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« Italia contemporanea », 1981, fase. 144 Studi e ricerche Sulla classe operaia davanti al fascismo: l’Unione muratori romani. 1923-1945 La storia della classe operaia italiana sotto il fascismo, è ancora in larghissima parte da scrivere *. Se si astrae infatti dagli importanti studi dedicati al periodo della crisi finale del regime ', che sembrano rientrare tuttavia più nell’ambito tematico degli albori della Resistenza che non del ventennio fascista, da alcune opere di notevole rilevanza e profondità circoscritte tuttavia in un arco temporale e in un contesto socio-economico limitato 2, ed infine da alcune stimolanti ricerche suscet- tibili di ulteriori verifiche ed approfondimenti3, non si può non constatare sull’ar- gomento un sensibile ritardo nell’indagine storiografica. Nel corso dell’ultimo de- cennio si è registrata per la verità dopo gli studi pionieristici di R. Morandi4 e di P. Grifone5 una più viva attenzione all’andamento dell’economia italiana nel periodo fascista, alle trasformazioni sociali, ai processi di ristrutturazione e di am- modernamento dell’apparato industriale, al ruolo « propulsivo » esercitato dall’in- tervento dello stato soprattutto a partire dalla crisi del ’29 6. Nello stesso tempo, si è assistito all’emergere di categorie analitiche e di metodologie più aggiornate, ed al conseguente declinare della « classica » interpretazione del fascismo come « stagnazione economica » che tanta parte aveva avuto nell’ideologia e nella cultu- ra dell’emigrazione tanto di parte democratica e socialista quanto di orientamento comunista1. Ma è significativo che anche in questa seconda fase gli studi sulla classe operaia italiana nel ventennio fascista, sulla sua composizione sociale in rapporto alle trasformazioni del processo produttivo, sulle sue lotte, sulle sue * Mentre questo articolo era in corso di stampa, è apparso il volume La classe operaia du- rante il fascismo, Annali Feltrinelli 1979-80, Milano, 1981 (a cura di G iulio sapelli), che costi- tuisce un punto di riferimento obbligato per ogni ulteriore ricerca. 1 Tra i più importanti cfr. Giorgio vaccarino, Problemi della Resistenza italiana, Modena, Sten Mucchi, 1966; AA.VV., Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-1944, Milano, Fel- trinelli, 1974. 2 Cfr. Giulio sapelli, Fascismo grande industria e sindacato. Il caso di Torino 1929-1935, Milano, Feltrinelli, 1975. 3 Cfr. Giulio sapelli, Organizzazione, lavoro e innovazione industriale nell’Italia tra le due guerre, Torino, Rosenberg & Sellier, 1978. 4 Cfr. R odolfo morandi, Storia della grande industria, Torino, Einaudi, 1959. 5 Cfr. Pietro grifone, Il capitale finanziario in Italia, Torino, Einaudi, 1945. 6 Rimandiamo per tutti a V alerio castronovo, Storia d’Italia. Dall’unità a oggi, voi. 4 (I), Torino, Einaudi, 1975, pp. 5-506, Pierluigi ciocca- gianni toniolo (a cura di), L ’economia italiana nel periodo fascista, Bologna, Il Mulino, 1976, e alla bibliografia in essi contenuta. 7 Cfr. ESTER FANO damascelli, La « restaurazione antifascista liberista ». Ristagno e sviluppo economico durante il fascismo, « Il movimento di liberazione in Italia », 1971, n. 104.

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« Italia contemporanea », 1981, fase. 144

Studi e ricerche

Sulla classe operaia davanti al fascismo: l’Unione muratori romani. 1923-1945

La storia della classe operaia italiana sotto il fascismo, è ancora in larghissima parte da scrivere *. Se si astrae infatti dagli importanti studi dedicati al periodo della crisi finale del regime ', che sembrano rientrare tuttavia più nell’ambito tematico degli albori della Resistenza che non del ventennio fascista, da alcune opere di notevole rilevanza e profondità circoscritte tuttavia in un arco temporale e in un contesto socio-economico limitato 2, ed infine da alcune stimolanti ricerche suscet­tibili di ulteriori verifiche ed approfondimenti3, non si può non constatare sull’ar­gomento un sensibile ritardo nell’indagine storiografica. Nel corso dell’ultimo de­cennio si è registrata per la verità dopo gli studi pionieristici di R. Morandi4 e di P. Grifone5 una più viva attenzione all’andamento dell’economia italiana nel periodo fascista, alle trasformazioni sociali, ai processi di ristrutturazione e di am­modernamento dell’apparato industriale, al ruolo « propulsivo » esercitato dall’in­tervento dello stato soprattutto a partire dalla crisi del ’29 6. Nello stesso tempo, si è assistito all’emergere di categorie analitiche e di metodologie più aggiornate, ed al conseguente declinare della « classica » interpretazione del fascismo come « stagnazione economica » che tanta parte aveva avuto nell’ideologia e nella cultu­ra dell’emigrazione tanto di parte democratica e socialista quanto di orientamento comunista1. Ma è significativo che anche in questa seconda fase gli studi sulla classe operaia italiana nel ventennio fascista, sulla sua composizione sociale in rapporto alle trasformazioni del processo produttivo, sulle sue lotte, sulle sue

* Mentre questo articolo era in corso di stampa, è apparso il volume La classe operaia du­rante il fascismo, Annali Feltrinelli 1979-80, Milano, 1981 (a cura di Giu lio sapelli), che costi­tuisce un punto di riferimento obbligato per ogni ulteriore ricerca.1 Tra i più importanti cfr. Giorgio vaccarino, Problemi della Resistenza italiana, Modena, Sten Mucchi, 1966; AA.VV., Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-1944, Milano, Fel­trinelli, 1974.2 Cfr. Giulio sapelli, Fascismo grande industria e sindacato. Il caso di Torino 1929-1935, Milano, Feltrinelli, 1975.3 Cfr. Giulio sapelli, Organizzazione, lavoro e innovazione industriale nell’Italia tra le due guerre, Torino, Rosenberg & Sellier, 1978.4 Cfr. Rodolfo morandi, Storia della grande industria, Torino, Einaudi, 1959.5 Cfr. Pietro grifone, Il capitale finanziario in Italia, Torino, Einaudi, 1945.6 Rimandiamo per tutti a Valerio castronovo, Storia d’Italia. Dall’unità a oggi, voi. 4 (I), Torino, Einaudi, 1975, pp. 5-506, Pierluigi ciocca- gianni toniolo (a cura di), L ’economia italiana nel periodo fascista, Bologna, Il Mulino, 1976, e alla bibliografia in essi contenuta.7 Cfr. ESTER FANO damascelli, La « restaurazione antifascista liberista ». Ristagno e sviluppo economico durante il fascismo, « Il movimento di liberazione in Italia », 1971, n. 104.

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condizioni di vita e di lavoro, sulla sua cultura e il suo sistema di valori, non ab­biano conosciuto, al di là delle ricerche sopraindicate e di alcuni tentativi di elaborare più attendibili serie statistiche sui livelli retributivi nell’industria, lo svi­luppo che sarebbe stato lecito attendersi. Senza dubbio ha pesato negativamente in tal senso un indirizzo largamente dominante nella storiografia sul movimento operaio italiano tendente a privilegiare la storia delle istituzioni, delle idee e dei gruppi dirigenti, piuttosto che la storia della « classe » distinta dalle proprie orga­nizzazioni politiche e sindacali8. In tale contesto, la dissoluzione con l’avvento al potere del fascismo di tutti i partiti ed i sindacati di classe, l’inquadramento forzato dei lavoratori nelle istituzioni « aclassiste » dello stato corporativo, e il venir meno di ogni possibilità di organizzazione autonoma del movimento operaio sul piano sindacale e politico, hanno costituito per molti anni un ostacolo insormon­tabile per la ricerca storiografica. Gli studi sul ventennio fascista, nell’affrontare il nodo teorico-politico dell’atteggiamento della classe operaia italiana di fronte al regime, hanno così oscillato tra due opposte e per vari aspetti insoddisfacenti interpretazioni: la prima, eredità diretta dell’antifascismo politico dell’emigrazione, ha insistito nell’immagine di una classe operaia preservatasi fedele alla sua « inte­grità classista » e rimasta in sostanza immune dalla propaganda e dalla manipo­lazione ideologica dello stato totalitario; la seconda, di origine assai più recente, tendente ad assorbirne i comportamenti nell’ambito di una categoria troppo gene­ralizzata e indifferenziata di « consenso ». La questione appare in realtà molto complessa. E mai come in questo campo sarebbe necessaria un’analisi differenziata capace di tener conto delle varie fasi della storia del regime, delle diversità tra i settori industriali, delle differenze socio-economiche regionali, delle stratificazioni di mestiere, delle sfasature generazionali.L’immagine tradizionale dell’opposizione della classe operaia italiana al fascismo (che assunse tuttavia per lunghi anni le forme non già di una resistenza frontale, bensì di una sorta di estraniazione dalla politica e di un ripiegamento nella difesa delle proprie immediate condizioni di lavoro e di esistenza), e la funzione da essa assolta di principale protagonista della lotta clandestina ed in seguito del riscatto politico e morale del paese nella guerra di liberazione, non ne uscirebbero con ogni probabilità sminuite 9. Ma al tempo stesso si eviterebbero ricostruzioni mono­lineari e semplificazioni sommarie che rischiano di smarrire la complessità dei processi storici e di sottovalutare il ruolo di condizionamento ideologico e di con­trollo sociale svolto dall’apparato propagandistico e dalle istituzioni assistenziali, previdenziali, ricreative predisposte dal regime, nonché dal risorgente « paterna­lismo aziendale»: tutte questioni su cui a ragione già nel corso degli anni Trenta, richiamavano l’attenzione, sia pure da punti di vista sostanzialmente diversi, sia Gramsci che Togliatti 10 e che appaiono di non secondaria importanza per com­prendere le difficoltà di radicamento dell’antifascismo nel paese e le modalità stesse del crollo del regime. Il che ovviamente non significa dimenticare né la reale natura di classe del blocco dominante consolidatosi nel ventennio, incentrato sull’egemonia del grande capitale settentrionale nei confronti dei ceti agrari, dei tradizionali centri di potere nell’apparato dello stato, dei nuovi istituti di controllo « dall’alto » dell’economia, della complessa trama di interessi corporativi, di con-

8 Cfr. Stefano m erli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano 1880- 1900, voi. I, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 10.9 II problema appare invece molto più complesso per la Germania nazista, cfr. Karl heinz roth, L'altro movimento operaio. Storia della repressione capitalistica in Germania dal 1880 ad oggi, Milano, Feltrinelli, 1976.10 Cfr. franco sbarberi, / comunisti italiani e lo stato 1929-1956, Milano, Feltrinelli, 1980.

Sulla classe operaia davanti al fascismo 13

servatorismo politico, di aspettative di promozione sociale dei ceti intermedi; né la natura particolare del consenso e Fintreccio tra partecipazione passiva e coer­cizione nel regime reazionario di massa; né infine la politica inequivocabilmente antioperaia del fascismo al potere, la restaurazione della disciplina e della gerar­chia di fabbrica, l’abolizione del diritto di sciopero e di organizzazione, la com­pressione dei livelli salariali, l’introduzione della razionalizzazione e lo sviluppo delle forme di incentivazione individuale, il venir meno delle precedenti limita­zioni e garanzie sull’orario di lavoro.Se queste considerazioni sembrano valide per un’indagine proiettata soprattutto verso gli anni del regime, un discorso a parte merita invece il periodo immedia­tamente successivo all’avvento del fascismo al potere, cui si riferisce in particolare il presente articolo. È noto che la « marcia su Roma », lungi dall’avviare quel ritorno aila «normalità» (sia pure all’insegna dell’« ordine » e della «disciplina») auspicato in prospettiva da una parte della vecchia classe dirigente liberale, segnò un processo irreversibile di involuzione autoritaria destinato a sboccare nel crollo dello stato liberale e nell’instaurazione della dittatura. L’intensa attività svolta da Mussolini per fare dei tradizionali apparati dello stato, che già erano stati decisivi per garantire il successo dell’offensiva terroristica contro il movimento operaio nel 1921-22, un supporto essenziale del «nuovo ordine», e per modificare pro­fondamente il vecchio ordinamento politico e istituzionale; la creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, il varo della legge elettorale maggioritaria, l’adozione di provvedimenti che limitavano pesantemente la libertà della stampa di opposizione, l’uso spregiudicato degli ampi poteri discrezionali in materia di prevenzione e di repressione alla base della vigente normativa di Pubblica Sicu­rezza; il tentativo di assorbire o disgregare con tutti i mezzi le altre forze politiche e di soffocare ogni forma di opposizione al fascismo nel parlamento e nel paese; la ripresa impetuosa del terrorismo squadrista nei momenti più delicati della vita politica e nelle zone non ancora completamente « conquistate », sono tutti aspetti su cui si dispone ormai di importanti contributi sul piano storiografico n. Allo stesso modo, sia pure in misura minore, sono stati approfonditi l’avvicinamento tra il fascismo e la Santa Sede avviato dal salvataggio del Banco di Roma, dai provvedimenti di carattere fiscale ed in materia di congregazioni di carità, dalla riforma gentiliana dell’insegnamento, e dagli iniziali sondaggi per la « concilia­zione » 12, nonché il legame sempre più stretto che si andò instaurando tra Mus­solini e la grande industria tramite la politica « liberistica » ed i provvedimenti a favore dei « ceti produttivi » adottati dal ministro De Stefani, e l’abbandono dei progetti di « corporativismo integrale ». Tale legame sarebbe emerso in tutta la sua profondità con l’appoggio massiccio, politico e finanziario, della Confindu- stria al fascismo in occasione delle elezioni del 1924, ed avrebbe resistito allo stesso impatto della crisi Matteotti, malgrado la difficile situazione e l’isolamento del Pnf nel paese, il risorgente « estremismo » delle corporazioni, i crescenti pro­blemi in materia di politica economica e finanziaria 13.Più in ombra è rimasto invece un altro aspetto fondamentale della stabilizzazione

U Cfr. Alberto acquarone, L ’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965; RENZO de felice , Mussolini il fascista, voi. I, Torino, Einaudi, 1966; Enzo Santarelli, Storia del fascismo, voi. I, Roma, Editori Riuniti, 1973; Adrian lyttleton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Roma-Bari, Laterza, 1974.12 Oltre a Renzo de felice, Mussolini il fascista, cit., pp. 485 sgg., cfr. Gabriele de rosa, Il partito popolare italiano, Bari, Laterza, 1972.13 Cfr. Valerio castronovo, Storia d ’Italia, cit., pp. 258-59.

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del fascismo al potere, e cioè il ruolo da esso assunto di principale garante della « pace sociale » e della « ripresa produttiva » del paese. È noto che gli anni com­presi tra il 1922 e il 1925 segnarono'in Italia una notevolissima espansione della produzione e degli investimenti industriali, lo sviluppo dei settori più moderni della meccanica, della chimica, delle fibre artificiali, dell’elettricità, il miglioramento del­la bilancia commerciale e della situazione finanziaria dello stato 14. Ma ancora tutta da svolgere è Tanalisi della situazione determinatasi nei luoghi di produzione, dei concreti rapporti di classe in fabbrica, delle condizioni salariali e normative, della stessa politica del governo Mussolini e degli organi preposti alla tutela del­l’ordine pubblico nei confronti dei conflitti tra capitale e lavoro. Eppure, proprio la dissoluzione delle organizzazioni di classe, la repressione degli scioperi, la defi­nitiva restaurazione nelle fabbriche dell’« ordine » e della « disciplina del lavoro », costituirono un fondamentale banco di prova della credibilità del fascismo nei confronti del mondo industriale e finanziario, e fornirono una spinta decisiva nel 1924-25 all’instaurazione dello stato totalitario.Da questo punto di vista, il nuovo assetto politico uscito dalla « marcia su Roma », si caratterizza sin dall’inizio, al di là di ogni mascheramento o mediazione, nei termini della più dura reazione di classe. Con l’ottobre 1922, innumerevoli furono infatti le Camere del lavoro e le sedi sindacali scampate alle precedenti distruzioni che vennero occupate dai fascisti o dalla forza pubblica e che non vennero più restituite. E quei pochi organismi che riuscivano a mantenere un minimo di atti­vità si trovavano assai spesso nell’impossibilità di svolgerla. I militanti sindacali erano sottoposti alla più stretta vigilanza da parte dei fascisti e degli organi di polizia, e non di rado avveniva che riunioni o assemblee di categoria venissero proibite o sciolte d’autorità dalla forza pubblica. Allo stesso modo, anche il ricorso allo sciopero era considerato pressoché illegale, e quando non bastavano le rappresaglie padronali e i licenziamenti, interveniva direttamente la repressione delle autorità dello stato, che provvedevano ad arrestare e a denunciare per atten­tato alla « libertà del lavoro » tutti gli elementi ritenuti « sobillatori ». Veniva così definitivamente meno quella funzione mediatrice dello stato nei rapporti tra capitale e lavoro, che era stata alla base del liberalismo giolittiano. A meno che a prendere l’iniziativa non fossero gli stessi sindacati fascisti, i quali tuttavia nei rari casi in cui decidevano di ricorrere a reali iniziative di lotta, non mancavano di essere duramente richiamati all’ordine dal governo, e di essere ricondotti in una posizione di totale subalternità agli indirizzi « produttivistici » del mondo indu­striale e finanziario 15.La politica governativa, d’altra parte, rappresentava l’esatto contraltare di precisi orientamenti del padronato, tendenti ad accelerare la disgregazione delle organiz­zazioni di classe, a recuperare la più assoluta disponibilità nell’impiego della forza lavoro, a cancellare le conquiste salariali normative e di potere raggiunte dal movimento sindacale nell’immediato dopoguerra:

Il lavoro straordinario — scriveva « Il sindacato rosso » — scarsamente remunerato viene ad annullare la conquista delle otto ore; il cottimo è ricostituito, i reclami e le contro­versie, prima minutamente regolate, vengono di fatto assoggettate all’arbitrio padronale; gli uffici di collocamento o non funzionano, o sono l’esponente degli interessi padronali; il riposo annuale (ferie) conquistato nel 1919-20 è soppresso per molte industrie; i tribunali del lavoro (probiviri) di già scarsa efficacia, funzionano solo per poche categorie ancora

14 Ibid., pp. 248 sgg.15 Su questo punto cfr. Ferdinando cordova, Le origini dei sindacati fascisti 1919-1926, Roma- Bari, Laterza, 1974.

Sulla classe operaia davanti al fascismo 15

sindacalmente agguerrite... La diminuzione dei salari... si può fissare in media nella misura del 30 per cento sui salari in vigore nel 1920 e 1921 16.L’offensiva industriale si mosse su molteplici piani, In primo luogo, a mano a mano che scadevano i vecchi concordati, le associazioni imprenditoriali si rifiutavano di rinnovarli e proponevano nuovi « patti » assai più gravosi, cercando d’imporli alle organizzazioni di classe laddove esse riuscivano a mantenere saldi legami coi lavo­ratori, o più spesso di « concordarli » coi sindacati fascisti o di applicarli unila­teralmente fabbrica per fabbrica. Tra i più significativi di questi nuovi concordati, ricordiamo per il settore tessile quello deH’industria del cappello nel Biellese, im­posto dagli industriali con l’obiettivo di « ritornare ad un regime di lavoro normale e pacifico... che non consente il mantenimento di quelle misure contrattuali dan­nose alla disciplina negli stabilimenti », ed incentrato sulla piena libertà nelle assunzioni della manodopera, sulla diminuzione dell’indennità per il lavoro straor­dinario e sul « recupero » di ore supplementari pagate a « regime normale », sul­l’abolizione di « tutto l’art. 7 del concordato 1920 riflettente l’ingerenza delle Commissioni interne sui provvedimenti disciplinari e della procedura ingombra e e dannosa per le Commissioni stesse e per i delegati di reparto », sulla riduzione delle paghe e l’inasprimento dei regolamenti disciplinari 17; il nuovo contratto dei nastrai di Milano Monza e Lago Maggiore, imposto alla Fiot e al Sindacato ita­liano tessile, che prevedeva « la piena libertà a singoli accordi alle singole ditte » per il ramo moda, riduzioni dal 7 al 10 per cento delle paghe globali, il principio delle 2400 ore annue di lavoro e del « recupero » delle festività con pagamento ordinario, il peggioramento della procedura per le ferie pagate 18; il nuovo concor­dato per i cotonieri liguri, imposto azienda per azienda, che stabiliva riduzioni salariali, decurtazioni nell’indennità di straordinario, il « recupero » con paga ordi­naria delle ore perdute per « cause indipendenti dalla volontà dell’industriale », l’impossibilità di impugnare i licenziamenti, il divieto senza autorizzazione delle direzioni di collette e sottoscrizioni negli stabilimenti 19; il contratto dei tintori di Milano, che oltre a un peggioramento delle condizioni generali (in particolare per gli apprendisti) prevedeva la più rigida disciplina di fabbrica e la facoltà padronale di non motivare i licenziamenti20; il nuovo concordato dei magliai e passamentieri di Milano, che prevedeva l’abolizione delle precedenti limitazioni nell’assunzione degli apprendisti, la facoltà delle aziende di non motivare i licenziamenti, la dimi­nuzione dell’indennità di disoccupazione involontaria, la riduzione delle ferie, il principio delle 2400 ore annuali, il dimezzamento dell’indennità di straordinario e l’obbligo di prestarne fino a due ore al giorno, l’estensione del lavoro notturno, l’abrogazione degli aumenti salariali progressivi per anzianità, e la facoltà dell’in­dustriale di concederli « secondo che l’operaio... dimostri... di meritarlo » 21. Nel settore edilizio, la tendenza pressoché unanime dei costruttori, fu di escludere da ogni ulteriore trattativa le organizzazioni di classe, e di stipulare dovunque possi­bile nuovi concordati coi sindacati fascisti. Così, i nuovi contratti del 1923-24 prevedevano la riduzione dell’indennità per il lavoro straordinario e festivo, la reintroduzione generalizzata del cottimo, il prolungamento dell’orario di lavoro nei mesi estivi e il principio del « recupero » delle ore perdute per cause metereolo-

16 C r o n is to r ia s in d a c a le d e l l 'a v v e n to d e l fa s c is m o a l p o te r e , « Il sindacato rosso », 23 giu­gno 1923.17 L 'e s i to d i u n ’im p o r ta n te v e r te n z a d e l l ’in d u s tr ia d e l c a p p e llo n e l B ie lle s e , « L’organizzazione industriale », 15 gennaio 1923.18 V e r te n z e e c o n c o r d a ti - In d u s tr ia d e i n a s tr i , « L’organizzazione industriale », 1 febbraio 1923.19 Cfr. B o l le t t in o d e lla « C o to n ie r a », febbraio 1923.20 Cfr. B o l le t t in o d e lla « C o to n ie r a », marzo 1923.21 Cfr. B o l le t t in o d e lla « C o to n ie r a », gennaio 1924.

16 Claudio Natoli

giche o di forza maggiore (retribuite con tariffa ordinaria), l’irrigidimento della disciplina interna, e la contrattazione individuale tra imprenditore ed operaio di eventuali gratifiche superiori ai minimi di paga 22 Ed un’analoga tendènza si riscon­trava nei settori collaterali dell’edilizia. Nell’industria metallurgica, infine, il più importante nuovo concordato del 1923 fu quello della Venezia Giulia, che preve­deva un’ulteriore riduzione del 10 per cento dei salari rispetto a quella già appor­tata nel luglio 1922, e modificazioni nella struttura salariale che previlegiavano le percentuali variabili (legate alla produttività) rispetto a quelle fisse 23.La tendenza più diffusa tra gli industriali nel 1923 fu tuttavia di inasprire le condizioni di lavoro e di procedere a riduzioni salariali e a prolungamenti del­l’orario di lavoro a seconda delle condizioni specifiche di ciascuna azienda. Episodi di questo genere furono nel corso dell’anno innumerevoli, e interessarono tanto grandi complessi industriali come la FIAT, la « Spa », la Itala, le officine di Villar Perosa, la Chatillon, i cantieri di Monfalcone, le Manifatture cotoniere meridionali, quanto il tessuto ramificato delle medie e piccole imprese. Ciò fu all’origine della maggioranza delle vertenze di lavoro nel corso dell’anno, sviluppatesi per lo più in modo spontaneo, condotte direttamente dalle maestranze delle fabbriche inte­ressate, e conclusesi in maggioranza con la sconfitta dei lavoratori e con numerosi licenziamenti politici. Fu questo il caso delle Manifatture cotoniere meridionali di Poggioreale, dove nel mese di marzo oltre 4000 operai risposero con lo sciopero bianco al tentativo della direzione di decurtare le paghe del 20 per cento. Ne seguì un immediato intervento della forza pubblica e lo sgombero delle officine, che aprì la strada ad una serrata generale. Il lavoro riprese soltanto alla fine del mese, con le preventivate riduzioni dei salari e con il licenziamento di 53 operai ritenuti i maggiori responsabili dell’agitazione24 25. Ma analoghi episodi, sia pure di minore rilevanza, avvennero anche altrove, dai già citati casi della Itala, delle officine di Villar Perosa, della Chatillon, ad aziende minori come la Monti di Milano, la miniera San Giovanni di Iglesias, la Tempini di Brescia, il lanificio Fratelli Canova nel Biellese, la Società Siet di Bedollo (Trento), i Cotonifici tre­vigiani di Montebelluna Si trattava, tuttavia, di conflitti di limitata rilevanza, soprattutto se confrontati non solo con il grandioso ciclo di lotte che aveva carat­terizzato la stagione del « biennio rosso », ma anche con l’estensione, la durata e la partecipazione di massa degli scioperi difensivi che avevano interessato le principali categorie dell’industria nel 1921-22. Basta un’occhiata alle statistiche ufficiali sugli scioperi nel 1923 per convincersene: malgrado l’aumento dei prezzi e la conseguente caduta dei salari reali26, il prolungamento dell’orario di lavoro

22 Si vedano i nuovi contratti per Cremona, Torino, Brescia, in « Il corriere dei costruttori », 10 febbraio, 20 maggio, 30 maggio 1923 e quelli per Varese, Bologna, Parma, Reggio Emilia, Pavia, in ministero dell’economia nazionale, « Bollettino del Lavoro e della Previdenza sociale », marzo 1924, p. 253, aprile 1924, p. 363, maggio-giugno 1924, p. 569, settembre 1924, p. 277. Rimase invece in vigore il concordato di Milano stipulato con la FIOE nel 1922.23 Cfr. C o n c o r d a to o p e ra i m e ta l lu r g ic i d e lla V e n e z ia G iu lia , « L’informazione industriale », 26 luglio 1923.24 Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Affari Generali e Riservati (d’ora innanzi ACS, Min. Int., DGPS), 1923, b. 58, fase. N a p o l i - A g i ta z io n e tessili.25 Si veda A C S M in . I n t . D G P S , 1923, b. 54, fase. C a g lia r i - M in a to r i , b. 61, fase. T r e n to - V a r ia , T o r in o - A g i ta z io n e te ss ili, T r e v is o - T essili', cfr. anche L a se r ra ta a lla s o c ie tà la m p a d e « I t a l a », «Avanti!», 18 marzo 1923, S c io p e r o b ia n c o a V i lla r P e r o sa , ib id . , 21 aprile 1923, L ’o f fe n s iv a p a d r o n a le c o n tr o i m e ta l lu r g ic i b r e s c ia n i, ib id . , 5 settembre 1923, L o s c io p e r o te ss ile M o n ti , « Il sindacato rosso », 9 giugno 1923.26 Cfr. cesare vannutelli, O c c u p a z io n e e s a la r i d a l 1861 a l 1961, in AA.VV., L ’e c o n o m ia ita lia n a d a l 1861 a l 1961, Milano, Giuffrè, 1961, p. 570.

Sulla classe operaia davanti al fascismo 17

(favorito dalla nuova legge sulle otto ore), il peggioramento delle norme contrat­tuali e Tinasprimento generale delle condizioni di lavoro, gli scioperi si manten­nero su livelli ridottissimi21, ed ebbero per lo più il carattere di protesta improv­visata ed episodica, incapace di prolungarsi nel tempo o di superare i confini strettamente aziendali. Né avrebbe potuto essere altrimenti: le organizzazioni sinda­cali di classe, avevano perso oltre il 90 per cento degli iscritti del 1920 28 e sem-bravano essere alla soglia della completa disgregazione. D’altra parte il gruppo diri-gente della CGdL, si mostrava più preoccupato di ottenere dal governo Mussoliniun qualsiasi spazio di esistenza legale, anche a costo di garantire ad esso un’am-bigua « collaborazione tecnica » e di stravolgere la natura stessa del sindacato

27 I dati sugli scioperi nell’industria nel 1923 sono i seguenti:Scioperi Scioperanti Scioperanti giorni

gennaio . . . . 15 2.703 23.747febbraio 13 8.601 11.676marzo . . . . 21 15.321 52.860aprile . . . . 35 6.871 51.452maggio . . . . 14 3.231 19.854giugno . . . . 1S 4.753 ’ 18.394luglio . . . . 20 14.517 74.555agosto . . . . 12 2.370 6.134settembre 10 1.300 3.770ottobre . . . . 18 2.015 14.746novembre 12 2.458 8.071dicembre 12 1.993 10.670

TOTALE . . . . 200 66.103 295.929Piemonte 34 10.976 38.123Lombardia . 68 12.360 49.459Liguria . . . . 2 330 815Veneto . . . . 16 1.765 5.271Emilia . . . . 4 260 346Toscana 10 4.773 12.345Marche . . . . 6 644 4.323Umbria . . . . 1 461 1.383Lazio . . . . 4 11.200 69.990Abruzzi . . . . 3 136 741Campania 22 15.668 54.111Puglie . . . . 8 1.036 5.008Basilicata — — —Calabria 4 110 156Sicilia . . . . 12 2.460 46.020Sardegna 3 1.200 3.470Venezia Giulia . 2 2.534 4.268Venezia T riden tina........................... 1 190L’andamento negli scioperi nel periodo 1919-1922 era stato il seguente:

190

1919 (14) 1663 1.049.438 18.887.9171920 (32) 1881 1.267.953 16.398.2271921 (17) 1045 644.564 7.772.8701922 (8) 552 422.773 6.586.235N B . I numeri tra parentesi indicano per quanti scioperi non si conosce il numero degli sciope­ranti. Non sono compresi dati sull’occupazione delle fabbriche.Fonte: G li s c io p e r i n e lle in d u s tr ie n e l d e c e n n io 1914-1923 , « Bollettino del Lavoro e della Pre­videnza sociale », luglio 1924.28 Da documenti interni del Pcd’I, risulta che la CGdL da oltre due milioni di iscritti nel 1920 era passata a non più di 150.000 nel 1923, che la Fiom e la Fioe erano passate rispettiva­mente da 225.000 a 9000 e da 175.000 a 7000, cfr. Archivio del Partito Comunista Italiano (pres­so l’Istituto Gramsci di Roma), fase. 157, fo. 59; fase. 273, fo. 6 (d’ora innanzi APC), Archivio Centrale dello Stato, A t t i e d o c u m e n t i s e q u e s tr a t i a l P a r t i to c o m u n is ta d ’I ta l ia d a lla Q u e s tu r a d i M ila n o (1 9 2 1 -1 9 2 6 ) (d’ora innanzi A t t i s e q u e s tr a t i a l P e d i (1 9 2 1 -1 9 2 6 )), se. 2, fase. 12 «ComitatoSindacale », fo. 221.

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di classe, che di gettare le basi di una ripresa dell’iniziativa del movimento operaio sia pure in una prospettiva di lunga durata 29. Al riemergere dell’ipotesi del « par­tito del lavoro », depurata tuttavia di ogni residuo « operaismo » ed anzi incline a suggestioni di carattere corporativo, faceva riscontro un indirizzo esasperatamente accentratore, tendente a creare una rete burocratica di funzionari fidati e a distrug­gere ogni forma di democrazia e di opposizione all’interno del sindacato. L’espul­sione dalla CGdL di numerosi quadri comunisti o di intere organizzazioni, lo scioglimento d’autorità di Camere del lavoro impegnate in un’attiva opera di rior­ganizzazione del movimento operaio o direttamente investite dalla violenza squa­drista (Torino, Roma, Trieste) appaiono in tal senso illuminanti 30.In queste condizioni estremamente pesanti, la resistenza della classe operaia italiana al fascismo al potere potè manifestarsi soprattutto in modo indiretto, attraverso forme diverse da quelle tradizionali. Un primo importante segnale fu la scarsis­sima adesione dei lavoratori deH’industria ai sindacati fascisti, nonostante la prote­zione governativa ed il loro accresciuto potere di contrattazione e di mediazione nei confronti del padronato. Ma ancora più significativi furono i risultati delle elezioni per il rinnovo delle commissioni interne in numerosi complessi industriali del nord 31, che segnarono dovunque una schiacciante vittoria per le organizzazioni di classe. Non mancarono inoltre clamorosi episodi come le elezioni della Com­missione operaia dell’Arsenale di Pola, dove risultarono oltre 1700 schede bianche0 « con scritte e frasi di protesta e di carattere sovversivo contro le Istituzioni, contro S.M. il Re, contro il capo del Governo, e inneggianti alla Russia e alla Rivoluzione » 32, o come alla Fiat Automobili33. Infine la stessa giornata del1 Maggio (provocatoriamente soppressa dal governo e sostituita col Natale di Roma) fece registrare significative astensioni dal lavoro in una serie di località maggiori o minori del nord, del centro e del sud d’Italia, nonostante le rigorose misure di polizia predisposte dal Ministero dellTnterno 34.Lo sciopero dei muratori romani del 1923-24, rimasto fino ad oggi quasi scono­sciuto, acquista in tale panorama generale una rilevanza tutta particolare. Per le

29 Cfr. Carlo cartiglia, R in a ld o R ig o la e il s in d a c a l is m o r i fo r m is ta in I ta l ia , Milano, Feltri­nelli, 1976.30 Cfr. P o lit ic a c o n fe d e r a le , « Il sindacato rosso », 27 gennaio 1923, I s o p ru s i C o n fe d e r a li c o n tr o le O r g a n iz z a z io n i P r o le ta r ie , iv i , 21 luglio 1923.31 Così alla Pirelli la lista della Fioc riportava 3800 voti contro i 200 del sindacato fascista; alla Rapid i fascisti raccoglievano 124 voti, contro 132 bianche, 12 nulle e 432 astenuti; alla Spa 480 voti andavano alla Fiom contro 62 al fascisti, e alla Lancia 497 contro 104; all’Ansaldo di Aosta la Fiom raccoglieva 214 voti contro 110, alla OMS di Brescia i fascisti prendevano 65 voti contro 28 schede nulle e 180 bianche; alla Fiat le elezioni delle commissioni interne davano dovunque la maggioranza alla Fiom, e cosi anche alla Erba di Bergamo e alla Metallurgica ita­liana di Livorno. I dati sono tratti da « Il sindacato rosso », 2 dicembre 1922, 14 aprile 1923, 2 giugno 1923, 28 luglio 1923, 9 febbraio 1924. Per un’ampia documentazione per le fabbriche metallurgiche, cfr. Maurizio antonioli-bruno bezza (a cura di), L a F I O M d a lle o r ig in i a l fa s c i ­s m o , Bari, De Donato, 1978, pp. 148-50.32 Cfr. il rapporto del prefetto di Pola del 22 marzo 1923, in ACS, M in . I n t . D G P S , 1923, p. 67, fase. P o la - A r s e n a lo t t i . L’episodio suscitava vivissima irritazione da parte delle autorità, che chiesero « una radicale epurazione di tutti coloro, operai e impiegati ... sempre designati quali pe­ricolosi comunisti slavi » (cfr. ib id .) . Vennero così attuati oltre mille licenziamenti, cfr. L a s i tu a ­z io n e s in d a c a le a P o la , « Il sindacato rosso », 15 settembre 1923.33 Alla Fiat Automobili, alle elezioni per la commissione interna, oltre ai 3524 voti della Fiom, ai 1392 dei fascisti e ai 399 dei popolari, vi erano state 1036 schede nulle con scritto « Gianduia » e altre frasi di protesta; cfr. E le z io n i a lla C o m m is s io n e in te r n (a ) d e lla F I A T a u to ­m o b i l i - 30 m a r z o 1923, in APC, fase. 199/1, fo. 4L33 Cfr. l’ampia documentazione contenuta in ACS, M in . I n t . D G P S , 1923, b. 114, fase. I M a g ­g io . Si vedano anche «Avanti!» 2 maggio 1923, «La giustizia» 2 maggio 1923, «Il lavora­tore » 2 maggio 1923.

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sue dimensioni di massa, per la sua durata, per la sua organizzazione, per la stessa compenetrazione realizzatasi al suo interno tra obiettivi di carattere sindacale e difesa di diritti politici essenziali come la libertà di sciopero e di organizzazione, esso costituì un episodio pressoché unico nella storia del movimento operaio italiano di questo periodo. Esso rivelò inoltre la persistenza tra i lavoratori edili romani di un enorme potenziale di lotta, di un’avversione irriducibile al fascismo, di un eccezionale attaccamento alle proprie organizzazioni di classe, capace di resistere alle più dure repressioni e agli stessi contraccolpi della sconfìtta. Per comprenderne a fondo il significato, è necessario richiamarsi non solo alla istintiva ma profon­damente radicata carica di classe dei muratori romani, che avevano costituito per decenni uno dei settori più combattivi del movimento operaio della città, al pre­stigio e al patrimonio di lotte di cui era depositaria l’Unione emancipatrice degli operai dell’arte muraria fondata nel lontano 1884, ma anche al ruolo storico svolto dalla Camera del lavoro della capitale nell’organizzazione delle lotte sindacali e dei movimenti di carattere politico, nella formazione di una salda coscienza di classe, nell’unificazione dell’eterogeneo aggregato dei diversi settori sociali pro­letari, semi-proletari, artigianali ed anche piccolo borghesi che ad essa facevano riferimento 3ù In effetti, tra questi diversi protagonisti sociali « il maggiore ce­mento di unificazione e di chiarificazione ideale era fornito dalla forte carica politica anarchica, socialista, ma anche repubblicana e da una concezione del ruolo e dell’organizzazione sindacale in cui il corporativismo di categoria si integrava con una grande disponibilità all’azione generale di classe, la rivendicazione econo­mica minuta e priva in sé di autonomo respiro di classe si combinava con una ampia e generosa visione della comune condizione di sfruttamento e colla comune aspirazione ad una trasformazione radicale del sistema politico e sociale capita­listico » 3Ó. Di qui la grande disponibilità delle masse popolari della capitale al­l’azione politica generale, che spesso sfociava nella protesta di piazza ed acqui­stava coloriture anarchiche, come in occasione del grande sciopero generale per la « settimana rossa » del 1914 37.

Questo tessuto connettivo era sopravvissuto alla crisi del sistema giolittiano, che a Roma aveva peraltro coinciso con l’amministrazione progressista del sindaco Nathan, nonché alle stesse lacerazioni della guerra38 e agli sconvolgimenti politici e sociali del 1919-20. Tali avvenimenti non avevano segnato infatti nella capitale — a differenza che in altre zone d’Italia — una frattura irreversibile tra classe

85 Nel 1914 la Camera del lavoro confederale organizzava ad esempio 636 addetti agli ospe­dali, 2064 addetti alle arti edili (muratori, terrazzieri, stuccatori, fornaciai, cavatori di pozzolana, marmisti, pittori, asfaltisti, carrettieri a pietra e pozzolana), 104 dipendenti comunali, 100 addetti all’illuminazione pubblica, 411 addetti all’industria dell’abbigliamento e del vestiario (sarti, cap­pellai, calzolai, operai forniture militari), 648 operai delle industrie alimentari (mugnai, pastai, personale albergo e mensa, caciari, commessi vinai), 20 operai delle industrie chimiche, 2484 addetti alle industrie litografiche e poligrafiche, 146 addetti ai trasporti (carrettieri e facchini), 499 lavoranti in legno (falegnami, verniciatori di carrozze, astucciari), 276 lavoratori dello stato (operai scavi, genio, zecca, manifattura tabacchi), 332 metallurgici, 3262 addetti ai servizi pub­blici (tranvieri, ferrovieri secondari, addetti ai binari e alle officine, vetturini, garzoni scuderia, scaricatori mercato, spazzini, carrettieri nettezza urbana), 475 tra carbonai, portieri, esercenti, parrucchieri, cfr. L a C a m e r a d e l L a v o r o d i R o m a e p r o v in c ia n e l l ’a n n o 1914 , Roma, 1915, pp. 65-77.36 Adolfo pe pe , C a m e r a d e l L a v o r o e lo t t e o p e ra ie n e l l ’e tà g io l i t t ia n a (1 9 0 0 -1 9 1 4 ), in AA.VV., M o v im e n to o p e ra io e o r g a n iz z a z io n e s in d a c a le a R o m a (1 8 6 0 -1 9 6 0 ), Roma, Editrice Sindacale Italiana, 1976, p. 121.37 Cfr. Alberto Caracciolo, R o m a c a p ita le , Roma, Editori Riuniti, 19742, pp. 254 sgg.38 Sull’amministrazione Nathan cfr. A. Caracciolo, o p . c i t . , pp. 268-87. Sul periodo della guerra, cfr. Sergio Bertelli, S o c ia l is m o e m o v im e n to o p e ra io a R o m a d a l 1911 a l 1918 , « Movi­mento operaio », 955, n. 1.

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operaia e movimento socialista da un lato, e ceti medi dall’altro. Evidentemente, l’ispirazione laica e solidamente riformatrice ed il sistema di convergenze che avevano permesso la conquista del comune da parte del « Blocco del popolo » e l’amministrazione democratica del 1907-13, avevano posto salde radici nel tessuto sociale e nella coscienza civile della città. Ed è significativo che anche nel dopo­guerra l’orientamento delle associazioni dei combattenti di Roma, protagoniste nel Lazio di un grandioso movimento per l’occupazione delle terre 39, sia rimasto sal­damente ancorato alle idealità dell’interventismo democratico, anche in conse­guenza della collocazione inequivocabilmente popolare e antifascista dell’influente Partito repubblicano. Così, anche negli anni del « biennio rosso » il Psi continuò a rappresentare a Roma — come già nell’età giolittiana — un punto di riferi­mento politico ed elettorale per consistenti settori del ceto medio, e in particolare degli impiegati dello stato, i quali — più che in ogni altra città d’Italia — dettero vita a forti agitazioni di carattere sindacale che gravitarono fino a tutto il 1921 attorno alla Casa del popolo, alla Camera del lavoro confederale e ai partiti della sinistra socialista e democratica40. In questo contesto generale, il movimento fa­scista sino alla « marcia su Roma » non acquistò mai nella capitale una reale base di massa, si configurò come un fenomeno artificialmente importato dall’esterno circondato dall’indifferenza e più spesso dall’ostilità della popolazione, e si con­sumò in una serie interminabile di lotte intestine e di arrivismi personali sino allo scioglimento d’autorità del Fascio romano da parte dei vertici del Pnf nel giugno 1923.Dal campo opposto il movimento operaio aveva conosciuto a Roma, come nel resto d’Italia, una fase di esaltante avanzata nel corso del « biennio rosso ». Il Psi era divenuto con le elezioni politiche del 1919 e le amministrative del 1920 il secondo partito del Lazio con 43.521 voti (il Ppi ne aveva raccolti 46.250), ed il primo partito a Roma, con oltre 21.000 voti. E questi risultati erano stati mi­gliorati nelle elezioni politiche del 1921, in cui il Psi aveva scavalcato il Ppi (50.635 voti contro 44.712), senza contare gli 8.400 voti andati al P ed i41. La Ca­mera del lavoro confederale di Roma e provincia aveva acquistato numerosissime nuove leghe, e gli organizzati erano passati da 11.457 nel 1914 a 55.050 nel 1920, di cui 14.800 aderenti alla Federterra42. Un nuovo ciclo di lotte di dimensioni mai conosciute aveva interessato le più diverse categorie di lavoratori, dai metal­lurgici agli operai dell’arte edilizia, dai tranvieri ai ferrovieri, dagli operai dell’arte bianca ai poligrafici, dagli elettrici ai chimici, dai lavoranti in legno a quelli del­l’industria dell’abbigliamento e del vestiario, dagli operai cinematografici agli ad­detti allo spettacolo, dai commessi ai lavoratori d’albergo, dai vetturini ai carret­tieri a calce e a pozzolana 43 44. Notevoli erano state le conquiste sindacali raggiunte

39 Cfr. Giovanni sabatucci, I c o m b a t te n t i n e l p r im o d o p o g u e r r a , Roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 172 sgg.40 Cfr. guido m e l is , B u r o c r a z ia e s o c ia l ism o n e l l ’I ta l ia lib e r a le , Bologna, Il Mulino, 1980.4t Cfr. ministero dell’economia nazionale, S ta t is t ic a d e lle e le z io n i g e n e r a li p o l i t ic h e p e r la X X V I le g is la tu ra , Roma, 1924, pp. 126-29.42 Cfr. « Bollettino del lavoro e della Previdenza sociale », gennaio-giugno 1920, p. 682.43 Cfr. ufficio tecnico del lavoro di Roma, « Bollettino mensile », aprile 1919, pp. 134-36, settembre 1919, pp. 193-96, novembre-dicembre 1919, p. 249.44 Anzitutto numerose categorie conquistarono per la prima volta nel 1919 un concordato collettivo di lavoro. Inoltre, salvo qualche eccezione, tutti i nuovi contratti sancivano le 8 ore di lavoro, i minimi di paga, l’indennità trimestrale di caro-vita, la limitazione delle ore straor­dinarie e festive ed un notevole incremento delle relative indennità, il riconoscimento delle orga­nizzazioni di classe, delle ferie, l’istituzione degli uffici di collocamento di categoria. Infine, per le principali categorie dell’industria si costituivano le Commissioni interne.

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anche se spesso le lotte rimasero ancorate ai particolarismi di categoria e alle stra­tificazioni di mestiere, senza rimettere in discussione — come avveniva nel nord — l’organizzazione capitalistica del lavoro o sviluppare nelle fabbriche organismi di contropotere. Ne derivò un enorme rafforzamento del movimento sindacale e di classe nel suo insieme. D’altra parte, anche nelle campagne laziali si era assistito nel 1919-20 ad un notevole rafforzamento politico ed organizzativo del Psi che — fatto pressoché unico in Italia — aveva attivamente partecipato alle occupazioni delle terre, stabilendo un rapporto di confronto e di impegno comune con le associazioni dei combattenti45.Mentre tuttavia nel resto del paese i mesi successivi all’occupazione delle fabbriche avevano segnato, parallelamente allo scatenarsi del terrore fascista, un rovescia­mento generale dei rapporti tra le classi, l’avvio di una controffensiva generale del padronato agrario e industriale diretta a distruggere le organizzazioni del mo­vimento operaio e a strappare ai lavoratori le principali conquiste raggiunte nel dopoguerra, a ridurre drasticamente i salari, ad annullare l’orario di otto ore, a recuperare la piena disponibilità nell’imipego della forza lavoro, ad epurare le fab­briche dalle avanguardie e dai quadri sindacali emersi nel 1919-20, nella capitale la lotta politica e sociale si era mantenuta anche nel 1921 su un piano di intensità e di acutezza notevolmente minore. In primo luogo, la grave depressione econo­mica che interessava nell’Italia centro-settentrionale tutti i principali settori indu-

In particolare per gli operai dell’arte muraria i nuovi concordati sancivano le 48 ore settimanali di lavóro ed il sabato inglese, la retribuzione maggiorata del 50% per il lavoro straordinario e festivo, l’obbligo per gli imprenditori di non imporre il lavoro a cottimo e comunque l’ammis­sibilità dello stesso solo in forma collettiva, l’ufficio di collocamento paritetico, l’istituzione di una Cassa contro la disoccupazione involontaria e le malattie, nonché i seguenti minimi di sa­lario: a ) mastro muratore, mastro pontarolo, terrazziere armatore L. 1,70 l’ora; b ) apprendista, aiuto armatore, pontarolo, burberante L. 1,30 l’ora; c) cariolante terrazziere, manovale L. 1,20 l’ora; d ) garzone sotto i 18 anni L. 0,75 l’ora. A seguito del riconoscimento dell’indennità trime­strale di caroviveri, i salari subirono nel 1920-21 svariati aumenti: nell’aprile 1921 tale indennità era di L. 1,55 l’ora per tutte le categorie (sino ai manovali). Pertanto i minimi di salario rag­giungevano L. 3,25 l’ora per la categoria a ), 2,85 l’ora per la categoria b ) e 2,75 l’ora per la categoria c). Si trattava di notevoli conquiste, se si considera che nel 1912 l’orario di lavoro era di 9-10 ore, che non esisteva alcuna limitazione di lavoro a cottimo, e che non vi era traccia delle altre garanzie contrattuali sopra enunciate. Gli aumenti salariali del 1919-21 avevano pro­dotto inoltre un notevole livellamento delle retribuzioni: mentre nel 1912 il salario degli appren­disti e dei manovali era il 72,9% e il 66,6% di quello dei muratori, nel 1921 tali percentuali erano giunte rispettivamente all’87,6% e all’84,6%.Il contratto dei muratori costituì la base di riferimento anche per categorie minori come i pittori, i fumisti, i marmisti. I fornaciai ottennero le otto ore, il 50% di aumento per le ore straordi­narie, la revisione dei prezzi di cottimo, la fissazione di minimi di salario per tutte le categorie. Per tutti gli addetti all’arte edile dai 1920 fu fissata un’indennità di caroviveri unificata che giunse al marzo 1921 a L. 1,55 l’ora. Riguardo al rapporto tra incrementi salariali e aumento del costo della vita a Roma, dalle rilevazioni del locale Ufficio del Lavoro risulta che al maggio- giugno 1919 gli addetti alle arti edili avevano percepito rispetto all’anteguerra i seguenti incre­menti salariali: mattonatori 128% per i mastri, e 175% per i manovali; pittori-imbianchini-deco­ratori, 126% per i capi operai, e 167% per i rimanenti; marmisti 199%; muratori, 183% per i mastri, 187% per gli apprendisti, e 200% per i manovali. A titolo indicativo ricordiamo che l’indice del costo della vita per una famiglia operaia elaborato dall’Ufficio del lavoro di Roma (1° settembre 1914 = 100) era giunto nel maggio-giugno 1919 a 221,95 e a 216,41, per salire a 263,45 nel gennaio 1920. Gli aumenti salariali appaiono pertanto inferiori all’aumento del costo della vita. Per un’ampia documentazione su questi temi cfr. ufficio m unicipale del lavoro, 1

c o n c o r d a t i c o n c h iu s i in R o m a n e l 1 9 1 9 , Roma, 1920. Per i muratori si veda anche m inistero di agricoltura, industra e commercio, T a r i f f e d i sa la r io e d i o r a r io n e l l ’a r te m u r a r ia (1 9 1 1 e 1 912 ), Suppl. al « Bollettino dell’Ufficio del lavoro », n. 17, Roma, 1913. Sul rapporto salari-costo della vita a Roma cfr. ufficio m unicipale del lavoro di roma, « Bollettino mensile », novembre- dicembre 1919, pp. 248-50, febbraio 1920, pp. 64-66.45 Cfr. Alberto Caracciolo, I l m o v im e n to c o n ta d in o n e l L a z io (1 8 7 0 -1 9 2 2 ), Roma, Rinascita, 1952, pp. 147-92.

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striali, investì l’area geografica di Roma in modo sostanzialmente marginale. 1 disoccupati ufficialmente registrati nella capitale che erano 4370 nell’ottobre 1920, divenivano 6059 nel gennaio 1922, 6415 nel marzo, 5697 nel maggio, 5173 nel giugno dello stesso anno, mentre nell’intera provincia essi passavano da 6004 nel giugno 1920, a 6508 nel gennaio 1922, 6771 nel marzo, 6466 nel maggio, 5639 nel giugno46: una percentuale che non superava rispettivamente il 10,70, FI 1,59, il 15,37, il 15,39 per mille del totale nazionale del 192247. Senza dubbio deter­minante fu in tal senso la particolare configurazione socio-economica di Roma, caratterizzata dall’assenza di grandi complessi industriali nei rami metallurgico, meccanico, chimico, tessile, dalla dipendenza delle imprese prevalentemente dal mercato locale, e soprattutto dall’assoluta preminenza dell’attività edilizia che pro­prio nel 1921, dopo il periodo di pressoché totale stasi degli anni 1915-19, rag­giungeva e superava, se non i livelli eccezionali del 1885-88, almeno quelli dei periodi più favorevoli antecedenti il conflitto, in conseguenza del varo di impor­tanti facilitazioni governative e dell’avvio di vasti programmi di costruzione di edifici pubblici e di abitazioni da parte dello stato, di cooperative e di privati48.In tali condizioni il padronato industriale non aveva potuto disporre a Roma di quella vasta disoccupazione di massa che altrove si era rivelata un’arma decisiva per scardinare le organizzazioni di classe tanto nelle città quanto nelle campagne, e che aveva contribuito non meno dello squadrismo fascista a indebolire e a scon­figgere le lotte dei lavoratori49. Ed anzi, le particolari condizioni del mercato del lavoro avevano impedito che attraverso la spaccatura tra occupati e disoccu­pati passasse quella disgregazione verticale del fronte di classe, su cui altrove si innestavano l’offensiva industriale-agraria e lo spostamento a destra dei ceti inter­medi, e che costituiva il più favorevole terreno di crescita del fascismo. Non erano mancati per la verità a partire dal 1921 anche a Roma tentativi di rimet­tere in discussione i contratti di lavoro e di operare riduzioni di salari, decurtando l’indennità di carovita. Ma essi si erano scontrati con una forte resistenza dei lavoratori e con una persistente capacità di mobilitazione delle organizzazioni di classe, che erano riuscite a mantenere sostanzialmente integri i principali concordati di categoria. Ciò era avvenuto in particolare nel settore delle costruzioni, dove si

46 Cfr. ufficio provinciale del lavoro (Roma), « Bollettino mensile », febbraio 1922, pp. 45- 49, marzo-aprile 1922, pp. 99-119, maggio-giugno 1922, pp. 208-227, novembre-dicembre 1922, pp. 422-39.47 Cfr. «Bollettino del lavoro e della Previdenza sociale», maggio 1922, p. 510, agosto-set­tembre 1922, p. 117. Il dato di giugno è comprensivo anche delle Venezie Giulia e Tridentina. I dati elaborati dall’Ufficio del lavoro ministeriale, sono inoltre lievemente inferiori a quelli del­l’Ufficio provinciale del lavoro di Roma.48 Sul boom edilizio del dopoguerra a Roma cfr. Ufficio statistico del Comune di Roma, V e n t ’a n n i d i a t t iv i tà e d iliz ia , a cura di M. Marci, Roma, 1929, nonché Giovanni berlinguer- piero della seta , B o r g a te d i R o m a , Roma, Editori Riuniti, 1960, italo Insolera, R o m a m o d e r n a , Torino, Einaudi, 1971.49 Un’indagine dell’Ufficio del lavoro del settembre 1921, sottolineava l’assenza di disoccupa­zione nelle fabbriche alimentari e dell’arte bianca, della lavorazione delle pelli, nell’industria del legno e in quella tessile, e nei settori di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’elettricità, in forte espansione per la crescita della città. Essa rilevava inoltre una carenza di manodopera nel­l’industria edilizia, che a livello nazionale faceva registrare il più alto numero di disoccupati. Diminuzioni di personale erano segnalate solo nell’industria metallurgica, nella chimica per la crisi nazionale, nell’industria cinematografica, nelle fabbriche di giocattoli e di lampadine per la scarsa competitività, e tra gli impiegati privati e dipendenti pubblici avventizi licenziati nel 1921, cfr. I l m e r c a to d e l la v o r o in R o m a f 1° s e t t e m b r e 1 921 ), « Bollettino del lavoro e della Previdenza sociale », ottobre 1921. Proprio nell’industria metallurgica avvenivano i maggiori pro­cessi di ristrutturazione: le officine attive e gli operai occupati passavano da 80 e 5232 nel luglio 1920, a 86 e 4253 nel novembre 1921, a 84 e 3962 nell’agosto 1922, cfr. L 'o c c u p a z io n e o p e ra ia e g li o r a r i d i la v o ro n e lle in d u s tr ie m e ta l lu r g ic h e e m e c c a n ic h e , iv i , novembre 1922, p. 375.

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era realizzata una forte solidarietà di classe che aveva portato nel 1920 alla nascita dell’Unione edile romana, un’organizzazione che aveva unito in un unico fronte tutti gli aderenti alle arti edili, dai muratori ai pittori, dai lavoranti in legno agli spezzatori di pietra, dai marmisti ai mattonatori, dai cementisti ai fabbricanti di mattonelle, dai carrettieri addetti ai trasporti edilizi ai fornaciai. Così, quando nel gennaio 1921 i fornaciai erano strati costretti allo sciopero per il rifiuto da parte dei proprietari di corrispondere l’indennità di carovita agli operai cottimisti, ave­vano visto scendere in lotta al loro fianco tutti gli altri lavoratori dell’arte edile di Rom a50. Successivamente, nell’aprile 1921, al rifiuto degli industriali e del Mini­stero dei Lavori Pubblici di corrispondere agli edili cottimisti l’indennità di carovita come previsto dal contratto, aveva fatto seguito un comizio di decine di migliaia di lavoratori, che avevano deliberato l’abolizione di ogni lavoro a cottimo51. I contratti stipulati nel 1919-20 erano stati così prorogati senza modifiche di rilievo nel 1921 52. Ed anche nel giugno 1922, al momento del rinnovo dei patti di lavoro, l’Unione edile romana era riuscita con la mobilitazione dei lavoratori non solo a sconfiggere il tentativo degli industriali di ridurre i salari, abolire il sabato inglese, inasprire la normativa contrattuale, ma aveva anche richiesto miglioramenti riguar­danti la disciplina del cottimo, la costituzione di un comitato paritetico per il rispetto delle norme di sicurezza nei cantieri, ed ottenuto l’istituzione di un ufficio medico legale per gli infortuni53. Per parte sua la Camera del lavoro di Roma, aveva certamente risentito del clima politico generale del paese e dell’arretramento complessivo del movimento operaio, ma non aveva conosciuto una caduta verti­cale di iscritti e di attività: e se il numero dei soci era calato nell’aprile 1922 a30.000 organizzati, questo fenomeno aveva riguardato soprattutto i lavoratori della terra ed altre categorie minori54.È in tale contesto generale di complessiva tenuta del fronte di classe che va inqua­drata la grande capacità di mobilitazione antifascista che i. lavoratori romani e le loro organizzazioni furono capaci di mantenere per tutto il 1921-22, fino alla « mar­cia su Roma». I contrasti anche molto aspri che divisero anarchici, comunisti, socialisti e repubblicani in questi due anni, e che non mancarono di provocare una crisi di direzione politica nella stessa Camera del lavoro, non impedirono che sul terreno della lotta contro il fascismo si creasse — sia pure non senza incer­tezze e contraddizioni — una sostanziale unità d’azione tra tutte le forze sinda­cali e politiche del movimento operaio. Di qui sorgeva a Roma nel giugno 1921 il Comitato di difesa proletaria, con l’adesione delle Camere del lavoro confede­rale e sindacale, degli anarchici, dei repubblicani, del Psi e del Pedi, e subito dopo si sviluppavano gli Arditi de! popolo, il più importante movimento popolare contro il fascismo di quegli anni, che si radicavano profondamente non solo nella città ma anche in altri centri della provincia come Viterbo, Civitavecchia e Monte­rotondo, riuscendo a sopravvivere alle repressioni governative e alle sconfessioni

50 Cfr. ACS, Min. Int. DGPS, 1921, b. 73, fase. Roma e provincia - Agitazione operai arte edile, Roma - Agitazione fornaciai.51 Cfr. ACS, Min. Int. DGPS, 1921, b. 73, fase. Roma e provincia - Agitazione operai arte edile, nonché II comizio dell’Unione operai arti edili, «Avanti!» (ed. romana), 8 aprile 1921, L ’offensiva degli imprenditori edili a Roma, ivi, 12 aprile 1921.52 Nel giugno 1921, approfittando di un momentaneo ribasso del costo della vita, i costruttori avevano ridotto l’indennità di carovita degli edili di L. 0,40 al giorno (0,05% l’ora), cfr. Gli imprenditori edili non mantengono i patti, « La voce repubblicana », 15 giugno 1921.53 Cfr. ACS, Min. Int. DGPS, 1922, b. 76, fase. Roma - Agitazione operai edili, nonché Gli operai edili verso lo sciopero, « Avanti! » (ed. romana), 23 giugno 1922, Camera del Lavoro Con­federale. La vittoria degli edili, ivi, 2 luglio 1922.54 Cfr. « Bollettino del lavoro e della Previdenza sociale », maggio 1922, p. 526.

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« ufficiali » dei partiti del movimento operaio, e rendendosi protagonisti nel 1921-22 di numerosi episodi di resistenza di massa allo squadrismo. In questo clima si sviluppò nei quartieri popolari della capitale una mobilitazione capillare dal basso ed una radicata coscienza e solidarietà antifascista destinate a durare a lungo nel tempo. L’imponente riuscita dello sciopero generale in occasione del Congresso di Roma del Pnf (novembre 1921), e di quello successivo del maggio 1922 a seguito dei gravi conflitti avvenuti nel quartiere di San Lorenzo, lo stesso andamento dello sciopero legalitario nella capitale, che vide i fascisti rimanere impotenti al centro della città mentre i rioni operai e le sedi delle organizzazioni di classe erano presidiati dalla mobilitazione popolare, la sopravvivenza sino alla « marcia su Roma » del Comitato di difesa proletaria e di comizi ed iniziative antifasciste nei quartieri Trionfale, Trastevere, Celio, Santa Croce, San Lorenzo, Testaccio, ne sono ampia testimonianza: « In realtà — scriveva il questore di Roma ancora nel­l’ottobre 1922 — la difesa dei rioni popolari è possibile solo perché l’antifascismo è così radicato a Roma che un successo armato sarebbe solo temporaneo e non durerebbe nei quartieri popolari sebbene l’efficienza armata dei rioni sia misera e priva di qualunque preparazione tecnica » 5S.La « conquista » di Roma da parte del fascismo sarebbe avvenuta solo alla fine di ottobre, nei giorni della « marcia ». In quella occasione, con la complice coper­tura della forza pubblica, le squadre affluite da ogni parte d’Italia poterono pene­trare nei quartieri popolari (in particolare a San Lorenzo), ferire ed assassinare decine di antifascisti, devastare e saccheggiare tutte le sedi sindacali e politiche del movimento operaio. In seguito, smobilitate le squadre, il compito principale di mantenere 1’« ordine », venne assunto a Roma direttamente dagli organi legali dell’apparato dello Stato:

L’attività sovversiva — si leggeva in una circolare della questura di Roma del 18 novem­bre 1922 — in un primo momento dopo l’avvento al potere del fascismo, quasi sopita, comincia ora a ridestarsi, sebbene in modo molto circospetto e con forme settarie, aventi carattere di massima segretezza.È un movimento tanto più pericoloso quanto più subdolo, che va soffocato fin dal suo nascere, ostacolandone con avvedutezza ogni possibilità di organizzazione. L’Autorità di P.S. deve seguire d’appresso questo movimento ed intervenire prontamente e risoluta- mente ogni qualvolta abbia notizie di riunioni dirette a tram are insidiosamente contro i pubblici poteri, contro lo Stato ed il Governo, o ad organizzare torbidi e disordini, sor­prendendo gli adunati, perquisendoli sulla persona, e fermandoli in attesa dell’esito delle perquisizioni domiciliari, che dovranno subito essere richieste agli Uffici competenti, qua­lora la sorpresa confermi sospetti e li dimostri fondati. Se fra gli adunati vi fossero persone non residenti in Roma, che non potessero o volessero dar contezza di sé, dovrà applicarsi alle medesisme il disposto dell’art. 85 della Legge di P.S., salvo ogni altro provvedimento di legge... Per le riunioni alla Casa del Popolo, alla Camera Sindacale del Lavoro, ed alle altre località che, per avere la precisa destinazione di sede di organizzazione prole­taria, sono appunto centri normali di assemblee ed adunanze, non si dovrà agire di sor­presa se non in caso di prove sicure di adunanze incriminabili. In ogni altro caso, le Autorità di P.S. provvederanno a ferm are a distanza gli intervenuti che dessero maggior motivo di sospetto, sia quando accedono, sia quando escono dai luoghi di convegno, ed in confronto di costoro provvederanno nei sensi sopra espressi... In ogni caso gli Uffici debbono sventare ogni insidia, paralizzare ogni movimento temibile, premere sugli elementi più accesi, in modo da inceppare e neutralizzare ogni tentativo di azione delittuosa o pericolosa nei riguardi dello Stato, dell’Autorità e dell’ordine pubblico, che deve essere energicamente garantito.Ogni qualvolta lo si stimi necessario, non si abbiano riguardi nello assicurare, sia pure temporaneamente alla P.S., quegli elementi più specialmente indiziati di fare opera o ten­tativi di sovversivismo 56.

55 Cfr. il rapporto del questore di Roma del 2 ottobre 1922, in ACS, M in . I n i . D G P S , 1923, b. 63, fase. A l le a n z a d e l L a v o r o e C o m ita to d i d ife s a p ro le ta r ia .56 La circolare del questore Bertini, in ACS, M in . I n t . D G P S , 1922, b. 85, fase. R o m a - M o v i ­m e n to s o v v e rs iv o .

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Vennero allora per il movimento operaio romano momenti estremamente difficili. Mentre le organizzazioni di partito potevano svolgere la loro attività solo in forma semilegale o del tutto illegale (come nel caso del Pedi), anche le organizzazioni sindacali subirono un contraccolpo durissimo:

La marcia su Roma trovò ancora completamente in attività la Camera del Lavoro Con­federale che riuniva in s[è] la quasi to talit[à] dei lavoratori 24000 iscritti in 80 Leghe di mestiere... La violenta reazione fascista e la conseguente occupazione e distruzione della residenza, di tutte le Leghe, compresa la Cam era del Lavoro Confederale tenne fino al Dicembre 1922 completamente fermo il movimento sindacale. La Camera del Lavoro Confederale riebbe i suoi locali nella fine del [nove]m bre 192[2]. I Comunisti insieme con gli altri esponenti degli altri partiti militanti nelle organizzazioni, provvidero ad accentrare nei locali della Cam era del Lavoro tutte le leghe che avevano perduto le loro residenze sia che era necessario un serio controllo sia che occorreva vigilare sullo spirito degli organizzati.Il noto monopolio delle corporazioni fasciste per la risoluzione delle vertenze tra datori di lavoro e lavoratori; e istituzione da parte loro di uffici di collocamento provocarono il distacco di piccole leghe tra le quali il Personale degli autobus, Fattorini del latte, Per­sonale dello Spettacolo, Orchestrali, [i] Birrai.In seguito perdemmo i lavoratori di Albergo e Mensa i Fornaciai gli Spazzini Municipali. Ebbero perdite del 50% t r a n v ie r i, [i] Ferrovieri Secondari, i Postelegrafonici, gl’infer­mieri; [s]ciolte senza passaggi: [ i] Chimici, i Metallurgici, [i] Lavoratori della Terra, [i] Pittori, i Lavoratori dell’ago e i Dipendenti Azienda Elettrica. Le forze che influirono maggiormente il passaggio ai fasci e l’opera di dissoluzione non fu determinata da effetti spirituali, ma un’intensa inflessibile reazione da parte padronale che obbligava i dipendenti a prelevare la tessera del partito del Governo imperante.Da notare l’assoluta mancanza al passaggio dei dirigenti.Il periodo che va dal dicembre al 30 aprile 1923 fu la fase critica per 1’esistenza della Camera del Lavoro.Gli organizzati erano perquisiti o rincarcerati ogni qualvolta si avvicinavano al massimo Istituto operaio. L’opera di intimidazione ai dirigenti si faceva ogni giorno più assillante. I fascisti rinvigilavano continuamente e più volte salirono fino alla Segreteria minacciando gli esponenti.I Comitati e l’assemblea erano sabotati dalla polizia che si collocava per il controllo fino sulle scale della Camera del Lavoro 57.

In questa situazione profondamente mutata il padronato romano ritenne giunto il momento favorevole per sferrare un attacco a fondo alle organizzazioni di classe ed annullare i concordati di lavoro vigenti. I primi a prendere l’iniziativa furono i proprietari delle fornaci, riuniti in un’Associazione diretta dal segretario del Fascio romano Vaselli, i quali l’i l aprile attuarono la serrata degli stabili- menti con l’obiettivo dichiarato di ridurre del 20 per cento i salari operai. Ma la manovra andava ben oltre, e tendeva soprattutto a « scompaginare l’attuale organizzazione • della classe operaia e [ad] addivenire alla costituzione di un sin­dacato fascista » 58. Così i proprietari ruppero ogni trattativa con la Lega fornaciai, ed in seguito procedettero alla riapertura delle fornaci impiegando nuovo perso­nale e riassumendo solo coloro « che fossero di gradimento agli industriali e che si impegnassero ad iscriversi nel più breve tempo ai Sindacati Nazionali » S9. La Lega fornaciai aveva attuato per diversi giorni una coraggiosa resistenza: le più importanti fornaci non avevano potuto riprendere il lavoro, ed in numerosi comizi di categoria si era rifiutata ogni collaborazione col sindacato fascista. Ma a lungo andare, l’intransigenza padronale e le rigorose misure di ordine pubblico attuate dalla polizia avevano prodotto la disgregazione del fronte di classe e la ripresa

57 Dal documento 11 Partito Comunista e il movimento sindacale di Roma, in APC, fase. 203/2, fo. 12-13.58 Cfr. il fon. della questura di Roma n. 36111 del 14 aprile 1923, in ACS, Min Int. DGPS, 1923, b. 60, fase. Agitazione fornaciai.89 Cfr. il fon. della questura n. 37310 del 17 aprile 1923, ibid.

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del lavoro alle condizioni imposte dai proprietari60. Nel mese di maggio, anche gli industriali dell’arte bianca cercarono d’imporre agli operai decurtazioni salariali e gravi peggioramenti nella normativa delle ferie, della cassa mutua, dell’indennità di licenziamento, facendo sgombrare al primo accenno di sciopero bianco gli stabilimenti dalla forza pubblica ed attuando in seguito licenziamenti politici. La vertenza si chiuse con la sconfitta dei lavoratori, cui era stato persino proibito dalla questura di riunirsi in assemblea nella sede della Camera del lavoro sinda­cale 61. Riduzioni salariali avevano interessato nel contempo altre categorie come i ferrovieri secondari, i lavoratori dello stato, gli infermieri, i parrucchieri. Ed a rendere ancora più difficile la situazione, era giunta nell’aprile la radiazione della Camera del lavoro confederale dalla CGdL, con la pretestuosa motivazione che alcune leghe non erano in regola col pagamento delle quote sindacali, ma con l’intento di liquidare un organismo che si era caratterizzato negli ultimi anni come una vivace e scomoda voce di opposizione all’indirizzo confederale: solo al prezzo di molte difficoltà era stata ricostituita una nuova commissione direttiva della Camera del lavoro composta di tre comunisti, tre anarchici e tre socialisti massimalisti, che aveva ripristinato una qualche organizzazione tecnica e ammi­nistrativa e avviato un tesseramento provvisorio in attesa della composizione della vertenza con la CGdL 62.Sembravano essersi così create le condizioni migliori per un’offensiva risolutiva contro la categoria più numerosa e combattiva del proletariato romano, gli operai dell’arte muraria, la cui organizzazione aveva subito dopo la « marcia su Roma » una grave crisi organizzativa e si trovava in una delicata fase di transizione politica. Le elezioni per il rinnovo del Comitato direttivo dell’Unione emancipa­trice, tenutesi nell’agosto 1922, avevano segnato infatti una netta vittoria dei comunisti ed il declino dell’influenza del vecchio gruppo dirigente anarchico, destinato a dissolversi definitivamente dopo la conquista fascista del potere63 64. Successivamente, nel marzo 1923 si era formato un nuovo Comitato direttivo del­l’organizzazione M, e l’operaio comunista Vincenzo Antonio Gigante ne era dive­nuto segretario 65.Fin dalla fine di febbraio i costruttori romani avevano notificato all’Unione eman­cipatrice la disdetta del concordato di lavoro, manifestando l’intenzione di ridurre

60 Sull’intera vertenza, oltre ad ACS cit., cfr. L a s e r ra ta d e lle fo r n a c i a R o m a , « Il lavora­tore », 13 aprile, 15 aprile 1923.61 Cfr. ACS, M in . I n t . D G P S , 1923, b. 60, fase. R o m a - A g i ta z io n e o p e r a i a r te b ia n c a .62 Cfr. D o p o la r a d ia z io n e d e lla C a m e r a d e l la v o r o d i R o m a , « Il sindacato rosso », 9 mag­gio 1923.63 Cfr. ACS, M in . I n t . D G P S , 1922, b. 76, fase. R o m a - A g i ta z io n e o p e r a i ed ili.64 Cfr. il rapporto della questura di Roma del 19 marzo 1923, in ACS, M in . I n t . D G P S , 1923,b. 60, fase. R o m a - A g i ta z io n e o p e r a i a r te m u ra r ia .65 Vincenzo Antonio Gigante nato a Brindisi nel 1901, militante fin da giovanissimo nella Fgs e passato al Pedi nel 1921. Membro del Comitato federale di Roma, responsabile per il lavoro sindacale, fece parte dal novembre 1924 anche della Commissione direttiva della Camera del lavoro confederale. Nell’ottobre 1925, dopo un arresto per misure « preventive », emigrò clande­stinamente all’estero, recandosi prima in URSS ed in seguito in Francia, Belgio e Svizzera, dove organizzò l’invio in Italia di emissari del Pedi e di materiale illegale. Membro del Direttivo nazionale della ricostituita CGdL, fu protagonista di numerose missioni in Italia tra il 1929 e il 1933. Membro candidato del CC del Pedi dal novembre 1929, contribuì all’organizzazione del Congresso di Colonia (1931). Fu arrestato il 6 ottobre 1933 a Milano nel corso di una nuova missione in Italia, condannato dal Tribunale speciale a venti anni di reclusione, rinchiuso nel carcere di Civitavecchia, e quindi internato all’isola di Ustica. Dopo l’8 settembre riuscì ad evadere dal campo di concentramento di Anghiari (Arezzo), e a trasferirsi clandestinamente in Istria, ove fu uno degli organizzatori della Resistenza, divenendo nell’agosto 1944 dopo l’arresto

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i salari di lire 4 al giorno per tutte le categorie edili, di abolire la Cassa di previ­denza, di prolungare l’orario di lavoro estivo, minacciando in caso di rifiuto di stipulare un nuovo contratto con l’organizzazione fascista, la cui ampia dispo­nibilità nei confronti delle richieste padronali era direttamente proporzionale alla sua pressoché assoluta estraneità alla classe dei muratori66. L’Unione emancipa­trice replicò respingendo ogni revisione alla vigente normativa contrattuale, definì inammissibile ogni riduzione dei salari in un periodo in cui il costo della vita non faceva che aumentare 67, e chiamò i lavoratori a non rinunciare « a tutti i benefici conquistati attraverso tante lotte, attraverso tanti sacrifici, sopportati con lo spirito di combattività ed abnegazione che ci distingue », stringendosi « con tutte le forze e con tutti i mezzi intorno al nostro vessillo di classe che mai si piegò, che mai fu ammainato in tempi ben più tristi e ben più sconfortanti di questo » 6S. Nello stesso tempo, su iniziativa dei comunisti, si decideva in accordo con la Camera del lavoro di predisporre le basi politiche e organizzative della lotta imminente: « Occorreva una preparazione morale efficacissima. Si doveva cogliere Roma in un cerchio di propaganda e di fiducia tra le masse, e si doveva costruire una base solida difensiva e offensiva. Furono nominati fiduciari e collettori per tutti i can­tieri ed eseguita la mobilitazione degli spiriti, i migliori nostri compagni vennero mandati nei più forti focolai edilizi per la propaganda » 69.Successivamente la Commissione sindacale decise di organizzare un’azione dimo­strativa, e invitò per F11 giugno gli edili romani a disertare i cantieri e a parte­cipare ad un grande comizio alla Casa del popolo. La manifestazione riusciva al di là di ogni aspettativa: « Durante la notte precedente ... squadre di lavoratori dell’arte muraria, in parte nostri compagni, invasero i cantieri della periferia e nelle prime ore del mattino, rastrellando i cantieri del centro, si presentarono in numero imponente —• 20.000 operai — nei pressi della Casa del popolo.« Ricordare questa memorabile giornata di delirio e di entusiasmo sarebbe impos­sibile. La polizia era impotente a frenare la marea di lavoratori che si avviava al comizio al canto degli inni proletari » 70.

di L. Frausin segretario della Federazione del Pedi di Trieste. Arrestato nell’ottobre 1944, fu torturato e ucciso presumibilmente nella Risiera di San Saba. Medaglia d’oro della Resistenza alla memoria. Si veda la voce curata da Enzo Collotti in franco andreucci-tommaso detti, 11 m o v i ­m e n to o p e ra io i ta lia n o . D iz io n a r io b io g r a fic o (1 8 5 3 -1 9 4 3 ), voi. II, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 490-91, nonché ACS, C a se lla r io P o lit ic o C e n tra le , b. 2045.66 Si veda il documento L ’a g ita z io n e e lo s c io p e r o d e i m u r a to r i a R o m a 2 3 -28 lu g lio 1923, in in APC, fase. 181, fo. 34-40.67 L’andamento del costo della vita a Roma era stato secondo l’indice per la famiglia operaia dell’Ufficio municipale del lavoro il seguente (1° semestre 1914 = 100):anni G F M A M G L A S O N D1920 263,45 290,00 295,52 306,22 317,86 311,04 312,55 316,35 325,04 348,17 368,99 378,241921 374,08 379,05 384,46 410,94 395,84 389,96 387,28 391,05 399,72 414,07 422,55 422,871922 429,69 425,87 415,32 420,33 426,66 425,35 428,97 430,95 437,00 444,00 438,92 439,171923 441,22 440,90Secondo la nuova serie del costo della vita stabilita al Convegno di Milano del luglio 1920 le variazioni erano le seguenti per Roma (luglio 1920 = 100):anni G F M A M G L A S O N D1921 121,70 123,82 125,74 129,73 124,66 121,64 119,08 120,58 122,74 129,62 131,72 131,231922 132,06 130,56 127,83 127,37 128,17 129,26 129,95 130,17 132,39 134,87 132,39 132,031923 131,78 131,96Fonte: u ffic io m unicipale del lavoro di Roma, « Bollettino mensile », settembre 1922, pp. 325- 29, ottobre 1922, p. 376, dicembre 1922, pp. 457-58, marzo 1923, pp. 11-14.68 L’appello dell’Unione emancipatrice, in «Avanti! », 14 marzo 1923.69 L ’a g ita z io n e e lo sc io p e r o d e i m u r a to r i a R o m a , cit., fo. 2.IO Ib id . , fo. 2-3. Sul comizio cfr. anche ACS, M in . In t . D G P S , 1923, b. 60, fase. R o m a - A g i -

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Il comizio, ove presero la parola il segretario della Camera del lavoro Martini e i comunisti Gigante e Poce per l’Unione emancipatrice, si concluse con un ordine del giorno che invitava gli industriali a sospendere ogni riduzione delle paghe in attesa che le deliberazioni prese dal Consiglio dei ministri contro il carovita, pro­ducessero effetti concreti71.L’imponente riuscita della mobilitazione degli edili colse nettamente di sorpresa ed allarmò vivamente tanto i costruttori quanto le autorità. Scriveva ad esempio al Direttore Generale di Pubblica Sicurezza, De Bono, il presidente della Società italiana per le imprese edilizie:

Ieri, dopo una giornata di festa (!?)... gli operai edili, in occasione della nomina della commissione che dovrà trattare con gli imprenditori la conclusione del nuovo contratto di lavoro, hanno disertato in massa il lavoro.E delle squadre di operai hanno vigilato a che nei cantieri nessuno lavorasse, attentando così alla libertà del lavoro.Abbiamo creduto di denunciare il fatto, a codesta on. Direzione nella fiducia che i sistemi di una volta non saranno tollerati dal Governo Nazionale, il quale vorrà energicamente tutelare la libertà del lavoro anche con mezzi preventivi.Da circa sette mesi la meravigliosa attività della Nazione non è stata arrestata o ritardata dai soliti elementi dissolvitori, ed è desiderio generale che il Governo persista nel suo coraggioso programma, di cui uno dei capisaldi è l’incitamento al lavoro.Non si perm etta che questo torni ad essere turbato 72.

Per parte sua il questore Bertini, se da un lato mostrava di ritenere che di fronte « all’atteggiamento della massa operaia, non parrebbe opportuna una assoluta in­transigenza da parte degli imprenditori », dall’altro aggiungeva che in ogni caso sarebbe stato necessario « proibire questi comizi, pur comprendendo che si tratta di vere e proprie riunioni di categoria », e comunicava che « nei diversi punti della Città sono stati arrestati 18 individui, di cui alcuni per attentato alla libertà del lavoro, altri per porto di coltello, ed altri ancora per misure di P.S. e distri­buzione clandestina di manifesti non autorizzati » 73.Il giorno successivo, l’assemblea del Collegio dei costruttori di Roma, prese atto dell’ordine del giorno votato al comizio degli edili, e dopo aver ribadito « che l’interesse dell’industria edilizia e dell’economia nazionale esige che si insista nel­l’affermazione della necessità di ridurre i salari », rimise la risoluzione della ver­tenza al governo 74. Si apriva così una nuova fase delle trattative, in cui le autorità esercitavano ogni pressione sull’Unione emancipatrice per farle accettare « la con­venienza e l’utilità della nomina di un arbitro, scelto dal Governo, con tutta obiettività » 75. Ma al tempo stesso il questore non mancava di chiarire alla Com­missione operaia recatasi a colloquio dalle autorità da che parte stessero i pubblici poteri in caso di « inconsulto sciopero »:

1°) avrei proibito i comizi (oltre che all’Orto Botanico — giacché non è il caso di tornare all’antico) anche quelli alla Casa del Popolo, perché essendo questa insufficiente a man­tenere tutta la massa operaia, non avrei potuto tollerare rigurgiti sulla pubblica via;

lo z io n e o p e r a i a r te m uraria -, L ’a g ita z io n e d e g li e d ili a R o m a c o n tr o la m in a c c ia ta r id u z io n e d e i sa la ri, « A v a n t i ! » , 12 g iugno 1923, L ’a g ita z io n e d e i m u r a to r i r o m a n i , « L a g iu s tiz ia » , 12 g iugno 1923, L 'a g i ta z io n e d e i m u r a to r i p e r il c a ro -v ita , « Il m essaggero », 12 g iugno 1923.71 L ’odg in A C S, b. 60, cit.72 Ib id .73 Si ved an o la re laz io n e di B ertin i a D e B o n o e al p re fe tto di R o m a d e ll’11 g iugno 1923 e il fo n o g ram m a de lla q u e stu ra n. 58004 dello stesso g io rno , ib id .74 L ’odg. in A C S, M in is te r o d e l l ’I n te r n o G a b in e t to d i S E il S o t to s e g r e ta r io O n . F in z i . O r d in e P u b b lic o (1 9 2 2 -1 9 2 4 ), b. 9, fase. 81.75 C fr. il ra p p o rto di B ertin i del 13 g iugno 1923, ib id .

Sulla classe operaia davanti al fascismo 29

2°) avrei dovuto bloccare e forse anche occupare la Casa del Popolo con la forza pub­blica, giacché è prevedibile che lo sciopero degenererebbe in contesa politica, onde la polizia aveva diritto di adottare tutte quelle misure preventive di sicurezza che credesse del caso a tutela debordine pubblico;3°) avrei arrestato il Comitato di agitazione, al primo accenno di disordini come primo responsabile della situazione creata 76.D’altra parte alla richiesta della commissione di autorizzare almeno un altro co­mizio per interpellare i lavoratori, il questore rispondeva con un secco rifiuto. Come massima concessione si sarebbe potuto tenere soltanto un referendum, i cui stampati avrebbero dovuto essere sottoposti ad un visto della questura prima della diffusione. Si chiariva così definitivamente quali fossero in realtà i propositi di « conciliazione » delle autorità, né deve sorprendere se la proposta reiterata di rimettere al governo la soluzione della vertenza (come tra l’altro sostenevano i costruttori) riuscisse poco credibile sia alla commissione operaia, sia alla « massa, la quale nella sua ignoranza, teme si nasconda qualche tranello, imbastito tra governo e imprenditori » 77. È appena il caso di aggiungere che la massa « nella sua ignoranza » — per usare le parole del questore — aveva intuito perfettamente quanto si stava preparando; infatti lo schema di arbitrato (predisposto dallo stesso Mussolini), se da un lato riconosceva che nella città di Roma i prezzi dei viveri avevano segnato dal maggio 1922 al maggio 1923 un notevole aumento78, che l’industria edilizia era a Roma in condizioni migliori che in molte città d’Italia dato « lo sviluppo edilizio assunto dalla capitale » ed aveva già usufruito di im­portanti agevolazioni legislative, dall’altro con una patente contraddizione soste­neva « che una diminuzione dei salari si impone all’industria edilizia romana », rimandandola di soli sei mesi, ed invitando nel contempo « gli operai edili a con­tinuare tranquillamente il loro lavoro perché solo la costruzione di nuove case potrà attenuare e quindi risolvere la grave crisi dell’abitazione » 79.Per parte sua la commissione operaia rendeva noto il 14 giugno un ordine del giorno in cui denunciava l’impossibilità tanto di consultare la classe edile per la proibizione di ogni comizio pubblico e privato quanto di attuare un referendum in queste condizioni, riaffermava la propria fedeltà ai deliberati del comizio del- 1’ 11 giugno, e ribadiva la richiesta della sospensiva di ogni riduzione delle paghe sino al momento in cui non si fosse verificata un’effettiva riduzione del costo

76 ib id .77 Dal rapporto di Bertini del 14 giugno 1923, in ACS, 1923, b. 60, cit.78 Nel 1923 cessò la pubblicazione di entrambe le serie di indici sul costo della vita riportate alla nota 67. Il governo predispose tuttavia in forma riservata un’indagine sulla base della serie dell’Ufficio municipale del lavoro di Roma, da cui risultò che l’indice del costo della vita per la famiglia operaia era aumentato non solo rispetto al maggio 1922 ma anche rispetto al febbraio 1923, giungendo nel maggio dello stesso anno a 448,98. Per i mesi successivi si dispone solo dell’indice dei prezzi medi nazionali di 21 generi alimentari, che passò da 541,6 a gennaio, a 523,8 a marzo, a 531,6 a giugno, a 513,8 a settembre, a 527,5 a dicembre, cfr. « Bollettino del lavoro e della Previdenza sociale », gennaio 1923-gennaio 1924. Tale andamento decrescente, sem­bra tuttavia smentito per Roma dai prezzi di alcuni generi di prima necessità nel 1923, che dal marzo al dicembre o rimasero stazionari (latte) o aumentarono considerevolmente (pane, riso, pasta comune, patate, carne bovina, burro, lardo, olio), cfr. il bollettino del Comune di Roma « Dati statistici », marzo-dicembre 1923. Nulla sappiamo invece sull’andamento dei prezzi dei generi non alimentari. Dalle elaborazioni di B. Barbieri risulta tuttavia tra il 1922 e il 1923 un aumento del relativo indice (1914 = 100) da 127,51 a 132,41, ed una lievissima diminuzione del­l’indice dei prezzi dei servizi (da 72,54 a 72,38). Sembra quindi confermata per Roma la tendenza all’aumento dei prezzi anche per l’anno 1923, cfr. benedetto barbieri, I c o n s u m i n e l p r im o s e ­c o lo d e l l 'u n i tà d 'I ta l ia 1 8 6 1 -1960 , Milano 1961, p. 205. Per l’indagine governativa del giugno 1923 cfr. ACS, G a b in e t to F in z i (1 9 2 2 -2 4 ), b. 9, fase. 81.79 II testo dell’arbitrato, firmato Mussolini e datato 16 giugno 1923, ib id .

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della v ita80. Veniva così a cadere la proposta di arbitrato da parte del governo, mentre i costruttori forti dell’appoggio delle autorità decidevano di riprendere l’iniziativa. Il 20 giugno l’assemblea degli imprenditori edili respingeva infatti un’ulteriore proposta conciliativa dell’Unione emancipatrice volta a prorogare le tariffe in vigore sino al marzo 1924 iniziando tuttavia dal 1° gennaio dello stesso anno le trattative per la revisione delle paghe81, ed invitava senz’altro le singole imprese « a pattuire direttamente con le proprie maestranze tariffe ed ogni altra condizione » a partire dal 25 giugno82. Si trattava di un evidente tentativo di annullare il contratto di lavoro esistente e di esautorare del tutto l’organizzazione di classe. Ma esso si rivelò immediatamente impraticabile, in quanto in tutti i cantieri dove si tentò di attuare riduzioni di salario, gli operai sospesero in massa il lavoro. Il 25 giugno entravano infatti in sciopero secondo le stesse statistiche della questura: i cantieri Del Bono e Sassaroli nel distretto di Prati; Mariani, Cozzi & Ferro, Guiccianti, Venuto, Rossi al Flaminio; Ponticelli, Grotta Perfetta a San Paolo; Istituto Case Popolari all’Appio; Pagani, Calderai a Porta Pia; Belloni nel rione Ponte, per un totale di oltre 1000 operai. Altri 700 edili dell’Impresa Cal­derai in via Antonio Nibbi, abbandonavano il lavoro in segno di solidarietà 83.Il profilarsi di uno sciopero di massa degli edili di Roma, con le connesse conse­guenze politiche e sociali, metteva nuovamente in allarme le autorità. Così mentre la questura provvedeva a far perquisire e respingere gli edili che si recavano alla Casa del Popolo, procedeva « al fermo di parecchi individui, di cui due dovranno rispondere di porto di coltello, uno di attentato alla libertà del lavoro, uno di oltraggio », svolgendo nel contempo una pesante azione di intimidazione contro Gigante e facendogli comprendere « tutta la severità con cui la polizia avrebbe agito, in caso di movimenti incomposti e inconsulti » 84, la prefettura cercava di favorire la ripresa delle trattative e di indurre i costruttori a prorogare la scadenza del vecchio contratto di lavoro. Veniva pertanto a cadere un’ulteriore manovra dei costruttori per stipulare un fittizio patto coi sindacati fascisti8S, e si apriva una nuova fase di incontri con l’Unione emancipatrice, nel corso dei quali gli indù- strali proponevano di concordare riduzioni di salario di lire 0,20 l’ora (1,60 al giorno) per i muratori, e di lire 0,30 l’ora (2,40 al giorno) per i manovali a partire dal 1° dicembre 1923. Da parte dell’Unione emancipatrice e del segretario della Camera del lavoro si respinse ogni disparità di trattamento tra manovali e mura­tori, e si propose in via conciliativa una riduzione di lire 0,10 l’ora uguale per tutti dal 1° gennaio al 31 marzo 1924, ferma restando la proroga a tutti gli effetti sino a quella data del contratto di lavoro esistente 86. La discussione si protrasse per oltre due settimane senza addivenire ad alcun risultato, poiché le posizioni tra le parti erano assai più distanti di quanto a prima vista potesse apparire. Come

80 L’odg. deH’Unione emancipatrice, in « Il piccolo », 15 giugno 1923.81 L’odg. in ACS, 1923, b. 60, cit.82 Cfr. il rapporto di Bertini del 21 giugno 1923, ib id .88 Cfr. la relazione di Bertini del 25 giugno 1923, ib id .84 Ib id .85 Cfr. G li in d u s tr ia l i e d ili s i a p p e lla n o a l c o m m . R o s s o n i , « Avanti! », 2 luglio 1923. Nel­l’Archivio centràle di stato è conservato uno schema di contratto tra il Sindacato fascista costrut­tori e il Sindacato fascista edili: esso proclamava la necessità di « valorizzare le capacità indivi­duali e quindi stabilire qualche maggiore differenza tra la maestranza e la manovalanza », fissava riduzioni salariali di L. 0,20 l’ora per i muratori, di L. 0,40 per gli apprendisti, e di L. 0,45 per i manovali, restando « in facoltà degli imprenditori aumentare le mercedi per affermare sempre più la valorizzazione individuale », stabiliva la nuova qualifica di « mastro di 2a classe », aboliva le ferie pagate, scioglieva le imprese da ogni responsabilità per l’appalto di lavori a cottimo (cot- timismo), cfr. ACS, G a b in e t to F in z i (1 9 2 2 -1 9 2 4 ), b. 9, fase. 81.86 Cfr. il rapporto di Bertini del 30 giugno 1923, in ACS, 1923, b. 60, cit.

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denunciava l’Unione emancipatrice in un comunicato successivo, le trattative « non approdarono a conclusione alcuna [per] l’intransigenza e l’ostinazione dei costrut­tori nel voler giungere al ribasso delle paghe da effettuarsi a dicembre qualunque fosse stata la situazione economica in quel mese. Non solo, ma non si garantiva nemmeno l’orario lavorativo e così pure la permanenza della Cassa di previdenza per i malati. È doveroso riconoscere che il Comitato delle trattative (sic) non poteva impegnarsi, dato che il costo della vita è aumentato, a sottoscrivere un patto per una situazione avvenire... » 87.In tali condizioni l’Unione emancipatrice decideva di convocare nuovamente a co­mizio la classe degli edili, ed in caso di un nuovo divieto da parte delle autorità, di ricorrere senz’altro alla lotta, proclamando lo sciopero generale in tutti i can­tieri di Roma. Si procedette pertanto alla formazione di un Comitato segreto di agitazione di tre membri (due dell’Unione emancipatrice ed uno della Camera del lavoro) e di altri cinque consimili comitati destinati a subentrare in caso di arresti, alla nomina di collettori in tutti i cantieri per la vigilanza, la raccolta delle no­tizie, il collegamento con gli organi dirigenti, ed infine alla creazione di un ufficio stampa incaricato di redigere bollettini quotidiani e di farli pervenire ai giornali. Si provvide quindi a stampare e a distribuire clandestinamente in tutti i cantieri per la mattina del 23 luglio il seguente manifestino:

L’intransigenza padronale sia nel voler imporre una diminuzione delle paghe, da effet­tuarsi a Dicembre p.v. come il mancato riconoscimento di tutte le conquiste morali, quali la Cassa di Previdenza e l’orario lavorativo, ci obbliga a denunciare alla classe tutta la critica situazione che senza indugio deve essere affrontata... Segnaliamo l’oscura manovra che farebbe trovare le maestranze e le manualanze nel colmo dell’inverno ad una prepa­rata reazione, alla falcidia più violenta delle paghe e delle altre maggiori conquiste fin’ora ottenute.Noi intendiamo che il contratto sia prorogato fino alla nuova stagione, epoca nella quale si riprenderà la discussione.Non possiamo, come la stessa massa non intende accettare riduzioni di paghe...Compagni Muratori,Al comunicato capestro dei costruttori rispondete compatti disertando i cantieri, da questa m attina Lunedì 23 luglio, dirigendovi alla Casa del Popolo, per assistere al Grande Co­mizio che dovrà decidere sul nostro atteggiamento. Qualora l’alleanza delle autorità con i padroni vorrà impedire la nostra protesta bloccando la Camera del Lavoro lo sciopero s’intende virtualmente proclamato... A llora gli operai si tratterranno nella zona dei propri cantieri, ove il Comitato d’agitazione farà pervenire, con Bollettino, le notizie inerenti il movimento e le disposizioni per gli scioperanti88.

I muratori romani risposero a questo appello con una mobilitazione davvero ecce­zionale:

D urante la notte erano stati consegnati ai collettori manifestini da gettarsi e distribuire nei cantieri. Qualche indiscrezione permise alla polizia di conoscere... l’intenzione dei mu­ratori... La Casa del Popolo era interamente circondata dalla forza pubblica e cavalleria, agli angoli delle vie adiacenti erano piazzate mitragliatrici e cannoncini da campagna. M algrado questo terribile apparato di forza gli operai avanzavano in colonna, cantando. Furono eseguiti oltre 130 arresti, gli operai erano bastonati, spinti sui camions e condotti alle carceri... Roma aveva risposto magnificamente all’appello, i cantieri erano deserti, nel centro della capitale oltre 20000 scioperanti circolavano per la città... Il Comitato diede ordine ai collettori di procedere all’inquadramento degli scioperanti per impedire il cru­miraggio. Prese tutte le disposizioni, si appartò colle sue vedette per vigilare e dirigere il movimento... Passivo della prima giornata: reazione violenta del Governo, colpito in pieno dal coraggio dei lavoratori romani, [s]ette membri del Comitato arrestati a domi-

87 Si veda il C o m u n ica to del C o m ita to d i ag itazio n e , in « L a voce rep u b b lic an a », 25 luglio 1923.88 II v o lan tin o d e ll’U n io n e e m an c ip a trice , in A C S, 1923, b. 60, cit.

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cibo, così pure tre della Camera del Lavoro. Gli altri dirigenti si salvarono allontanandosi essendo ricercati attivamente dalla polizia. 130 dei nostri migliori compagni arrestati fra gli scioperanti89.

Il quadro appena tracciato è confermato non solo dai resoconti dei giornali operai90, ma dagli stessi rapporti della questura. Sin dal mattino Bertini annunciava a De Bono e al prefetto che « fin d’ora può dirsi che lo sciopero si va delineando com­pleto » 91, ed a proposito delle misure di ordine pubblico predisposte comunicava:

La R. Questura ha finora proceduto all’arresto di 80 scioperanti — diversi per porto di coltello — altri per distribuzione non autorizzata di manifesti — altri per propaganda di astensione dal lavoro — altri infine perché sospetti di fomentare l’agitazione. Per questi ultimi si inizierà formale procedimento penale.Non è possibile permettere che un esiguo numero di muratori che ha nessuna voglia di lavorare, si imponga a migliaia di operai, che hanno famiglia, e che dal lavoro traggono la loro esistenza.Comunque, la Questura non solo non ha rilasciato alcun arrestato, ma proseguirà a fer­mare tutti i disoccupati non romani, che verranno subito rim patria ti92.

Dello stesso tenore erano i commenti sia dei quotidiani dichiaratamente fascisti, sia di quelli cosidetti « fiancheggiatori »: così non solo « Il popolo d’Italia », « L’idea nazionale », « Il piccolo », « Il nuovo paese », ma anche « Il giornale d’Italia », « La tribuna », il cattolico « L’Italia », si limitavano a riportare o a para­frasare i comunicati della questura93. Per parte sua «Il messaggero» cercava di nascondere ai propri lettori l’esistenza stessa di uno sciopero generale degli edili romani. In una posizione « neutrale » si collocavano invece il « Corriere della sera », che riferiva brevemente sugli avvenimenti e sull’attività di repressione della questura, ed « Il mondo » che tuttavia al termine dell’agitazione ospitava un’inter­vista al segretario della Camera del lavoro M artini94. Un sostegno costante ed incondizionato allo sciopero, con la pubblicazione di tutti i comunicati del Comi­tato d’agitazione e con fermi articoli di protesta contro l’operato della questura, veniva invece accordato — oltre che dall’« Avanti! » e da « La giustizia » — da « La voce repubblicana » 9S 96.

Lo sciopero proseguì compatto per un’intera settimana%, nonostante contro di esso si scatenasse la più violenta repressione della questura, che faceva presidiare da centinaia di carabinieri le adiacenze della Casa del popolo, procedeva ad oltre trecento arresti tra gli scioperanti e i sospetti, ed ordinava persino il « fermo di ciclisti e di persone in automobile che comunque dessero luogo a sospetto di svolgere azione per invitare le singole maestranze a non riprendere il lavoro » 97. Inoltre, si intensificava il rastrellamento degli scioperanti non romani ed il loro rimpatrio con foglio di via obbligatorio, con la speciosa motivazione che il loro stato di « disoccupati » li rendeva pericolosi per l’ordine pubblico. Una misura

89 L ’agitazione e lo sciopero dei muratori a Roma , c it., fo . 37.50 C fr. Ventimila operai edili in sciopero a Roma, « A v a n t i ! » , 24 luglio 1923, Lo sciopero dei muratori a Roma, « L a giustiz ia », 26 luglio 1923.91 C fr. il ra p p o r to n. 121 del 23 luglio 1923, in A C S, 1923, b. 60, cit.92 D al ra p p o rto di B ertin i e D e B ono del 23 luglio 1923, ibid.9:5 C fr. « II popo lo d ’Ita lia », 24 luglio 1923, « L ’idea n az io n a le », 25 luglio 1923, « Il p icco lo »,23-27 luglio 1923, « Il n u o v o paese », 24-27 luglio 1923, « Il g io rn a le d ’Ita lia », 24-26 luglio 1923,« L a tr ib u n a », 24-26 luglio 1923, « L ’Ita lia », 25 lug lio 1923.94 C fr. « C o rrie re della sera », 25-26 luglio 1923, « Il m o n d o », 25-26 luglio 1923.95 C fr. Ventimila operai edili proclamano lo sciopero, « L a voce rep u b b lic an a », 24 luglio 1923, Governo e polizia contro i muratori scioperanti, ivi, 26 luglio 1923, Come si giunse allo sciopero dei muratori. L ’ostinazione dei costruttori documentata, ivi, 28 luglio 1923.96 C fr. L ’agitazione e lo sciopero dei muratori a Roma, n o n c h é A C S, 1923, b. 60, c it., e i re socon ti d e ll’« A v an ti! », « L a g iustiz ia », « L a voce rep u b b lic an a ».97 D al C o m u n ica to de lla q u e stu ra del 25 luglio 1923, in « L a tr ib u n a », 26 luglio 1923.

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quest’ultima particolarmente odiosa, che tra l’altro riconsegnava decine di profughi politici « banditi » dai loro paesi nelle mani dei loro persecutori. Nello stesso tempo, il Collegio dei costruttori ed il Sindacato fascista costruttori, dopo una riunione tenuta assieme al prefetto, al segretario della Federazione sindacale fascista del Lazio avvocato Pirera, e al commissario straordinario del Fascio laziale Fari­nacci, decidevano di rimettersi alle « direttive e ai provvedimenti » di quest’ultimo per risolvere la vertenza 98. Il che suonava non solo come un ulteriore tentativo di esautorare l’Unione emancipatrice, ma anche come un minaccioso avvertimento. Ma tutto ciò non impediva all’Unione emancipatrice di proseguire la lotta ad oltranza, smentendo quotidianamente le false notizie sull’andamento dello sciopero diffuse ad arte dalla questura, incitando tutti gli scioperanti « affinché nel proprio rione vigilino e si tengano in continuo contatto tra di loro » 99 senza lasciarsi intimidire dalle minacce e dagli arresti, rivendicando il rilascio degli arrestati ed il diritto di riunione nella propria sede I0°. L’organizzazione operaia insisteva nel contempo, per motivi facilmente comprensibili, sul carattere esclusivamente sin­dacale della lotta in corso, e poneva come unica condizione per la risoluzione della vertenza la proroga del concordato sino al marzo 1924 dichiarandosi « di­spostissimi] a giungere al ribasso delle paghe ogni qual volta il costo della vita venisse a diminuire » 101.Si giungeva così alla fine della settimana, e per il Comitato di agitazione si poneva il problema se proseguire la lotta in condizioni sempre più difficili, o se sospen­derla dando mandato al Segretario della Camera del lavoro Martini di riprendere le trattative. Mentre quest’ultimo si incaricava di trasmettere alle autorità le condi­zioni richieste dal Comitato per la cessazione dello sciopero (rilascio degli arre­stati, garanzie contro eventuali rappresaglie alla ripresa del lavoro, riapertura delle trattative coi costruttori e proroga del contratto sino al marzo 1924), l’Unione emancipatrice, dopo aver consultato i lavoratori e gli organizzatori sindacali, lan­ciava un nuovo appello alla resistenza 102. Sembra a questo punto che Martini, che già nel corso delle trattative precedenti aveva sostenuto una linea più morbida nei confronti delle richieste dei costruttori103, abbia largamente abusato del man­dato ricevuto dall’Unione emancipatrice 104. Sta di fatto che il 28 luglio egli rag­giungeva un accordo con la controparte e le autorità che stabiliva la ripresa del lavoro in tutti i cantieri a partire dal giorno successivo alle condizioni stabilite dal vecchio concordato, l’impegno degli industriali ad astenersi da ogni rappre­saglia, il rilascio degli arrestati, la garanzia che nessuna azione penale sarebbe stata avviata contro il Comitato di agitazione, l’avvio di nuove trattative tra le parti10S. In seguito lo stesso Martini redigeva senza consultare il Comitato un ambiguo comunicato che faceva appello ai « poteri dello Stato a intervenire ener­gicamente per impedire che l’agitazione e lo sciopero conseguente sieno sfruttati dai datori di lavoro per proprio arricchimento, senza che il sacrificio richiesto agli operai ridondi a un beneficio per la collettività e ad un alleggerimento di costo

98 Cfr. « L’idea nazionale », 27 luglio 1923.99 Dal Comunicato del Comitato di agitazione del 26 luglio 1923, in « La giustizia », 27 lu­glio 1923.100 Cfr. « La voce repubblicana », 27 luglio 1923.101 lb id .1 0 2 L’appello in « La voce repubblicana », 29 luglio 1923.l°3 Si vedano il Comunicato della Camera del lavoro, in « La Giustizia », 28 luglio 1923 e l’in­tervista di Martini a « Il mondo », 29 luglio 1923.104 Cfr. L 'a g i ta z io n e e lo s c io p e r o d e i m u r a to r i a R o m a , cit., fo. 39-40.105 Cfr. L a f i n e d e l lo s c io p e r o d e i m u r a to r i r o m a n i , « La giustizia », 29 luglio 1923.

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dei lavori edilizi », e deliberava la cessazione dello sciopero 106. Non sembra dub­bio che ad influenzare l’iniziativa di Martini possano aver contribuito i più recenti indirizzi dei dirigenti confederali, recatisi proprio negli stessi giorni da Mussolini per discutere in merito alla « collaborazione tecnica » col governo. In ogni caso l’operato del segretario della Camera del lavoro fu sconfessato non solo daH’Unione emancipatrice ma anche dalla Commissione esecutiva camerale, tanto che egli dovette dimettersi dalla carica e lasciare il posto a Giuseppe Lucchetti, già segre­tario generale dei chimici.Dal campo opposto, la cessazione dello sciopero veniva interpretata come una completa vittoria del fronte antioperaio. « L’idea nazionale » plaudiva alla fer­mezza dimostrata dall’autorità nello schiacciare un movimento « subdolamente politico » 107; « Il nuovo paese » sottolineava tanto 1’« energico atteggiamento delle autorità le quali hanno impedito che ogni incidente anche minimo si verificasse », quanto la « inutilità di inscenare delle agitazioni il cui fondo economico riesce meno a celare una finalità politica dei capi non condivisa dalle masse » 108; ed « Il popolo d’Italia » denunciava « la propaganda subdola e insidiosa [che] a Roma si seguita a fare per mantenere in un continuo stato di ansia gli operai, non si sa bene a vantaggio di quali persone od associazioni » 109 * * *. Ed ancora più signifi­cativo appare il commento del questore, che non potrebbe meglio mettere in luce la politica del governo Mussolini nei confronti delle lotte operaie:

Lo sciopero dei muratori si è oggi chiuso e gli operai tutti sono tornati tranquillamente al lavoro. Questa agitazione che in altri tempi sarebbe stata causa di gravissime preoccu­pazioni, e di turbamento del ritmo normale della vita cittadina e dell’ordine pubblico, è stata questa volta trattata come una questione pura e semplice di polizia e sventrata quindi nella sua organizzazione, disorientata nelle sue direttive, frustrata nelle sue finalità. Peroché l’autorità di P.S. ha tenuto in ¡scacco la massa scioperante, ne ha impedita ogni riunione, rompendone la compagine e privandola di ogni direzione, con l’arresto dei componenti il comitato direttivo nonché di oltre 350 individui tra i più pericolosi no.In realtà, le speranze di una rapida e definitiva dissoluzione del fronte di classe degli edili romani sarebbero andate ben presto deluse. In primo luogo la lotta ap­pena conclusa e la grande mobilitazione di massa realizzatasi era valsa a mante­nere integro il concordato di lavoro che i costruttori avevano tentato più volte di annullare. In secondo luogo, la repressione violenta delle autorità, più che scom­paginare l’organizzazione dell’Unione emancipatrice m, aveva approfondito l’abisso che separava i lavoratori dal governo fascista. Già in un rapporto fiduciario redatto il 31 luglio, si poteva leggere che «è quasi impossibile che la classe muraria possa passare alle Corporazioni. Da tutto un complesso di cose, risulta il contegno ostile del proletariato romano verso il fascismo, e le adesioni avute sono fittizie e decorative » m. Ed a distanza di pochi giorni lo stesso fiduciario in un colloquio

106 Cfr. « La voce repubblicana », 29 luglio 1923.107 Cfr. L a f in e d i u n o s c io p e r o , « L’idea nazionale », 31 luglio 1923.108 Cfr. L o sc io p e r o d e i m u r a to r i , « Il nuovo paese », 1 agosto 1923.109 Cfr. Q u a lc h e v e r ità s u lla f in e d e llo s c io p e r o d e g li e d ili , « Il popolo d’Italia », 31 luglio 1923.HO Dalla relazione di Bertini del 30 luglio 1923, in ACS, 1923, b. 60, cit.in In un rapporto sindacale del Pedi del 14 dicembre 1923 leggiamo: « Il compromesso cape­stro,. come venne subito definito dagli operai, veniva a stroncare nel momento migliore la ma­gnifica resistenza della massa edile romana provocandone l’indignazione generale... Il compromesso firmato segnava purtroppo anche la disfatta degli operai i quali non riuscendo subito a distinguere le responsabilità del firmatario Martini dall’Ente rappresentato, cioè la C.d.L., abbandonarono in gran numero l’Organizzazione. La buona volontà dei nostri compagni riuscì a riparare in gran parte il disastro, riuscendo nuovamente a raggruppare attorno ad essa circa 400 soci », cfr. ACS, A t t i s e q u e s tr a t i a l P C d l (1 9 2 1 -1 9 2 6 ), se. 2, fase. 12, fo. 104-105.02 II rapporto, in ACS, 1923, b. 60, cit.

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col questore riassumeva in questi termini lo stato d’animo degli edili dopo la fine dello sciopero:

Semplicemente disastros[o]. Ma intendiamo: non disastros[o] nel senso che sia venuta meno la fiducia in tutti nella efficacia dello sciopero come arma e mezzo, ma sibbene nel senso che i dirigenti non abbiano assolutamente saputo impiegare, in questo momento, tale arma e nel senso che non abbiano avuto l’intuito della opportunità.Tutte queste cose la massa edile, semianalfabeta o analfabeta addirittura, non le dice con chiarezza, ma si rilevano dalle rozze espressioni del suo malcontento; malcontento infinito, grandissimo, irreparabile, ma non violento, ma non pessimistico, come di solito avviene in queste masse abitualmente irriflessive e ignoranti... E la ragione di questa attenuazione del... malcontento... deve ricercarsi nel fatto che, i rossi capoccia, hanno assai buon gioco nell’attribuire la clamorosa sconfitta toccata allo sciopero, = al fatto della resistenza del Governo Fascista e della polizia che da esso riceve gli imperativi ca­tegorici e la più assoluta libertà di reazione (sott. nel testo). Con queste precise frasi e con altre ancora, attraverso le quali vien dimostrato che l’attuale Governo = è il più feroce nemico del bene del proletariato = l’odio cieco e violento della massa sconfitta, sposta l’obbietto del suo rancore, dai capi che l’hanno guidata, in sobbollire sordamente contro il Governo, la polizia e tutti i poteri statali. Ecco perché se immenso e indubitabile mal­contento c’è nella classe edile, esso non si sferra che in una sola parte contro i suoi dirigenti, per riversarsi invece, nella maggior parte, contro il Governo e i suoi elementi subordinati.Questa è la psicologia esatta, o per dir meglio, lo stato d’animo attuale della classe edile. La quale, del resto, non manca di avere parole di fuoco contro = l’indegno e vile = ordine del giorno votato per la cessazione definitiva dello sciopero e contro la paura e irresolutezza dei capi, che, quell’ordine del giorno formularono 1B.Nei mesi successivi allo sciopero, all’unificazione delle due Camere del lavoro confederale e sindacale in un unico organismo 113 114 115, e allo scatenarsi di centinaia di licenziamenti politici tra i lavoratori delle Tranvie municipali colpevoli di non aver aderito al sindacato fascista us, fece riscontro nel campo dell’edilizia una fase di sostanziale tranquillità. Tuttavia già alla fine di settembre la Camera del lavoro denunciava il tentativo dei costruttori di ritardare al massimo la ripresa delle trat­tative alla stagione morta « per imporre le condizioni per loro più favorevoli » 116. E quando infine ripresero gli incontri tra le parti, i costruttori proposero all’Unio­ne emancipatrice la proroga del contratto sino al marzo 1924, ma al tempo stesso pretesero a partire da quella data riduzioni di paga di lire 0,20 l’ora per i muratori

113 Dal resoconto del colloquio, steso da Bertini il 10 agosto 1923, ib id . Preso atto di queste dichiarazioni, il questore raccomandava al fiduciario « di adoperarsi fortemente per un’opera di disgregazione e di discordia fra le masse operaie, specie quella edile (la più numerosa e la più rossa) ». Ne sarebbe derivato un progetto di fondazione di un sedicente settimanale operaio appa­rentemente apolitico ma in realtà finalizzato alla denigrazione personale dei dirigenti delle orga­nizzazioni di classe e alla diffusione tra i lavoratori di uno stato d’animo di passività e disillu­sione, le cui caratteristiche avrebbero dovuto essere: « a) giornale a generica tinta rossa, di sola critica oggettiva; b ) nessun accenno, nessuna critica, nessuna parola che riguardi neppure lonta­namente il Governo attuale, né alcuno dei suoi organi, nessuna lode però, perché allora l’altare sarebbe scoperto e l’azione del giornale perderebbe ogni efficacia; c) accenni soltanto vaghi, lon­tani, teorici, al lattemiele, ad una società futura molto idilliaca, assai lontana dalla realtà (tanto per mantenere il c a r a tte r e al giornale) ma che non siano d’attacco neppur lontano alla società borghese; d ) critica invece serrata, assidua, tenace a i p a r t i t i ro ss i. Cronaca operaia diffusissima, ma demolizione costante e viva dei caporioni socialisti e comunisti e anarchici... Cronaca ampia dei fatti sociali e commovente sempre...; e) diffusione massima in tutti gli ambienti operai; /) aper­tura di sottoscrizioni e di abbonamenti, per mascherare le fonti d’esistenza del giornale. Non verranno né le une né gli altri, perché i capi colpiti lo impediranno. Ma le une e gli altri s i in v e n ­te r a n n o ». II progetto in ACS, 1923, b. 60, cit.114 Cfr. L a fu s io n e d e lle C a m e r e d e l la v o r o d i R o m a , « Il sindacato rosso », 1 settembre 1923.115 Cfr. I tr a n v ie r i r o m a n i c o n tr o la r e a z io n e d e l C o n s. d ’A m m . fa s c is ta , « Il sindacato rosso », 24 novembre 1923.116 L ’o f fe n s iv a d e g li in d u s tr ia l i c o n tr o i m u r a to r i d i R o m a , « II sindacato rosso », 29 settem­bre 1923.

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e di lire 0,40 per i manovali. Si trattava di condizioni ancor più onerose di quelle già rifiutate dall’Unione emancipatrice nel mese di luglio, né deve sorprendere che all’assemblea generale dei muratori tenutasi il 25 novembre esse fossero una­nimemente respinte,17. Ma i costruttori non intendevano avviare alcuna seria trattativa, e puntavano invece ad uno scontro frontale e definitivo con l’organiz­zazione di classe. Non a caso, a distanza di pochi giorni, essi respingevano la richiesta deH’Unione emancipatrice di proroga del contratto al 31 marzo 1924 rompendo bruscamente le trattative, e decidendo di imporre unilateralmente nei cantieri la riduzione dei salari n8. In un comunicato diffuso dalla stampa all’inizio del nuovo anno, il Collegio dei costruttori rendeva così note le nuove tariffe che avrebbero dovuto entrare in vigore dal 7 gennaio U9. Il momento scelto per tale iniziativa appariva indubbiamente tra i più favorevoli. Come denunciava l’Unione emancipatrice:

[guadagnato il tempo necessario, cioè la stagione, si è attesa l’alleanza meteorica che con 15 giorni di pioggia di neve e di gelo ha ridotto il disgraziato lavoratore nelle più tristi condizioni finanziarie.Già dal Natale passato, onde affrettare il colpo, parecchi cantieri furono chiusi fino a nuovo ordine e messi in circolazione innumerevoli disoccupati, esercito di affamati che al primo tentativo di astensione dal lavoro si sarebbe gettato a capofitto a compiere in­consciamente il piano dei costruttori 12°.Ma al tempo stesso l’Unione emancipatrice riaffermava come l’incessante aumento del costo della vita e le difficili condizioni economiche dei lavoratori nei mesi invernali rendessero impossibile ogni riduzione dei salari, e chiamava nuovamente gli edili romani alla lotta:

Singolarmente le maestranze ogni giorno si rifiutano di accettare diminuzioni di paga e pur tuttavia si richiede insistentemente a noi Comitato di accettare riduzioni le auto­rità c’impediscono di prendere contatto con voi sia con comizii che attraverso assemblee, non possiamo dirvi dettagliatamente, come le diecine di riunioni siano tutte abortite nel nulla... Fino ad oggi la nostra resistenza ha impedito l’applicazione del salario capestro, questa è una prova inconfutabile che per vincere bisogna resistere. I costruttori potranno essere disingannati sul conto della massa, se credono proprio di aver partita vinta... La classe muraria non lascerà calpestare il suo diritto alla vita...Muratori di Roma! Il nostro Comitato ha vagliato ampiamente tutte le circostanze che potevano condurci ad un accordo. Per le vostre famiglie confessiamo non si possono accettare riduzioni di paghe in questi ùltimi tempi non si sono verificati nemmeno i più minimi ribassi sui generi di prima necessità... Voi vedrete che non sarà impossibile una ripresa dell’agitazione per la immutata ostinazione dei costruttori, i quali contano sul­l’appoggio dell’autorità governativa per mettere in atto il loro piano di affamare le nostre famiglie, e credono di aver vinto lo spirito di resistenza e la volontà della massa di lottare 117 118 119 120 121.

In effetti le autorità si apprestavano come già nel mese di luglio, a fornire un sostegno determinante all’offensiva dei costruttori: da una parte la prefettura, pur consigliando a questi ultimi di procedere con « ponderazione » e di dimostrare « piuttosto benevolenza che durezza » nel determinare le nuove tariffe 122, esercitava

117 Cfr. L ’a g ita z io n e d e i m u r a to r i r o m a n i , « Il sindacato rosso », 8 dicembre 1923.118 Cfr. i rapporti del prefetto Zoccoletti del 7 dicembre 1923 e del 20 dicembre 1923 inACS, 1923, b. 60, cit.119 Le nuove tariffe erano le seguenti: mastro muratore, mastro pontarolo, terrazziere arma­tore L. 3 l’ora; apprendista, aiuto muratore, pontarolo e burberante L. 2,60 l’ora; cariolante, terrazziere e calciarolo L. 2,45 l’ora; manovale L. 2,30 l’ora; garzone sotto i 18 anni L. 1,30 l’ora, cfr. C o m e s ì v o g lio n o a f fa m a r e g li ed ili, « La voce repubblicana », 5 gennaio 1924.120 Dal Comunicato dell’Unione emancipatrice dell’8 gennaio 1924, in « La voce repubbli­cana », 9 gennaio 1924.121 L’appello in « La voce repubblicana », 3 gennaio 1924.122 Dal fon. del prefetto del 31 dicembre 1923, in ACS, 1923, b. 60, cit.

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ogni pressione sull’Unione emancipatrice per farle accettare la riduzione dei salari, dall’altra la questura impediva agli operai di riunirsi in assemblea, ed in previsione di un eventuale sciopero ordinava agli organi competenti di « stroncare sul nascere con ogni energia e col massimo rigore questo subdolo movimento, procedendosi in qualsiasi circostanza a larghissimi arresti e dando in qualsiasi momento la sen­sazione che l’Autorità di P.S. ha il fermo proposito di impedire qualsiasi violenza e tutelare ad ogni costo l’ordine pubblico » 123 124.Il 5 gennaio per la verità vi era stata un’ambigua iniziativa della Federazione sindacale fascista, rimasta sino a quel momento del tutto estranea alla vertenza. Quest’ultima emanava un comunicato in cui, dopo aver affermato che allo stesso modo in cui in passato aveva « ritenuto di dovere intervenire in casi consimili in cui sconsigliatamente gli operai pretendevano di imporre con lo sciopero le loro condizioni senza avere prima esauriti tutti i mezzi possibili per addivenire a pa­cifiche soluzioni », così sentiva il dovere « di agire perché venga ripreso il corso normale delle trattative, anche ad evitare che la tensione degli animi e l’atteggia­mento formale delle parti portino ad altri fatti sindacali che turbino l’andamento della produzione », chiedeva ai costruttori di ripristinare le tariffe già in vigore e invitava il prefetto ad un « autorevole intervento » per la ripresa degli incontri tra le parti « partecipandovi anche Í sindacati fascisti » m . Il comunicato evitava di pronunciarsi nel merito della questione controversa, criticava i costruttori solo per il metodo adottato per la riduzione delle tariffe, tendeva ad assicurare al sinda­cato fascista uno spazio di mediazione e un potere contrattuale fittizio. E non a caso il prefetto, nel convocare le parti per la ripresa delle trattative, non solo poneva come condizione la presenza del sindacato fascista, ma comunicava anche al Segretario della Camera del lavoro che « se l’Unione emancipatrice fosse inter­venuta alla riunione doveva rinunciare senz’altro alla pregiudiziale di non accet­tare diminuzioni di salari e dichiarare che non si sarebbe opposta ad una riduzione anche minima delle paghe » 125. La risposta delle organizzazioni di classe fu per­tanto negativa su entrambe le questioni. D’altra parte, mentre il prefetto vietava nuovamente la convocazione di un’assemblea dei muratori anche frazionata in due turni, i costruttori rifiutavano un’ulteriore proposta dell’Unione emancipatrice di riesaminare l’intera questione a metà febbraio, nell’ambito del rinnovo del con­tratto di lavoro 126. Di fronte a questa situazione, l’Unione emancipatrice decideva di proclamare lo sciopero generale degli edili dall’8 gennaio:

Ventimila operai d’arte muraria — si leggeva in un volantino stampato clandestinamente — dopo sette mesi di continue e infruttuose trattative, sono costretti per la seconda volta, a rifiutarsi di dare la loro prestazione di mano d’opera ai costruttori edili, per difendere il loro diritto alla vita... A costo di maggiori sacrifici e per difendere le ultime briciole della nostra esistenza abbiamo proclamato lo sciopero.Lavoratori di tutte le categorie!Le giornate lavorative dei muratori durante l’anno sono limitatissime e non consentono altre riduzioni, pensate ancora che la sconfitta nostra sarà certamente l’inizio della fal­cidia generale dei salari di tutte le altre categorie di mestiere.Pertanto occorre che tutti i lavoratori e tutti gli onesti fiancheggino e aiutino come pos­sono questa santa battaglia contro gli affamatori e gli sfruttatori degli operai.Proletari di ogni fede politica!

123 I s t r u z io n i im p a r t i te a i S ig g . C o m m is s a r i , in data 7 gennaio 1924, in ACS, M in . I n t . D G P S , 1924, b. 55, fase. R o m a - A g i ta z io n e o p e r a i ed ili.124 Cfr. « L’idea nazionale », 6 gennaio 1924.■25 Dall’intervista di G. Lucchetti a « Il nuovo paese », 9 gennaio 1924. Si veda anche il Comunicato dell’Unione emancipatrice, in « La voce repubblicana », 12 gennaio 1924.’26 Cfr. .« La voce repubblicana », 8 gennaio 1924.

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Il diritto alla vita è sacro e inviolabile, difendete questo vostro diritto con ogni mezzo, nessuno escluso 127.La proclamazione dello sciopero non mancò di suscitare la più brutale reazione di classe da parte delle autorità:

Nessun comizio o riunione dovrà essere consentitilo] alia Casa del Popolo od altrove. Il divieto deve essere fatto osservare nel modo più assoluto ed impiegando la massima energia.Mentre, quindi, i Sigg. Commissari sezionali tutti, vorranno disporre nelle sale ove so­gliono avvenire adunanze operaie, nelle piazze più importanti, e sui cantieri, servizi di osservazione per impedire riunioni di sorpresa, i Sigg. Commissari di Monti e Celio di­sporranno attento servizio di vigilanza sulla Casa del Popolo, sull’Orto Botanico ed adia­cenze. In caso di afflusso di scioperanti, sono autorizzati a bloccare la Casa del Popolo per impedirne l’accesso a chicchesia, mentre non tollereranno assembramenti nelle pub­bliche strade. Coloro che dovessero mostrarsi riottosi, o comunque non ossequienti alle intimazioni delle Autorità, dovranno essere fermati, ed inviati al Carcere, senz’altro, a mia disposizione.La libertà del lavoro dovrà essere ad ogni costo tutelata. Qualsiasi atto illegale sarà ener­gicamente represso, con l’arresto dei responsabili e conseguente denuncia all’Autorità Giu­diziaria.La vigilanza nei cantieri verrà esercitata in modo continuativo, col maggior numero pos­sibile di agenti della forza pubblica e integrato da altro servizio di collegamento da ese­guirsi in camion, affinché rapidamente ed efficacemente possano essere percorse le zone nelle quali si trovano i cantieri. Nei pressi di questi non dovrà tollerarsi la presenza di scioperanti o di altre persone che comunque possano esercitare opera di intimidazione sia pure semplicemente morale.Le dette persone e le altre, in qualsiasi modo sospette, dovranno essere fermate ed inviate al Carcere, a mia disposizione. Non sarà consentita la distribuzione di qualsiasi manifesto, e si procederà quindi in modo rigoroso, al sequestro degli stampati ed al fermo di coloro che fossero colti a distribuirli.Operai forestieri che dovessero partecipare allo sciopero, divenendo elementi pericolosi, per lo stesso fatto della volontaria disoccupazione, dovranno essere arrestati ed inviati al Carcere, per ulteriori provvedimenti di rimpatrio.In una parola, è necessario che dal primo momento si dia la sensazione che le autorità non sono disposte a tolleranze di sorta, e che invece intendono avvalersi di tutti i mezzi a disposizione per tutelare, nel modo più assoluto ed energico, l’ordine pubblico e la libertà del lavoro 128.Riduzione stagionale dell’attività edilizia, disoccupazione, mancanza di mezzi fi­nanziari, repressione delle più elementari libertà sindacali, tutti questi fattori ren­devano l’organizzazione dello sciopero ben più difficile che nel luglio 1923. E tuttavia attorno ad esso si andava creando un clima generale di solidarietà che finì col coinvolgere le forze e le correnti di opinione più diverse. Non solo infatti « l’Avanti! », « La giustizia », « La voce repubblicana », ma anche quotidiani inso­spettabili come « La tribuna », « Il giornale d’Italia », « Il nuovo paese », sosten­nero, sia pure con accenti diversi, le ragioni degli operai e denunciarono l’inam- missibilità delle pretese dei costruttori. Così « Il giornale d’Italia », pur invitando i lavoratori a liberarsi dai « mestatori » e dai « demagoghi » per meglio difendere le loro « giuste e sante cause », e pur appellandosi a Mussolini perché dirimesse preoccupandosi del « bene di chi lavora ed ha il diritto di vivere » la vertenza, definiva disumano il « voler iniziare la diminuzione delle tariffe proprio ai danni di una classe operaia la quale lavora si e no duecento giorni all’anno, dovendo sospendere ogni attività nei mesi invernali » m. E « La tribuna » osservava che

127 L’appello in ACS, 1924, b. 55, cit.128 Dall’ordine di servizio n. 6 del gennaio 1924 della questura di Roma, in ACS, M in . I n i . D G P S , 1924, b. 55, fase. O rd in a n z e d i s e r v iz io p e r tu te la o r d in e p u b b lic o n e lla c a p ita le . P a r te 1 (g e n n a io -m a g g io 1924).129 L o sc io p e r o d e i m u r a to r i , « Il giornale d’Italia », 10 gennaio 1924.

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« l’industria edilizia è tra le uniche forse che non ha subito il contraccolpo della generale crisi economica successiva alla guerra», ed aggiungeva che si era «pur anche verificato un ribasso sui costi di diversi generi di materiale edilizio, mentre le costruzioni seguitano ad avere dei prezzi sostenutissimi » 13°. Ma ancor più sorprendente era l’atteggiamento de « Il nuovo paese », che non solo riportava i comunicati dell’Unione emancipatrice ed ospitava un’intervista a Giuseppe Luc­chetti, ma attribuiva la responsabilità dello sciopero alla « inopportuna ed inumana mossa degli imprenditori », definiva « giusta ed equa » la posizione delle orga­nizzazioni operaie, e non mancava di polemizzare con l’atteggiamento filopadronale delle autorità 130 131. Dal campo opposto « La voce repubblicana » definiva la mossa dei costruttori « un maligno ricatto di cui anche certi avidi speculatori dovrebbero vergognarsi » e la riduzione dei salari « un superguadagno che i costruttori vogliono intascare approfittando della situazione politica che ha tolto ai lavoratori ogni mezzo di difesa » 132. Infine anche il sindacato bianco inviava una lettera a Mus­solini, in cui si sosteneva che a causa dell’enorme costo della vita non era possi­bile « pur con tutta la buona volontà accettare un qualsiasi ribasso delle paghe in vigore » I33.

L’andamento dello sciopero dei muratori fu assai meno univoco ed esaltante di quello precedente del luglio 1923. Accanto alle condizioni difficilissime sopra ricordate, va tenuto presente che nei primi giorni da parte della maggioranza delle imprese si soprassedette, al fine di disgregare la lotta in corso, ad una immediata riduzione dei salari 134. Lo sciopero riuscì pertanto compatto solo nei cantieri dove i salari erano stati decurtati. Secondo i dati della questura, che appaiono tuttavia inferiori alla realtà, su una massa di circa 8000 operai distribuiti su 238 cantieri, se ne astennero dal lavoro circa 1400 l’8 gennaio, mentre il giorno precedente si erano verificati svariati scioperi spontanei 13S. Secondo il Segretario della Camera del lavoro, gli operai scioperanti ammontavano invece a 2/3 del totale. Nel giorno successivo i cantieri rimasero pressoché deserti a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Ma già il terzo giorno la percentuale degli scioperanti era notevol­mente aumentata: mentre la questura comunicava che 5200 operai si erano recati al lavoro, l’Unione emancipatrice denunciava la falsità di queste cifre e sosteneva che « alla terza giornata di sciopero la classe è ormai completamente assente dai cantieri » 136. Il bilancio della repressione dei primi tre giorni di sciopero era co­munque pesante. Fin dall’8 gennaio si era proceduto « nei vari cantieri... all’arresto di una trentina di persone », di cui 15 denunciate per « attentati alla libertà del lavoro » e le altre trattenute in carcere in quanto « elementi comunisti, turbolenti, sobillatori dello sciopero » 137 138. Ed il giorno successivo l’attività di « severa vigi­lanza » della questura era proseguita senza soste. Mentre si procedeva a rastrella­menti su larga scala per intimorire gli scioperanti, si provvedeva ad occupare mili­tarmente le vie di accesso alla Casa del popolo ed a trarre in arresto gli operai che vi si recavano 13s. Ciò non impediva ad un gruppo di fascisti di penetrare indi-

130 L a vertenza d e g li e d i l i , « La tribuna », 6 gennaio 1924.131 Cfr. « Il nuovo paese », 5-11 gennaio 1924.132 l m u r a to r i p r o c la m a n o lo s c io p e r o , « La voce repubblicana », 9 gennaio 1924.133 La lettera in « La voce repubblicana », 11 gennaio 1924.134 Cfr. ACS, 1924, b. 55, cit.135 Cfr. il fon. della questura dell’8 gennaio 1924, ib id .136 Per i dati della questura il fon. del 10 gennaio 1924, ibid., per l’Unione emancipatriceil Comunicato in « La voce repubblicana », 11 gennaio 1924.131 Cfr. il fon. della questura dell’8 gennaio 1924, in ACS, 1924, b. 55, cit.138 Cfr. -« Il nuovo paese », 9 gennaio 1924.

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sturbati al suo interno, devastando la sede dell’Unione socialista romana, da essi erroneamente scambiata per quella dell’Unione emancipatrice I39. Infine la sera del 10 gennaio venivano arrestati, mentre si recavano a una riunione, i militanti comu­nisti Edoardo e Valentino Procario, Pietro Rosselli, Celestino Ballico, Egisto Sartori, Cesare Massimi, Antonino Poce, e si procedeva al sequestro di 4000 manifestini e di 2200 lire per le spese dell’agitazione 14°. Gli arrestati ammontavano così com­plessivamente a 44.Nei giorni successivi tuttavia, né la repressione, né la direttiva di intensificare « la vigilanza su quei cantieri ove nella spirante settimana si è lavorato a salario ridotto... sia per intervenire prontamente nel caso di contestazioni vivaci, sia per disperdere gruppi di operai che fornissero comunque ragioni di sospetto, particolarmente se essi dovessero dirigersi verso il centro della città » 141, né i trionfalistici comunicati della questura che davano l’agitazione per esaurita, impedivano allo sciopero di estendersi. Da una statistica effettuata da «La voce repubblicana» l’i l gennaio, risultavano i seguenti dati:

In Piazza d’Armi su 26 villini con circa 200 operai ne lavorano appena 25; ai Polverini su 22 fabbricati di circa 180 operai lavorano 30 non romani; al nuovo Ministero della M arina astensione completa (180 operai); sulla via Flaminia in due fabbricati, in uno lavorano 10 carpentieri e nell’altro lavorano tutti alle vecchie tariffe; in via Arno asten­sione completa; in via Po su due fabbricati lavorano soltanto coloro che... confezionano la colla! In via Alberigo in un cantiere di circa 120 operai ne lavorano soltanto 10; al viale dei Parioli, cantiere di 8 fabbricati, su cinque astensione completa e qualche operaio sugli altri tre; in via Gaspare Spontini di due fabbricati, in u n [o ] astensione completa; in via Nomentana astensione; alla Barriera Nomentana su 40 operai ne lavorano quattro; in via Domenico Cimarosa astensione completa; in via G aetano Donizzetti astensione com­pleta in un cantiere e pochi operai nell’altro; nel gruppo di villini in via Giovanni Paisiello lavorano 20 operai; in via Mercadante lavorano appena 8 operai; alla città G iar­dini lavorano soltanto gli iscritti ai Sindacati fascisti; a S. Carlo al Corso lavoro parziale con le vecchie tariffe; a Montecitorio lavorano soltanto 10 operai.Dunque su 90 cantieri abbiamo in 60 astensione, 23 lavoro parziale, e 8 lavoro completo, la metà dei quali senza riduzione dei sa la ri142.

D’altra parte la stessa questura doveva riconoscere il 14 gennaio che « si è notata stamane una più accentuata astensione dal lavoro, sicché può calcolarsi che ab­biano disertato i cantieri una percentuale del 20 per cento circa » 143. Ben altre erano invece le cifre fornite dagli organi d’informazione: non solo 1’« Avanti!», « La giustizia », « La voce repubblicana » sostenevano che l’astensione dal lavoro aveva raggiunto l’80-90 per cento 144, ma anche « Il giornale d’Italia », « Il nuovo paese » rilevavano che lo sciopero si andava considerevolmente estendendo 14S, men­tre « La tribuna » forniva il quadro seguente: « Lo sciopero prosegue. Si è notato da oggi un notevole aumento dell’astensione dal lavoro nei cantieri a Monte Mario, di via Andrea Doria, di via Tommaso Campanella, Garbatella, via del Commercio, Magazzini generali di S. Paolo, S. Saba, via Lorenzo Ghiberti, via Bodoni, via Aldo Manuzio, via Torricelli, via Amerigo Vespucci, del viale del Re, in via Are­nula, via Rieti, via Spezia, via Appia Nuova, via Etruria, Porta Metronia: I’asten-

139 C fr. Lo sciopero dei muratori, « L a voce rep u b b lic an a », 10 gen n aio 1924.140 C fr. il ra p p o rto della q u e stu ra del 10 g ennaio 1924, in A C S, 1924, b. 55, cit.141 D a ll’o rd in e di serv izio della q u e stu ra d e ll’ 11 gennaio 1924, ibid.142 C fr. « L a voce rep u b b lican a », 12 gen n aio 1924.l « D a ll’o rd in e di servizio de lla q u e stu ra del 14 gennaio 1924, in A C S, 1924, b. 55, cit.144 C fr. « A v an ti! », 13-16 g ennaio 1924, « L a giustizia », 13-15 gen n aio 1924, « L a vocerep u b b lican a », 13-17 g ennaio 1924.MS C fr. « Il g io rn a le d ’Ita lia », 13 gennaio 1924, « Il nuo v o paese », 15 g ennaio 1924.

sione supera l’80 per cento. Lavorano coloro ai quali gli industriali concedono le vecchie tariffe » 146.La ragione principale dell’estensione dello sciopero va ricercata nel fatto che al termine della settimana precedente in numerosi cantieri era stata effettuata la ridu­zione dei salari, secondo le indicazioni di un preciso ordine del giorno del Collegio dei costruttori che ribadiva — in contrasto con quanto vantava il sindacato fasci­sta 147 148 — l’invito ad applicare le tariffe ridotte ed il rifiuto di ogni trattrativa « sotto la pressione dello sciopero inconsultamente proclamato dall’Unione emancipa­trice » 14S. L’organizzazione di classe rinnovava così i suoi appelli alla resistenza:

I costruttori attendono la fine della settimana per cantare vittoria. Poiché essi pensano che gli edili non possono resistere a lungo e che lunedì torneranno supini e sconfitti al lavoro accettando tariffe di fame e l’umiliazione più atroce... [P]ure in mezzo a difficoltà enormi, gli operai muratori di Roma resisteranno a lungo prima che i loro affamatori riescano piegarli.Senza contatti con gli organi direttivi, senza potersi avvicinare presso la sede della loro organizzazione, con l’arresto già avvenuto, degli elementi migliori che tutto diedero e continueranno a dare per la propria organizzazione di classe, pure la fermezza e la vo­lontà della massa non è venuta a mancare e non difetterà per l’avvenire 149 150.Ed ancora:

Muratori di Roma! Scioperanti! I costruttori sono più che mai decisi a non trattare con voi e contano sulla vostra stanchezza, perché lo sciopero finisca per esaurimento. L’auto­rità con la sua politica di reazione tendente a spezzarlo con arresti arbitrari, spalleggia e conforta i costruttori nella loro volontà di resistenza... Persone interessate raccolgono la voce del padronato e seminano fra noi la sfiducia sull’andamento e sull’esito della lotta. Lavoratori! Ormai la decisione della vertenza dipende solamente da voi. Non potete lasciarvi vincere senza con ciò accettare le riduzioni che vi affamano. La lotta deve essere proseguita con energia e con fede, se occorre un’altra settimana. Siate esempio al prole­tariato romano di salda coscienza di volontà e di vittoria I5°.Ma a lungo andare, le difficoltà estreme della lotta e l’assenza di ogni sbocco positivo per la vertenza, non potevano non prevalere sulla volontà di resistenza degli edili romani. A partire dal 15 gennaio si assisteva così ad un progressivo sfaldamento della lotta e ad una sempre più accentuata ripresa del lavoro. Il 18 gennaio il Comitato di agitazione decideva di affidare la direzione del movimento alla Camera del lavoro, ed il giorno successivo i due organismi ordinavano la ripresa del lavoro con un ordine del giorno che riconosceva « senza infingimenti la sconfitta subita », ma ribadiva che né la Camera del lavoro né l’Unione eman­cipatrice avevano preso impegno alcuno coi costruttori e si riservavano quindi il

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146 L o s c io p e r o d e i m u r a to r i , « La tribuna », 15 gennaio 1924.147 La linea adottata dal sindacato fascista dopo la mancata riunione in prefettura era stata di attribuire all’Unione emancipatrice « la gravissima responsabilità di precludere senz’altro la via ad una pacifica composizione delia vertenza » abbandonandosi a « forme inconsulte ed inutili di agitazione ». 11 sindacato fascista aveva anche diffuso la falsa notizia che i costruttori avevano aderito alla proposta di sospendere la riduzione delle paghe, ed aveva sconfessato lo sciopero invitando i propri soci a rimanere estranei ad un’agitazione « sviluppatasi in contrasto con i metodi del sindacalismo fascista », cfr. i Comunicati pubblicati in « Il nuovo paese », 9 gennaio 1924, « L ’idea nazionale», 16 gennaio, e l’intervista all’avv. Pirera in «Il nuovo paese», 11 gen­naio 1924.148 L’odg. in « Il nuovo paese », 9 gennaio 1924. Riguardo alla riunione in prefettura esso ricordava che i costruttori avevano espresso parere favorevole alla ripresa delle trattative, ma che non intendevano con questo « recedere dalla deliberazione già presa di applicare col 7 gen­naio la nuova tariffa ridotta », sino al raggiungimento di un accordo consono ai principi da essi sostenuti.149 Dal Comunicato del 12 gennaio 1924, in « La voce repubblicana », 13 gennaio 1924.150 Dal Comunicato del 16 gennaio 1924, in « La voce repubblicana », 17 gennaio 1924.

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diritto di chiamare ancora gli operai alla lotta « quando e come crederanno oppor­tuno » 151.Sulla sconfitta dei lavoratori e delle loro organizzazioni di classe prendeva invece avvio un nuovo rapporto privilegiato tra il padronato e il sindacato fascista. Già l’i l gennaio si era svolto presso la Confìndustria un «amichevole colloquio» tra il Collegio dei costruttori e il sindacato fascista, in cui era stata ribadita da entrambe le parti la sconfessione dell’agitazione in corso. In seguito il 18 gennaio si teneva in prefettura, con la partecipazione dello stesso Rossoni, una nuova riunione in cui si stabiliva, estromettendo del tutto l’Unione emancipatrice, l’entità delle riduzioni salariali da imporre agli operai 152. A distanza di diversi mesi le stesse organizzazioni avrebbero stipulato un nuovo contratto di lavoro che sanciva la riduzione dell’indennità per il lavoro straordinario e festivo nella misura dell’80 per cento e del 50 per cento rispetto al passato, l’estromissione dell’Unione eman­cipatrice dalla Cassa di previdenza, l’ammissibilità del lavoro a cottimo al di là delle precedenti limitazioni, l’inasprimento della disciplina interna 153. Un contratto che meglio non avrebbe potuto sancire l’azione di fiancheggiamento all’offensiva padronale contro le conquiste raggiunte dai lavoratori svolta dal sindacato fascista:

Il Sindacato Fascista — denunciava l’Unione emancipatrice — com’è del resto suo com­pito, ha tradito la classe operaia col rinunciare ad ogni opposizione di principio alle riduzioni dei salari; coll’intervento durante la vertenza, a favore dei costruttori, col rico­noscimento arbitrario che l’industria non poteva ulteriormente sopportare le vecchie paghe...; soprattutto coll’accettare la scadenza del 31 dicembre.L’U.E. indica agli operai qual è la strada da seguire: raccogliersi sempre più per difen­dere gl’interessi e le istituzioni della massa edile, per sventare l’offensiva combinata dei costruttori e dei fascisti, di cui il patto da essi conchiuso non è [che] il primo signifi­cante e gravissimo episodio. Operai vegliate, preparatevi a contrastare ai nemici colle­gati passo per passo il terreno. Così costoro si accorgeranno di avere stretto il patto d’infamia senza tener conto della volontà dei lavoratori, che saprà opporre alle loro manovre la propria tenacia e vittoriosa resistenza 154.I mesi che seguirono furono assai duri per la classe edile romana. I costruttori potevano legittimamente ritenere di aver regolato i conti con l’Unione emancipa­trice, ed il sindacato fascista non mancava di rallegrarsi dello sbandamento che la sconfitta dello sciopero aveva provocato nell’organizzazione di classe 1SS. Ma queste speranze dovevano andare ancora deluse. L’Unione emancipatrice riusciva infatti non solo a sopravvivere, ma a sviluppare una rete organizzativa decentrata basata su gruppi sindacali di zona a livello territoriale 156. Nello stesso tempo, l’im­patto con la repressione di classe delle autorità dello stato a sostegno del padronato, contribuiva a radicalizzare e a dare un carattere sempre più politico all’opposizione degli edili romani al governo fascista. Già in occasione del 1° Maggio 1924, mal­grado le centinaia di arresti e di perquisizioni, la grande maggioranza degli edili di Roma, accogliendo un appello dell’Unione emancipatrice 157, si asteneva dal la-

151 II Comunicato in « La voce repubblicana », 20 gennaio 1924.152 Per queste riunioni cfr. ACS, 1924, b. 55, cit. Le nuove tariffe erano le seguenti: mastro muratore, mastro pontarolo, terrazziere armatore L. 3,10 l’ora; apprendista muratore, aiuto mu­ratore, pontarolo, burberante L. 2,65 l’ora; cariolante, calciarolo, manovale, L. 2,55 l’ora; gar­zone (sotto i 18 anni) L. 1,40 l’ora. Per il testo dell’accordo, cfr. ibid. La scadenza del contratto era inoltre spostata al 31 dicembre 1924, nel periodo cioè di maggiore disoccupazione e debo­lezza sindacale della categoria.153154155156157

Cfr. « Bollettino del lavoro e della Previdenza sociale », maggio-giugno 1924, pp. 569-70. L ’appello in « La voce repubblicana », 22 gennaio 1924.Cfr. Gli edili e i fornaciai, « L’idea nazionale », 1 febbraio 1924.Cfr. a.l., Le esperienze degli edili romani, « Il sindacato rosso », 15 marzo 1924. L’appello in « l’Unità », 27 aprile 1924.

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voro 15s. In seguito, subito dopo il delitto Matteotti, erano ancora gli edili i prota­gonisti della mobilitazione antifascista della classe operaia romana 158 159. Le ripetute intimidazioni ed aggressioni di cui fu oggetto Vincenzo Gigante, non impedirono all’Unione emancipatrice di continuare ad esistere. Già in occasione del 1° Maggio il questore, nel lamentare la possibilità di astensioni dal lavoro nei cantieri, notava che la categoria degli operai dell’arte muraria era « rimasta pressoché impenetrabile alla propaganda nazionale svolta dai Sindacati Fascisti » 16°. Ed ancora all’inizio del 1925 il questore di Roma scriveva:

La classe dei muratori è la più numerosa della Capitale e la più pronta a movimenti di piazza, perché composta nella gran parte, di elementi sovversivi con tendenze estremiste. Detta categoria, meno che le altre, è stata qui accessibile alla propaganda fascista e scarsissimo seguito hanno avuto infatti ed hanno i Sindacati dell’arte edile aderenti alle corporazioni fasciste.Il movimento dei muratori è fomentato dai più fantaici anarchici e comunisti, i quali credono di vedere una favorevole occasione per effettuare dimostrazioni di forze sovver­sive, ed affermazioni antifasciste 161.Alla fine di novembre, in previsione della scadenza del contratto di lavoro, l’Unio­ne emancipatrice convocava una nuova assemblea generale dei soci in cui prote­stava contro i tentativi di cancellare l’orario di otto ore e contro l’appropriazione del sindacato fascista della Cassa di previdenza, rivendicando che tale istituzione fosse « amministrata per quel che riguarda la rappresentanza operaia, da persone che ne siano degne moralmente e che riscuotano la fiducia della classe » 162. E nel mese successivo lanciava una vasta campagna contro il carovita, distribuendo clan­destinamente migliaia di volantini che rappresentavano un atto di accusa contro i costruttori, ma anche e soprattutto una denuncia della natura di classe del governo fascista:

Compagni Lavoratori,... nello scorso anno... [g]li imprenditori ed i fascisti si accordarono ai danni della massa operaia escludendola dalle dirette trattative. Oggi noi ci ritroviamo nelle identiche con­dizioni; si discute del vostro pane e del vostro avvenire in vostra assenza e con elementi politici che a base della loro attività e del loro programma è la rovina e la schiavitù economica e politica della massa operaia. L’Unione emancipatrice sosterrà il vostro diritto ma non deve mancare ad essa la solidarietà, l’ausilio attivo [e] cosciente di tutti gli edili che sanno molto bene come la Unione emancipatrice non ha mai spiegata la sua bandiera nemmeno nei momenti di più nera reazione di fronte al capitalismo coaliz­zato... Bisogna impedire a qualunque costo... che falsi organismi sindacali si ergano a tutelatori dei vost[r]i interessi e decidano della nostra e della vostra sorte. La vita è in continuo rialzo, il pane unico alimento delle nostre famiglie aumenta di giorno in giorno, non parliamo poi del crescere vertiginoso di tutti gli altri alimenti di prima necessità e del costo sempre più impossibile delle abitazioni... Alcune conquiste ottenute con sacrifici di tutti noi attraverso anni ed epiche lotte sono stat[e] completamente an­nullale] dal patto di lavoro fascista che ci fu imposto l’anno scorso... Oggi è necessario nel nostro interesse che non si ripeta tale sopraffazione... L’unica organizzazione che ha diritto di ritenersi come vera rappresentante di tutta la categoria come per il passato è l’Unione emancipatrice perché essa sola sa di rappresentare il vostro pensiero ed i vostri bisogni, per le innumerevoli prove di devozione e di attaccamento ad essa di cui tutta la massa ha dato sempre prova anche nei periodi di maggior tristezza per tutto il prole­tariato. Questo ci d[à] pieno il diritto di dichiarare fin d’ora che: NON RICONOSCE-

158 Cfr. «La voce repubblicana», 3 maggio 1924, « l’Unità», 3 maggio 1924, «Avanti!», 5 maggio 1924.15 9 Cfr. « Avanti! », 17 giugno 1924, « La voce repubblicana », 17 giugno 1924.160 Dall’ordine di servizio della questura del 29 aprile 1924, in ACS, Min. Ini. DGPS, 1924, b. 95, fase. Primo Maggio - Affari generali.161 Dal rapporto del questore del 14 gennaio 1925, in ACS, Min. Int. DGPS, 1925, b. 86, fase. Roma - Edili.162 Cfr. « Il sindacato rosso », 22 novembre 1924.

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REMO NESSUN CONCORDATO CHE NON SIA STATO FIRMATO E VOLU­TO DALLA NOSTRA ORGANIZZAZIONE...COMPAGNI MURATORI,l’organizzazione dovrà forse chiamarvi nuovamente in campo per tutte quelle manifesta­zioni che la caparbietà avversaria renderà necessarie. Non mancate al vostro dovere ser­rando le fila intorno alla vecchia e gloriosa organizzazione 163.Ed in un altro volantino distribuito subito dopo il 3 gennaio 1925 si poteva leggere:

Il precipitare della situazione politica ha certamente aggravato la condizione di vita di tutto il proletariato ed in special modo della nostra categoria... Mentre la vostra esistenza è resa ogni giorno più dura dallo sfruttamento degli imprenditori dal fascio e... da ogni forma di sopruso politico morale e materiale, il governo fascista minaccia la soppres­sione delle organizzazioni unico mezzo di difesa della classe operaia e di rivalsa contro tutte le forme di oppressione borghese...Fratelli di lavoro,la vostra organizzazione rimarrà ancora in piedi come per il passato ed affronterà in pieno tutte le manifestazioni più feroci della reazione fascista. Stringetevi attorno ad essa, mantenete fra voi più stretti i collegamenti, elevate più in alto la fiamma della vostra fede; la fede nel nostro avvenire la fede nel domani l[a] volontà di lottare per la nostra redenzione. Ovunque occorra troverete al suo posto di battaglia... [l]a Unione emancipatrice sempre all’avanguardia del movimento di riscossa proletario.Avanti dunque per la conquista del pane e del domani!!... W la lotta rivoluzionaria reden­trice del servaggio economico e politico della classe borghese 164.Tali iniziative, se allarmarono le autorità di polizia, non fecero deflettere il Collegio dei costruttori dal proposito di non avviare alcuna trattativa con l’Unione emanci­patrice, e di mantenere rapporti esclusivamente col sindacato fascista. Di conse­guenza all’inizio di febbraio l’Unione emancipatrice decideva di fare appello nuo­vamente alla mobilitazione operaia, per riaffermare la fedeltà degli edili romani alla propria organizzazione di classe e la loro irriducibile ostilità al sindacato fascista. Constatata l’impossibilità di uno sciopero ad oltranza, per le proibitive condizioni politiche generali, l’Unione emancipatrice invitava i lavoratori ad una clamorosa azione dimostrativa:

Sorgono qua e là — si leggeva in un volantino distribuito clandestinamente tra la notte dell’ll febbraio e la mattina successiva — falsi difensori che si fanno assertori dei vostri diritti, dei diritti da essi conculcati e che, con la loro politica di violenza e di asservi­mento e di spoliazione della classe lavoratrice hanno provocato l’aggravarsi della crisi di produzione e precipitato il paese nella più orribile situazione economica. Costoro sanno molto bene che la massa tutta non vuole saperne di avere contatti con loro... Noi rappresentanti della categoria sentiamo la necessità di elevare un monito agli industriali perché si convincano ancora una volta che i muratori di Roma sono per il loro organismo di classe e seguono gli ordini della vecchia Unione emancipatrice che ne difese sempre strenuamente i loro interessi (sic).Muratori di Roma!Mercoledì 11 alle ore 12 sospenderete compatti il lavoro nei cantieri per riprenderlo giovedì mattina; la sospensione del lavoro suoni avvertimento che la categoria degli edili è decisa ad iniziare una azione già preordinata qualora i nostri diritti non siano ancora riconosciuti.La disciplina e la fermezza con cui l’ordine nostro sarà eseguito darà dimostrazione della nostra forza e detterà consiglio ai costruttori... Il nostro appello deve essere accolto da tutta la massa perché questa nostra azione deve essere una rassegna di forze della Unione emancipatrice e perché i costruttori sappia[n]o che i muratori sapranno difendere la loro dignità di uomini e non subiranno più oltre il brutale asservimento che li incatena ad una vita di miseria e di abbrutimento 165.

Le autorità di polizia, avuto sentore di quanto si preparava, avevano provveduto

' 63 II volantino in ACS, 1925, b. 86, cit.164 lb id .165 II volantino in ACS, 1925, b. 86, cit.

« a convenienti servizi per la tutela dell’ordine pubblico e per impedire attentati alla libertà del lavoro » m . Ma per una volta ancora gli edili romani furono prota­gonisti, ad un mese dalla stretta autoritaria del 3 gennaio, di un’imponente mani­festazione antifascista. Su circa 13.500 operai occupati nei cantieri di Roma, ben oltre 10.000 —■ secondo le stesse fonti di polizia — abbandonavano all’ora conve­nuta il lavoro 166 167. Un atto che suonava come un estremo incitamento alla resistenza, ed insieme come un messaggio di speranza per l’avvenire.

CLAUDIO NATOLI

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166 Dal fon. della questura del 10 febbraio 1925, ibid.16? Dal fon. della questura dell’ll febbraio 1925, ibid.