teramani n. 91

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mensile di informazione in distribuzione gratuita Settembre 2013 n. 91 VENANZO CROCETTI IN MOSTRA A ROMA PIAZZA MARTIRI DELLA LIBERTÀ pag. 12 SCUOLA, LA VALUTAZIONE pag. 22 “SÌ LA VITA È TUTTA UN QUIZ!” pag. 17

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Settembre 2013

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mensile di informazione in distribuzione gratuita

Settembre 2013

n. 91

VENANZO CROCETTIIN MOSTRAA ROMA

PIAZZA MARTIRIDELLA LIBERTÀpag. 12

SCUOLA, LA VALUTAZIONEpag. 22

“SÌ LA VITAÈ TUTTA UN QUIZ!”pag. 17

SOMM

ARIO 3 Hoc dicunt Homines

4 Giammario vive

5 Venanzo Crocetti a Palazzo Venezia

10 Teramo Culturale

12 Piazza Martiri della Libertà

16 Arco Consumatori informa

17 Sì, la vita è tutto un quiz

18 La Scuola, libro cartaceo o digitale?

20 Il libro del mese

22 Scuola, la valutazione

24 Musica, il Piper

25 Musica, Wilco

26 In giro

27 Coldiretti informa

28 Calcio

30 Pallamano

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio,Maria Gabriella Di Flaviano, Massimo Di Giacomantonio, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori,Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone,Sirio Maria Pomante, Sergio Scacchia,Zapoj Tovaris, Massimiliano Volpone.

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Progetto grafico ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa Adriatico

Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738

Teramani è distribuito in proprio

[email protected] a

www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

n. 91

P remessa. Vivere in Italia e capire i

meccanismi che regolano la vita dei

suoi abitanti è stato veramente duro

per me che sono venuto dalla lontana Tbilisi

in Georgia. Ci sono riuscito? Non lo so. Forse

si può provare a capire ma non so fino a

quanto e quando.

Se c’è un uomo in questa regione che ha

il potere avvolgente e corroborante della

parola, questo è indubbiamente Luciano

D’Alfonso. Se ci sono due uomini in questa

landa desolata con molto equilibrismo, questi

sono innegabilmente Milton Di Sabatino e

Giuliano Gambacorta: il primo consigliere

comunale pronto a offrire una stampella

alla maggioranza del sindaco Brucchi, in

cambio di divine opportunità. Il secondo,

nella miglior tradizione degli intercettatori

di cariche italiani, pronto a occuparsi di

qualcosa, meglio se all’Arpa Sistemi. E

nell’intensità astrale di un karma favorevole

i tre non potevano che incontrarsi. Hoc

dicunt homines! Era tutto scritto nelle

stelle. E così è stato. Il Luciano d’Alfonso si

appesantisce, nella sua corsa alla rincorsa

al governatore Chiodi per buttarlo giù dalla

torre nelle prossime regionali, di due pesanti

zavorre. A questo punto bisogna anche

rivedere il giudizio politico sull’ex sindaco,

sulla sua lungimiranza politica visto che,

ad esempio, accollarsi uno come Giuliano

Gambacorta vuol dire proprio che si è a

corto di idee ma soprattutto di ricambi,

che si voglia provare con l’harakiri e che al

peggio non c’è mai fine. Ma ricordate chi

è Giuliano Gambacorta? Ex presidente di

Arpa Sistemi, nominato per volere e bontà di

sua maestà Chiodi che si era pure attivato,

attraverso l’azione di Lanfranco Venturoni,

per far entrare il genero in un’azienda

capitanata nientemeno che dai Di Zio (fa

fede un’intercettazione della procura di

Pescara). Chiodi invia un sms a Di Zio: “Caro

Rodolfo, Giuliano mi ha detto che vi siete

sentiti. Grazie e buona domenica”, asserisce

il gip Campli. Gambacorta è famoso per

essere stato definito l’uomo della brusca.

Viste le sue (in)competenze ora si capisce

perché non faccia più parte di Sistemi spa:

dove va non lascia il segno, anzi lo lascia e

pure pesante. Poi però molto italianamente

si scopre che la sua figliola lavora in Regione.

Cosa sono lo spirito di servizio, la collettività

cui fare riferimento, il danaro pubblico?

Sono solo mezzi per giungere al benessere

famigliare, alla faccia di chi tutti i giorni

cerca di avere un’etica del servizio. Lui,

Gambacorta, ci riprova sempre: siamo in

Italia, pare dire, questi sono gli usi e costumi.

Prima penso agli affari miei poi, forse, e con

crassa (in)competenza, al popolo italiano. n

3L’Editoriale

Hoc dicunt homines!

diZapoj Tovaris

Giammario Sgattoni (Garrufo di Sant’Omero, 5 maggio 1931

– Teramo, 23 agosto 2007) è stato un giornalista, scrittore e

poeta italiano. La neutra solfa che ci propina Wikipedia pare

più una mera incisione lapidaria che un ricordo partecipa-

to di un poeta e maestro di vita qual è stato l’uomo di lettere e di

sogni, che ogni dì trasfondeva il dna della sapienza. Ma riassume

l’essenza sardonica e beffarda di questa vita, in cui uno cerca di

togliersi di dosso lacci e laccioli per salpare verso i lidi della pura

conoscenza, restando inevitabilmente sbattuto da un vento nefasto

che ti ributta tra i flutti placidi del porto. Giammario Sgattoni, colui

che ti accarezzava le mani per instillarti le rime di poeti e santi, vive.

Ancora. Altrimenti come farebbe Teramo a sopravvivere al vuoto che

si è generato al momento del suo trapasso e a incrociare lo sguardo

di qualcuno in atto di verseggiare senza però nessuna favella? Come

farebbe una tribù senza il suo sciamano? Ecco: come fa?... Finora,

dal giorno della sua dipartita, nessuno, ancorché con i suoi occhi

liquidi, sbuffanti, roteanti, è riuscito a inforcare con severità, come

era solito fare lui, il bastone della sapienza. Nessun genio loci si

è manifestato tale. Nessuno più ha cercato di incoronarsi re delle

strofe. Nessuno. Giammario si è portato via il vuoto e le cose più

preziose di questa città: le scintille reali dell’arte letteraria, il verseg-

giare, il poetare, l’erudizione semplice, l’esempio soprattutto di come

si può diventare grandi in provincia e non essere mai stato a Roma,

nemmeno da secondo. Giammario Sgattoni è ora diventato l’uomo

più evocato da chi conosce profondamente le trame imperscrutabili

del divenire, del fiume delle cose che succedono e che poi inevitabil-

mente prendono la via del mare, e del morire. Giammario ci lasciò a

76 anni in un Agosto di cinque anni fa.

Né un concorso vinto alla Rai a soli 25 anni, né premi letterari

aggiudicati a iosa e nemmeno il mondialismo del suo più caro amico

Sandro, perso tra copertine di Vogue, hamburger sulla 70ma e buen

retiro a Pienza, lo convinsero a lasciare quello che aveva di più

prezioso nella vita: la sua città, la Teramo violentata da bassa politica

e dalla villania quotidiana. Nessuno l’ha mai sentito borbottare su

cosa andasse o no in quest’urbe maledetta, nessuno l’ha mai colto

a ingiuriare i propri concittadini, perché su di essa il poeta teramano

possedeva una sorta di religioso pudore che in genere si riserva a

madri e amori andati a male. Eppure era snobbato dall’elite culturale

del tempo, spesso emarginato, visto come un raggiante dotto inof-

fensivo che non conoscendo assolutamente le pratiche quotidiane

del male, non avrebbe mai arrecato fastidio al potere della supposta

intellighenzia di allora. Era confinato là dove si esiliano matti e geni.

Che ora manchi un’intellighenzia nella nostra città, questo non è

più un mistero. In una full immersion di villanie e oltraggiose offese,

Teramo chiede prepotentemente che Sgattoni resusciti riportando il

barlume del savio ad illuminare la pochezza di questa gens che infiniti

danni finora ha addotto. Teramo chiede si ricordi questo suo figliolo

che tanta luce ha donato tra il Vezzola e il Tordino. Iscritto all’Ordine

dei Giornalisti nel 1958, si è occupato nel tempo di critica letteraria,

di tradizioni popolari, di arte e di archeologia. Nel 1957 divenne condi-

rettore di “Dimensioni”, la rivista che contribuì non poco a rompere il

sostanziale isolamento in cui viveva la regione in quegli anni, aprendo

un canale di comunicazione fra i protagonisti della cultura nazionale,

Quasimodo, Montale, Flora, Sansone, Toschi e una schiera di intellet-

tuali abruzzesi: Pomilio, Bonanni, Rosa, Lelj, Scarpitti, Porto, Sablone.

Fu poeta acclamato, fondatore dell’Istituto Abruzzese di ricerche stori-

che, segretario del Premio internazionale “Silone” e ideatore nel 1959

del Premio “Teramo”. Sgattoni collaborò anche con la Rai di Pescara,

fu Console del Touring Club e vicesegretario dell’Accademia dei Lincei.

Ma la lista potrebbe continuare ancora a lungo.

Gianmario possedeva quella forza che solo gli eventi naturali hanno.

Non si sa da quale anfratto delle proprie viscere provenisse quel re-

spiro dionisiaco, quel verseggiare tamburellante, quell’accomiatarsi e

non accomiatarsi da te, quello scalpitio, quando Gianmario era solito

riversarti fonemi dolci e rime baciate.Non si sa da quale “stella che

danza” abbia partorito la sua vis celestiale, bizzarra ed incantata. So

solo che nella nostra angusta ed ispirata redazione di Via Carlo Forti,

il poeta scelse sin dal 2004, grazie anche alla datata amicizia con

Giancarlo, il nostro mensile Teramani quale nuovo luogo di nascita

dei suoi scritti: lui ci prendeva flebilmente/risolutamente per i polsi,

istillandoci giorno dopo giorno grani e grani di sapienza in quel suo

amore oceanico per il poetare.

Ancora ciao Giammario, da cinque anni. n

Il ricordo4n.91

Giammario vive

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

6n.91

1913-2013. Venanzo Crocetti compie cento anni e con lui la sua

arte, se è vero che fin da bambino, per le vie del centro storico

di Giulianova, disegnava sugli antichi masselli di pietra d’Ancona

che compongono il selciato di quei vicoli, e si esercitava a dar for-

ma a piccole statue da presepe nelle botteghe di poveri artigiani.

Per onorare il grande Maestro scultore nel centenario della nascita,

la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed

Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma diretta da

Daniela Porro, e la Fondazione Ve-

nanzo Crocetti, hanno desiderato e

realizzato presso il Museo Nazionale

di Palazzo Venezia un’importante

mostra dal titolo “Venanzo Crocetti e

il sentimento dell’antico. L’eleganza

del Novecento”. Per lo straordinario

evento, che ha aperto i battenti lo

scorso 2 settembre, occasione di

studio e riflessione sulla profondità

culturale, espressiva e umana dell’ar-

tista, abbiamo incontrato i principali

protagonisti. Prima fra tutti abbiamo

inteso proporvi le parole della pre-

sidente della Fondazione “Venanzo

Crocetti” Carla Ortolani, che prose-

gue l’attività di tutela e diffusione

dell’opera del maestro, iniziata dal

compianto Antonio Tancredi. Risale a

oltre mezzo secolo fa, esattamente

al 1951, il trasferimento dello studio

di Crocetti in via Cassia a Roma,

dove ha sede la Fondazione, quando

aveva da poco vinto il concorso

indetto per la Porta in bronzo della

Basilica Vaticana. Lavorò alla creazio-

ne della Porta dei Sacramenti - che

con alterne vicende portò a termine

dopo 15 anni e fu inaugurata da

Paolo VI nel 1965 - e contemporaneamente si dedicò alla realizzazione

del Monumento dei Caduti di Teramo, opera altrettanto impegnativa e

anch’essa di grandi dimensioni.

Le due opere crebbero insieme nello studio di via Cassia, che diventò

ben presto troppo angusto per contenerle entrambe e divennero lo

stimolo per ampliare gli spazi dedicati al laboratorio, costruire la sua

abitazione e realizzare il Museo, la casa dove avrebbe collocato i suoi

“figli”, come egli usava chiamare le sue opere. Il Museo Crocetti è stato

ufficialmente aperto al pubblico nel novembre del 2002, quando il

maestro era ancora in vita.

Presidente Ortolani, cosa ha spinto la Fondazione ad intrapren-

dere l’organizzazione di questa importante mostra sull’opera di

Crocetti? Qual è l’obiettivo che volete raggiungere attraverso

l’esposizione?

L’esposizione di Palazzo Venezia è il punto d’inizio di una seconda fase

per la Fondazione che presiedo. Dopo l’attività preziosa e inimitabile

del mio predecessore, l’on. Antonio Tancredi, oggi intendiamo portarla

Una mostra a Palazzo Venezia celebrai cent’anni dalla nascita dello scultoree ci conduce alle radici della sua arte

VenanzoCrocettie il sentimento dell’antico

La mostra

diSirio MariaPomante [email protected]

Amo le tecniche, le materie e le raffinatezzedei mestieri, certi antichi modi di fare le coseper le quali nasce l’opera d’arte: modi che non cambiano mai, che ritornano sempre,e si rendono attuali solo per le variazioni.Venanzo Crocetti, Autobiografia

Grandeallievadi danza(1982)

avanti rinnovando la lettura dell’opera di Venanzo Crocetti. Questa

è la motivazione principale che ci ha animato nell’ideare e realizza-

re questo evento e l’accoglienza prodigiosa che ha avuto la mostra

presso la critica ce lo conferma. Un artista che continua a sbalordire

per la linearità della sua opera, refrattaria alle mode, forte anche delle

sue origini. Anzi, a proposito di quest’ultimo aspetto, grazie all’amicizia

che mi ha stretto al maestro per lunghi anni, posso affermare che il

rapporto di Crocetti con la sua città deve essere finalmente visto come

un tratto della sua personalità e non come una repulsione riservata

esclusivamente ai suoi luoghi di provenienza.

Al fine di maturare una nuova visione dell’artista, affinché l’attività e

la vita dialoghino, ho chiesto alle due curatrici di lavorare sull’archivio

dello scultore. La ricerca ha permesso di arricchire l’allestimento e

completare la lettura delle opere con la proiezione di pensieri e testi-

monianze estratti da questi scritti.

E’ stata anche l’occasione per riscoprire il diario di Crocetti che presto

editeremo. Assieme a tutto questo, la mostra romana intende rivestire

il punto di partenza per la diffusione dell’opera del maestro fuori

dall’Italia dove è già in parte conosciuta. Non dimentichiamo infatti che

una delle sue opere più importanti e dense di significato, Il Cavaliere

della Pace, compì un lungo cammino da Hiroshima all’Ermitage di

San Pietroburgo, alla sede del Parlamento Europeo di Strasburgo, alla

Galleria d’Arte Contemporanea di Budapest, per giungere infine sulle

colline di Colignì a Ginevra. Così, la Fondazione è al lavoro sui prossimi

appuntamenti all’Ermitage, a Pechino e Shangai e a curare l’intenso

rapporto col Giappone, secondo paese dopo il nostro a custodire il

maggior numero di sculture di Crocetti.

Per introdurci alla scoperta delle sedimentazioni antiche che vivo-

no nelle sculture del Maestro, abbiamo incontrato la professoressa

Raffaella Morselli, ordinario di Storia dell’arte Moderna e direttore del

Dipartimento di Scienze della Comunicazione all’Università di Teramo, e

la dottoressa Paola Goretti, coautrice del catalogo.

La mostra, che si articola attraverso un corpus di circa ottanta

creazioni, titola: “Venanzo Crocetti e il sentimento dell’antico.

L’eleganza del Novecento”. Quali sono gli elementi fondamentali

di questo ‘sentimento’ nell’opera del nostro scultore?

Domanda complessa, che sostanzia l’intera cifra narrativa, plastica

e poetica del Nostro. E’ l’intera angolazione da cui Crocetti guarda

il mondo, accarezzandolo per via di cuciture temporali che non

si organizzano nell’esaltazione del progresso, dell’avanguardia,

della contemporaneità; come escludendo a priori tutti quegli

orientamenti internazionali (europei e americani) che andavano

costruendo le nuove mitologie della società di massa. Crocetti –

sorta di monaco laico che ripete i suoi gesti di liturgia rinnovandoli con

gioia ogni giorno- cura la finezza della materia con slancio infaticabile,

sedendo per tutta la vita in un altare interiore consacrato al magistero

degli antichi maestri, spigolati da tutte le epoche possibili. Eccolo, il suo

mai dismesso dialogo con l’antico, sostanziato dagli infiniti rimandi al

lessico figurativo della tradizione classica, sia essa aulica (Donatello,

Antelami, Michelangelo, Niccolò dell’Arca), italica o mediterranea; nelle

abbondanti suggestioni greche, picene, etrusche, egizie.

7n.91

continua sulle pagine seguenti

Fanciulla al fiume (1934)

La Maddalena

8n.91

segue da pag. 19

E’ l’antico -sviluppato in ogni sfumatura,

rimando, ispirazione – che in lui diviene a

poco a poco un dialogo sentimentale carico

di affetti e di memorie. Crocetti risale le onde

del tempo come un salmone, per appropriar-

si di tutti i passati e fonderli insieme in un

nuovo presente. Non era più interessante

per me scoprire Martini – dice nei suoi scritti

inediti- ma, eventualmente, mi sarei com-

piaciuto di guardare dove lui guardava. Mi

sarei cioè abbeverato, come lui, alle sorgenti

dei grandi cicli: dagli Egiziani ai Greci, dagli

Etruschi alla scultura Indiana o Gotica dove

la Chimera Trevigiana godeva intrattenersi

quali assimilatore che Egli era, non meno

verace di Picasso. Questo è il suo gesto, il suo

andamento, il suo variare note e partitura di

continuo senza variare lo strumento mai, il

suo sentimento inconsumabile. Questo ciò

che abbiamo voluto evidenziare.

Nonostante il complesso rapporto di Cro-

cetti con il suo luogo natìo, quanto c’é di

Giulianova, dell’Abruzzo, terra di scultori,

in questo ‘sentimento’?

immutabile e fiero di esserlo. Pensiamo a La

portinaia (1934) mani sui fianchi su corpo

smagrito, come avrebbe sancito certo indi-

menticabile neorealismo, a La gravida (1932),

maestà totemica simile alle statue votive

delle antiche dee madri; e più ancora a La

zingara (1937), antenata satura di arcaismi

in cui si rispecchiano le istanze di un lessico

figurativo remotissimo (evidenti i rimandi

alla Dea dei serpenti di Cnosso), temperato

da aspetto nobile e gentile. Nell’universo di

Crocetti non sono mai tramontati gli oracoli

(le dee e le maghe dell’Abruzzo, come la dea

Angizia); è piuttosto la civiltà tecnologica,

tecnocratica e industriale che non è mai

esaltata, che non appare mai. E’ di essa che

Crocetti non si cura. Fermandosi sull’uscio

di casa a pettinare l’antico, l’agreste, il

rurale. Senza per questo esser provinciale o

attardato. Semplicemente, indisponibile alle

forzature del progresso. Da queste opere

iniziali (La gallina, 1931) al Giovane Cavaliere

della Pace (1987), che lo colma di onorifi-

Moltissimo, anche se non crediamo che Cro-

cetti vada circoscritto ad una parlata locale

o ad una territorialità regionale. Tutti i grandi

artisti di tutte le discipline (di tutte le epoche)

appartengono al mondo ed è nel mondo

che vanno collocati: la Parigi di Modigliani,

la Venezia di Canaletto, la Rimini di Fellini -si

può continuare all’infinito- sono memoriali

universali e appartengono alla storia dell’u-

manità. Comunque, certo, la dimensione

arcaica è molto presente in Lui, specie nelle

opere degli esordi, come in una dottrina

di legamenti fortemente saldata all’epica

contadina, a quella degli animali da cortile,

alla repubblica dei tori e delle vacche, delle

galline e dei vitellini, dei pescatorelli, delle

bonarie strette di mano tra compari che oltre

alle transazioni economiche per siglare affari

si lanciano intense affettuosità. In un Paese

che ancora odorava d’aratro e di memorie

rusticane, Crocetti portava in scena l’opera

degli avi e delle ave, i filamenti di un universo

rupestre, millenario tanto quanto le grotte

della Valcamonica o della civiltà nuragica,

La mostra

Giovane Cavaliere della Pace (1987)

Pescatoriello con cappello (1935)

9n.91

cenze internazionali, il salto è brevissimo. In

entrambe le prove si conserva infatti il soffio

pacificato di un mondo armonico; un asse

di riconciliazione che sintetizza l’intento uni-

versale dell’opera del Maestro, nella nudità

di una cavalcata placida protesa al divenire

della storia, vicina al tempo stesso agli occhi

del bambino che Egli era stato un tempo:

quando si indignava perché i compagni di

scuola colpivano le rondini con le fionde,

quando raccoglieva amorevolmente ramo-

scelli di alghe dal bagnasciuga per studiarne

le venature e cogliere anche in essi l’opera

mirabile della Creazione umana.

L’esposizione romana ripercorre l’opera

del maestro. Quali sono stati i criteri

espositivi che hanno guidato la curatela?

Non abbiamo voluto calare le opere in una

cronologia troppo sorvegliata (a questo

provvederemo in futuri studi critici che avran-

no come obiettivo il catalogo generale delle

opere del Maestro, ordinato secondo i criteri

più ortodossi) prediligendo un orientamento

che fosse in grado di orchestrare alcune

tipologie tematiche, più ampie di un semplice

soggettario. Un modo per mettere in ordine

alcuni grandi amori, solcati da Crocetti lungo

l’arco dell’intera esistenza, modulando un

graduale affettivo capace di allacciare un

fittissimo rimando con le epoche prece-

denti secondo timbri emotivi differenti; tra

sobrietà, furori tortili, dolcezze. Ecco dunque

la scelta delle tre sezioni: Elegantiae (la

traccia classicheggiante: ballerine, modelle,

teste e busti all’eroica); Etternale Ardore (il

tragico dei soggetti epici: maddalene, fughe,

ratti, incendi, avvitamenti di leoni e leonesse);

Clementiae (il lessico dei memoriali rusticani:

pescatori, bagnanti, animali da cortile, frutti-

vendole, bacchini, cavalieri e maternità).

Per rendere ancora più stringente il dialogo

coi Maestri e la dimensione evocativa che

nutre l’intera cifra del Nostro, abbiamo fatto

ricorso ad un innovativo sistema di videopro-

iezioni messo a punto dalla sapienze tecni-

che di Mario Flandoli per proiettare in multivi-

sione l’abbondanza iconografica sedimentata

negli occhi di Crocetti, intercalandola ai suoi

pensieri. Scorre così sulle pareti l’officina

della storia: i Maestri del Trecento, Bellini,

Pollaiolo, Rodin, Donatello, busti romani,

tanagrine, teste all’eroica, volti di Modigliani,

urne etrusche, busti del Quattrocento, gesti

di Iside sovrana.

Un intenso percorso di stile, grazia e sensua-

lità, sostenuto dalle sapienze progettuali di

Cesare Mari che ne ha curato gli allestimenti,

e da quelle illuminotecniche di Giuseppe

Mestrangelo, che tutto ha vestito di luce:

nell’eleganza di un presente senza tempo

dove Crocetti, coagulando la scultura in un

progetto estetico accorpante i secoli, punta

alla sostanza dell’anima.

L’esposizione, che resterà aperta al pub-

blico fino al 20 ottobre, sarà visitabile dal

martedì alla domenica, dalle 10.00 alle

19.00. Il percorso della mostra occupa la

sala Regia, delle Battaglie e del Mappa-

mondo del Museo Nazionale di Palazzo

Venezia diretto da Andreina Draghi. n

Busto di soldato

Il ratto

Leonessa con serpente (1935)

Ritratto di donna

Teramo culturale10diSilvioPaolini Merlo [email protected]

n.91

GuidoMontautie l’avanguardia fauvistadel Pastore Bianco

D i un artista come Guido Montauti, a cui Ripattoni in Arte ha

dedicato una retrospettiva per il cinquantenario del manife-

sto del Pastore Bianco, è facile e insieme difficile dire. Facile,

perché di lui hanno detto e scritto firme autorevoli come Enrico

Crispolti, tra i massimi critici del futurismo. Di lui si conoscono le origini

modeste, a Pietracamela nel 1918, le esperienze in tempore belli per

mezza Europa, specie a Parigi, dove viene in contatto con le maggiori

avanguardie, e poi a Milano, dove conosce tra gli altri Carlo Carrà.

Difficile, perché la sua è una personalità complessa, stratificata, nei temi

e nei metodi pervasa da una certa insondabile doppiezza. Ma è forse

proprio nell’esperienza di pittura collettiva assieme agli amici Alberto

Chiarini, Diego Esposito, Pietro Marcattili e il pastore Bruno Bartolomei,

nei monumentali dipinti tracciati nelle Grotte di Segaturo, evocanti un

legame primitivo tra uomo e natura, che di Montauti può essere trovata

una chiave di lettura non stereotipica. Esperienza breve, durata solo un

settennio dal 1963 al 1969, nella quale giunge a compimento un’esalta-

zione delle “selve” e dei motivi agresti che molto ha a che vedere, certo

nel metodo se non nei temi, col fauvismo francese, il primo dei grandi

movimenti avanguardisti del Novecento pittorico europeo. Colori stesi

sulla tela in modo violento e sporco, senza apparenti preoccupazioni

estetiche. Le cui motivazioni immaginative non sono mai né figurative

né antifigurative, né didascaliche né naif. Lo stile, insomma, che sarà

sempre il suo. Uno stile in tutto e per tutto figlio del suo tempo, intimista

e insieme estraniante e alienante. Di certo nulla di simile si era mai vista

nell’arte pittorica abruzzese, salvo il caso dell’opera astrattista cui un

isolato pioniere come Giuseppe Misticoni aveva dato inizio nel 1950 con

la Composizione geometrica.

I fatti sono per lo più noti. Dopo il rientro definitivo da Parigi a Teramo,

Montauti sente l’urgenza di infondere un rinnovamento profondo nel

contesto delle attività artistiche cittadine. E non c’è dubbio che, proprio

con la nascita del gruppo denominato “Il Pastore Bianco”, egli vi riesca.

Ma questo sforzo di rinnovamento egli pretende inciderlo nella roccia,

eternizzarlo in quelle che crede le radici ataviche della sua stirpe e di

quella aprutina, affidandosi a temi tra l’ascetico e il bucolico come I

Pastori delle Montagne Rosse, Processione, Crocefissione, Il Giudizio

Universale. E intende affermarlo contro l’espressione a quel tempo

emergente della modernità: la pop art americana. Definita “postribolo

dell’arte”, nel 1966 Montauti e il gruppo del Pastore citano in giudizio la

Biennale di Venezia, sostenendo nientemeno che una violazione dello

statuto. Perderanno la causa, rovinosamente, e poco dopo ognuno tor-

nerà a calcare i propri passi. L’idea è la creazione collettiva, il rifiuto del

sé autoriale, simbolo di umiltà e di rinuncia all’individualismo. Non che

nell’operazione vi fosse nulla di nuovo: l’alea si era già insediata potente

in tutte le arti, dall’action painting pollockiano, al casualismo di Cage

fino all’happening del Living Theatre. Ma a parte questo, benché la loro

possa dirsi un’innovazione di una certa valenza storica per l’Abruzzo

del tempo, gli esiti programmatici dell’operazione - a differenza di quelli

artistici, indiscutibili - appaiono nel complesso fallimentari, e nel metodo

e nel merito. Nel metodo, perché l’intento spersonalizzante, il passaggio

dalla visione dell’opera d’arte come autogenesi più che come prodotto

volontario di una singola coscienza, vengono di fatto smentiti nei fatti

da uno stile montautiano rimasto preponderante al punto da annientare

quello degli altri, e si pensi all’ingenuo naturalismo che sarà poi sempre

tipico di Bartolomei. Nel merito, perché questa chimera salvifica del

ritorno alla pittura rupestre,

sognata evidentemente come

origine incontaminata di tutta

l’arte, non ebbe di fatto mai il

potere di ricapitolare e oltre-

passare l’intera storia passata

e presente dell’arte occiden-

tale, ma al contrario finì col

negarla a priori, farne oggetto

di un rifiuto tombale, antistori-

co, ai confini di un’inquisizione

purificante. E la fumosa diatriba

con la Biennale veneziana,

letta a più riprese come atto

coraggioso e lungimirante,

appare al contrario quantomai

infelice e maldestra. Cosa sia

stata nei suoi autori maggiori

la corrente artistica della pop

art, tra le più importanti e feconde del dopoguerra, lo si sa. Cosa sia

stato degli altri giovani componenti del Pastore Bianco lo sappiamo

altrettanto: gruppo nel quale, tranne - forse - Esposito, giunto ad esporre

entro e fuori l’Europa e con una docenza a Brera, non mi sembra essersi

evidenziata alcuna personalità di spicco, o comunque paragonabile a

quella largamente dominante di Montauti.

E sappiamo anche cosa la pop art abbia inteso rappresentare per

l’uomo moderno: la banalità del vivere urbano, il cinismo della merci-

ficazione universale, al fine di esternarne il senso di forte livellamento

del prodotto artistico. Nulla di diverso, in fondo, da ciò che Montauti e

gli altri cercavano. In realtà, era precisamente questa loro arte “povera”

- così spiccatamente condotta al matericismo e al divisionismo - ad

essere intimamente condotta all’iconoclastìa e alla dissacrazione, alla

smitizzazione dell’eternismo nell’opera d’arte. Al massimo verso un ani-

mismo di tipo certamente pagano. Ma questo passo nessuno tra loro,

e Montauti in testa, volle mai compierlo. Quale senso aveva dunque

quell’accusa puritana all’arte pop, oltre una certa invidia per quel passo

in avanti che i loro “pastori” non avevano avuto il coraggio di compiere?,

oltre un inconfessato rifiuto dell’autoscacco a cui quel certo percorso li

stava conducendo e non avrebbe potuto che condurli? n

Saliceti - busto al Pincio

La nostra città12n.91

Dalla corrida del 1530alla mucca del XXI secolo

Piazza Martiri della Libertà

P iazza Martiri della Libertà ha sem-

plicemente bisogno di un discipli-

nare, di un dispositivo che regola-

menti per bene cosa si può fare e

cosa non si può fare, cosa organizzare in

quest’alveo storico architettonico e per

quanti giorni, selezionando sin dall’inizio

dell’anno pochi eventi, ma buoni, senza

nemmeno tanto sfociare in un taglio snobistico che impedisca alla

pancia di Teramo di esibirsi nel salotto buono della città, di rifletter-

si sul palco. Di conseguenza, via libera anche a Vittorio il fenomeno,

ma cum judicio. Ok, okeissimo la lirica in piazza, bene anche Sport

sotto le stelle, con alcune revisioni, un successo il Capodanno, e

così via. Non si possono mettere in piedi imbarazzanti sceneggia-

te, irriverenti per la cittadinanza, solo perché fa gola la piazza più

contesa del contado. La sindrome della sagra perenne continua

purtroppo a contaminare i nostri amministratori, non coscienti che

questo sito rappresenta davvero il salotto di casa e non un fondaco

dove riporre un po’ di tutto. Purtroppo Piazza Martiri della Libertà,

nella sua longeva vita, deve ricordare dubbi episodi, come quello

ad esempio, tanto per cominciare, dei chiodi piantati nelle storiche

mura del Duomo da un dipendente comunale per legarci un tendo-

ne durante una Festa della Polizia (tanto con tutti questi buchi che

ci sono, uno in più che differenza fa? Fu la risposta a chi obiettava!)

o dell’albero di Natale, attraccato ad orribili grossi cubi di cemento,

circondati da paglia ovunque. Uno strazio! Eppure nel 1789 nella

piazza fu eretto l’albero della libertà. Come si fa a dimenticare la

mucca pubblicitaria dispensatrice di latte, che placida stava lì a

ricordare come il latte evochi davvero ancestrali pulsioni, soprat-

tutto verso i più piccoli, oppure le pecore, capre e vitellini legati

nei pressi della scalinata posteriore del Duomo durante una festa

di prodotti tipici locali di qualche anno fa. Va bene che la nostra

agorà ha visto nel passato anche corride: nel 1530 gli Spagnoli ne

organizzarono una, ma i Teramani non l’apprezzarono. Oramai non

fanno più notizie i duelli notturni tra bottiglie di vino e lattine di bir-

ra che trovano spazio sulle scale del Duomo, dove fino al mattino,

rimangono in ordine sparso. O anche le bestemmie e parolacce

inserite in una canzone natalizia di una band inglese. Parolacce che

provenivano dagli altoparlanti dei due porticati posti su Corso San

Giorgio? Per non parlare delle indubbie kermesse che si sono suc-

cedute in tutti questi anni. Fino all’ultima: quella Miss Italia che ha

fatto dire al nostro primo cittadino: “Basta, d’ora in poi creeremo

una zona di rispetto attorno al duomo”. Peccato che dopo qualche

giro di lancetta sono apparsi due bagni chimici orribilmente addos-

sati alle pietre millenarie della nostra cattedrale. Sì. Oriniamo tutti,

pisciamo sul monumento storico più rilevante della nostra storica

città, come nel 410 d.C. a Roma. Come definire, in occasione della

festa dell’agricoltura, l’alta concentrazione di mega gazebo in una

location, sempre quella, solo quella, come se la zona della Villeroy

& Boch, solo per fare un esempio, non potesse ospitare tali eventi.

Un mega tendone piazzato sotto il campanile ha ricordato per un

attimo l’Oktoberfest. Perché, poi, un palco deve essere sovrapposto

per settimane su un monumento storico cittadino che è la scalinata

del duomo? Dov’è il Vescovo, dov’è la soprintendenza ai beni archi-

tettonici, ma soprattutto dov’è l’indignazione dei Teramani?

Anche don Aldino, il parroco del duomo, ha dovuto più volte tirare le

orecchie ai nostri amministratori, che avevano esagerato nella folle

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

13n.91

da ogni tipo di volgarità. Da sempre si è

collocato in prima linea per denunciare gli

obbrobri che man mano si sono succeduti

nel sito lungo tutti questi anni. Eccone una

sintesi.

Teramani n.° 11 di Febbraio 2005.“La lunetta di Venanzo Crocetti, pagata dal-

la Banca Popolare Italiana, doveva essere

posizionata nello spazio semicircolare sopra

la scultura di bronzo raffigurante l’annuncia-

zione: purtroppo l’opera giace misteriosa-

mente abbandonata in un polveroso scan-

tinato comunale. Al suo posto è stata posta

una discutibile opera di Mastrodascio”.

Teramani n.° 23 di Marzo 2006.Walter Mazzitti: “Mi chiedo come si possa

pensare di ingombrare Piazza Martiri con

degli interventi che io, come cittadino,

giudico offensivi sotto tutti i punti di vista.

Il gazebone, la nuova edicola, la pista di

pattinaggio, il mercato del sabato: viene

da chiedersi perché tutto quello che si fa

in questa città deve per forza occupare il

centro storico”.

Teramani n.° 28 di Settembre 2006.“La piazza è offesa da affissioni selvagge

principalmente sui muri dell’ex Banco di

Napoli, tra cui quelle di Agena, Casa della

Libertà e qualche stemma di Rifondazione”.

Teramani n.° 36 di Luglio-Agosto 2007.Francesca Marrone. “Piazza Martiri: la vera

agorà teramana. Qui fu eretto nel 1799 l’al-

bero della libertà; qui nel 1530 gli Spagnoli

organizzarono una corrida, con tanto di toro

e torero, che però non sembrò incontrare

il parere favorevole dei locali. Nell’ambi-

to di una manifestazione di alta moda e

Agriservice una mucca appare accanto al

duomo: a questo punto bisogna capire quali

manifestazioni e quali prodotti possono tro-

riproduzione delle manifestazioni senza

alcun senso e senza alcun valore aggiun-

to e soprattutto con la musica “a palla”.

Ma in piazza c’è stato un po’ di tutto: la

nostra vita che scorre. La Juve che vince lo

scudetto, la Ferrari in mostra, le Topolino,

l’Italia campione del mondo, quotidiano e

pasta alla nocciola la domenica, le bandiere

rosse del sindacato, quelle verdi degli agri-

coltori, quelle biancorosse degli ultrà che

insistono con le loro sciarpe per il Davide

libero (a ben vedere l’unico vero tormen-

tone teramano, più delle virtù e di Topitti),

Brucchi in bici, l’apetta schioppettante di

Schillaci, il crocicchio di Massoni, i record

mondiali, Malavolta, la cabina fototessera

dove per un anno e mezzo Giovanni vi ha

dormito, il raduno delle Harley. Poi: uno

sguardo, un cuore che batte, uno che

smette di battere, un clochard, Bruno, Vin-

cenzo, la solitudine di Ferragosto, la neve,

l’olmo, Biancone, il brusio della fontanella,

gli anziani sulle panchine, la processione di

Cristo morto, la pioggia. Ecco, per queste

e per altre migliaia di ragioni, concittadini

per favore indignatevi quando qualcuno

violenta il nostro io collettivo, la nostra

storia. Incazzatevi e non permettete che

qualcuno scambi Piazza Martiri della Libertà

per lo scaffale di un centro commerciale,

dove la merce viene accatastata in modo

che s’inganni il consumatore. Riprendiamoci

il nostro salotto. I Teramani non amano le

corride.

Il nostro mensile, sin dall’inizio ha perorato

la causa di una Piazza Martiri sgombra

varsi asilo e quali invece è meglio portare

altrove”.

Teramani n.° 37 di Settembre 2007.Riconsegna del duomo restaurato. (Lasciate

due cabine Enel e cancellata di legno nei

pressi). Biagio Trimarelli: “E’ mai possibile

che i cittadini abbiano dovuto attende-

re tanto tempo per vedere completata

un’opera così importante per Teramo e

trovarsi poi di fronte a tali segni di inciviltà e

insensibilità?”.

Teramani n.° 39 di Novembre 2007.Mimmo Attanasii: “Il ragù alla bolognese,

la polenta è dell’area padana, i fritti ed i

saltimbocca sono romani, le olive all’a-

scolana, e potrei continuare. Il saluto della

Provincia di Teramo alla prima edizione

di Magna Teramo è del presidente Ernino

D’Agostino”.

Teramani n. 39 di Novembre 2007.Walter Mazzitti: “Tutto questo (degrado)

perché? Perché non ci sono idee. Manca

una strategia di fondo, manca la capacità di

attirare interessi”.

Teramani n.° 39 di Novembre 2007.In questo numero Chiodi, Rabbuffo e

Micheli assicurarono tolleranza zero per le

affissioni abusive. Ma da allora la situazione

è solo peggiorata.

Teramani n.° 41 di Gennaio 2008.“Abbiamo visto camion scaricare merce in

piena mattinata e spesso oltre, senza più un

orario da rispettare, in quel caos da Kasba

nordafricana”.

Teramani n.° 52 di Marzo 2009.“Anche se è vero che in fondo le brutture

14n.91

segue da pag. 13

della vita sono pratiche, perché col tempo

si trasformano in qualcosa di utile, come

il letame in humus, quelle teramane però

rasentano l’indolenza sciatta della trasanda-

tezza, un po’ in linea con il carattere pigro e

svogliato dei nostri concittadini”.

Teramani n.° 69 di Febbraio 2011.“Ok, un tir in retromarcia centra in pieno il

simbolo della teramanità e sbreccia una par-

te della scalinata: chi è mai quel pazzo che

fa depositare addosso alle mura del duomo

del capoluogo, saponi, detersivi, mozzarelle,

frutta fresca, così come capita tutte le volte,

almeno due giorni alla settimana, in attesa

che dopo ore gli addetti dell’ipermercato la

ritirino. Chi è quell’incosciente che permette

che bisonti simili solchino la porta del

santuario aprutino? Chi permette che per

il corso principale a mezzogiorno una fila

interminata di altrettanti tir si susseguano

come in una tappa del giro d’Italia: è l’isola

pedonale dov’è?”…”Dall’altro lato di Piazza

Martiri appaiono le mitiche sfere di Vitelli che

si susseguono come una collana infilate da

cinghie da rockettaro, facendo letteralmente

inciampare vecchiette e giovani. Oltre ai tir,

sfilano senza sosta i bus della linea urbana

tagliando la piazza con bambini e con il

traffico di autovetture senza permesso, o

se ce l’hanno sono illegittimamente usati

come quelli individuati nelle auto di alcuni

dipendenti della Prefettura, oggetto di inda-

gine della Procura di Teramo. E a proposito

di pass: continua il florilegio di tagliandi per

disabili intestati a parenti morti ma ancora

utilizzati da persone che la sera fanno

walking o acquagym”.

e d’ogni dove a prezzi stellari, ma non le

peculiarità teramane, niente sfujatelle,

caggiunitte, niente papatille, ma dolci che

troviamo in qualsiasi centro commerciale

preparati attraverso orripilanti procedimenti

chimici e conservati con poca attenzione

per la salute pubblica”. (…) “Gli alberi di

Natale sono posticci ma “a gratis” (non è

che tra le mura si fa entrare anche il cavallo

di Troia? tanto è un dono. Gli altoparlanti

della musica (Feliz Navidad il tormentone)

sono pericolosamente penzoloni su pedoni,

l’albero posticcio ha i doni di cemento

avvolti da cartaccia bianca e rossa e un

po’ di muschio buttato sul selciato senza

nessuna cura o inventiva, quando invece

c’era il tradizionale albero a ridosso della

torre campanaria. È finta anche la pista di

ghiaccio senza ghiaccio ma composta di

un materiale sintetico, anch’essa, guarda

un po’, acciambellata sulla scalinata del

duomo, strozzando il respiro degli elementi

architettonici degli ambienti e insidiando

le santità. Pare che Teramo, e la sua piazza

principale, debba essere riempita come

un piatto di virtù e farcita come timballo.

Teramo è pervasa dalla sindrome della

sagra perenne”.

Teramani n.° 80 di Aprile 2012.“Giorni contati per la Teramo-suk dei gaze-

boni, dei dehors che scimmiottano baite

alpine, degli ombrelloni da mare con i mar-

chi della birra sui lembi della stoffa e delle

sedie di plastica bianche. Il sindaco Brucchi

ha detto stop e ha varato un regolamento

che provvederà a ristabilire un po’ di ordine

tra le strutture più impattanti”. (Sic!).

Infine: forse l’unica apparizione che tra

l’altro ha entusiasmato i nostri piccoli, la

giostra, è stata tolta perché dopo un po’ ci

si era accorti che non aveva tutti i permessi

in regola. n

Teramani n.° 72 di Giugno 2011.

“Caos al caos. A tratti la nostra placida cit-

tadina sembra avere il volto della disastrata

Hill Valley di Ritorno al Futuro II quando il

cattivo Biff Tannen, una volta in possesso

del Grande almanacco sportivo, riuscì a

diventare sindaco della città, facendola

assurgere a capitale del vizio e del disordine

più completo”…. “Il volto in città è quello

abbruttito del laissez-faire o del vada-come-

vada che si è ingenerato con l’allentamento

del controllo del territorio”.

Teramani n.° 75 di Dicembre 2011. Oc-

cupy Piazza Martiri della Liberta. Don Aldino,

il parroco del duomo, ha dovuto beatamen-

te tirare le orecchie ai nostri amministratori

per le troppe e insulse manifestazioni in

piazza. Le ricotte sono pericolosamente

esposte per troppo tempo con rischio

della salute pubblica, in rassegna banali

cianfrusaglie e cineserie senza nessun

valore aggiunto. Nell’ultima manifestazione

di Art&Ciocc, compaiono specialità siciliane

La nostra città

Arco Consumatori informa16n.91

Obblighi degli istituti di credito versola clientela

diMassimoDi Giacomantonio [email protected]

P iù di La conoscenza delle caratteristiche e dei costi delle

operazioni e dei servizi bancari, la comparazione fra le diverse

offerte presenti nel mercato e la possibilità di effettuare scelte

consapevoli e coerenti con i bisogni da soddisfare, costituisco-

no per il cittadino e per le imprese strumenti importanti che, tuttavia,

dipendono dalle informazioni disponibili.

Tali informazioni sono spesso insufficienti, per cui è difficile compiere

valutazioni sulle operazioni e sui servizi offerti, sia sotto il profilo della

convenienza economica, sia sotto il profilo della funzionalità in rela-

zione ai bisogni del cliente ( sia esso semplice cittadino o impresa).

In questo ambito si colloca il concetto di trasparenza, intesa come

possibilità per il cliente di accedere alle informazioni relative alle

clausole contrattuali che disciplinano le relazioni con le banche; fra

queste assumono particolare rilevanza le condizioni economiche,

indispensabili per una corretta valutazione di convenienza delle

operazioni e dei servizi.

Per garantire la trasparenza e, più in generale, la correttezza nei rap-

porti fra banca e clientela, sono state emanate specifiche norme che

intervengono nelle diverse fasi in cui si articolano tali rapporti.

Le norme del Testo Unico Bancario impongono alla banca di rendere

note in modo chiaro al cliente tutte le condizioni economiche relative

alle operazioni e ai servizi offerti, stabilendo che tale obbligo non può

essere assolto mediante rinvio agli usi.

I contratti devono essere redatti per iscritto ed

un esemplare deve esser consegnato ai clienti.

I contratti devono altresì indicare il tasso

d’interesse, ogni prezzo e condizione praticati,

inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali

maggiori oneri in caso di mora.

Qualunque modifica unilaterale delle condi-

zioni contrattuali deve essere comunicata

espressamente al cliente secondo modalità

contenenti in modo evidenziato la formula:

“Proposta di modifica unilaterale del con-

tratto”, con preavviso minimo di due mesi, in

forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente

accettato dal cliente. Gli istituti di Credito devono, inoltre, fornire per

iscritto o mediante altro supporto durevole preventivamente accet-

tato dal cliente, alla scadenza del contratto, e comunque almeno una

volta all’anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento

del rapporto. Quelle appena richiamate sono soltanto alcune delle

prescrizioni che gli istituti di credito sono tenuti ad osservare nei

rapporti con i clienti. n

17Giochini e giochetti

diMimmoAttanasii [email protected]

Il mensile Teramani si è occupato già alcuni anni fa

ed anche di recente di alcuni “trabocchetti” occultati

sotto forma di telequiz, ribadendo il concetto della

necessità di tutela per il consumatore sprovvisto degli

strumenti adatti a una analisi approfondita dei meccani-

smi pubblicitari. Proprio in queste settimane, a intervalli

irregolari, sono stati trasmessi dalle televisioni commer-

ciali degli indovinelli così banali da indurre il telespettato-

re a scansare gli indugi e partecipare tranquillamente con

un semplice messaggio dal cellulare: “Il Colosseo si trova

a Roma oppure ad Atene?”. A SMS inviato, si attiva un abbonamento

a servizi non voluti. Anche il presidente del Corecom Abruzzo, Filippo

Lucci, coordinatore nazionale dei Corecom italiani, ha fatto sentire la

sua autorevole voce denunciando “questa tipologia di spot” che “va

ad aggiungersi a un’affollata selva di programmazioni televisive, che

fanno leva sull’ingenuità dei consumatori e la speranza di facili vincite”

n.91

e annuncia “un intervento immediato a tutela degli utenti” contro

quelle che definisce vere e proprie “trappole” (http://www.key4biz.it/

News/2013/09/02/Policy/Filippo_Lucci_CORECOM_AGCOM_telequiz_

spot_ingannevoli_219482.html).

Alcune persone credono ancora che le notizie diffuse attraverso i conte-

nitori televisivi, legittimati dalla notorietà, siano imparziali. L’informazione

percepita come un occhio nel cielo a riportare i fatti nudi e crudi ignoran-

do la manipolazione di quanto quegli stessi accadimenti si inseriscano

nella visione soggettiva del mondo. Riceviamo tutte le nostre informazio-

ni attraverso una qualche forma di media e la reazione

su opinioni che non condividiamo può essere intensa.

Chi scorge e si allarma per una presunta cospirazione

sovversiva e chi si rassicura accatastando responsabilità

sui soliti potenti, che cercano di controllare la società.

Ma c’è davvero una cospirazione? Alexander Solzhe-

nitsyn era famoso per avere detto: “Se solo le persone

cattive fossero tutte da una parte, che se commettono

atti maligni in modo insidioso basterebbe separarle dal

resto di noi e distruggerle. Ma la linea che divide il bene

e il male passa attraverso il cuore di ogni essere umano.

E chi è disposto a distruggere una parte del proprio cuo-

re?”. I mezzi di comunicazione hanno il dovere e il biso-

gno di esercitarsi nell’analisi e nell’impegno, ma troppo

spesso la paura è quella di ottenere solamente una rea-

zione acritica. Ed è così che a volte nasce il pregiudizio.

L’ideologia si basa su un insieme di idee, principi e pensieri influenti da

condividere. In una società capitalista, i prodotti culturali sono costruiti

per l’esecuzione di un business e non per fini artistici. In questo contesto,

gli imprenditori scelgono appunto di lasciarsi la considerazione di utilità

sociale alle spalle e la concezione di vita si è trasformata gradualmente

nel processo di prefiggersi impossibili cospicui profitti per tutti. n

“Sì la vita è tutta un quiz!”anzi di... telequiz

Per Parlare di E - book ormai risulta quasi scontato,

ma in realtà non lo è proprio, poiché dal mondo

della scuola giungono alle nostre orecchie, è

ormai provate, notizie alquanto contrastanti.

Entrando nel merito della questione possiamo

dire che sin dal 2008 si parlava di obbligatorietà

del cartaceo, infatti si annunciava, è il caso

di dirlo, con una certa baldanza ed una

relativa soddisfazione, che ci sarebbe

stata una grande novità nel mondo

della scuola. La nuova normativa,

anche retroattiva, precisava che i

testi adottati dagli istituti scolastici

nell’anno 2008-2009 (anno di entrata in vigore della legge n. 169/2008) e

disponibili in formato cartaceo, sarebbero stati sostituiti da testi digitali

scaricabili da Internet oppure rimpiazzati da materiale didattico diver-

so dove non era possibile attuare le nuove disposizioni. Il Miur forniva

anche chiare indicazioni ai dirigenti scolastici, esortandoli a effettuare la

programmazione per tempo per garantire la massima fruibilità dei testi da

parte degli studenti. Ribadiva quanto segue: “Coerentemente con quanto

previsto al punto 1.1, si richiama l’attenzione dei dirigenti scolastici sull’e-

sigenza di programmare con congruo anticipo tutte le attività ricognitive,

propedeutiche alla delibera del collegio dei docenti, soprattutto in ordine

alla verifica della forma (cartacea, mista o scaricabile da internet) dei testi

attualmente in uso, al fine di individuare quelli che potrebbero essere con-

fermati e quelli che necessariamente devono essere sostituiti in editoria.

Gli e-book introdotti nelle scuole dovranno, inoltre, essere realizzati in

modo da assicurare la totale coerenza con l’opera cartacea corrisponden-

te, subire aggiornamenti periodici, consultabili da qualsiasi tipo di compu-

Scuola18n.91

La domanda è legittima:libro digitaleo cartaceo?

diMaria Gabriella Del Papa [email protected]

La scuola ha ormai riaperto le sue porte, ma l’innovazione non è di casa

ter, anche off-line, e ottimizzati per Lavagne Interattive Multimediali.”.

Ma andiamo avanti, nel 2012 si parla ancora di Novità per la scuola:

arrivano nuove direttive dal Ministero dell’Istruzione in materia di libri di

testo, a partire dall’anno scolastico 2012-2013 dovranno essere disponibili

esclusivamente in duplice forma, quindi non solo cartacei ma obbligato-

riamente anche in formato elettronico. Il Miur stabilisce, quindi, l’obbligo

di adottare gli e-book nelle scuole come risorsa parificata ai testi cartacei.

La circolare ministeriale pubblicata il 9 febbraio 2012, “Adozione dei libri di

testo per l’anno scolastico 2012-2013 - Indicazioni operative” fa riferimen-

to alle linee guida già emanate nel 2009 ma aggiunge alcune normative

importanti e definitive. Con l’avvio dell’anno scolastico 2012-2013, infatti, i

docenti non potranno più adottare materiale scolastico disponibile solo ed

esclusivamente in formato cartaceo. Le adozioni da effettuare nel corrente

anno scolastico, a valere per il 2012/2013, presentano una novità di asso-

luto rilievo, in quanto, come è noto, i libri di testo devono essere redatti in

forma mista (parte cartacea e parte in formato digitale) ovvero debbono

essere interamente scaricabili da internet. Pertanto, per l’anno scolastico

2012/2013 non possono più essere adottati né mantenuti in adozione testi

scolastici esclusivamente cartacei.”.

Oggi, anno 2013 stiamo ancora disquisendo tra libro cartaceo, digitale,

misto, ma non riusciamo a muoverci di un millimetro, la situazione va

avanti a piccoli passi ma retrocede troppo velocemente inglobando

tutte le fatiche in men che non si dica. Il ministro Carrozza lancia il suo

messaggio : “ Stop agli Ebook scolastici”. L’accelerazione della digitaliz-

zazione del mondo scolastico subisce una brusca frenata

per l’intervento del Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara

Carrozza. Nella disputa tra Governo e editori, questa

volta la neo - Ministra si è schierata dalla parte di

quest’ultimi durante un incontro con loro avvenuto

la scorsa settimana. Proprio la Carrozza ha deciso

di favorire una linea di confronto e valutazioni

che sembrava, la scorsa primavera, giunta al

termine con Profumo. Gli editori esultano e

i ragazzi vedono allontanarsi, almeno per

il momento, la possibilità di sostituire

i classici manuali cartacei con gli

innovativi e-Book. Rallentare il per-

corso della digitalizzazione dei libri

scolastici, senza tuttavia uscirne.

Questa la posizione espressa dal Ministro Carrozza dopo l’incontro con

gli editori. La scuola, infatti, non sembra ancora pronta ad una rivoluzione

digitale di questo tipo a causa della mancanza di infrastrutture adeguate a

sostenerla. Così l’ingresso obbligatorio dei libri scolastici digitali viene con

buona probabilità posticipato alla stagione scolastica 2015-2016.

Gran parte degli editori tirano così un sospiro di sollievo. La loro lotta alla

digitalizzazione non carente di buone ragioni aveva trovato sfogo nel ricor-

so al Tar contro il decreto Profumo. Molti sono coloro già impegnati nella

pubblicazione di e-Book, ma altrettanti sono gli editori che mal digeriscono

il tramonto dei classici testi cartacei. Restano tuttavia tutti in attesa delle

comunicazioni relative alla possibile eliminazione del tetto sui costi dei

libri, stabilito dall’ex Ministro Profumo, che consentiva un risparmio del

20%-30%. L’epopea della digitalizzazione non sembra, insomma, giunta al

capolinea, sebbene l’Ocse si sia espressa negativamente rispetto alla lenta

progressione della digitalizzazione della scuola italiana, i nostri studenti

dovranno tenersi stretti i libri di carta per almeno un altro paio di anni. n

Luigi Bisignani. Basta la parola. Non occorrono presentazioni né

curriculum. Di lui Berlusconi ha detto che “è l’uomo più potente

d’Italia” e Gianni Letta ha dichiarato che “è l’uomo più conosciuto

che io conosca”. Dopo trenta anni di esercizio occulto del potere,

Bisignani finalmente si racconta con la fascinazione che può susci-

tare chi sa tutto o quasi dei meccanismi che governano le Istituzioni

repubblicane, schiave di una rete di relazioni che tiene per le palle la

democrazia, che in Italia non è mai stata tale.

Il libro “L’uomo che sussurra ai potenti”, edito da Chiarelettere nel

maggio 2013, oltre ad avere un titolo ruffiano ma azzeccatissimo, è un

sussidiario che dovrebbe essere studiato da tutti coloro che si occu-

pano di politica, per poterne suggere la linfa che attraversa i centri di

ogni genere e grado dove si esercita il potere in nome del popolo (cioè:

contro o a prescindere dal popolo). Una testimonianza straordinaria sui

meccanismi del potere “che agisce nell’ombra”.

Ma chi è davvero Bisignani? Lui detesta essere chiamato lobbista o fac-

cendiere, preferisce descriversi con locuzioni più eleganti: “mi piacciono

i grandi progetti da costruire attorno a persone intelligenti (…) Non ho

mai amato apparire, non vado quasi mai a cene cui partecipano più di

sei persone. E preferisco avere a che fare con un solo interlocutore così

da concentrarmi su di lui e prestargli la massima attenzione (…) Il mio

segreto è che rimango sempre a disposizione dei miei amici (…) Qualcu-

no mi chiama “triangolatore”, qualcun altro “coach”. Il giornalista Gianni

Barbacetto mi ha dipinto come “l’uomo dei collegamenti”. Mentre, per

il comico Maurizio Crozza, avrei addirittura “più amici di Facebook” (…)

Una volta un cardinale mi definì “uno stimolatore di intelligenze”. Defini-

zione che mi ha commosso”.

Bastano queste etichette a segnalare un aspetto niente affatto secon-

dario: il potere è il luogo dove si governa il linguaggio, lo si padroneggia

e manipola fino ad adattarlo agli usi più disparati; è il luogo dove gli

ossimori non esistono ed è l’orizzonte dove gli opposti si uniscono e le

differenze svaniscono.

Vengono in mente aforismi che hanno già chiarito l’arte di camuffarsi

da parte di chi gestisce il comando per evitare sempre e comunque lo

scontro diretto o l’indisposizione manifesta delle masse. Frasi come

“la serva è ladra, la padrona è cleptomane” (i politici infatti si accompa-

gnano con le escort, mentre gli operai vanno a puttane), oppure come

quella di Ennio Flaiano “in Italia la via più breve fra due punti è l’arabe-

sco” (ad indicare come sia necessario un estenuante calvario di trame

per poter abbindolare l’opinione pubblica). La sintesi di 300 pagine è

piuttosto banale: il mondo cambia

ma il potere no, è sempre uguale

a se stesso, non ha colore, non

conosce appartenenze né ideolo-

gie, persegue sempre indefetti-

bilmente il proprio interesse con

sovrana indifferenza.

Simbolo nazionale del potere è la

Gomorra politica per eccellenza,

centro mondiale della cristianità,

cartolina sfavillante di una civiltà

millenaria: Roma, trono dell’ultimo

Imperatore che vi ha regnato dal

1946 al 2013 per 67 anni conse-

cutivamente, Giulio Andreotti, di

cui Bisignani è stato l’allievo più

brillante, il suddito più fedele, il più

raffinato esegeta, il suggeritore

più ascoltato (“nella mia carriera

ho costruito giorno per giorno un

rapporto di fiducia con un uomo per me straordinario: Giulio Andreotti”).

All’intervistatore Paolo Madron che gliene chiede conto, Bisignani

incide nel marmo poche parole sulla capitale:“Mio caro, lei è veneto e

non può avere la piena percezione di quanto Roma sia un ventre molle

che smussa tutte le differenze. E che finisce per omologare anche gli

ambienti più antagonisti. Vedrà quanto poco tempo ci metteranno i

grillini ad esserne fagocitati”. Ma il faccendiere, pardon, lo “stimolatore

di intelligenze” con quali strumenti agisce? “Quando riconosco una per-

sona valida mi piace immaginare quale ruolo potrebbe ricoprire, come

potrebbe sfruttare al meglio le sue prerogative. E individuata la casella?

Suggerisco una strategia precisa, incoraggio, favorisco l’incontro con

persone capaci di creare il consenso necessario a occuparla”.

L’ufficio di Bisignani è stato per decenni una vera e propria meta di pel-

legrinaggio ecumenico e trasversale da parte di politici di centro, destra

e sinistra (“non ne ho mai fatto una questione ideologica. Ho sempre

Il libro del mese20 [email protected]

L’uomoche sussurra ai potenti

n.91

diMaria Cristina Marroni

privilegiato l’intelligenza all’appartenenza

politica”), come da parte di finanzieri, alti

prelati, giornalisti (cui ha regalato camionate

di notizie e scoop), servizi segreti e ufficiali

dell’esercito. Egli viene “unanimemente

riconosciuto come il capo indiscusso di un

network che condiziona la vita del Paese”,

facendo nomine delicate, girando poltrone,

scambiando notizie e favori, speculando su

operazioni finanziarie.

Bisignani svuota in poche righe l’idea che

il potere si trovi nelle Istituzioni, fornendo

l’impressione che la politica ne sia quasi una

vittima: “il potere si trasmette e funziona

anche in luoghi meno riconoscibili e control-

labili, si moltiplica e può riprodursi in maniera

nascosta e a volte ambigua e misteriosa”.

Quali luoghi? “L’ufficio legislativo del Quirinale,

quello di bilancio della Ragioneria generale

dello Stato e della Protezione civile. I fondi

riservati dei Servizi segreti, i centri spesa degli

enti locali. E poi alcune stanze delle Procure”.

L’intervistatore, desolato, rilancia: “Il Presi-

dente del Consiglio conterà pure qualcosa”.

Bisignani lo gela: “Solo per il suo carisma, ma

di solito dura poco. (…) Credo sarà così anche

per Enrico Letta che, abile tessitore di rapporti

politici, ha dimostrato poco carisma quando

è stato al governo da Ministro dell’Industria

(governi D’Alema e Amato) e sottosegretario

alla presidenza di Romano Prodi (2006-2008)”.

Il capitolo Berlusconi è illuminante: “Silvio

non è mai stato un uomo di potere. È solo

un uomo molto ricco che è stato capace di

vincere le elezioni. Mai, eccezion fatta per la

RAI, di imporre suoi candidati sulle poltrone

più delicate”.

Molto dettagliato il racconto della congiura

dei pidiellini contro il loro padrone: “pic-

coli uomini creati da Berlusconi dal nulla e

improvvisamente convinti di essere diventati

superuomini”. Si tratta di Renato Schifani,

Angelino Alfano (dipinto come un cretino vit-

tima dei social network, maniaco dei giochini

sul cellulare e dell’oroscopo), Roberto Maroni

(che avrebbe voluto Alfano successore di

Berlusconi), Maurizio Lupi, Gasparri, La Russa,

Mantovano, Augello, Beatrice Lorenzin (“la

favorita di Angelino, premiata con il Ministero

della Salute”), Raffaele Fitto ed altri ancora.

Dopo l’insediamento del governo Monti i

congiurati guidati da Alfano, con l’appoggio

della Chiesa (Arcivescovi Rino Fisichella e Giu-

seppe Betori, il Cardinale Angelo Bagnasco),

la sponda di Casini e l’aiuto di Franco Frattini,

coinvolsero Quagliariello, Sacconi e alcuni go-

vernatori del PDL (Formigoni, Caldoro, Chiodi,

Cappellacci e Scopelliti) nel tentativo di fare

fuori il Cavaliere.

La congiura fallì miseramente perché il

21n.91

tesoriere del PDL Rocco Crimi, “disgustato da

tanti voltagabbana, spiazzò tutti rassegnando

il suo incarico nelle mani di Berlusconi, come

prova di fedeltà assoluta, durante un dram-

matico ufficio di presidenza. Chiaro che da

quel momento la borsa si chiuse e non uscì

più un euro. Per continuare i sogni di gloria i

congiurati avrebbero dovuto metter mano ai

loro portafogli”. Poveracci.

Il libro è una miniera inesauribile di notizie e di

aneddoti sul potere della Chiesa, della finanza,

dei servizi segreti (“Perché in Italia i Servizi

sono per definizione deviati? Perché esiste

una forza frenante costituita da strati rocciosi

di centinaia e centinaia di dirigenti, funzionari

e impiegati incapaci, entrati grazie alla politica

e che per la politica continuano a lavorare”),

dei media, della magistratura (Tangentopoli)

e della massoneria (P2 e P4). A proposito

di massoneria, “ancora ci si chiede come

abbiano fatto Gelli e la P2 a impadronirsi di

pezzi importanti del sistema economico e

politico. Innanzitutto grazie alla scaltrezza nel

manipolare i rapporti personali e finanziari,

condendoli con il fascino che la massoneria

esercita in molti ambienti di tutto il mondo”.

Madron si ostina a voler chiarire l’evidenza

affermando “Quindi anche per lei comandare

è meglio che fottere”.

La risposta: “Su questo non ci piove”. n

Riceviamo e pubblichiamo integral-

mente la lettera di un nostro lettore

che auspica la speranza di indurre

una riflessione sulle modalità di inse-

gnamento e sulla valutazione degli studenti

da parte degli insegnanti.

Quando la scuola dimentica un’istanza fonda-

mentale dell’educazione, quella che richiede

il rispetto e la tutela dell’autenticità, dell’origi-

nalità e della valorizzazione della personalità

individuale.

Gli esami di maturità si sono conclusi da circa

due mesi, eppure le critiche e le polemiche

non accennano a diminuire: troppi sono gli

alunni e le famiglie fortemente delusi da una

valutazione troppo soggettiva, selettiva, mirata

soprattutto alla comparazione degli alunni.

Alla luce di alcuni fatti di cui sono venuta a

conoscenza, devo constatare con profondo

rammarico che i docenti non hanno ancora ben

compreso la funzione della valutazione.

È ora che si metta da parte l’idea che la valu-

tazione sia di per sé “una forma di selezione e

di emarginazione” e si capisca, una volta per

tutte, che essa è “uno strumento di promozio-

ne, di incoraggiamento e di valorizzazione delle

potenzialità che ogni discente possiede”.

Degli esami di maturità di quest’anno voglio

denunciare due fatti.

In una scuola sei alunni di una classe sono stati

ammessi a sostenere gli esami, benchè presen-

tassero notevoli lacune in tutte le discipline.

Ebbene, di questo gruppo uno solo è stato

considerato “immaturo”. Tutto questo non ha

senso: a parità di condizioni, infatti, i suddetti

alunni, una volta ammessi, dovevano o essere

tutti promossi (soluzione ottimale) o tutti boc-

ciati (soluzione deprecata ma almeno paritaria).

Non riesco proprio a capire con quale criterio

un “solo ragazzo” sia stato fermato. Forse ha

fatto, come si suol dire, “scena muta”? Non mi

risulta! Forse gli altri cinque hanno mostrato

una preparazione accettabile? Non mi risulta!

La Scuola

Mi risultano

invece (e tra

l’altro molto

chiaramente), la

superficialità dei docenti, la scarsa conoscenza

della psicologia dei ragazzi, gli atteggiamenti

discriminatori e selettivi. Spero ardentemente

che questo ragazzo non perda fiducia nelle

sue capacità, che raccolga tutte le sue forze

per andare avanti e completare il suo percorso

scolastico.

Protagonista dell’altro fatto è una ragazza

molto intelligente, sempre pronta ad appro-

fondire con passione ed entusiasmo le proprie

conoscenze, valutata “matura” con un voto non

corrispondente alle sue ottime capacità, solo

perché la sua partecipazione attiva alle lezioni,

il desiderio di primeggiare e la consuetudine di

esporre le discipline con dovizia di particolari

sono stati scambiati per “saccenteria, prolissità

e mancanza di capacità di sintesi”. Ma c’è

di più: nel corso del triennio è stata più volte

apostrofata con espressioni umilianti e di

cattivo gusto. Che scuola è questa? Non sanno

gli insegnanti che le parole, come recita un anti-

co adagio, possono fare più male degli schiaffi

e provocare reazioni sbagliate e scorrette da

parte degli alunni? I ragazzi vanno amati, curati

come dei figli, incoraggiati, gratificati, non mal-

trattati ed umiliati. Naturalmente, se sbagliano,

vanno rimproverati e corretti, ma con autorità,

non con autoritarismo e forme di persecuzio-

ne. Se i docenti si relazionano con gli alunni

in modo denigratorio ed autoritario rischiano,

infatti, di paralizzare la loro spontaneità ed

autenticità, di renderli inibiti, insicuri e infelici,

di creare in loro sensi di colpa oltremodo nocivi

per la conquista dell’indipendenza, in quanto

provocano l’nsorgere di un processo che oscilla

continuamente fra ribellione, pentimento, sot-

tomissione e ancora ribellione. Sic Neill et al…

Non sarebbe più costruttivo e più dignitoso

porre al centro della relazione pedagogica

la nozione di “amore” tanto auspicata da

pedagogisti e psicologi, ma così ferocemente

avversata?

Daniel Pennac, straordinario e prolifico scritto-

re, considerato anche lui “somaro” quando era

studente e per questo emarginato, in “Diario

di scuola” sostiene fermamente la necessità

dell’amore nel rapporto educativo, ricorrendo

ad una metafora “alata”, di cui riporto alcuni

stralci con la speranza che i docenti di cui sopra

possano trarne un qualche insegnamento.

“…Le rondini ogni anno…si apprestano a

migrare. Vengono da nord, dirette a sud. Ed è

esattamente l’orientazione della nostra camera

da letto: nord, sud. Un abbaino a nord, una dop-

pia finestra a sud. E ogni anno lo stesso dram-

ma. Tre o quattro di quelle scemotte vanno a

sbattere contro i vetri fissi! È la nostra percen-

tuale di somari. Le nostre devianti. Quelle che

non stanno in riga. Che non seguono la retta

via. E gozzovigliano ai margini. Risultato: vetro

fisso. Toc! Tramortita sul tappeto. Allora uno

di noi… prende la rondine stordita nel palmo

della mano, aspetta che si risvegli e la manda a

raggiungere le sue amiche. La resuscitata vola

via, ancora un po’ intontita, zigzagando nello

spazio ritrovato, dopodichè punta dritto a sud

e sparisce nel suo avvenire. Ecco, la mia meta-

fora vale quel che vale, ma è questo l’amore in

materia di insegnamento, quando gli studenti

volano come uccelli impazziti. A questo la pro-

fessoressa G. o Nicole H. hanno dedicato tutta

la loro esistenza: salvare dal coma scolastico

una sfilza di rondini sfracellate. Non sempre si

riesce, a volte non si trova una strada, alcune

non si ridestano, rimangono al tappeto, oppure

si rompono il collo contro il vetro successivo…

Ma ogni volta ci proviamo, ci abbiamo provato.

Sono i nostri studenti! Le questioni di simpatia

o di antipatia per l’uno o per l’altro (questioni

quanto mai reali, ci mancherebbe!) non c’en-

trano. Una rondine tramortita è una rondine da

rianimare, punto e basta”.

È come dire: un ragazzo che ha problemi di

apprendimento e di inserimento nel gruppo

classe non va umiliato ed emarginato, ma va

portato gradualmente, con amore e fermez-

za, ad “aprirsi al sapere” e a comportarsi

civilmente con i compagni e i docenti; mentre

una ragazza esuberante e volitiva che vuole

partecipare attivamente alla lezione anche con

osservazioni e critiche (perché no?, i docenti

non sono infallibili!) primeggiare e mostrare le

proprie capacità, non va mortificata ma accet-

tata, valorizzata e gratificata!

Un genitore deluso. n

22

La valutazionen.91

diMaria Gabriella Di FlavianoScuola [email protected]

Le conseguenze della valutazione

Prende il via con ritmo e brio una nuova realtà teramana che coro-

na i sogni di chi ama danzare. Assistita dalle migliori professiona-

lità, la scuola di ballo Indipendanza inizia i corsi il primo Ottobre

2013 ma segnala per chi vorrà che dal 23 al 30 Settembre c’è in

offerta una settimana di prova gratuita: tutto ciò per mettersi già in rela-

zione con un nuovo modo di fare danza che senza dubbio soddisferà le

vostre ambizioni. Inoltre sono a disposizione, oltre a sconti speciali per

gli universitari, anche corsi per adulti durante il mattino e nelle pause

pranzo. Le iscrizioni sono già aperte dal 15 Settembre e si possono

effettuare presso Indipendanza che è sito in Via Gammelli 1, angolo

Via Gammarana (info: Francesca 328 9180104 oppure Valentina 349

3565113, e-mail: [email protected]). La danza non è

solo uno sport ma il linguaggio nascosto dell’anima, una poesia quindi.

Questo è lo spirito che aleggia in Indipendanza e gli addetti assicurano

come quest’arte si possa trasmettere in diversi stili dalla classica al

modern jazz; dal contemporaneo all’hip hop; passando per la video

dance, le danze folkloristiche, il flamenco e sevillana, fino al repertorio di

musical e tip tap, danze caraibiche, latino americane e ancora zumba e

zumbatomic, la nuova disciplina rivolta ai più piccolini. Allora forza, cosa

aspettate? Indossate il vostro abbigliamento e raggiungete gli altri in un

mondo che danza, anzi che Indipendanza!!

Saranno in molti gli insegnanti che presiederanno i diversi corsi: ra-

gazze e ragazzi preparati ed affermati e professionali nello svolgere il

proprio compito.

A partire da Valentina Di Sabatino che sarà l’insegnante nei corsi

di modern jazz, jazz e lyrical jazz (per adulti e bambini dai 4 anni in su),

tecnica di passi a due, propedeutica, repertorio di musical, danza dolce

per adulti, sbarra a terra, istruttrice di zumba fitness. Tre borse di studio

per lei da Renato Greco Dance School e Aid di Giacomo Molinari, due

prestigiose scuole di Roma. Studia nel corso di avviamento professio-

nale per danzatori in entrambe le scuole e successivamente entra nella

compagnia di ballo Renato Greco Dance Company. Consegue il diploma

valido per l’insegnamento della danza moderna e quello per istruttrice

di zumba.

Francesca Voconi. Insegnante di danza classica, propedeutica,

modern dance, danze caraibiche e latino americane (bachata, salsa, me-

rengue, balli di gruppo, rueda, rumba, gestualità femminile, portamento)

repertorio di musical, zumba fitness, zumbatomic. Diploma in danze

caraibiche, coreografia e danza moderna. Diploma di Zumba instructor

di primo livello conseguito nel 2012. Diploma di Zumbatomic conseguito

nel 2013.

Carla Voconi. Corso di mambo New York uomo e donna, salsa,

introduzione al due, bachanga, cha cha, stile donna, coreografico, salsa.

Carla Voconi è al momento una delle principali ballerine di mambo, nota

per il suo stile classico e sensuale. Ha avuto il privilegio di imparare e

lavorare con alcuni dei più importanti artisti di salsa al mondo: Marco

Ferrigno, suo primo partner, con cui ha ballato per due anni nella

compagnia Fogaratè di Juan Matos; Tropical Jam, Adolfo Indacochea e

la sua compagnia Latin Soul Dancers, con cui si è esibita nei maggiori

congressi di tutto il mondo, come Australia, Canada; Cina Giappone,

Usa, America Latina e nelle principali città europee. Dall’inizio del 2012

Carla è diventata inoltre partner del Maestro dei maestri “The Mambo

King” Eddie Torres.

Manolo Perazzi. Corso di improvvisazione, floorwalk, contact, modern

contemporaneo, laboratorio e composizione coreografica.

Roberta Parmiggiani. Corso di danza e tecnica classica dal primo

all’ottavo corso. Corso di avviamento professionale.

Paolo Lepidi. Corso di hip hop (new style, L.A. style, house) e break

dance.

Fabrizio Ferri. Maestro in danze caraibiche e latino americane. Direttore

della scuola di ballo “Dale Dos Accademy”. Istruttore di Zumba fitness.

Pamela Pingiotti. Corso di pizzica e tarantella del sud. “Appassionata

di musica popolare fin da bambina è sempre alla scoperta di antiche

tradizioni.

Maruska Pecorale. Istruttrice di danze caraibiche e latino americane.

RedazionaledallaRedazione [email protected]

Indipendanza 23n.91

C’è stato un posto, a Roma, che ha concentrato su di sé tutta l’e-

nergia degli anni ’60 italiani, universalmente conosciuto come

la culla del beat italiano: il Piper Club. Un lungimirante avvo-

cato, Alberico Crocetta, nel 1965, in società con un esperto

uomo d’affari, Giancarlo Bornigia (recentemente scomparso), prese in

affitto un garage, lo riempì di luci colorate (mai viste prima di allora), fece

costruire due palchi, corredandoli di due potenti sistemi di amplificazio-

ne e creò così una leggenda che a distanza di oltre quarant’anni, molti

ricordano con orgoglio (chi c’è stato) o con rimpianto (chi per ragioni

d’età o di lon-

tananza non

è riuscito mai

ad entrarci). Il

successo del

locale crebbe

in poche

settimane, ed

il Piper diventò

velocemente

una sorta di

“zona franca”

interclassista,

all’interno

della quale

convivevano pacificamente ed amorevolmente “pariolini” e “borgatari”,

accomunati dalle stesse passioni musicali e dalla possibilità, per la prima

volta, di sentirsi protagonisti della propria vita, e soprattutto liberi. Il

primo gruppo a calcare le scene del locale di via Tagliamento fu quello

dei Rokes, ai quali si alternavano, durante le pause, i ragazzi dell’Equi-pe 84. Sulla scia del grande successo dei primi protagonisti delle notti

“beat”, Crocetta iniziò a scritturare altri gruppi, italiani e stranieri: gli

“Atomi”, guidati da Mike Liddell, Patrick Samson, i “Rokketti”, i

“Delfini”, i “New Dada”, guidati dall’eccentrico Maurizio Arceri. A

questi nomi, sicuramente poco conosciuti, si devono affiancare però,

quelli ben più noti, ancora oggi, di: Patty Pravo, regina incontrastata del

locale, Caterina Caselli, all’epoca soprannominata casco d’oro, i “Cor-vi”, i “Giganti”, i “Primitives”, i “Dik Dik”, e tanti altri. Nel giro di pochi

mesi il cast del locale cominciò ad essere impreziosito da numerosi

artisti stranieri di passaggio in Italia, suonarono così nello storico locale:

i “Pink Floyd” prima di diventare superstar internazionali, i “Byrds”

con David Crosby e Roger McGuinn, i “Procol Harum”, gli “Small Faces”, lo “Spencer Davis Group”, Donovan e tantissimi altri. Tra

il pubblico, durante i concerti, si vedevano sempre più spesso stars di

primissimo piano, come Ringo Starr, Mick Jagger e Keith Richards,

David Bowie. Fra gli habitué, intanto, si era formata una sorta di

“aristocrazia” beat della quale, partendo da Patty Pravo, prima vera “ani-

matrice” del locale, facevano parte alcuni nomi che sono rimasti noti:

Renato Zero, Loredana Bertè e sua sorella Mia Martini, Gabriella Ferri, Romina Power, Anita Pallemberg (fidanzata di Keith Richards

dei Rolling Stones), Giancarlo Magalli, Mita Medici, la regista televi-

siva Carla Vistarini. Questi ragazzi erano talmente di casa, al Piper, che

il coreografo Franco Estill, li organizzò e li fece diventare, con il nome

“Collettoni”, il corpo di ballo degli spettacoli di Rita Pavone. Altre inizia-

tive “interne” animavano il locale ed i suoi abituali frequentatori: nacque

un gruppo, chiamato senza grandi sforzi di fantasia “The Piper” con il

produttore cinematografico (ora) Achille Manzotti, alla batteria; Tito Schipa jr. mise in scena, utilizzando musiche di Dylan, uno spettacolo

intitolato ”Opera beat”. Nel frattempo erano nati, in Italia, altri “Piper”,

uno dei quali, quello di Viareggio, il “Piper 2000”, al momento dello scio-

glimento della società, nel 1968, rimase a Crocetta. La versione toscana

e quella romana andarono

avanti ancora per un po’ sulle

ali del beat, spostandosi poi

verso atmosfere musicali più

“black”, soprattutto per quan-

to riguarda la sede di Roma. Il

Piper originale doveva iniziare

a fare i conti con una serie di

locali concorrenti, soprattutto

il “Titan”, il quale contrap-

poneva alla programmazione

di via Tagliamento una serie

di superstars, da Wilson Pickett a Jimi Hendrix. A

partire dall’inizio degli anni 70

il Piper iniziò a spostare le sue

scelte musicali verso la nascente

musica “progressive”, aprendo le

sue porte a gruppi italiani, dal “Ban-co del Mutuo Soccorso” alla

“Premiata Forneria Marconi.”,

dal “Rovescio della medaglia”

ai “Delirium” e ai più noti gruppi

inglesi del periodo, Genesis, Van der Graaf Generator, Jethro Tull, Uriah Heep, Rory Gallagher, e tanti altri. Alla fine dell’epoca d’oro del

“Rock sinfonico” il locale non riuscì ad assorbire l’onda di riflusso che

allontanò per anni l’Italia dal circuito internazionale dei grandi concerti

dal vivo, bruciate le ultime energie fra una “contestazione giovanile”,

una “Controcanzonissima” e un ennesimo “festival” alternativo/sfigato, il

Piper cessò di essere il punto di ritrovo della Roma alla moda, e diventò

una specie di night-club, per poi essere trasformato in discoteca, alla

fine degli anni 70, e per tornare ad ospitare concerti rock nella seconda

metà degli anni 80. Oggi, seguendo l’ultimo ricorso storico, il Piper è

tornato ad essere una discoteca, in attesa di chissà quale altra trasfor-

mazione. Durante i primi lavori di ristrutturazione furono distrutte opere

di Andy Warhol, Raushenberg, Schifano, Manzoni e di altri grandi

artisti le cui opere avevano contribuito a creare la breve ed effimera

sensazione di vivere in un’epoca nuova ed irripetibile. O forse è stata

davvero un’epoca favolosa ed irripetibile. n

Musica24 [email protected]

n.91

diFabrizio Medori

Il PiperIl tempio del beat italiano

25

Una premes-

sa: questa

non è una

recensione...

obiettiva ma, di

parte! Anni ‘90,

sulla scena cosidetta

‘Alt Country’ e/o

Americana, irrompe

una band cardine

o capostipite (se

pereferite), di questo

genere musicale

particolare, sono gli

UNCLE TUPELO,

Al timone del gruppo, due straordinari musicisti: Jay Farrar e Jeff Tweddy. L’esordio si intitola emblematicamente No Depression, tutto

un programma. Dopo qualche anno, diverse incisioni ‘Still Feel Gone’

(Rockville - 1991), ‘March 16-20’ (Rockville - 1992) e, non grande suc-

cesso, i due leader, imboccano strade diverse con altrettante formazio-

ni: Son Volt per Farrar, dediti ad un suono classico, country oriented e,

Wilco per Tweddy, inizialmente tradizionalisti per virare decisamente

verso contaminazioni power-pop, sperimentazioni elettroniche e

indie-alternative. Ecco, da allora è iniziata la parabola ascendente dei

WILCO, una progressione costante, continua, inarrestabile, scandita

da episodi discografici significativi: ‘Being There’ doppio CD (Reprise,

1996) e ‘Sky Blue Sky’ (Nonesuch/WB, 2007, bellissimo!), così, tanto per

citare due titoli. Arriviamo al 2009, appunto, quando Jeff raduna i suoi

sodali (nel frattempo qualche avvicendamento e alcune new-entry)

sino all’attuale line-up: Jeff appunto, Patrick ‘Pat’ Sansone, Nels Cline, (Grande chitarra), John Stirratt, Glenn Kotche e Mikael Jorgensen. Il risultato di queste sessions, iniziate a Auckland (Nuova

Zelanda), rifinite nello studio della formazione, il “Loft” di Chicago, è

questo LP+CD version a dir poco straordinario. A Iniziare dalla simpa-

ticissima copertina: l’open-corner di un un bar, un tavolo (con tanto di

torta di compleanno!), sei sedie e, dietro un...cammello! Si, proprio il

divertente ruminante e, naturalmente il titolo “WILCO” (the album): 11

brani medio-lunghi (3/4/5 minuti, durata complessiva 42’ 54’’), scritti

e prodotti dallo stesso Jeff, con l’aiuto del fido Jim Scott. Domanda: si

intuisce dalle continue citazioni che ho un’altissima considerazione per

Mr. Jeff Tweddy? Autore, compositore, chitarrista geniale, arrangiatore

e produttore, vedi il recente lavoro per Mavis Staples ‘One True Vine’

(Anti, 2013), Musicista insomma a 360°. Non farò la solita, pedissequa

analisi dei singoli brani, il LP/CD parte con la title-track Wilco Song,

schitarrate, mossa, vivace, dal gradevole bridge “Wilco...will love you

baby”. La qualità delle composizioni inizia a prendere quota con la

succesiva “Deeper Down”, la melodia viene esaltata da inediti inserti

di tastiere e slide-cimbalon (Jason Tobias). Le ‘magiche dita’ di Jeff

annunciano la best song of the album: “One Wing”, intro soft, poi parte

il ritmo, accellera, rallenta, riparte, scandita magistralmente da basso e

batteria, l’ala del titolo vola letteralmente, sempre più in alto, le chitarre

(3, fuzz, slide e rhythm!) fanno un grandissimo lavoro, non mi stancherò

mai di ascoltarla, la magia si rinnova, anzi, cresce di ascolto in ascolto:

un capolavoro! Un invito, andate su YouTube e, guardate (e ascoltate)

la live-version tratta dal David Letterman Show! Memorabile! “Bull

Black Nova” si concede alla vena più sperimentale con insoliti elementi

di elettronica, ben inseriti nel contesto della song. Il ‘solito’ arpeggio di

chitarra acustica introduce l’altra ‘gemma’ del disco, “You And I”, splen-

dida perfect-song, cantata in maniera sublime da Jeff e doppiata me-

ravigliosamente da Miss Leslie Feist, cantautrice canadese in evidente

ascesa nel firmamento del Songwriting femminile, autrice di ottime

prove solistiche recenti, l’atmosfera sprigionata è contagiosa, solito

YouTube-video, sempre D. Letterman Show! Il Long Playing prosegue,

il livello si mantiene incredibilmente elevato, tra slow-song (“Count-

ry Disappeared”, piano in evidenza) e ballads (“Solitaire”, delicata,

melodica). 3 è il numero perfetto! Terza grande song, la numero 9 della

track-list: “I’ll Flight”, solita intro poi, il brano parte con il ritmo sincopa-

to, scandito da chitarre e tastiere, l’organo ‘cuce’ letteralmente il brano,

la voce particolare di Tweddy si esalta, conquista e commuove quando

canta “Like Jesus On The Cross”! Ancora due brani, “Sonny Feeling” e

“Everlasting Everything”, concludono degnamente l’album, tre-quattro

best songs, le altre ben al di sopra della media generale, di gran lunga

il mio disco al vertice dalla playlist from 2009. Infine, last, not but least,

la menzione speciale per l’edizione completa vinile + cd, apertura gate-

fold, booklet curatissimo, testi, foto e... Oh! Oh!... che bel... Cammello!!!

Voto: 8 1/2 n

n.91

Write about... the records!

diMaurizio Carbone [email protected]

Wilco (the album) The Wilco LP + CD - Nonesuch/Warner Bros 2009

In giro26diSergioScacchia [email protected]

n.91

La chiesina di San Salvatore

Il miracolo di Serra

Nel borgo antico di Serra a Rocca Santa Maria, immerso in bel-

lezze naturali, boschi e vallate, grazie all’impegno dell’asso-

ciazione “Il grido dei monti della Laga”, c’è stato il recupero

della chiesina

di San Salvatore che

versava in condizioni

critiche con parte del

tetto crollato e mura

ormai fatiscenti.

L’interno a unica aula

è impreziosito oggi da

una bella tela, opera

e regalo del valente

pittore teramano

Tommarelli.

“Senza aiuti istituzio-

nali e con un lodevole

autofinanziamento di

residenti e appassio-

nati, è stato possibile

rendere reale quella che anni fa sembrava follia o nella migliore

delle ipotesi, un sogno da coltivare”, queste le significative parole

del presidente dell’associazione, l’ingegnere teramano Goffredo Ro-

tili, visibilmente commosso nel giorno dei grandi festeggiamenti per

l’inaugurazione del tempio ormai recuperato dopo anni di sacrifici.

Il restauro di questo edificio religioso adornato da un bel portale

con ghiera decorativa, è certamente una goccia d’acqua nel mare

dell’abbandono che soffrono tanti piccoli paesi intorno. Un antico

patrimonio di cultura montanara sta scomparendo e piccoli abitati

secolari della zona come Martese e la chiesa diroccata di Santa Lu-

cia, Acquaratola con S. Egidio del XIV secolo, Santa Cecilia, Tavolero

con San Flaviano, Faiete con San Pietro del XIII secolo semi crollata,

sono ormai ridotti ad autentiche “ghost town “.

Qualche anno fa si era gridato al miracolo quando sembrava reale

che alcuni dei borghi abbandonati tornassero a vivere riconvertiti in

alberghi diffusi per rilanciare l’esangue turismo di questi luoghi.

L’esempio veniva allora dal magnifico e antico villaggio fortificato

di Santo Stefano da Sessanio, nell’entroterra aquilano, oggi uno

dei borghi più belli d’Italia divenuto famoso in tutta Europa per

la riconversione al turismo dell’albergo diffuso. Dei proprietari di

case ormai ridotte a poco più di ruderi svelarono allora di essere

stati contattati per un’eventuale vendita. La provincia ideò anche

un esempio di come si potesse rivitalizzare questi luoghi sperduti.

Tutto è naufragato nel nulla. Ora questa bella notizia che viene dal

paesino di Serra, può essere un esempio coinvolgente per le varie

comunità locali.

Se tutti si ponessero l’obiettivo del recupero delle tante oasi di fede

e cultura che punteggiano la parte più interna e alta della provincia

teramana, se molti si sentissero stimolati a queste imprese, in pochi

anni la gioia dell’appartenenza tornerebbe a essere il volano per il

ripopolamento della montagna.

L’Ente Parco, assieme alla Provincia, alle istituzioni nazionali e locali

da qualche tempo si chiama fuori dai giochi a causa delle casse

vuote e dell’impossibilità di trovare somme importanti.

Ecco che solo l’orgoglio montanaro può far gridare al miracolo. n

27n.91

Sono 9 milioni gli italiani che

quest’anno al rientro dalle vacanze

si mettono al lavoro tra pentole

e vasetti nella preparazione di

conserve fatte in casa per garantirsi una

alimentazione più genuina e naturale,

ridurre gli sprechi e risparmiare nel tempo

della crisi.

Nel 2013 si assiste al ritorno degli italiani

all’autoproduzione di alcuni cibi secondo

una tradizione che sembrava destinata

a perdersi ed è invece tornata di grande

attualità di fronte ai ripetuti scandali

alimentari e all’esigenza di ottimizzare i

bilanci familiari. Una maggiore attenzione

rispetto al passato viene riservata alla

scelta delle materie prima che spesso

vengono acquistate direttamente dai pro-

duttori agricoli in azienda, nelle botteghe

o nei mercati di Campagna Amica.

L’attività di trasformatori “fai da te”, co-

munque comporta l’osservanza di precise

regole in quanto la sicurezza degli alimen-

ti conservati parte dalla qualità e sanità

dei prodotti utilizzati, ma non può prescin-

dere da precise norme di lavorazione che

valgono per il settore agroindustriale, ma

che devono valere anche per i consuma-

tori casalinghi, soprattutto nella fase della

sterilizzazione.

La grande differenza è che nelle conserve

casalinghe si utilizzano frutta e ortaggi

di stagione provenienti dall’Italia che ha

conquistato il primato in Europa e nel

mondo della sicurezza alimentare con il

minor numero di prodotti agroalimentari

con residui chimici oltre il limite (0,4 per

cento) che sono risultati peraltro inferiori

di quasi quattro volte a quelli della media

europea (1,5 per cento di irregolarità) e

addirittura di circa 20 volte a quelli extra-

comunitari (7,9 per cento di irregolarità).

Nei prodotti industriali invece non è

obbligatorio indicare in etichetta la

provenienza della materie prima agricola

ed è facile mettere inconsapevolmente

nel carrello della spesa marmellate con

frutta proveniente dall’Europa dell’est,

sott’oli africani o concentrato di pomo-

doro cinese. n

Boom conserve per 9 milioni di italiani

Coldiretti informa

diMassimilianoVolpone Direttore Coldiretti Teramo

P ino Maselli torna a far parte dell’organigramma del Teramo

Calcio. Il settore giovanile è il prestigioso incarico che gli è

stato affidato per la sua specifica competenza acquisita in

passato, prima ancora di ricoprire l’incarico di Segretario

Generale nella vecchia Società. L’incarico è oltretutto importante

alla luce del nuovo orientamento degli organi federali che pongono

i giovani in primo piano con cospicui interventi di natura economica

per chi favorisce il loro utilizzo. Pertanto, il lavoro da svolgere non

sarà solo accademico, bensì di forte interesse nel ricercare giovani,

prevalentemente nel territorio, idonei per l’inserimento nella squa-

dra maggiore.

Affiancato da Vincenzo Feliciani con l’incarico di responsabile

tecnico, Maselli dovrà setacciare i campi della provincia alla ricerca

di giovani talenti da inserire nelle squadre giovanili. Con tre squadre

iscritte in competizioni a carattere nazionale (Berretti, Allievi, e

Giovanissimi) i giovani avranno la possibilità di cresce, formarsi e

soprattutto confrontarsi con i pari età di società blasonate. In cinque

anni molte cose sono cambiate per cui, nel rientrare in Società, ha

trovato novità importanti e facce nuove. Lo spirito di adattamento e

le capacità di sapersi rapportare con altri gli hanno consentito di ben

integrarsi nel nuovo ambiente.

Hai trovato una Società completamente nuova ?“Effettivamente ho trovato una Società nuova, una nuova imposta-

zione in armonia con i tempi in quanto dal 2008 molte cose sono

cambiate anche a livello federale. Gli stessi regolamenti federali oggi

prevedono figure obbligatorie che prima non erano tali. L’inevita-

bile evoluzione dei tempi ha costretto le società ad una maggiore

organizzazione, compresa quella del settore giovanile. Anche prima

veniva curato, ma non c’era l’obbligo di partecipazione ai campionati

giovanili cui adesso è costretto ad iscriversi. La tessera del tifoso, la

biglietteria nominativa ed altre novità hanno obbligato le società ad

affinare l’organizzazione. Di tutto ciò il Teramo è al passo con i tempi.

Come responsabile del Settore Giovanile, la tua memo-ria torna indietro nel tempo con l’incarico ricevuto dalla Società?“Sicuramente si. Come dirigente sono nato sul campo nel lontano

1969 occupandomi soprattutto dei ragazzi. Entrai nel Teramo Calcio

proprio come responsabile del settore giovanile. Ricordo che in

quegli anni vincemmo un campionato Interregionale con pochi con-

trattualizzati e con la maggior parte della rosa composta da giovani

cresciuti nel settore giovanile, molti dei quali approdati poi nelle

categorie superiori”.

Come hai trovato il settore giovanile rispetto a quello che hai lasciato qualche anno fa?“Era sicuramente migliore quando entrai in Società rispetto agli ulti-

mi tempi piuttosto travagliati. Inizialmente, infatti, era stato fatto un

ottimo lavoro con giovani provenienti dalla provincia, cosa che stia-

mo cercando di fare adesso. Stiamo cercando di riallacciare rapporti

con le società del nostro territorio per diventare un polo di attrazione

e anche di riferimento delle società della provincia.

Come responsabile del Settore Giovanile, puoi descriverci il programma di massima?“Riconquistare il territorio nel senso di riallacciare i rapporti con

le Società che operano nel circondario è la priorità, visto che la

nostra è la Società che disputa il campionato maggiore. Valorizzare

innanzitutto il lavoro delle Società a noi vicine e portare a Teramo i

migliori ragazzi della provincia. La strutturazione in modo efficiente

e funzionale di tutto l’apparato è una ulteriore priorità dalla quale

non si può prescindere. Si sa che i giovani per natura tendono alla

trasgressione e proprio per questo l’organizzazione deve essere un

modello da seguire e non da imporre”.

Le strutture come sono?“Forse sarò ripetitivo, ma non posso che ribadire l’annoso problema

della mancanza di strutture a Teramo. Le esigenze sono aumentate

con l’incremento di chi fa pratica sportiva, mentre le strutture di

base sono rimaste sempre le stesse, se si eccettua il nuovo stadio

comunale di Piano d’Accio. Per fare bene attività calcistica necessi-

tano impianti adeguati ed efficienti, mentre molti di quelli utilizzati

sono gli stessi di quarant’anni fa che non favoriscono il lavoro della

Società”.

Non poteva mancare un doveroso ringraziamento di Pino Maselli

a chi in questi anni gli ha permesso di continuare a svolgere il suo

lavoro: Salvatore Di Giovanni e Luciano Campitelli. Il primo per

avergli dato la possibilità di continuare nell’attività ormai diventata

professione nel San Nicolò, il secondo per avergli riaperto le porte

del Teramo dopo la tragica fine della vecchia Società. Ai massimi

dirigenti delle due Società, si unisce lo staff dirigenziale biancorosso

nel dargli il benvenuto o meglio il bentornato tra noi. n

28n.91

diAntonio Parnanzone [email protected]

Teramo calcioSport

Intervista a Pino Maselli

P arte la stagione 2013/2014 della Pallamano in

cui sono impegnate, nella massima serie, due

squadre teramane: la maschile Teknoelettro-

nica e la femminile Nuova H.F. Teramo, nata

dalle ceneri della vecchia squadra Campione d’Italia

2011/12, radiata per problemi amministrativi dal trascorso campionato.

La squadra maschile, inserita quest’anno nel Girone B di A1 (Centro

nord) esordisce in casa il 21 settembre contro il Carpi, squadra posta tra

le candidate ad occupare i primi posti della classifica. L’obiettivo della

Società è quello di raggiungere la quota salvezza. L’impegno preciso

è quello di far crescere il settore giovanile dal quale poi attingere per

la prima squadra. Le difficoltà economiche di un po’ tutte le società

non hanno permesso di allestire una squadra che almeno sulla carta

sembra non essere in grado di competere per posizioni di prestigio.

L’organico tecnico della Teknoelettronica presenta il riconfermato

Marcello Fonti come allenatore della prima squadra e dell’Under 20.

Poi, per quanto riguarda l0’Under 16 il compito di allenatore è affidato

Sport30 dallaRedazione [email protected]

n.91

Pallamanoall’allenatrice Nicole Pastor. Per quanto concerne i giocatori, l’organico

si è arricchito del portiere Collevecchio tornato a Teramo dopo quattro

anni giocati ad Ascoli Piceno e Città S. Angelo, del terzino italo argentino

Pagano Albertino che ha giocato lo scorso anno in A1 con la Lazio, del

centrale serbo Nicoceviv, del centrale Gabriele M.

proveniente dal Città S. Angelo, dei Pivot Bellia F

univesritario a Teramo e Luongo S. Fermo restando i

giocatori dello scorso anno.

Per quanto riguarda la Femminile, il campionato

inizierà il 28 settembre con la trasferta di Salerno

contro i Campioni d’Italia. L’obiettivo della squadra,

completamente rinnovata nell’organico ed anche

nell’allenatore, è quello di disputare un campionato

dignitoso. Fanno parte della squadra, rinnovata anche

a livello dirigenziale, Belardinelli Sofia, Bergallo costan-

za Soled, Cherchi Angela, Covaci Cristina Aurelia, Cozzi Melina Ximena,

Dovesi Daniela, Mazzieri Martina, Lampis Chiara, Benincasa Lorena e le

“vecchie” Delli Rocili Alessia, Fini Federica, Lampis Silvia e le straniere

Palarie Daniela e Laczo Anita. Ma a questo punto non si escludono nuovi

acquisti da parte della Società.

Resta ancora da definire il settore tecnico che con tutta probabilità sarà

affidato ad un nome famoso della pallamano ma che al momento non

siamo in grado di definire. n

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