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Facolt` a di Scienze e Tecnologie Laurea Triennale in Fisica TECNICHE DI IDENTIFICAZIONE DEI FOTONI PER IL RUN 2 ALL’ESPERIMENTO ATLAS AD LHC Relatore: Dott. Leonardo Carminati Correlatore: Dott. Ruggero Turra Andrea Poli Matricola n 792196 A.A. 2013/2014 27 febbraio 2015 Codice PACS: 29.85.c

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  • Facoltà di Scienze e Tecnologie

    Laurea Triennale in Fisica

    TECNICHE DI

    IDENTIFICAZIONE

    DEI FOTONI PER IL RUN 2

    ALL’ESPERIMENTO ATLAS

    AD LHC

    Relatore: Dott. Leonardo Carminati

    Correlatore: Dott. Ruggero Turra

    Andrea Poli

    Matricola n◦ 792196

    A.A. 2013/2014

    27 febbraio 2015

    Codice PACS: 29.85.c

  • Indice

    1 Introduzione 1

    2 LHC 2

    2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

    2.2 Interazione protone-protone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

    2.3 Condizioni sperimentali: pile-up e QCD background . . . . . . . . 6

    2.4 Nuovi esperimenti e obiettivi del presente lavoro . . . . . . . . . . 7

    3 ATLAS 8

    3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

    3.2 Convenzioni e terminologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

    3.3 Sistema di magneti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

    3.4 Inner Detector . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

    3.5 Calorimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

    3.5.1 Calorimetro elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . 12

    3.5.2 Calorimetro adronico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

    3.6 Spettrometro di muoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

    3.7 Trigger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

    3.8 Hardware . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

    3.9 Software . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

    4 fotoni in ATLAS 16

    4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

    4.2 Ricostruzione e identificazione di fotoni . . . . . . . . . . . . . . . 16

    4.3 Identificazione di fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

    4.3.1 Variabili per l’identificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

    4.3.2 Loose selection . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    4.3.3 Tight selection . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    4.4 Efficienza dei tagli di selezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

    5 Programma di analisi dati e risultati 25

    5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

    5.2 TMVA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

    5.2.1 Fase di training . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

    5.2.2 Fase di test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

    5.3 I programmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

  • 5.4 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

    5.4.1 Hadronic leakage . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

    5.4.2 EM Middle layer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

    5.4.3 EM Strip layer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

    5.4.4 Curve ROC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

    5.4.5 Matrici di correlazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

    6 Conclusioni 37

    Bibliografia 38

  • 1 INTRODUZIONE

    1 Introduzione

    Il lavoro svolto si occupa dei metodi di identificazione dei fotoni ad alto momento

    trasversale (ET >> 100 GeV) all’esperimento ATLAS ad LHC. La rivelazione di

    tali fotoni è un mezzo per lo studio di particelle di massa elevata (m >> 100

    GeV), previste da teorie di fisica delle particelle elementari oltre lo Standard Mo-

    del (SUSY, Dark Matter, extra dimensions). Gli esperimenti consistono in urti

    protone-protone, prodotti dall’acceleratore LHC e le collisioni vengono registra-

    te per mezzo del rivelatore ATLAS. Nella fase iniziale del lavoro si introduce

    LHC e si espone la struttura di ATLAS, in particolare concentrandosi sull’Inner

    Detector, sul calorimetro elettromagnetico e su quello adronico. In seguito si in-

    troducono concetti relativi all’identificazione dei segnali associati a fotoni.

    La fase di identificazione si occupa della separazione dei fotoni da QCD jets.

    Utilizzando algoritmi per selezionare con alta efficienza i fotoni e per rigettare

    il fondo, si costruisce un insieme di variabili sperimentali discriminanti. Esse si

    dividono in tre gruppi: Hadronic leakage, EM Middle Layer, EM Strip Layer.

    La prima classe stima lo sviluppo longitudinale dello sciame sfruttando un’azione

    combinata delle informazioni fornite dal calorimetro elettromagnetico e di quelle

    dall’adronico. Le variabili relative al gruppo EM Middle Layer, forniscono in-

    formazioni sullo sviluppo trasversale dello sciame nel secondo compartimento del

    calorimetro elettromagnetico. I primi due insiemi di variabili hanno quindi lo

    scopo di rigettare tutti i jets con alto contenuto adronico. Essi infatti attraver-

    sano il calorimetro elettromagnetico, producendo depositi, e proseguono il loro

    cammino fino all’adronico. L’ultima classe di variabili è invece specializzata per

    l’eliminazione dei jets con π0 di alto pT . La selezione dei dati viene effettuata

    tramite tagli rettangolari, grazie ai quali è possibile separare i fotoni di interes-

    se da quelli relativi al fondo. I tagli vengono ottimizzati da un punto di vista

    computazionale utilizzando algoritmi multivariati nel toolkit TMVA (Toolkit for

    Multivariate Analysis). Il lavoro quindi si basa su programma, realizzato in Py-

    thon, che utilizza tale toolkit per elaborare simulazioni Monte Carlo di eventi in

    cui sono presenti fotoni e jets, prodotti dal generatore Pythia e passati attraverso

    una simulazione completa della risposta del rivelatore basata su GEANT 4. Esso

    permette inoltre di valutare l’efficienza su segnale e fondo della selezione effettua-

    ta. Per quanto riguarda la sezione grafica, vengono proposti altri tre programmi

    di appoggio in C++ in parallelo alla sezione TMVAGui di ROOT. Il risultato

    del lavoro svolto è pertanto un insieme di tagli di selezione ottimizzato per fotoni

    ad alto momento trasversale, che potrà essere utilizzato all’inizio del RUN 2 di

    ATLAS.

    1

  • 2 LHC

    Capitolo 1

    2 LHC

    2.1 Introduzione

    LHC, Large Handron Collider, è un acceleratore di protoni situato a Ginevra

    presso il centro di ricerca CERN. L’acceleratore è progettato per produrre colli-

    sioni ogni 25 ns a un’energia del centro di massa pari a 14 TeV e una luminosità

    di 1034 cm−2 s−1. La luminosità è una proprietà caratteristica di ogni acceleratore

    e può essere definita come:

    L ∝ ν N1N2dxdy

    (1)

    ove:

    • ν è la frequenza delle collisioni.

    • N1 e N2, sono i numeri di particelle presenti nei due fasci in collisione.

    • dx e dy sono le larghezze in x e y dei fasci.

    I fasci sono suddivisi in paccheti che contengono in media 1011 protoni. Il sistema

    cos̀ı costruito permette di indagare la produzione di nuove particelle aventi al

    massimo massa pari a circa 5 TeV. Per un acceleratore circolare vale la relazione:

    p = 0.3 B R , (2)

    ove:

    • p (TeV) è il momento del fascio.

    • B (Tesla) è il campo magnetico prodotto.

    • R ' 4.3 Km è il raggio della circonferenza del LHC.

    Per un momento totale dei fasci pari a 7 TeV è quindi necessario un campo

    magnetico intorno ai 5.8 Tesla. Il campo realmente utilizzato negli esperimenti

    è di circa 8 T, perchè i magneti non coprono con continuità tutta la circonferenza.

    LHC ha permesso di rivelare il bosone di Higg, stabilendone una massa di cir-

    ca 125 GeV. Tramite l’interazione con tale bosone elementare le particelle dello

    Standard Model, acquistano massa [1]. La scoperta ha permesso quindi di confer-

    mare a pieno la teoria, spiegando cos̀ı il meccanismo di generazione della massa

    2

  • 2.1 Introduzione 2 LHC

    dei leptoni, dei quarks e dei bosoni. I risultati della ricerca sono stati ufficializzati

    nel 2012. Al centro di ricerca svizzero vengono prodotte collisioni tra fasci pres-

    so quattro rivelatori: ATLAS, CMS, LHCb, ALICE (Figura 1). Gli ultimi due

    sono ottimizzati per ricerche specifiche, ATLAS e CMS sono costruiti per essere

    sensibili ad un vasto range di analisi.

    Figura 1: Il complesso di acceleratori e rivelatori del CERN.

    Il progetto LHC però non si ferma al bosone di Higgs:

    • Prosieguo della ricerca oltre lo Standard Model.Lo Standard Model non viene considerata la teoria definitiva in grado di

    descrivere le interazioni fra particelle elementari. Nel meccanismo di Higgs

    vi sono correzioni radiative divergenti alla massa del bosone di Higgs, se

    non applicando cancellazioni di fine-tuning. Si punta allora sulla teoria

    denominata SUSY, supersymmetry, che risolve in modo naturale le diver-

    genze dello Standard Model, prevedendo una simmetria bosone-fermione,

    che porterebbe alla comparsa di particelle supersimmetriche, rivelabili tra-

    mite LHC. Oltre a SUSY si progetta di indagare la possibile esistenza di

    nuovi bosoni vettori e di studiare al produzione diretta di Dark Matter.

    • Misure di precisione.Ripetere esperimenti di fenomeni fisici già considerati, tramite una stru-

    mentazione più efficiente, permette sicuramente di migliorare i risultati

    sperimentali a disposizione. Misure di precisione dei processi previsti dal-

    lo Standard Model possono permettere di evidenziare eventuali discrepanze

    con la teoria e rivelare di conseguenza la presenza di nuova fisica. In parti-

    3

  • 2.2 Interazione protone-protone 2 LHC

    colare si compiranno misurazioni precise delle proprietà del bosone W e del

    top-quark.

    • Altre analisi.In futuro si svolgeranno studi dettagliati sugli adroni-B ed alla violazione

    di CP nei loro sistemi e studi sul passaggio di fase dalla materia adronica a

    plasma di quark e gluoni non confinati.

    2.2 Interazione protone-protone

    Consideriamo un urto protone-protone totalmente anelastico (Figura 2). La se-

    zione d’urto corrispondente ad un’energia del centro di massa√s ' 14 TeV è

    pari σ ' 80 mb. Dove abbiamo indicato il barn, b = 10−28 m2. Il numero dieventi al secondo in un’interazione di questo tipo è il prodotto della luminosità e

    della sezione d’urto:dN

    dt= σ L ' 109 s−1 , (3)

    L’urto protone-protone produce due classi di eventi:

    • Soft collision.Questo tipo di collisione avviene quando il parametro di impatto tra i pro-

    toni incidenti è molto grande. I prodotti della reazione si contraddistiguono

    per un momento trasferito molto piccolo e quindi normalmente subiscono

    una piccola deflessione. Le particelle uscenti da tale interazione sono carat-

    terizzate da un momento longitudinale decisamente maggiore del momento

    traversale (< pT >' 500 MeV) rispetto all’asse del rivelatore.

    • Hard scattering.Tale interazione avviene su piccole scale del parametro d’impatto tra i pro-

    toni incidenti. Il momento trasferito è decisamente maggiore rispetto a

    quello tipico delle soft collision. Il momento trasversale è molto grande,

    se confrontato rispetto al longitudinale. Tale evento è figlio della struttura

    interna del protone. Tale particella è infatti uno stato legato di quarks e

    gluoni, comunemente denominati partoni. Hard scattering avviene quindi

    nel caso in cui due partoni si scontrano frontalmente.

    Dato che un urto frontale tra due partoni è decisamente meno probabile di un

    urto tra insiemi di essi, la maggior parte delle collisioni sara di tipo soft, ren-

    dendo cos̀ı la selezione di hard scattering decisamente laboriosa. Le particelle di

    interesse però sono proprio quelle prodotte dal secondo evento.

    4

  • 2.2 Interazione protone-protone 2 LHC

    Nel hard scattering l’energia effettiva del centro di massa√se a cui avviene l’urto

    è inferiore a quella dei fasci√s. Infatti se p è il momento di un protone, allora

    il momento di un suo partone è xap, dove xa è un numero puro. Ora se consi-

    deriamo un urto tra due partoni (a e b) l’energia del centro di massa è quindi:

    √se =

    √xaxbs , (4)

    Supponiamo per comodità che i partoni partecipanti all’evento abbiano eguali

    frazioni: xa = xb, segue che√s =√xs. Possiamo dunque stimare che per pro-

    durre una particella di massa 100 GeV, dati i 14 TeV di energia del dentro di

    massa della macchina, sono necessari due partoni con x = 1%. Per produrre una

    particella di massa di 5 Tev, la frazioni devono valere 0.35.

    Figura 2: Rappresentazione schematica dell’interazione protone-

    protone ad alto pt .

    La sezione d’urto di una generica interazione di hard scattering:

    σ =∑a,b

    ∫fa(x,Q

    2)fb(x,Q2)sab(xa, xb) dxadxb (5)

    ove:

    • sab è la sezione d’urto di interazione fondamentale tra due partoni.

    • fi(x,Q2) (i=a,b) è la probabilità di trovare un partone con frazione di mo-mento x e parametro Q2 = 4EiEf sin

    2 φ2

    (Figura 3). Dove Ei ed Ef sono le

    energie iniziale e finale e φ è l’angolo di scattering.

    5

  • 2.3 Condizioni sperimentali: pile-up e QCD background 2 LHC

    Figura 3: Funzione di distribuzione dei partoni.

    2.3 Condizioni sperimentali: pile-up e QCD background

    I protoni sono raggruppati in pacchetti da 1011 particelle e collidono in condizioni

    normali con altri protoni ogni 25 ns. In regime di alta luminosità si hanno in

    media 109 eventi/s.

    Per ogni scontro quindi si presentano in media 25 eventi di soft scattering, regi-

    strati nella regione |η| < 2.5. Quando viene prodotto un evento di hard scatteringdurante l’urto, esso va a sovrapporsi ai 25 eventi di soft scattering (In Time) e

    ad eventuali residui di interazioni precedenti (Off Time). Tale fenomeno è detto

    pile-up.

    L’elaborazione dei dati deve quindi far fronte al fatto che le particelle ricercate

    hanno grande massa e bassa sezione d’urto e ai residui di interazione, decisamente

    più numerosi rispetto ai dati desiderati. Pertanto i rivelatori sono stati costruiti

    di modo che:

    • Il tempo di acquisizione dati sia molto breve. Il massimo sarebbe poter regi-strare segnali ogni 25 ns per non confondere eventi diversi. Nel calorimetro

    6

  • 2.4 Nuovi esperimenti e obiettivi del presente lavoro 2 LHC

    elettromagnetico il tempo di risposta è 400 ns, quindi si possono integrare

    fino a 16 interazioni.

    • Alta granularità. Per ridurre l’effetto di pile-up è importante avere rivelatorimolto segmetati. A tal fine il sistema di misura è composto da un grande

    numero di canali elettronici di lettura.

    • Le componenti siano resistenti alla radiazione. Si valuta infatti che in diecianni di lavoro la macchina verrà colpita da un flusso di 1017neutroni/cm2.

    2.4 Nuovi esperimenti e obiettivi del presente lavoro

    Una parte fondamentale del programma di lavoro di ATLAS è la ricerca di nuova

    fisica oltre lo Standard Model. Vi sono numerosi canali con decadimenti in fotoni

    ad alto pT . Esempi importanti sono:

    • il decadimento del Gravitone: G→ γ + γ;

    • la produzione diretta di Dark Matter nel canale γ + EmancanteT .

    • il decadimento di Neutralini in Fotoni e Gravitini, previsto dalla teoriaSUSY.

    Durante il RUN 1 all’esperimento ATLAS ad LHC, non si sono avute evidenze

    di nuova fisica. Nel RUN 2 l’energia del centro di massa sarà quasi raddoppiata,

    ponendo l’attenzione su alti ranges di energia. Il presente lavoro ha quindi lo

    scopo di preparare la selezione dei fotoni ad alto pT per le le prime analisi dati.

    Ove non diversamente indicato il capitolo svolto si basa sull’articolo di Gianotti

    dott.ssa Fabiola:

    Lectures given at the European School of High-Energy Physics, Casta Papiernicka,

    September 1999, ATLA-CONF-2000-001 (2000) [2]

    7

  • 3 ATLAS

    Capitolo 2

    3 ATLAS

    3.1 Introduzione

    ATLAS, A Toroidal LHC Apparatus, è uno dei quattro rivelatori dell’acceleratore

    LHC. Il rivelatore ha una struttura a simmetria cilindrica, con 12 m di raggio, 44

    m di lunghezza e massa pari a circa 7000 tonnellate (Figura 4). I suoi componenti

    principali sono:

    • Sistema di magneti.

    • Inner Detector o tracciatore.

    • Calorimetri: elettromagnetico e adronico.

    • Spettrometro muonico.

    Dopo un approfondimento sulle convenzioni e le terminologie adottate si procede

    all’esposizione delle varie parti della macchina.

    Figura 4: Il rivelatore ATLAS.

    8

  • 3.2 Convenzioni e terminologia 3 ATLAS

    3.2 Convenzioni e terminologia

    Il sistema di riferimento è posto di modo che l’asse z sia nella direzione dei fasci,

    che il verso positivo dell’asse x punti al centro dell’anello del LHC e che l’asse y sia

    rivolto verso l’alto. Data la simmetria del rivelatore, risulta comodo introdurre

    l’angolo azimutale φ, misurato nel piano x-y. Fondamentale è l’angolo polare

    θ, definito a partire dall’asse del fascio (Figura 5). Ai fini dell’analisi dati si

    introduce la variabile pseudorapidità:

    η = − ln tan(θ2

    ) (6)

    Essa viene usualmente considerata in modulo, identificando cos̀ı regioni simme-

    triche all’angolo θ = 90◦. Il momento e l’energia trasversali, pT e ET rispetti-

    vamente, cos̀ı come ogni variabile trasversale sono definite sul piano x - y. La

    distanza 4R nello spazio η − φ è definita come:

    4R =√42η +42φ (7)

    Figura 5: Sistema di riferimento adottato.

    9

  • 3.3 Sistema di magneti 3 ATLAS

    3.3 Sistema di magneti

    Il sistema di magneti superconduttori di ATLAS è composto da:

    • Un solenoide centrale (CS: Central Solenoid), che provvede al campo ma-gnetico necessario all’Inner Detector.

    • Dieci toroidi esterni al solenoide: otto per quanto riguarda il Barrel To-roid (BT) e due per il End-Cap Toroid (ECT). Questi generano il campo

    magnetico in cui è immerso lo spettrometro di muoni.

    I magneti occupano in totale 26 m di lunghezza e 20 m di diametro. Il solendoide

    centrale riesce ad erogare un campo magnetico pari a circa 2 T. In regime di

    superconduttività i valori massimi assunti dai campi prodotti da BT ed ECT

    sono rispettivamente 3.9 T e 4.1 T.

    3.4 Inner Detector

    Inner detector è contenuto in un cilindro di 7 m di lunghezza e 1.15 m di raggio

    (Figura 6). Esso è immerso in un campo magnetico solenoidale di 2 T. Nella parte

    radialmente più interna della struttura sono presenti rivelatori ad alta risoluzione,

    mentre nello strato più esterno si hanno elementi di tracciamento continuo. Per

    chiudere la copertura in η, il cilindro è chiuso da due tappi (end-caps). Nella

    parte cilindrica i rivelatori occupano piani ortogonali al raggio del cilindro, sulle

    due chiusure essi sono disposti in piani perpendicolari all’asse z. Per soddisfare la

    necessità di alta risoluzione spaziale per la raccolta di misure, il sistema è stato

    progettato ad alta granularità con quasi 200000000 canali di lettura.

    Nello strato più interno, 50.5 mm < r < 123 mm, sono presenti rivelatori a

    pixel semiconduttore con risoluzione di circa 12 µm lungo il piano R-φ e di circa

    66 µm lungo l’asse z. Essi sono disposti in tre strati cilindrici nella parte centrale

    e in tre dischi nei tappi.

    In corrispondenza della fascia intermedia, 299 mm < r < 514 mm, la misura

    è effettuata grazie a rivelatori a microstrip in silicio (SCT), disposti in otto strati

    nella regione cilindrica e in nove dischi nei tappi. La risoluzione è di circa 16 µm

    lungo il piano R-φ e di 580 µm lungo l’asse z.

    Per i raggi più esterni, 554 mm < r < 1082 mm, il tracciamento viene effet-

    tuato da un rivelatore a radiazione di transizione (TRT). La sua risoluzione è di

    circa 170 µm in R-φ e 650 lungo l’asse z. TRT non permette misure accurate,

    10

  • 3.4 Inner Detector 3 ATLAS

    Figura 6: Inner detector.

    come quelle dei rivelatori negli strati più interni, ma raccoglie un numero più alto

    di dati. Più economico rispetto al rivelatore a pixel e al SCT, il TRT è composto

    da 73 strati cilindrici di filo disposti parallelamente all’asse dei fasci e da 160

    strati di filo a chiudere gli end-caps (Figura 7). La minor precisione del rivelatore

    più esterno è ben compensata dall’alto numero di punti disponibili.

    Figura 7: Sezione del Inner Detector nella regione cilindrica.

    11

  • 3.5 Calorimetri 3 ATLAS

    3.5 Calorimetri

    Il sistema dei calorimetri è composto da un calorimetro elettromagnetico (EM)

    che copre la regione di pseudorapidità |η| < 3.2, seguito nella coordinata radialeda un calorimetro adronico che copre la regione |η| < 4.9 (Figura 8). I calorimetrisono sistemi in grado di misurare l’energia dei fotoni, degli elettroni, dei positroni

    e degli adroni incidenti. L’ermeticità dei calorimetri permette di ricavare l’energia

    mancante nel piano trasversale EmissT .

    Figura 8: Sistema di calorimetri di ATLAS.

    3.5.1 Calorimetro elettromagnetico

    Il calorimetro elettromagnetico occupa un cilindro di raggio 2.25 m e lunghez-

    za 6.65 m. Esso è orientato con asse parallelo alla direzione del fascio e chiude

    le estremità del cilindro con due tappi. Il sistema è un calorimetro a sampling

    che utilizza Argon liquido come materiale attivo e piombo come materiale pas-

    sivo. Nell’Argon liquido sono immersi degli elettrodi e degli assorbitori ripiegati

    a fisarmonica, in modo tale da coprire tutto l’angolo azimutale φ (Figura 9). Il

    calorimetro è segmentato in η e in φ in circa 190000 celle per la misura della po-

    sizione di sciami elettromagnetici (Tabella 1). La risoluzione energetica di design

    è pari a:σ(E)

    E≈ 10%÷ 17%√

    E⊕ 0.7% , (8)

    12

  • 3.5 Calorimetri 3 ATLAS

    Figura 9: Struttura del calorimetro elettromagnetico di ATLAS.

    Tabella 1: Segmentazione del calorimetro elettromagnetico. Dove X0è la lunghezza di radiazione.

    Layer Profondità Segmentazione (η x φ)

    1 (3÷ 5)X0 (0.003÷ 0.006) x 0.0252 fino a 17X0 0.025 x 0.025

    3 (4÷ 15)X0 0.050 x 0.025

    3.5.2 Calorimetro adronico

    Il calorimetro adronico è contenuto in un cilindro di 4.25 m di raggio e 6.1 m di

    lunghezza. Anche esso è disposto con asse parallelo al fascio. La zona centrale è

    di forma cilindrica ed è formata da un calorimetro a campionamento che utilizza

    il ferro come materiale assorbente e scintillatori come materiale sensibile. Alle

    estremità del complesso ci sono due tappi formati da due ruote indipendenti in cui

    si alternano piatti di rame e strati sensibili riempiti di Argon liquido. Lo spessore

    totale del calorimetro è pari a 11 λ, esso copre ua regione di pseudorapidità pari

    a |η| < 4.9.

    13

  • 3.6 Spettrometro di muoni 3 ATLAS

    3.6 Spettrometro di muoni

    Lo spettrometro muonico è l’elemento più esterno dell’apparato e permette di

    misurare il momento dei muoni. Tali particelle sono le uniche cariche che at-

    traversano i rivelatori più interni senza una significativa perdita di energia. Le

    misure ricavate dallo spettrometro muonico sono possibili grazie al fatto che le

    particelle cariche sono state deviate nel loro moto dalla forza di Lorentz, agente

    su di esse ad opera del campo generato dai magneti toroidali. Lo spettrometro è

    rivolto con asse parallelo al fascio di protoni ed è composto da tre parti: un corpo

    centrale e due tappi alle estremità; ricopre una regione di pseudorapidità pari a

    |η| < 2.7 e la strumentazione di cui è dotato comprende anche camere di triggercon un’elevata velocità di risposta (tempo di risoluzione temporale inferiore ai 25

    ns), che forniscono misure di posizione con una risoluzione di 5− 10 mm.

    3.7 Trigger

    Il rivelatore ATLAS è fornito di un sistema di trigger basato su una selezione di

    eventi online a tre livelli: LV1, LV2, EF. Il tasso di eventi prodotti è circa pari

    a 109 s−1 ' 40 MHz ad luminosità di circa 1034 cm−2 s−1; il limite massimo difrequenza di memorizzazione, dettato dalla capacità della strumentazione elettro-

    nica, è pari a circa 500 Hz. Nell’acquisizione dei dati vengono cos̀ı rigettati 107

    eventi. Ogni livello di trigger raffina la selezione effettuata dal livello precedente,

    imponendo ove necessario nuovi criteri di selezione.

    3.8 Hardware

    Il primo livello di trigger, basato su strutture hardware, imposta un primo livello

    di selezione prendendo in considerazione informazioni ottenute per bassa granu-

    larità (0.1 x 0.1 in η x φ). Dai dati dello spettrometro identifica i muoni ad alto

    momento trasversale, fra quelli dei calorimetri cerca elettroni, fotoni ad alto pT ,

    jets e leptoni τ decaduti in adroni di grande ET ed EmissT . La frequenza massima

    di acquisizione dati è pari a circa 75 KHz. Un altro compito essenziale di LVL1

    è quello individuare in maniera precisa il singolo pacchetto di protoni inciden-

    ti. Il sistema è stato quindi progettato a bassa latenza, (2.0 µs) e, dato che i

    pacchetti di protoni si scontrano ogni 25 ns circa, è presente anche una memoria

    temporanea di appoggio.

    14

  • 3.9 Software 3 ATLAS

    3.9 Software

    Il secondo livello di trigger LV2, riceve in ingresso i dati provenienti da LV1.

    Basato su strutture di tipo software presenta una frequenza di acquisizione dati

    intorno a 5 KHz. La granularità utilizzata è decisamente più fine di quella di

    LV1. La latenza del segnale dipende dall’evento in questione e varia tra 1 ÷ 10ms.

    L’ultimo livello di trigger è l’Event Filter (EF). Gli algoritmi utilizzati provengo-

    no da ambienti offline. Riadattati all’ambiente online, offrono le più aggiornate

    calibrazioni, integrano informazioni sull’allineamento delle parti del rivelatore e

    sulle correzioni ottenute dalle mappe del campo magnetico. La frequenza di ac-

    quisizione è ora 500 Hz corrispondente ad un flusso di dati pari a circa 500 MB/s.

    ATLAS offre numerose mappature di trigger.

    Il capitolo svolto si riferisce all’articolo: The CERN Large Hadron Collider:

    Accelerator and Experiments, Institute of Physics Publishing and SISSA. [3]

    15

  • 4 FOTONI IN ATLAS

    4 Ricostruzione ed identificazione di fotoni in

    ATLAS

    4.1 Introduzione

    In questa sezione si discute per prima cosa della ricostruzione dei fotoni nell’e-

    sperimento ATLAS. Successivamente si descrive la fase di identificazione in cui

    si lavora sui dati per separare i fotoni dai QCD jets. Le performance di selezione

    dei dati sono calcolate grazie a simulazioni Monte Carlo di campioni di fotoni e

    di QCD jets. In una tipica simulazione i dati prodotti sono quadrimomenti di

    particelle e ipotetici depositi sul calorimetro elettromagnetico.

    4.2 Ricostruzione e identificazione di fotoni

    I metodi per la ricostruzione di elettroni e di fotoni seguono un algoritmo comune.

    Questo è possibile grazie ai fenomeni fisici che coinvolgono le due particelle nel

    rivelatore. Il fotone, prodotto nella collisione protone-protone, prima di giungere

    al calorimetro elettromagnetico, deve attraversare l’Inner Detector. Nel percorso

    attraverso i materiali semiconduttori del tracciatore esso può materializzare una

    coppia elettrone/positrone: γ → e+ + e− (Figura 10). Nel caso si verifichi questoprocesso, il fotone viene detto convertito, altrimenti è chiamato non convertito.

    Quando avviene questa interazione tracce di e+/e− possono venire registrate nel

    Inner Detector. L’elettrone e il positrone, deviati dal campo magnetico, prose-

    guono verso il calorimetro elettromagnetico. Incidendovi, producono segnali da

    cui sarà possibile ricavare la loro energia. In questo caso si dice che esistono una o

    due tracce, tracks, associate al segnale elettromagnetico, electromagnetic cluster.

    Figura 10: Produzione di coppie: γ → e+ + e−.

    Nel caso di un’imperfetta ricostruzione delle tracce, può nascere una certa ambi-

    guità tra gli elettroni e i fotoni convertiti. La ricostruzione dei fotoni convertiti

    richiede due passaggi preliminari: la ricostruzione dei punti in cui è avvenuto il

    16

  • 4.2 Ricostruzione e identificazione di fotoni 4 FOTONI IN ATLAS

    decadimento γ → e++e− all’interno del tracciatore e il successivo accoppiamentodi tali vertici ad un opportuno segnale elettromagnetico registrato nel calorime-

    tro. I vertici di conversione, ricostruiti nel Inner Detector, sono classificati in

    base al numero di tracce di elettroni ad essi associati. Nel caso in cui vengano

    registrate due tracce, il vertice di conversione viene individuato tramite un fit

    utilizzando come parametri le tracce dell’elettrone e del positrone con la condi-

    zione che il fotone sia una particella a massa nulla. Nel caso in cui sia presente

    un’unica traccia di elettrone/positrone non può essere determinato il momento

    iniziale del fotone convertito e il vertice di conversione viene posizionato presso il

    punto di prima misurazione, non essendo possibile un’estrapolazione valida. La

    presenza di un’unica traccia di un elettrone/positrone prodotto avviene quando

    l’altra particella non viene rivelata, perchè essa viene prodotta con un momento

    troppo basso rispetto a quello delle altre particelle incidenti sul tracciatore, o

    quando l’elettrone e il positrone prodotti non sono ancora stati tanto deviati dal

    campo magnetico da rendere i due segnali distinguibili. Tali vertici di conversione

    infatti sono di solito posizionati negli strati più esterni del tracciatore. Entrambi

    i tipi di vertici vengono registrati e ad essi vengono associati dei candidati fotoni.

    Non resta ora che accoppiare tali vertici ai segnali elettromagnetici raccolti dal

    calorimetro. Una traccia viene considerata legata ad un segnale elettromagnetico

    se si trova all’interno di un certo intervallo di (η;φ) dal centro del segnale sul

    calorimetro. La procedura è la seguente:

    • Vertici corrispondenti ad una sola traccia.Il punto di conversione viene posizionato presso il punto di prima misura-

    zione. Se, tirando una retta dal punto di misurazione al calorimetro elettro-

    magnetico, la proiezione di tale punto si trova entro un certo intervallo di

    (η;φ) dal centro del segnale elettromagnetico, allora il punto di conversione

    e il segnale vengono accoppiati.

    • Vertici corrispondenti a due tracce, di cui una è prodotta da una particellaavente momento inferiore a quello dell’altra di almeno un fattore 4.

    In questo caso si determina il punto di conversione dalle due tracce date.

    In seguito si proietta tale punto sul calorimetro e se esso è all’interno di un

    certo intervallo di (η;φ) dal centro dello sciame elettromagnetico, allora il

    punto di conversione e il segnale elttromagnetico vengono accoppiati.

    • Vertici corrispondenti a due tracce, prodotte da due particelle aventi mo-menti simili entro un fattore 4.

    In questo caso ogni traccia viene estrapolata sul calorimetro e, se le loro

    proiezioni si trovano entrambe all’interno di un certo intervallo di (η;φ)

    17

  • 4.2 Ricostruzione e identificazione di fotoni 4 FOTONI IN ATLAS

    dal centro dello sciame elettromagnetico, allora il punto di conversione,

    estrapolato dalle tracce, viene accoppiato al segnale elettromagnetico.

    L’intervallo di accettanza è costruito facendo variare η e φ di 0.05 intorno al cen-

    tro del segnale elettromagnetico. È possibile che ci siano più punti di conversione

    associati allo stesso segnale elettromagnetico. In questo caso si opera una scelta

    gerarchica sui punti di conversione in base all’affidabilità del dato. In particolare

    si considera che i candidati con punti di conversione associati a due tracce ab-

    biano la precedenza su quelli aventi punti con una sola traccia. L’ultimo livello

    di selezione consiste nel considerare solo il candidato avente punto di conversione

    con minima posizione radiale. Tale candidato viene associato ad un fotone vero

    convertito.

    Ogni segnale elettromagnetico che non viene accoppiato a nessun vertice di con-

    versione, è associato ad un fotone non convertito. Per riassumere si hanno:

    • Elettroni o positroniSe esiste una traccia associata al segnale elettromagnetico.

    • Fotoni convertitiSe esiste almeno una traccia associabile al segnale elettromagnetico.

    • Fotoni non convertitiSe nel Inner Detector non vengono registrati dati riconducibili a segnali

    depositati sul calorimetro elettromagnetico.

    L’efficienza di ricostruzione di fotoni è del 96%; ciò significa che anche in un

    campione di soli fotoni, il 4% viene in media erroneamente ricostruito come un

    campione di elettroni. Possono inoltre sorgere problemi nella distinzione tra fotoni

    convertiti e non convertiti a causa del fenomeno del pile-up. Supponiamo infatti

    che un fotone non convertito incida su una cella del calorimetro elettromagnetico.

    Supponiamo inoltre che nelle vicinanze sia stato registrato un segnale dovuto ad

    un’interazione precedente. È possibile dunque che i due depositi sul calorimetro

    vengano confusi con segnali impressi da un elettrone e da un positrone. Si è

    stimato che a causa di questo processo circa il 5% dei fotoni non convertiti viene

    ricostruito come fotoni convertiti.

    18

  • 4.3 Identificazione di fotoni 4 FOTONI IN ATLAS

    4.3 Identificazione di fotoni

    Il fulcro dell’algoritmo di identificazione dei fotoni nell’esperimento ATLAS si

    basa su tagli rettangolari sui dati, categorizzati secondo variabili (Figura 11),

    pensate a partire dalla struttura del calorimetro elettromagnetico e di quello

    adronico. L’obiettivo è quello di separare i candidati fotoni dai QCD jets. Le

    variabili utilizzate si possono dividere in tre categorie:

    • Hadronic leakage,variabili che utilizzano un’azione combinata dei dati raccolti nel calorimetro

    elettromagnetico e di quelli raccolti in quello adronico.

    • EM Middle layer,variabili che utilizzano il secondo compartimento (Middle layer) del calori-

    metro elettromagnetico (EM).

    • EM Strip layer,variabili che utilizzano la prima zona (Strip layer) del calorimetro elettro-

    magnetico.

    I tagli effettuati si dividono in due gruppi, tight e loose, e producono efficienze e

    rigezioni diverse.

    L’accettanza sui dati è pari all’intervallo angolare |η| < 2.47, con un buco nellaregione 1.37 < |η| < 1.52, ove finisce la regione cilindrica del calorimetro ediniziano gli end-caps.

    4.3.1 Variabili per l’identificazione

    In questa sezione si presentano le variabili [4] per le tre categorie sopra esposte,

    indicandone la definizione. La loro utilità risulterà più chiara nella prossima se-

    zione, dove verranno esposti e interpretati dal punto di vista fenomenologico i

    grafici delle distribuzioni dei dati.

    Hadronic leakage

    • Rhad1 , definita come il rapporto tra l’energia trasversale ET registrata nellostrato più interno del calorimetro adronico e quella registrata nel calorime-

    tro elettromagnetico nella regione |η| < 0.8 e |η| > 1.37.

    • Rhad, definita come il rapporto tra l’energia trasversale ET registrata nelcalorimetro adronico e quella registrata nel calorimetro elettromagnetico

    entro gli angoli 0.8 < |η| < 1.37.

    19

  • 4.3 Identificazione di fotoni 4 FOTONI IN ATLAS

    EM Middle layer

    • Rη, definita come il rapporto tra l’energia trasversale ET registrata in 3 x7 celle in η x φ e l’energia registrata in 7 x 7 celle in η x φ nel secondo

    sampling del calorimetro elettromagnetico.

    • w2, definita come la larghezza laterale in η del segnale registrato in unafinestra di 3 x 5 celle in η x φ. In formule: w2 =

    √∑Ecη2c∑Ec− [

    ∑Ecηc∑Ec

    ]2 dove

    Ec è il deposito di energia in ogni cella e ηc è il valore di η corrispondente

    al centro della cella. La somma viene fatta sulle celle.

    • Rφ, definita come il rapporto tra l’energia trasversale ET registrata in 3 x 3celle in η x φ e quella registrata in 3 x 7 celle in η x φ nel secondo sampling

    del calorimetro elettromagnetico.

    EM Strip layer

    • ws3, definita come la larghezza laterale in η del segnale registrato in trestrips del calorimetro attorno alla strip con massimo segnale. In formule:

    ws3 =√∑

    Ei(i−imax)2∑Ei

    . L’indice i rappresenta una strip, imax rappresenta

    la strip più energetica, Ei è l’energia depositata nella strip rappresentata

    dall’indice i. La somma viene fatta sulle strip.

    • wstot, definita come la larghezza laterale totale in η del segnale registrato in20 strip del calorimetro elettromagnetico.

    • Fside, definita come la frazione di energia depositata fuori da tre stripsattorno a quella avente massimo segnale elettromagnetico, ma entro sette

    strips.

    • 4E. Consideriamo che il segnale corrispondente ad un evento non è uni-forme, ma una successione di massimi e minimi ossia di punti di impatto e

    di punti in cui le particelle non sono giunte. Ad esempio quando i prodotti

    del decadimento π0 → 2γ incidono sul calorimetro avremo due massimi.4E è la differenza dell’energia corrispondente al secondo massimo relativoe il minimo compreso tra i due massimi. In particolare si ha 4E = 0 inpresenza di un solo massimo.

    • Eratio, definita come il rapporto tra la differenza in modulo delle energieassociate a due massimi di cui sopra e la loro somma.

    20

  • 4.3 Identificazione di fotoni 4 FOTONI IN ATLAS

    4.3.2 Loose selection

    In questa selezione vengono utilizzate le variabili: Rhad1 , Rhad, Rη, w2. Le prime

    due, fornendo il rapporto tra le energie depositate sul calorimetro adronico e quelle

    depositate sull’elettromagnetico, permettono di vedere se i segnali considerati si

    riferiscono a QCD jets o a fotoni. Le ultime due forniscono informazioni riguardo

    alla forma del segnale depositato sul calorimetro elettromagnetico.

    Si consideri che i QCD jets presentano uno sviluppo laterale e longitudinale più

    ampio rispetto a pacchetti di fotoni/elettroni e che questi ultimi non producono

    segnali nel calorimetro adronico. Si ricordi però che all’interno dei jets è probabile

    la produzione di fotoni e di elettroni. Grazie all’azione combinata di queste

    quattro variabili è quindi possibile rigettare QCD jets con alto contenuto adronico.

    Questo insieme di variabili non presenta andamenti sostanzialmente differenti per

    fotoni convertiti e non convertiti.

    4.3.3 Tight selection

    Grazie all’utilizzo di tutte le variabili a disposizione: Rhad1 , Rhad, Rη, w2, Rφ,

    ws3, wstot, Fside, 4E, Eratio, questa fase di selezione dati è ottimizzata per ri-gettare al meglio la particella adronica più simile al fotone: π0. Il pione neutro

    presenta principalmente un decadimento che mette in difficoltà la Loose selec-

    tion: π0 → 2γ. Il segnale incidente sul calorimetro è quindi quello di due fotoni.Fortunatamente il pione viene accompagnato nella sua traiettoria dal resto dei

    jets adronici e quindi altri segnali vengono registrati sui calorimetri. La Tight

    selection propone quindi tagli più fini di quelli offerti dalle variabili della Loose

    selection. Inoltre i dati considerati vengono raccolti nelle zone del calorimetro

    in cui è presente una granularità più fine, infatti vengono rigettati tutti i segnali

    provenienti dalle regioni 1.37 < |η| < 2.52 e 2.37 < |η| < 2.47. I tagli sonoottimizzati separatamente per i candidati fotoni convertiti e per i non convertiti,

    per rivelare la differenza tra i due depositi elettromagnetici. Nel caso del fotone

    non convertito infatti è presente un unico massimo di energia depositato sul ca-

    lorimetro elettromagnetico. Per il fotone convertito si hanno invece due segnali o

    una maggiore ampiezza angolare del segnale, in base a quanto sono stati deviati

    dal campo magnetico il positrone e l’elettrone. Per l’ottimizzazione si utilizza la

    sezione TMVA [7] di ROOT di cui si parlerà diffusamente nel Capitolo 4.

    21

  • 4.3 Identificazione di fotoni 4 FOTONI IN ATLAS

    Per riassumere:

    Figura 11: Lista di variabili usate per l’identificazione e la loro

    appartenenza ai menu di selezione.

    22

  • 4.4 Efficienza dei tagli di selezione 4 FOTONI IN ATLAS

    4.4 Efficienza dei tagli di selezione

    L’efficienza di identificazione viene valutata sulle simulazioni Monte Carlo, con-

    tando il numero di fotoni veri simulati e quelli identificati. Prima di definire

    l’efficienza di ricostruzione, di identificazione e il fattore di rigezione del back-

    ground è utile approfondire l’algoritmo di associazione di candidati a particelle

    vere:

    • per tutte le particelle incidenti viene estrapolato il punto di impatto nellasezione intermedia del calorimetro elettromagnetico, EMS2, tenendo conto

    del campo magnetico nel caso di particelle cariche. Vengono inoltre rigettati

    tutti quei dati relativi pT < 1 GeV. Si ottengono dunque le coordinate

    (ηextr;φextr) del punto in questione;

    • per ogni candidato, la posizione del centro del segnale elettromagnetico(ηclus;φclus) nella sezione EMS2 viene confrontata con quella di coordinate

    (ηextr;φextr). Si calcolano quindi 4η = ηextr − ηclus e 4φ = φextr − φclus esi associa il candidato ad una particella vera nei seguenti casi:

    – se all’interno di un cono ellittico (4η/0.025)2 + (4φ/0.05)2 < 1, checorrisponde a circa 3 x 5 celle, vengono trovati fotoni, allora il candi-

    dato viene associato al fotone col più alto pT . Se non vengono rivelati

    fotoni allora la particella vera con il più alto pT viene associata al can-

    didato. Con questo metodo il 87% dei candidati vengono associati a

    particelle vere;

    – per tenere conto di possibili code nei risultati dell’estrapolazione ed

    aumentare l’efficienza dell’associazione, ove il criterio precedente non

    porta a nessun accoppiamento di candidati con particelle vere, si as-

    socia la particella vera a più alto pT al candidato che rientra nel cono

    4R =√4η2 +4φ2 < 1.

    Quando un fotone candidato è associato ad un fotone vero è possibile un’ulterio-

    re distinzione basata sull’albero genealogico della particella. Si parla di fotone

    diretto nei seguenti casi:

    • quando il fotone viene prodotto in una reazione di hard scattering, ossiadall’interazione di due partoni;

    • quando il fotone viene prodotto da una frammentazione, ossia viene emessoda un quark o da un gluone prima del processo di adronizzazione;

    • quando il fotone proviene dal decadimento di un bosone fondamentale, adesempio da un bosone di Higgs o da un gravitone (G→ γ + γ);

    23

  • 4.4 Efficienza dei tagli di selezione 4 FOTONI IN ATLAS

    i fotoni rimanenti che provengono dai decadimenti di adroni neutri.

    L’efficienza di identificazione dei fotoni rispetto ai candidati ricostruiti è:

    εγ =N reco,pass cutγ

    N recoγ, (9)

    dove:

    • N reco,pass cutγ è il numero di candidati ricostruiti, che hanno passato i criteridi selezione rispetto agli elettroni, associati a fotoni veri con ET maggiore

    di una certa soglia (20, 25 e 40 GeV).

    • N recoγ è il numero di fotoni veri associati ai candidati ricostruiti, aventi ETmaggiore delle soglie indicate.

    Il fattore di rigezione del background è:

    R = 1− εb , (10)

    dove:

    εb =N reco,pass cutj

    N recoj, (11)

    si è indicato con:

    • N reco,pass cutj , il numero di jet ricostruiti con ET maggiore delle soglie di cuisopra, che sono sfuggiti ai metodi di identificazione. Ossia il numero di jets

    che non sono stati rigettati.

    • N recoj , il numero di jet ricostruiti con ET maggiore delle soglie date.

    Il fattore di rigezione vale dunque 1 quando nessun jet ha passato la selezione,

    questo è il caso di perfetta identificazione. Esso è nullo quando l’analisi non ri-

    getta alcun jet.

    Ove non diversamente indicato la sezione esposta è tratta dall’articolo Expec-

    ted photon performance in the ATLAS experiment, ATLAS NOTE, ATL-PHYS-

    PUB-2011-007, April 18, 2011. [5]

    24

  • 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    5 Programma di analisi dati e risultati

    5.1 Introduzione

    Il fulcro del lavoro svolto consiste in un programma in Python [6], che utilizza

    i metodi di TMVA [7], per la parte di analisi dati relativa all’identificazione di

    segnali associati a fotoni in una tipica raccolta dati. Il programma infatti riceve

    in ingresso eventi, prodotti col generatore Pythia [8], e simulazioni di risposta del

    rivelatore ATLAS, costruite con GEANT 4 [9]. Gli eventi in questione si riferi-

    scono a simulazioni Monte Carlo di γ + jet prodotti da un urto protone-protone

    ad alta energia.

    Dopo aver introdotto TMVA, si esporrà il programma nelle sue parti ed infine si

    mostreranno i risultati prodotti.

    5.2 TMVA

    TMVA [7], Toolkit for Multivariate Analysis, è un set di codici per eseguire clas-

    sificazioni e regressioni basate su algoritmi multivariati. Essa è stata progettata

    per analisi di fenomeni ad alte energie. I metodi dividono i dati a disposizione in

    due parti. La prima viene utilizzata per la fase di training, la seconda per la fase

    di test. Il criterio di suddivisione dei dati in una delle due fasi può essere impo-

    stato dall’utente. Nella fase di training viene stilata una classifica dell’efficacia

    delle variabili di input: questa lista permette di confrontare il funzionameno delle

    variabili nella selezione di fotoni rispetto ai QCD jets. Il pacchetto di TMVA

    fornisce vari metodi di ottimizzazione. Nel lavoro svolto si sono utilizzati solo i

    tagli rettangolari. L’algoritmo compie i seguenti passaggi:

    • lettura delle caratteristiche del campione di segnale e di fondo,

    • definizione dell’intervallo di validità dei toy,

    • sovrapposizione della distribuzione relativa ai fotoni e di quella dei QCDbackground,

    • imposizione di diversi estremi dell’intervallo relativo alla variabile conside-rata,

    • massimizzazione con algoritmi genetici della rigezione dei jets per una certaefficienza di segnale.

    • ripetizione del procedimento più volte.

    25

  • 5.2 TMVA 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    TMVA costruisce curve di background rejection in funzione del signal efficiency,

    dette curve ROC. Durante l’esecuzione il programma stila una lista delle varia-

    bili in cui si mostrano gli estremi di taglio corripondenti all’efficienza ottenuta.

    Altri metodi forniscono grafici delle distribuzioni, scatter plot di correlazione tra

    le variabili, matrici di correlazione.

    I risultati delle analisi svolte da TMVA vengono salvati in files con l’estensio-

    ne .root, essi possono essere quindi manipolati per mezzo della classe TFile di

    ROOT. I programmi che utilizzano TMVA ricevono solitamente files in ingresso.

    Anche essi vengono associati ad oggetti della classe TFile. Le loro parti vengono

    manipolate inizializzando oggetti della classe TTree. I metodi di TMVA vengono

    gestiti dalla classe Factory. Essa permette la creazione della lista di variabili

    scelte col metodo AddVariable(nome variabile,tipo di dato) e di applicare i me-

    todi di filtraggio dati ad esse tramite BookMethod(nome metodo di selezione dei

    dati,nome processo). I criteri di selezione sui dati devono essere impostati con la

    funzione SetInputTrees(nome Tree,tagli sui dati per ottenere segnale,tagli per il

    background). I tagli sono delle condizioni riassunte in oggetti della classe TCut;

    quest’ultima contiene un costruttore che riceve in ingresso una string. Infine con

    le funzioni TrainAllMethods(), TestAllMethods() e EvaluateAllMethods() si lancia

    la fase di trainig, di test e di valutazione della performance.

    Dato il file di uscita, è possibile visualizzare graficamente i risultati tramite la

    sezione TMVAGui di ROOT. Per produrre grafici più accurati delle distribuzio-

    ni o plot di curve ROC, relative ad analisi con singola variabile, sovrapposte si

    possono utilizzare tre programmi in C++ [10] implementati nel corso del lavoro.

    5.2.1 Fase di training

    Selezionata una porzione di dati e scelte le variabili sperimentali per l’identifica-

    zione, nella fase di training come prima cosa viene fissata un efficienza di selezione

    (Formula 9, Sezione 3.4). Gli algoritmi multivariati allora operano ripetutamente

    tagli sulle variabili per ottenere la massima rigezione del background. Vengono

    allora registrati e stampati a video gli estremi trovati. Il procedimento viene ri-

    petuto facendo variare a piccoli passi l’efficienza in modo da ottenere un ricco

    insieme di tagli.

    5.2.2 Fase di test

    Con gli estremi calcolati nella fase di training si considera ora la restante parte

    di dati. TMVA nella fase di test ripete l’applicazione dei tagli agli eventi rical-

    colando il fattore di rigezione (Formula 10, Sezione 3.4). In questo modo si crea

    26

  • 5.3 I programmi 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    una corrispondenza fra valori dell’efficienza e quelli del fattore di rigezione. L’e-

    laborazione a piccoli passi permette cos̀ı la costruzione di una curva, detta ROC

    che esprime tale corrispondenza. L’applicazione dei tagli al secondo insieme di

    dati garantisce la generalità dei risultati ottenuti.

    5.3 I programmi

    Il programma che implementa l’analisi multivariata di TMVA è scritto in Python

    ed è stato chiamato gamma jets distributions.py.

    • Il segnale relativo ai fotoni veri viene separato da quello del background inbase alla tipologia di particelle. Si ricorda che i dati sono simultati, quindi

    sono note la particelle da essi rappresentate. Inoltre sono noti i processi

    di generazione di particelle. Per convenzione si utilizzano le corrisponenze

    particelle ←→ numeri interi indicate nel documento Monte Carlo particlenumbering scheme [11]. I fotoni corripondono al numero 22. Per distinguere

    tra fotoni di segnale e fotoni da decadimento di π0 si richiede che il codice

    della madre sia un numero intero minore di 100.

    Nel programma dunque sono considerati segnali tutti i dati che soddisfano

    la condizione:

    ph truth type == 22 && abs(ph truth parent pdgId) < 100 (12)

    e come background tutti i segnali che non la soddisfano.

    • Il codice fornisce inoltre la possibilità di analizzare fotoni convertiti (con-verted), non convertiti (unconverted) oppure tutti insieme (inclusive). La

    scelta viene espressa con numeri interi tramite la seguente corrispondenza:

    – 0←→inclusive.

    – 1←→converted.

    – 2←→unconverted.

    Il fotone vero convertito è associato al segnale che ha soddisatto la condi-

    zione:

    0 < ph Rconv && ph Rconv < 800 (13)

    dove ph Rconv è il raggio dello sciame elettromagnetico ipoteticamente re-

    gistrato sul calorimetro. Il fotone non convertito ha quindi ph Rconv nullo.

    Nel caso si considerino tutti i fotoni non viene posta alcuna condizione.

    27

  • 5.3 I programmi 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    • Infine si impone di scegliere da quale regione di η devono essere prelevati idati. La pseudorapidità viene considerata in modulo. Si è scelto di consi-

    derare separatamente i segnali registrati nella regione cilindrica del ATLAS

    e quelli acquisiti dagli end-caps con la corrispondenza:

    – 0←→ 0 < |η| < 1.37.

    – 1←→ 1.52 < |η| < 2.47.

    Le selezioni sui fotoni e sugli intervalli di η vengono implementate tramite co-

    strutti di selezione if ... elif. Il programma utilizza la sezione della Standard

    Library optparse, che permette la manipolazione di parametri da linea di coman-

    do. Per scegliere ad esempio di analizzare i dati relativi al background e ai fotoni

    convertiti nel barrel, quindi si lancerà:

    python gamma jets distributions.py −−conv−selection 1 −−eta−selection 0(14)

    oppure

    python gamma jets distributions.py −−c− s 1 −−e− s 0 (15)

    Inizializzati i metodi di Factory, si costruisce un oggetto della classe TFile col file

    di input di dati simulati. In seguito si inizializza un oggetto della classe TTree

    che gestisce le sezioni relative all’oggetto TFile precedente. Questo passaggio ha

    come scopo la costruzione di un sistema di rivelazione di errori. Con la funzione

    assert della Standard Library di Python infatti vengono segnalati tutti i nan (Not

    a Number) eventualmente presenti nel file di input.

    Le selezioni vengono svolte tramite variabili di tipo string, utilizzando i me-

    todi della Standard Library per la loro combinazione. A condizione comple-

    ta vengono quindi creati due oggetti della classe TCut, uno per il segnale e

    l’altro per il background. Si imposta quindi la selezione col metodo SetInput-

    Trees(Tree,selezione per il segnale, selezione per il fondo). In seguito si aggiun-

    gono le variabili ph Rhad1, ph Rhad, ph reta, ph w2, ph rphi, ph ws3, ph wstot,

    ph fside, ph DeltaE, ph Eratio e si lanciano le analisi multivariate. Esse vengono

    svolte sia con il complesso di variabili, che singolarmente con ognuna di esse.

    I programmi di appoggio draw roc.cpp, draw distribution.cpp e roc all.cpp sono

    dei semplici codici in C++ che ricevono in ingresso i files prodotti da

    gamma jets distributions.py. Essi restituiscono rispettivamente un grafico con so-

    vrapposte curve ROC di analisi svolte con variabili prese singolarmente, un grafico

    delle distribuzioni di fotoni inclusive, converted, unconverted e di QCD background

    28

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    sovrapposte in funzione della variabile a cui corrisponde il file di input e un grafico

    delle curve ROC ottenute da ottimizzazioni svolte con l’intero insieme di variabili.

    Questi costituiscono strumenti alternativi alla sezione TMVAGui di ROOT.

    5.4 Risultati

    In questa sezione si riportano per prima cosa i grafici in scala logaritmica delle

    variabili discriminanti separatamente per segnale e background. Per quanto ri-

    guarda il segnale si mostrano anche le distribuzioni dei fotoni convertiti e quelle

    dei non convertiti. In seguito sono presenti le curve ROC delle ottimizzazioni.

    Le definizioni delle variabili discusse si possono trovare nel Capitolo 3, Paragrafo

    3.3.1.

    5.4.1 Hadronic leakage

    Nel caso delle variabili Rhad1 (Figura 12) e Rhad (Figura 13) si può vedere come la

    distribuzione del segnale sia più piccata sullo zero rispetto a quella del background.

    L’energia depositata da un fotone sul calorimetro adronico è infatti quasi nulla.

    Figura 12: Distribuzioni relative alla variabile Rhad1 dei dati raccolti

    nel barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    29

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    Figura 13: Distribuzioni relative alla variabile Rhad dei dati raccolti

    nel barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    5.4.2 EM Middle layer

    Per quanto riguarda le variabile Rη (Figura 14) e Rφ (Figura 15) le distribuzioni

    dei fotoni sono più piccate a 1 rispetto a quella del background. Nel caso della

    larghezza w2 (Figura 16) la distribuzione del segnale è concentrata sullo zero.

    Questo è dovuto al fatto che le shower relative ai fotoni sono più collimate rispetto

    a quelle relative al background.

    Figura 14: Distribuzioni relative alla variabile Rη dei dati raccolti nel

    barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    30

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    Figura 15: Distribuzioni relative alla variabile Rφ dei dati raccolti nel

    barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    Figura 16: Distribuzioni relative alla variabile w2 dei dati raccolti nel

    barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    Nella Figura 15 si può vedere come la variabile Rφ discrimini i fotoni conver-

    titi dai non convertiti. Il campo magnetico presente nel rivelatore infatti devia in

    φ l’elettrone e il positrone. I due segnali risultano dunque ben distinguibili dal

    deposito di un fotone non convertito.

    31

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    5.4.3 EM Strip layer

    La distribuzione del segnale è rispetto a quella del background più stretta nel caso

    di ws3 (Figura 17), piccata sullo zero per quanto riguarda wstot (Figura 18) e Fside(Figura 19) e su 1 nel caso di Eratio (Figura 20), essendo le shower shapes relative

    ai fotoni più sottili.

    Figura 17: Distribuzioni relative alla variabile ws3 dei dati raccolti nel

    barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    Figura 18: Distribuzioni relative alla variabile wstot dei dati raccolti

    nel barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    32

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    Figura 19: Distribuzioni relative alla variabile Fside dei dati raccolti

    nel barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    Figura 20: Distribuzioni relative alla variabile Eratio dei dati raccolti

    nel barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    Si consideri ora la distribuzione dei dati nel caso della variabile 4E (Figura21). Si può notare come tale variabile separi anche i fotoni non convertiti dai

    convertiti. Infatti nel primo caso la distribuzione è piccata sullo zero, essendo il

    segnale depositato concentrato. Nel secondo invece 4E è non nullo per il minimoinscritto tra i massimi di energia depositata dall’elettrone e dal positrone.

    33

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    Figura 21: Distribuzioni relative alla variabile ∆E dei dati raccolti nel

    barrel (sinistra) e negli end-caps (destra).

    5.4.4 Curve ROC

    Tali grafici riportano le curve ROC ottenute ottimizzando il taglio su ogni singola

    variabile separatamente. Questi permettono di confrontare la bontà del lavoro

    delle variabili nella fase di identificazione.

    Figura 22: Curve ROC relative alle ottimizzazioni svolte con singo-

    la variabile per fotoni convertiti (sinistra) e non convertiti (destra)

    incidenti nel barrel.

    34

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    Figura 23: Curve ROC relative alle ottimizzazioni svolte con singo-

    la variabile per fotoni convertiti (sinistra) e non convertiti (destra)

    incidenti nel end-caps.

    Figura 24: Curve ROC relative alle ottimizzazioni svolte con tutte

    le variabili dei dati raccolti nel barrel per fotoni convertiti (sinistra)

    e non convertiti (destra). Il punto rosso rappresenta i risultati delle

    vecchie ottimizzazioni utilizzate nel RUN 1.

    Ad esempio si può vedere che nel caso dei fotoni convertiti (Figura 22) la

    variabile che, a data efficienza nell’intervallo (0.6;1), rigetta meno jets è ws3. Infine

    si riportano le curve delle ottimizzazioni svolte con tutte le variabili (Figure 24-

    25). Il punto rosso rappresenta la corrispondenza efficienza - fattore di rigezione

    35

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    Figura 25: Curve ROC relative alle ottimizzazioni svolte con tutte le

    variabili dei dati raccolti negli end-caps per fotoni convertiti (sinistra)

    e non convertiti (destra). Il punto rosso rappresenta i risultati delle

    vecchie ottimizzazioni utilizzate nel RUN 1.

    con l’insieme di tagli utilizzato nel RUN 1. Si può vedere come con la nuova

    ottimizzazione si riesca a migliorare la rigezione, per efficienza fissata, nel caso

    dei fotoni non convertiti.

    36

  • 5.4 Risultati 5 PROGRAMMA DI ANALISI DATI E RISULTATI

    5.4.5 Matrici di correlazione

    In questa ultima sezione si considerano le matrici di correlazione tra le variabili

    considerate per fotoni convertiti e non convertiti (Figura 26). Ove sono presenti

    Figura 26: Matrici di correlazione per fotoni convertiti (sinistra) e non

    convertiti (destra) per l’insieme di variabili considerate.

    correlazioni tra variabili sarebbe opportuno introdurre una semplificazione nel

    menu, eliminando alcune di esse dall’analisi anche separatamente nel caso dei

    fotoni convertiti e dei non convertiti.

    37

  • 6 CONCLUSIONI

    6 Conclusioni

    Nel presente lavoro si sono analizzati i metodi di identificazione dei fotoni nell’e-

    sperimento ATLAS ad LHC in previsione del RUN 2. L’attenzione è stata quindi

    posta su fotoni ad alto momento trasverso (pT > 100 GeV). L’obiettivo è stato

    quello di ottimizzare i tagli di selezione con tecniche multivariate. Tali tecniche

    sono implementate nel toolkit TMVA. Si è quindi scritto un codice in Python che

    utilizzasse tale pacchetto, producendo un insieme di tagli sulle variabili poten-

    zialmente discriminanti. L’ottimizzazione è stata effettuata per fotoni convertiti,

    non convertiti o per entrambi separatamente per barrel e endcaps del calorimetro.

    Dai risultati prodotti si evince che la nuova ottimizzazione è più efficiente in par-

    ticolare nel separare fotoni non convertiti dal fondo, rispetto all’insieme di tagli

    utilizzato nel RUN 1. Per quanto riguarda i fotoni convertiti non si nota un netto

    miglioramento. Il progetto di ottimizzazione sembra dunque essere promettente:

    introducendo un set di tagli dipendente dal momento trasverso del fotone si po-

    trebbe ulteriormente migliorare la performance ed eventualmente semplificare il

    menu di selezione in particolare per la regione ad altissimo momento trasverso.

    38

  • RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

    Riferimenti bibliografici

    [1] Francesco Ragusa, Istituzioni di Fisica Nucleare e Subnucleare (lezioni A.A.

    2013/2014).

    [2] Fabiola Gainotti, COLLIDER PHYSICS: LHC. Lectures given at the Eu-

    ropean School of High-Energy Physics, Casta Papiernicka, September 1999,

    ATLA-CONF-2000-001 (2000)

    [3] The CERN Large Hadron Collider: Accelerator and Experiments, Institute of

    Physics Publishing and SISSA.

    [4] Expected Performance of the ATLAS Experiment. Detector, Trigger and

    Physics. The ATLAS Collaboration.

    [5] Expected photon performance in the ATLAS experiment, ATLAS NOTE,

    ATL-PHYS-PUB-2011-007, April 18, 2011.

    [6] Sito web ufficiale della Python Software Foundation. https://www.python.

    org/.

    [7] TMVA 4, Toolkit for Multivariate Data Analysis with ROOT, Users

    Guide, A.Hoecker, P.Speckmayer, J.Stelzer, J.Therhaag, E.von Toer-

    ne, H.Voss. Contributed to TMVA have: M.Backes, T.Carli, O.Cohen,

    A.Christov, D.Dannheim, K.Danielowski, M.Jachowski, K.Kraszewski,

    A.Krasznahorkay Jr., S.Henrot-Versille, M.Kruk, Y.Mahalalel, R.Ospanov,

    X.Prudent, A.Robert, C.Rosemann, D.Schouten, F.Tegenfeldt, A.Voigt,

    K.Voss, M.Wolter, A.Zemla, J.Zhong

    [8] Sito web ufficiale del programma PYTHIA, prodotto dalla Lund University.

    http://home.thep.lu.se/~torbjorn/Pythia.html.

    [9] Sito web ufficiale del toolkit GEANT 4, prodotto dal CERN. http://geant4.

    cern.ch/.

    [10] Sito web ufficiale di documentazione del linguaggio C++. http://www.

    cplusplus.com/.

    [11] Schema di numerazione di particelle nelle simulazioni Monte Carlo col soft-

    ware PYTHIA. Monte Carlo particle numbering scheme,, L.Garren (Fermi-

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    (LBNL) (2002)

    39

    https://www.python.org/https://www.python.org/http://home.thep.lu.se/~torbjorn/Pythia.htmlhttp://geant4.cern.ch/http://geant4.cern.ch/http://www.cplusplus.com/http://www.cplusplus.com/

    IntroduzioneLHCIntroduzioneInterazione protone-protoneCondizioni sperimentali: pile-up e QCD backgroundNuovi esperimenti e obiettivi del presente lavoro

    ATLASIntroduzioneConvenzioni e terminologiaSistema di magnetiInner DetectorCalorimetriCalorimetro elettromagneticoCalorimetro adronico

    Spettrometro di muoniTriggerHardwareSoftware

    fotoni in ATLASIntroduzioneRicostruzione e identificazione di fotoniIdentificazione di fotoniVariabili per l'identificazioneLoose selectionTight selection

    Efficienza dei tagli di selezione

    Programma di analisi dati e risultatiIntroduzioneTMVAFase di trainingFase di test

    I programmiRisultatiHadronic leakageEM Middle layerEM Strip layerCurve ROCMatrici di correlazione

    ConclusioniBibliografia