tacco & sperone 4

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iscritta all’albo della Regione Puglia delle Associazioni e delle Federazioni di Associazioni dei Pugliesi nel Mondo Sede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: [email protected] - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia” Anno II Num. 4 Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi “Se Milan avess lu mer, sarebb ’na piccola Ber”

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Tacco&Sperone è un periodico, alla cui realizzazione partecipano amici dell'Associazione Regionale Pugliesi di Milano, del gruppo Facebook “Terre di Puglia” e tutti coloro i quali hanno o mantengono un rapporto di affettività con le terre di Puglia.

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iscritta all’albo della Regione Puglia delle Associazioni e delle Federazioni di Associazioni dei Pugliesi nel MondoSede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: [email protected] - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia”

Anno II Num. 4

Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi

“Se Milan avess lu mer, sarebb ’na piccola Ber”

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SommarioQuando vedo sventolare un tricolore, mi emoziono!

150 anni di unità d’Italia - un compleanno - noi lo celebriamo. Viviamo al nord, a volte ci sentiamo “esuli” di un sud che spesso evochiamo e citiamo così come lo vorremmo, così come lo immaginiamo nelle nostre costruzioni mentali, dimenticandone i difetti ed esal-tando tutto quello che crediamo ci manchi dove viviamo. Celebrando, non banalmente, ma attraverso “l’idea d’Italia attraverso la letteratura”, vogliamo capirci qualcosa in più, soffermarci sulla nostra storia passata, riscoprire le ragioni di unità, piuttosto che le cause di disaffezione e di serpeggiante disgregazione. A Milano il 12 maggio allo Spazio Oberdan è il nostro appuntamento con la “storia”.Non ci piace l’idea di vivere l’Italia come se fosse il “condominio Italia” e proprio come nei condomini moderni non sapere chi ci abita accanto e percepire i coinquilini come un

fastidio. L’Italia e molte regioni del sud sono state percorse in lungo e in largo da genti e popoli diversi, che ci hanno conquistato e ne sono stati conquistati …. questa è l’Italia. Mi sono chiesto cos’è questa Italia, cos’è questa corsa ai distinguo, cos’è questo volersi differenziare e non sentirsi parte di un popolo, cos’è poi un popolo se manca la volontà di conoscersi, allora tutto si riduce a nord contro sud, sud contro nord, secessionisti, filoborbonici, leghisti ….. Ho ascoltato ed ascolto le frasi ad effetto più sciocche: “mi vergogno di essere italiano”, “me ne vado da questa Italia”, ”non mi sento italiano” …. e poi non ci liberano mai della loro presenza, sono sempre qui a criticare. Il senso di appartenenza a una patria si costruisce attraverso valori e rituali. Mi chiedo se l’idea di patria e di amor di patria abbia ancora valore come ideale normativo ed educativo, penso che senza di essa non possa esserci rinascita civile. Intendo per rinascita civile la riscoperta - da parte dell’élite politica e di un buon numero di cittadini - del senso del dovere, e in particolare la volontà di assolvere i doveri indicati dalle regole del vivere civile. Il senso del dovere nasce, più che da considerazioni razionali o filosofiche, dal sentimento di gratitudine nei confronti delle persone che ci hanno permesso con il loro impegno e il loro sacrificio di vivere liberi, dall’affetto per i luoghi, dalle narrazioni, dai miti, dai simboli.

Cav. Dino AbbasciàPresidente Associazione Regionale Pugliesi

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sbarca a Milano14 Ludovico Necchi:

un cattolico esemplare15 L’ANGOLO DELLA LETTERATURA

6 Donne d’Italia

16 APPUNTAMENTI: 150° dell’Unità d’Italia. L’idea di Italia nella letteratura (da Dante a Pasolini)

17 L’eroe del pensiero libero veniva dal Salento

18 “La Porta Rossa” ... a tavola con i sapori

della Puglia8 Il Volontariato secondo Don Tonino Bello

10 BIT e FUORIBIT 11Premio “Salento da Comunicare” 2011

20 Carnevalissimo 2011 ... con Al Bano Carrisi

21 L’universo NUDA!

12 San Marzano di San Giuseppe: centro albanese tutt’ora bilingue

22 Antonio Sodo:la sensualità del sacro

26 La Settimana Santa. Ricordi pasquali di un pugliese a Milano

anno II, n.4

[email protected]: 347 4024651 - 392 5743734

Editore: Associazione Regionale PugliesiPresidente: Dino AbbasciàDirettore Responsabile: Agostino PiciccoFondatori e co-direttori: Giuseppe Selvaggi e Giuseppe De Carlo

Hanno Collaborato:Nicola Augurio, Renato A. Bandi,

Ornella Bongiorni, Michele Bucci, Stanislao De Guido, Alessandro Guido,

Sergio Imperio, Armando Pisanello, Franco Presicci, Paolo Rausa,

Federica Rega, Felice Ricchiuti,Antonia Scarciglia, Elena Zinni.

Stampa: S&G - Galugnano (Le)

Redazione e Sede Legale: Via Pietro Calvi, 29 - Milano

La direzione declina ogni re spon sabilità al conte-nuto degli articoli firmati, poiché essi sono diret-ta espressione del pensiero degli autori. La direzione si riserva di rifiutare qualsiasi colla-borazione o inserzione di cui non approvi il con-tenuto. Foto e manoscritti, anche se non pubbli-cati, non verranno restituiti. La collaborazione a questo giornale è a titolo gratuito.

Realizzato in collaborazione con:

Armandone, giovane tren-taquattrenne tarantino studente di economia e com-mercio, un po’ fuori corso, un po’ no, riflette tanto su temi di attualità tarantina e non, spesso sfocia nel mondiale, ma comunque senza mai preoccuparsi troppo essendo in ogni caso vicino a mam-mà con la quale vive quoti-dianamante, condivide riflessioni e proiezioni, e so-prattutto, la PASTA AL FOR-NO past a u furne.

La Striscia di Alessandro Guido

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poi nel vivo della discussione, esaminando il lavoro svolto dai canali di Telenorba in questi anni, avendo presente il pluralismo dell’informazione e le caratteri-stiche di imparzialità e originalità. E’ stato spiegato che la cornice in cui collocarsi è quella di un Sud che dialoga. Proprio il governato-re Vendola ha evidenziato che il nostro Sud si racconta poco e in compenso è raccontato dagli al-tri, non sempre bene. Ecco allora l’obiettivo di Telenorba: raccon-tare il Sud, le sue forze, opportu-nità e intelligenze. Si tratta di un passaggio che non riguarda solo un flusso che va da Sud a Nord, ma anche, come il convegno ha dimostrato, di un flusso comu-nicativo che va anche da Nord a Sud, facendo prevalere la fiducia e i fatti concreti. In questo senso l’intervento di Adriana Poli Borto-ne che ha invitato a riappropriarsi

dell’orgoglio meridionale. Il presidente Schittulli, dopo un garbato battibecco con il sinda-co Emiliano (che ha fatto crescere l’interesse per il convegno mila-nese dandogli adeguata vivacità in chiave amministrativa barese), ha collocato l’impegno di Tele-norba non solo in campo infor-mativo, ma anche sul più ampio versante culturale, quindi della formazione dell’utenza. Il sindaco Emiliano ha affermato che la tv è una fede ed è utile per educare alla democrazia. L’assessore Co-lucci ha poi parlato delle tv locali come strumento e veicolo di coe-sione territoriale, fattori di demo-crazia e fattori di sviluppo anche economico.Tutti elementi di alto profilo in cui le nostre emittenti si ritrova-no appieno e che hanno trovato l’attenzione del numeroso pub-blico presente. Ma a Milano non

si trattava solo di fare cultura in senso accademico. La giornata infatti è proseguita anche con la festa per i trent’anni di Telenorba. L’aspetto più ludico e mondano, infatti, si è svolto presso un noto locale della movida milanese in cui i due presidenti Montrone e Abbascià hanno tagliato la tor-ta dei trent’anni e dato modo al selezionato parterre – composto dai soci dell’Associazione Regio-nale Pugliesi e da personaggi dello spettacolo e della politica - di degustare, direttamente dalle magiche mani di chef pugliesi, i cibi squisiti e abbondanti dai sa-pori caratteristici. Anche in que-sto caso Milano si è rivelata città accogliente, amica della Puglia, e adeguata cornice per la presenta-zione delle potenzialità meridio-nali e del loro sviluppo su scala nazionale.

sbarca a MILANOdi Agostino Picicco

A metà Aprile la nota emittente televisiva pugliese Telenorba è sbarcata a Milano con il suo se-guito di giornalisti e rappresen-tanti del mondo della cultura, della politica, dell’imprenditoria ,per presentare il nuovo canale digitale TG Norba 24. La pecu-liarità di tale canale di informa-zione visibile su tutto il territorio nazionale nasce dall’intuizione dell’emittente di Conversano di partire dal Meridione per dif-fondersi sul territorio nazionale, non perdendo la sua caratteristi-ca tipicamente meridionale. La nuova iniziativa editoriale è stata presentata in un convegno dal titolo “Il ruolo dell’informazione televisiva nell’Italia federale: il caso TG Norba 24”, svoltosi nella prestigiosa cornice della sala con-

vegni di Palazzo Reale (accanto al Duomo). Il convegno, presieduto dall’ing. Luca Montone, presiden-te del Gruppo Norba e moderato dal direttore Vincenzo Magistà, ha visto, tra gli altri, la parteci-pazione come relatori del presi-dente dell’Ente Fiera del Levante, l’economista Gianfranco Viesti, del presidente della Provincia di Bari Francesco Schitulli, della se-natrice Adriana Poli Bortone, del sindaco di Bari Michele Emiliano, del vice sindaco di Milano Riccar-do De Corato, dell’assessore della Regione Lombardia Alessandro Colucci, del ministro Raffaele Fit-to, il contributo in video confe-renza del ministro allo sviluppo economico Paolo Romani, del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e del Presidente

della Regione Lombardia Roberto Formigoni. A fare gli onori di casa e a curare l’accoglienza a Milano dei conterranei pugliesi, l’Asso-ciazione Regionale Pugliesi con il suo presidente Dino Abbascià. Di fronte al numeroso pubblico di pugliesi, di pugliesi-milanesi, di giornalisti e direttori di testata - mentre i canali del gruppo Norba trasmettevano in diretta intervi-ste alle autorità intervenute – gli illustri relatori hanno rivolto gran-di elogi all’emittente Telenorba e al suo gruppo per il qualificato servizio di comunicazione svolto da trent’anni e per aver sviluppa-to tanti settori legati alle nuove tecnologie e alla nuove possibili-tà offerte dalla distribuzione digi-tale multipiattaforma (satellitare e digitale terrestre). Si è entrati

Foto Vito Suriano

Foto Vito Suriano

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nietta De Pace di Gal-lipoli (Le), di Serafina Apicella, originaria del Cilento, di Alessandrina Tombasco del Cilento, di Giuseppa Bolognara da Barcellona (Me), di Enri-chetta Caracciolo da Na-poli, di Giuseppina Turri-si Colonna da Palermo, di Giuseppina Vadalà da Messina, di Rosalia Den-ti da Palermo, di Teresa Filangieri da Napoli, di Luisa Granito da Napo-li, di Maria Giuseppina Guacci da Napoli, di Gra-zia Mancini da Napoli, di Marianna Oliverio di Cosenza, di Lucrezia Plu-tino da Reggio Calabria e di Firminia Siciliano Garlasco da Potenza.Partiamo dalla storia di Antonietta De Pace da Gallipoli (Le), una donna che con grande deter-minazione e coraggio abbracciò le idee repub-blicane e organizzò le combattenti, cosiddette

“giardiniere”, contro il modello imposto dal Regno Borbonico e dalla cultura del tempo. Antonietta nasce il 2 febbraio del 1818 a Gallipoli, in provincia di Lecce, da Grego-rio, un banchiere napoletano, e da Luisa Rocci Cerasoli, una nobildonna d’origine spagnola i cui fratelli avevano partecipa-to attivamente alla Repubblica napoleta-na del 1799.Ad otto anni Antonietta rimase orfana del padre, morto in circostanze misteriose. Perciò insieme alle sorelle Chiara, Car-lotta e Rosa, fu rinchiusa nel monastero delle clarisse di Gallipoli, la cui badessa apparteneva alla famiglia De Pace. La sorella Rosa sposò Epaminonda Valen-tino, responsabile della corrispondenza

politica mazziniana tra Napoli e la Terra d’Otranto. Grazie a lui, Antonietta entrò a far parte della Giovine Italia. Il cogna-to Epaminonda morì in carcere a Lecce, a soli 38 anni. La fine prematura del cogna-to spinge Antonietta a lasciare Gallipoli per andare a vivere a Napoli con la sorella Rosa e i nipoti. A Napoli, capitale del Re-gno, Antonietta collaborò attivamente con il comitato napoletano della Giovine Italia, presieduto allora dall’avvocato tarantino Nicola Mignogna. Qui nel 1849 fondò un Circolo femminile, composto prevalentemente da donne di estrazione nobile o alto borghese, i cui parenti si tro-vavano nelle carceri borboniche, allo sco-po di mantenere i rapporti fra i detenuti politici e i loro parenti, e far pervenire nelle carceri viveri e altri mezzi di sussi-stenza, lettere e informazioni politiche. Oltre a dirigere il Circolo femminile, e il successivo Comitato politico femminile, attivo negli anni 1849-1855, Antonietta collaborò ad associazioni patriottiche meridionali, quali l’Unità d’Italia, che propagandavano l’unificazione dei nu-merosi movimenti politici del Meridione sotto l’egida repubblicana. A causa della sua attività, considerata eversiva, era costretta a cambiare spesso abitazione, per non coinvolgere la sorella Rosa e per depistare la polizia borbonica. Arrestata il 26 agosto 1855, non esitò ad inghiottire, appallottolandoli, due proclami di Mazzi-ni. Fu sottoposta a continui interrogatori e vessazioni di ogni tipo, senza mai rivela-re alcunché delle sue attività cospirative. Il procuratore generale Nicoletti chiese per lei una condanna esemplare a morte. In un processo che fece molto scalpore, perché l’imputato era una donna e, per giunta, appartenente all’alta borghesia.

Assolta perché la giuria si divise, dopo la sua liberazione visse strettamente sorve-gliata dalla polizia, ma non abbandonò la sua attività di cospiratrice, anzi fondò a Napoli un Comitato politico mazziniano. Nell’ottobre del 1858 incontrò Beniami-no Marciano, un giovane prete liberale di Striano, che era venuto ad abitare nello stesso edificio in cui risiedeva Antonietta. Tra i due nacque subito un intenso rap-porto sul piano sentimentale e politico, che si coronò con il matrimonio, celebrato nel 1876 quando Antonietta aveva già 58 anni.Quando il 7 settembre 1859 Garibaldi en-trava trionfalmente a Napoli con ventotto ufficiali, lo accompagnavano due donne, Emma Ferretti e Antonietta De Pace, ve-stite con i colori della bandiera italiana. Alla morte di Cavour si recò a Torino per i funerali, accolta con grandi onori dai patrioti meridionali, che sedevano nel Parlamento italiano. Lo stesso Garibaldi non poté fare a meno di scrivere: “…Voi donne, interpreti della divinità presso l’uomo, molto già avete fatto per l’Italia e molto ancora dovete operare per l’avve-nire. Molto confido nelle donne di Napoli”.Antonietta tornò a Gallipoli dopo trenta-quattro anni di assenza e si dedicò all’edu-cazione dei fanciulli, che esortava dicen-do: “Noi abbiamo fatto l’Italia, voi dovete conservarla, lavorando a farla prospera e grande”. Morì la mattina di un giorno di sole a 76 anni. Il suo ritratto ad olio, dipin-to dal Sogliano, è esposto al Museo civico della città di Gallipoli, mentre il Comune le intitolò una via cittadina e nel 1959 ebbe il suo nome anche l’Istituto Profes-sionale Femminile di Lecce. Grazie Antonietta!

Donne d’Italia

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Il 17 Marzo 2011 si sono festeggiati i 150 anni dell’Unità d’Italia, uno dei periodi più travagliati, ma anche appassionati della nostra storia; una conquista che è costata il sacrificio di molti giovani uomi-ni e donne, ed ancora oggi in alcuni suoi aspetti, poco conosciuta. Ci colpisce in modo particolare, come il sacrificio dei molti fosse il desiderio di una convinzio-ne comune: L’Unità della nazione sotto un’unica bandiera. Il pensiero politico di allora, dai mazziniani ai garibaldini, ai sostenitori della monarchia di casa Savo-ia, si può riassumere in questa convinzio-ne: “Qui o si fa l’Italia o si muore”. Vorrei ora sollevare il velo di indifferenza storica, un velo di polvere depositato da troppo tempo sul ruolo avuto dalle don-ne nel risorgimento Italiano. Tante sono

state le protagoniste femminili, giovani patriote di ogni classe sociale, borghesi e popolane, del Nord e del Sud della pe-nisola, mandate sotto processo, talvolta esiliate, incarcerate, mandate al patibolo.Ricordiamo Colomba Antonietti di origine umbra, morta accanto al marito vestita da uomo; Carolina Santi Bevilacqua di Brescia, che allestì e diresse un ospedale da campo, in cui morì il figlio; la princi-pessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso che, da Napoli, condusse in Lombardia un bat-taglione di duecento uomini per combat-tere contro gli austriaci; Irma Bandiera, che accettò il patibolo davanti alla casa dei suoi figli pur di non rivelare i nomi dei combattenti. Alcune di loro parteciparo-no alla lotta risorgimentale fin dai suoi primi tempi. E’ questo il caso di Eleonora

Fonseca Pimentel, scrittrice e poetessa che, durante la brevissima esperienza della Napoli repubblicana nel 1799, fu tra le prime ad essere condannata a mor-te dai sostenitori della monarchia borbo-nica. Salì sul patibolo con grande dignità pronunciando la frase del poeta Virgilio: “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”. Grazie agli studi di Maria Sofia Corciulo e di Renata De Lorenzo dell’Università di Napoli “Federico II”, si possono di ricostru-ire le vicende di alcune protagoniste del nostro “Risorgimento meridionale”, don-ne finalmente sottratte all’oblio. Il mio contributo consisterà nel far conoscere le loro vite significative, come quelle di tanti altri patrioti e a volte anche di più. La vita, le passioni e il coraggio di Anto-

di Ornella Bongiorni

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to”, scritta il 10 novembre 1985, e a un intervento pronunciato (nel pieno della maturità umana ed episcopale) al con-vegno del Volontariato meridionale a Paestum nel gennaio 1991 dal titolo “Il pentalogo della speranza”. Come vedete la parola “speranza” compare in entram-bi i titoli.A questi testi si può anche aggiungere la parabola moderna “Donatori di tempo libero a tempo pieno” del 1° dicembre 1985 (un testo poco noto), in cui, sotto forma descrittiva di vicende contempo-ranee, illustra le tappe di un impegno condiviso per alleviare le sofferenze del mondo, che don Tonino chiama fase eroica, fase politica e fase critico-peda-gogica dell’operato del volontario. Lasciando alla vostra meditazione (e traduzione operativa e organizzativa) la lettura completa di questi testi - lettura sicuramente edificante e illuminante! – provo a riassumere in modo sintetico cos’è il volontariato secondo don Toni-no. Posso così affermare che esso deve

essere operativamente competente, organizzati-vamente ramificato, alta-mente motivato, cultural-mente fondato.

Operativamente competente

Cioè basato sulla forma-zione delle persone nel campo specifico dove si opera, non in modo dilet-tantistico, ma edificato sullo studio e sulla cono-scenza di normative, per-corsi educativi, progetti specifici.A don Tonino non importa-va neppure che i volontari fossero credenti. Infatti invitava e valorizzava an-che i non credenti quando si prodigano per “allegge-rire la croce degli uomini”.

Organizzativamente ramificato

Nel senso che il volontariato deve col-tivare rapporti con tutti (senza tanto sottilizzare sulle appartenenze), in-nanzitutto con le istituzioni, entrando in una logica di collaborazione e non di concorrenza, e poi con chi svolge il lavo-ro assistenziale con modalità imprendi-toriale (e quindi di remunerazione) con-ducendo anche il lavoro retribuito nello spirito della gratuità.

Altamente motivato

Cioè mosso da amore, generosità, gra-tuità, discrezione, silenzio, e consapevo-lezza che, oltre a dare, il volontario sta ricevendo qualcosa dai poveri, perché anche loro sono capaci di donare.Tale altruità fa sì che non vi siano van-taggi personali.E’ l’espressione di una cittadinanza atti-va per cui il volontario ha un ruolo ben definito e attivo anche nel coinvolgere gli altri.Si tratta di fare una scelta di parte e di essere schierati contro le logiche che portano alla povertà e all’ingiustizia.

Culturalmente fondato

Al volontario riconosce una funzione

culturale: proporre stili di vita e valori quali la responsabilità, l’accoglienza, la solidarietà al fine di consentire a tutti di vivere la giustizia sociale, il pluralismo culturale, la qualità della vita.Scriveva don Tonino che il volontariato deve essere padre di cultura più che pro-duttore di servizi, generatore di coscien-za critica più che gestore degli scarti residuali dell’emarginazione, fattore di cambiamento della realtà più che tito-lare di un assistenzialismo inerte.Per don Tonino l’alleviare la marginali-tà deve condurre il volontario anche a stroncare i processi emarginativi. Il che vuol dire: vigilare, denunciare, control-lare le logiche alla base delle leggi e dei bilanci, cioè essere fattivo demolitore delle strutture di peccato.Sono queste a mio avviso le direttrici fondamentali delle indicazioni di don Tonino ai volontari, che conservano la loro attualità e soprattutto nascono da un cuore non legato a interessi, non af-fannato nel protagonismo, non intriso di demagogia, ma ricco di tanto amore e di tanta speranza che ancora oggi, come un fiume in piena, continua a innerva-re l’azione di tanta gente e a ispirare le attività di tante asociazioni, che restano un modello di dedizione, di progettuali-tà, di dinamismo.

il volontariato secondo don tonino bello

di Giuseppe De Carlo

A diciotto anni dalla scomparsa di mons. Tonino Bello (20 aprile 1993) lo ricordiamo con qualche breve riflessio-ne sul volontariato – un tema molto sentito e legato al mondo dell’associa-zionismo al quale apparteniamo – che ci porta a confrontarci col magistero del compianto nostro vescovo su tale realtà variegata per modalità di impe-gno e per valori espressi.Il volontariato poi può essere inteso quale risvolto operativo dell’atten-zione personale e magisteriale del vescovo per gli ultimi. In questo senso si tratta di un filo rosso che ha pervaso

tutto l’insegnamento di mons. Bello nei dieci anni di episcopato molfette-se, valorizzato e reso prezioso dalla sua testimonianza di impegno concreto, di tempo, energie, capacità spese per gli ultimi, i poveri, i bisognosi. Ne sono eloquente immagine le metafore mol-to conosciute del grembiule e dell’ala di riserva. Si può quindi parlare di un vescovo “volontario” in prima persona ma an-che suscitatore di volontariato, come testimoniano le tante strutture sorte in quegli anni in diocesi (strutture di accoglienza per drogati, poveri, extra-

comunitari, assistenza ai minori, ecc.), fondate proprio sull’impegno di tanti volontari, per lo più giovani. Da tale esperienza diretta sono scaturiti mes-saggi indirizzati al mondo del volon-tariato. In questo momento mi piace far riferimento ad almeno un paio che, secondo me, comprendono in sintesi il suo pensiero e la sua esortazione a un volontariato maturo, organizzato, intelligente, propositivo, alla portata di tutti.Mi riferisco in particolare ad una lette-ra aperta (tipica dello stile del vescovo) indirizzata “a chi spera nel volontaria-

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hanno pubblicizzato il Salento. Invece le tre province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia sono stata più coese nel presentare l’ambiente del nord barese.E qui con un colpo da maestri, se posso dirlo con legitti-mo orgoglio. Infatti nel contesto di quel “fuori Bit” di cui sopra, i nostri hanno montato un grande stand addirittu-ra… in piazza Duomo a Milano, unica regione presente e in così grande stile. Il progetto, dal tema “Puglia una vacanza da film”, ha visto la proiezioni di scene di film famosi girati in queste zone. E dico di più: lo stand ha vi-sto anche una massiccia distribuzione di taralli, biscotti, dolcetti, mozzarelle, vini e liquori. Lo stesso sindaco di Milano, Letizia Moratti, vi ha dedicato una visita. Poi si è svolta una riuscita conferenza stampa tra amministrato-ri pugliesi e lombardi di origine pugliese. Collante delle manifestazioni era costituito dall’Associazione Regionale

Pugliesi. E’ intervenuto anche il noto cabarettista Uccio De Santis. In più a rallegrare l’ambiente la banda di Gioia del Colle, con il sindaco in testa con tanto di fascia trico-lore, indossando la quale si è messo a servire personal-mente i tanti convenuti alla degustazione di mozzarella.A dedurre dall’affluenza e dal gradimento, pare che i milanesi abbiano apprezzato. Sicuramente questa esta-te vedremo più turisti anche grazie a questo tipo di ma-nifestazioni e all’impegno degli amministratori a farsi personalmente promotori – o meglio, ambasciatori - di turismo pugliese.

Stanislao De Guido

Bit e “Fuori Bit”Anche quest’anno a febbraio si è svolta a Milano la Borsa Internazio-nale del Turismo (BIT) giunta alla trentunesima edizione, la fiera che presenta le bellezze turistiche, cul-turali, gastronomiche del pianeta. Si tratta dell’offerta turistica interna-zionale veicolata dagli enti locali e nationally e dagli stessi operatori del settore tramite le loro organizzazio-ni.Il mondo si apre a Milano ma anche Milano si apre al mondo. L’occasione, e la novità, quest’anno è stata fornita dal cosiddetto “fuori Bit”. Conside-rando che da tutto il mondo sono confluiti a Milano sindaci, ammini-stratori, personaggi dello spettaco-

lo e della cultura, giornalisti per la promozione delle diverse regioni italiane e mondiali, quasi dispiace-va utilizzare nomi e risorse solo di giorno negli enormi padiglioni della Fiera. Perché non valorizzarli, crean-do eventi e incontri, anche di sera e fuori dagli ambienti fieristici? E così hanno fatto gli esperti di comunica-zione e di promozione territoriale.La città si è riempita di cartelloni gi-ganti che pubblicizzavano nazioni e paesaggi. E i luoghi più significativi della città (palazzi storici, note disco-teche, sale artistiche, piazze) hanno visto per quattro giorni un insieme di eventi promozionali per giorna-listi, operatori turistici, politici, ma

anche curiosi desiderosi di assag-giare qualche specialità locale. In questi contesti si sono svolte sfilate di moda, danze, concerti, mostre, de-gustazioni.Persone significative sono state in-vitate da presidenti di province, sin-daci e assessori a cene di gala carat-terizzate da pietanze tradizionali di vari paesi, mentre la serata era allie-tata da suonatori, tamburelli, danza-trici in costume.Evidenti anche le strategie comuni-cative e commerciali. La Puglia ad esempio ha schierato le sue province suddivise in base alla peculiarità sto-rica del territorio. I presidenti delle province di Taranto, Brindisi e Lecce

La fiera del turismo a Milano promuove la Puglia

Premio “Salento da comunicare”Venerdì 18 febbraio 2011 ore 13.00 Bor-sa Internazionale Turismo, sala meeting Regione Puglia nell’ambito della Confe-renza-stampa “La Primavera del Salento” dedicata a giornalisti e T.O. del settore or-ganizzata dall’Assessorato al Turismo e al Marketing Territoriale della Provincia di Lecce, con la collaborazione di “Spiagge Editore” si è svolta la cerimonia di pre-miazione di giornalisti e personalità della cultura che attraverso la loro azione han-no contribuito a promuove l’immagine del salento.Nell’edizione 2011 è stato premiato il dott. Giuseppe Selvaggi responsabile eventi e rapporti istituzioni dell’Associa-zione Regionale Pugliesi di MilanoNell’edizione 2010 aveva ricevuto lo stesso riconoscimento l’Avv. Agostino Picicco responsabile cultura della nostra associazione.

Premio “Salento da comunicare” 2011

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delle vallje, dei canti e delle se-renate erano le gesta eroiche dell’eroe Giorgio Skanderberg e dei suoi valorosi , l’amore e la nostalgia per la patria perduta ,la diaspora in seguito all’invasione turca e l’amore per le proprie donne di cui gli albanesi van-tavano le virtù e di cui erano ol-tremodo gelosi. Bellissimi erano gli effetti di oro (soprattutto in filigrana, incisi e/ o smaltati) e gli abiti albanesi (quelli femminili: quotidiano, di gala, della festa, del matrimonio, dell’ottavo gior-no e di lutto) diversi per fattura da quelli ionici.Gli Albanesi erano gente molto superstiziosi: ciò è rimasto vivo fino a qualche decennio fa attra-verso la credenza nel malocchio, nelle “ fatture” e nei “ lauri”…Alle antiche radici albanesi oggi può ricondursi la tradizione di radunare le fascine benedette in uno spazio alla periferia del pae-se e lì, date alle fiamme, mentre si premiano i carri più grandi e me-glio allestiti. Si tratta di riti legati alla prosperità e collegate alla terra in una zona che per motivi feudali e religio-si, fu a lungo sottoutilizzata nell’economia agricola.Legata alle origini alba-nesi è anche l’usanza di imbandire una tavola da-vanti all’effigie del Santo ed offerta, per impetrare la protezione o ad adempiere a un voto. La preparazione di queste tavole ha inizio molti giorni prima della fe-sta patronale e coinvolge i parenti e la famiglia che organizza la cerimonia. I piatti preparati che poi vengono offerti a turisti e visitatori devono esse-

re tredici. Tutte le pietanze sono caratterizzate da una forte carica energetica: molto pepe nei piatti salati, zucchero e miele in abbon-danza in quelli dolci.Di matrice albanese, che persiste tuttora, è anche la sfilata dei carri davanti alla statua del patrono, il giorno della sua festa.La trasmissione orale della tradi-zione popolare arbëreshe è più

forte della lettura di cento libri su questo popolo. Conoscere la lin-gua di una popolazione significa conoscerne la storia, l’evoluzione, la cultura la religione e le tradi-zioni. Per questo è fondamen-tale considerarla non solo come memoria del passato ma anche come raccordo tra passato e fu-turo ed utilizzarla come sviluppo culturale ed economico.

Gli “Arbëreshë”, ossia gli Albanesi d’Italia, vivono in 41 comuni e 9 frazioni, disseminati in sette re-gioni dell’ Italia centro-meridiona-le, costituendo una popolazione di oltre 100.000 abitanti. I lonta-ni discendenti del “Popolo delle Aquile” (Faleminderit për viziten), detti anche Arbëreshë, ossia gli Albanesi d’Italia,emigrarono dal-la Terra delle Aquile tra il 1416 ed il 1442, quando alcune milizie al-banesi vennero in aiuto a Alfonso d’Aragona, alleato di Skanderbeg, contro Roberto d’Angiò.

San Marzano di San Giuseppe (Shën Marcani in lingua albanese, Sa’Mmarzanu in dialetto brindi-sino), è un comune di oltre 9.000 abitanti della provincia di Taran-to, in Puglia. Insieme a Casalvec-chio di Puglia e Chieuti è un pa-ese italo-albanese (arbëreshë) della Puglia, l’unico comune sa-lentino in cui si conserva ancora la parlata arbëreshë, dovuta allo stanziamento, a partire dal XV se-colo, di popolazioni provenienti dall’Albania.

La conservazione della lingua arbëreshe è ciò che differenzia ancor oggi la comunità sanmar-zanese da tutte le altre della pro-vincia ionica. L’ estraneità ai mo-vimenti culturali ed economici tarantini ha permesso la conser-vazione dell’ identità etnica con tutte le sue espressioni rituali e folkloristiche. A distanza di al-cuni secoli dall’ insediamento la lingua d’ origine è sopravvissuta ed è parlata ancora dagli anzia-ni e meno giovani del paese, ma per oltre 4 secoli è stata l’unica forma di comunicazione verbale. La variante linguistica d’ origine è il dialetto tosco, parlato nella Albania meridionale. Purtrop-po attualmente si assiste ad una perdita lenta del patrimonio lin-guistico arbëreshe: solo la metà della popolazione lo usa, ma limi-tatamente al parlato domestico.Erano due gli avvenimenti più importanti della vita del paese, che rimandavano alla terra d’ origine: il matrimonio e la mor-te. Di tali riti religiosi però a San Marzano non è rimasta memoria.

Nel 1622 il vescovo Antonio D’ Aquino, con la soppressio-ne ufficiale del rito greco-ortodosso av-viò il processo, già in itinere, di latinizza-zione della religione, dando un’ accelerata alla scomparsa di un mondo ricco di usi, costumi e suggestio-ni balcaniche. Sono

belle le descrizioni dei matrimoni di rito greco ortodosso : il papas accoglieva i due sposi sulla soglia della Chiesa. Li accompagnava all’ interno, poneva sul loro capo due corone riccamente adorne di na-stri colorati, porgeva loro del vino ed un unico pezzo di pane che entrambi mangiavano. Faceva loro compiere tre volte il giro dell’ altare ed infine lanciava nel fonte battesimale i bicchieri nei quali avevano bevuto: segno di buon augurio era la frantumazione dei bicchieri. Gli sposi venivano la-sciati indisturbati nella loro nuo-va casa per otto giorno. L’ottavo giorno uscivano per fare visita ai parenti: la sposa indossava l’abito appunto detto “dell’ ottavo gior-no”. L’altro rito, ormai perduto, ma tutto orientale, era quello fune-bre : il feretro era circondato da donne che indossavano per tre giorni l’ abito di gala (solo il quar-to giorno indossavano l’ abito di lutto) cantavano , con le chiome sciolte, nenie funebri e sistema-vano sulla bara dolci e cibo per i visitatori: Il coniuge vivente , in segno di vedovanza imbruniva le due corone, poste sulla testiera del letto il giorno del matrimonio.Una festa importante era l’ ”Arci-purcium“, un banchetto che dura-va 3 giorni e a cui partecipavano le donne e gli uomini sposati di una stessa tribù. Le donne indos-savano l’ abito della festa (o dell’ ottavo giorno) ed intonavano i canti albanesi (valie) e ballavano fino a notte tarda le vallje, danze coreografiche albanesi. I temi

San Marzano di San Giuseppe (Shën Marcani in lingua albanese)centro albanese, tuttora bilingue, di Giuseppe Selvaggi

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L’ANGOLO DELLA LETTURA A CURA DI AGOSTINO PICICCO

Due romanzi storici, quasi complementari nei contenuti, sono stati donati alla biblioteca associativa e meritano la nostra attenzione. Si tratta di una rivisitazione barese di luoghi, tradizioni, cibi, miti, storia che si completano con considerazioni sul senso della vita.

Il romanzo si presenta attraverso l’artificio letterario del diario, che racconta la storia del protagonista barese che passa in esame, oltre alle vicende personali, anche quelle storico-locali del tempo (tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento). Due inizi di secolo molto significativi per i cambiamenti, anche sociali, a Bari e nel Meridionale. Si passano in rassegna gli esordi della Bari muratiana con il contorno dei moti del Quarantotto, il Ri-sorgimento, l’Unità d’Italia, le crisi, il progresso industriale, l’evoluzione topografica della città. Aneddoti e storie si susseguono, come quella del messaggio segreto che cade da un fucile dono di Garibaldi. Da questo messaggio dal passato, che viene a influenzare pesantemente il presente dell’autore, si originano storie di tesori, carte storiche segrete, il tutto celato dalla coltre dei secoli e della città che si rinnova.Dal diario emergono, oltre ai fatti storici, anche i moti dell’animo dello scrivente: il tem-po che passa, l’alternarsi di speranze, attese, sogni, felicità, evoluzioni che impattano con l’inamovibilità dei valori dell’animo umano. Tante noticine rendono accattivante e misterioso il procedere nella lettura del diario, che porta in sé il futuro grazie alla nuova generazione e alla relativa novità sociale.

Rosa Colonna, Vito De Bellis, Il fucile di Garibaldi, Progredit 2010

Il mito si intreccia (anche temporalmente) a vicende ordinarie della quotidianità dando vita a eventi a sorpresa e carichi di suspence. Il presente si mescola al passato e si aprono squarci sul futuro mentre sullo sfondo passano luoghi, ambienti, tradizioni, leggende della città di Bari, il tutto unito all’attenzione per l’enogastronomia. In filigrana un mes-saggio per l’uomo: tenere presente e raggiungere il proprio obiettivo nella vita. Le forze della natura, l’indole umana, le emozioni trattate con un linguaggio simbolico sono gli ingredienti di una bella lettura per chi desidera conoscere o ripercorrere i capisaldi della tradi-zione barese.

Piero Fabris, La Rosa dei venti e il segreto del Monte Rosso, Gelsorosso 2010

Sabato 5 marzo2011, durante un’altro incontro letterario musicale organizzato dalla Associazione Regionale Pugliesi di Milano, il dott. Giuseppe Selvaggi (re-sponsabile eventi e rapporti con le istituzioni) ha letto la lettera inviata dalla

Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica, con la quale:“Il Presidente della Repubblica ringraziando per l’invito a intervenire al Convegno “Lo sterminio degli Italiani di Crimea: una tragedia ancora at-tuale” ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa che si pone come obbiettivo la ricerca, attraverso un percorso di indagine e di approfon-dimento storico e culturale, sulle drammatiche vicende della comunità pugliese in terra di Crimea. Anche per questo, il Presidente Napolitano ha determinato di conferire una propria medaglia speciale celebrativa, unitamente all’augurio di buon lavoro.”Il Cav. Dino Abbascià (presidente dell’Associazione Regionale Pugliesi ) ha consegnato al Prof. Paolo Rausa (socio e ideatore del progetto sul-la Crimea oltre che promotore di raccolte di aiuti inviati alla comunità italiana di Crimea) per la custodia del riconoscimento e quale stimolo a continuare nell’azione volta al riconoscimento dello status di “deportati” sino ad oggi negata.

Felice Ricchiuti

Medaglia Speciale Celebrativa conferitaci dal Capo dello Stato

LUDOVICO NECCHI: un cattolico esemplare

Ha quasi novant’anni eppure non li dimostra...Prestigiosa officina di cultura ac-cademica, l’Università Cattolica fondata a Milano nel dicembre 1921, svolge oggi - come allora - un importante ruolo sia nell’ambi-to della comunità ecclesiale che in quello del panorama universitario nazionale.Quanto meritevole sia stata l’ope-ra dei suoi fondatori, lo abbiamo constatato anche grazie agli studi e alle recenti pubblicazioni del no-stro socio e responsabile cultuale Agostino Picicco, il quale ha divul-gato diversi scritti riguardanti le fi-gure chiave del mondo intellettua-le cattolico del nostro Paese.Padre Agostino Gemelli, Francesco Olgiati, Armida Barelli (vedasi arti-colo pubblicato sul numero I di “In-formaFoglio”) e Ludovico Necchi - questi i nomi del gruppo fondatore della Cattolica - sono stati oggetto di osservazione e di approfondi-mento da parte dell’avv. Picicco

che proprio a Ludovico Necchi ha dedicato il suo ultimo libro (Edizio-ni Messaggero Padova).Dietro al protagonista sembra qua-si di ritrovare l’autore. Un velato parallelismo si delinea discretamente agli occhi del letto-re che, pagina dopo pagina, assa-pora il gusto di una storia sempli-ce, fatta di esperienze autentiche e pregnanti.Tratteggiata abilmente dalla pen-na di Agostino, la figura di Necchi, nato a Milano nel 1876, risulta più che mai attuale.Impegnato sin da giovane su più fronti (accademico, religioso pri-ma, professionale, sociale e fami-liare poi), Ludovico si distinse ben presto per la sua zelante operosità, per il suo adoperarsi a favore del prossimo senza mai mirare alla gloria personale.Nonostante le avverse condizioni socio-politiche dell’epoca, il Nec-chi propugnò un’idea di cultura cattolica esemplare.

Assurto a maestro di vita e di fede, l’intellettuale milanese riuscì - con non pochi sacrifici - a coniugare la professione di medico con le attivi-tà caritative.Cruciale (o forse provvidenziale) fu l’incontro con i già citati Gemelli, Barelli, e Olgiati, e con il conte Er-nesto Lombardo, anch’egli figura centrale nella storia della Cattolica.Il loro sodalizio fungerà da base per la missione di apostolato intel-lettuale, missione che verrà porta-ta a termine superando numerosi ostacoli e trovando soluzioni a vol-te rocambolesche.Narrare qui il susseguirsi delle vi-cende che portarono alla definiti-va costituzione dell’Università Cat-tolica soffocherebbe nei potenziali lettori il desiderio di conoscere una storia che solo Agostino Picicco ha saputo raccontarci con stile essen-ziale e garbato al tempo stesso.Mi limito quindi ad augurarvi sol-tanto una ....buona lettura!

Il tavolo dei relatori durante la presentazione il 29 marzo 2011nella Cripta dell’Aula Magna dell’Università CattolicaIn foto da sinistra : Avv. Agostino Picicco, Gen. Camillo De Milato, Mons. Sergio Lanza, Ing. Umberto Novo Maerna e Padre Luigi Cavagna.

di Elena Zinni

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E’ uno spettacolo multimediale con vi-deo, letture sceniche e canzoni, ideazio-ne e progetto di Paolo Rausa, montag-gio dei video di Ornella Bongiorni, che verrà rappresentato dall’Associazione Regionale Pugliesi di Milano con il pa-trocinio del Vice Presidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Milano, Ing. Novo Umberto Maerna.Lettori e lettrici, soci della nostra Asso-ciazione, della Associazione Mimulus-Maschere in movimento di San Donato Milanese e studenti della Università della 3^ Età di San Donato-San Giuliano Milanese si alterneranno nella decla-mazione di versi e brani delle opere più significative dei poeti e scrittori, che fre-mevano per le sorti dell’Italia “percossa e divisa” ed esortavano il popolo a riscat-tare il suolo natìo. Lo spettacolo accompagna il pubblico in un viaggio alla ri/scoperta delle tanti voci dei letterati italiani in combinazio-

ne con le vicende storiche, letterarie e linguistiche considerate come fattori di unificazione. Il percorso prende forma e si snoda a partire dalle radici dell’iden-tità culturale nazionale, espressa nei versi e negli scritti di poeti e letterati, che si sentivano “italiani” ancor prima che l’Italia fosse unificata. Collegati alle letture, i video, tratti per lo più da film famosi, fanno da sfondo al periodo sto-rico in cui sono inseriti i nostri letterati, mentre le pause musicali ci riportano all’attualità. Insomma il presente e il passato vengono combinati per dare significato al grande ruolo che hanno svolto nel corso dei secoli le nostre più grandi glorie letterarie. Le letture sono tratte da brani di poeti e scrittori di grande valore letterario, fra cui Dante, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Verga, Un-garetti, Vittorini, Montale, Calvino, ecc. fino a Pasolini degli “Scritti corsari”. Il cinema incontra la letteratura, perché

durante la lettura, come già detto, scor-reranno le immagini di film famosi trat-ti da “ Il mestiere delle armi” di Olmi, “Senso” e “Il Gattopardo” di Visconti, “Noi credevamo” di Martone, “Bron-te, cronaca di un massacro” di Vancini, “Uomini contro” e “Cristo si è fermato a Eboli” di Rosi, “L’uomo che verrà” di Diritti, “Ladri di biciclette” di de Sica, ecc. Alle pause musicali invece è affida-to il compito di riflessione, riportandoci all’attualità. Si ascolteranno le canzoni “Va’ pensiero” cantata dal duo inedito Pavarotti-Zucchero, “Viva l’Italia” da. de Gregori, “Buonanotte all’Italia” da Liga-bue tutte accompagnate da video sui personaggi e sui fatti salienti dei nostri giorni. Conclude, cantato all’unisono, l’inno ”Fratelli d’Italia” di Mameli. Non resta che partecipare allo spettacolo del prossimo 12 maggio alle ore 19,00 nello Spazio Oberdan. Non mancate!

150° dell’Unità d’Italia L’idea di Italia nella letteratura

(da Dante a Pasolini)Giovedì 12 maggio, ore 19,00

Spazio Oberdan - via Vittorio Veneto, 2 a Milano

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Giulio Cesare Vanini aveva solo trentaquattro anni quando, nel 1619, fu giustiziato per ateismo a Tolosa. La paura della morte non lo colse nemmeno quando giunse la sua ora, allorché gridò: “Andiamo, andiamo a morire allegramente da filosofo”. Ha senso così, il titolo “Mo-rire allegramente da filosofi. Piccolo catechismo per atei” (Il Prato edito-re), l’ultimo lavoro di Mario Carpa-relli, il più giovane degli esperti va-niniani, attuale segretario - presso l’università del Salento- del centro interdipartimentale di ricerche inter-nazionali dedicato all’illustre filoso-fo di Taurisano. Si tratta di una sintesi perfetta delle argomentazioni più efficaci del pen-siero del Vanini, estrapolate dalle due opere, “L’Amphitheatrum” e il “De admirandis”, che l’astuto pen-satore riuscì a pubblicare raggiran-do la censura. Con un sottile gioco degli equivoci, finse di voler sma-scherare gli atei, in realtà dimostrò la fragilità dei dogmi della fede, pur riconoscendo la funzionalità delle grandi menzogne umane per vive-re, forse per non impazzire. Dal breviario, emerge una lettura del mondo ancora più materialistica di quella di Giordano Bruno e, in al-cuni passaggi, il Vanini sembra re-cuperare la lezione degli scettici nel

momento in cui denuncia i limiti del-la ragione umana incapace, quindi, di approdare a verità definitive. Ep-pure, tra le pagine, non c’è un solo momento in cui si avverte dispera-zione, buio, grigiore esistenziale. Anche quando egli ammette i deficit dell’uomo e abbatte i comfort che la fede dà. All’epoca, gli atei erano in tanti ma una ragionevole pruden-za, impediva loro di esplicitare le proprie posizioni in materia. La dis-sidenza religiosa si traduceva ine-vitabilmente in condanna a morte, in un contesto storico in cui negare l’esistenza di Dio, significava nega-re di conseguenza l’autorità del re, tale per “diritto divino”. Ma Vanini aveva deciso di non farsi addome-sticare dai poteri forti e non accettò di barattare il proprio pensiero con quello impostogli dall’alto, contem-plando la morte come un’idea che non doveva fargli poi così tanta paura, se era il prezzo da pagare per la sua libertà. “Di lui si è detto di tutto”, spiega Carparelli. “Anche che fosse l’Anticristo. In realtà, fu solo un filosofo. Un filosofo più fa-cile da bruciare che da confutare, come disse Schopenhauer”. La spregiudicatezza che lo contrad-distinse, gli valse un successo stra-ordinario negli ambienti libertini e la sua testa conquistò i grandi della

filosofia, da Cartesio che lo consi-derò il primo razionalista moderno, a Schopenhauer che lo consacrò come il suo predecessore, fino a Hegel che ne ammirò la modernità. Nonostante ciò, lo spazio riserva-togli negli odierni manuali di storia della filosofia, rimane ancora mar-ginale. “Fu uno studioso salentino, Luigi Corvaglia, a sminuire negli anni ‘30 del secolo scorso, la sua importanza - sottolinea Carparelli - definendolo un semplice plagiario. Una stroncatura che compromise il giudizio di personalità del calibro di Benedetto Croce e Giovanni Gen-tile”. La riscoperta del Vanini è avve-nuta poi, dietro impulso di Antonio Corsano e c’è tutta una cordata di autorevoli studiosi, come Giovanni Papuli, Francesco Paolo Raimondi e Domenico M. Fazio, che continua a dedicarsi a colui che ormai è con-siderato unanimemente una “figura emblematica del laicismo interna-zionale” e che lo stesso Corvaglia, poco prima di morire, rivalutò. Ma Vanini fu anche altro. Tra spe-culazioni del pensiero e dilemmi religiosi, ebbe il tempo di occuparsi pure di un suo giardino segreto, fatto di frivolezze e svolazzamenti. Con Laura e Isabella, scoprì gli svaghi amorosi, finendo per elaborare una

vera e propria filosofia dell’amore sessuale “dal sapore marcata-mente libertino”, come specifica nella prefazione lo stesso Fazio. Carparelli ne ha inserito i passag-gi più spinti in cui si scorge la par-te pruriginosa della composizione umana. Si parla di cibi afrodisiaci, della prima ricetta del Viagra e di consigli e posizioni piccanti per procreare; il Vanini, qui, ricorda i primi alchimisti rinascimentali e di-mostra grande autoironia quando scrive che, i filosofi, non sono mol-to pratici nell’ars amandi. Tuttavia, per ogni regola esiste un’eccezio-ne. Bello e temerario, non c’è dub-bio, Vanini avrebbe fatto perdere la testa a qualsiasi donna.

L’eroe del pensiero libero veniva dal Salento

di Antonia Scarciglia

di Federica Rega

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“La Porta Rossa” ...a tavola con i sapori della Puglia

Una sera di luglio del ’77 Mario Dilio, giornalista e scrittore bare-se amico di Tommaso Fiore (di cui Carlo Levi scrisse che “senza di lui non avrei capito le facce dolenti del Sud”) e per anni a Milano capo ufficio stampa dell’Alfa Romeo, seduto con l’indimenticato pitto-re Filippo Alto a un tavolo de “La Porta Rossa” in via Vittor Pisani, elogiando le attività del titolare del locale, Chechele Jacubino, dis-se che bisognava nominarlo am-basciatore della Puglia. Nessuno meglio di Chechele aveva fatto conoscere ai milanesi la nostra re-gione. L’aveva anche fatta amare. Persino agli stranieri. Al punto che un prestigioso giornale inglese gli dedicò un articolo con tanto di

foto. Chechele aveva una villa nel suo paese natale, Apricena, amata da Federico II anche perché vi po-teva soddisfare il suo amore per la caccia, e vi invitava gli amici più cari. “Venite – diceva – vi mostrerò com’è bella questa regione che si chiama Puglia. Non solo il mio pa-ese, che pure ha dei gioielli da van-tare”. Le pensava tutte per attirare l’attenzione sulla Puglia, i cui ca-ratteri originari, operosità e orgo-glio, sono noti a chi la frequenta. Una sera si svolse al Cida (Centro Informazioni d’arte), in via Brera, una serata ispirata dall’inchiesta dell’”Europeo” “I trulli che vanno in rovina”, di Salvatore Giannella. Gli organizzatori, che facevano parte della redazione del setti-

manale “Il Milanese”, gli chiesero di portare taralli, olive e schegge di formaggio; e lui, cuore gran-de, si presentò con orecchiette preparate dalla moglie Nennella, mozzarelle e altre specialità della sua terra. Chechele si trovava ad Apricena quando gli arrivò la ri-chiesta, e non perse tempo: prese il primo treno e piombò a Milano. Prima di mettersi in viaggio aveva già dato disposizioni. Quella sera al dibattito parteciparono Dome-nico Porzio (giornalista e scrittore, tra i fondatori della rivista “Oggi”), tornato da pochi giorni dalla sua Taranto; il direttore del settima-nale Giovanni Valentini; lo stesso Giannella; il fotografo Piero Raf-faelli; Vincenzo Buonassisi; Pre-

sente anche Guido Leno-ci, il famoso gallerista di via Brera che nella sua “Apollinaire” aveva ospi-tato tutti i maggiori nomi dell’avanguardia pitto-rica, da Meloni a Christo Javaceff. Lenoci, di Mar-tina Franca, amico di Dino Buzzati, Raffaele Carrieri, Paolo Grassi, Pierre Re-stany, padre dell’iperreali-smo…, accolse l’invito ad esporre, in una sala tutta per lui, una decina di ope-re che facevano parte della sua collezione. Lo scultore Paradiso proiettò un suo documentario sul-le tarantolate di Galatina.

di Franco Presicci

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Quando comparve Chehele, presentato dal padrone di casa, Nencini, titolare del-la galleria Boccioni, si prese la sua buona parte di applausi. Il giorno dopo confes-sò a un amico: “Vor-rei fare qualcosa per dire grazie a Milano. Milano mi ha dato fama, benessere economico… tante soddisfazioni”. Par-lava quasi inebriato, guardando verso la stazione Centrale, quel ventre metalli-co che disorientava i meridionali al loro primo approdo nella metropoli lombarda. Nacque così il Premio Milano di giornalismo, che aveva in giuria personaggi di primissimo piano: il poeta Albe-rico Sala, critico d’arte del “Corrie-re”; i pittori Giuseppe Migneco e Ibrahim Kodra; lo storico dell’arte Raffaele De Grada; Ugo Ronfani, vicedirettore de “Il Giorno” e criti-co teatrale; lo scrittore Paolo Mo-sca, già direttore de “La Domenica del Corriere” e all’epoca di “Play Boy”; Filippo Alto, che ha dipinto la Puglia con profondo amore e poesia, il barocco di Lecce, i trul-li, l’ulivo saraceno, sciancato, ma forte a dispetto degli anni che ha sulle spalle. La prima edizione fu assegnata a Giovanni Valentini, che a soli 29 anni guidava “L’Euro-peo”. La seconda a Gino Palumbo, che da direttore aveva triplicato le vendite de “La Gazzetta dello Sport”. La terza a Franco Di Bella, direttore del “Corriere”, e ad Alber-

to Cavallari, corrispondente da Pa-rigi dello stesso quotidiano. “Sarò presente alla premiazione”, scrisse in un telegramma Cavallari, che salirà poi sulla plancia del gior-nale di via Solferino. E mantenne la promessa. Alle serate dedicate alla consegna dei riconoscimenti prendevano parte parecchie per-sonalità. Per citarne qualcuna, la scrittrice Milena Milani; lo scrit-tore Giovanni Testori, che curava la terza pagina del “Corriere”. In un’occasione anche il sindaco Car-lo Tognoli. Il direttore de “La Gaz-zetta di Parma”, Baldassarre Mo-lossi, arrivava puntualmente dalla sua città. A Chechele luccicavano gli occhi. Accomodato vicino a un “capasone”, il panciuto contenito-re in cui una volta i contadini face-vano fermentare il mosto, seguiva con aria rapita la lettura della mo-tivazione del Premio, fatta dal se-gretario. Dava del tu a tutti, Che-chele; e tutti ricambiavano. Era

una persona amabile, generosa, intelligente, molto comunicativa. Ad Apricena aveva fatto il forna-io e il pane continuava a farlo alla “Porta Rossa”. Lo faceva con pas-sione. C’erano clienti, attori, fun-zionari di polizia, cantanti, scrittori diventati suoi amici, che quando uscivano dal suo ristorante lo ab-bracciavano. Poi gli venne un’altra idea: il Pre-mio “Puglia”. E in giuria volle an-che il presentatore Daniele Piom-bi. Sempre la Puglia. La Puglia nel cuore. Forse anche da Lassù pensa alla sua Puglia. Alla nostra Puglia. Quella Puglia che rapisce il cuo-re di chi la visita. Come accadde a Carlo Castellaneta, che in valle d’Itria ebbe subito una visione da sogno: “I trulli con le cupole di zucchero, gli ulivi dallo zocco-lo possente, muretti a secco e un vibrare di cicale”. Un preludio indi-menticabile. Era Martina.

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Il carnevale ambrosiano è notoriamente più lungo di quello romano perché finisce con il sabato grasso (e non il martedì grasso): e i “pugliesi-milanesi” prima di prendere le ceneri, segno di conversione e di penitenza all’inizio del tempo quaresimale, non si sono fatti mancare nulla per una festa di carne-vale all’insegna del buon gusto e dello stare bene insieme. Gli ampi locali del Jolly Hotel del Forum di Assago sono stati riempiti da circa quattrocento ospiti che, tra stuzzicanti aperitivi, pietanze prelibate, musica dal vivo e dan-ze hanno trascorso la serata allietati dal brio del Presidente dell’Associazione Regionale Pugliesi, cav. Dino Abbascià, e dal suo direttivo che si è occupato dell’accoglienza e dell’intrattenimento. Che non fosse la solita festa si è capito dalla presenza dei rappresentanti (di origine pugliese) delle istituzioni locali che sono giunti a salutare i conterranei in clima di grande cordialità. Poi ecco l’ospite d’onore della serata, il grande Albano Carrisi, che – dopo la cena – è

salito sul palco e ha deliziato il pubblico con alcuni dei suoi maggiori successi e con l’ultima canzone presentata al Festival di Sanremo. Al termine della sua esibizione, gli ascoltatori sono rimasti ancora più incantati nell’ammirare il corpo di ballo brasiliano costituito da fantastiche e slanciate fanciulle coperte di piume e paillettes che hanno coinvolto i presenti in balli di gruppo. E le sor-prese non sono finite: tre danzatrici del ventre hanno completato la serata con le loro sensuali movenze tra gli applausi degli intervenuti. Così tra danze, balli, animazione, musica, e la presenza straordinaria delle telecamere di Telenorba che immortalavano la serata, i nostri gaudenti, stanchi ma contenti, hanno lasciato l’hotel mentre la pioggerellina del primo mattino iniziava a cadere e introduceva al più sobrio clima quaresimale.

Nicola Augurio

Carnevalissimo 2011 … con Al Bano Carrisi

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Cosa sarebbe la vita senza musica?C’è proprio chi senza musica non sa vivere: passione, diverti-mento, sacrificio, soddisfazioni, gioia sfrenata, adrenalina, pal-lino fisso… un tumulto di emozioni.Ho conosciuto cinque ragazzi che si nutrono di musica! Suonano, compongono e sognano.Si chiamano “ NUDA! “.Il loro nome, nell’immaginario comune, evoca sicuramente si-nuose forme umane... in realtà il nome rappresenta l’inizio del-la fase della creazione dell’universo.Una cosa che mi ha subito colpito di loro è il forte legame di ami-cizia e l’irrefrenabile passione per la musica, cose che li porte-ranno molto lontano.Diviso tra chitarra ritmica e voce troviamo Luca Brizzi; alla chi-tarra il solista Fabio “Zac” Zaccone; la voce del gruppo è quella di Beppe Marcone; al basso Riccardo Corda e poi Sergio D. Nachira, alla batteria ed alla voce.Luca, di Arezzo, e Zac, (quest’ultimo calabriese), sono dei liberi professionisti nella vita. Riccardo lavora in Università ed è l’uni-co lombardo del gruppo; infine la componente pugliese della band composta da Beppe, direttamente da Ruvo di Puglia - con una laurea in economia in tasca ed un comodo posto nella finan-za milanese - e poi Sergio, da Uggiano la Chiesa, che invece si nutre di musica perché la musica rappresenta il suo lavoro.Un gruppo variegato: cinque ragazzi con lavori normali e nelle cui vene scorre arte e passione. Prima di essere “NUDA!“ si chiama-vano Sinner’s, poi con l’ingresso di Sergio e Beppe il gruppo acquisisce una nuova veste e sembra quasi aver trovato proprio quello che mancava: la voce e l’energia giusta. Quindi si ricomincia con un nuovo nome, tante altre nuove canzoni e nottate a pro-vare e riprovare accordi e spettacoli. Il gruppo emette i primi vagiti in al-cuni locali milanesi ed è subito suc-cesso. “Legend 54” e “Alcatraz” fanno il pienone quando a suonare ci sono i “NUDA!“ che, nel frattempo, lavorano incessantemente al loro primo disco.Anche la rete aiuta i “NUDA!” a farsi conoscere.Numerosi i blog e poi i primi fans

che iniziano a far girare la musica della band. Infatti un EP non ufficiale gira in Italia e nei paesi vicini sotto forma di bootleg, ovvero un disco che piace e che comincia a far capolino, copiato, senza l’autorizzazione degli autori e con il passaggio di mano da uno all’altro.In fondo anche questo ha permesso ai “NUDA!” di farsi conosce-re.La band ha anche un suo fans club: “NUDA! Fans Club”, gestito da Vyto Raccardi che ne è anche il presidente.Appuntamenti da annotare sull’agenda: i “NUDA!” cantano dal vivo il prossimo 17 Aprile al Forum di Assago (Live Forum), pro-prio quel posto dove Roger Waters dei Pink Floyd, neanche una settimana fa, incantava tutti.I “NUDA!” sono presenti nelle radio italiane con il nuovo singolo “SENZA ME”, brano che verrà posto in vendita su iTunes e su tut-ti gli altri stores digitali, anche se hanno già all’attivo altri due singoli: “COSA VUOI?” e “A-MA-RO”.In questo momento la band è in studio per registrare le nuove canzoni (Elfo Studio – www.elfostudio.com).

NUDA!Memorizzate questo nome: sentirete parlare molto di loro.Sito web: www.myspace.com/nudabandFacebook: NUDA! Official Page NUDA! Fans Club www.myspace.com/nudaband Per contatti: [email protected]

L’UNIVERSOdi Michele Bucci

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Il 14 aprile scorso nella cornice ar-chitettonica del Salone degli Affre-schi dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ è stato presentato il Progetto e Saggio ‘InPuglia – Oppor-tunità di investimenti nella regione Puglia’.Vincitore del Concorso ‘Principi Attivi – Giovani Idee per una Puglia Miglio-re’, il Progetto InPuglia è patrocinato dalla Regione Puglia e sostenuto dal Ministero della Gioventù del Gover-no Italiano. Partner dell’iniziativa è l’Istituto Pugliese di Ricerche Econo-miche e Sociali (IPRES) mentre tra i Soggetti aderenti l’iniziativa figura anche la Banca Etica.Il Progetto InPuglia nasce da un’idea di sviluppo incentrata sulla parteci-pazione integrata di persone e orga-nizzazioni, pubbliche e private, ope-ranti in ambiti disciplinari e sistemi territoriali differenti. L’iniziativa in-tende promuovere lo sviluppo della regione Puglia, valorizzando il terri-torio e promuovendo – nel contesto produttivo locale – gli strumenti del-la finanza innovativa che forniscono alle imprese un importante contribu-to finanziario e tecnico manageriale.È nato così il Saggio InPuglia, un Sag-gio di divulgazione della conoscenza che intende avvicinare la collettività al territorio; gli operatori economici (e non solo) alle nuove tecniche di finanziamento; gli investitori, indu-striali e finanziari, che operano oltre regione, alle capacità imprenditoriali del contesto produttivo pugliese.È come un ponte tra Sud e Nord; tra investimenti, innovazione, interazio-ne e integrazione; tra identità sociali e culturali appartenenti ad aree ge-ografiche con caratteristiche di svi-luppo differenti, ma con possibilità e opportunità di sviluppo che possono essere condivise, sostenendo e affer-mando quel processo di interazione utile alla coesione sociale nel nostro Paese. Nel corso dell’evento sono in-tervenuti tra gli altri: Nicola Fratoian-ni, Assessore alle Politiche Giovanili, Cittadinanza Sociale e Attuazione del

Programma della Regione Puglia; Au-gusto Garuccio, Prorettore dell’Uni-versità degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’; Nicola Di Cagno, Presidente Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali (IPRES); Giovanni Vita, Presi-dente Associazione di Promozione Sociale M&APugliaLab, Progetto InPuglia; Donatella Porrini, Profes-sore di Politica Economica presso l’Università del Salento; Fabio Ama-tucci, Responsabile Area Strategie e Finanziamenti CERGAS – Università Bocconi; Teresa Masciopinto, Re-sponsabile Area Culturale Sud, Ban-ca Etica; Federico Pirro, Docente di Storia dell’Industria, Università degli

Studi di Bari. Il saggio, edito Cacucci 2011, è a cura di Giovanni Vita. I con-tributi editoriali sono di: Anna Gerva-soni, Daniela Vestito, Donatella Por-rini, Fabio Amatucci, Federico Pirro, Nunzio Mastrorocco. Il volume sarà a breve disponibile presso le librerie collegate Cacucci Editore mentre più di tremila copie saranno distribuite gratuitamente in tutta Italia presso Associazioni di categoria e Istituzioni di settore.

A breve circa 200 volumi saranno disponibili e ritirabili gratuitamen-te presso l’associazione regionale pugliesi di Milano.

Progetto e Saggio InPugliadi Armando Pisanello

Così cominciava la letterina che tutti gli anni, per il giorno di Pasqua, il Maestro delle scuole elementari, che allora chiamavamo il “Professore” (per le femminucce era sempre la “Maestra”), ci faceva scrivere. Era una letterina con la quale, dando risalto alla Resur-rezione di Gesù, si chiedeva perdono ai nostri genitori per i nostri cattivi comportamenti e si prometteva loro di essere più obbedienti per il futuro con tanti altri buoni propositi.Il copione prevedeva che tale letterina venisse fatta trovare (e quì c’era la complicità della mamma) sotto il piatto del papà (“tata”) quando lo stesso piatto veniva preso per essere riempito al momento del pranzo. Ovviamente anche il papà si aspettava di tro-varla, però fingeva sempre anche lui di essere sorpreso di quella letterina che poi si scopriva essere stata scritta dal proprio figlioletto e indirizzata “ai miei cari genitori”.A questo punto, il pranzo (che cominciava con lo “spezzatu”, piatto tipico di Pasqua) non avrebbe avuto inizio se prima non avessi letto la letterina in piedi, magari sulla se-dia per meglio farmi sentire. Nonostante le frasi scritte fossero quasi sempre le stesse tutti gli anni, il mio papà si commuoveva sempre per davvero e, come mi aspettavo, alla fine della lettura mi dava una piccola mancia di pochi spiccioli ai quali talvolta si aggiungevano quelli della mamma e magari anche quelli del fratello maggiore, tornato in licenza dal militare proprio per Pasqua. Ma non finiva lì... Subito dopo pranzo, con in mano la mia letterina, andavo a fare il giro, a casa delle zie le quali mi aspettavano per sentirsi augurare “Buona Pasqua” con la lettura, anche a loro,della letterina. E, anche loro, mi regalavano una piccola mancia e mi sentivo felice non solo per i soldini ma per quel piccolo gesto dal quale percepivo un mondo di affetto. Che bella festa! Bella non solo per la letterina, ma per tutti quei preparativi prima della Pasqua: il vestito nuovo, le scarpe nuove, le serenate ricevute la notte precedente, la preparazione del pranzo speciale, l’uovo non di cioccolato, ma quello della gallina migliore che la mamma aveva custodito con cura particolare. Bella, perché poi il giorno dopo ci sareb-be stata la Pasquetta, si sarebbe andati nei campi a scorrazzare in mezzo alle nuove erbe che emanavano un profumo di primavera, perché si poteva tornare, a piedi nudi, in riva al mare. Questa era la Pa-squa dei miei tempi (anni 50) e della mia terra, una piccola lingua di terra salentina, vicino al mare di Gallipoli. Si dice che i ricordi siano un indice di vec-chiaia: é vero che sono anche invecchiato, ma questi ricordi mi fanno sentire ancora bam-bino.

BUONA PASQUA A TUTTI!

“Miei cari Genitori,é Pasqua, Gesù é risorto”...

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Per quanto riguar-da invece la parola “SCARCELLA”=scarcerare, mia zia mi spiegava che sarebbe il simbolo del Cri-sto che si libera dalla pri-gione della morte.Durante la Settimana Santa ho partecipato a varie processioni tra il Giovedì ed il Sabato San-to. Il Giovedì vi è la cosid-detta “VISITA DEI SEPOL-CRI”, con l’adorazione del SS.Sacramento nel Duomo Tonti. Il Venerdì Santo ho partecipato a tre proces-sioni, nelle vie cittadine: in mattinata la Processio-ne dei Misteri, il pomerig-gio la Processione della Desolata e la sera la Processione del Cristo Morto. I riti della Settimana Santa si sono poi conclusi con la Processione delle “Donne al Sepolcro”, il Sabato. In queste manifestazioni il personaggio che mi ha colpito di più è stato senza dubbio il “CRISTO ROSSO”, un religioso scalzo che procedeva con tunica e cappuccio rosso, con in testa una corona di spine. Mi hanno poi spiegato che il “Cristo Rosso” è inteso nella tradizione popolare come il Cireneo che aiutò Gesù a trasportare la croce. In certi momenti mi sembrava di vivere nell’antico Impero Romano ai tempi del Cristianesimo, dinanzi a certe scene e certi episodi che avevo visto solo nei film. Pensavo, prima di partecipare a questi eventi, che si trattasse solo di core-ografia, ma ho capito col tempo che, se queste tradizioni si sono mantenute e si mantengono da tantissimi anni, è grazie ad una forza sconosciuta, una fede costante che ci sorregge.Per concludere la Settimana, il Lunedì dell’Angelo, nella classica gita fuori porta, mi sono recato,con i miei cugini, tanto per restare in tema religioso, alla grotta di S.Michele, San Marco in Lamis e S.Giovanni Rotondo, dove ho potuto vedere affacciato alla finestra per la prima ed ultima volta San Pio da Pietrelcina. Ho capito molto più tardi, da adul-to, quanto questa settimana di vacanza, vista allora come scampagnata e divertimento, abbia rappresentato per me qualcosa di molto importante e che serberò per sempre.

Si sta avvicinando Pasqua, e puntualmente affiorano I miei ri-cordi da adolescente. Che brutta bestia la nostalgia!!!!La mia personale “macchina del tempo” mi riporta alla vacanze pasquali del 1966. Mi ritrovo in campagna, dai miei zii e cugi-ni, pochi chilometri da Cerignola. Sento, giocando nei campi, l’aria diversa dal solito; sembra più austera, quasi irreale, non

ha il sapore vacanziero d’Agosto, ma agrodolce, quasi sentisse la Settimana Santa. Naturalmente fervono i preparativi per la commemorazione del Venerdì Santo e la Pasqua; quasi in un’atmosfera da “Sabato del villaggio” di G.Leopardi. Le mie zie pensano già al pranzo domenicale (CARDONCELLI (CARDUN-CIDD) CON L’AGNELLO) e ai dolci da sfornare; le ZEPPOLE e le SQUARCELLE.Sull’etimologia della parola “Zeppola” vi sono varie interpreta-zioni; potrebbe derivare da:- ZEPPA: dal latino “CIPPUS”=pezzetto di legno che elimina gli livellamenti. La zeppa è piccola, e per questo somiglia a quel “pizzico di pasta lievitata” che, fritta nell’olio bollente, si gonfia.- SERPULA: dal latino “SERPE”: infatti la forma antica della zep-pa è quella di una serpe arrotolata.- SAEPTULA: da “saepio=cingere; con questo termine si indica-va tutto ciò che è di forma circolare- ZI’ PAOLO: è il nome del friggitore presunto inventore della zeppola

La Settimana SantaRicordi pasquali di un pugliese a Milano

di Renato Antonio Bandi

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