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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G.D’ANNUNZIO” DI CHIETI FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN FISIOTERAPIA
ANNO DI CORSO III°- I° SEMESTRE DISCIPLINA: FISIOCHINESITERAPIA MED/34
CORSO INTEGRATO DI: METOLOGIE E TECNICHE DI RIABILITAZIONE MOTORIA SPECIALE
“TECNICHE DI TERAPIA MANUALE E DI VALUTAZIONE FUNZIONALE DEL PAZIENTE IN
AMBIENTE GRAVITARIO E
MICROGRAVITARIO ACQUATICO”
DOCENTE: Prof.. Giovanni BARASSI-prof. Rosella OCCHIOLINI
L’approccio terapeutico manuale e’ antico quanto la scienza e l’arte medica stessa.esistono prove
fondate che testimoniano l’uso di procedure di terapia manuale nell’antica Thailandia, come
dimostrato in opere statuarie che risalgono ad almeno 4000 anni fa.L’utilizzo delle mani
nell’utilizzo dei traumi e delle malattie era una pratica degli antichi Egizi. Si sa che persino
Ippocrate, il padre della medicina moderna, utilizzava procedure di medicina manuale, in
particolare tecniche di trazione che prevedevano l’uso di leve, nel trattamento di deformita’ della
colonna vertebrale……
Il XX secolo ha assistito ad un rinnovato interesse nei confronti della terapia menuale da parte della
professione medica tradizionale, infatti nella prima meta’ del secolo James Mennel ed Edgard
Cyriax hanno ottenuto il riconoscimento della manipolazione articolare all’interno della comunita’
medica londinese, fornendo contributi alla letteratura sull’approccio terapeutico manuale ed
all’insegnamento di questo a livello mondiale.
E’ stato sostenuto con vigore il bisogno di espandere il ruolo dei fisioterapisti con un’appropriata
formazione affinché collaborassero con la professione medica effettuando manipolazioni articolari
nell’ambito del trattamento dei pazienti.
La pratica terapeutica manuale si concentra sull’apparato muscoloscheletrico che comprende oltre il
60% dell’organismo umano e attraverso il quale si deve procedere alla valutazione degli altri
apparati, perche’ la diagnosi strutturale non solo valuta il sistema muscoloscheletrico considerando
le varie disfunzioni, ma puo’ anche essere utilizzata per valutare le manifestazioni somatiche di una
malattia e le alterazioni dei visceri.
Se si considerano le componenti del sistema nervoso vegetativo e la valutazione della loro influenza
nei confronti del sistema muscolofasciale potremmo parlare di “afferenze viscerali proprio-
esterocettive” che si sommano a quelle somatiche le quali possono a loro volta influenzare le
risposte viscerali (gli organi manifestano una espressività sensoriale attraverso i riflessi specifici) .
Le conseguenze di una contrattura di un viscere cavo, l’ostruzione della secrezione e della
escrezione di un dotto, un fenomeno ischemico, o la presenza di un ulcera gastroduodenale possono
manifestarsi a livello somatico con tre livelli di organizzazione integrati tra loro:
1)periferico, 2)spinale e 3)sovraspinale (Cervero ; 1980,1982,1983).
A seguito di stimoli meccanici nocicettivi in varie aree cutanee di gatti “anestetizzati”, sono stati
rilevati cambi nella frequenza cardiaca (Sato ; 1970,1984). Il riflesso di accelerazione cutaneo-
cardiaca si produce soprattutto per l’attività di fibre nervose afferenti simpatiche.
Sato e Swenson,(1984), studiarono gli effetti della stimolazione meccanica della colonna vertebrale
su pressione sanguigna, frequenza cardiaca e attività del nervo simpatico renale di ratti anestetizzati.
Segmenti spinali da T-10 a T-13, o in altri ratti da L-2 a L-5, furono isolati dai muscoli che li
circondano e forze da 0,5 a 3,0 kg vennero applicate all’aspetto laterale delle vertebre o segment i
mobili.Queste forze, non considerabili nocive, produssero in tutti i parametri monitorizzati
variazioni che duravano più della lunghezza della stimolazione. Nei ratti con SNC intatto si
manifestarono diminuzioni di pressione del sangue (ampie) e di frequenza cardiaca (minime). In
seguito alla spinalizzazione a livello di C1/C2 la stimolazione meccanica produsse lievi aumenti in
entrambi i parametri .
Questi effetti spino-viscerali riflessi su funzione cardiaca, flusso sanguigno del nervo sciatico,
attività nervosa surrenale e secrezione di catecolamina sono importanti considerando che ognuno
degli organi in questione presenta un’innervazione autonoma che proviene da differenti livelli
spinali segmentali.
Le procedure manipolative vengono principalmente usate per aumentare la mobilita’ di zone con
restrizione di funzionalita’ e per ridurre il dolore. L’obiettivo della manipolazione e’ quello di
ripristinare una massima mobilita’ del sistema , senza provocare dolore, in un equilibrio posturale.
Naturalmente dove e’ presente una disfunzione somatica , questa puo’ alterare la funzionalita’
vascolare, linfatica e neurale, percio’ potrebbero essere presenti una certa quantita’ di sintomi oltre
quelli di natura dolorosa e patologica.
Normalmente i reperti che emergono in caso di disfunzione somatica consistono in una
1. alterazione della mobilita’ ,
2. un’asimmetria di parti del sistema muscoloscheletrico correlate tra loro ed
3. un’alterazone tissutale ( cute, fascia,muscoli,legamenti,etc.).
Valutando queste situazioni si cerca di individuare la presenza di una disfunzione, la sua
sede,verificando se questa sia acuta o cronica,e soprattutto se e’ rilevante per lo stato di salute del
paziente in quel momento, inoltre i cambiamenti registrati nelle predette valutazioni possono essere
preziosi dal punto di vista della prognosi nel controllare la risposta del paziente ai trattamenti
effettuati.
Nella valutazione del paziente e’ importante ottimizzare l’utilizzo coordinato delle mani, che
palpano e degli occhi ,che osservano.
Quando si usa la visione per osservare, e’ importante sapere quale occhio sia quello dominante, in
modo da essere in grado di posizionarsi correttamente in relazione al paziente e di eseguire una
discriminazione visiva accurata.
L’uso della palpazione richiede una seria considerazione e pratica per sviluppare una capacita’
discriminativa utile ed efficace, questa abilita’ puo’ permettere di :
evidenziare le anomalie della consistenza tissutale,
rilevare un’asimmetria di posizione sia visiva che tattile,
rilevare le differenze di range di movimento globale e
la qualita’ della sensazione rilevata al termine del range motorio,
rilevare i cambiamenti della qualita’ dei tessuti indagati con la palpazione nel tempo
valutando i possibili miglioramenti o peggioramenti.
Applicando le tecniche di indagine palpatoria bisogna usare le diverse parti della mano a seconda
dei diversi test, ad esempio e’ meglio utilizzare
il palmo della mano per avvertire il controllo attraverso la stereognosi,
mentre il dorso della mano puo’ essere piu’ sensibile alla temperatura,
il polpastrello e’ piu’ adatto a cogliere differenze di consistenza, il contorno preciso della
cute e cosi’ via ed infine
la punta del pollice puo’ essere utile come sonda pressoria per valutare le differenze di
profondita’.
L’esame generale del paziente serve a valutare l’apparato locomotore nel suo complesso, come
parte dell’esame completo del paziente.e’ importante valutare dal punto di vista generale:
analisi dell’andatura in direzioni multiple
osservazione statica della postura e valutazione dei punti di repere pari
VALUTAZIONE GENERALE
lateroflessione dinamica del tronco
valutazione della rotazione del tronco
test di flessione in stazione eretta
valutazione generale degli arti superiori
mobilita’ della testa e del collo
valutazione della mobilita’ gabbia toracica
valutazione degli arti inferiori e superiori
Una volta individuata una zona del sistema in cui e’ presente un’anomalia sufficiente per
giustificare un’ulteriore indagine, si avvia una procedura di valutazione approfondita della regione
in questione.
E’ possibile procedere ad una valutazione piu’ approfondita dei tessuti molli stabilendo un contatto:
1)attivo
2)passivo
3) leggero
4) profondo.
Uno tra i test diagnostici piu’ specifici puo’ essere rappresentato dal test del rotolamento cutaneo
prendendo tra il primo e il secondo dito una zona cutanea piegandola e rotolandola per constatare lo
scivolamento tra cute e fascia sottocutanea in assenza di dolore.
Sono numerosi gli approcci “manuali” che si possono adottare nei confronti dell’organismo e
possono essere tutti classificati come terapie di stimolazione periferica; una tecnica sui tessuti molli
viene definita come una procedura rivolta a tessuti non scheletrici con contemporaneo controllo
della risposta e della variazione del movimento mediante utilizzo di una palpazione diagnostica.
Queste tecniche hanno effetti meccanici, circolatori e neurologici sia per le condizioni acute che
croniche, potendo determinare un allungamento meccanico della cute, della fascia,e dei tessuti
muscolari migliorandone la mobilita’ e l’elasticita’, favorendo così la circolazione dei liquidi
all’interno e attorno ai tessuti, migliorando il ritorno venoso e linfatico utile per decongestionare le
parti del corpo compromesse da un trauma o da un processo patologico.
Le manovre sui tessuti molli sono delle applicazioni di forze “manuali” finalizzate ad influenzare
uno o piu’ tessuti specifici, mediante stimolazione periferica, per stimolare e riequilibrare qualche
forma di meccanismo riflesso che altera la funzionalita’ biologica di una parte del sistema.questo
intervento puo’ esplicarsi attraverso alcune forme conosciute di massaggio,
sfioramento,
impastamento,
frizione o semplicemente
stretching delle strutture miofasciali, con lo scopo di decongestionare, ridurre spasmi
muscolari, migliorare la mobilita’ tissutale,favorire la circolazione e “tonificare” i tessuti.
Un ulteriore intervento sui tessuti molli puo’ essere costituito da
una forza applicata sui muscoli sottostanti sia ad angolo retto rispetto all’asse longitudinale
( allungamento laterale)
sia seguendo l’asse longitudinale del muscolo(allungamento lineare ed allontanamento
di dei punti di inserzione esercitando una forza in entrambe le direzioni sempre lungo
l’asse longitudinale)
e sia esercitando una pressione profonda costante su un muscolo o sia prossimita’ della
relativa inserzione ossea(pressione profonda).
L’applicazione di una forza esterna sul muscolo riguarda anche la cute, la fascia sottocutanea
e la fascia profonda che avvolge il muscolo stesso, percio’ tutti questi tessuti sono influenzati
dalle manovre sui tessuti molli.
Queste procedure prevedono principalmente l’uso
dei polpastrelli,
dell’eminenza tenar della mano e
della superficie palmare del pollice,
il corpo del fisioterapista dovrebbe trovarsi in una posizione comoda ed equilibrata,il
lettino dovrebbe trovarsi all’altezza giusta, in modo che l’operatore non posa trovarsi
costretto ad assumere posture scorrette, il paziente dovrebbe trovarsi in una posizione
confortevole e rilassata.
1. Se si utilizza il decubito prono, la testa dovrebbe essere ruotata verso l’operatore in modo
che una forza laterale non costituisca una tensione sulla cerniera cervicotoracica;
2. nel decubito laterale, un cuscino del giusto spessore, dovrebbe mantenere la testa ed il collo
lungo l’asse longitudinale del tronco, percio’ e’ importante che la relazione tra paziente e
fisioterapista sia sinergica e rilassata.
Nel trattare la massa dei muscoli erettori della colonna ci sono due errori che vanno evitati.
1. Il primo consiste nella pressione verso le apofisi spinose invece che in direzione laterale
rispetto ad esse,dal lato che viene trattato, perche’ si potrebbe determinare una pressione
dolorosa dei muscoli erettori della colonna contro la superficie laterale dell’apofisi spinosa.
2. Il secondo errore consiste nel lasciare che la mano terapeutica “scatti” su una zona con
ipertono muscolare a causa di un non corretto controllo dello stato muscolare.
Il dosaggio delle tecniche sui tessuti molli, viene modificato alla velocita’, dal ritmo e dalla durata
dell’applicazione, ma soprattutto, dal feedback costante dei tessuti, cioe’ dalla risposta ottenuta.
Le tecniche sui tessuti molli
lente e uniformi possono avere un effetto inibitorio sugli stessi,
le applicazioni piu’ veloci e piu’ energiche potrebbero avere un effetto stimolante,
e quindi l’applicazione di una forza viene modificata in base agli obiettivi che si vogliono
perseguire ed in base alla risposta ottenuta.
Queste tecniche possono essere utilizzate in diversi distretti:
colonna cervicale
colonna toracica
colonna toracolombare-in decubito laterale e in decubito prono-
regione glutea- in decubito laterale ed in decubito prono-
spalla
ginocchio
piede
L’uso dei polpastrelli prevalentemente, per agire sui tessuti attraverso la flessione dell’articolazione
interfalangea distale (movimento determinato dal flessore profondo delle dita), rappresenta una
metodica appropriata specie all’inizio per mantenere un’applicazione di forza appropriata.
L’eminenza tenar e la superficie palmare del pollice possono essere appoggiate lungo l’asse
longitudinale del muscolo ed utilizzate anche separatamente o attraverso una mano che rinforza
l’altra.
E’ importante agire in maniera adeguata ed individuare lo strato giusto da trattare.
Se la riposta dei tessuti non corrisponde a quello che era previsto, sarebbe opportuno interrompere
il trattamento e rivalutare il paziente e lo stato in cui si trova.
1. Contatto dei polpastrelli sui tessuti molli con dita flesse
2. contatto di una eminenza tenar sui tessuti molli
3. contatto combinato del primo dito e dell’eminenza tenar
4. contatto sui tessuti molli rinforzato con due mani
Le tecniche articolatorie vengono utilizzate introducendo vari parametri motori negli elementi
del sistema muscoloscheletrico, in particolare le articolazioni, con lo scopo di aumentare
quantitativamente e qualitativamente il movimento.
Se dovesse risultare presente una restrizione di mobilita’ in una certa direzione, puo’ risultare
efficace una serie di movimenti ritmici, guidati dall’operatore, nella direzione della restrizione del
movimento.
Queste tecniche rappresentano una estensione dei test di mobilita’, vengono applicate e ripetute
diverse volte e sono modificate a seconda della risposta data dai tessuti.
L’obiettivo e’ aumentare il range di movimento di un’articolazione che puo’ presentare
ipomobilita’, l’operatore applica movimenti ripetitivi di oscillazione contro barriera di
restrizione nell’arco o nel piano in cui il movimento risulta limitato e verso le altre direzioni di
movimento possibili dell’articolazione interessata.
Queste procedure richiedono una buona visualizzazione dell’anatomia articolare, del range di
movimento in restrizione, durante tali tecniche l’interesse e’ concentrato sul range di movimento e
sulla qualita’ del movimento nelle sue varie fasi per ottenere un range di movimento simmetrico e
uniforme in tutti i piani presenti in un’articolazione.
Si prevede inoltre che una modulazione dell’attivita’ neurale riduca il dolore e ripristini una
normale attivita’ riflessa nei segmenti del midollo spinale correlati.
L’APPROCCIO AL PAZIENTE
Puo’ avvenire dal punto di vista:
biomeccanico ed orientato verso il sistema muscoloscheletrico, in cui lo scheletro viene
considerato come una serie di mattoni impilati l’uno sull’altro, in cui le strutture
legamentose e fasciali costituiscono i tessuti che connettono l’impalcatura ossea, mentre i
muscoli rappresentano i principali elementi preposti al movimento di queste strutture
lavorando attraverso strutture articolari singole o multiple.
L’alterazione di questo sistema, viene considerata dal punto di vista dell’allineamento delle verie
strutture , dell’equilibrio dei muscoli nella loro funzione di spostamento e di stabilizzazione, della
simmetria dei legamenti e dell’integrita’ degli strati fasciali continui in tutto l’organismo.
Dal punto di vista neurologico l’intervento si basa sul meccanismo d’azione che si ottiene
attraverso il sistema neurovegetativo. Esiste un’ampia varieta’ di ricerche che mettono in
luce l’influenza del sistema somatico sulla funzione del sistema neurovegetativo, soprattutto
del sistema ortosimpatico.numerosi sono i fattori che possono influenzare l’ipertonia del
sistema ortosimpatico, uno dei quali e’ rappresentato dagli impulsi afferenti provenienti
dalle zone somatiche segmentariamente collegate; e’ ragionevole quindi cercare di ridurre
gli stimoli afferenti aberranti verso le parti ipereccitabili del sistema nervoso simpatico al
fine di diminuire l’iperattivita’ nelle strutture innervate.
Dal punto di vista del dolore bisogna considerare che lo stimolo doloroso puo’ avere origine
in numerosi tessuti e puo’ essere trasmesso attraverso i neuroni afferenti tipici che si
dirigono verso il midollo spinale per integrarsi ed organizzarsi e quindi e’ necessario
conoscere l’anatomia e la fisiologia dei sistemi nervosi se si vuole elaborare un piano di
trattamento giusto ed efficace.
CARATTERISTICHE DEL DOLORE
Il dolore acuto e’ quello che deriva da un danno ai tessuti ed e’ ben localizzato, associato a chiare
prove oggettive dell’esistenza di un trauma ed forte e pungente, possono essere avvertiti bruciori e
dolenzia persistenti.questi sintomi si riducono con la riduzione del danno tissutale.
Il dolore cronico persiste anche senza nessun danno tissutale e’ di difficile localizzazione e non
mostra prove oggettive della sua presenza, si manifesta con bruciore e dolenzia associata ad una
forte componente emotiva.
I cambiamenti che hanno luogo nelle vie nervose centrali e a livello del controllo endogeno si
presume possano cominciare dopo i tre mesi di sofferenza.
E’ molto importante nell’approccio terapeutico manuale valutare ed interpretare il
sintomo “ dolore”, per valutare le caratteristiche del tessuto che dovremmo trattare ed individuare le
tecniche più adatte al momento terapeutico specifico.
Il dolore è :
“un’esperienza sensoriale ed emotiva sgradevole, associata ad un danno tissutale effettivo o
potenziale.” (International Association for the Study of Pain)
Per valutare i meccanismi attraverso i quali la sensazione dolorosa viene percepita dobbiamo
considerare:
Recettori o terminazioni sensitive periferiche
Vie afferenti periferiche
Vie afferenti centrali
Centri di integrazione.
Quando si parla di recettori del dolore, si devono considerare due diverse teorie che inizialmente
erano contrapposte.
Una è la Teoria della Specificità, secondo la quale il dolore non era solo un sintomo, ma
un’espressione di un substrato anatomo – patologico peculiare, ossia della caratteristica
presenza in vari organi di recettori specifici chiamati nocicettori.
La seconda è la Teoria dell’Intensità per la quale qualsiasi fibra poteva provocare dolore
indipendentemente dalla sua specificità ed in maniera dipendente dall’intensità dello
stimolo, infatti la sensazione dolorosa sarebbe dovuta ad una stimolazione eccessiva dei
recettori assegnati alle funzioni riflesse.
In realtà, dati recenti sembrano dimostrare che la teoria della specificità sia applicabile alla cute,
dove infatti sono stati identificati due diversi tipi di nocicettori, mentre la teoria intensiva sia
applicabile ai visceri cavi.
Per quanto riguarda i nocicettori cutanei si distinguono:
Recettori meccanici adibiti agli stimoli meccanici.
Recettori polimodali eccitati da vari tipi di stimoli fisici e termici.
Le fibre afferenti periferiche, invece, sono classificate in tre gruppi: A, B, C. Il gruppo A
comprende tutte le fibre mieliniche dei nervi somatici ed una parte di quelli viscerali. A questo
gruppo appartengono le fibre Ad, a veloce conduzione che trasmettono la prima sensazione o dolore
rapido e che sono connesse con i recettori cutanei meccanici. Il gruppo B comprende le fibre
mieliniche efferenti pregangliari del sistema vegetativo ed il gruppo C le fibre afferenti amieliniche
a conduzione più lenta, che sono responsabili della percezione del dolore lento ed hanno
connessioni con i recettori polimodali della cute. Quest’ultime assieme alle fibre Ad conducono il
dolore al midollo spinale dove avviene il trasferimento dell’informazione afferente e dove, a livello
delle corna posteriori, è stata dimostrata l’esistenza di neuroni (che sono anche sotto il dominio dei
sistemi di modulazione discendenti) in cui convergerebbero, oltre che gli stimoli cutanei, anche gli
stimoli provenienti dai visceri, dalle articolazioni e dai muscoli.
Questa convergenza di impulsi sia superficiali che profondi sul medesimo neurone è considerata
come la causa dell’iperalgesia, che si esprime con il riferimento del dolore in strutture come il
muscolo.
Questa caratteristica ci permette di capire e spiegare il fenomeno clinico del dolore riferito, cioè del
dolore provocato da affezioni algogene viscerali che viene avvertito in strutture più superficiali
rispetto alla sede di origine.
Il trattamento di terapia manuale deve tener conto di queste differenze per poter essere specifico e
valido.
L’applicazione di tali tecniche in ambiente acquatico
Si possono sfruttare le caratteristiche fisiche dell’acqua per migliorare le modalita’ di recupero del
paziente, in un protocollo integrato di riabilitazione in acqua.
In comune con altre forme della materia, l’acqua ha determinate proprieta’ fisiche che includono:
massa, densita’,peso specifico,galleggiabilita’,pressione idrostatica, tensione superficiale, rifrazione
e viscosita’.
La massa rappresenta quella quantita’ di materiale presente in quella sostanza, il peso di una
sostanza e’ la forza con cui questa e’ attratta verso il centro della terra; relazione tra massa e peso:il
peso e’ l’effetto della gravita’ sulla massa e cambia secondo la posizione di un corpo in relazione
alla terra.
La galleggiabilita’ sfrutta il principio di Archimede che stabilisce che un corpo immerso in acqua
subisce una spinta dal basso verso l’alto uguale al peso del fluido spostato; si puo’ infatti
immaginare che il volume di acqua che viene spostato dal corspo immerso eserciti un’azione per
effetto della gravita’ e subisca una pari reazione da parte del restante liquido in modo che si realizzi
una condizione di equilibrio tra le forze.diventa una rlazione tra peso e volume, cioe’ dal peso
specifico del corpo immerso, infatti un corpo galleggia se il suo peso e’ uguale o inferiore al peso di
un pari volume d’acqua.
Il corpo mano tra l’altro possiede diversi tessuti con diverso peso specifico ed il tessuto adiposo ha
un p.s. di circa 0,8, il tessuto muscolare ha un p.s. di circa 1, il tessuto osseo presenta valori tra 1,5 e
2 ed l’apparato respiratorio ha un p.s. uguale a 0.0012.
1. L’inalazione di aria nel sistema respiratorio riduce sensibilmente il peso specifico
complessivo del corpo immerso
2. l’eta’ ed il sesso influiscono sulla capacita’ di galleggiamento, in quanto il peso specifico
risulta piu’ basso nelle eta’ estreme e nel sesso femminile.
Perche’ si attui una condizione di equilibrio pero’, non solo e’ necessario che le forze agenti sul
corpo umano siano di pari entita’, ma occorre che tali forze(gravita’ e spinta di galleggiamento),
siano colineari.
Si tratta di forze a direzione verticale i cui punti di applicazione sono identificabili nel baricentro
corporeo che si trova all’altezza del bacino per la forza di gravita’ e nel centro di gravita’ dell’acqua
spostata che si localizza nel centro geometrico del suo volume per la spinta idrostatica: il centro di
spinta si trova per lo piu’ all’altezza del torace del corpo immerso.
Si viene quindi a creare una situazione di coppia di forze che porta ad una rotazione del corpo fino
al raggiungimento di una condizione di equilibrio stabile con centro di spinta e baricentro sulla
stessa verticale, l’uno siperiormente all’altro.
Cio’ significa che se il paziente assume una posizione orizzontale in acqua e resta immobile, gli arti
inferiori tendono ad affondare acquisendo una velocita’ sempre maggiore di abbassamento grazie
alla accelerazione gravitaria che puo’ fare affondare tutto il corpo malgrado la spinta di
galleggiamento si sufficiente a mantenerlo in superficie.
La possibilita’ di galleggiamento del corpo umano in acqua dipende dalla disposizione del peso
specifico stesso: la parte “galleggiante” e’ rappresentata dal tronco, perche’ comprende volumi a
basso peso specifico( polmoni), mentre gli arti ed il capo hanno un peso specifico superiore a quello
dell’acqua e tendono ad affondare.
Possiamo dire che il tronco da una parte, gli arti ed il capo dall’altra, esprimono due forze
antagoniste.
La disposizione rispetto al tronco delle parti che tendono ad affondare(capo e arti)influisce
notevolmente sulla possibilita’ di dare al corpo una determinata posizione di galleggiamento.
Il completo rilassamento muscolare, soprattutto dei muscoli suboccipitali ,cervicali, trapezi e la
muscolatura del dorso,garantisce una migliore galleggiabilita’, perche’ al contrario un sollevamento
riflesso del capo con la presenza di predette contratture, causa un ulteriore affondamento .
Sulla base di questi principi fisici il fisioterapista che lavora in acqua con finalita’ riabilitative deve
sapersi adattare alla condizione del paziente e saper trovare i compromessi giusti per garantire al
paziente un galleggiamento ottimale adatto alle sue condizioni generali ed alla sua patologia, con lo
scopo di accelerare i processi di recupero e rendere piacevole , valida e personalizzata la seduta
riabilitativa.
La pressione idrostatica rappresenta la spinta che le molecole di un fluido esercitano su ogni
porzione della superficie del corpo immerso, questa spinta per unita’ di superficie e’ la pressione del
fluido e la legge di Pascal afferma che la presione del fluido e’ esercitata equamente su tutte le
porzioni della superficie di un corpo immerso a riposo ad una profondita’ data, la pressione aumenta
con la profondita’ e con la densita’ del fluido.
La pressione dell’acqua e’ avvertita da un paziente che entra in vasca in maniera piu’ evidente a
livello del torace dove l’acqua si oppone all’espansione toracica, ed essendo uguale in tutte le
direzioni la pressione non e’ avvertita di piu’ su una superficie del corpo rispetto ad un’altra ma
dara’ una resistenza uniforma ad una data profondita’.
La viscosita’ e’ un tipo di attrito interno che si realizza tra le molecole di un liquido e causa una
resistenza allo scorrere del liquido stesso.
Tale attrito che esprime la viscosita’ appunto, e’ percepibile quando il fluido e’ in moto ed i fluidi
ad alta viscosita’ come l’olio denso scorreranno lentamente, mentre quelli con bassa viscosita’ come
l’acqua scorreranno piu’ rapidamente ed offriranno minore resistenza.
La viscosita’ agisce come resistenza al movimento poiche’ le molecole del liquido tendono da
aderire alla superficie del corpo che si muove; l’aria ha una minore viscosita’ dell’acqua, percio’
c’e’ piu’ resistenza al movimento nella piscina che sulla terra…..
Inoltre il movimento del corpo in acqua, causa la turbolenza che e’ un insieme di moviment i rapidi,
rotatori, occasionali prodotti dallo spostamento e questo flusso turbolento andra’ ad ostacolare il
movimento stesso opponendo una resistenza dovuta sia all’attrito tra le molecole del fluido sia a
quello tra il fluido ed il corpo che si muove.
La pressione idrostatica ,la viscosita’e la turbolenza possono esere quindi sfruttati dal riabilitare
per raggiungere diversi obiettivi terapeutici che sono molto correlati ad esempio con il
decongestionamento delle aree con caratteristiche di dolore acuto o con le problematiche
circolatorie croniche agli arti inferiori ,con il dolore causato da contratture antalgiche e spasmi
muscolari, con la situazione di ipotrofia muscolare, etc…
L’attenuazione del dolore e la distensione si raggiungono anche grazie all’effetto della spinta
idrostatica , perche il paziente riceve una sensazione di leggerezza e sara’ in grado di muoversi
liberamente con minore sforzo rispetto a quello che potrebbe accadere fuori, e questo e’ ancora poiu
valido per un paziente pesante che difficilmente potrebbe essere gestito fuori dall’acqua.
Durante l’assunzione della stazione eretta per esempio, grazie ad una distribuzione della pressione
dell’acqua omogenea e continua il paziente riceve una funzione di sostegno insieme ad una
diminuzione del carico e del peso dato dalla spinta di galleggiamento che gli dara’ fiducia se ha
difficolta’ nella deambulazione , mettendolo nelle condizioni di procedere alla locomozione prima
di quanto possa fare fuori.
Il calore dell’acqua il tipo di esercizio e la durata dello stesso favoriscono effetti fisiologici
importanti nella medicina riabilitativa.
Durante l’immersione si avra’ come prima reazione un aumento generale della temperatura
corporea: la temperatura dell’acqua e’ superiore a quella cutanea che e’ normalmente intorno ai
33,5°C, per conduzione quindi il corpo guadagna calore attraverso le aree esposte all’acqua e puo’
perderlo solo attraverso le superfici esposte all’aria, come il viso ed il collo.
Anche la conversione di energia muscolare durante l’esercizio contribuira’ all’innalzamento globale
della temperatura e metre la cute si riscalda i vasi superficiali si dilatano ed aumenta l’afflusso
sanguigno periferico con aumento della temperatura per conduzione alle strutture muscolari
sottostanti la cui scorta di “sangue” aumentera’.
Con l’aumento della temperatura e con l’esercizio aumentera’ anche il battito cardiaco, l’aumento
sara’ proporzionale al calore dell’acqua ed all’intensita’ del movimento, si avra’ inoltre un aumento
del metabolismo con un aumento della richiesta di ossigeno e questa sara’ parallela a quella della
produzione di biossido di carbonio, con aumento del ritmo respiratorio di conseguenza.
Il calore relativemente moderato riduce la sensibilita’ dei recettori cutanei dei nervi sensitivi esso
andra’ ad agire inoltre sui muscoli provocandone una diminuzione di tono, quindi puo’ attenuare il
dolore riducendo lo spasmo muscolare e le contratture antalgiche inducendo un rilassamento che
premettera’ al paziente di muoversi con maggiore abilita’ e forza dato che in queste condizioni i
muscoli hanno piu’ riserve energetiche a disposizione.
Un aumento della temperatura cutanea causera’ un aumento dell’attivita’ delle ghiandole sebacee e
della sudorazione.
Quindi gli effetti terapeutici della terapia riabilitativa in acqua sono:
sollievo dal dolore e riduzione dello spasmo muscolare
rilassamento
mantenimento e miglioramento della mobilita’ articolare
miglioramento del trofismo
miglioramento della deambulazione
miglioramento della circolazione e dello stato della cute
distrazione del paziente che puo’ percepire l’ambiente acquatico piu’ gradevolmente anche
per attivita’ ludiche e socializzanto che possono essere proposte diventare sicuramente
altamente terapeutiche e che cambiano la percezione da parte del paziente della sua
patologia e delle sue potenzialita’ di recupero.
L’approccio del paziente in vasca terapeutica ha inizio con :
1. una fase di allungamento statico globale fuori dalla vasca
2. di ambientamento in vasca
3. di apprendimento delle tecniche di galleggiamento
4. di trattamento manuale dei tessuti in acqua
5. di rieducazione propriocettiva e motoria
6. per concludere poi con una fase di potenziamento.
Le continue ricerche e le esperienze sempre piu’ frequenti nel campo della medicina riabilitativa
hanno evidenziato in modo sempre piu’ convincente l’importanza della idrokinesiterapia
come approccio riabilitativo nelle patologie dell’apparato locomotore.
L’acqua sta diventando elemento determinante capace di permettere prestazioni e comportamenti
non non perseguibili in un ambiente condizionato dalle leggi della forza di gravita’.
L’interazione organismo-ambiente che avviene durante l’esercizio terapeutico in ambiente
microgravitario , determina una sorta modificazione dei comportamenti biomeccanici , una
riorganizzazione delle relazioni sensomotorie e una stimolazione “unica” delle gerarchie
funzionali del sistema nervoso centrale, espressione ,appunto, del gesto motorio visto nel suo
complesso.
Tutte queste caratteristiche fisiche dell’ambiente acquatico possono essere sfruttate dal riabilitatore
per raggiungere obiettivi specifici di recupero, muscolare, neurologico e sensoriale con
modalita’ e tempi diversi rispetto alle tecniche utilizzabili in palestra , facilitando la
riacquisizione di competenze neuromotorio-sensoriali alterate o addirittura perse .
Secondo la nostra esperienza e’ importante, tuttavia, non usare l’acqua per proporre un generico
movimento senza una motivazione scientificamente e professionalmente valida, che potrebbe
ancora di piu’ andare a favore di molte patologie e non applicare le tecniche che normalmente si
utilizano a secco, semplicemente riproducendo situazioni che solo in presenza di gravita’ trovano
il giusto campo di applicazione.
Questa doverosa premessa ci porta a considerare, dunque i principi fisici dell’acqua come un
aiuto nel contrastare gli atteggiamenti patologici, sfruttandoli al meglio adattandosi alle
caratteristiche fisiche e psicologiche di ogni paziente .
Nel caso specifico del soggetto da trattare, la valutazione puo’ essere fatta gia’ grazie alla
parziale assenza di gravità; con il soggetto in posizione verticale si evidenziano notevolmente le
curve scoliotiche e con l’acqua all’altezza delle clavicole si possono anche evidenziare piu’
facilmente le catene muscolari potenzialmente responsabili del problema.
Il protocollo riabilitativo scaturisce dalla logica conseguenza di valutazioni preliminari,
anamnestiche, posturali, funzionali che conducono alla diagnosi differenziale riguardante le
strutture prevalentemente responsabili della patologia e all’inquadramento del paziente in una
sindrome patogenica ben definita.
Questo metodo di lavoro e’ impostato sul concetto di “Obiettivi Terapeutici” e si propone di
utilizzare al meglio le tante proposte riabilitative, avvalendosi dei continui aggiornamenti proposti
dalla lettura internazionale che apportano residui, critiche e puntualizzazioni significative rispetto
alle prassi terapeutiche tradizionalmente utilizzate, tenendo presente che gli obiettivi terapeutici
devono essere :
-scientificamente attendibili,
-praticamente attuabili, nel lavoro quotidiano ambulatoriale ma anche non appena possibile, a
domicilio dal paziente stesso.
-verificabili nel tempo, e quindi sufficientemente standardizzabili, per poter produrre dei risultati
che consentano risposte sulla loro reale efficacia;
-adattabili al paziente, alle sue esigenze polimorfe sia per patologie concomitanti, sia per
caratteristiche fisiche ed antropometriche.
Il percorso riabilitativo in acqua, sfruttando le caratteristiche antalgiche, antigravitarie e di
resistenza dell’ambiente acquatico , si prefigge di:
-intervenire sui meccanismi patogenetici, migliorando la distribuzione dei carichi ed eliminando il
dolore.
- ripristinare i corretti automatismi statico-dinamici.
-combattere i fattori di rischio .
-educare il paziente a gestire razionalmente il suo problema
il nostro paziente presenterà sempre :
-un’ asimmetria strutturale
-un’anormalita’ dell’ampiezza di movimento
-un’alterazione della qualita’ tissutale.
Per il raggiungimento degli Obiettivi Terapeutici bisogna tener presente però che il corpo è una
unità dove struttura e funzione risultano reciprocamente correlate ed in questo organismo integrato
non vi sono porzioni che funzionano indipendentemente,
perciò strutture o funzioni alterate, di una porzione del corpo, esercitano sfavorevoli influenze su
altre parti del sistema corporeo visto come un “tutto”.
Sulla base di queste considerazioni, il lavoro riabilitativo in acqua ,quindi, si basa su alcuni punti
fondamentali che in sequenza sono:
-esercizi di allungamento passivo statico globale
-ambientamento e rilassamento in acqua
-trattamento manuale dei tessuti in acqua
-passaggi di posizione
-esercizi di allungamento globale attivo in vasca bassa
-esercizi di corretta mobilita’ articolare
-potenziamento ( propedeutico ad eventuale attività sportiva) .
PRINCIPALI INDICAZIONI AL TRATTAMENTO RIABILITATIVO IN ACQUA
in campo neurologico:
- Emiplegie paraplegie tetraplegie incomplete
- Postumi di traumi cranici
- Atassie
- Lesioni nervose periferiche
- Miopatie
- La sclerosi multipla(la temperatura dell’acqua non deve superare i 30° poiché si potrebbe avere un accentuazione
dei sintomi)
- Parkinson
In campo ortopedico
-processi degenerativi articolari
- Paramorfismi e dimorfismi dell’età evolutiva_
- Postumi di fratture o lesioni legamentose
- Postumi protesizzazione degli aa ss e ii
- Distrazioni e strappi muscolari
CONTROINDICAZIONI
Cardiopatie instabili o in fase acuta
Insufficienza respiratoria grave
Epilessie
Incontinenza urinaria o fecale
Stati settici o febbrili
Ipertensione o ipotensione non controllate
Allergie al cloro
Affezioni cutanee
Piaghe da decubito
Flebiti
Perforazione del timpano
Fobie importanti dell’acqua
E’ importante che i pazienti che devono effettuare le terapie in acqua si trovino in condizioni ideali
per cio’ che riguarda l’ambiente terapeutico.
E’ importante evitare le correnti d’aria in piscina e nelle aree di alloggio dei pazienti,ci dovrebbe
essere lo spazio per i movimenti autonomi con le sedie a rotelle e ci doverebbe essere lo spazio per
la sosta di qualcuna di queste.
La piscina dovrebbe essere grande abbastanza da permettere al paziente di progredire durante tutto
il suo completo programma di lavoro in acqua; possiamo avere diversi tipi di piscine sia rialzate che
incassate nel pavimento e l’altezza dipende dai vari usi che se ne devono fare.
E’ importante variare le altezze dell’acqua per la gradualita’ del lavoro e comunque deve essere
prevista sempre la presenza di corrimani in acciaio per la discesa in acqua sia essa per i gradini o
per una rampa. Per le discese laterali o attraverso i montacarichi si possono anche omettere i
corrimani,ma comunque in tutti i casi dovrebbe essere possibile che i paziente possa effettuare una
doccia prima entrare in acqua e possa fare un pediluvio ( in soluzione di acqua con cloro) per la sua
sicurezza igienica e quella degli altri
BIBLIOGRAFIA
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R.G. Bellomo,G. Barassi, Di Pancrazio L., Supplizi M., Visciano C.,Saggini R.
“Cervicobrachialgie”
Atti del congresso: “Idroterapia e colonna vertebrale” Esercizio terapeutico in piscina per il trattamento delle patologie del rachide.
ISICO(Istituto scientifico Italiano Colonna Vertebrale) con la collaborazione del GSS
( Gruppo di studio per la Scoliosi e delle Patologie vertebrali).
Asti 28/10/2006.
DOMANDE DI AUTOVALUTAZIONE
1. Dove si concentra la pratica “terapeutica manuale”?
2. Perche’ e’ importante la valutazione da parte del fisioterapista ,da integrare con la diagnosi
clinica, del sistema muscoloscheletrico?
3. Qual’e lo scopo delle procedure di terapia manuale in questo contesto?
4. In caso di disfunzione somatica quali sono i reperti che emergono alla valutazione
funzionale?
5. L’uso della palpazione richiede una seria considerazione e pratica per sviluppare una
capacita’ discriminativa utile ed efficace, permettere di evidenziare cosa?
6. Applicando le tecniche di indagine palpatoria quali parti della mano a seconda dei diversi
test, meglio utilizzare?
7. La punta del pollice puo’ essere utile per valutare qual caratteristiche del tessuto?
8. E’ possibile procedere ad una valutazione piu’ approfondita dei tessuti molli stabilendo che
tipo di contatto? Cos’è il test di rotolamento cutaneo?
9. Sono numerosi gli approcci “manuali” che si possono adottare nei confronti dell’organismo
e possono essere tutti classificati come terapie di stimolazione periferica: quali potresti
mensionare in questa sede?
10. Descrivi un intervento manuale sui tessuti molli ed i potenziali errori che si dovrebbero
evitare.
11. Quali sono i posizionamenti del paziente e dell’operatore con il soggetto nelle varie
posizioni di trattamento sul lettino?
12. Cosa si intende per tecniche articolatorie?
13. Quali sono i principi di trattamento e gli effetti di tali tecniche(manuali ed articolatorie)?
14. Quali approcci possiamo valutare rispetto al paziente?
15. Un approccio puo’ avvenire dal punto di vista biomeccanico ed orientato verso il sistema
muscoloscheletrico: cosa si intende con questo?
16. Cosa si intende per approccio rispetto al dolore?
17. Quali sono i concetti fisiologici fondamentali da considerare nell’approccio al paziente
algico disfunzionale, con riferimento al dolore?
18. Dal punto di vista neurologico l’intervento terapeutico qual è il meccanismo d’azione che
ottiene?
19. Cosa si intende per applicazione di tali tecniche manuali in ambiente acquatico?
20. Quali principi fisici dell’ambiente microgravitario acquatico possiamo sfruttare per
l’approccio terapeutico al paziente disfunzionale?