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Teatro Stabile del Veneto Il deserto dei Tartari di: Dino Buzzati adattamento teatrale e regia: Paolo Valerio con (in ordine alfabetico): Alessandro Dinuzzi Simone Faloppa Emanuele Fortunati Aldo Gentileschi (fisarmonica), Marina La Placa (theremin), Marco Morellini Roberto Petruzzelli Stefano Scandaletti Paolo Valerio Durata: 1 ora e 30 minuti senza intervallo NOTE DI REGIA In passato ho già avuto modo di realizzare altri spettacoli tratti da testi di Buzzati, tra i quali “Sette Piani” e “Poema a Fumetti”, oltre alla fiaba “La meravigliosa invasione degli orsi in Sicilia” ed alcuni racconti, ed ora è arrivato il momento di portare in scena in suo capolavoro. Il mondo di Buzzati è affascinante e misterioso e ne “Il deserto dei Tartari”, il romanzo che segnò la sua vera consacrazione tra i grandi scrittori del Novecento italiano, sono presenti tutte le sue tematiche principali, oltre al suo immaginario onirico di paesaggi e personaggi. Lo scrittore bellunese in un’intervista affermò che lo spunto per il romanzo, il cui tema portante è quello della fuga del tempo, era nato “dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe cons umato così

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Page 1: Teatro Stabile del Veneto Il deserto dei Tartari · definitiva battaglia che poteva pagare l’intera vita», scrive Buzzati: la morte. Non oscura disperazione ma «estrema speranza»…

Teatro Stabile del Veneto

Il deserto dei Tartari di: Dino Buzzati adattamento teatrale e regia: Paolo Valerio con (in ordine alfabetico): Alessandro Dinuzzi Simone Faloppa Emanuele Fortunati Aldo Gentileschi (fisarmonica), Marina La Placa (theremin), Marco Morellini Roberto Petruzzelli Stefano Scandaletti Paolo Valerio Durata: 1 ora e 30 minuti senza intervallo

NOTE DI REGIA

In passato ho già avuto modo di realizzare altri spettacoli tratti da testi di Buzzati, tra i quali “Sette Piani” e “Poema a Fumetti”, oltre alla fiaba “La meravigliosa invasione degli orsi in Sicilia” ed alcuni racconti, ed ora è arrivato il momento di portare in scena in suo capolavoro. Il mondo di Buzzati è affascinante e misterioso e ne “Il deserto dei Tartari”, il romanzo che segnò la sua vera consacrazione tra i grandi scrittori del Novecento italiano, sono presenti tutte le sue tematiche principali, oltre al suo immaginario onirico di paesaggi e personaggi.

Lo scrittore bellunese in un’intervista affermò che lo spunto per il romanzo, il cui tema portante è quello della fuga del tempo, era nato “dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così

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inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva”.

In questo tempo immobile eppure ritmato dalla concreta vita militare, la mia scelta è stata quella di non avere un unico protagonista: tutti gli attori saranno Drogo, seguendo non solo l’invecchiamento del protagonista, ma seguendo le emozioni che il passare tempo si modificano in Drogo come in ognuno di noi: dalla partenza fiduciosa all’attesa, alle delusioni, al sorriso del finale totalmente poetico. Tutti gli attori aspetteranno ed affronteranno i loro Tartari, e così anche tutti gli spettatori saranno Drogo.

Accanto a Drogo e ai vari personaggi, avrà un ruolo importante anche la parte più letteraria del romanzo con l’intenzione di portarne in scena i momenti più descrittivi e poetici, attraverso le parole meravigliose di questo testo, e le immagini del pittore Dino Buzzati.

“Il deserto è un libro da leggere due volte: la prima per non capire nulla fino all’epilogo e lasciarsi sorprendere (l’effetto che Buzzati ricercava), la seconda per ricucire le trame e riconoscere a ritrovo le tante premonizioni. La vicenda è circolare e alla fine tutto torna.” (Cit. Lucia Bellaspiga). Vorrei che questo spettacolo fosse una terza lettura possibile dell’infinito Dino Buzzati.

Paolo Valerio

RECENSIONI

Il protagonista è Giovanni Drogo, un giovane e speranzoso tenente mandato in servizio presso un non meglio identificato distaccamento militare ai confini del mondo, la “Fortezza Bastiani”, relegata in cima ad un’impervia montagna e che da subito appare come sospesa tra sogno e veglia.

La Fortezza, un tempo scenario di grandi battaglie, è ora un avamposto abbandonato e pressoché dimenticato, ma che vincola a sé tutti i militari del battaglione per il senso di perenne attesa di un nemico che ci aspetta giunga dalla frontiera e che rappresenta il sogno di una gloria da conquistare e di un destino su cui riporre la propria fiducia.

Quando Drogo giunge alla Fortezza, è convinto di trascorrere in quel luogo desolato solo qualche mese, per poi tornare alla vita normale. Dopo poco però, la pacata e monotona vita della Fortezza Bastiani, la disciplina

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militare, gli orari dell’esistenza comunitaria e la convinzione o illusione che di lì a poco il nemico arriverà, fanno presa su Giovanni Drogo che, senza rendersene conto, trascorre in quel luogo remoto tutti gli anni della sua esistenza. Per Drogo, così come per i commilitoni, la speranza di veder comparire un nemico all’orizzonte si trasforma a poco a poco quasi in un’ossessione metafisica, in cui si fondono il desiderio di eroismo e la necessità dell’uomo di dare un senso alla propria esistenza. Mentre trascorrono i decenni, e mentre si seguono le vite degli altri soldati della Fortezza, Drogo rimane fatalmente incatenato a questa condizione tra speranza e disillusione; quando, per una breve licenza, potrà rientrare nel mondo reale, percepirà tutto il senso di irreparabile distacco rispetto agli amici di un tempo e alla fidanzata.

L’arrivo del nemico, si rivela infine un momento simbolicamente unico: quando finalmente i Tartari, a lungo attesi, avanzano verso la Fortezza, Drogo, precocemente invecchiato, ammalato, viene frettolosamente congedato e trascorre la sua ultima notte in un’anonima locanda, sulla via del ritorno. Il momento della morte diventa però per il protagonista una vera rivelazione: dopo un’esistenza spesa e sfumata nell’attesa di un evento che dia un senso alla propria vita, Drogo capisce, guardando la sua piccola porzione di stelle, che la vera vittoria è la sua.

Il deserto di BUZZATI sorprende a teatro, Lucia Bellaspiga

L’impresa impossibile, portare in teatro Il Deserto dei Tartari, è affrontata e vinta. Il romanzo dell’attesa, del tempo che scorre immobile, della scena che (apparentemente) non cambia mai perché nulla col passare dei decenni accade, è diventato spettacolo a Verona grazie all’adattamento del regista Paolo Valerio, capace in un lungo atto unico di ricostruire il sortilegio e le atmosfere del capolavoro di Dino Buzzati. Fino ad oggi soltanto monologhi o letture di pagine avevano tentato di tradurre il romanzo in linguaggio teatrale, ma proprio la mancanza di una trama dinamica aveva reso ostica l’impresa. Ci è riuscito Valerio, profondo conoscitore dell’animo di Buzzati, che si è invece affidato a lui entrando continuamente in consonanza con l’autore. Come rappresentare, infatti, i misteriosi orizzonti del deserto del Nord, da cui un giorno forse arriveranno i Tartari? Come la grandiosa Fortezza Bastioni, dai cui spalti i militari per tutta la vita scrutano in attesa del nemico e della gloria? Soprattutto come rendere quell’alternarsi di speranze, angosce, illusioni, delusioni e poi di nuovo speranze, che montano nell’animo di Giovanni Drogo e degli altri? L’idea coraggiosa e geniale è stata lasciare che a scrivere la sceneggiatura e a disegnare gli sfondi fosse lo stesso Buzzati, che infatti fu anche grande pittore. «Dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa – disse –.

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Che dipinga o che scriva io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare storie». Così per tutta la durata dello spettacolo il pubblico viene colto di sorpresa dai fondali che riproducono quadri e disegni dello scrittore (scelti con la consulenza di Maria Teresa Ferrari, massima esperta della sua arte), così perfetti per le varie situazioni: le alte e franose rocce irte di picchi e guglie, le distese desertiche, le ombre informi e per questo inquietanti, le immense incombenti lune, i sogni e gli incubi, ma anche i cieli stellati e la magia della notte quando è profumata di promesse. Non solo. Ben lontano dal narcisismo di registi che sacrificano a se stessi il senso vero dell’opera, Paolo Valerio ha aderito così profondamente allo stile di Buzzati da “dattiloscrivere” il testo sugli sfondi man mano che la voce narrante lo recita, una scelta altamente evocativa per chi conosce Buzzati, che infatti nei quadri fondeva immagine e parola, e li chiamava «storie dipinte». Il Sipario si apre su Giovanni Drogo, ancora giovane e speranzoso tenente che lascia la città, mandato in un lontano distaccamento militare in cima a un’impervia montagna, alla Fortezza Bastiani. La quale esercita su tutti coloro che vi prestano servizio una specie di sortilegio: ognuno pensa di fermarsi solo pochi mesi e chiede di ripartire al più presto, ma poi resta imprigionato dal fascino di Bastiani e dall’attesa del grande evento, quei Tartari che prima o poi arriveranno e con l’eroismo della battaglia riscatteranno la sua esistenza. Un’ossessione che “ammala” tutti. Anche Drogo rimane fatalmente incatenato, al punto che non chiederà più di tornare in città e, nell’unica licenza, dall’incontro con l’amata madre e la fidanzata percepisce quanto il distacco dal mondo reale, in fondo banale e disincantato, sia irrimediabilmente perduto (splendido qui il fondale tratto da Poema a fumetti di Buzzati, così lezioso e vacuo, spaventosamente diverso dai bastioni rocciosi delle altre scene). Passano i decenni inesorabili, tra sobbalzi di speranze e disperate disillusioni. E quando non si attende più, i Tartari arrivano davvero, solo che Drogo, a quel punto molto malato, viene derubato della sua dose di gloria e crudelmente mandato a morire in città. Questo avviene nel penultimo capitolo del romanzo, incredibilmente fino ad oggi considerato l’ultimo sia nei monologhi teatrali, sia addirittura nel famoso film di Valerio Zurlini Il deserto dei Tartari (1976): tutti terminano nella disperazione, con un Drogo tradito dai compagni, sconfitto dalla vita. Fondamentale, allora, è il recupero che Paolo Valerio fa invece del senso originale del romanzo, cui restituisce quell’ultimo capitolo irrinunciabile, senza il quale si sovverte ciò che Buzzati voleva dirci. Altro che Tartari, eccola «la sua grande occasione, la definitiva battaglia che poteva pagare l’intera vita», scrive Buzzati: la morte. Non oscura disperazione ma «estrema speranza»… Quando entra Lei nella sua stanza, «Drogo fece forza contro l’immenso portale nero e si accorse che i battenti cadevano, aprendo il passo alla luce». Con «gioia inesprimibile» capisce tutto: l’attesa vera non erano i Tartari e i perdenti sono i suoi compagni che ora li stanno combattendo a Bastiani. Lui invece, che valica la grande soglia della vita, sulla sua poltrona accoglie la morte drizzando il busto, con dignità mi-litare, guardando dalla finestra la «sua porzione di stelle» e poi «sorride» (non a caso ultima parola del romanzo).

Tagliato il finale, Il deserto dei Tartari era fino a oggi il più frainteso dei romanzi, il più tradito. «Drogo siamo tutti», spiega Paolo Valerio. Così gli attori che magistralmente impersonano i vari personaggi, via via vestono tutti anche i panni del protagonista. Di grande impatto la morte di Drogo, una poltrona vuota che sale verso il cielo. Anche questo sarebbe piaciuto a Buzzati, che ne dipinse tante e spiegò il perché: «Soprattutto quando

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nessuno ci è seduto sopra, sono molto espressive», conservano sempre qualcosa di noi, «come se un uomo si fosse alzato e avesse lasciato la sua impronta». Prima di andare a morire, Buzzati disegnò anche la sua.

Il deserto dei Tartari

La fuga dal tempo è il tema portante de Il deserto dei Tartari, come ebbe ad affermare l’autore Dino Buzzati, che lo definì “il libro della mia vita”. Oppresso dalla monotona routine redazionale notturna, lo scrittore venne assalito dall’idea che avrebbe consumato inutilmente l’esistenza incasellato negli orari della città: un sentimento comune alla maggioranza degli uomini. Il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale allestisce una nuova produzione de Il Deserto dei Tartari, per l’adattamento e la regia di Paolo Valerio. Le musiche originali sono di Antonio di Pofi, mentre le immagini sono tratte dai quadri dello stesso Buzzati. Lo spettacolo è dedicato ad Almerina, moglie e musa ispiratrice, scomparsa nel 2015. La Fortezza Bastiani, dove il giovane ufficiale Giovanni Drogo viene distaccato, è un luogo ai confini del mondo, sospeso tra sonno e veglia. I militari scrutano l’orizzonte nella perenne attesa del sopraggiungere di un ignoto nemico, imprigionati in un'ossessione metafisica in cui si fondono il desiderio di eroismo e la necessità dell’uomo di dare un senso alla propria esistenza. A portare sulla scena l’immaginario onirico dello scrittore bellunese, consacrato tra i grandi del Novecento, sono Alessandro Dinuzzi, Simone Faloppa, Emanuele Fortunati, Aldo Gentileschi, Marina La Placa, Marco Morellini, Roberto Petruzzelli, Stefano Scandaletti e lo stesso Paolo Valerio, il quale nel disegno registico sceglie di identificare ogni personaggio con il protagonista “seguendone non solo l’invecchiamento, ma le emozioni che con il passare del tempo si modificano in lui come in ognuno di noi: dalla partenza fiduciosa, all’attesa, alle delusioni, al sorriso del finale. Tutti gli attori aspetteranno e affronteranno i loro Tartari, e tutti gli spettatori saranno Drogo”. Dino Buzzati lavorò al Corriere della Sera e a questa attività affiancò la pittura, sua grande passione. A 110 anni dalla nascita, il complesso delle sue opere viene ricordato con Il Deserto e oltre. Giornate Buzzatiane.