, ma sono i « buchi » del terreno, ossia la porosità. Pertanto io penso che non sia da sopravalutare troppo la stabilità di struttura, la quale potrà avere importanza nei pochi millimetri superficiali, nel senso che un terreno con struttura stabile fa meno crosta di un terreno con struttura instabile (d'altra parte grumi stabilissimi, però di dimensìoni piccolissime danno un terreno inospitale per le piante a causa di una porosità impropria). Quindi propongo: non sarebbe il caso di tentare un approccio divérso . al problema, esaminando la struttura del terreno anche e soprattutto attraverso la facilità di diffusione dei gas attraverso esso?

Io credo che alla base di quello spettacoloso aumento della produzione del trifoglio alessandrino ci sia una migliore ossigena­zione della rizosfera. Io sono convinto che questo sia l'aspetto principale della struttura, il fattore idrico diventando una que­stione secondaria. Ecco quindi che, forse, i metodi migliori per indicare la maggiore o minore ospitalità di un terreno nei riguardi delle piante potrebbero essere quelli che attengono alla misura della diffusione dei gas ed, eventualmente, dei liquidi.

PRESIDENTE - Ringrazio il Prof. Bonciarelli per questo suo intervento, con il quale ha voluto ridimensionare il problema del­la valutazione della struttura, tenendo presente soprattutto le esi­genze di ordine agronomico. Io sono d'accordo con lui sul giusto equilibrio tra fase gassosa e fase liquida nel suolo e di tentare an­che questa strada per la valutazione della struttura. Non vi è dub­bio che la permeabilità dipende in gran parte dalla struttura, in particolare dalla macrostruttura e dalla struttura generale.

Però sembra che la stabilità della struttura sia più facilmente misurabile dello stato della struttura. D'altra parte è noto che il metodo di Henin e Collaboratori riposa sulla determinazione di un indice di instabilità strutturale il cui valore viene combinato con quello fornito da un test di permeabilità. Per valutare, poi, la strut­tura attraverso la circolazione di flussi gassosi o liquidi, bisognereb­be prelevare campioni di suolo indisturbati in un certo momento, che bisognerebbe definire in base agli scopi che si vogliono raggiun­gere o che è possibile raggiungere. Comunque, questo approccio meriterebbe di essere sottoposto ad un più attento esame.

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La parola al Prof. Chisci.

PROF. Cmsc1 - In seguito a quanto è stato detto sulla meto­dologia per determinare l'entità e la stabilità della struttura del suolo, risulta chiaramente che si tratta di metodi comparativi, ognuno dei quali può di volta in volta fornire un migliore adatta­mento in funzione del tipo di ricerca e del tipo di terreno sul quale si opera. Poichè il nostro Istituto si sta attrezzando in questo momento; sarebbe per noi utile conoscere il parere degli eminenti Btudiosi qui conv,enuti circa il tipo o i tipi di attrezzature per la determinazione della struttura di cui dotare il laboratorio, tenendo conto della diversità dei problemi e delle condizioni di suolo sui quali, come Istituto specializzato, dovremo operare.

In particolare, un argomento che ci interessa è quello di un metodo rapido ed efficiente di laboratorio per misurare la resi­stenza delle struttur~ all'azione delle gocce di pioggia, al fine di interpretare il ruolo della medesima sùlle caratteristiche dei feno­meni erosivi. Particolarmente importante è che tale metodo sia strettamente correlato con le condizioni di pieno campo.

È evidente infatti che ai fini della valutazione dei coefficienti di erodibilità di terreni dotati di diversa struttura superficiale, la misura delle caratteristiche di resistenza della struttura deve essere quanto più vicina possibile a quanto si realizza in natura, dove abbiamo l'azione contemporanea e con distribuzione casuale di gocce di pioggia di dimensioni ed energia cinetica variabili.

PRESIDENTE - Il metodo delle gocce l'ha illustrato Cavazza ed ha detto che è molto laborioso.

· PROF. CA V AZZA - Ma i risultati che si ottengono col metodo Vilenski (gocce cadenti sui grumi) sono ben correlati con i risul­tati ottenibili col metodo di Tiulin.

PROF. Cmsc1 - Allora il metodo Tiulin potrebbe essere il pm indicato per la misura della stabilità della struttura in rela­zione alla erodibilità dei terreni.

PRESIDENTE - Questo è un aspetto complicato. Come facciamo a ricostruire l'azione battente della pioggia? Una goccia di mm 1 di diametro cade ·con la velocità di 4 m/s, una goccia di mm 5

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cade con una velocità di 9 m/s. Quale goccia scegliere? Quale velocità di caduta? Comunque, su questi metodi particolari ha già riferito Cavazza.

PROF. Cmsc1 - Il problema delle relazioni tra determina­zioni di laboràtorio e mani:f estazione del fenomeno in condizioni di pieno campo comporta oltre alla corrispondenza dei metodi di laboratorio all'effettivo comportamento del fattore studiato nelle condizioni naturali (simulazione effettiva) quello del campio­namento della variabilità nelle condizioni di campo.

Tuttavia, sebbene, le difficoltà di ottenere dati di laboratorio corrispondenti alla realtà di campo siano enormi, è necessario per quanto possibile ricercare metodi obiettivi di analisi, abbinati ad un corretto campionamento, che consentano di interpretare in modo quantitativo il fenomeno studiato nelle condizioni naturali.

PRESIDENTE - Credo che siamo d'accordo, nel non potere dare una risposta esauriente a questioni così complesse. Possiamo però portare qualche precisazione ed è dò che,. mi pare, desidera fare il Prof. Cavazza.

Prof. CA V AZZA - Una precisazione. Tutte queste preoccupa­zioni dipendono dal desiderio di ottenere un indice di un certo interesse pratico. Ricordiamo, però, che i metodi di misura della stabilità di struttura, dei quali ci siamo occupati, danno una stima della resistenza della struttura ad un'azione idrodinamica, quale può essere p. es. quella delle gocce di pioggia che battono sugli agglomerati dello strato più superficiale del terrèno. In pratica, però, interessa moltissimo avere una stima della stabilità di strut­tura anche per le condizioni esistenti negli strati sottosuperfi­ciali, per i quali non è affatto intuitiva la validità dei principi su cui si fondano i metodi prima esaminati. Effettivamente, nel conti­nuare a prenderli in considerazione, si ammette, più· o meno taci­tamente, l'esistenza di una sufficiente correlazione tra la resistenza all'azione idrodinamica ·e quella offerta all'azione puramente chi­mico-fisica dell'acqua come tale. È forse anche per questo che gli autori americani ritengono più opportuno adottare come indice di struttura p. es. il rapporto fra la permeabilità all'aria e la per­meabilità all'acqua, che misura, su uno ·spessore maggiore e quindi

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non solo alla superficie del terreno, il rapporto fra due proprietà di grande importanza per l'accrescimento delle piante.

PRESIDENTE - Mi pare che la precisazione del Prof. Cavazza consenta di poter chiudere questo argomento. Ha chiesto di par­lare il Prof. Mancini.

PROF. MANCINI - Volevo fare soltanto alcune domante all'amico Cavazza. A me preme di sapere che cosa noi andiamo campionando, questo è un punto fondamentale. Da noi volete la descrizione, una descrizione che sia più accurata possibile, anche ripetuta nel tempo, perchè è un fatto ormai acquisito che i terreni nelle varie stagioni si presentano in modo molto diverso. Alcuni dei tuoi accenni descrittivi di stamani dell'ambiente metapontino sono particolarmente felici in questo senso~ Ora nei suoli in cui l'uomo non interviene, suoli forestali che si vanno rigenerando dopo l'abbandono dei boschi e che stanno migliorando a vista di occhio, di anno in anno più belli, zone a prato che non vengono più sfruttate da un pascolo irregolare e che stanno migliorando anch'esse gli aggregati sc;mo naturali, quello che si va creando è dovuto a fenomeni naturali, attuali. Penso che in questi casi dob­biamo campionare orizzonte per orizzonte, senza nessun 'dubbio, senza nessuna incertezza.

Nei suoli coltivati invece ci sono due aspetti: da un lato c'è la pedogenesi naturale, che prosegue tranquillamente per i fatti suoi, dall'altro ci sono gli interventi umani che, invece, pos­sono esS"ere migliorativi e peggiorativi. Malquori sottolineava il lato peggiorativo di certi interventi e a conferma ho alcune diapo­sitive a colori di Cernosem della Romania dove si vede benissimo, il limite dell'orizzonte lavorato. Al disotto c'è un salto meravi­glioso, un miglioramento di tutte le proprietà fisiche del suolo. Questo perchè probabilmente si lavora col fango in epoca imme­diatamente successiva alla fusione delle nevi. Allora però: che cos'è che voi volete da noi ben descritto, che cos'è che andiamo campionando per queste determinazioni della stabilità di strut­tura? È: l'orizzonte che noi chiàmiamo AP, cioè l'orizzonte lavo­rato o l'intero profilo ·e come dobbiamo campionarlo? In moltis­sime delle indagini chimico-agrarie, di agronomia e via discor­rendo, a noi dispiace osservarlo, fin dal principio si parte con un campionamento che non ci sembra esente da mende. ~ bene chia-

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rire questo punto, visto che siamo tutti convinti, immagino, che la stabilità di struttura debba essere determinata in laboratorio.

A tali analisi si affiancano ovviamente le osservazioni· e i dati raccolti in campagna, magari ripetuti per vari anni. Se setacciamo a due millimetri prima di procedere alla determinazione della stabilità della struttura poniamo mente sempre che abbiamo aggre­gati d'origine diversa e quindi ·con resistenza differente. Ad esem­pio da un lato vi saranno minuti aggregati coprogeni creati da lombrichi, dagli acari, dagli insetti, tali grumi passeranno spesso integri sotto al setaccio, dall'altro vi >Saranno i frammenti dovuti alle lavorazioni, piccoli e grossi, e con caratteristiche assia varie ma in genere diverse dagli aggregati naturali.

PROF. CAVAZZA - Non ho molto da· dire. Mi pare di poter affermare che noi agronomi riconosciamo da lungo tempo una grande importanza ·alle proprietà fisiche del terreno ed in parti­colare alla sua struttura, ai fini della produzione agraria, ma nella realtà dei fatti non siamo affatto in grado di enunciare, nemmeno per casi particolari (come possiamo invece farlo p. es. coi ferti­lizzanti chimici), relazioni quantitative tra, da una parte, i vari parametri con cui si potrebbe caratterizzare la struttura del terreno o, peggio, col loro variare a diverse profondità del terreno, e; dal­l'altra, la resa delle colture agrarie. È tutto un campo di ricerca ancora aperto, che è reso particolarmente difficile dalla dinami­cità della struttura nelle condizioni di campo, sì che a ben poco servono le scarse ricerche, dtate dalla letteratura, di confronti tra colture effettuate su substrati costituiti da agglomerati di yaria dimensione. In pratica, le differenziazioni e variazioni di strut­tura che si creano lungo il « profilo » del terreno per effetto delle successive operazioni colturali (p. es. lavorazione ·principale che modifica in un certo modo la distribuzione di frequenza degli agglomerati ed i rapporti tra macro e micropori, ·ma crea al tempo stesso più sotto la suola di aratura; i ripassi che analogamente operano a profondità diverse, le erpicature, le sarchiature nel corso della coltura, i passaggi delle ruote della trattrice per opera­zioni varie ecc.) e le modifiche di struttura che vi apportano le successive piogge (diverse secondo le caratteristiche delle. piog­ge e le condizioni in cui si trovano in quel momento colture e terreno) sono tutte complicazioni che non si riscontrano nelle condizioni di terreno naturale e che rendono terribilmente com-

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plessa la descrizione istante per istante della struttura del terreno e quindi lo studio esatto . della sua azione sulle piante. Se si aggiunge la constatazione che il dinamismo della materia organica del terreno, mentre influenza la struttura e con questa varie pro:­prietà fisiche del terreno, ne influenza al tempo stesso fortemente le proprietà chimiche, si comprende facilmente l'enorme difficoltà di studiare l'effièacia della sola struttura sulla produzione delle varie colture agrarie.

CONCLUSIONE DEL PRESIDENTE

Con l'intervento del Prof. Cavazza abbiamo esaurito la lista delle persone che si erano iscritte a parlare per questa seduta

pomeridiana. Prima di concludere, vorrei fare una brev,e considerazione

su quanto è stato detto negli ultimi interventi. Noi più spesso parliamo di struttura come uno stato del

suolo, mentre trascuriamò l'attitudine del suolo stesso ad assu'." mere una certa struttura od a conservarla. Secondo diversi pedo­logi, questa attitudine è una «proprietà fondamentale ed alta­mente caratteristica di ogni tipo di suolo» (Gaucher).

Nel suolo ·naturale la struttura può anche scomparire quando esso è sovrasaturo d'acqua; ma 1a struttura non viene profonda­mente alterata a breve· termine e riappare non appena va via l'eccesso di umidità. Nei suoli coltivati la struttura è la risultante delle attitudine o tendenza naturale del suolo stesso e dell'in­fluenza delle tecniche di coltivazione; la pioggia la modifica in generale profondamente e l'agricoltore, mediante le operazioni colturali razionali, si sforza di ripristinare una ·struttura favorevole alle piante. Ma anche in questo secondo caso è sempre predomi­nante l'attitudine del suolo ad assumere un tipo di struttura piut­tosto che un altro ed in condizioni normali di coltivazione le sue variazioni in un senso o nell'altro sono piuttosto lente.

Questo pomeriggio risultano assenti alcuni Colleghi ed è mio dovere giustificarli. Essi mi hanno chiesto di allontanarsi per partecipare alla commemorazione in ·memoria del Prof. Mario

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Tafani, che si sta svolgendo presso l'Accademia dei Georgofili. Il Prof. Tafani, immaturamente scomparso, fu valente docente dell'Università di Firenze. Vi invito a volere osservare un minuto di raccoglimento in memoria del caro Collega.

Adempiuto questo dovere, possiamo concludere la nostra Tavola Rotonda sulla Struttura del Suolo.

È stata una giornata molto intensa e molto proficua, come stanno a dimostrarlo i settanta interventi ed i profondi dibattiti sugli argomenti messi a fuoco dalla relazione del Prof. Malquori. Non è possibile trane da questa Tavola Rotonda conclusioni defi­nitive. La complessità della materia, la carenza delle ricerche specifiche, la difficoltà di collegare la teoria e le impostazioni concettuali con tutto ciò che si verifica in pieno campo, hanno suscitato in noi dubbi o perplessità. In verità su alcuni aspett~ fondamentali della struttura è stata raccolta una convergenza di vedute, ma tanti altri punti, anche se profondamente analizzati, sono rimasti avvolti da vaste zone di ombra. Mi riferisco, in parti.;. colare, al ruolo dei diversi materiali organici, alle metodologie analitiche, all'interpretazione delle misure o valutazioni della stru,;. tura, alle attività biologiche connesse e determinanti ecc,.. È stato, poi, appena sfiorato il problema del miglioramento della struttura del suolo e dei limiti di queste possibilità di migliora­mento, che tanto interessano gli agronomi.

Comunque la Tavola Rotonda ha avuto un grande successo per la massiccia ed assidua partecipazione,' per la vivacità e pro­fondità dei dibattiti, perchè ci ha consentito di mettere a con­fronto le nostre idee e conoscenze e di evidenziare anche i risul­tati delle ricerche attuate o in corso presso i nostri laboratori. La conclusione che se ne può trarre è questa: tutti sentiamo il bisogno di approfondire gli studi· sulla struttura e . l'intenso scam­bio di idee a cui ci siamo piacevolmente sottoposti ci consentirà di meditare, di rivedere certe nostre convinzioni, di revisionare eventualmente le ricerche in corso presso i nostri Istituti, di avviare nuove ricerche, di stringere più intensi rapporti di collabora­zione, per prepararci, in definitiva, ad un prossimo Convegno Nazionale sulla Struttura del Suolo.

Ritengo che il Consiglio di Presidenza della nostra Società sia ben disposto ad assumersi l'impegno di tenere prossimamente il suddetto Convegno, che, a mio avviso, deve articolarsi su diverse relazioni di base, da svolgere in sedute successive secondo

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uno schema quanto più logico possibile, la cui impostazione sarà affidata ad un apposito Comitato Organizzatore.

La Società assume pure l'impegno, sin d'ora, di procedere alla stampa degli Attti della Tavola Rotonda, che saranno inviati a tutti i Soci.

A questo punto non mi rimane che ringraziare sentitamente a nome di tutti, il Prof. Malquori per avere voluto assumersi il faticoso, ma ambito incarico, di svolgere la relazione intròdut­tiva; l'intensità degli interventi e dei dibattiti che ne hanno seguito, costituiscono il migliore riconoscimento e merito per il Collega Malquori.

. Un vivo ringraziamento desidero pure rivolgere a tutti Colleghi che con i loro meditati interventi hanno contribuito a rendere oltremodo interessante questo· incontro culturale.

Non posso fare a meno, poi, di esprimere tutto il mio apprez­zamento ai valorosi Assistenti dell'Istituto di Chimica Agraria e Forestale dell'Università di Firenze, diretto dal Prof. Malquori, che si sono prodigati nell'organizzazione della Tavola Rotonda, e ancor più si prodigheranno per la ·stesura e pubblicazione degli Atti.

Infine, un caloroso ringraziamento è doveroso rivolgere al-1' amico Prof. Massacei, Commissario Ministeriale dell'Istituto che ci ospita, ed a tutti i suoi valenti Collaboratori, per avere voluto accogliere, per la seconda volta, una Tavola Rotonda della nostra Società, con spirito veramente illuminato e signorilità degna delle migliori tradizioni fiorentine. Riconoscenti per questa ospitalità, che è poi il frutto di un'encomiabile spirito di collabo­razione con la nostra Società, auspichiamo all'Istituto Sperimen­tale per lo Studio e la Difesa del Suolo un avvenire sempre migliore ed un maggiore riconoscimento dei suoi alti meriti nel campo della Scienza del Suolo.

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Finito di stampare dalla Industria Grafica Nazionale

S. Cosentino Palermo - Gennaio 1971