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559 TECNICHE COSTRUTTIVE MEDIEVALI NEL TERRITORIO DI POMARANCE (PI) MURATURE, SEZIONI E FORMA DEI CONCI NELLE ARCHITETTURE DELL’XI-XIV SECOLO di ANTONELLA MANFREDI INTRODUZIONE Il territorio di Pomarance, nell’Alta Val di Cecina al limite nord delle Colline Metallifere, è caratterizzato dalla presenza di numerosi insediamenti di origine medievale, in gran parte incastellati intorno al Mille (AUGENTI 2000). Le alterne vicen- de, dominate dalle grandi famiglie comitali dei Gherardesca e degli Alberti, degli Aldobrandeschi in misura minore, hanno frazionato la compagine storica dei singoli insediamenti, an- che in relazione allo sfruttamento dei giacimenti minerari del- la zona la cui presenza ha contribuito fin dall’Età del Bronzo allo sviluppo del paesaggio abitato. Sotto la Diocesi di Volter- ra, la zona raggiunge una prima identità territoriale nel XII secolo, rafforzatasi poi agli inizi del secolo XIII quando il Comune di Volterra raccoglie intorno a sé gran parte di questo territorio, iniziando un programma di ristrutturazione di nu- merosi castelli e il restauro di quelli esistenti (GINATEMPO 1994). Una campionatura su venti esempi di architetture medie- vali (Fig. 1) e circa 40 apparecchiature murarie, ubicate in un areale i cui vertici sono grosso modo Lustignano, Serrazzano, Libbiano e Pomarance, ha consentito di documentare le tec- niche murarie e di organizzare una prima loro sintesi. L’ulte- riore indagine su alcuni aspetti della produzione edilizia può suggerire ancora come essi siano indicativi non solo della presenza di una manodopera variamente specializzata, ma anche dello sviluppo di un ciclo produttivo diversamente or- ganizzato. La quantità dei dati raccolti e l’opportunità di ul- teriori indagini fanno così di questo scritto un resoconto di osservazioni oggettive e non certo conclusive. I MATERIALI DA COSTRUZIONE Il territorio di Pomarance è in gran parte caratterizzato dall’affioramento di depositi neoautoctoni del Pliocene e Miocene nelle zone di Pomarance, S. Dalmazio, Larderello e S. Ippolito, nel vasto areale lungo il fiume Cornia con asse di sviluppo sud-ovest/nord-est che comprende le zone di Casti- glion Bernardi-Lustignano-Serrazzano, dove affiorano are- narie con fossili marini, argille azzurre marine, calcare di scogliera, calcare arenaceo. Con minor estensione, si trova- no anche affioramenti della serie ofiolitera (serpentine, gab- bri, diabasi) intorno a Rocca Sillana e Montecerboli, del Grup- po dell’Alberese e del Flysch cretaceo con presenza di calca- re a briozoi e arenarie quarzoso-micacee, intorno a La Leccia. Per quanto riguarda l’impiego di queste rocce nell’edi- lizia, non è raro osservare l’uso contemporaneo di diversi litotipi scelti in base alla funzione del manufatto; le ofioliti sono quasi sempre utilizzate come roccia di fondazione (Rocca Sillana, Montecerboli, Micciano), mentre gli eleva- ti sono realizzati in gran parte con panchina o con calcare di scogliera (TRINCIARELLI, MARRUCCI 1990). Il calcare di scogliera, detto localmente tufo ha una lunga tradizione d’uso in quest’area. Per il suo aspetto simile al tra- vertino e per la lavorabilità fu utilizzato dagli Etruschi e dai Romani per opere edilizie e nella produzione di urne cinerarie (TRINCIARELLI, MARRUCCI, 1990). Nel Medioevo è invece uti- lizzato solo negli elementi di rifinitura delle aperture (Leccia, Pomarance) o come materiale di recupero (torre di Rocca Sillana); più raro il suo utilizzo nella costruzione del paramen- to murario, osservato per ora nella zona di Pomarance. Nell’area volterrana, in senso allargato, è però il calcare arenaceo o panchina il materiale da costruzione per eccellen- za. Il Targioni Tozzetti scriveva che «questa pietra è in certa maniera simile alla Panchina, cosi detta nelle Colline di Val d’Era e a Volterra; ha però di diverso che i suoli o strati di essa non sono divisi in massi parallelepipedi, come sono molti della Panchina, ma sono croste tutte andanti e continuate, che si stendono per un grandissimo tratto del paese […] La super- ficie della più esteriore crosta di questa pietra non è liscia e spianata, ma cavernosa e tutta scavi e risalti, che la fanno comparire similissima a vasti suoli di tufi che si osservano al Lido del Lazzaretto d’Acquaviva a Livorno. […] Di questa sola pietra si servono per le fabbriche, ed è buonissima quan- to i Tufi di Livorno» (TARGIONI TOZZETTI 1769). Il suo utilizzo nell’edilizia appare ampiamente diffuso in un vasto areale che da Pomarance arriva a Volterra, ad esclu- sione invece d’alcune aree ad est e ad ovest del fiume Cornia. Caratteristica principale è la sua lavorabilità: appena estratta è morbida e docile al ferro, solo dopo una stagionatura di circa un anno perde l’umidità e indurisce completamente, raggiun- gendo il massimo delle proprie caratteristiche di resistenza meccanica. Questo e la facile reperibilità in loco ne han favo- rito un uso prolungato, ciò che consente di delineare un per- corso evolutivo delle tecniche costruttive e documentare il passaggio da semplici processi produttivi a sistemi di produ- zione più complessi, di tipo pre-industrializzato. Negli edifici più antichi sono stati osservati due tipi di lavorazione dei conci: «uno rozzo che l’abbandona appena squadrata, l’altro più regolare che la spiana e la squadra con lavoro di gradina. Forse il primo è il più antico, ma certo fin dal XIII secolo si trovano usati contemporanea- mente [a Volterra]; talora anzi simultaneamente in una stessa costruzione» (TRINCIARELLI, MARRUCCI 1990). Nel territorio di Pomarance la troviamo utilizzata nella costruzione di strutture fortificate, edifici religiosi e civili, nel- l’edilizia comune e nelle strutture di servizio come terrazza- Fig. 1 – Edifici/complessi architettonici campionati: 1) Castel di Cor- nia; 2) S. Pietro in Monteverdi; 3) Lustignano, cinta muraria; 4) S. Giovanni di Lustignano; )5) Serrazzano, cinta muraria; 6) S. Antonio a Serrazzano; 7) Montecerboli, cinta muraria; 8) S. Giovanni a Morba (Montecerboli); 9) Libbiano, castello; 10) S. Giovanni Micciano; 11) “Casa del Barbarossa” (Pomarance); 12) Casa torre Mugnaini Ricci (Pomarance); 13) Casa torre in V. Calatella (Pomarance); 14) Casa torre Porta Orciolina (Pomarance); 15) Porta a Casolle (Pomaran- ce); 16) Rocca Sillana; 17) S. Giovanni di Sillano; 18) Castel Volter- rano; 19) Leccia, cinta muraria; 20) Casa torre, Leccia; 21) Torre del cassero, Leccia.

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TECNICHE COSTRUTTIVE MEDIEVALI NELTERRITORIO DI POMARANCE (PI)

MURATURE, SEZIONI E FORMA DEI CONCINELLE ARCHITETTURE DELL’XI-XIV SECOLO

diANTONELLA MANFREDI

INTRODUZIONE

Il territorio di Pomarance, nell’Alta Val di Cecina al limitenord delle Colline Metallifere, è caratterizzato dalla presenzadi numerosi insediamenti di origine medievale, in gran parteincastellati intorno al Mille (AUGENTI 2000). Le alterne vicen-de, dominate dalle grandi famiglie comitali dei Gherardesca edegli Alberti, degli Aldobrandeschi in misura minore, hannofrazionato la compagine storica dei singoli insediamenti, an-che in relazione allo sfruttamento dei giacimenti minerari del-la zona la cui presenza ha contribuito fin dall’Età del Bronzoallo sviluppo del paesaggio abitato. Sotto la Diocesi di Volter-ra, la zona raggiunge una prima identità territoriale nel XIIsecolo, rafforzatasi poi agli inizi del secolo XIII quando ilComune di Volterra raccoglie intorno a sé gran parte di questoterritorio, iniziando un programma di ristrutturazione di nu-merosi castelli e il restauro di quelli esistenti (GINATEMPO 1994).

Una campionatura su venti esempi di architetture medie-vali (Fig. 1) e circa 40 apparecchiature murarie, ubicate in unareale i cui vertici sono grosso modo Lustignano, Serrazzano,Libbiano e Pomarance, ha consentito di documentare le tec-niche murarie e di organizzare una prima loro sintesi. L’ulte-riore indagine su alcuni aspetti della produzione edilizia puòsuggerire ancora come essi siano indicativi non solo dellapresenza di una manodopera variamente specializzata, maanche dello sviluppo di un ciclo produttivo diversamente or-ganizzato. La quantità dei dati raccolti e l’opportunità di ul-teriori indagini fanno così di questo scritto un resoconto diosservazioni oggettive e non certo conclusive.

I MATERIALI DA COSTRUZIONE

Il territorio di Pomarance è in gran parte caratterizzatodall’affioramento di depositi neoautoctoni del Pliocene eMiocene nelle zone di Pomarance, S. Dalmazio, Larderello eS. Ippolito, nel vasto areale lungo il fiume Cornia con asse disviluppo sud-ovest/nord-est che comprende le zone di Casti-glion Bernardi-Lustignano-Serrazzano, dove affiorano are-narie con fossili marini, argille azzurre marine, calcare discogliera, calcare arenaceo. Con minor estensione, si trova-no anche affioramenti della serie ofiolitera (serpentine, gab-bri, diabasi) intorno a Rocca Sillana e Montecerboli, del Grup-po dell’Alberese e del Flysch cretaceo con presenza di calca-re a briozoi e arenarie quarzoso-micacee, intorno a La Leccia.

Per quanto riguarda l’impiego di queste rocce nell’edi-lizia, non è raro osservare l’uso contemporaneo di diversilitotipi scelti in base alla funzione del manufatto; le ofiolitisono quasi sempre utilizzate come roccia di fondazione(Rocca Sillana, Montecerboli, Micciano), mentre gli eleva-ti sono realizzati in gran parte con panchina o con calcaredi scogliera (TRINCIARELLI, MARRUCCI 1990).

Il calcare di scogliera, detto localmente tufo ha una lungatradizione d’uso in quest’area. Per il suo aspetto simile al tra-vertino e per la lavorabilità fu utilizzato dagli Etruschi e daiRomani per opere edilizie e nella produzione di urne cinerarie(TRINCIARELLI, MARRUCCI, 1990). Nel Medioevo è invece uti-lizzato solo negli elementi di rifinitura delle aperture (Leccia,Pomarance) o come materiale di recupero (torre di RoccaSillana); più raro il suo utilizzo nella costruzione del paramen-to murario, osservato per ora nella zona di Pomarance.

Nell’area volterrana, in senso allargato, è però il calcarearenaceo o panchina il materiale da costruzione per eccellen-

za. Il Targioni Tozzetti scriveva che «questa pietra è in certamaniera simile alla Panchina, cosi detta nelle Colline di Vald’Era e a Volterra; ha però di diverso che i suoli o strati diessa non sono divisi in massi parallelepipedi, come sono moltidella Panchina, ma sono croste tutte andanti e continuate, chesi stendono per un grandissimo tratto del paese […] La super-ficie della più esteriore crosta di questa pietra non è liscia espianata, ma cavernosa e tutta scavi e risalti, che la fannocomparire similissima a vasti suoli di tufi che si osservano alLido del Lazzaretto d’Acquaviva a Livorno. […] Di questasola pietra si servono per le fabbriche, ed è buonissima quan-to i Tufi di Livorno» (TARGIONI TOZZETTI 1769).

Il suo utilizzo nell’edilizia appare ampiamente diffuso inun vasto areale che da Pomarance arriva a Volterra, ad esclu-sione invece d’alcune aree ad est e ad ovest del fiume Cornia.

Caratteristica principale è la sua lavorabilità: appena estrattaè morbida e docile al ferro, solo dopo una stagionatura di circaun anno perde l’umidità e indurisce completamente, raggiun-gendo il massimo delle proprie caratteristiche di resistenzameccanica. Questo e la facile reperibilità in loco ne han favo-rito un uso prolungato, ciò che consente di delineare un per-corso evolutivo delle tecniche costruttive e documentare ilpassaggio da semplici processi produttivi a sistemi di produ-zione più complessi, di tipo pre-industrializzato.

Negli edifici più antichi sono stati osservati due tipi dilavorazione dei conci: «uno rozzo che l’abbandona appenasquadrata, l’altro più regolare che la spiana e la squadracon lavoro di gradina. Forse il primo è il più antico, macerto fin dal XIII secolo si trovano usati contemporanea-mente [a Volterra]; talora anzi simultaneamente in una stessacostruzione» (TRINCIARELLI, MARRUCCI 1990).

Nel territorio di Pomarance la troviamo utilizzata nellacostruzione di strutture fortificate, edifici religiosi e civili, nel-l’edilizia comune e nelle strutture di servizio come terrazza-

Fig. 1 – Edifici/complessi architettonici campionati: 1) Castel di Cor-nia; 2) S. Pietro in Monteverdi; 3) Lustignano, cinta muraria; 4) S.Giovanni di Lustignano; )5) Serrazzano, cinta muraria; 6) S. Antonioa Serrazzano; 7) Montecerboli, cinta muraria; 8) S. Giovanni a Morba(Montecerboli); 9) Libbiano, castello; 10) S. Giovanni Micciano; 11)“Casa del Barbarossa” (Pomarance); 12) Casa torre Mugnaini Ricci(Pomarance); 13) Casa torre in V. Calatella (Pomarance); 14) Casatorre Porta Orciolina (Pomarance); 15) Porta a Casolle (Pomaran-ce); 16) Rocca Sillana; 17) S. Giovanni di Sillano; 18) Castel Volter-rano; 19) Leccia, cinta muraria; 20) Casa torre, Leccia; 21) Torre delcassero, Leccia.

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menti e perimetrazioni poderali; sino agli Anni Cinquanta inol-tre è stata adoperata con modalità di estrazione e lavorazionesimili a quelle di epoca medievale conferendo quindi una certaomogeneità materica al paesaggio. A questa, si associa poi lafrequente reiterazione di alcune tecniche costruttive.

Accanto alla pietra, nel secolo XIII l’uso del lateriziodi probabile produzione locale (fornaci di Pomarance) èdocumentato nelle foderature di muri interni e soprattuttoper la costruzione di volte; di rado compare nei paramentiesterni se non come materiale di reimpiego o di supportoalla pietra intorno alla metà del sec. XIV e per tutto il XV.La limitata campionatura dei laterizi non consente ancoradi fare ulteriori valutazioni.

TECNICHE COSTRUTTIVE DEL PARAMENTO A VI-STA E VARIAZIONI DIMENSIONALI DEI CONCI

La lettura stratigrafica preventiva degli elevati ha permes-so l’individuazione delle fasi di sviluppo dei manufatti e unacampionatura mirata delle tecniche murarie, con rilievi autopticie registrazione dei dati dimensionali. Le tecniche murarie, ri-ferite ad una campionatura di circa 40 murature (Fig. 2), sonostate classificate secondo i modelli definiti da Parenti (PARENTI1988) e raggruppate in base al relativo grado di lavorazione(Tab. 1). In mancanza di fonti storiche e/o archeologiche diret-te, la datazione relativa delle tecniche murarie si è basata sulconfronto con quelle di manufatti cronologicamente databilida fonte storica (cinte murarie, edifici di culto).Gruppi A, B: murature realizzate da manodopera specializ-zata/altamente specializzata; pietrame squadrato e spianatonei piani di posa e di attesa laterali, messo in opera in corsiorizzontali e paralleli. Le varianti riscontrare si riferisconosia a dati dimensionali sia alle tecniche di finitura dei conci.Gruppo C: la posa in opera denota la presenza di manodo-pera specializzata, ma la lavorazione dei conci risulta diminor qualità (sommaria spianatura, piani d’attesa non per-fettamente verticali).Gruppo D: murature propriamente irregolari realizzate conpietrame erratico o semilavorato, spesso intercalato a ma-teriale di reimpiego, messo in opera a bancate con abbon-dante malta rifluente.Gruppo E: murature miste in pietra e laterizio e muratureeterogenee formate da pietrame e laterizio messi variamentein opera, manodopera a diverso livello di specializzazione.

All’interno di ogni gruppo, le dieci tecniche murarierilevate sono state distinte con un codice che indica tecnica,gruppo, variante (Fig. 2).

La produzione edilizia del sec. XI-XIV appare finoracaratterizzata dall’uso di queste tecniche, spesso coesistenti.La Tecnica I (gruppo A), individuata in S. Giovanni(Lustignano) (largh. min/max cm 31≤85, h. min/max31≤41 cm) e S. Antonio (Serrazzano) (largh. min/max 31≤124cm, h. min/max 31≤39 cm), per l’uso di grandi blocchi squa-drati e spianati con evidenti variazioni dimensionali e per lapresenza di conci “abbottonati”, non pare aver confronti conaltre costruzioni dell’area e richiama le architetture religiosedel X sec. della Sardegna e della Spagna.

Le Tecniche II e III (conci squadrati e spianati di medie/medio-grandi dimensioni, largh. 20≤65,3 cm, h. 20.5£32.5;corsi orizzontali e paralleli a formare un paramento murario,regolare ed omogeneo; rare zeppe lamellari nei letti di posa enei giunti; sdoppiamenti dei conci nella parte più alta della

muratura) sono quelle più utilizzate nelle murature esterne ditorri, case torri, edifici religiosi del sec. XI-XII. Le variantiosservate dipendono da lavorazione e rifinitura dei conci,regolarità della posa in opera. Gli strumenti usati per la spia-natura sono spesso: subbia o picconcello, scalpello. L’usosporadico della gradina è stato osservato in alcuni conci direimpiego (Castel di Cornia, MANFREDI 2003).

Nelle tecniche IV, V e VI il pietrame è sommariamentelavorato, ma orizzontalità dei corsi e posa in opera indicano lapresenza di manodopera con buon livello di specializzazione.

Le tecniche VII e VIII, in materiale eterogeneo anchedi recupero, indicano presenza di manodopera con specia-lizzazione medio-bassa, in grado di mantenere l’orizzonta-lità dei piani ed una maggiore regolarità del paramento. Sonoattestate in tutta la zona, nei manufatti di minor importanzao in quelli realizzati da manodopera di origine locale.

La tecnica IX (sec. XIII-XIV), opera mista a ricorsi inlaterizio, è documentata a Rocca Sillana (conci di recuperoe laterizio) e a S. Pietro di Monteverdi (conci perfettamentelavorati); qualità della messa in opera e delle sezioni mura-rie indicano la presenza di manodopera specializzata.

La tecnica X denota l’uso, comune nel Medioevo, di re-impiegare materiale lapideo recuperato da altre strutture edi-lizie: conci angolari, cornici delle aperture sono messi in operacome materiale già rifinito, mentre la muratura intermediacostruisce il suo grosso spessore con pietrame erratico, ciot-toli e scarti di lavorazione tenuti insieme da abbondante mal-ta. Questa tecnica denota la presenza di manodopera scarsa-mente specializzata. L’attività di recupero e reimpiego deimateriali è documentata in diversi manufatti: torre di Corniaa Lustignano, Casa del Barbarossa a Pomarance (marmo),torre di Rocca Sillana (calcare di scogliera).

Questo pur breve excursus, evidenzia l’uso simultaneodi più tecniche costruttive, ma anche, come già osservato inaltri insediamenti della Toscana centrale, la tendenza agerarchizzarne l’impiego in base all’importanza dell’edifi-cio. La coesistenza di tecniche diverse riflette poi il “fatto-re sociale” legato all’edilizia: non v’è dubbio che laddoveesista la volontà d’un committente, pubblico/privato, la tec-nica muraria rifletta un ciclo produttivo più complesso especializzato (Castel di Cornia, case torri a Pomarance, cintamuraria Lustignano e Montecerboli, Rocca Sillana); vice-versa, si registra l’uso di murature di tipo artigianale (rifa-cimenti e ampliamenti del Castel di Cornia, mura diLustignano), realizzate da una squadra ridotta (muratore emanovale) di provenienza locale.

Nell’edilizia fortificata (torri, case torri) e specialistica(edifici religiosi) del XI-XIII, la tecnica II è quella più atte-stata. La variazione dimensionale dei conci risulta la chiavedi lettura più indicativa: la lunghezza resta variabile fino agliinizi del Duecento e solo dalla seconda metà si tende a stabi-lizzare le misure intorno a cm 30 (circa mezzo braccio) e cm45 (3/4 di braccio) (MANFREDI 2003). Nelle murature di Po-marance (borgo) la variabilità della lunghezza dei conci, al-l’interno della stessa unità stratigrafica muraria, ha un anda-mento bimodale: conci di medie/medio-grosse dimensioni(30≤55 cm), con maggior frequenza di conci di 35≤40 cm e40≤45 cm. Numerosi conci ≥a 60 cm, usati perlopiù nellecatene angolari.

Anche per le altezze dei conci, negli edifici del sec. XI-XII è stato osservato un andamento bimodale con picchiintorno ai 23≤25 cm e ai cm 28 (Fig. 3), mentre negli edificidel secolo XIII vi è una maggior regolarità con tendenza apreferire altezze intorno ai cm 23-25.

Gruppo Tecnica Varianti Grado di specializzazione Datazione Campioni rilevati A I IA - IB Medio/alto - Alto Fine X – XI sec 2 B II, III II A- II D, IIIA Medio/alto – medio - alto XI – XIII sec 16 C IV, V, VI IV A - IV D, VI A-VI D Medio-alto/alto XIII – XIV sec 12 D VII, VIII VII A - VII C, VIII A - VIII C Basso XIII – XV sec 7 E IX, X IX A - XI B, X A – X B Basso/nullo – medio/alto XIII - XV sec 6

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LE SEZIONI MURARIE

Insieme all’analisi del paramento a vista assume semprepiù importanza anche lo studio della sezione muraria, poichéle caratteristiche del nucleo interno possono rappresentareuno dei parametri di riferimento per la classificazione dellemurature e che, spesso, non vi è corrispondenza tra tecnicacostruttiva del paramento a vista e tecnica costruttiva del saccointerno della muratura. Dal nucleo dipendono inoltre le ca-ratteristiche meccaniche della muratura stessa.

Le campionature autoptiche hanno fornito moltepliciindicazioni sulle modalità di messa in opera della sezionemuraria, sulla lavorazione dei conci e sul livello di specia-lizzazione della manodopera, consentendo di ottenere unasintesi delle più comuni tecniche.

Le sezioni murarie osservate sono del tipo definito asacco. Le loro caratteristiche morfologiche sono state ana-lizzate in base a quanto indicato da Doglioni e Parenti (DO-GLIONI, PARENTI 1993) e di altri elementi rilevati in fase dicampionatura: spessore della sezione muraria, caratteristi-che dei paramenti esterni (isometria, altezza corsi, tessitu-ra muraria), conformazione dei conci (cuneo con/senza coda;parallelepipedo con/senza coda; piani d’attesa verticali/oriz-zontali, solo orizzontali, senza piani d’attesa); presenza dipiani d’orizzontamento/allettamento, caratteristiche e con-formazione del nucleo interno (isometria tra nucleo e corti-ne esterne, non apparecchiato, apparecchiato con caementaorizzontali/ variamente inclinati), presenza di incatenamentiorizzontali tra nucleo e incamiciature.

Gli spessori variano in base alla funzione statica dellacostruzione e, soprattutto, in base al fattore di sicurezza le-gato alla necessità di difesa (Fig. 4). Sezioni con spessoriridotti sono per lo più usate per pareti divisorie interne, edi-fici minori o di servizio, mentre le sezioni murarie piùspessorate sono riferibili quasi sempre ad un’edilizia spe-cialistica, di tipo difensivo, come cinte murarie, mura peri-metrali esterne di singoli ambienti interni alla cerchia di-fensiva, case torri ed edifici religiosi extra-mura (Fig. 5)

Le murature con spessori di 45≤62 cm (circa 1 brac-cio), spesso con funzione non portante e non specialistica,sono del tipo a nucleo di risulta, nelle varianti apparec-chiato e non apparecchiato. Sono state osservate tre moda-lità di costruzione: a) murature realizzate a bancate di cm60 ca. con getto di calcestruzzo, realizzato fuori opera, incassaforma di recupero, poi foderate con laterizi (Castel diCornia, Rocca Sillana); b) murature a cortina esterna in la-terizio e nucleo di risulta, non apparecchiato, gettato in ban-cate di circa 50-60 cm, contestuali ai corsi esterni, di mate-riale eterogeneo affogato con malta di calce (Castello di

Fig. 4 – Struttura muraria e fattore di sicurezza: variazioni dimensionali degli spessori murari.

Fig. 3 – Tecnica costruttiva II: variazione dimensionale dei conci,confronto tra Pomarance, Torre di Cornia e Volterra.

Berignone); c) murature propriamente dette a nucleo di ri-sulta formato da bancate di materiale eterometrico affogatoin malta di calce gettata in opera, con piani di allettamentoe/o orizzontamento ogni 50-70 cm (Castel di Cornia, Silla-no, Monteverdi). Le tecniche utilizzate non denotano parti-colare specializzazione di manodopera.

Nelle murature con spessori maggiori (65≤200 cm),in elementi strutturali specialistici (funzione portante e/o difensiva), le due tecniche costruttive basilari osserva-te sono quelle definite sezione a nucleo di risulta e se-zione a nucleo in calcestruzzo con caementa (DOGLIONI,PARENTI 1993) a cui si accompagnano diverse variantinella messa in opera dello stesso nucleo interno. Anchein questo caso il sacco può essere non apparecchiato eapparecchiato. Nel primo caso la muratura, realizzata abancate di circa cm 60-70, presenta piani di orizzonta-mento intermedi in scaglie di pietrame e abbondante maltadi calce. Le cortine esterne sono formate da corsi oriz-zontali e paralleli di pietrame semilavorato o pietrameerratico eterometrico, appena regolarizzato nei piani diposa. Nel caso di nucleo apparecchiato, questo è conte-stuale a ciascun filare esterno e formato da caementa di-versamente apparecchiati, con piani di orizzontamentoin scaglie e scarti di lavorazione, affogati in abbondantemalta di calce.

Le varianti maggiormente osservate riguardano le mo-dalità di apparecchiatura del nucleo: il pietrame può essereposto in opera con inclinazione da orizzontale a verticale(da 180° a 90°), con maggior frequenza di piani orizzontalio inclinati di 45°. L’uso di sezioni a nucleo apparecchiato a

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piani orizzontali risulta più frequente nei grandi spessorimurari ad elevato fattore difensivo; la forte coesione traparamento e riempimento conferisce infatti particolare com-pattezza e resistenza alla muratura.

Altra variante osservata è la presenza di piani di oriz-zontamento: tali piani, che hanno funzione di riportare alivello il piano di posa della muratura, sono particolarmen-te necessari quando si mette in opera pietrame eterometri-co; più spesso sono ottenuti con scaglie, scarti di lavorazio-ne, erratici di piccole dimensioni affogati in abbondantemalta di calce (Castel di Cornia), con minor frequenza sirilevano letti di malta sabbiosa mista a terra e calce spentain opera (Monteverdi) oppure strati sovrapposti di pietramespezzato di piccole dimensioni (Rocca Sillana, Pomaran-ce). La presenza di piani d’orizzontamento è stata ugual-mente osservata in murature di spessore medio e grande.Lo schema proposto in Fig. 6 (MANFREDI 1999) sintetizza lepiù comuni tecniche costruttive rilevate e riproduce, nellasuccessione numerica, le principali azioni costruttive di ognisingola sezione muraria.

LA FORMA DEI CONCI

Lavorata, semilavorata o, più spesso, messa in operaallo stato naturale, la pietra è l’elemento che subito indica ilgrado di specializzazione della manodopera e, indirettamen-te, l’importanza del manufatto edilizio, i tempi della sua

edificazione, il ciclo produttivo.L’uso di pietrame ben riquadrato presume infatti una

fase di approvvigionamento in cava e la presenza di unoscalpellino addetto ad un ciclo di lavorazione più comples-so, al contrario dell’uso di pietrame erratico che, semplice-mente spaccato o appena regolarizzato con strumenti a per-cussione diretta (mazzetta, picconcello, subbia), è messo inopera da manodopera comune.

Dall’uso di pietrame lavorato o non lavorato dipendo-no qualità della muratura e suo comportamento fisico-chi-mico e meccanico. Conci ben squadrati, con regolari giuntie piani di posa, reagiscono meglio all’attacco degli agentiesogeni, mentre una muratura con pietrame irregolare congiunti difformi, anche di notevole spessore, offre una mag-gior superficie d’attacco che rappresenta un veicolo di de-grado del paramento esterno e del nucleo.

Nelle murature campionate, il pietrame utilizzato si di-stingue in due grossi gruppi: lavorato e semilavorato(Fig. 7). Il pietrame lavorato comprende conci a cuneo, concoda diversamente lavorata (Fig. 7, A-F), lastre sagomate acuneo o semi-cuneo (Fig. 7, G-L), conci a parallelepipedo,con o senza coda (Fig. 7, M-N).

I conci a cuneo come quelli a parallelepipedo, hannouna coda spesso solo accennata e ottenuta per spacco; sonocaratterizzati dalla presenza di piani d’attesa spianati (ver-ticali e spesso orizzontali) con estensione variabile di 5≤20cm, ciò che rende possibile la regolarità dei giunti e l’uso dipoca malta per la messa in opera. La coda è realizzata con

Fig. 5 – Sezioni murarie: tecniche costruttive (secc. XI-XIV) da rilievi autoptici.

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Fig. 6 – Tecniche costruttive delle sezioni murarie: A – SEZIONI A NUCLEO DI RISULTA: 1) nucleo non apparecchiato e bancate dica. cm 70, piani di orizzontamento in scaglie e malta di calce, entro cortine esterne in corsi orizzontali, paralleli di pietramesommariamente lavorato (spessore cm 65-70); 2) nucleo non apparecchiato gettato entro corsi orizzontali e paralleli dipietrame spianato, spesso di recupero, con ricorsi ad ogni bancata di cm 60 ca. (spessore cm 60-85); 3) nucleo apparec-chiato e ricorsi ogni 60 cm, messo in opera entro corsi orizzontali e paralleli di conci sbozzati e spianati (spessore cm 75-85); 4) nucleo apparecchiato, con piani di allettamento in malta di calce, contestuale ad ogni corso del paramento esternoin corsi orizzontali e paralleli di conci sbozzati e spianati; B – SEZIONI A NUCLEO DI CALCESTRUZZO: 6) nucleo apparecchiato conpiani di orizzontamento, messo in opera contestualmente ad ogni corso esterno di conci perfetta, ente squadrati e spianati,apparecchiati in corsi orizzontali e paralleli (spessore cm 90-125); 7) nucleo apparecchiato a piani orizzontali, contestualeal corso di cortina, con piani di allettamento in malta di calce e piano di orizzontamento in pillori, scaglie e malta di calce(spessore cm 150); 8) nucleo a bancate non apparecchiate, alternate a ricorsi continui in pietrame apparecchiato ed abbon-dante malta, entro corsi esterni orizzontali e paralleli di conci sommariamente lavorati (in manufatti di grande spessore> 180 cm); 9) nucleo in pietrame apparecchiato contestuale ad un modulo esterno formato da un corso di conci squadrati espianati alternato a due ricorsi in laterizio (spessore medio cm 100-120); 10) nucleo con caementa variamente apparec-chiati (0°-180°) con piani di orizzontamento in scaglie, scarti di lavorazione e abbondante malta, contestuali a corsi esternidi conci squadrati, spianati disposti su corsi orizzontali e paralleli (spessore cm 116-196; 5-11) queste tecniche derivanodalle più comuni 4 e 10 e si presentano con una doppia cortina di rinforzo da un lato, realizzata con la stessa tecnica(spessori 120-240).

l’uso di strumenti a percussione indiretta (scalpello, sub-bia) o diretta (ascia, picconcello), i piani d’attesa sono re-golarizzati con scalpello.

Le lastre, con spessore ridotto rispetto a profondità elarghezza del concio, sono ottenute per distacco di pianinaturali di rocce stratificate; per la conformazione stessadella roccia necessitano di semplice regolarizzazione perspacco del faccia vista e dei piani d’attesa. Piani diversa-mente inclinati formano la coda del pezzo.

Tra i semilavorati si inseriscono i pillori, di medio-grossedimensioni, spaccati (picconcello/subbia) e messi in operasenza alcuna trasformazione (Fig. 7, O).

Vi sono poi due tipi di semi-lavorati derivati: pietramespaccato, sempre con una punta (subbia/picconcello) e ap-pena regolarizzato nei piani laterali, comunque difformi;pietrame spaccato e regolarizzato a formare minimi pianid’attesa orizzontali e verticali, spianati a scalpello/subbia.

Per quanto riguarda invece le angolate degli edifici, nel-la maggior parte dei casi sono semplicemente evidenziatedall’uso di conci di maggior dimensione, rare quellegerarchizzate con l’uso di conci bugnati (Porta Casolle, “CasaBarbarossa”, casa torre di Via Calatella) e conci con nastrinoe riquadro spianato (torre di Leccia). Su questi conci si rile-vano tracce di subbia, scalpello e ferrotondo. La gradina èstata osservata in materiale di recupero (Castel di Cornia).

IL CANTIERE MEDIEVALE: LE REGOLE DEL FAREARCHITETTURA

Il processo evolutivo delle tecniche costruttive, già spe-rimentato nella costruzione dei grandi complessi monasticidel nord Europa intorno al XI secolo, a partire dal Duecentosi trasmette anche in altre aree europee. Alla fine XII secolo,esempio indicativo è il cantiere di Château Galliard, dove siinizia a “tipizzare” la forma dei conci (h. cm 26-27, largh. cm42-43 e cm 37). L’uso di materiale standardizzato, la presen-za di una manodopera altamente specializzata ed il costanteflusso economico rendono possibile la costruzione di tutto ilcomplesso fortificato in poco più di un anno, tra 1195-96.

A parte questo singolare caso, è però vero che dal sec.XIII la produzione del pietrame da costruzione «mostravail crescente desiderio di tipizzazione delle pietre» con laconseguenza che il materiale «poteva essere tagliato in an-ticipo in grandi serie» (KIMPEL 2002).

Nei cantieri di Pomarance, l’attività edilizia deisecoli XI-XIII evidenzia la presenza di squadre specializ-zate. Nel secolo XIII la presenza di manodopera specializ-zata (BIANCHI 1996a; 1996b; AUGENTI, MUNZI 1997), coinci-de con l’apertura di numerosi cantieri e segna così il pas-saggio da un’attività produttiva artigianale ad una formaelementare di normalizzazione edilizia (BORGHERINI 2001).

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Le stesse caratteristiche del calcare arenaceo suggeri-scono infatti l’esistenza di un ciclo produttivo organizzatoin cui il materiale, estratto e ridotto in conci in cava, venivatrasportato nelle aree di stoccaggio per la stagionatura; ciòconsentiva la produzione di conci a misura e una modalitàdi fornitura del materiale a flusso continuo.

Nella Torraccia di Cornia e in alcune case-torri di Po-marance del sec. XI-XII, la costruzione dell’edificio è av-venuta reiterando un modulo verticale equivalente a cm 56-58 (pari a un braccio fiorentino = cm 58,36), formato dallasovrapposizione di due filari, mentre a Volterra nelle case-torri del secolo successivo l’uso del braccio volterrano,equivalente a circa cm 64,33 (CACIAGLI 1996-97) introducel’utilizzo di un modulo verticale corrispondente alla sovrap-posizione di circa tre conci con altezza di cm 22-23.

Questa applicazione di misure “modulari” nel cantieremedievale creava un tentativo embrionale di uniformare ilprocesso costruttivo ed un primo passo verso la definizionedi regole facilmente riconoscibili ed ripetibili.

L’analisi delle murature di Pomarance e dei centri vici-ni suggerisce che, al di là degli aspetti socio-economici,l’evoluzione del cantiere coincide con l’evoluzione cultu-rale della manodopera impiegata il che non riguarda soloconoscenze tecniche e divisione dei ruoli, ma piuttosto unmodo nuovo di pensare all’architettura e alla pratica del-l’architettura.

CONCLUSIONI

A questo livello di ricerca è prematuro generalizzare,ma il confronto tra i dati relativi alle murature dell’areapomarancina e quelli più noti di aree viciniore (BIANCHI etal. 1994; FRANCOVICH et al. 1999; ID. 2001; NUCCIOTTI, 2000)suggerisce alcune osservazioni che possiamo così riassu-mere:– reiterazione delle Tecniche II-III nell’edilizia dell’XI-XIIIsecolo– presenza di manodopera specializzata– sviluppo dei risultati tecnici dovuto all’ottimizzazione del-le conoscenze– progressivo passaggio da una produzione artigianale aduna produzione tipizzata.

La presenza di un’analoga produzione edilizia in ambi-ti regionali diversi segnala come nel Medioevo vi fosse unasorta di distribuzione “a macchia” dei saperi tecnici, dovu-ta alla trasmissione diretta delle maestranze specializzate,depositarie di una concreta “cultura tecnica”. L’interazionecon modelli locali (culturali, dimensionali e costruttivi) haportato a nuove espressioni tecniche e verso una prima nor-malizzazione dell’architettura medievale.

NOTA

Ringrazio il Prof. Luigi Marino, Dipartimento di Storia eRestauro, Facoltà di Architettura di Firenze e il Sig. Natale Falossi,appassionato storico locale. Un ringraziamento particolare va adun amico, il Dott. Angelo Marruci Direttore della Biblioteca Guar-nacci di Volterra, da poco purtroppo scomparso.