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A NGELO A NELLO Nuove dinamiche del People Management: l’Employer Branding per la valorizzazione dei talenti COLLANA EMPLOYER BRANDING

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Tesi di laurea sul tema Employer Branding

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Page 1: Tesi di Angelo Anello

A n g e l o A n e l l o

Nuove dinamiche del People Management:

l’Employer Branding per la valorizzazione

dei talenti

COLLANA EMPLOYER BRANDING

Page 2: Tesi di Angelo Anello

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA

FACOLTA’ DI ECONOMIA Corso di laurea in Economia Aziendale

SAGGIO FINALE IN ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Nuove dinamiche del People Management: l’Employer Branding per la valorizzazione dei talenti

Relatore: Candidato: Prof. R. Faraci Angelo Anello

Anno Accademico 2007 - 2008

Page 3: Tesi di Angelo Anello

2

 

   

INTRODUZIONE   3  CAPITOLO  1   6  IL  VALORE  AGGIUNTO  DELLE  RISORSE  UMANE   6  1.1-­‐  Le  Risorse  Umane  :  gli  “assi  nella  manica”  delle  aziende   6  1.2  -­‐  Gli  orientamenti  finalizzati  allo  sviluppo  delle  competenze   7  1.3  -­‐  Il  “Talento”:  motore  trainante  della  crescita  aziendale   9  1.4  -­‐  La  Guerra  dei  Talenti   12  1.5  -­‐  La  gestione  dei  talenti   14  1.6  -­‐  Il  Talent  Relationship  Management  e  l’Employee  Referrals  Program   31  

CAPITOLO  2   34  L’EMPLOYER  BRANDING  PER  IL  RECRUITING  E  LA  RETENTION  DELLE  RISORSE  UMANE  34  2.1  –  Le  basi  dell’Employer  Branding   34  2.2  –  I  driver  dell’Employer  Branding:  i  fattori  intangibili  e  i  fattori  tangibili   36  2.3  -­‐  La  segmentazione  del  mercato  del  lavoro  e  l’individuazione  del  target  di  riferimento   43  2.4  -­‐  Lo  sviluppo  della  strategia  di  Employer  Branding:   47  il  modello  EBGF   47  2.5  Employer  Branding,  Corporate  Branding  e  Brand  Awareness:  il  BCI  index©   55  2.6  -­‐  Le  nuove  opportunità  di  sviluppo  dell’Employer  Branding   60  

CAPITOLO  3   67  IL  CASO  L’Oréal   67  3.1  –  Il  gruppo  L’Oréal   67  3.2  –  La  ridefinizione  delle  strategie  di  recruiting  e  selezione   68  3.  3  -­‐  Le  indagine  di  ricerca  sui  neolaureati   70  3.4  –  L’Employer  Branding  in  L’Oréal   72  3.5  -­‐  I  risultati  conseguiti   74  3.6  –    Lo  sviluppo  futuro  del  recruitment   76  

CONSIDERAZIONI  FINALI   78  BIBLIOGRAFIA   81  SITOGRAFIA   83  

Page 4: Tesi di Angelo Anello

3

INTRODUZIONE

Negli ultimi anni il mercato del lavoro è stato al centro di rilevanti cambiamenti che lo

hanno reso alquanto complesso; le nuove tecnologie legate a Internet, alle

telecomunicazioni e all’informatica e la globalizzazione dei mercati rendono più

confrontabili realtà aziendali di tutto il mondo e provocano l’insorgere dell’esigenza di

repliche sempre più efficaci in termini di competitività. L’output di tale processo è stata

una progressiva riorganizzazione aziendale interna che ha portato, a sua volta, alla nascita

di nuove figure professionali

Per diversi anni, le imprese hanno relegato in una posizione di secondo piano l’attenzione

per le Risorse Umane quale imprescindibile strumento di vantaggio competitivo; diversi

fattori hanno contribuito a mutare lo scenario, primo fra tutti il calo demografico

repentino registrato tra il 1966 e il 1979, con il contestuale emergere della cosiddetta

“Generazione X”, che si è tradotto nel connesso problema del “workforce shortage”,

ovvero nella difficoltà delle imprese di reclutare nuove figure professionali appartenenti a

quella fascia di età. Oggi sono, quindi, i “talenti” la risorsa scarsa del mercato e la

situazione sembra essere capovolta: non sono più i candidati a “rincorrere” le aziende, ma

sono le stesse aziende a “inseguirli” utilizzando come supporto le nuove dinamiche

offerte dal People Management .

Lo scopo del lavoro è quello di descrivere la relazione positiva tra le Human Resources

(Risorse Umane) e le performance aziendali; studi recenti hanno, infatti, evidenziato

come il miglioramento del clima interno possa condurre ad un aumento dei profitti

aziendali.

L’asse portante della tesi è rappresentato dalla descrizione di una particolare strategia di

gestione delle Risorse Umane, nata negli Stati Uniti, finalizzata a costruire e sviluppare

l’immagine aziendale sia sul versante interno (“retention”, ossia il mantenimento dei

dipendenti), sia su quello esterno del lavoro (“recruiting”, il reclutamento di nuove

risorse): l’Employer Branding.

Il core della filosofia dell’Employer Branding è espresso dal fatto che l’azienda può

determinare e implementare le proprie strategie di marketing e branding per il

recruitment e la fidelizzazione della forza lavoro con il medesimo impegno con cui lo fa

per il cliente, con la consapevolezza che come è possibile perdere un cliente per una

Page 5: Tesi di Angelo Anello

4

promessa non mantenuta, allo stesso modo si può perdere la fiducia del proprio

dipendente o di un potenziale collaboratore di “talento”, deludendo le aspettative o le

promesse a causa di un’inefficace attività di Employer Branding.

Molteplici sono i motivi che delucidano l’attenzione riposta in un così tale argomento

innovativo; prima fra tutti, la ferma credenza che, anche quando all’interno dell’azienda

la tecnologia e l’automazione sono ai loro livelli massimi, l’uomo, le sue capacità, le sue

esperienze e, quindi, il suo “talento” rappresentano comunque il perno fondamentale

attorno cui ruota l’intero successo competitivo delle organizzazioni. La gestione dei

“talenti” dovrebbe, quindi, rappresentare una priorità di ogni vertice aziendale perché il

“talento” riesce a “vedere” il mondo con occhi diversi intuendo opportunità,

incuriosendosi e informandosi autonomamente; perché il “talento” non vuole plasmare la

realtà dei fatti ma intende cambiarla direttamente; perché il “talento” è e produce qualità,

contagiando i colleghi che gli stanno intorno e attirando propri simili. E’ proprio tutto

questo che assegna all’Employer Branding un fascino che è caratterizzato, oltre che dalle

logiche di convenienze economica, da una “lotta” di sopravvivenza, per molto tempo

latente, a cui oggi tutte le organizzazioni non possono sottrarsi perché un’azienda senza

“talenti” è completa ma solo a metà.

La struttura del lavoro è articolata in tre momenti fondamentali.

La prima parte, si concentra sull’importanza delle Risorse Umane, intese sia come mezzo

finalizzato a creare un vantaggio competitivo stabile in grado di distinguere l’azienda dai

suoi competitors, e sia come voce d’investimento anziché di costo; da ciò scaturisce

l’interesse riposto nelle tecniche finalizzate allo sviluppo delle competenze, quali ad

esempio i business game e i teamwork, indirizzati a creare un vigoroso senso di

appartenenza che permette all’azienda di fidelizzare i migliori “talenti” cresciuti al

proprio interno. La discussione evolve e converge l’attenzione su una parte ben precisa

delle Human Resources ovvero i “talenti”, cioè coloro che hanno un potenziale così

elevato da poter fare la differenza e che, proprio per tale peculiare caratteristica, sono al

centro di una intensa lotta tra le aziende denominata la “Guerra dei talenti”. Innumerevoli

sono gli approcci che è possibile seguire per vincere tale competizione ma si è deciso di

concentrare l’attenzione sui cinque “consigli” di Ed Michaels, Helen Handfield-Jones e

Beth Axelrod, partners della McKinsey & Co. , finalizzati ad attrarre gli outsider giusti

attraverso l’acquisizione, da parte dell’azienda, di una mentalità “talent oriented”,

Page 6: Tesi di Angelo Anello

5

creando una proposta di valore vincente per i dipendenti, ricostruendo la strategia di

recruiting, facendo dello sviluppo una caratteristica intrinseca dell’organizzazione e,

infine, differenziando e valorizzando i collaboratori.

La seconda parte del lavoro, interessandosi dell’Employer Branding (EB), rappresenta il

cuore della tesi; dapprima, sono messi sotto esame le due categorie di fattori alla base

della strategia, ovvero gli elementi intangibili e quelli tangibili, sottolineando

l’importanza preminente dei primi nel processo di definizione dell’employer identity e di

costruzione dell’employer brand. Successivamente, lo studio si concentra sulla

preliminare individuazione del target di riferimento che viene assunta quale base

imprescindibile per l’implementazione di una buona strategia di Employer Branding. Il

punto focale della discussione è raggiunto con l’analisi del modello concettuale

dell’EBGF (Employer Brand Global Framework) che sottolinea gli aspetti più importanti

di una strategia di EB; esso si compone di 4 schemi, tra i quali l’EB Action a cui è stata

riferita un’analisi prioritaria in quanto individua le 4 azioni (Assessment, Prospective,

Monitoring e Development) da svolgere per realizzare una strategia di Employer

Branding.

Nell’ultima parte del lavoro, muovendo dalla constatazione che uno dei problemi

principali che caratterizzano l’accesa polemica sul ruolo strategico delle Human

Resources è rappresentato dall’esigenza di misurarne l’effettivo impatto sulla

performance organizzativa, anche attraverso l’analisi di casi aziendali, l’attenzione è stata

concentrata sul gruppo L’Oréal. La società ha recentemente affrontato un processo di

ripensamento delle logiche di fondo del recruitment, grazie all’implemetazione di una

efficiente strategia di Employer Branding, il cui output si è collocato in un miglioramento

dell’immagine aziendale (e quindi in un miglioramento della coerenza tra quanto

dichiarato dall’organizzazione e quanto percepito dai potenziali candidati) e in un

rafforzamento della fiducia con i docenti e le strutture di placement degli atenei di

riferimento con cui la stessa impresa detiene rapporti di collaborazione

Page 7: Tesi di Angelo Anello

6

CAPITOLO 1

IL VALORE AGGIUNTO DELLE RISORSE UMANE

1.1- Le Risorse Umane : gli “assi nella manica” delle aziende

In uno scenario economico governato sempre più dall’incertezza e dall’elevata

complessità, un elevato capitale finanziario, mezzi strumentali e patrimoniali opulenti

spesso non sono sufficienti a garantire la “sopravvivenza” dell’azienda; assicurare

continuità produttiva e stabilità significa essere innovativi e investire sulla key factor

irrinunciabile per il raggiungimento del vantaggio competitivo: la Risorsa Umana

ovvero, utilizzando il termine coniato da Theodore Schultz1, il Capitale Umano..

Il Capitale Umano2 è una particolare combinazione di diversi fattori, quali l’intelligenza,

l’energia, l’affidabilità, l’impegno, la creatività, lo “street smarts”( cioè il senso pratico,

la capacità di realizzare le cose), lo spirito di squadra e l’orientamento verso gli obiettivi;

il Capitale Umano3, secondo l’accezione di Becker4, può essere assimilato ad una

combinazione di risorse individuali, tangibili e intangibili, tacite e codificate, le cui

principali componenti sono rappresentate dall’istruzione, dall’informazione e dalla

conoscenza

Il Capitale Umano si connota per essere un sapere privato che si acquisisce (e si perde)

con la persona che lo detiene; è dunque cruciale favorirne la condivisione (knowledge

sharing) promuovendo i contributi alla conoscenza diffusa e all’apprendimento

organizzativo.

1 Economista statunitense, Premio Nobel per l’economia per il contributo dato alla teoria del Capitale Umano e autore di diverse opere e articoli tra cui “Investment in Human Capital”, The American Economic Review, Vol. 51, No. 1 (Mar., 1961). 2 Patemi R. , “Il ruolo del Capitale Umano nelle aziende oggi” (adattato dal libro “The Role of Human Capital” di Jaz Fitz-enz), 2006, www.professionelavoro.net 3 Bramanti A. , Odifreddi D. , “Capitale Umano e successo formativo”, FrancoAngeli, 2006 4Economista statunitense, vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 1992 per «aver esteso il dominio dell'analisi microeconomica ad un ampio raggio di comportamenti e interazioni umane, incluso il comportamento non legato al mercato», autore di diversi contributi alla teoria del Capitale Umano tra cui : “Investment in Human Capital: a theoretical analysis” (1962) , “Human Capital: a theoretical and empirical analysis with special reference to education” (1964)

Page 8: Tesi di Angelo Anello

7

La valorizzazione degli individui, delle abilità professionali, del potenziale di creatività e

motivazione rappresenta l’aspirazione primaria per l’azione gestionale e si riflette nella

delicatezza dei momenti di selezione, gestione e sviluppo delle Risorse Umane; le spese

per l’acquisizione, l’addestramento e la formazione del personale non devono intendersi

come semplici costi di esercizio, bensì come investimenti.

Sono le persone, quindi, ad essere l’essenza dell’organizzazione, ad essere cioè il motore

trainante per il raggiungimento dell’obiettivo finale: un adeguato livello di profitto

congiuntamente alla soddisfazione di tutti gli stakeholders e al rispetto dell’ambiente; in

tal modo, la strategia aziendale, se realmente innovativa e condivisa a tutti i livelli,

condurrà al successo per mezzo anche di una ferrea componente motivazionale presente

nelle Risorse Umane, che si esprime nel desiderio di perseguire determinati fini con

consapevolezza dei propri mezzi e giusta tensione verso gli obiettivi e, quindi, che si

esprime nella voglia di partecipare alla vita aziendale e di vivere “esperienze

trasformative”.

Quando un’azienda è in grado di articolare un ottimo processo di “knowledge building5”

(costruzione di conoscenza) può ambire allo sviluppo di competenze chiave per ogni

esigenza di breve periodo, per il problem solving, per la pianificazione di lungo termine e

per lo sviluppo di capacità manageriali; in tale prospettiva la performance aziendale viene

valutata come l’effetto di vantaggi competitivi sempre più legati al know-how interno ed

alle competenze acquisite e sviluppate nel tempo. 6

1.2 - Gli orientamenti finalizzati allo sviluppo delle competenze

L’attenzione alle Risorse Umane è ormai un aspetto così onnipresente nel mondo

organizzativo tale da poter qualificare le persone come il vero patrimonio aziendale; ciò

spiega l’attenzione che le aziende hanno riposto negli approcci che sviluppano e

consolidano le competenze, tra i quali:

5 Termine coniato da Bereiter C. e Scardamalia M. al centro di un loro trattato denominato “Knowledge Building: Theory, Pedagogy and Technology”, Sawyear K., 2006 6Va precisato che non esiste, comunque, il miglior approccio per incentivare e preservare nel lungo periodo le professionalità delle proprie risorse umane; esiste però un approccio adatto per ogni distinto contesto culturale in cui è immersa la realtà aziendale; ad esempio, in paesi come il Giappone, caratterizzato da un basso livello di turnover lavorativo, si adotteranno soluzioni alquanto diverse rispetto ai paesi occidentali, caratterizzati da un elevato turnover, anche se l’obiettivo finale è e rimane quello di coltivare/investire su risorse ad alto potenziale per garantire un elevato rendimento nel lungo termine

Page 9: Tesi di Angelo Anello

8

• Project pilot, ovvero progetti pilota innovativi, i cui componenti hanno come

obiettivo di progetto quello di conseguire un risultato per l’azienda e come

obiettivo formativo quello di apprendere quali strumenti utilizzare nella gestione

di un progetto e di quale approccio servirsi per creare un sistema di

memorizzazione e condivisione della conoscenza acquisita.

• Bussines game, strumento di simulazione della realtà, basato sui giochi di ruolo,

che viene scelto perché affina le capacità decisionali in situazioni d’emergenza,

aumenta la competitività e mette in pratica attraverso il gioco ciò che si è appreso

nella teoria seguendo il principio del learning by doing (imparare facendo). Il

manager viene inserito in spazi di “simulation” nei quali agisce come se fosse in

un vero team, consentendo all’azienda di studiare la sua capacità di leadership e

di teamwork.

• Outdoor development / Outward bound, metodo che sviluppa la capacità di

mobilitazione di tutte le proprie Risorse Umane e che consente di sbloccare

schemi di apprendimento in situazioni estreme e inusuali per il soggetto,

attraverso l’utilizzo di territori naturali inospitali e difficili (rapide, deserti,

ghiacciai) entro i quali vengono assegnati problemi reali al limite della

sopravvivenza7.

• Teamwork, ovvero comunità “eterogenee” in cui i membri possono lavorare in

squadra guidati e trascinati da una nuova forma di “leadership collettiva” verso il

raggiungimento di un fine comune; lo scopo non è competere ma cooperare

tramite la continua comunicazione, lo scambio reciproco d’informazioni, la

pianificazione di gruppo e la valorizzazione delle competenze di ogni membro del

Team. Se un gruppo di lavoro mostra di avere una “coscienza” fa intuire che le

Risorse Umane che lo costituiscono sono saldamente coese, soddisfatte

dell’ambiente in cui operano e delle persone con cui si confrontano

quotidianamente; ciascuno conosce ciò che deve fare e le aspettative che hanno

gli altri membri sul suo comportamento nelle molteplici circostanze aziendali. I

Team di tal genere possono essere reputati veri e propri “organismi viventi”

guidati da modelli mentali così talmente condivisi da far sembrare che le decisioni

7 Laveglia S. , “L’importanza delle risorse umane come parte del capitale intellettuale”, www.blogcattedra.info.it , 24/10/2006

Page 10: Tesi di Angelo Anello

9

prese siano frutto di una sola mente. Il “punto di vista multiplo” produce idee

innovative che accrescono il valore dell’impresa sia in termini di migliori prodotti

e processi, sia in termini di sviluppo delle Risorse Umane, le quali, oltre ad

accrescere il proprio livello conoscitivo ed esperienziale, maturano anche un forte

senso di appartenenza che permette quindi all’azienda di fidelizzare i migliori

“talenti” cresciuti al proprio interno.

L’errore più comune commesso dalle imprese è rappresentato dal far guidare un

teamwork da un leader carismatico, considerato miglior esperto in materia; ciò

porterà sicuramente il “capo” a soffocare le idee diverse dalle sue, evitando di

farle emergere, portando la risoluzione dei problemi ad un certo livello di

conformismo che ne ostacola il miglioramento.

Ad esempio, un caso di eccellenza aziendale nella gestione delle HR (Human Resources)

è rappresentato dal “Cirque du Soleil”, un’azienda che ha intuito in anticipo rispetto alla

concorrenza la centralità e l’importanza del lavoro di squadra. Al “Cirque du Soleil” lo

spirito è quello di lavorare insieme per produrre un’unica sinergia, coltivando la creatività

non solo degli artisti, ma anche degli artigiani, dei tecnici, degli impiegati; il gruppo si

muove in squadra per dare più forza possibile all’esibizione, esaltando l’indispensabilità

dell’equilibrio del team. I candidati vengono valutati sulla base delle loro capacità di

mettersi in gioco in squadra, di condividere le loro idee e il loro talento, di assumersi

responsabilità. L’azienda ha, quindi, puntato sulla creatività e sull’innovazione attraverso

investimenti consistenti sulle persone, perché ha compreso che anche quando la

tecnologia e l’automazione sono spinte al massimo, l’uomo resta sempre l’elemento

fondamentale del successo di ogni impresa8.

1.3 - Il “Talento”: motore trainante della crescita aziendale

Ogni individuo possiede una peculiare inclinazione, ma solo alcuni hanno quel mix di

doti innate, conoscenze, esperienza, intelligenza, carattere e tensione al risultato da essere

dei veri “talenti”.

Puntare sulla crescita dei “talenti” porta benefici qualitativi e quantitativi alle aziende:

consente infatti di far maturare esperienza ai teamwork, rinforza il clima interno e da

8 Bianchini M., “Il valore della risorsa umana, fonte di innovazione aziendale”, www.itconsult.it

Page 11: Tesi di Angelo Anello

10

fiducia al Capitale Umano, aumentando i livelli di soddisfazione e i profitti. I responsabili

delle Risorse Umane si comportano, ormai, come “cacciatori d’oro” che setacciano i

“talenti”, inseguendo coloro che hanno un così elevato potenziale da poter far la

differenza, strappando anche alla concorrenza il giovane più promettente, perché il

“talento” è una risorsa scarsa, quindi sempre più preziosa e contesa dal mercato del

lavoro e che necessita di pressanti strategie di comunicazione per essere attirato

nell’orbita aziendale.9

Per “vendersi” bene ai giovani occorre costruire una vera e propria strategia di marketing,

il cui punto di partenza è costituito dalle esigenze di chi sta cercando lavoro per costruire

all’interno dell’azienda un ambiente che appaia il più possibile attrattivo; diversi sono gli

strumenti a disposizione, tra i quali:

• Job Meeting, giornate di orientamento al lavoro che rappresentano fondamentali

momenti di incontro e confronto tra studenti universitari, laureati e i responsabili

delle aziende e degli enti di formazione presenti. Ogni azienda si presenta con uno

stand a cui è possibile chiedere informazioni sulle opportunità professionali

offerte, sui profili ricercati, sulle dinamiche di carriera; il potenziale candidato ha

la possibilità di consegnare direttamente il proprio Curriculum Vitae cartaceo o di

compilare le application form predisposti per l’analisi delle candidature.

Nel corso della manifestazione alcune aziende partecipanti svolgono dei brevi

incontri di presentazione, illustrando dettagliatamente l’organizzazione, i prodotti,

i servizi aziendali con la possibilità di interagire direttamente per chiedere

chiarimenti su determinati aspetti specifici quali, ad esempio, le politiche

retributive10.

• Workshop, eventi di formazione brevi supervisionati da docenti professionisti che

hanno lo scopo di far fare esperienza rispetto ad una specifica abilità o tecnica;

l’attenzione è quasi tutta sull’aspetto pratico. Un Workshop ha finalità formative

ma non consiste in un vero e proprio corso di formazione, poiché i soggetti

9 La competizione per il talento, come fonte di creatività e motore della crescita, è una competizione globale che tocca ogni angolo del pianeta; l’Italia, a differenza di U.K, Irlanda e Stati Uniti, manca di un sistema per promuovere i talenti. Gli U.S.A hanno diversi “Visa Programs” inclusa la lotteria per la Green Card che mette in palio 50.000 visti ogni anno, consentendo ai sorteggiati di avere l’opportunità di richiedere la residenza permanente e quindi di ottenere l’autorizzazione a vivere e a lavorare negli States; in U.K, per favorire l’immigrazione dei talenti, è stato creato un sistema a punti dove vengono preferite le persone laureate e/o con diversi anni di esperienza alle spalle nell’ambito dei lavori altamente specializzati. 10 www.competenza.it

Page 12: Tesi di Angelo Anello

11

partecipanti sono già formati e dunque sfruttano tale occasione per mettere in

pratica la conoscenza appresa11.

• I rapporti con le Università, ovvero intensi legami tra il mondo accademico e

quello manageriale che si sostanziano in una maggiore collaborazione dalla quale

far nascere investimenti in progetti di sviluppo che facciano degli atenei i motori

dello sviluppo aziendale12.

L’Eni, ad esempio, ha stipulato una convenzione con l’Università Cattolica del

Sacro Cuore per l’avvio di un Master di secondo livello in “Oil & Gas Law And

Economics”, il cui obiettivo è promuovere un profilo di competenze che associ

una solida preparazione economica-giuridica a concrete esperienze di training on

the job, con prospettive reali di eventuale inserimento nelle realtà industriali di

ENI13

La Microsoft ha ideato un’iniziativa, denominata “La tua strada”, studiata per

agevolare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, promuovendo l’immagine

di Microsoft come azienda attenta al sociale verso il target degli studenti

universitari; il progetto, che coinvolge alcuni Atenei italiani, punta ad offrire ai

più brillanti studenti o neolaureati l’opportunità di compiere un’esperienza

professionale presso una società partner, usufruendo di un percorso propedeutico

formativo erogato direttamente da Microsoft14.

Un ulteriore problema riguarda come assecondare i “talenti” per fidelizzarli; oltre ai

benefit tangibili, quali polizze sanitarie, pensione integrativa e distribuzione degli utili, si

punta soprattutto su quelli intangibili come asili nidi, palestre aziendali e sconti su viaggi.

Ed è proprio questa la filosofia adottata ad esempio dalla Mediaset che, tramite la

creazione del Mediacenter, consente ai suoi dipendenti di risolvere tutta una serie di

incombenze quotidiane (dalla spesa alle bollette per le utenze domestiche, fino

all’acquisto dei regali), comprendendo un insieme di servizi che sono stati messi a punto

sulla base dei risultati di una ricerca di mercato volta a capire i bisogni extralavorativi dei

lavoratori. Da qui è nato il piano d’azione impostato su tre aree: servizi alla famiglia,

11 www.competenza.it 12 Sacchi A, “Non basta chiedere, le aziende investano nell’università”, Corriere della sera, 1/06/2009 13 www.eni.it 14 Raimondi P. , “La tua strada: da Micosoft Italia un progetto per i giovani”, www.employerbranding.blogspot.com, 26/03/2008

Page 13: Tesi di Angelo Anello

12

iniziative per salute e benessere e attività che fanno risparmiare tempo e denaro; così, ad

esempio, negli uffici di Cologno Monzese è stato creato un centro medico convenzionato

con l’ospedale San Raffaele di Milano che offre visite ambulatorie specialistiche e

garantisce un accesso privilegiato alle strutture ospedaliere. Sono stati inoltre realizzati

un centro fitness, un asilo nido e un presidio farmaceutico dotato di prodotti prenotabili

anche online con consegna in ufficio15.

Non esistono, quindi, regole fisse nella scelta e nella fidelizzazione dei talenti: tutto

dipende molto da segnali che spesso sono difficili da captare, ma che determinano il

successo o l’insuccesso di una scelta; fondamentale è intuire cosa si nasconda dietro un

formale colloquio di lavoro, ad una giacca e cravatta, ad un curriculum stracolmo di

lauree, master, viaggi all’estero, hobby stravaganti, perché il “talento” spesso sfugge

all’attenzione del dirigente, non si fa ingabbiare dietro rigidi schemi, non si trasmette da

padre in figlio, né si acquista con un titolo di studio: bensì è una “terra promessa” da

conquistare giorno per giorno.

1.4 - La Guerra dei Talenti

In una economia dove le persone sono il principale fondamento del vantaggio

competitivo, la guerra tra le aziende per attrarre i “talenti” giusti è l’attività principe delle

imprese di successo. Le forze principali che alimentano la “Guerra dei Talenti”, espressione coniata nel 1997

dalla McKinsey & Company, sono essenzialmente tre:

• Il passaggio irreversibile dall’era industriale all’era dell’informazione.

Nella nuova era l’importanza degli asset tangibili, quali macchinari e fabbriche, è

diminuita rispetto all’importanza degli asset intangibili, come il brand, il capitale

intellettuale e il “talento”; nel 1900 appena il 17% dei posti di lavoro richiedeva la

presenza di lavoratori di concetto, mentre oggi sono più del 60%16. Il maggior

peso specifico di tale categoria rende assolutamente preminente l’obiettivo di

reperimento di “talenti”, perché il differenziale da loro creato è enorme; secondo

John Chambers, CEO della Cisco Systems, un ingegnere di livello superiore,

15 Dell’Olio L. , “Non dipendenti, ma persone – La filosofia di Mediaset in un’intervista a Panorama”, www.mercurius.it, 14/03/2005 16 Butler P. , “A Revolution in Interaction” , McKinsey Quarterly, n. 1, pag. 8 , 1997

Page 14: Tesi di Angelo Anello

13

insieme a cinque colleghi, è in grado di fare meglio di 200 ingegneri per così dire

normali17.

Poiché l’economia è basata sempre più sulle conoscenze, il valore aggiunto

generato dai collaboratori di “talento” continua ad aumentare.

• La pressante domanda di “talenti” manageriali.

Il lavoro dei manager è diventato sempre più complesso; la globalizzazione e i

rapidi progressi della tecnologia, infatti, cambiano continuamente le regole del

gioco in quasi tutti i settori. Oggi le aziende necessitano di manager in grado di

rispondere a tali sfide, in grado di assumersi i rischi e di essere al passo con le

tecnologie; vogliono dei leader che sappiano ripensare il loro business e ispirare i

loro collaboratori. L’offerta di “talenti” manageriali è però limitata e di

conseguenza nei prossimi anni le aziende accenderanno un’aspra concorrenza per

accaparrarsi tali preziose risorse.

• La crescente propensione dei manager a cambiare azienda.

Così come le aziende hanno preso coscienza della necessità di avere dei manager

di grandi qualità, i manager hanno preso coscienza dell’opportunità di cambiare

azienda. Sono state le ristrutturazioni della fine degli anni Ottanta a rompere per la

prima volta il patto tradizionale in cui si scambiava la fedeltà con la sicurezza del

posto; a ciò è seguito un fiorire di occasioni di lavoro accompagnate da una ricca

pubblicazione su Internet. Nel giro di pochi anni i vecchi tabù contro la pratica di

cambiare frequentemente posto sono cadute e possedere un curriculum

“movimentato” è diventato un titolo di merito.

Le forze strutturali che alimentano la “Guerra dei talenti” generano due intense

implicazioni.

Innanzitutto, la regia è passata dall’azienda all’individuo; oggi più che mai, le persone di

“talento” hanno il potere negoziale necessario per perseguire efficacemente le loro

aspirazioni di carriera. Il prezzo del “talento” è, quindi, in ascesa e le aziende cominciano

ad intuire che la “conquista” di “talenti” manageriali richiede un impegno costante e

profuso in tutta l’organizzazione.

Inoltre la gestione dei “talenti” è diventata una fonte primaria di vantaggio competitivo;

le aziende più capaci di attrarre, sviluppare, mantenere e motivare i collaboratori di

17 Byrne J. A. , “Visionary vs. Visionary”, Business Weak, pag. 212, 28/08/2000

Page 15: Tesi di Angelo Anello

14

“talento” guadagneranno una quota maggiore di tale risorsa scarsa e quindi miglioreranno

le loro performance. Da una ricerca18 della McKinsey & Co. basata sull’analisi del ritorno

totale degli azionisti attraverso la costruzione di un indice composto19 per misurare la

gestione dei “talenti”, è scaturito che le aziende più brillanti nel “talent managememt”

erano quelle che registravano dei punteggi inquadrabili nel quintile più elevato

dell’indice, mentre quelle relativamente peggiori nella gestione dei “talenti” si

collocavano nel quintile più basso; le prime aziende registravano in media un ritorno per

gli azionisti superiore di circa 22 punti percentuali allo standard di settore, le seconde

producevano un ritorno uguale o inferiore alla media del settore20.

A determinare il ritorno per gli azionisti concorrono anche altri fattori, oltre alla gestione

dei “talenti”, ma tali dati dimostrano che un’efficace gestione dei “talenti” si traduce in

performance più brillanti.

1.5 - La gestione dei talenti

Le aziende che intendono primeggiare nella competizione per il “talento” possono

contare su un vasto numero di approcci che la letteratura offre, nessuno dei quali

rappresenta la one best way; in questa sede esaminerò i cinque postulati di Ed Michaels ,

Helen Handfield-Jones e Beth Axelrod, partners della Mckinsey & Co.21:

1. Acquisire una mentalità “talent oriented”.

2. Creare una proposta di valore vincente per i dipendenti.

3. Ricostruire la strategia di recruiting.

4. Fare dello sviluppo una caratteristica intrinseca dell’organizzazione.

5. Differenziare e valorizzare i collaboratori.

18 Ricerca effettuata nel 1997 a cui parteciparono 67 grandi aziende americane, attraverso l’invio di tre tipologie di questionari destinati a tre distinti gruppi di rispondenti: top manager, senior manager e direttori delle risorse umane più senior 19 L’indice composto con cui misurare la gestione dei talenti è tratto da otto domande che concernono diverse problematiche di gestione del talento: orientamento al talento, etica della performance, proposta di valore per il dipendente, recruiting, capacità di trattenere i talenti, ambiente aperto e improntato alla fiducia, sviluppo e azioni sui collaboratori mediocri. 20 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002 21 Autori del libro “La Guerra dei Talenti”, Etas, 2002, e pionieri della mentalità orientata allo sviluppo del talento.

Page 16: Tesi di Angelo Anello

15

1. Acquisire una mentalità “talent oriented”

Costruire un pool di “talenti” migliori significa fare in modo che i manager e i

responsabili di tutti i livelli acquisiscano una mentalità orientata al talento, ovvero la

radicata certezza che, per realizzare le proprie aspirazioni di business, l’azienda necessita

di avere a disposizione di grandi “talenti”; e per avere i “talenti” migliori è necessario che

tutti i responsabili aziendali siano ugualmente impegnati al perseguimento di questo

obiettivo, poiché non rappresenta una responsabilità esclusiva della funzione Risorse

Umane. Acquisire una mentalità “talent oriented” non significa, dunque, migliorare la

formazione, non equivale né a costituire una funzione Risorse Umane migliore, né ad

offrire più stock option.

I dirigenti con una mentalità “talent oriented” fanno della gestione dei “talenti” una

componente cruciale del loro lavoro; capiscono che non è possibile delegare e dunque

investono una parte rilevante del loro tempo e delle loro energie nel rafforzare con

passione, coraggio e determinazione il loro pool di “talenti”.

Ogni dirigente ha il compito di fissare lo standard di riferimento per il “talento” a cui

s’ispirerà tutta l’organizzazione: lavoro che viene svolto giorno per giorno attraverso la

qualità di coloro che assume e tramite la definizione dei parametri rispetto ai quali

valutare i collaboratori. Lo standard può essere enunciato in modo semplice oppure

mediante un elenco articolato che comprenda diverse competenze, quali ad esempio il

pensiero strategico e la capacità di comunicazione, con una descrizione particolareggiata

dei comportamenti che caratterizzano la performance eccellente, media e scarsa.

Le aziende e i dirigenti che hanno una mentalità “talent oriented” sono convinti che il

“talento” manageriale appartenga all’azienda nella sua totalità e considerano i loro

manager un patrimonio aziendale. Ad esempio, un CEO orientato al talento instilla tale

mentalità negli altri in modo tale da diffonderla in tutta l’organizzazione: è

profondamente coinvolto nell’impiego, nello sviluppo, nel recruiting e nella motivazione

dei propri manager a tutti i livelli e ciò non vuol dire prendere tutte le decisioni finali in

materia di assunzioni e promozioni, perché tale comportamento demotiverebbe gli altri

dirigenti; significa, piuttosto, condividere le sue decisioni, promuovere e guidare un

processo semplice di review dei “talenti”, con il quale analizzare la loro collocazione

rispetto alle priorità critiche del business, e infine riesaminare l’intensità della catena di

approvvigionamento dei “talenti” nelle diverse business unit

Page 17: Tesi di Angelo Anello

16

2. Creare una proposta di valore vincente per i dipendenti

Fino ad un ad un decennio fa, la carriera era il mezzo che permetteva di raggiungere il

proprio fine: un reddito in grado di soddisfare i propri bisogni e magari un giorno il

raggiungimento dell’ambito status di dirigente in una grande impresa. Si entrava in

azienda, si svolgeva il proprio lavoro e si scalava la gerarchia interna seguendo una

cadenza prefissata; non si arrivava al top dei vertici aziendali se non prima dei

cinquant’anni

Oggi, i professionisti di “talento” pretendono elevati stipendi e tutti i benefit possibili; ma

soprattutto vogliono essere stimolati dal lavoro che svolgono, arricchiti dalle opportunità

di carriera e ispirati dalla mission. Sono disposti a lavorare molto, ma vogliono sentirsi

realizzati; se non lo sono, tendono fatalmente a lasciare l’azienda perché hanno a

disposizione un gran numero di alternative e sanno qual’è il valore che sono in grado di

creare. Il prezzo del “talento” è quindi salito alle stelle.

L’Employee Value Proposition (EVP) rappresenta tutto ciò che le persone vivono e

ricevono nell’ambito del rapporto con l’azienda: la soddisfazione intrinseca del lavoro,

l’ambiente, la leadership, i colleghi, la retribuzione; in altre parole è quello che l’azienda

fa per soddisfare i bisogni, le aspettative e anche i sogni dei collaboratori. Una proposta

di valore per i dipendenti stimola le persone, inducendole a dare il meglio di sé e a legarsi

emotivamente al lavoro e all’azienda; una EVP non è materializzata dall’enfasi delle

parole dell’opuscolo di presentazione dell’azienda e neanche dall’entità dei benefit, bensì

dalle esperienze che gli individui fanno giorno per giorno. La proposta di valore per i

dipendenti è molto simile alla proposta di valore per i clienti; sarebbe necessario, allora,

che le aziende comincino ad applicare la stessa logica di marketing per attrarre e

trattenere i dipendenti.

Data la natura dell’Employee Value Proposition, quale strumento a disposizione

dell’organizzazione per soddisfare le aspettative e i bisogni dei collaboratori, è utile

capire cosa cercano i manager di “talento” quando decidono in quale azienda lavorare.

Da un’indagine della McKinsey & Co., rivolta a middle e senior manager, sono emersi

quali fattori siano considerati decisivi da un gran numero di dirigenti.

In primis, i manager puntano su mansioni stimolanti (59%) e appassionanti (45%);

desiderano sentirsi ispirati dalla mission, lanciare nuovi business e nuovi prodotti e

Page 18: Tesi di Angelo Anello

17

svolgere lavori importanti che li mettono in grado di dare il massimo. La classe

manageriale desidera lavorare per aziende eccellenti, gestite da dirigenti di grande valore,

con culture che enfatizzano l’orientamento alla performance e un ambiente aperto e

improntato alla fiducia. I dirigenti, ancora, vogliono che il proprio contributo venga

premiato e che ci siano buone opportunità di guadagno; pretendono dall’azienda anche

opportunità di carriera e un contributo concreto allo sviluppo delle loro competenze,

perché oggi l’unica sicurezza lavorativa che possono avere sta proprio nella qualità delle

competenze e delle esperienze che hanno da offrire sul mercato del lavoro. Infine, i

manager puntano su mansioni che permettano loro di conciliare il proprio lavoro con gli

impegni personali e familiari, in modo tale da creare un equilibrio accettabile tra vita

lavorativa e vita privata22.

Un’Employee Value Proposition vincente parte da un lavoro interessante e stimolante, a

cui ci si può appassionare. L’Amgen, ad esempio, è un’azienda leader nel campo delle

biotecnologie, il cui business è intrinsecamente entusiasmante per chi ci lavora; l’appeal

della sua EVP consiste nel fatto che i suoi farmaci più importanti, Epogen e Neupogen,

aiutano i dializzati e i malati di tumore a sopportare meglio gli effetti dei trattamenti a cui

sono sottoposti. Per questo il tacito motto dell’azienda è davvero emozionante: “Noi

sconfiggiamo la morte”; ciò che quindi attira le persone verso l’azienda è l’idea che

l’Amgen aiuti le persone a vivere più a lungo23.

Rendere eccitante il proprio business e appetibili le posizioni offerte, sfidare se stessi e i

propri collaboratori sono, quindi, gli ingredienti salienti per un’EVP di successo; qualche

benefit in più o assicurazioni sanitarie più generose non faranno certo la differenza tra

un’EVP solida e un’EVP modesta.

Ovviamente il denaro non basta per mettere in piedi una proposta di valore vincente, ma

se non si rimane competitivi offrendo una retribuzione di mercato ai migliori “talenti”

manageriali, si farà molta fatica a costruire una solida EVP; in effetti è molto raro che le

persone accettino la posizione che comporta l’offerta economica più bassa.

Le aziende che intendono costruire una efficiente proposta di valore modificheranno,

dunque, anche il loro sistema retributivo, in modo da poter remunerare gli high

performer24 molto meglio degli average performer25 e quindi in base al valore che

22 War for Talent 2000 Survey, Mckinsey & Company, 2000 23 www.amgen.com (sezione “Mission & Values” ) 24 Collaboratori che producono elevati risultati, ispirando e motivando i colleghi.

Page 19: Tesi di Angelo Anello

18

creano; in tal modo è possibile personalizzare la retribuzione, collegandola direttamente

al surplus che l’outsider giusto è in grado di produrre senza bisogno di innalzare tutti i

livelli retributivi.

L’Employee Value Proposition di un’azienda è, dunque, una miscela integrata e

composita di cui fanno parte tutti i suoi elementi caratterizzanti (da un lavoro stimolante

alla retribuzione); ogni azienda ne ha una propria che la distingue al pari di un’impronta

digitale. Una proposta di valore vincente va tagliata su misura, in modo da allinearla alle

preferenze e alle aspettative dei gruppi di professionisti che vuole attrarre; essa non può

offrire tutto a tutti: chi apprezza quella di un’azienda difficilmente apprezzerà quella di

un’altra.

Quale sia la situazione che si deve affrontare (avviare una start-up o contrastare un

turnover elevato) è fondamentale applicare all’EVP lo stesso rigore metodologico che

sarebbe applicato alla proposta di valore per il cliente, valutandone obiettivamente

l’efficacia attuale, analizzando il grado di accettazione delle offerte di assunzione,

capendo i bisogni del proprio mercato di riferimento, effettuando indagini tra i

dipendenti, gli ex dipendenti e quelli potenziali per riuscire a comprendere quali siano gli

elementi che li hanno indotti a preferire questa azienda piuttosto che un’altra o che li

hanno indotti a ricercare un’altra occupazione; infine, individuando il posizionamento

competitivo dell’EVP aziendale, ovvero quali sono i suoi punti di forza e debolezza e

quali i concorrenti più prossimi dei “talenti” che si intendono approvvigionare, e

scegliendo, quindi, gli elementi da migliorare.

Esattamente come i prodotti, anche l’Employee Value Proposition ha bisogno di un

messaggio distintivo collegato al marchio, un brand di recruiting che metta in luce gli

aspetti più irresistibili dell’EVP; saper comunicare il brand di selezione giusto aiuta ad

attirare gli outsider giusti. PeopleSoft, per esempio, ha reclamizzato con successo il suo

marchio di recruiting attraverso la campagna pubblicitaria in bianco e nero apparsa sulla

rivista Fortune; ogni inserzione presentava un dipendente con un hobby insolito, una

storia professionale inconsueta o un curriculum extra-lavorativo particolare (ex campione

di nuoto olimpico o ex allevatore di pecore e galline). Il messaggio del marchio era il

25 Ottimi lavoratori che soddisfano regolarmente le aspettative ma che hanno spazi di crescita limitati.

Page 20: Tesi di Angelo Anello

19

seguente: “Se verrai da noi, potrai lavorare con alcune delle persone più interessanti e

qualificate del pianeta”26.

3. Ricostruire la strategia di recruiting

La corsa ai “talenti” degli ultimi anni ha sensibilizzato le aziende sull’esigenza di

ricostruire le loro strategie di recruiting ed ha stimolato approcci nuovi e creativi in

questo campo.

Per svariati anni, la scala gerarchica è stata la metafora dominante della carriera aziendale

il cui percorso era tradizionalmente lineare, concretizzandosi in una serie di spostamenti

verticali all’interno della struttura organizzativa fino a raggiungere la posizione massima

all’interno della propria area di competenza; un esempio di carriera lineare nella funzione

commerciale poteva essere il seguente: agente di vendita, capo area, responsabile di

un’area regionale, vice direttore di funzione ed infine direttore di funzione. Era questo il

tacito contratto psicologico tra l’azienda e il lavoratore, ovvero l’insieme delle reciproche

aspettative tra l’organizzazione e i suoi membri, e i benefici arrivavano dopo quindici o

vent’anni di servizio; in tale sistema era molto difficile che si assumesse dall’esterno un

manager esperto e lo si collocasse in una posizione superiore a quella di un veterano con

vent’anni di anzianità aziendale27.

Il paradigma tradizionale comincia a frantumarsi negli anni Novanta, quando le aziende

cominciarono a perdere un gran numero di manager diretti nelle start-up della “new

economy”, rendendo materialmente impossibile la copertura dall’interno di tutte le

posizioni rimaste vacanti. Le aziende iniziarono allora ad intuire i vantaggi

dell’immissione di “talenti” esterni ai livelli più elevati della struttura; ovviamente,

persone nuove apportano atteggiamenti innovativi, nuove prospettive e nuove idee.

Spesso, però, si tende a pensare che la pratica di assumere dall’esterno sia incompatibile

con lo sviluppo delle risorse interne; in realtà, coprendo con risorse esterne una quota

compresa tra il 10 e il 25% delle posizioni vuote si ridurrà solo leggermente il numero

delle opportunità di crescita a disposizione degli interni, in cambio però di nuovi e

preziosi modelli di riferimento ai collaboratori meno esperti28.

26 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002 27 Tosi H. , Pilati M. , Mero N. , Rizzo J. , “Comportamento Organizzativo”, Egea, 2002 28 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002

Page 21: Tesi di Angelo Anello

20

Assumere dall’esterno comporta inevitabilmente dei rischi: i tassi d’insuccesso sfiorano il

30%; poter contare però su un positivo 70% di chance è sempre meglio che non tentare

affatto29. Inoltre la stessa percentuale d’insuccesso può essere ridimensionata puntando

sull’integrazione culturale dei nuovi assunti, in modo tale che la loro leadership e i loro

valori siano allineati con quelli dell’azienda; organizzando un processo di assimilazione

ad hoc dei piani operativi e strategici, degli organigrammi e dei processi decisionali per

ciascun outsider di alto livello; e infine dando ad ogni neo-assunto l’assistenza necessaria

per costruire il proprio network interno e per comprendere le idiosincrasie culturali

dell’organizzazione.

Ad esempio, The Limited ha lanciato un ambizioso programma d’integrazione di due

mesi, denominato “On Boarding”, per aiutare i dirigenti assunti dall’esterno a partire con

il piede giusto. In questo periodo d’inserimento, gli outsider incontrano ognuno dei

diversi top manager dell’azienda e ne ascoltano le idee sulla strategia, la performance e le

sfide, ricevendo anche una ricca documentazione sull’azienda per poter acquisire anche

una prospettiva storica; in seguito trascorrono parecchie giornate nei punti vendita, nel

centro di distribuzione e nell’ufficio di progettazione. In tal modo, nel momento in cui

diventano operativi, i nuovi dirigenti conoscono a sufficienza l’azienda, la loro business

unit, la loro funzione e la comunità con cui dovranno interagire30.

Per ricostruire la strategia di recruiting, le aziende iniziano ad essere consapevoli che i

“talenti” non vanno più cercati nelle tre business school più qualificate o nelle tre aziende

eccellenti; oggi cercano altrove, in altri settori, in altre scuole e in altri campi, assumendo,

quindi, persone che non hanno il background tradizionale e individuando nuovi canali per

raggiungere i candidati. Il mezzo più innovativo è ovviamente Internet; la caccia ai

“talenti” informatici, scatenatasi alla fine degli anni Novanta, ha indotto molte aziende a

sviluppare delle tecniche creative di recruiting che utilizzano il Web. La Cisco è un

esempio eclatante di come poter strutturare il proprio sito per riuscire ad attrarre i

potenziali collaboratori; offre, ad esempio, il Cisco Profiler, una spiritosa interfaccia che

consente ai navigatori di creare un curriculum da inviare all’azienda; e il pulsante “Oh-

no-My-Boss-Is-Coming”, un pulsante di emergenza da azionare in caso d’improvvisa

29 Business Weak, “ The CEO Trap”, 02/12/2000 30 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002

Page 22: Tesi di Angelo Anello

21

irruzione del capo, che fa apparire le “Sette regole del bravo impiegato”31. Nel 1999 la

Cisco ha ricevuto per via elettronica più dell’80% dei curriculum, ed ha effettuato due

terzi delle assunzioni tramite il World Wide Web32.

L’uso di Internet per la gestione del processo di recruiting può anche abbreviare i tempi,

il che permette di coprire i posti vacanti più rapidamente e di conquistare i candidati

prima che cedano ad altre “lusinghe”; esistono delle applicazioni anche in grado di

automatizzare la ricezione elettronica dei CV, di effettuare i test di selezione all’ingresso

e le verifiche del background. Grazie a tali strumenti, aziende come la Cisco hanno

ridotto il ciclo di recruiting (l’intervallo di tempo che separa il contratto iniziale dalla

firma del contratto) di oltre il 60% in tre anni.

Internet sarà anche il canale più innovativo, ma il mezzo più efficace per scovare

candidati rimane ancora il passaparola; tutti i componenti dell’azienda dovrebbero agire

come talent scout. Attraverso la partecipazione ad associazioni, convegni, chatroom, i

dirigenti possono riuscire a costituire un loro network di candidati e sfruttare quindi il

patrimonio inutilizzato che sta nelle proprie agende

Per conquistare i candidati più interessanti, le aziende devono, dunque, giocare le carte

migliori di cui dispongono e quindi disporre in prima linea i propri high performer sul

fronte del recruiting poiché “la mediocrità non riconosce nulla di superiore a sé stessa,

ma il talento riconosce il genio”33

In definitiva, nel mercato dei “talenti” di oggi è l’azienda che si vende al candidato, che

lo convince ad accettare l’offerta; tutte le fasi del processo devono tradursi in un abile

corteggiamento persuasivo, gradevole e ben studiato con l’obiettivo di far sentire il

candidato desiderato ed apprezzato.

4. Fare dello sviluppo una caratteristica intrinseca dell’organizzazione

Per vincere la “Guerra dei Talenti” le aziende sviluppano le proprie Risorse Umane;

ovviamente non tutti possono essere trasformati in “superstar”. Tutti, però, possono

essere impiegati ai limiti delle loro capacità, utilizzando le esperienze sul campo,

31 Sorkin R. A. , “Private Sector; for Job Hunters on the Job, a way to keep the Halo”, The New York Times, 23/02/09 32 Useem J. , “For Sale Oline: You”, Fortune, 05/07/1999 33 Sir Arthur Conan Doyle, medico inglese e scrittore; tra i suoi successi letterali si annoverano le storie di Sherlock Holmes

Page 23: Tesi di Angelo Anello

22

assicurando un coaching e un feedback costante e facendo del mentoring34 una realtà che

attraversi l’intera azienda.

Le persone necessitano di nuove sfide e di nuove esperienze per crescere; hanno bisogno

di compiti che non sanno ancora affrontare, cioè di incarichi professionalizzanti che

mettono strategicamente a dura prova i collaboratori più dotati di “talento”, ma anche di

compiti diversificati. Lombardo, McCall e Morrison35 hanno identificato le diverse

tipologie di sfide che rappresentano delle significative esperienze di sviluppo, tra le quali:

il passaggio da compiti di linea a compiti di staff, la gestione completa di progetti

complessi e la ristrutturazione di business in crisi. I progetti speciali, che hanno obiettivi

specifici e durano alcuni mesi, rappresentano, ad esempio, delle eccellenti opportunità di

sviluppo; in genere richiedono un problem solving mirato, un approccio multidisciplinare

integrato, la capacità di lavorare in team ed una leadership persuasiva piuttosto che

autocratica.

Un’azienda che vuole vincere questa guerra pensa alla mansione, non in termini rigidi ed

esplicitamente definiti, ma in termini aperti e flessibili e cioè invitando i collaboratori ad

identificare le opportunità per rilanciare un prodotto, a commercializzarlo in nuovo paese,

o ad individuare le possibilità di avviare una nuova attività o per migliorare la relazione

con un cliente.

Il processo di assegnazione alle mansioni dovrebbe coinvolgere tutti i “talenti”

dell’organizzazione e dovrebbe avere una funzione esplicita ai fini dello sviluppo; a tal

fine il CEO metterà in discussione la pratica tradizionale, per cui si promuove il

successore naturale secondo una linea di crescita gerarchica, utilizzando due approcci

alternativi per l’assegnazione degli incarichi.

Il primo è quello della “scacchiera”, in cui il CEO e il responsabile dello sviluppo

professionale identificano, per ogni posizione vacante, una rosa di candidati che

sottopongono al responsabile delle assunzioni, al quale competono le decisioni finali.

La seconda strategia consiste nell’approccio del “libero mercato”, in cui i candidati

interni e i responsabili di funzione si incontrano; i primi individuano le opportunità che

34 Relazione tra un soggetto con più esperienza, denominato mentor, e uno con meno esperienza, al fine di consentire a quest'ultimo di essere guidato e protetto da un soggetto di maggiore importanza e rilievo. 35Membri del “Centre for creative Leadership” della regione statunitense del North-Carolina e autori del libro “The Lessons of Experience: How successful executives develop on the job”, Lexington Books, 1988

Page 24: Tesi di Angelo Anello

23

giudicano di loro interesse e offrono la propria disponibilità, mentre i secondi esaminano

tutte le candidature e decidono sull’assunzione.

La GE, ad esempio, usa l’approccio della scacchiera per le prime 500 posizioni

manageriali; quando c’era una posizione vacante, Jack Welch36, insieme al responsabile

delle risorse umane Bill Conaty e al responsabile dello sviluppo professionale Chuck

Okosky, predisponeva una lista di possibili candidati sulla base delle informazioni e delle

indicazioni sviluppate nella Sessione C, la review dei “talenti” che si tiene annualmente

in GE. Tale rosa comprendeva i candidati “naturali” ma anche dei candidati inattesi che

venivano inseriti proprio per cercare di modificare l’approccio tradizionale alla selezione

interna; i tre tenevano anche conto delle più recenti valutazioni delle performance e delle

preferenze personali di ciascun candidato. Alla fine, era il responsabile delle assunzioni a

scegliere la persona da assegnare alla posizione vuota37.

Oltre ad incarichi professionalizzanti, i collaboratori necessitano di sentirsi dire come

stanno andando, in che cosa eccellono e in quali aree dovrebbero migliorare la loro

performance; la consapevolezza di sé è infatti un fattore determinante per una crescita

continua e le aziende che vogliono raggiungere tale obiettivo utilizzeranno feedback

continui e coaching sui punti di forza e debolezza dei dipendenti. Il feedback comunica

alle persone l’eccellenza e le aree da migliorare; consiste in un giudizio sincero ma non

distruttivo sulla qualità della performance del collaboratore. Il coaching è il processo

attraverso il quale si aiutano individui e gruppi di persone a realizzare obiettivi che da soli

non potrebbero raggiungere in modo veloce ed efficace, sostenendo le loro scelte e

offrendo loro gli strumenti per ricercare in sé stessi le risorse necessarie per attuare

precisi e mirati piani d’azione per il raggiungimento del successo; obiettivo principale è

far emergere le capacità dei collaboratori, non infondendo competenze e informazioni ma

accendendo quelle che sono già presenti in loro.

36 Jack Welch ha iniziato la propria carriera in General Electric Company nel 1960 e nel 1981 ne è divenuto l’ottavo presidente e CEO; durante il suo lungo mandato, la capitalizzazione di GE è aumentata di 400 milioni di dollari.Welch è attualmente presidente della Jack Welch, LLC, con cui opera in veste di consulente per i CEO di un gruppo ristretto di aziende della classifica Fortune 500, e come conferenziere internazionale.È autore del bestseller Jack: Straight from the Gut, arrivato al primo posto nella classifica del New York Times.

37 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002

Page 25: Tesi di Angelo Anello

24

Un manager che sa utilizzare a 360° il feedback e il coaching da indicazioni verbali

sulla performance con una certa frequenza e fornisce feedback scritti un paio di volte

l’anno.

Feedback e coaching da soli non sono sufficienti a fare dello sviluppo una caratteristica

intrinseca dell’organizzazione; i dirigenti punteranno anche sul mentoring, relazione che

sussiste tra un soggetto con più esperienza, denominato mentor, e uno con meno

esperienza, al fine di consentire a quest'ultimo di essere guidato e protetto da un soggetto

di maggiore importanza e rilievo. E’ una pratica che alimenta l’autostima delle persona

attraverso elogi, incoraggiamenti e fiducia nella capacità del collaboratore di fare grandi

cose; a volte il mentore dà un feedback doloroso ma con profondo tatto, aiutando

l’individuo a rientrare in gioco; alcune aziende affidano formalmente i giovani ad alto

potenziale a dei colleghi senior, mentre altre si limitano ad incoraggiarli.

Ad esempio, l’Arrow Electronics è riuscita ad istituzionalizzare l’idea che i manager

debbano dare incoraggiamento, supporto e assistenza ai propri collaboratori, facendo del

mentoring una realtà consolidata. L’azienda ha in atto diversi programmi per

l’assegnazione formale dei mentori: il programma Worldwide Mentoring, destinato ai top

manager, è uno dei più importanti; la chiave del suo successo sta nel processo di

assegnazione centralizzato per cui è il senior management, e non il dirigente, che si

preoccupa di trovare la massima affinità tra mentore e “allievo”. In Arrow ogni unità è

libera di decidere se e quando iniziare un programma di mentoring ed ogni unità ha anche

ampi margini di autonomia riguardo alle modalità e ai contenuti del programma.

L’azienda ha potuto verificare direttamente che i suoi programmi di mentoring producono

svariati benefici: in primo luogo, costituiscono un mezzo efficace con cui la Arrow può

mantenere un filo diretto con i collaboratori chiave, attualmente sparsi in trentotto paesi;

in secondo luogo, essi offrono ai collaboratori dei vari uffici periferici la possibilità di

condividere i valori e la filosofia di leadership dell’azienda attraverso il contatto diretto

con altri senior manager38.

Ultimo elemento che gioca un ruolo importante nella crescita dei manager è il “training

aziendale”; sono due le tipologie di formazione che contribuiscono a rendere lo sviluppo

una caratteristica intrinseca dell’organizzazione:

38 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002

Page 26: Tesi di Angelo Anello

25

• La formazione manageriale di base, che comprende la conoscenza delle

discipline di management (particolarmente utile per i manager più giovani) ma

anche il training sulle competenze trasversali, quali la comunicazione o le

relazioni interpersonali; essa può essere acquisita in aula o attraverso

l’apprendimento autonomo.

• Lo sviluppo della leadership, attraverso programmi di action learning che si

sostanziano nella risoluzione di problemi concreti e rilevanti come, ad esempio,

valutare l’opportunità per l’azienda di entrare in un nuovo paese.

Sebbene la formazione non coincida con l’apprendimento (e neppure lo garantisca), essa

contribuisce comunque alla crescita del manager.

E’ necessario sottolineare che, in definitiva, lo sviluppo delle competenze è qualcosa in

più della somma di un coaching efficace, di un mentoring istituzionalizzato o di una

formazione mirata; lo sviluppo non è sempre lineare, perché le difficoltà si associano

inevitabilmente ai progressi. E’ un processo in continua espansione che non conosce

fine39.

5. Differenziare e valorizzare i collaboratori

La differenziazione dei collaboratori è attuata attraverso un preliminare processo di

valutazione delle loro prestazioni e del loro potenziale, a cui segue una classificazione

degli stessi in diverse classi, ognuna delle quali è caratterizzata da differenti

riconoscimenti in termini di carriera, di retribuzione e di opportunità di sviluppo.

Il caso della Royal Air Force40 può far comprendere meglio quali siano i vantaggi

conseguenti ad una scelta di segmentazione/differenziazione delle proprie leve.

La battaglia d’Inghilterra iniziò nell’estate del 1940, quando i piloti tedeschi attaccarono

dal cielo nel tentativo di aprire la strada all’invasione della Gran Bretagna.

L’Inghilterra venne colta di sorpresa: la Royal Air Force (RAF) non possedeva un

numero sufficiente di aeroplani, ma soprattutto non aveva abbastanza piloti; per

contrastare la supremazia aerea del nemico, la RAF decise di suddividere questi ultimi in

39 come scrisse un saggio anonimo : ”Se tutti i cieli fossero pergamene, se tutti gli uomini fossero scrivani e tutti gli alberi della foresta fossero penne, non basterebbero comunque a mettere per iscritto tutto quello che ho imparato dai miei maestri; eppure quello che ho appreso da loro non sono che poche gocce nell’oceano del sapere”. 40 Terraine J. , “A Time for Courage: The Royal Air Force in the European War, 1939-1945”, Macmillan, 1985

Page 27: Tesi di Angelo Anello

26

tre categorie: A, B e C. Gli squadroni A erano costituiti dai piloti più bravi in assoluto, gli

squadroni B erano meno esperti nel combattimento aereo, ma i comandanti della RAF li

incoraggiavano e li addestravano continuamente; gli squadroni C, invece, venivano

lasciati a terra il più possibile.

Nonostante l’esigenza di avere a disposizione un numero maggiore di piloti, la RAF si

rendeva conto che mandare in battaglia i piloti del gruppo C significava mandarli al

massacro. Nel giro di pochi mesi, l’aviazione britannica aveva però sviluppato una forza

di combattimento ben addestrata e molto motivata e, nel Novembre del 1940, i piloti

avevano respinto l’attacco dell’aviazione tedesca41.

Come la RAF riuscì a realizzare l’impossibile segmentando la sua forza di

combattimento, così le aziende possono ottenere una performance migliore

differenziando la propria forza lavoro attraverso un processo di classificazione della

stessa in tre classi distinte: gli high performer, gli average performer e i low performer.

I primi producono costantemente risultati elevati e ispirano e motivano gli altri; sono

determinanti per la performance aziendale e contribuiscono infatti a creare valore per gli

azionisti, direttamente o indirettamente, attraverso la capacità di motivare gli altri. Si

tratta di persone che hanno bisogno di ricevere un feedback sincero e completo sui loro

punti di forza e debolezza, un coaching costruttivo e stimolante, un mentoring adeguato e

che, infine, necessitano di compiti sfidanti che mettano alla prova le loro abilità. Tuttavia,

differenziare le opportunità di sviluppo rappresenta un punto di partenza; è necessario

differenziare anche il sistema premiante e cioè mettere in diretta relazione stipendio e

valore creato.

Gli average performer sono dei lavoratori affidabili che soddisfano regolarmente le

aspettative ma che hanno spazi di crescita limitati; non spiccano quanto gli high

performer, ma senza di loro l’azienda rimarrebbe paralizzata. L’obiettivo è accrescerne le

capacità, caricarli di energia e trattenerli con un investimento adeguato. I dirigenti

dimostreranno di avere fiducia in loro mettendoli di fronte a sfide stimolanti e assegnando

responsabilità sempre maggiori; tali azioni potrebbero riuscire a svilupparne la

produttività e la soddisfazione e ciò aiuterà molti di loro a riqualificarsi come un high

performer.

41 come disse Winston Churcill “mai nella storia del genere umano tanti dovettero tanto a così pochi”

Page 28: Tesi di Angelo Anello

27

Infine, il low performer è quasi sempre una persona che produce risultati appena

accettabili e non crea quasi mai nulla di audace o d’innovativo; nei loro confronti lo

scopo è migliorare la loro performance oppure collocarli in altre posizioni in cui possono

avere successo o in extremis allontanarli dall’azienda. Per quanto sia oneroso eliminare i

low performer, i costi occulti della mancata rimozione sono ancora più elevati; essi,

infatti, sono dei pessimi capi: non contribuiscono allo sviluppo dei collaboratori, non

sono di esempio, non sanno fare coaching e non accrescono né la produttività né il

morale di chi li circonda. I low performer tendono inoltre ad attirare altri low performer;

è la cosiddetta regola dei mediocri: i manager scadenti assumono dei collaboratori molto

più scadenti perché si sentono minacciati da chiunque sia più bravo di loro. Gestire questa

fascia di collaboratori è spiacevole e imbarazzante; molti di loro hanno dato in passato un

contributo importante e dunque molti responsabili si sentono paralizzati nel mettere ai

margini collaboratori che rappresentavano figure chiavi nei precedenti esercizi. Qual’è

allora il miglior modo di agire nei loro confronti? In General Electric, ad esempio, ai low

performer si dà tutto il tempo necessario affinché migliorino la loro performance dopo

aver ricevuto un feedback esauriente ed un coaching adeguato; se non rispondono a

dovere, i dirigenti predispongono un piano di transizione per favorirne l’uscita. L’azienda

è convinta che il proprio business si muova troppo in fretta rispetto alla capacità di

recupero di queste persone e non crede sia utile ricollocarli da qualche altra parte. Per

Intel, invece, il low performer, che in passato era stato un high performer, va spostato

lateralmente o assegnato a una posizione di livello inferiore in cui possa dare una

performance quantomeno media42.

Strettamente collegata alla differenziazione dei dipendenti è la valorizzazione delle

prestazioni. Valorizzare significa far sentire i collaboratori apprezzati, riconosciuti e

considerati per il loro contributo; la valorizzazione aiuta a migliorare la performance e la

soddisfazione professionale delle singole persone. Il principio più radicato nella natura

umana è il desiderio di sentirsi apprezzati; quando non lo si è, l’individuo si demoralizza,

diventando più incline a lasciare l’azienda.

Differenziare e valorizzare i collaboratori vuol dire, dunque, valutarli adeguatamente; uno

è il processo da cui non si può prescindere: una rigorosa review dei “talenti”, la quale

costituisce la spina dorsale di una proficua gestione delle Risorse Umane. Essa consente

42 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002

Page 29: Tesi di Angelo Anello

28

di valutare i collaboratori rispetto a standard di eccellenza nella leadership; rappresenta

la base per l’allocazione delle opportunità, per gli interventi retributivi e consente ai

dirigenti di scoprire i punti di forza e i punti di debolezza di ogni pool di “talenti” a

disposizione delle diverse unità organizzative.

Qualsiasi processo di review dei “talenti” potrebbe essere strutturato come segue:

1. La riunione viene aperta con una panoramica degli obiettivi di business e con

una discussione strutturata sulle problematiche di gestione del “talento” che

ostacolano la funzionalità del business stesso e il perseguimento degli obiettivi

di performance aziendali; lo scopo della review è capire qual è il mix di “talenti”

necessario per realizzare la strategia di business.

2. Sono quindi definiti i comportamenti che caratterizzano la performance elevata,

quella media e infine quella bassa.

3. Per ogni collaboratore vengono discusse le performance e il potenziale,

identificando, alla fine, i punti forti, i punti deboli e le esigenze di sviluppo; la

valutazione è effettuata sulla base di uno standard ottimale che include le

competenze e i valori che si richiedono ai manager della propria

organizzazione.

4. I nomi delle persone esaminate sono collocati all’interno di uno schema che,

utilizzando uno strumento di valutazione semplice e condiviso dalle diverse

business unit, segmenta i collaboratori in high performer, average performer e

low performer.

5. Dopo aver classificato i collaboratori sono decise le azioni specifiche da

intraprendere verso ognuno di essi; l’obiettivo è fare in modo che dalla

discussione derivino delle conseguenze effettive sulla carriera.

6. Per ogni business unit viene messo in atto un processo di valutazione della

qualità complessiva dei “talenti” a disposizione di ognuna e sono quindi

formalizzati dei piani d’azione specifici per rafforzarne il pool di “talenti”.

7. Infine ogni manager viene responsabilizzato della realizzazione concreta del

piano d’azione

La review dei “talenti” rappresenta, quindi, il punto di partenza per differenziare e

valorizzare i collaboratori. Gli aspetti salienti di questo processo sono la qualità del

dialogo, la chiarezza dei piani d’azione e la loro successiva realizzazione; sono questi

Page 30: Tesi di Angelo Anello

29

momenti che, se ben curati, potrebbero apportare un contributo positivo alla performance

aziendale.

La scelta di differenziare e valorizzare i propri collaboratori fa dell’azienda l’ambiente

meritocratico che i manager di “talento” ricercano.

Il caso Georgia-Pacifing Packaging

La Georgia-Pacifing Packaging è un esempio emblematico di un’organizzazione

altamente competitiva nella “Guerra dei Talenti”.

L’azienda produce grandi volumi di scatole in cartone ondulato; nel 1997 ha ricavato da

questi prodotti circa 1,4 miliardi di dollari. Le scatole sono prodotte in cinquanta unità

produttive sparse per tutti gli USA.

All’inizio del 1998, Steve Macdam divenne il nuovo Senior Vice President della divisione

“Containerboard & Packaging” della Georgia-Pacific; nei primi mesi del suo mandato

Macdam si mise al lavoro insieme al suo team, costituito da cinque regional manager,

per il miglioramento di una serie di voci tra cui la produttività, la sicurezza e la qualità. Si

capì ben presto che il miglioramento in tutte quelle aree dipendeva dalla bravura dei

general manager (gm) delle unità produttive.

Macdam esordì chiedendo ai cinque componenti del suo team di riunirsi per valutare i

cinquanta gm con sincerità, attraverso accese discussioni che duravano ore, affinché ne

classificassero, su una scala a cinque punti, il pensiero strategico, la leadership, l’etica di

performance e i risultati finanziari. Macdam visitò tutti e cinquanta i responsabili di unità

e li ascoltò con attenzione; il gruppo definì cinque principi per un’efficace gestione del

“talento”: sincerità, differenziazione, promozione o allontanamento su basi ragionate,

attenzione per le persone e le loro carriere, valorizzazione. In base a questa valutazione, il

team decise di sostituire metà dei general manager perché non c’era la possibilità di

ricollocarli all’interno dell’organizzazione.

Trovare dei nuovi manager significava lanciare una campagna intensiva di recruiting, ma

nel giro di sei mesi i nuovi general manager erano già stati assunti: sei venivano

dall’interno e gli altri erano stati assunti dall’esterno sulla base di una dimostrabile

Page 31: Tesi di Angelo Anello

30

esperienza nel settore; Macdam e il suo team collaborarono direttamente con ognuna

delle cinquanta unità produttive per definire gli obiettivi di produttività, qualità, sicurezza

e profitto. Ma nonostante l’immissione dei nuovi gm, non fu una cosa facile.

Mentre procedeva nell’attuazione dei suoi piani, il gruppo dirigente della Georgia-Pacific

cominciò a rendersi conto che sostituire i general manager non significava cambiare

faccia al business da un giorno all’altro; prima di poter effettuare un effettivo

cambiamento, bisognava affrontare la carenza di “talenti” che penalizzava le singole

unità produttive. Il problema era che negli ultimi venticinque anni la maggior parte di

quelle unità erano state gestite nello stesso modo dalle stesse persone, ed erano dunque

caratterizzate da una forte resistenza al cambiamento; nello stabilimento di Chicago, per

esempio, Steve Wells, il nuovo gm, scoprì che occorrevano delle misure estreme: la

fabbrica non produceva un dollaro di profitto da più di vent’anni e, anzi, nel 1998 aveva

perso 5,3 milioni di dollari. Sotto la guida del suo regional manager, Wells affrontò il

problema del “talento” intervistando e valutando tutti i dipendenti chiave; scoprì di avere

in generale un gruppo di ottimi lavoratori che mancavano semplicemente di direzione,

incentivi e leadership. Una volta messo in piedi il suo team, il nuovo general manager

cercò di aprire una linea di comunicazione con i suoi collaboratori fissando una riunione

settimanale in cui tutti gli operai gli riferivano sull’andamento del loro reparto. Wells

chiese a queste persone di mettere a punto una volta mese la mission e gli obiettivi della

fabbrica, attraverso esercizi di team-building che li misero in condizione di dare voce ai

problemi senza abbandonarsi a sterili critiche; a seguito di queste discussioni, si crearono

delle task force che vennero responsabilizzate sulla soluzione dei problemi riscontrati. I

risultati conseguiti da Wells furono gratificanti: nel giro di un anno i lavoratori dell’unità

produttiva ricominciarono a formare un team; il bilancio annuale passò da una perdita di

0,4 milioni di dollari nel 1999 ad un profitto di 3,3 milioni di dollari nel 2000.

Terry Cinotte, uno dei cinque regional manager, rimase profondamente colpito dai

cambiamenti che i nuovi gm, come Wells, avevano saputo realizzare; era abituato a

dedicare il 70% del suo tempo a guidare iniziative e a dirigere persone, ma con l’avvento

dei nuovi general manager passò il 70% del suo tempo ad inserire manager di “talento”

nelle posizioni più critiche delle sue unità produttive. Il “talento” era la chiave di tutto.

Prima dell’avvento di Macdam (il nuovo Senior Vice President) i dirigenti non si erano

accorti che una migliore qualità dei “talenti” avrebbe fatto una differenza notevole;

Page 32: Tesi di Angelo Anello

31

nell’azienda infatti era totalmente assente un processo di review dei “talenti”: non c’era

sincerità, non si promuoveva e i low performer non venivano allontanati.

Alla conclusione del primo anno del suo mandato, Madcam aveva sostituito 96 dirigenti

su 246; con la nuova struttura manageriale il Senior Vice President e il suo team avevano

incrementato i profitti da 20 a 80 milioni di dollari in un solo anno, senza ritoccare i

prezzi.

Messosi alle spalle quel massiccio intervento sui “talenti”, Macdam rivolse l’attenzione al

lungo termine; la Georgia-Pacific iniziò a costruire un programma formativo per i

manager basato su quattro principi.

Primo: collocare sempre la persona più qualificata nella posizione vacante e non solo

colui che ha avuto una formazione specifica.

Secondo: sono i collaboratori che devono richiedere la formazione spinti dal desiderio di

migliorarsi.

Terzo: la formazione deve essere tempestiva.

Quarto: trovare il modo di misurare l’impatto della formazione.

Mcdam disse ai suoi collaboratoti: “Se vuoi diventare un responsabile di unità produttiva,

ci sono quattro competenze tecniche e tre competenze di leadership che devi

assolutamente avere e noi ti informiamo a che punto sei in ciascuna di esse. Una volta

che sai esattamente quali sono i tuoi punti di forza e debolezza, tocca a te. Io ti consiglio

di cercare coaching e feedback e di iscriverti ad un programma di formazione.”

Il risultato finale fu un aumento dei profitti, l’adozione di un sistema meritocratico, la

crescita dell’entusiasmo e della motivazione delle persone e infine l’adozione di un

programma di formazione. Un ottimo impatto per essere il primo anno43.

1.6 - Il Talent Relationship Management e l’Employee Referrals Program

Una cultura orientata al recruiting può, quindi, facilitare la ricerca degli outsider giusti. Il

Talent Relationship Management44 (TRM) è un particolare approccio di recruiting

finalizzato a sviluppare un’efficace e stabile relazione con i propri candidati.

43 Michaels E. , Handfield-Jones H. , Axelrod B. , “La Guerra dei talenti”, Etas, 2002 44 Amendola E. , “Il TRM per gestire le relazioni con i propri candidati”, www.monster.it

Page 33: Tesi di Angelo Anello

32

L’obiettivo principale di una strategia di TRM è quello di sviluppare un pool di candidati

di “talento” da alimentare costantemente e dal quale attingere per ricoprire le posizioni

vacanti ma anche e, soprattutto, per quelle che potrebbero liberarsi in futuro; in altre

parole, più candidati qualificati un’azienda riesce a conoscere, più opportunità ha di

promuovere se stessa e più facilmente riuscirà ad individuare l’outsider giusto da

assumere all’interno di un gruppo di candidati potenziali pre-selezionato.

Si tratta di un approccio al recruiting non reattivo o legato ad un bisogno emergente ma

continuo e sistematico; il TRM consente, quindi, di costruire buone relazioni con i

potenziali candidati attraverso le quali l’azienda ha l’opportunità di attivare processi di

comunicazione/scambio e di “educazione” destinati a durare nel tempo.

Un possibile processo di Talent Relationship Management può iniziare attraverso la

registrazione e/o l’invio on line, da parte dei candidati, del proprio Curriculum Vitae; tali

dati sono fatti confluire in un database e successivamente esaminati allo scopo di

individuare i profili più interessanti. Tra questi solo alcuni verranno selezionati per le

posizioni cosiddette “aperte”, mentre gli altri confluiscono nel “Talent Pool” il quale

viene poi segmentato secondo particolari criteri definiti dall’azienda in base alle proprie

esigenze future di recruitment.

Solitamente quando si parla di TRM si pensa allo sviluppo dell’employment web site o

all’utilizzo di database oppure a strumenti quali Blog e i Social Network; accanto a tali

strumenti ne esistono altri che permettono di raggiungere i medesimi risultati e che, allo

stesso tempo, non richiedono investimenti particolari. Si tratta, perlopiù, di semplici

strategie con le quali è possibile costruire buone relazioni attraverso, ad esempio, meeting

con scuole, Università, associazioni studentesche o con qualsiasi altro tipo di comunità in

grado di raggruppare al suo interno persone che possono essere o possono diventare

ottimi candidati target.

Anche la sponsorizzazione di eventi, siano essi convegni o conferenze, costituiscono una

valida opportunità per parlare dell’azienda e avere visibilità nei confronti di un pubblico

target; a tali attività di sponsorship si aggiunge anche l’uso di software specifici quali

quelli di “contact management” in grado di fornire interessanti benefici per le proprie

attività di recruiting nella misura in cui permettono di tenere traccia dei profili dei

candidati chiave ed avere tutte le informazioni utili su ciascuno di essi.

Page 34: Tesi di Angelo Anello

33

Un efficace TRM non può, inoltre, prescindere dall’uso dei cosiddetti “Employee

Referrals Programs”, ovvero dall’uso di programmi specifici di recruiting,

accuratamente definiti e sviluppati, che consentono di attrarre ed inserire, all’interno

dell’azienda, individui qualificati grazie al lavoro “incentivato” di alcuni dipendenti

chiave dell’organizzazione stessa45. Da una recente ricerca condotta del MIT Sloan

School of Management risulta che i principali vantaggi connessi allo sviluppo di un

Employee Referral Program siano soprattutto collegati alla capacità di reclutare

personale in grado di garantire una maggiore produttività sul lavoro; in altre parole i

dipendenti assunti attraverso tali programmi tenderebbero ad avere una performance

superiore rispetto a coloro che sono stati assunti con l’aiuto di altri strumenti di

reclutamento. Tali collaboratori, inoltre, tenderebbero anche a rimanere più a lungo in

azienda, il che consente di godere di un vantaggio rilevante legato ad un più basso turn

over degli outsider giusti. Ulteriore vantaggio è quello di ottenere una più bassa

percentuale di candidature non qualificate e ciò grazie al fatto che l’ Employee Referral

Program tende a migliorare il processo di recruiting rendendolo più mirato sui candidati

target. L’utilizzo di tali programmi consente, infine, la possibilità di ottenere un elevato

ROI e cioè un ottimo risultato in termini di reclutamento di candidati qualificati a fronte

del quale la spesa impiegata è assolutamente più bassa rispetto a quella che richiederebbe

l’utilizzo di canali alternativi di recruiting46.

Attraverso lo sviluppo dell’Employee Referral Program il processo di reclutamento

risulta, quindi, molto più rapido ed efficace; i dipendenti, infatti, oltre ad essere più

responsabilizzati nel trovare candidature qualificate, sono in grado anche di individuare

persone più simili a loro in termini di capacità/skills e cultura, e, quindi, candidati più in

linea con il profilo ricercato dall’organizzazione stessa.

45 Il primo esempio conosciuto di Employee Referral Program è rappresentato da un decreto firmato da Giulio Cesare, contenuto all’interno del British Museum di Londra, nel quale si prometteva 300 sesterzi ad ogni soldato che fosse stato in grado di segnalarne un altro che, se ritenuto capace, sarebbe entrato a far parte dei valorosi guerriglieri Romani. 46 Amendola E. ,”Corporate Recruitng”, Anthea Consulting s.r.l., 2008

Page 35: Tesi di Angelo Anello

34

CAPITOLO 2

L’EMPLOYER BRANDING PER IL RECRUITING E LA RETENTION DELLE RISORSE UMANE

2.1 – Le basi dell’Employer Branding

Il significato di “brand” risale al 1800, periodo in cui il bestiame veniva marchiato a

fuoco per consentirne l’identificazione; con il tempo il suo significato originario si è

ulteriormente ampliato, rafforzando ancora di più il suo ruolo identificativo.

Il brand (marchio), secondo l’accezione di Kotler, è un nome, un termine, un segno, un

simbolo, un disegno o una combinazione di questi, che identificano i beni o servizi di

un’impresa (product brand) o l’impresa stessa (corporate brand) al fine di differenziarsi

rispetto la concorrenza47. Oggi il brand ha acquisito un significato ancora più

multidimensionale, che comprende non solo gli aspetti distintivi, quali il nome e

l’immagine visiva (brand identity), ma anche il livello di notorietà e la fedeltà al marchio

(brand awareness), la promessa del marchio (brand essence), le percezioni dei

consumatori (brand image)48.

Il brand, quindi, è uno strumento indispensabile per raggiungere gli obiettivi di

comunicazione che l’impresa vuole realizzare sia a livello di prodotto (product brand),

sia a livello di realtà istituzionale (corporate identity); se la creazione della brand identity

è così importante per attirare e fidelizzare i clienti (brand loyalty) allora diventa

altrettanto importante e possibile assumere lo stesso impegno per attrarre e trattenere

Risorse Umane di “talento” attraverso azioni più mirate come l’Employer Branding.

L’Employer Branding si può definire come una strategia di marketing finalizzata a creare

un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’impresa intesa come employer (luogo

47 Kotler P. , “Marketing management”, McGraw-Hill, 2005 48 “Il Marchio: cos’è, perché e come tutelarlo”, www.ismark.it

Page 36: Tesi di Angelo Anello

35

di lavoro), in sintonia con il target di riferimento e ben distinta da quella dei competitors,

attraverso la quale attrarre, fidelizzare e trattenere le persone di “talento”49.

L’adozione di una strategia di Employer Branding sarà tanto possibile quanto maggiore

sarà la relazione esistente tra le azioni di corporate branding e la gestione delle Risorse

Umane, sia in termini di recruiting che di retention di “talenti”; per comprendere al

meglio tali relazioni è utile mettere in relazione due parametri:

• Il ruolo del brand nelle strategie di business

• Il valore delle Risorse Umane percepito nel processo di branding.

Dall’incrocio delle due variabili derivano 4 contesti50 in cui sono collocate le aziende:

• Nel 1º contesto il brand è visto come un semplice simbolo da associare ai prodotti

e/o servizi realizzati dall’azienda; si tratta di casi di aziende molto piccole o start-

up, nelle quali l’impegno ed il coinvolgimento delle HR (Human Resources) nello

sviluppo delle azioni di branding è decisamente ridotto.

• Il 2º contesto rappresenta aziende che, pur avendo una propria corporate brand

e/o logo istituzionale, preferiscono sviluppare e consolidare azioni di branding

differenti per ciascuno dei prodotti (o servizi) o perché sono stati acquisiti sul

mercato e godono già di una buona reputazione, oppure perché si vuole

semplicemente distinguere il valore dei singoli brand di prodotto da quello della

corporate brand. Si parla, in questi casi, di “house of brands”; ne sono un

esempio aziende quali Unilever (con i suoi brands: Algida, Calvin Klein, ecc) e

Procter&Gamble (con Dash, Pringles, Hugo Boss, ecc).

• Il 3° contesto comprende aziende che hanno deciso di fare leva sulla propria

corporate brand per sostenere importanti cambiamenti organizzativi; in questi

casi le funzioni Human Resources hanno un ruolo molto più incisivo nel

supportare tali processi attraverso, ad esempio, la definizione di programmi

formativi e di sostegno in grado di facilitarne lo sviluppo.

• Infine nel 4° contesto sono collocate aziende che considerano la corporate brand

un punto focale della propria strategia aziendale; le direzioni HR assumono,

dunque, un ruolo guida nelle attività di corporate branding, nei processi di

fidelizzazione dei dipendenti, aumentando il commitment organizzativo (il grado

49 Amendola E. ,”Corporate Recruitng”, Anthea Consulting s.r.l., 2008 50 Martin G. , Hetrick S. , “Corporate Reputations, branding and people management: a strategic approach to HR”, Oxford, Butterworth-Heinemann

Page 37: Tesi di Angelo Anello

36

con cui un individuo si identifica con un’organizzazione e si sente in sintonia con

essa51) e sviluppando attività più mirate di Employer Branding (ad esempio

Virgin, Sony, Google).

L’azienda ottiene un efficiente posizionamento sul mercato target del lavoro se, nello

sviluppo del proprio employer brand, fa leva soprattutto su quei fattori che al meglio

qualificano la realtà aziendale e la distinguono dai competitors; attrarre i propri candidati

target o fidelizzare i propri dipendenti di “talento” proponendo, ad esempio, efficaci

programmi di formazione (learning&development) e/o un’ottima retribuzione può essere

efficace ma non aiuta l’azienda ad ottenere un posizionamento distintivo rispetto alle altre

realtà aziendali che possono, ugualmente, usare le medesime leve di attrazione.

Un buon ambiente di lavoro (working environment) è molto spesso il risultato di una

buona leadership (ledership style), di un saldo sistema interno di valori e di obiettivi

chiari (vision, values & purpose); può anche essere la conseguenza di come l’azienda

gestisce e sviluppa i suoi “talenti” (talent management e performance management) o

della reputazione di cui gode nei confronti dei suoi stakeholders (reputation

management)52.

2.2 – I driver dell’Employer Branding: i fattori intangibili e i fattori tangibili

L’Employer Branding si basa su un insieme di driver che possono essere classificati in

due categorie: • Fattori intangibili

• Fattori tangibili

I fattori intangibili

I fattori intangibili tendono a giocare un ruolo decisamente più importante nel processo di

definizione dell’employer identity (l’identità di una organizzazione in qualità di datore di

lavoro) e nella costruzione dell’employer brand; tali fattori comprendono:

• La cultura d’impresa e il sistema di valori interno (vision, value & purpose)

Considerando l’evoluzione degli atteggiamenti e delle aspettative del segmento più

critico del mercato del lavoro, la cosiddetta Generazione Y (nati tra il 1978 ed il

1983), emerge quanto quest’ultima sia diventata molto più sensibile ai fattori

51 Tosi H. , Pilati M. , Mero N. , Rizzo J. , “Comportamento Organizzativo”, Egea, 2002 52 Amendola E. ,”Corporate Recruitng”, Anthea Consulting s.r.l., 2008

Page 38: Tesi di Angelo Anello

37

intangibili rispetto alle generazioni passate; come naturale conseguenza di ciò, gli

individui disposti a sacrificare il proprio benessere personale per lavori logoranti

rappresentano un esiguo numero.

Lo sviluppo personale e lavorativo, la possibilità di avere una prospettiva di

lavoro non più orientata alla crescita in senso gerarchico o verticale ma, al

contrario, in grado di garantire esperienze che arricchiscono, oltre il piano

professionale, il punto di vista umano (buone relazioni interne, buon clima

aziendale, alto livello di “bellessere del lavoro”53); la possibilità, quindi, di

muoversi in contesti diversi sia all’interno dell’azienda (job rotation) che al di

fuori della stessa (mobilità internazionale), la possibilità, altresì, di garantire un

maggior bilanciamento tra vita privata e lavorativa e la prospettiva di condividere

con l’azienda una più chiara missione sociale (social corporate responsability)

sono diventate ormai le principali leve di attrazione dei cosiddetti Y-ers.

L’emergere di tali nuovi bisogni potrebbe portare le aziende ad adattare le proprie

strategie di Employer Branding a tali cambiamenti, non semplicemente attraverso

un cambio del proprio “vestito” ma anche agendo, se necessario, attraverso un

radicale mutamento culturale ed organizzativo.

Un impegno importante, che segue tale direzione, è senza dubbio il recupero o la

valorizzazione, da parte dell’azienda, della propria cultura e del proprio sistema di

valori interno; tali fattori sono strettamente connessi con la corporate identity (il

termine fa riferimento all’azienda come realtà istituzionale che, attraverso i propri

valori e la propria cultura, assume un impegno nei confronti dei propri

stakeholders cercando di conquistarne la fiducia) e, se sono sufficientemente forti,

possono costituire una valida cornice di riferimento entro la quale l’azienda può

definire la propria employer identity e sviluppare una più efficace strategia di

Employer Branding. L’attrattività, dal punto di vista aziendale, è configurata

come il risultato della congruenza tra l’individuo e l’organizzazione; in altre

parole, nel processo di attracting e di selezione dei candidati come gli individui

possono essere attratti da organizzazioni con valori simili ai propri, così le

organizzazioni tendono a reclutare candidati che probabilmente condividono i

propri valori. L’Employer Branding fornisce all’azienda gli strumenti necessari a

53 Termine coniato da Enzo Spaltro (Psicologo del lavoro)

Page 39: Tesi di Angelo Anello

38

raggiungere proprio questo risultato e cioè trasferire al proprio mercato una chiara

e distinta employer identity al fine di attrarre l’attenzione solo di quelle persone

che per valori, atteggiamenti, obiettivi, cultura e comportamenti risultano essere in

sintonia con quelli aziendali.

• Engagement e ambiente di lavoro (work enviroment)

Le persone di “talento”, siano essi lavoratori o candidati, desiderano avere una

retribuzione soddisfacente ma anche sentirsi stimolati dal lavoro che svolgono, far

carriera e crescere all’interno dell’azienda. Tali affermazioni sono ampiamente

dimostrate da una serie di studi condotti sull’argomento come, ad esempio,

l’indagine italiana “Job Satisfaction 2007”54, condotta da Od&M in

collaborazione con Job24 (inserto sul lavoro del Sole 24 Ore), la quale mostra che

un numero elevato di persone dichiara di voler cambiar lavoro e di ricercare

nuove opportunità per motivi riconducibili al clima aziendale ed all’ambiente

sociale e motivazionale in cui si lavora; le ragioni per cui si decide di cambiare

lavoro sono, quindi, sempre più legate alla dimensione “soft” dell’azienda ossia

legate ai fattori intangibili.

Uno studio condotto da Hewitt Associates nel 2003, denominato “Best Employers,

Best Results”55, dimostra che sono ancora poche le aziende che hanno realmente

capito questa nuova dimensione; scopo ultimo dell’analisi era quello di aiutare le

aziende a migliorare i risultati di business e la motivazione dei dipendenti

attraverso l’allineamento fra i processi di gestione del business e i processi di

gestione delle persone. In particolare, l’indagine identificava le cosiddette “Best

Employers” come quelle aziende che, più delle altre, considerano gli individui un

asset strategico o hanno una spiccata cultura orientata al recruiting ed al

“talento”; uno dei dati più interessanti che scaturisce da questo studio è proprio

legato al clima aziendale e, soprattutto, alla misura di quello che viene

comunemente chiamato engagement, ovvero la motivazione dei dipendenti ad

avere un maggior impegno rispetto a quello richiesto dallo svolgimento del

proprio compito con il conseguente risultato di generare migliori risultati in 54 L’indagine ha coinvolto circa 2000 intervistati tra dirigenti (11%), quadri (27%), impiegati (55%) e operai (7%); è stata riportata ne Il Sole 24 Ore del 16-5-2007 alla pagina 27 55 L’indagine ha coinvolto 96 aziende, oltre 15000 dipendenti, circa 160 CEO e membri del Board, oltre 70 rappresentanze sindacali; www.hewittassociates.com

Page 40: Tesi di Angelo Anello

39

termini di performance e produttività. Dall’indagine scaturisce che sono poche le

aziende che misurano l’employee engagement; la maggior parte di esse sono

concentrate a realizzare indagini di clima aziendale o di opinione tra i dipendenti.

Misurare l’engagement dei dipendenti significa, invece, utilizzare strumenti che

permettono di misurare che cosa realmente motiva le persone a dare di più; una

volta scoperto questo è possibile agire puntualmente su quei fattori che producono

maggiore motivazione e impegno e ciò aiuta l’azienda a qualificare l’ambiente

interno ed i fattori che la contraddistinguono come luogo di lavoro56.

Un buon engagement interno è una condizione essenziale per lo sviluppo di una

efficace employee value proposition ed, allo stesso tempo, è una prova per i

propri dipendenti della “bontà” della propria employer brand promise

(l’espressione, in chiave comunicazionale, della employee value proposition

ovvero la sua espressione sotto forma di slogan o claim).

Un esempio in questo senso viene da Microsoft, il cui successo è soprattutto

dovuto alla consapevolezza dell’importanza delle Risorse Umane che l’azienda ha

saputo esprimere attraverso una particolare employee value proposition formata

da quattro pilastri:

1. i dipendenti sentono di far parte di un’azienda che ha cambiato il mondo;

2. l’azienda è leader nelle tecnologie e dà ai collaboratori la possibilità di utilizzarle

quotidianamente;

3. vi è una costante ricerca di “talenti” che stimola confronto e apprendimento;

4. l’azienda dà la possibilità ai dipendenti di costruire una carriera premiante e le

persone percepiscono, dunque, che possono sviluppare il loro potenziale57.

• Corporate Reputation e l’Employer Attractiveness La corporate reputation rappresenta un’efficiente combinazione tra la corporate

image e la corporate identity

La corporate image non è altro che il risultato di come l’aziende è vista o

percepita dagli stakehoders; la corporate identity si riferisce, invece, al modo con

cui l’azienda si autodefinisce ed è strettamente collegata alla vision, ovvero alla

56 www.hewittassociates.com 57 Atti del convegno nazionale sul clima organizzativo delle aziende dal titolo “La Employer Corporate Reputation” promosso da Great Plact Work Institute Italia (marzo 2006). Estratto dell’intervento di Luca Valeri (HR Director Microsoft)

Page 41: Tesi di Angelo Anello

40

proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori e le aspirazioni

di chi fissa gli obiettivi (goal-setter), ed è altresì collegata alla propria cultura,

fondata sui valori, sui comportamenti e sugli atteggiamenti esistenti all’interno

dell’organizzazione.

Mary Jo Hatch58 e Majken Schultz59 hanno sviluppato un modello, “The stategic

stars”, in grado di esprimere la reputazione sulla base dei fattori descritti

precedentemente: la corporate image, la corporate vision e la corporate culture.

Essi sostengono che, per costruire una buona reputazione, l’azienda deve

assicurare un perfetto allineamento dei tre elementi; eventuali problemi di gap

possono, quindi, mettere in serio rischio la propria reputazione. Il primo di questi

è il cosiddetto Vision-Culture Gap: si verifica quando il senior management tende

a condurre l’azienda verso una direzione che i dipendenti non comprendono o non

supportano; la situazione si manifesta solitamente a seguito di cambiamenti

interni in base ai quali la nuova vision tende ad essere troppo distante dalla cultura

interna esistente, oppure nel caso in cui la vision non rispetti i valori etici

tradizionali pre-esistenti. Il secondo gap è definito Image-Culture Gap: in questo

caso l’azienda non mette in pratica i propri valori, alimentando confusione tra i

consumatori riguardo la propria immagine; ciò è evidente quando la percezione

che i dipendenti hanno dell’azienda è abbastanza diversa da quella dei

consumatori. L’ultimo gap è il cosiddetto Image-Vision Gap, il quale tende a

manifestarsi quando l’immagine esterna dell’azienda è difforme da quella alla

quale aspira il senior management. L’analisi di tali situazioni è utile perché

consente all’azienda di individuare le aree critiche nelle quali intervenire al fine di

controllare meglio la propria reputazione60.

La corporate reputation è strettamente legata e incide sull’employer

attractiveness, cioè sulla capacità dell’impresa di essere attrattiva nei confronti dei 58 Mary Jo Hatch è docente di “Commerce” alla “McIntire School of Commerce” dell’Università della Virginia; ha pubblicato numerosi articoli di organizzazione aziendale in giornali accademici come l’Academy of Management Review, Human Relations e The Journal of Management Inquiry.

59 Majken Schultz è docente di Organizzazione Aziendale alla Copenhagen Business School. e CEO della VCI Holding ApS.

60 Hatch M. J. , Schultz M. , “Are the Strategic Stars Aligned for Your Corporate Brand?” , Harvard Business Review”, 2001

Page 42: Tesi di Angelo Anello

41

propri dipendenti attuali e potenziali; tale influenza sarà tanto più forte quanto

maggiore sarà l’impegno dell’azienda in attività socialmente apprezzabili. I

collaboratori, infatti, si sentono più gratificati e motivati se appartengono ad

un’organizzazione con un’elevata legittimazione sociale.

E’ importante sottolineare quanto queste relazioni stiano diventando sempre più

importanti nella gestione di una strategia di Employer Branding, la cui prospettiva

futura di sviluppo è strettamente legata alla capacità dell’impresa di gestire ed

integrare al meglio i suoi diversi ruoli: da realizzatore di profitto mediante la

produzione di beni e servizi, a realtà socialmente responsabile grazie ad un

comportamento sempre più etico, ed infine, a “luogo di lavoro” nel quale i

dipendenti attuali e potenziali possono trovare il piacere di lavorare.

I fattori tangibili

La tendenza prevalente delle aziende, tuttavia, è di sottovalutare i fattori intangibili e di

privilegiarne altri che sono molto più pratici e di immediata comprensione e che

rappresentano l’insieme degli strumenti che da sempre l’azienda ha utilizzato nelle

proprie politiche di recruiting e retention : i fattori tangibili.

La retribuzione, i benefits, le opportunità di crescita, la possibilità di lavorare in un

contesto internazionale e la formazione sono alcune delle leve con cui le aziende tentano

di vincere la competizione per la conquista dei “talenti”; elementi necessari ma non

sufficienti a garantire all’azienda un vantaggio competitivo duraturo.

Una strategia di Employer Branding aiuta l’azienda a creare un posizionamento sul

proprio mercato target, tramite il quale l’organizzazione potrà essere percepita come

realtà distinta dalle altre e potrà, altresì, godere di un vantaggio stabile nel tempo. Le leve

citate precedentemente sono molto utili se utilizzate per raggiungere finalità di natura

tattica più che strategica e solitamente sono legate ad azioni di breve periodo come, ad

esempio, la necessità di adattare l’azienda ai cambiamenti di aspettative e/o atteggiamenti

del proprio target di mercato; non sono, invece, sufficienti se l’organizzazione vuole

realmente distinguere la propria realtà employer da quella dei competitors. Per far ciò

sarebbe necessario che l’azienda utilizzi congiuntamente sia i fattori intangibili che quelli

tangibili: i primi costituiscono il suo “codice genetico” con il quale l’organizzazione si

distingue rispetto alle altre realtà; i secondi, grazie alla possibilità di modificarne la

Page 43: Tesi di Angelo Anello

42

natura e l’intensità di utilizzo in base alle necessità di breve periodo, hanno un ruolo

complementare e di rafforzamento della strategia di Employer Branding.

Da un’indagine61 condotta nel 2008 su un campione di 1200 neolaureati, provenienti dalle

diverse aree geografiche del nostro Paese, emergono quali siano i fattori tangibili che

l’azienda solitamente utilizza e soprattutto quali sono quelli che maggiormente vengono

preferiti dal mercato del lavoro. L’indagine evidenzia che più dell’80% del campione è

disposto ad accettare uno stage quale forma contrattuale di ingresso purchè sia retribuito;

ciò dimostrerebbe che i neolaureati sono consapevoli che lo stage è sì un’occasione di

lavoro ma comprendono anche che lo stesso, spesso, viene utilizzato dalle aziende non

per reali necessità di impiego ma per disporre di manodopera qualificata per tempi

limitati e per progetti di breve durata. Manca, quindi, una visione di lungo periodo da

parte delle organizzazioni che potrebbero intensificare l’uso dello stage, coinvolgendo

principalmente gli studenti con i quali è possibile muoversi in una prospettiva di

eventuale assunzione dopo la laurea; ed è per questo che appare contraddittorio il fatto

che alcune aziende lamentino difficoltà nell’attrarre i neolaureati di “talento” quando

sono poi tendenzialmente poco propense a trasformare gli stage in contratti stabili.

Dall’indagine scaturisce inoltre la piena disponibilità del campione (85%) a cambiare

domicilio per motivi di lavoro, non solo all’interno dell’Italia ma anche verso i Paesi

esteri (53%); questo dato dimostra quanto sia cambiato l’atteggiamento dei neolaureati

nei confronti della mobilità nazionale ed internazionale e ciò è molto importante

soprattutto per le multinazionali che, per loro natura e dimensione e avendo filiali anche

all’estero, possono più facilmente attuare piani di mobilità internazionale.

Discorso a parte va fatto per un altro driver tangibile dell’Employer Branding: la

retribuzione. La percezione comune è che siano i manager più giovani, al di sotto dei 40

anni, a mettere ai primi posti la leva retributiva per decidere se intraprendere o no un

nuovo percorso professionale; tale scelta è facilitata anche dal fatto che molti giovani

manager sono liberi da vincoli affettivi e familiari. Tale dato è confermato anche

dall’indagine sui neolaureati: il 73% del campione ha un’aspettativa di guadagno subito

dopo la laurea compresa tra gli 800€ ed i 1200€ netti al mese, il 51% aspira ad una

retribuzione più alta nei tre anni successivi alla laurea; ma non solo, il fattore retribuzione

è considerato una delle leve di maggiore attrattività per più del 32% dei neolaureati

61 Indagine condotta nel 2008 da Anthea Consulting ed Atmen per Randstad

Page 44: Tesi di Angelo Anello

43

intervistati. L’atteggiamento nei confronti della leva retributiva può, invece, cambiare per

il manager più maturo, il quale ha già raggiunto uno status adeguato al proprio livello ed

è, dunque, più interessato a mantenerlo intatto che ad aumentarlo, prestando maggiore

attenzione al fattore sicurezza62.

2.3 - La segmentazione del mercato del lavoro e l’individuazione del target di

riferimento

L’implementazione di una buona strategia di Employer Branding è strettamente legata a

una preliminare individuazione del target di riferimento, resa possibile dal processo di

segmentazione, ed è altresì legata ad una scelta oculata degli strumenti di comunicazione

del proprio employer brand; segmentare il mercato del lavoro equivale a scomporlo in

segmenti omogenei di candidati potenziali di cui l’azienda approfondirà i comportamenti

e le aspettative per orientare al meglio la propria politica di recruiting.

Prima di introdurre le diverse forme possibili di segmentazione è opportuno soffermarsi

sulle trasformazioni che hanno inciso il mercato del lavoro, le quali, innescando un

capovolgimento dei rapporti di forza tra imprese e candidati, hanno fatto della ricerca dei

“talenti” un bisogno particolarmente sentito dalle organizzazioni e, anche, difficile da

soddisfare.

Le competenze si presentano oggi meno standardizzate e quindi più difficilmente

reperibili (skill shortage), la mobilità dei lavoratori è sensibilmente aumentata (dai 20

anni di permanenza in azienda negli anni ’60 ai 5 anni di oggi); a tali fattori se n’è

aggiunto un altro di natura demografica: il workforce shortage. Tale fenomeno consiste

nella difficoltà di trovare persone qualificate appartenenti alla cosiddetta “Generazione

X” (nati tra il 1966 e il 1977) per effetto del forte calo delle nascite registrato nella metà

degli anni sessanta, particolarmente rilevante in Italia; nel 2024 si stima che l’età media

della popolazione italiana raggiungerà i 51 anni rispetto ai 41 in UK, 47 anni in Germania

e 38 anni negli USA.

L’entità di questo fenomeno demografico in Italia viene confermato dai dati forniti

dall’ISTAT sull’andamento futuro della popolazione residente, richiamati nel Grafico 1

62 Amendola E. ,”Corporate Recruitng”, Anthea Consulting s.r.l., 2008

Page 45: Tesi di Angelo Anello

44

Grafico 1 – Previsione della popolazione residente

Fonte: ISTAT, 2008

La natura dei cambiamenti che hanno interessato il mercato del lavoro ha modificato

radicalmente, negli ultimi anni, l’atteggiamento che la maggior parte delle aziende aveva

verso le Risorse Umane, sollecitando l’acquisizione di nuovi approcci nelle loro politiche

di recruiting e di retention dei “talenti”.

Una volta introdotti i mutamenti che hanno inciso sul mercato del lavoro, è possibile

adesso concentrarsi sulle diverse forme di segmentazione, le quali rappresentano la base

per l’individuazione del target di riferimento dell’azienda.

Una prima forma di macro segmentazione, basata sull’età anagrafica dei soggetti,

consente di individuare tre distinte generazioni: i Baby boomers (nati negli anni ’50), la

Generazione X (nati tra il 1966 e il 1977) ed, infine, la Generazione Y (nati tra il 1978 ed

il 1983); tali macro categorie provengono da contesti socio-economici sostanzialmente

differenti (dal miracolo economico agli anni della crisi, per finire con il periodo dei

grandi cambiamenti tecnologici).

I Baby boomers sono oggi rappresentati dagli over 50, individui di grande esperienza che

hanno dimostrato un’elevata fedeltà all’azienda e che stanno entrando nel periodo del

pensionamento lasciando il posto di lavoro ai trentenni o quarantenni; questi ultimi

rappresentano la nuova generazione di manager con una più elevata propensione al

cambiamento. Infine, sono presenti le nuove leve, i giovanissimi, coloro che stanno

entrando adesso nel mondo del lavoro; gli y-ers sono alimentati da bisogni e aspettative

più complessi da soddisfare, sono perfetti conoscitori delle nuove tecnologie, sono pronti

Page 46: Tesi di Angelo Anello

45

a mostrare le proprie attitudini e capacità attraverso le nuove forme di comunicazione: da

Internet ai nuovi strumenti di interazione sociale, quali i blog.

Oltre a questa macro-segmentazione di tipo “generazionale” ne esiste un’altra, di stampo

americano, che identifica segmenti di job seekers (potenziali candidati) in base al livello

di propensione alla ricerca del lavoro; tale segmentazione permette di considerare un

target di mercato trascurato dalle tradizionali strategie di recruiting aziendale

(solitamente indirizzate ad attrarre i candidati attivi, cioè coloro che stanno cercando

opportunità di lavoro), ovvero quello dei cosiddetti candidati passivi, tra i quali spesso si

nascondono “talenti” con atteggiamenti pigri nella ricerca del lavoro.

Per comprendere al meglio tale specifico segmento di mercato è possibile fare riferimento

ad una classificazione proposta da Lou Adler63, mostrata nella Figura 1, nella quale sono

identificate tre aree in cui includere i candidati passivi in funzione del loro grado di

“passività”:

Figura 1 - Classificazione dei candidati passivi

Fonte : Lou Adler

• I primi rientrano nella zona definita “outer ring” e cioè al confine della passività;

si tratta di persone già occupate ma non totalmente soddisfatte del proprio lavoro,

perché mal pagate o non apprezzate, e che potrebbero essere interessate ad un

nuovo lavoro che soddisfi meglio i loro bisogni. Tale gruppo di candidati passivi

63 Lou Adler è il presidente di “The Adler Group”, una società di consulenza che aiuta le aziende a trovare ed attirare i talenti; è autore di diversi best-seller Amazon come “Hire with your head” (John Wiley & Sons, 3rd Edition, 2007).

Page 47: Tesi di Angelo Anello

46

rappresenta il primo verso il quale l’azienda può indirizzare i propri piani di

recruiting.

• La seconda area è denominata “middle circle”; in essa si ritrovano candidati

“semi-passivi”, ovvero individui pienamente occupati ma soddisfatti del loro

lavoro, del team nel quale sono inseriti e delle prospettive di crescita

professionale, per cui non considerano l’idea di cambiare lavoro a meno che

l’alternativa sia significativamente migliore di quella attuale. Dato il livello

elevato di passività, un’azienda interessata ad attrarre tale gruppo può sviluppare

efficaci piani di attracting e recruiting, supportati da una campagna aggressiva di

networking con la quale l’organizzazione riesce a raccogliere informazioni

dettagliate sul profilo di tali persone.

• Infine nella parte “core” della classificazione di Adler si trovano i veri “candidati

passivi” e cioè coloro che sono pienamente soddisfatti del lavoro che svolgono e

per nessuna ragione hanno intenzione di cambiarlo. Diversi sono i perché che

spingono l’azienda a includerli nella propria strategia di recruiting; innanzitutto

perché possono essere molto utili per lo sviluppo del proprio social network (le

loro conoscenze, infatti, possono costituire un importante link per conoscere ed,

eventualmente, assumere altri candidati passivi) e poi perché le circostanze per

cui oggi essi non sono disposti a cambiare lavoro possono radicalmente cambiare.

Adler sostiene che un’azienda con un buon employer brand è più capace delle altre ad

attrarre i candidati passivi; godere quindi di un immagine forte come luogo di lavoro è un

presupposto indispensabile affinché l’azienda possa svolgere con maggiore efficacia la

propria attività di recruiting nei confronti di un target riluttante a cambiare lavoro a meno

che l’offerta proposta dall’organizzazione sia particolarmente attraente per cui valga

veramente la pena di cambiare64.

64 Adler L., “How to Hire Passive Candidates”, www.ere.net

Page 48: Tesi di Angelo Anello

47

2.4 - Lo sviluppo della strategia di Employer Branding:

il modello EBGF

Il modello concettuale a cui si fa riferimento per individuare gli aspetti più importanti di

una strategia di Employer Branding è il cosiddetto EBGF65, Employer Brand Global

Framework, riportato in Figura 2; esso è composto da 4 schemi concettuali. Il primo schema a destra si riferisce all’Employer Brand Experience (EB Experience) e

mostra l’influenza dei fattori tangibili ed intangibili sulla qualità dell’esperienza vissuta

dal dipendente con l’azienda. I fattori tangibili e intangibili aiutano poi a definire

l’employer identity e, soprattutto, a definire l’employee value proposition grazie alla

quale l’azienda costruisce la propria employer brand promise e delinea il proprio

employer brand positioning, ovvero l’insieme delle iniziative volte a definire le

caratteristiche dell’organizzazione come employer (luogo di lavoro) e a sviluppare la

strategia di marketing più adatta per attribuire all’azienda una determinata collocazione

distintiva nella mente degli attuali e potenziali employees. Quest’ultimo passaggio è

contenuto all’interno del secondo schema, al centro della Figura 2, denominato Employer

Brand Positioning (EB Positioning).

Il terzo schema compreso nel modello EBGF è l’Employer Brand Action (EB Action);

esso individua la sequenza delle quattro specifiche attività che possono essere svolte per

realizzare la strategia di Employer Branding: Assessment, Prospective e Monitoring

(azioni di natura strategica) e Development (azioni di natura operativa legate alle attività

di comunicazione dell’employer brand).

Infine, lo schema Employer Brand Benefits (EB Benefits) mostra il risultato finale di una

strategia di Employer Branding che, se condotta con efficacia, è in grado non solo di

migliorare la capacità di attrarre candidati di “talento” ma anche di avere una serie di

ulteriori benefici, quali minori costi sui processi di recruiting (cost per hire) e retention,

un maggior livello di engagement dei propri dipendenti ed una maggiore produttività

della forza lavoro. Tali risultati andranno poi ad incidere, infine, sugli obiettivi di

business e sulla crescita del valore aziendale.

65 Amendola E. ,”Corporate Recruitng”, Anthea Consulting s.r.l., 2008

Page 49: Tesi di Angelo Anello

48

Figura 2 - Employer Brand Global Framework

Fonte: Anthea Consulting, 2007

In particolare, maggiore attenzione è riposta sul terzo schema dell’Employer Brand

Global Framework denominato Employer Brand Action; quest’ultimo rappresenta,

appunto, il punto focale per la realizzazione della strategia di Employer Branding poiché

specifica le quattro attività che ne rappresentano il preludio:

1 Assessment.

2 Prospective

3 Monitoring

4 Development

1 Le analisi preliminari dell’Employer Branding: Assessment Una efficiente strategia di Employer Branding (EB) prevede un’azione di lungo periodo

caratterizzata da un ampio orizzonte temporale di riferimento, all’interno del quale

l’azienda è impegnata a svolgere una serie di azioni di studio e di analisi approfondite che

Page 50: Tesi di Angelo Anello

49

mirano a fornire una valutazione chiara ed esaustiva della percezione del brand aziendale,

in generale, e dell’employer brand, in particolare.

L’azione strategica di EB inizia, quindi, con la fase di Assessment: essa comprende una

serie di attività di analisi preliminari dell’employer brand che servono ad identificare

qual’è l’attuale posizionamento e/o reputazione dell’azienda sul mercato del lavoro.

In questa prima fase l’organizzazione individua le sue caratteristiche principali con

particolare riferimento alla sua vision, alla sua mission, ai suoi obiettivi futuri di business,

nonché al modo con cui intende raggiungerli; l’azienda cercherà anche di analizzare e

comprendere bene la sua cultura ed il suo prevalente sistema di valori e ciò è di enorme

rilevanza per un’attività di Employer Branding, perché può costituire un buon punto di

partenza per lo sviluppo di una valida employer identity.

Le analisi preliminari sono solitamente supportate da ulteriori indagini in grado di fornire

informazioni più specifiche alle esigenze di sviluppo della strategia; ad esempio,

conoscere come gli attuali dipendenti percepiscono la propria azienda è un tipo di

informazione utile soprattutto se proviene da quei soggetti che, per il ruolo coperto, sono

maggiormente in grado di promuovere o criticare la cultura aziendale. Si tratta,

solitamente, di indagini quali-quantitative, rivolte all’interno dell’azienda, che

permettono di:

• valutare la coerenza tra l’immagine aziendale percepita dal neo assunto in fase di

recruiting e l’immagine percepita dopo la sua assunzione;

• comprendere se la promessa fatta in fase di recruiting è stata realmente

mantenuta;

• capire quali sono i bisogni/desideri che il neo assunto vorrebbe vedere realizzati

all’interno del proprio ambiente di lavoro al fine di ridurre l’eventuale rischio di

turn-over;

• valutare la disponibilità dei dipendenti a condividere i valori aziendali;

• valutare il livello di orgoglio e di appartenenza dei collaboratori, il livello di

soddisfazione per il proprio lavoro e la fiducia nelle prospettive di crescita

professionale;

• valutare la disponibilità dei dipendenti a promuovere l’azienda all’esterno e la

loro intenzione di rimanere nel tempo all’interno dell’organizzazione.

Page 51: Tesi di Angelo Anello

50

Le informazioni ottenute dalle analisi interne vengono poi confrontate con quelle ottenute

da analisi quantitative rivolte al target esterno ovvero a quei potenziali candidati verso i

quali l’azienda rivolge particolare attenzione; si tratta cioè di valutare quali siano,

secondo gli intervistati, le principali caratteristiche che tendono meglio a qualificare

l’azienda/employer. Tali caratteristiche contribuiscono, poi, a definire i fattori tangibili e

intangibili che costituiranno la employee value proposition aziendale.

Le analisi permettono, anche, di individuare quali sono le principali aziende concorrenti e

quali sono i canali maggiormente utilizzati dagli intervistati per raccogliere informazioni

sulle offerte di lavoro e sul profilo employer dell’azienda; tali informazioni, infine,

forniscono un quadro sintetico ed esaustivo sull’attuale employer brand positioning ed

aiutano a comprendere meglio se l’azienda possiede o meno una buona brand

personality, presupposto essenziale per un’efficace strategia di Employer Branding.

1 Lo sviluppo dell’employer brand: Prospective

Il secondo passo previsto dallo schema di azione (EB Action) dell’EBGF consiste nella

costruzione del proprio employer brand, partendo proprio dai fattori individuati nella fase

precedente e che, si ritiene, possano qualificare di più l’azienda, conferendole personalità

e rendendola, quindi, differente dalle altre realtà (employer brand positioning).

In tale fase, denominata Prospective, l’organizzazione ha necessità di comprendere a

fondo il mercato del lavoro ed il segmento al quale ci si rivolge in funzione degli obiettivi

prefissati; l’azienda cercherà anche di valutare le precedenti scelte di comunicazione sia

a livello corporate, sia quelle già effettuate nell’ambito delle attività di recruiting, con

riferimento particolare agli annunci pubblicati sui quotidiani e al tipo di informazioni che

l’azienda trasferisce attraverso la career section del proprio employment web site. Ciò

serve a definire e delineare in modo ottimale la campagna di comunicazione del brand, il

cui obiettivo è valorizzare l’immagine della società come luogo di lavoro66.

La fase di Prospective rappresenta, quindi, la fase più creativa dell’intero processo di

sviluppo dell’employer brand, detto anche employment advertising, nella quale l’azienda

definisce la propria employer brand promise ovvero trasforma, in chiave

comunicazionale, la propria employee value proposition.

In termini più operativi si procede alla definizione di una linea grafica virtuale e visuale,

il più coerente possibile con l’employer identity, da utilizzare nel processo di creazione

66 Amendola E. ,”Corporate Recruitng”, Anthea Consulting s.r.l., 2008

Page 52: Tesi di Angelo Anello

51

del materiale di comunicazione; tale step è, solitamente, accompagnato da un’attenta

analisi dei contenuti e dalla definizione di uno slogan (claim) attraente.

In particolare, il piano di sviluppo del materiale di comunicazione potrà comprendere la

semplice brochure di presentazione dell’azienda, sia sotto l’aspetto employer che sotto

l’aspetto corporate, ma anche altri strumenti tradizionali quali poster, postacrds,

newsletter, newspaper advertising e gadget; potrà comprendere anche strumenti più

interattivi come, ad esempio, lo stand, usato principalmente durante la partecipazione alle

Job Fair che sono oggi destinate a diventare luoghi di scambio sempre più virtuali,

garantendo, quindi, una maggiore flessibilità di utilizzo ed una migliore efficacia

comunicazionale.

Una volta definita la linea di comunicazione da sviluppare essa andrà concordata con chi

si occupa della comunicazione sia interna che esterna del gruppo; si tratta di un passaggio

importante perché, spesso, si traduce nel cercare di integrare l’attività di Employer

Branding (EB) con le attività di sviluppo della comunicazione a livello corporate.

Tale necessità di integrazione potrebbe portare l’azienda a dover assimilare l’EB ad

un’attività collaterale a quella corporate, con il rischio di bloccarne il processo e

compromettendo l’efficacia della strategia. Ciò dipenderà in gran parte dal potere

contrattuale delle singole funzioni ed, in particolare, dal potere della funzione HR

(Human Resources) e da quello detenuto dalla funzione Marketing e Comunicazione.

Alcune criticità che possono manifestarsi in questa fase estremamente delicata sono le

seguenti:

• La direzione Marketing e/o Comunicazione ha più potere della direzione HR. In

tal caso la negoziazione tra le due funzioni è diseguale; la funzione HR ha

maggiori difficoltà nel portare avanti la propria idea di employer brand. La

funzione Marketing, quindi, detiene le redini del “gioco” e tenderà,

probabilmente, a privilegiare un approccio consumer piuttosto che employer nello

sviluppo della strategia comunicazionale.

• La direzione Human Resources ha maggiore potere contrattuale della direzione

Marketing; ciò contribuisce a gestire la negoziazione in modo più efficace e

consente di delineare un processo di sviluppo della strategia più autonomo e

mirato.

Page 53: Tesi di Angelo Anello

52

2 La comunicazione dell’employer brand: Development

L’attività di comunicazione dell’employer brand, denominata Development, consiste nel

pensare a come comunicare la propria immagine sia ai dipendenti attuali che a quelli

potenziali; è importante sottolineare come la comunicazione verso il primo gruppo ha la

stessa importanza di quella rivolta al secondo gruppo: retention e recruitment sono,

infatti, facce della stessa medaglia.

Un’azienda che intende attrarre e assumere giovani “talenti” cerca di creare una

condizione di coerenza tra i valori base della coalizione dominante, le manifestazioni

della cultura organizzativa, le modalità di implementazione (che rappresentano i tre

fattori correlati per il formarsi di una cultura organizzativa stratificata secondo un

approccio multidimesionale e multilivello)67 ed il messaggio che la stessa organizzazione

rivolge ai dipendenti potenziali, in modo tale che l’immagine comunicata possa esprimere

la cultura aziendale. L’azienda, quindi, svilupperà un’efficace comunicazione interna,

focalizzandosi sugli aspetti organizzativi e culturali e facendo in modo che i dipendenti

possano sentire l’organizzazione come una realtà propria (senso di appartenenza) nella

quale vogliono continuare a lavorare, congiuntamente ad una comunicazione esterna,

necessaria per raggiungere il proprio target di riferimento.

Esempi di strumenti utilizzabili nella comunicazione interna sono: il wellcome book, utile

nella fase di inserimento dei candidati; le newsletter, le brochure. Tali strumenti sono,

spesso, accompagnati da una serie di driver gestionali in grado di rafforzare l’immagine

nei confronti dei dipendenti; sviluppare, ad esempio, delle politiche di riconoscimento del

valore dei singoli lavoratori può essere un ottimo modo per rinforzare il brand con i

dipendenti. Lo sviluppo di programmi di erogazione di benefit può, altresì, rappresentare

un efficace metodo per attirare l’attenzione intorno all’ambiente di lavoro; ad esempio,

offrire sconti per entrare nei fitness club o fornire più giorni di vacanze sono tutte

politiche che possono rinforzare l’immagine dell’azienda.

Per quanto concerne gli aspetti della comunicazione esterna, l’organizzazione, per

raggiungere il proprio target, valuterà attentamente sia il livello di intensità con cui vuole

comunicare il proprio employer brand, sia il bisogno di copertura geografica con

particolare riguardo agli strumenti da utilizzare; l’output di tali azioni consisterà in una

67 Tosi H. , Pilati M. , Mero N. , Rizzo J. , “Comportamento Organizzativo”, Egea, 2002

Page 54: Tesi di Angelo Anello

53

vera e propria strategia di contatto che permetterà all’azienda di raggiungere con facilità

il target di riferimento.

Un modello concettuale utile a questo scopo è l’Employer Brand Contact Approach

(EBCA); esso mette in evidenza la stretta connessione che esiste tra la segmentazione del

mercato del lavoro e gli strumenti di comunicazione e recruiting utilizzati dall’azienda,

come mostrato nella Figura 3.

Figura 3 - Employer Brand Contact Approach

Fonte: Anthea Consulting, 2007

Nella parte sinistra del grafico viene presentato uno schema di segmentazione che nasce

dalla correlazione tra due parametri: la “propensione a cercare lavoro” e il “livello di

esperienza”; tale relazione consente di individuare due aree principali relative ai candidati

attivi e a quelli passivi (parte superiore ed inferiore del grafico) ai quali vengono associati

alcuni segmenti particolari del mercato del lavoro: dagli students (candidati passivi) ai

recent graduates (candidati attivi), ai cosiddetti young professionals (con almeno 3 anni

di esperienza lavorativa) e senior manager (con più di 3 anni di esperienza) che possono

essere considerati tanto attivi (insoddisfatti e in cerca di un nuovo lavoro) quanto passivi

(soddisfatti del proprio lavoro, non in cerca di altre opportunità).

Page 55: Tesi di Angelo Anello

54

In relazione a ciascuno di tali segmenti e, quindi, in funzione del livello di esperienza e

della propensione a cercare lavoro vengono, poi, individuati i “recruiting methods”,

ovvero quegli strumenti di comunicazione e di recruiting che consentono di raggiungere

il target in modo ottimale.

E’ interessante constatare che quanto più passivo è il candidato tanto più attivo è lo

strumento utilizzato dall’azienda per comunicare l’employer brand e, quindi, il mezzo di

attracting del candidato stesso; ad esempio, la partecipazione a Job Fair è sicuramente

una buona occasione per rafforzare e comunicare il proprio employer brand, ma la sua

efficacia sarà maggiore se tale evento è utilizzato per raggiungere principalmente i recent

graduates. Così come l’utilizzo di social network può essere efficace per attrarre

candidati passivi, siano essi young professionals che senior manager, allo stesso modo lo

sviluppo di programmi di class guest speaking (interventi di manager aziendali nei corsi

universitari) possono costituire valide opportunità per coinvolgere soprattutto gli studenti,

soggetti che sono ancora impegnati a proseguire gli studi e, quindi, oggi poco motivati a

cercare lavoro ma che saranno pronti a farlo una volta concluso il percorso scolastico.

Anche l’organizzazione di party, cocktail o convention e/o la sponsorizzazione di eventi

possono essere considerati ottimi brand communication tools (strumenti di

comunicazione del marchio) in grado di attirare l’attenzione del proprio target di

riferimento.

3 Le analisi di controllo dell’employer brand: Monitoring

La fase finale dello schema di azione dell’EBGF è quella del monitoraggio, ovvero del

controllo dell’efficacia di quanto sviluppato nelle fasi precedenti: dal piano di sviluppo e

costruzione dell’employer brand al processo di comunicazione.

Un primo feedback può essere ottenuto dal numero dei Curriculum Vitae ricevuti in linea

con il target di riferimento; quanto più alta è la percentuale di CV “utili” sul totale dei

CV ricevuti, tanto più efficace risulta essere stata l’attività svolta in precedenza.

Tuttavia è necessario integrare queste prime e semplici informazioni con indicatori di

efficacia più analitici che richiedono l’adozione di strumenti di analisi più complessi; a tal

fine l’azienda si avvarrà di alcune indagini (ad esempio l’EBPS68) svolte periodicamente

68Strumento di indagine quantitativa il cui fine è analizzare il posizionamento dell’employer brand di alcune delle principali aziende su tre principali segmenti di mercato: recent graduates, youg professionals e senior managers.

Page 56: Tesi di Angelo Anello

55

e che costituiranno il principale strumento di monitoraggio dell’Employer Branding (EB).

Tali indagini permettono di raggiungere i seguenti obiettivi:

• studiare le valutazioni e le aspettative di alcuni segmenti critici del mercato del

lavoro al fine di migliorare le proprie strategie di EB;

• monitorare l’evoluzione delle percezioni dei segmenti target sulle attuali offerte

di lavoro e sul brand aziendale;

• conoscere il livello di notorietà del corporate brand ed il posizionamento

dell’employer brand sui segmenti di mercato individuati;

• conoscere chi sono i competitors diretti rispetto ai segmenti ed il grado di

competitività interno;

• valutare l’efficacia delle azioni di Employer Branding grazie all’utilizzo di

strumenti di valutazione in grado di fornire informazioni sull’evoluzione del

posizionamento dell’employer brand sui segmenti di mercato identificati.

Queste informazioni permettono all’azienda di conoscere la propria posizione come best

employer of choice, cioè come organizzazione preferita come luogo di lavoro, e

conoscere, anche, la propria posizione come strong company, ovvero come azienda

capace di integrare in maniera coerente le diverse forme di comunicazione sia a livello

corporate che a livello employer.

2.5 Employer Branding, Corporate Branding e Brand Awareness: il BCI index©

Nello sviluppo di una strategia di Employer Branding (EB) è importante tenere in

considerazione alcuni aspetti essenziali riconducibili alla notorietà del brand (brand

awareness) ed al grado di apprezzamento di cui gode l’azienda da un punto di vista

istituzionale (corporate brand); a ciò si aggiunge l’identificazione del target che può

essere unico o, meglio, coincidente, oppure differente. Comprendere, infatti, se il target

delle proprie politiche di EB coincida con quello delle attività di comunicazione

corporate e/o di prodotto ha delle forti implicazioni sia sulla notorietà del brand, sia sul

modo in cui le due forme di comunicazione (employer e corporate branding) possono

interagire reciprocamente.

Se è vero che l’Employer Branding gioca un ruolo importante nell’attrarre e mantenere le

persone di “talento”, allo stesso tempo può generare un effetto positivo in grado di

supportare efficacemente le politiche di corporate branding rivolte al cliente; questo è

Page 57: Tesi di Angelo Anello

56

vero, ad esempio, per quelle aziende che si rivolgono ad un mercato del consumo dove

spesso il potenziale e/o attuale cliente corrisponde al potenziale e/o attuale employee.

Aziende come Vodafone, Tim e Fiat ne sono un valido esempio; è molto probabile,

infatti, che l’acquirente di un servizio di telefonia mobile, offerto da Vodafone o Tim, sia

anche un potenziale candidato a lavorare presso tali aziende e che, allo stesso modo,

l’acquirente di un’auto Fiat possa essere anche interessato a lavorare presso l’azienda

medesima.

Esistono, comunque, situazioni in cui la sinergia tra le due forme di comunicazione è,

invece, molto più lieve e meno interrelata; è il caso di aziende come Abb, Bosch,

Accenture, il cui mercato del consumo è costituito, prevalentemente, da aziende ed è ben

distinto dal mercato target del lavoro. Questa maggiore differenziazione dei target

permette all’azienda di definire la propria strategia di Employer Branding muovendosi in

un terreno, per così dire, “vergine”, ovvero non particolarmente intaccato dalle attività di

comunicazione corporate e/o di prodotto.

Per comprendere meglio tali aspetti è possibile fare riferimento ad un indicatore grafico

semplice ed efficace denominato BCI index©. (Brand Communication Interactive

Index)69; l’indice consente di capire in che modo le due forme di comunicazione

(corporate e employer branding) interagiscono tra di loro e, soprattutto, quali sono gli

effetti in termini di posizionamento del brand sul mercato target e rispetto alle aziende

concorrenti. Il BCI index è anche in grado di esprimere sinteticamente il grado di

interazione tra la notorietà (brand awareness) e l’employer brand; l’indice è, quindi, il

risultato di tre principali analisi:

• La corporate brand analysis, con la quale si ottengono informazioni sul grado di

apprezzamento dell’immagine istituzionale dell’azienda; essa si fonda

essenzialmente sulla domanda: “quale azienda, tra quelle del settore, ha

l’immagine più accattivante?”.

• L’employer brand analysis, tramite la quale si ottengono informazioni sul grado

di apprezzamento dell’azienda come employer of choice, ovvero come datore di

lavoro ideale in cui andare a lavorare; essa scaturisce dalla domanda “in quale

azienda del settore vorresti andare a lavorare?”.

69 Il BCI Index è uno indicatore depositato presso la Siae a nome di Eugenio Amendola, pertanto ogni qualsivoglia utilizzo deve necessariamente essere autorizzato

Page 58: Tesi di Angelo Anello

57

• La brand awareness analysis, che permette di ottenere informazioni sul grado di

notorietà del brand, ovvero su quanto è realmente conosciuto.

Il risultato dell’incrocio di queste tre analisi viene espresso attraverso due indicatori

grafici come, ad esempio, quelli riportati di seguito70.

Grafico 1 - BCI Index© 1 (Brand Awareness VS Employer Brand)

Fonte: indagine EOC Survey 2007

70 I due grafici scaturiscono da una indagine condotta nel 2008 da Anthea Consulting e Atmen su 1200 neolaureati.

Page 59: Tesi di Angelo Anello

58

Grafico 2 - BCI Index© 2 (Corporate Brand VS Employer Brand)

Fonte: indagine EOC Survey 2007

Il grafico 1 (BCI Index© 1) mostra la relazione tra il brand awareness e l’employer

brand; i valori evidenziati sull’asse delle ordinate del grafico si riferiscono al numero dei

laureati che conoscono il brand aziendale (notorietà del brand), mentre i valori

evidenziati sull’asse delle ascisse si riferiscono al numero dei laureati che hanno interesse

ad andare a lavorare nelle aziende di riferimento; per comprendere il suo significato

interpretativo è possibile fare riferimento ai due principali casi estremi, riconducibili ai

quadranti A (il primo in alto a sinistra) e C (in basso a destra).

Page 60: Tesi di Angelo Anello

59

L’azienda sul quadrante A (caso Ras e Blockbuster) ha un livello di notorietà più elevato

delle altre ma il campione di laureati non ne apprezza sufficientemente l’immagine come

employer e ciò rappresenta un risultato negativo; l’organizzazione dovrebbe, quindi,

ridefinire la propria strategia di Employer Branding o svilupparne una nuova nel caso in

cui non sia mai esistita.

L’azienda X posizionata sul quadrante C71, pur essendo meno conosciuta dal campione

totale dei neolaureati rispetto alle altre aziende con le quali è stato effettuato il confronto,

tende, da quei pochi soggetti che la conoscono, ad essere comunque apprezzata come

employer. Tale dato dimostrerebbe che esiste comunque una buona posizione (latente)

dell’employer brand, vantaggio che l’azienda potrebbe, eventualmente, estendere ad un

maggior numero di laureati se si impegnasse a sviluppare un piano di comunicazione

finalizzato ad acquistare una maggiore notorietà.

Il grafico 2 (BCI Index 2) mostra, invece, la relazione tra il corporate brand e l’employer

brand; i valori evidenziati sull’asse delle ordinate si riferiscono al numero dei laureati che

hanno espresso il proprio apprezzamento nei confronti dell’immagine istituzionale,

mentre i valori evidenziati sull’asse delle ascisse del grafico si riferiscono al numero dei

laureati che hanno manifestato interesse ad andare a lavorare nelle aziende di riferimento.

Il quadrante A (caso Blockbuster) si riferisce alle cosiddette “best corporate”, ovvero ad

aziende con un basso livello di appeal come employer ed un alto livello di gradimento per

la propria immagine istituzionale: la politica di Corporate Branding risulta molto incisiva

mentre meno efficace risulta quella di Employer Branding (EB).

Il quadrante B (caso Unicredito e Danone) identifica, invece, la migliore posizione e

raggruppa le cosiddette “strong company”, cioè aziende con un alto livello di gradimento

della propria immagine istituzionale ed un alto livello di appeal come employer: le

strategie di Corporate Branding ed Employer Branding tendono ad essere molto incisive,

integrate e in grado di produrre un effetto di rafforzamento reciproco.

Nel quadrante C rientrano le cosiddette “best employer” (caso Adecco), ovvero aziende

con un alto livello di appeal come employer ed un basso livello di gradimento della

propria immagine corporate: la strategia di EB è efficace, mentre la politica di Corporate

Branding è poco invasiva.

71 Lo studio al quale è riferito il grafico non ha prodotto nessun caso di azienda collocata in questo quadrante

Page 61: Tesi di Angelo Anello

60

Il quadrante D, infine, mostra le cosiddette “weak company”, cioè aziende con un basso

livello di appeal come employer ed un altrettanto basso livello di gradimento della

propria immagine istituzionale: le strategie di Corporate Branding e/o Employer

Branding, se esistenti, si sono rilevate poco efficaci. Il grafico BCI Index© 2 mostra un

corposo numero di aziende collocate in questo quadrante come la Banca Sella, la Kpgm,

la Vedior e così via; la posizione più delicata e svantaggiata rispetto alle altre del settore

di riferimento può costituire, quindi, un chiaro allarme ed uno stimolo ad impegnarsi di

più nello sviluppo di azioni di comunicazione capaci di provocare spostamenti del

proprio brand verso posizioni più competitive rispetto ai concorrenti diretti del settore.

2.6 - Le nuove opportunità di sviluppo dell’Employer Branding

Un’azienda può sviluppare e consolidare la propria strategia di Employer Branding (EB)

anche attraverso le nuove tecnologie e il Web, rivolgendosi ad un pubblico diverso dai

fruitori dei media classici e disponendo di canali di comunicazione innovativi e dalle

potenzialità ancora inesplorate; ciò equivale a comprendere quali sono le peculiarità dei

canali, calibrare messaggi e linguaggi, adattare ad arte lo stile comunicativo.

Diverse sono, dunque, le possibilità di sviluppo dell’EB offerte dal Web, con riferimento

in particolare all’uso dell’ e-recruiting, dell’employment web site, dei social media, dei

bolg e dei social network.

L’e-recruiting Per quanto riguarda specificamente la ricerca di personale via Internet, gli strumenti a

disposizione sono molteplici.

Un primo strumento di Employer Branding on line è rappresentato dalla possibilità di

pubblicare sui siti di e-recruiting degli annunci di lavoro; diversamente da quanto accade

con i mezzi tradizionali, Internet presenta una serie di tratti distintivi dall’elevato

potenziale comunicativo. In primo luogo, la redazione della stessa offerta avviene con

criteri molto diversi dagli annunci cartacei: non esistono limiti spaziali o cromatici, esiste

la possibilità di inserire degli elementi multimediali, le modalità di candidatura sono

immediate e intuitive. Questo significa che grazie alla pubblicazione on line dell’offerta

un’azienda ha molto più spazio e modo di raccontarsi e di entrare nel dettaglio della

Page 62: Tesi di Angelo Anello

61

posizione vacante, con la possibilità, quindi, di implementare una strategia di EB fin dal

primissimo passaggio del processo di selezione (l’annuncio, appunto); inoltre, la

“categorizzazione” dell’offerta consente al candidato di individuare immediatamente

l’annuncio più vicino al lavoro desiderato, permettendo al datore di ricevere candidature

più in linea, “targettizzando”, quindi, fin da subito la propria comunicazione. La

pubblicazione on line di un annuncio su un sito di recruiting consente poi di dare

visibilità alla propria offerta nei cosiddetti aggregatori (siti che raccolgono inserzioni da

più fonti) e soprattutto in motori di ricerca quali Google e Yahoo, raggiungendo una

platea vastissima di internauti.

Un secondo strumento di Employer Branding, reso possibile dal recruiting on line, è

legato alla possibilità di pubblicare, sempre on line, il proprio profilo aziendale,

collegandolo alle offerte di lavoro di volta in volta rese note; si tratta forse del più

completo mezzo di EB su Internet perché da modo alle imprese di costruire un dialogo

attivo con chi cerca lavoro. All’interno di un profilo aziendale, infatti, trova spazio una

pluralità di contenuti che rimandano al sistema di valori interno dell’azienda, alla sua

mission, alla sua struttura organizzativa, alle sue politiche di sviluppo, alle sue

opportunità di crescita e di formazione, alle sue politiche in termini di Risorse Umane.

Quanto più dettagliato e fruibile sarà il profilo aziendale, tanto più elevate saranno le

possibilità di attrarre candidati in linea con il proprio target di riferimento.

Un ulteriore strumento di Employer Branding on line è la sezione “Lavora con noi”,

costruita all’interno del proprio sito aziendale, dedicata alle opportunità professionali; tale

mezzo potrà essere utilizzato efficacemente a due condizioni: che le ricerche di personale

siano frequenti nel corso dell’anno e che ci sia un adeguato corredo informativo. In altre

parole, avere un’area riservata alle offerte perennemente vuota o non offrire al visitatore

le informazioni che si aspetta di trovare non può che risultare controproducente dal punto

di vista della comunicazione ai lavoratori, siano essi già inseriti nell’organizzazione,

siano essi potenziali collaboratori.

Un ultimo possibile strumento è il cosiddetto “career site” aziendale, ovvero un sito

esclusivamente dedicato ai percorsi di carriera effettuabili in una data azienda. Siti simili

sono solitamente sviluppati da grandi imprese che operano a livello internazionale e che

per il loro elevato turnover si appoggiano alle società di recruiting on line per gestire la

piattaforma tecnologica.

Page 63: Tesi di Angelo Anello

62

In definitiva, saper approfittare delle caratteristiche intrinseche del e-recruiting equivale a

mettere le basi per una strategia all’avanguardia di attrazione dei candidati, migliorando

al contempo la propria immagine di employer of choice su un pubblico di massa.

L’employment web site

Lo sviluppo dell’employment web site gioca un ruolo importante e decisivo nel rendere

efficace una strategia di Employer Branding. Internet è ormai diventato uno strumento

che consente di avere, con maggiore rapidità, un’enorme visibilità verso l’esterno.

Un’azienda che, disponendo di un proprio sito, crea una sezione72 interamente dedicata

alle opportunità di lavoro, può aspirare ad aumentare la propria attrattività nei confronti

dei potenziali candidati in cerca di lavoro.

Tuttavia, non basta avere una sezione informativa che spieghi sinteticamente chi è

l’azienda e quali profili stia cercando per attrarre i candidati di “talento”; occorre, altresì,

una vera e propria strategia di sviluppo che tenga conto di alcuni consigli ben precisi che

consentano di rendere il proprio employment web site un luogo amichevole con il quale il

candidato possa efficacemente interagire.

Secondo Silvia Zanella73 le best practice da seguire, per rendere efficace il sito web

aziendale, sono le seguenti:

1. Il link di accesso alla pagina “careers” deve essere facilmente individuabile

dal candidato e quindi posizionato nella home page e, in particolare, in alto a

sinistra (solitamente è proprio questo il punto dove l’occhio del visitatore va

inizialmente). Un esempio di web site che rispetta questa prima best practice è

quello di Deloitte nel quale il link “careers” è in home page in posizione

dominante74.

2. Le pagine web della sezione “careers” devono essere facilmente

comprensibili; ciò dipenderà dal fatto che il testo, i links e i titoli delle pagine

abbiano lo stesso stile. Il rispetto di tali caratteristiche consente di ottenere una

struttura visibilmente coordinata e coerente che permetterà al candidato di

leggere e comprendere facilmente le informazioni contenute sul sito.

72 Le denominazioni più usate dalle aziende per identificare tale sezione sono: “careers”, “job opportunities” oppure, in versione italiana, “Lavora con noi”. 73 Marketing Director in Monster Italia. 74 www.deloitte.com

Page 64: Tesi di Angelo Anello

63

3. Nelle pagine web dedicate al lavoro deve essere chiaro ed evidente il rispetto

da parte dell’azienda delle norme sulla privacy e della sicurezza dei dati

personali. A tal fine può essere utile inserire il link di accesso alla legge sulla

privacy proprio sulla pagina di candidatura, come nel caso del web site di

Enterprise Rent a Car75; in tal modo sarà difficile, per il candidato,

dimenticarsi di leggerne il testo.

4. Uso dei link “email a friend” in ogni pagina del proprio employment web site;

tale link è frequentemente utilizzato nelle pagine dei siti istituzionali per

incentivare l’utente a segnalare l’opportunità di lavoro agli amici che

corrispondono esattamente al profilo ricercato. Un esempio eccellente è

visibile sul sito di Johnson&Johnson, nel quale il link “email a friend” è stato

inserito in ogni job posting76.

5. Il candidato deve poter accedere agevolmente alle pagine in cui sono

pubblicate le offerte di lavoro (job posting). La facilità di acceso ai job posting

dipende dall’assenza di una procedura di registrazione al sito aziendale (che

potrebbe essere percepita dal candidato fortemente invasiva e fastidiosa da

provocare l’immediato abbandono del sito web), dal numero dei link che il

soggetto dovrà cliccare dall’home page prima di poter vedere le offerte

pubblicate dall’azienda (la maggior parte dei candidati qualificati tiene molto

in considerazione il tempo impiegato per la loro attività di ricerca), dal modo

in cui i job posting vengono presentati al candidato (la maggior parte di essi

vengono scritti con un linguaggio arido e distaccato, capace di esprimere solo

i bisogni dell’azienda ma incapace di parlare direttamente ai bisogni del

candidato).

6. Un efficace employment web site, per attrarre i candidati migliori, contiene

necessariamente informazioni sulla cultura e sui principali valori aziendali;

informazioni del tipo la descrizione dell’ambiente di lavoro, lo stile

manageriale, l’insieme dei benefits, le opportunità di formazione e crescita

aiutano certamente il candidato a delineare meglio il profilo dell’azienda come

employer. Tali indicazioni sono solitamente inserite in una specifica sezione

del sito denominata “Life at azienda x”. 75 www.erac.com 76 www.jnj.com

Page 65: Tesi di Angelo Anello

64

Un valido esempio è la sezione “Life at Microsoft” dell’employment web site

della Microsoft; visitandola si comprende come l’azienda tenti di avvicinare il

più possibile il candidato alla propria cultura avvalendosi di una serie

particolare di tecniche efficaci. Innanzitutto ogni tipo di informazione fornita

e/o discussione aperta è diretta al candidato; poi, attraverso una specifica area

denominata “Meet Our People”, vengono mostrate circa 50 foto di dipendenti

provenienti dalle diverse funzioni aziendali: il candidato ha la possibilità di

cliccare sul nome di ciascun dipendente e leggere la storia della sua esperienza

professionale in Microsoft77. Questo raccontarsi (story telling) da parte del

dipendente, è utile perché consente al candidato di avere un primo confronto

con chi sta vivendo l’esperienza lavorativa da dentro e permette di conoscere

facilmente alcuni degli aspetti della cultura dell’azienda; il candidato, quindi,

costruirà nella propria mente una prima immagine di quello che potrebbe

essere il suo futuro ambiente di lavoro e ciò permette di iniziare a vivere una

prima forma di employer brand experience, anche se solo virtuale.

Social media, blog e social network

Tra gli strumenti di Talent Relationship Management, discussi alla fine del primo

capitolo, ne sono presenti alcuni che si dimostrano estremamente efficaci soprattutto per

attirare i candidati passivi e che, inoltre, non richiedono ingenti risorse finanziarie; si

tratta dei blog e dei social network. Sono strumenti di comunicazione nati allo scopo di

condividere, con il maggior numero di persone possibili, esperienze, scambio di

informazioni, discussioni su argomenti specifici o che semplicemente permettono di

stringere nuove amicizie.

I Blog, ad esempio, consentono di attrarre potenziali candidati con l’invito a prendere

parte ad una discussione in corso su argomenti di grande interesse; una sorta di rete in cui

l’attenzione del candidato potenziale, mosso semplicemente dalla curiosità o dal desiderio

di esprimere la propria opinione su un tema specifico, viene catturata innescando un

meccanismo in grado di alimentare il dibattito virtuale allargando, sempre più, la

dimensione della comunità coinvolta.

Un caso di successo che va in questa direzione è quello di Microsoft USA; l’azienda

aveva difficoltà ad attrarre candidati di “talento” e decise, quindi, di usare il blog come

77 www.microsoft.com

Page 66: Tesi di Angelo Anello

65

strumento di attracting, riuscendo ad incentivare l’apertura di numerosi blog da parte dei

dipendenti e creando un link diretto con il proprio career web site. Tale meccanismo

consentì ai dipendenti, che agivano come testimonials dell’azienda, di sviluppare ampie

discussioni sui temi più svariati ed, allo stesso tempo, permise di diffondere la cultura

Microsoft più rapidamente; in breve tempo la comunità che si venne a creare crebbe

esponenzialmente, attirando soprattutto l’attenzione di numerose persone il cui profilo era

esattamente in linea con le esigenze dell’azienda.

Oltre ai blog, i recruiters più proattivi hanno cominciato ad accorgersi anche

dell’efficacia dei cosiddetti “social network”, cioè reti virtuali tra più persone con il

desiderio di allargare il proprio ambito di relazioni ed affermare il proprio senso di

appartenenza ad una comunità in evoluzione; il fattore principale di criticità di tale

strumento è la completezza delle informazioni associate ai profili delle persone facenti

parte del network.

Linkedin raggruppa 17 milioni di persone collegate tra di loro, tra cui i dirigenti di tutte le

prime 500 aziende, secondo il settimanale americano Fortune; il principale vantaggio di

questo network è la sua funzionalità, in quanto è capace di creare un ambiente nel quale

diversi “professionals” (persone con esperienza) possono facilmente accedere e cercare

lavoro senza che venga proposta, in maniera palese, la propria candidatura. In altre

parole, una volta dentro, il social network agisce autonomamente mettendo in atti

meccanismi che consentono ai diversi profili di diffondersi attraverso le maglie della rete

dei contatti. Ogni profilo può anche essere accompagnato da personali

“raccomandazioni” rilasciate dalle persone del proprio network che agiscono, quindi, da

mezzo promozionale rafforzando la credibilità delle persone “candidate”. Il sistema

Linkedin consente, inoltre, di conoscere il profilo di coloro che sono collegati

indirettamente al proprio network e di chiedere un collegamento diretto con quella

persona di cui si nutre un particolare interesse; Linkedin, infine, ha recentemente lanciato

una nuova home che permette, tra le altre cose, di avere subito sotto controllo le offerte di

lavoro più interessanti sulla base del proprio profilo, consentendo una ancor più stretta

integrazione tra recruiting e web.

Un ulteriore valido strumento di social networking è Facebook; è caratterizzato da

un’elevata velocità, da una facilità d’uso e contiene circa 35 milioni di profili collegati.

Una delle funzioni più interessanti è forse rappresentata dal News Feed che permette di

Page 67: Tesi di Angelo Anello

66

visualizzare una serie di informazioni riguardanti gli amici collegati al proprio network,

ovvero cosa stanno facendo, a quali gruppi appartengono, quali applicazioni hanno

scaricato oppure semplicemente quali messaggi hanno inviato, facendo di Facebook un

mezzo di passa parola di grande efficacia. Nonostante sia contraddistinto da funzionalità

valide e veloci, le informazioni sulle singole persone collegate sono limitate e non

approfondiscono le esperienze accumulate; inoltre, non è possibile usare

“raccomandazioni” come nel caso di Linkedin e, dunque, tali insieme di fattori lo

rendono uno strumento meno efficace per il recruiting.

Un’esperienza vincente, dal punto di vista dell’utilizzo degli strumenti messi a

disposizione dal Web e dell’utilizzo dei social media, è stata realizzata negli USA da una

delle più grandi società di consulenza, la Deloitte; la società ha coinvolto i suoi 150 mila

dipendenti in una sorta di concorso, chiedendo loro di realizzare un cortometraggio nel

quale descrivere la loro esperienza di lavoro all’interno di Deloitte.

L’evento, denominato Deloitte Film Festival, ha visto la realizzazione da parte dei

collaboratori di più di 370 filmati, il tutto al di fuori del normale orario di lavoro; i filmati

sono stati poi inseriti nella intranet aziendale, votati da tutti i dipendenti e i migliori 14

sono stati postati su YouTube78. L’obiettivo dell’azienda era di usare tali contributi per

cercare di avvicinare all’organizzazione le nuove generazioni di “talenti”, in particolare i

giovani universitari, che rappresentano un target sempre più difficilmente raggiungibile

con i media tradizionali; il punto che in questa sede preme maggiormente sottolineare è

la capacità di una società come la Deloitte di riconoscere l’importanza dei social media

come parte integrante della vita delle giovani generazioni, la capacità di utilizzarli per le

proprie attività di Employer Branding e la consapevolezza che i social network non sono

più dei semplici tools, ma un vero e proprio new media che occorre usare e integrare nelle

proprie politiche di attrazione dei “talenti” in azienda. L’esplosione dei social network

come YouTube, Facebook, o MySpace è indicativa dello sviluppo della cosiddetta cultura

della partecipazione tipica delle nuove generazioni

78 Ricceri F. , “Employee Generated Content: l'esempio di Deloitte.”, 17/03/2008, www.employerbranding.blogspot.com

Page 68: Tesi di Angelo Anello

67

CAPITOLO 3

IL CASO L’Oréal

3.1 – Il gruppo L’Oréal

L’Oréal si i colloca come leader nel mercato cosmetico mondiale, agendo in tutto il

mondo e avvalendosi di oltre 52.000 collaboratori. Il core business è strutturato su 4

cluster di attività: hair-care (shampoo, dopo shampoo, styling e colorazione), skin-care

(prodotti per il viso e per il corpo, creme solari), maquillage e profumi.

I marchi al suo interno hanno origini diverse e sistemi di valori differenti; alcuni esempi

sono L’Oréal Paris, Vichy, Garnier, Lancộme e Giorgio Armani. Il modello

organizzativo adottato è di tipo divisionale e consta di quattro divisioni, diversificate per

canale distributivo, raggruppate in Italia rispetto a tre società: L’Oréal Saipo SpA

(Divisione Prodotti Grande Pubblico e Divisione Prodotti Professionali); L’Oréal

Prodotti di Lusso SpA (Divisione Profumeria Selettiva) e Cosmetique Active Italia SpA

(Divisione Prodotti Dermocosmesi)79.

L’Italia è il terzo paese nel gruppo con maggior fatturato e rappresenta un fondamentale

bacino di reclutamento interno a livello mondiale; mediamente, ogni anno circa trecento

manager italiani sono collocati in modo stabile all’estero e, contemporaneamente, quasi

1500 nel mondo realizzano un’esperienza lavorativa al di fuori del proprio Paese di

appartenenza.

La composizione del gruppo L’Oréal è prosperata celermente nell’ultimo decennio grazie

all’acquisizione di alcuni brand strategici; nel 1997 viene inglobato il marchio

Maybelline New York, nel 1998 Redken 5th Avenue NYC, nel 2000 Matrix, nel 2002

Kiehl’s e nel 2006 Skinceutical. L’espansione della dimensione aziendale manifesta

79 Bagnato G. , Provera B. , Boromei P. , “La gestione strategica del recruitment; il caso L’Oréal”, Economia&Management Nr. 3 del 2006

Page 69: Tesi di Angelo Anello

68

l’esigenza di creazione di una struttura corporate che sia capace di armonizzare ed

integrare modus operandi differenti collegati a sottomercati diversi, cercando di

fronteggiare con coerenza i problemi comuni alle società del gruppo. Nel 1998 nasce,

quindi, la società Holding L’Oréal Italia con lo scopo di dare una risposta univoca e

coerente alle esigenze di sviluppo di un’immagine omogenea delle divisioni del gruppo in

Italia e coordinando anche funzioni staff, quali la comunicazione corporate, gli aspetti

finanziari e legali comuni, il training e il recruiting.

L’Oréal intende sviluppare e diffondere una forte cultura internazionale, malgrado la

caratteristica di azienda “francese” legata alle sue origini; l’obiettivo è quello di mirare

alle Human Resources come elemento di differenziazione, per evidenziarne la creatività e

lo spirito di innovazione, con percorsi di carriera rapidi ed eterogenei.

Il network di rapporti personali e la capacità di interazione sono apprezzati come veri e

propri mezzi di lavoro e come una pregiata fonte di informazione all’interno di un

sistema di comunicazione “destrutturato”, caratterizzato dall’assenza di iter burocratici,

gerarchie articolate e sistemi predefiniti; tale contesto rende basilare la presenza di un

patrimonio di know-how tecnico-specialistico e di capacità relazionali, di autogestione e

di autorganizzazione.

L’Oréal evidenzia come ciascun dipendente debba qualificarsi artefice del proprio

successo, da perseguire anche con approcci e metodologie che nascono dalla libera

iniziativa individuale e dalla propria creatività; per il gruppo, le Risorse Umane devono

quindi essere in grado di “edificare” giorno per giorno l’ambiente circostante tramite

processi di responsabilizzazione innescati fin da subito.

I percorsi di carriera sono realizzati ad hoc, sulla base delle inclinazioni e delle attitudini

dei singoli, con l’obiettivo di incentivare la creazione di specifici “talenti” individuali; le

politiche di sviluppo del personale sono mosse da un rapporto di complementarietà con il

precedente fine, prevedendo, quindi, la mobilità interna tra divisioni, funzioni aziendali,

brand e paesi.

3.2 – La ridefinizione delle strategie di recruiting e selezione

A cominciare dal 1995, L’Oréal avvia un processo di ripensamento della politica di

reclutamento delle leve, sorto dal bisogno di allineare le logiche di recruitment e

Page 70: Tesi di Angelo Anello

69

selezione del gruppo agli intensi mutamenti riscontrati negli scenari interni ed esterni

all’azienda.

La congiuntura economica favorevole, la bolla di Internet, il mutamento del mercato del

lavoro a causa della nascita, della scomparsa e della ridefinizione dei profili professionali

e le nuove esigenze di recruitment, sono alcuni dei più significativi cambiamenti

repentini che hanno caratterizzato l’assetto socio-economico dei primi anni novanta.

Percorsi di carriera orizzontali, trasversali ed interaziendali si accostano alla classica

carriera verticale; la crescente mobilità internazionale e la differente distribuzione

anagrafica della forza lavoro implicano cambiamenti penetranti nel contratto psicologico

sottinteso che lega l’individuo all’organizzazione. Nel complesso, tali cambiamenti hanno

accentuato la natura competitiva del mercato del lavoro, generando un marcato

fabbisogno di “talenti” nelle aziende leader dei propri settori.

Nel contempo, L’Oréal impiega una politica di acquisizione dei marchi con posizioni di

leadership in mercati locali con l’obiettivo di renderli globali e con la conseguente

esigenza di conformare competenze e strutture organizzative alle necessità di business.

Da un’impostazione basata su ruoli contraddistinti da know-how standard, L’Oréal si

orienta verso un modello in cui le competenze manageriali, i valori e i comportamenti

trasversali sono finalizzati ad armonizzare gli individui con la cultura organizzativa.

Alle porte del nuovo millennio, le attività di recruitment sono riprogettate secondo

logiche di marketing, transitando da un focus sulla ricerca dei “talenti” ad un focus

sull’attrazione degli outsider giusti, coerentemente all’evoluzione del contesto

competitivo che prima celebra e valorizza il prodotto e il servizio e poi dà risalto

all’eccellenza del management quale fattore critico di successo.

In termini operativi, L’Oréal mette in atto il cambiamento segmentando il mercato del

lavoro ed individuando il target di candidati potenziali, con l’intenzione di riposizionarsi

verso un segmento più qualificato e di gestire in modo armonico e integrato le restanti

attività di Human Resources. All’interno di un contesto competitivo dinamico, L’Oréal

predilige di focalizzare l’attenzione su peculiarità quali la creatività e l’innovatività delle

proprie Risorse Umane, privilegiando il segmento dei neolaureati quale bacino di

riferimento.

L’obiettivo strategico non consiste più nel procurarsi conoscenze e tecniche precise

dall’estero, ma un complesso di competenze manageriali, anche potenziali, in modo tale

Page 71: Tesi di Angelo Anello

70

da poter allineare l’insieme dei valori, degli atteggiamenti, delle motivazioni individuali

con il sistema culturale e valoriale aziendale.

L’elevata importanza data, dall’evoluzione dei percorsi di carriera, alla mobilità

interdivisionale, interfunzionale e internazionale, rende la versalità del management un

presupposto essenziale per un’organizzazione che intende creare un macthing ideale tra

offerta esterna ed offerta interna; a tal fine L’Oréal intraprende un processo metodico di

ridefinizione delle competenze chiave, richieste a livello corporate, per riuscire a

determinare un identikit standard, e flessibile allo stesso tempo, di un’ideale

collaboratore L’Oréal. L’output di questo processo è rappresentato dalla “Carta delle

competenze chiave”, emanata su scala internazionale e resa omogenea in tutti i paesi in

cui il gruppo opera dal 200180.

Al fine di realizzare un sistema integrato di leve Human Resources (attrazione, selezione,

valutazione, formazione e sviluppo personale), all’inizio del 2002 lo schema di

competenze dei possibili candidati è allineato ai fattori critici di successo su cui è basato

il nuovo sistema di valutazione della performance. In particolare, le competenze su cui il

recruiting e la selezione si concentrano sono rappresentate dalla innovatività, cioè

dall’apertura mentale e dalla capacità di pensare “fuori dagli schemi”, dalla

imprenditorialità, ovvero dallo spirito d’iniziativa e dal coraggio, dalla passione, cioè

dalla sensibilità ai cambiamenti nei trend e negli stili di vita, dalla leadership, ovvero

dalla capacità di raggiungere gli obiettivi organizzativi attraverso l’influenza sull’azione

altrui81, e, infine, dal desiderio di affermazione, cioè dallo stimolo a dare sempre e

comunque il massimo.

3. 3 - Le indagine di ricerca sui neolaureati

Contemporaneamente alla ridefinizione delle competenze chiave, L’Oréal intraprende un

ciclo di osservazione e di studio che tende a fornire una valutazione chiara ed esauriente

della percezione del brand aziendale, in generale, e che rappresenta il punto di partenza

dell’Employer Branding (e del modello EBGF) ovvero la fase di Assessment82 (vista nel

secondo capitolo); a tal fine, il gruppo avvia su scala locale ed europea indagini annuali e 80 Bagnato G. , Provera B. , Boromei P. , “La gestione strategica del recruitment; il caso L’Oréal”, Economia&Management Nr. 3 del 2006 81 Tosi H. , Pilati M. , Mero N. , Rizzo J. , “Comportamento Organizzativo”, Egea, 2002 82 Attività di analisi preliminari dell’employer brand necessarie ad identificare l’attuale posizionamento e l’attuale immagine dell’azienda sul mercato del lavoro

Page 72: Tesi di Angelo Anello

71

biennali sulla popolazione universitaria, per riuscire a capire e ad analizzare la percezione

dell’immagine del gruppo e il sistema di valori, esperienze ed aspettative che qualifica gli

studenti e i neolaureati.

Una delle principali indagini, denominata L’Oréal-Abacus, palesa come nel 2001 gli

studenti richiedano, in primis, un rapporto equilibrato tra vita privata e vita professionale

che consenta loro di dedicarsi ad ulteriori interessi extraprofessionali; in secondo luogo,

la ricerca mostra l’ambizione a lavorare all’interno di un’azienda con un’elevata

reputazione, contraddistinta da un marchio riconosciuto. Inoltre, sulla base delle analisi

emerse, viene a delinearsi un ambiente di lavoro ideale, cioè aperto, interessante, in cui i

colleghi danno nuovi stimoli e aderiscono ad un sistema di valori comune; aspetti più

materiali, quali remunerazione e benefits, che in passato hanno ricoperto il ruolo di

importanti variabili di scelta di un contesto lavorativo piuttosto che un altro, sfilano in

secondo piano rispetto alle possibilità di carriera internazionale e in ambiti multiculturali.

L’indagine evidenzia come gli individui aspirano ad acquisire informazioni tangibili e il

più possibile prossime alla realtà organizzativa, apprezzando positivamente occasioni di

contatto quali presentazioni aziendali, testimonianze di manager dell’azienda, stage e

progetti in aula. Le informazioni più considerevoli non concernono ineluttabilmente la

storia e i successi dell’impresa, ma la cultura aziendale, le occasioni di formazione e

sviluppo, il profilo ideale ricercato nei candidati, i valori condivisi; il peso centrale è

assunto dalla richiesta di armonia tra quanto enunciato dall’azienda e l’effettiva realtà.

La ricerca procura al gruppo un utile mezzo diagnostico, poiché traccia una descrizione

meticolosa dei rischi e delle opportunità relative all’immagine di L’Oréal in qualità di

employer. Dall’indagine scaturisce la vigorosa notorietà del marchio, malgrado non del

gruppo nel suo complesso, inteso come portafoglio di prodotti collocati su canali

distributivi eterogenei, con particolare riguardo ai beni di lusso indirizzati alle profumerie

e alle farmacie; soltanto il mass market è ravvisato come business prevalente83. Più

precisamente, l’immagine delineata da L’Oréal-Abacus è di un’organizzazione

prettamente “francese”, femminile, fashion e avvolta da una patina di “frivolezza”, poco

indirizzata verso la tecnologia; un’immagine accentuata visibilmente da mezzi di

comunicazione scarsamente efficaci che esaltano in modo marcato componenti in parte

coerenti e in parte contraddittorie con l’identità del gruppo. Le rassegne realizzate nelle 83 Bagnato G. , Provera B. , Boromei P. , “La gestione strategica del recruitment; il caso L’Oréal”, Economia&Management Nr. 3 del 2006

Page 73: Tesi di Angelo Anello

72

università alla fine degli anni novanta sono, infatti, inquadrate su informazioni

squisitamente economiche, sul posizionamento dei prodotti e sono più che altro condotte

da testimonials femminili; il prodotto è sempre in primo piano, la componente francese è

del tutto predominante.

Il gruppo non possiede, quindi, un’efficiente brand personality, presupposto essenziale

di un’efficace strategia di Employer Branding.

3.4 – L’Employer Branding in L’Oréal

L’azienda acquisisce la consapevolezza che la comunicazione è la chiave basilare di

accesso al target dei candidati potenziali e il mezzo attraverso il quale i punti di forza e

debolezza aziendali si manifestano. Di conseguenza, L’Oréal stabilisce di progettare ed

impiantare una vera e propria strategia di Employer Branding (EB) rivolta ad attrarre gli

individui più interessanti per l’azienda, comunicando un’immagine più leale e coerente

rispetto alle effettive caratteristiche e alle reali opportunità di sviluppo

dell’organizzazione; definita l’esigenza di riposizionare il recruitment, L’Oréal compie

delle scelte che, fino ad oggi, si sono rivelate gratificanti e che vengono racchiuse nella

seconda fase (Prospective) di una strategia di EB.

Il primo passo è stata la realizzazione di una struttura di reclutamento intenzionalmente

concepita per promuovere la consapevolezza dell’immagine del gruppo nelle realtà

universitarie e reclutare giovani “talenti”; all’interno della funzione Human Resources,

ciascuno è incaricato della responsabilità di uno o più atenei, rinvigorendo il presidio

nelle università e diffondendo la presenza del gruppo verso nuovi sedi.

In secondo luogo, l’offerta di lavoro viene segmentata secondo matrici a due variabili, la

“qualità degli studenti” e il “livello dei servizi di placement”, all’interno delle quali sono

posizionati gli atenei e le singole facoltà; sulla base di tale segmentazione sono fissate

politiche di recruitment più o meno analitiche. Tale processo conduce all’individuazione

di tre categorie di atenei:

• Partners, università che offrono forme avanzate di placement e possiedono

prestigio e orientamento internazionale, con le quali L’Oréal instaura un rapporto

consolidato (in Italia sono solo quattro gli atenei partner).

• Associates, università con cui la relazione di partnership è in via di sviluppo e in

cui il gruppo ripone un’aspettativa di perfezionamento dei servizi di placement.

Page 74: Tesi di Angelo Anello

73

• Growers, atenei qualificati come potenziali “nuovi mercati”, ovvero che

rappresentano facoltà non economiche e localizzate geograficamente lontane dai

consueti poli di business (come Milano, Roma e Torino).

Per ciascuna di tali categorie sono stati stesi dei piani di marketing con un orizzonte

temporale di dodici mesi, ridefiniti per ogni anno accademico.

Contemporaneamente, la funzione HR nel 2001, a livello corporate, disegna una

campagna di comunicazione internazionale, integrata e articolata (in grado di valorizzare

l’immagine dell’azienda come luogo di lavoro) che include codici di comunicazione

omogenei in tutto il mondo; è la fase più creativa (Prospective) del processo di sviluppo

dell’employer brand, nella quale il gruppo determina la propria employer brand promise

ovvero trasforma, in chiave “comunicazionale”, la propria employee value proposition.

Per realizzare l’intento di comunicazione dell’employer brand (fase di Development),

L’Oréal utilizza come testimonials i manager in posizione di successo al proprio

interno84; adotta uno slogan (o claim) basato sull’appartenenza ai valori del gruppo, “It’s

My L’Oréality”, in cui ciascun manager racconta la propria esperienza evidenziando di

volta in volta aspetti differenti; sceglie in modo rigoroso la lingua inglese come veicolo di

comunicazione e, infine, si avvale di brochure e presentazioni che citano tutti e 17 i

marchi globali per evidenziare la diffusione mondiale del portafoglio prodotti.

La campagna accosta al materiale tradizionale (volantini, poster, brochure e cartoline) il

ricorso alle opportunità offerte da Internet, con la creazione di un sito di reclutamento

appositamente progettato, e l’utilizzo di attività di Public Relation per mezzo di stampa e

Televisione. Il fine di tali azioni è rafforzare un’immagine omogenea del gruppo che non

sia unicamente collegata ai singoli brand di prodotto.

Oggi la campagna di comunicazione nell’ambito del recruiting rappresenta un impulso

energico che L’Oréal ridefinisce regolarmente in un’ottica strategica, coerentemente con

l’immagine e le esigenze del mercato di riferimento85.

Dalla fine del secolo scorso, il gruppo intraprende la progettazione e il potenziamento di

piani di stage destinati a studenti e neolaureati, con l’obiettivo di arricchire aspetti quali

formazione, fidelizzazione e reclutamento.

84 Si tratta dell’Employee Generated Content, ovvero dell’utilizzo dei propri collaboratori come

testimonial dell’azienda, intesi come promotori dell’employer experience aziendale 85 ad esempio, nel 2004 la strategia cambia veste e diventa “L’Oréal – to build Beauty we need Talent”

Page 75: Tesi di Angelo Anello

74

Per concludere, L’Oréal elabora e lancia due tipologie di competizioni internazionali

imperniate sulla sfida tra gruppi di studenti, la “L’Oréal Marketing Award” (oggi

Brandstorm) e la “E-Strat Challenge”, che realizzano nuove prassi di recruitment e di

diffusione della nuova immagine.

La prima delle due competizioni realizza un’esperienza di brand management e

costituisce un’opportunità per mettere alla prova il potenziale degli studenti all’ultimo e

al penultimo anno, rendendo partecipi unicamente le università partner; il programma

disciplina la partecipazione ad un programma di marketing strategico, in gruppi di tre

persone. In palio, oltre a premi di natura economica, anche l’opportunità di inserirsi

nell’organizzazione. A pochissimi anni dal lancio, il Marketing Award si è rivelato

un’interessante mezzo di recruitment; nel 2000, infatti, il 28% dei neolaureati assunti

nella funzione Marketing arrivava direttamente da questa via.

L’E-Strat Challenge è invece un business game on line che si sviluppa in circa ottanta

paesi, svolto da gruppi di studenti che ipotizzano di essere alla guida di una società

multinazionale di cosmetica e di dover fronteggiare situazioni di mercato in tempo reale,

per un periodo di due mesi, perseguendo l’obiettivo di conseguire una posizione di

leadership rispetto ai competitors. Gli studenti dovranno affrontare, quindi, politiche di

prezzo, problemi a livello di produzione, di finanza, di marketing, di R&S, di pubblicità e

di posizionamento del marchio

3.5 - I risultati conseguiti

La fase finale (Monitoring) dello schema EBGF si concentra sul monitoraggio, ovvero

sul controllo dell’efficacia di quanto sviluppato nelle fasi precedenti.

Gli effetti delle politiche attuate sono monitorati sistematicamente grazie all’indagine

“Universum”, condotta ogni anno in tutti i principali paesi europei, e all’indagine

“Abacus”, commissionata da L’Oréal in Italia con frequenza biennale, che offrono

indicatori rilevanti per controllare il grado di visibilità dell’azienda.

Le iniziative di miglioramento hanno permesso di consolidare la relazione di fiducia con i

docenti e le strutture di placement dei diversi atenei di riferimento; una delle principali

testimonianze del forte legame che si è creato tra L’Oréal e le università è rappresentata

dal fatto che, in alcuni atenei Partner italiani, la partecipazione al Marketing Award

Page 76: Tesi di Angelo Anello

75

rappresenta ormai parte integrante dell’esame ed è soggetta a voto per tutti quegli studenti

che giungono alle semifinali della competizione.

Grazie ad un’eccellente nuova strategia di comunicazione e al perfezionamento del target

di riferimento, L’Oréal è oggi capace di selezionare individui con un rapporto “candidati

assunti vs. candidati incontrati” pari a 1:8, un dato al di sotto di tre volte a quello del

2000, quando per ogni posizione disponibile venivano effettuati venticinque colloqui86;

ciò manifesta una maggiore coerenza tra quanto dichiarato dal gruppo e quanto percepito

dai potenziali collaboratori, con la conseguenza che i soggetti che si propongono a

L’Oréal sono solo coloro che avvertono di essere in linea con il profilo “ideale” ricercato

dall’organizzazione. Reclutare in un’ottica di attraction (attrazione), perseguendo un

obiettivo di congruenza tra l’individuo e l’organizzazione, consente pertanto di

amplificare considerevolmente efficacia ed efficienza del processo di selezione; il

“selezionatore” opera, infatti, su un bacino di candidati coerenti con il gruppo e, di

conseguenza, la sua azione è più finalizzata e meno dispendiosa in termini di tempo, di

energia e di risorse utilizzate.

Inoltre, anche la campagna di comunicazione indirizzata a riequilibrare l’employer image

di L’Oréal, rispetto alle dimensioni di “francesità”, femminilità ed eccessiva enfasi sul

marketing, ha generato dei risultati; rispetto a dieci anni fa, il gruppo, infatti, è più abile

nel rispettare un equilibrio costante tra uomini e donne nel processo di recruitment e

inoltre, se nel 1996 il 75% degli assunti era destinato ad una carriera nel Marketing, nel

2003 il 56% dei nuovi collaboratori inseriti opera in funzioni quali la Logistica, la

Finanza e le Risorse Umane87.

Il recruitment ha raggiunto più intensi livelli di efficienza anche tramite ad un approccio

metodologico differentemente calibrato; all’intervista individuale, L’Oréal accosta anche

un colloquio di gruppo che permette di analizzare tra gli otto e i dodici candidati in un

arco temporale di tre ore, valutando le competenze trasversali quali la capacità di parlare

in pubblico, l’interazione tra le persone, l’abilità di lavorare in team e le capacità

negoziali.

86 Bagnato G. , Provera B. , Boromei P. , “La gestione strategica del recruitment; il caso L’Oréal”, Economia&Management Nr. 3 del 2006 87 Bagnato G. , Provera B. , Boromei P. , “La gestione strategica del recruitment; il caso L’Oréal”, Economia&Management Nr. 3 del 2006

Page 77: Tesi di Angelo Anello

76

Le università Partner sono divenute il fondamentale canale di selezione; se nel 1999 il

peso di tale via di reclutamento era pari al 12% del totale, oggi il 26% dei neolaureati

introdotti nell’organizzazione arriva da tali atenei88.

Infine, dal 2003 il gruppo ha raddoppiato il numero di inserimenti in stage, ampliando

quindi l’efficacia del processo di selezione grazie all’opportunità di valutare on the job gli

individui, analizzando la crescita del know-how individuale e, in particolare,

l’integrazione e l’allineamento con la cultura e il sistema di valori dell’organizzazione.

3.6 – Lo sviluppo futuro del recruitment

Ad oggi, il centro della riflessione è indirizzato verso le problematiche che susseguono a

questo primo processo di ripensamento delle logiche di fondo del recruiting; uno dei

rischi più allarmanti, conseguenza di un reclutamento mirato esclusivamente ad un

gruppo ristretto di campus prediletti, è l’omologazione dei profili reclutati, con una

preponderanza di background di matrice aziendalistica. L’omogeneità nei percorsi

universitari, infatti, può condurre ad una calo di diversità in termini di approcci,

esperienze e radice territoriale; il rischio è ancora più consistente se si pensa al fatto che

proprio l’eterogeneità delle persone rappresenta il fattore chiave di una cultura

internazionale e multirazziale come quella che L’Oréal intende conseguire, all’interno

della quale si intende favorire il confronto individuale in termini di innovazione,

sperimentazione e creatività.

Per porre rimedio a tale rischio, dal 2003 il gruppo ha intrapreso un programma di

diversificazione delle fonti del recruitment indirizzato alle facoltà di stampo umanistico

del Centro-Sud e finalizzato a verificare la conciliabilità tra profili ad alto potenziale

creativo e le necessità manageriali dell’organizzazione, grazie all’aiuto di successivi

stage.

Un’ultima attenta valutazione riguarda la continua e rapida evoluzione dei valori e delle

esigenze della popolazione universitaria che produce impatti considerevoli sulle scelte e

sulle offerte aziendali; tale fattore si riflette sugli aspetti di comunicazione e immagine

istituzionale che L’Oréal stabilisce periodicamente di adottare a livello corporate e che

necessitano, quindi, di essere sottoposti ad un continuo aggiornamento a causa della

88 Bagnato G. , Provera B. , Boromei P. , “La gestione strategica del recruitment; il caso L’Oréal”, Economia&Management Nr. 3 del 2006

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77

rapida obsolescenza delle informazioni su cui si basa la strategia di Employer Branding in

concomitanza delle mutevoli condizioni dell’ambiente di riferimento.

Page 79: Tesi di Angelo Anello

78

CONSIDERAZIONI FINALI

L’interesse per le Risorse Umane è, quindi, divenuto un aspetto di fondamentale

rilevanza del mondo organizzativo; sono gli outisder giusti, ovvero i “talenti”, a

rappresentare il vero patrimonio aziendale in grado di distinguere, in modo stabile e

duraturo, le organizzazioni rispetto ai propri competitors. Le persone sono, dunque, il

fondamento basilare per il conseguimento di un vantaggio competitivo e, proprio a causa

di tale ruolo, i “talenti” sono al centro di una competizione sfrenata da parte delle

imprese, perché il “talento” è comunque una risorsa scarsa, detenuta preziosamente da

pochi “eletti”. Tali riflessioni motivano l’attenzione da parte delle aziende verso le nuove

dinamiche che scaturiscono dal People Management, ovvero dalla gestione strategica

delle Risorse Umane, con particolare riferimento al ruolo specifico che i processi di

recruitment assumono all’interno di tale contesto e alla tecnica dell’Employer Branding,

una peculiare strategia di marketing finalizzata, appunto, ad attrarre, fidelizzare e

trattenere i “talenti” all’interno delle organizzazioni.

In conclusione, i punti chiave del recruiting strategico sono, quindi, rappresentati dalla

ricerca, dall’attrazione e dall’autoselezione.

Il recruitment in un’ottica di ricerca si esprime laddove il mix competenze-motivazioni è

individuabile e riconducbile ad un ruolo professionale in essere; la ricerca è sviluppata

attraverso realtà ben identificate, ovvero scuole e università per i ruolo cosiddetti junior e

imprese concorrenti per i ruoli senior.

Il recruitment in un’ottica di attrazione e autoselezione, invece, consiste nella ricerca di

coerenza negli atteggiamenti, nelle passioni, nei valori e nelle motivazioni degli ipotetici

candidati rispetto al sistema valoriale dell’organizzazione.

La gestione strategica delle attività di recruitment rappresenta, quindi, un valore aggiunto

per le aziende; tuttavia, è propizio valutare come tali iniziative possono imbattersi in

difficoltà e problemi di attuazione e sviluppo ragguardevoli; in linea generale, le strategie

di Employer Branding sono determinate dai vertici aziendali mentre le problematiche che

si possono riscontrare si rivelano solitamente nell’implementazione: da una parte, le

Page 80: Tesi di Angelo Anello

79

risorse allocate possono essere inadatte e, dall’altra, sorge l’esigenza di rendere partecipi i

responsabili di linea nello sviluppo delle attività di recruitment.

Sovente tali ostacoli possono essere addossati alla ridotta importanza attribuita alla

funzione Risorse Umane dall’organizzazione interna, la quale da sempre ha relegato le

HR (Human Resources) in una posizione di secondo piano rispetto alle altre leve di

vantaggio competitivo; trovare una soluzione a tale problema potrebbe equivalere a

sviluppare un sistema di metriche quantitative che permettano analisi più approfondite

dell’influsso delle politiche di Employer Branding sui processi di recruitment, selezione,

sul livello di coerenza tra individuo e organizzazione e, quindi, che consentano

valutazioni più precise sull’impatto di tali attività sulla performance aziendale

complessiva.

L’esistenza di adeguati casi di eccellenza, come quello L’Oréal, rappresentano degli

esempi tramite i quali il concetto di gestione strategica delle Risorse Umane guadagna

una condizione di legittimazione e di autorevolezza all’interno delle organizzazioni; solo

in questa ottica è possibile spiegare l’insieme degli impegni organizzativi e degli

investimenti occorrenti a convertire la gestione delle Risorse Umane in un mezzo di

vantaggio competitivo. Se la funzione Human Resources non realizza tale obiettivo corre

il rischio di assumere una natura tecnica e marginale e quindi di essere potenzialmente

soggetta all’esternalizzazione mediante operazioni di outsourcing, precludendo la

possibilità di far leva sulle sue capacità di costruire un vantaggio competitivo durevole

per l’azienda.

E’ necessario, inoltre, aggiungere, che nonostante l’Employer Branding raccolga un

numero crescente di consensi, non mancano critiche e limiti; una rapida panoramica alla

realtà del mondo del lavoro, infatti, ridimensiona drasticamente la portata del fenomeno.

Le logiche su cui poggia, infatti, sembrano trovare terreno elettivo in un contesto definito

da scarsità di risorse (forza lavoro) ed eccesso di domanda; condizioni queste che certo

non descrivono l’attuale situazione del mercato del lavoro italiano, caratterizzato, invece,

da un eccesso di offerta sulle effettive dimensioni della domanda di lavoro. Inoltre, un

tale meccanismo si giustifica all’interno di organizzazioni molto vaste in cui sono

delineati ruoli e funzioni ad hoc, mentre poco si adatta all’universo aziendale italiano,

tradizionalmente composto da piccole e medie imprese (PMI).

Page 81: Tesi di Angelo Anello

80

Come già anticipato nell’introduzione, il fine ultimo della tesi è quello di rendere palese

una congrua relazione tra le Risorse Umane e le performance dell’azienda; tale relazione

è stata ampiamente dimostrata grazie all’analisi del caso L’Oréal. Il gruppo, nell’ultimo

decennio del secolo scorso, ha iniziato una politica di acquisizione di brand strategici che

hanno indotto una crescita esponenziale delle dimensioni aziendali, generando una

necessità di integrazione tra sottomercati differenti e, dunque, generando il bisogno di

una cultura fortemente internazionale, a scapito della sua caratteristica di azienda

prettamente “francese”, ormai divenuta inconciliabile con le nuove esigenze del business;

per realizzare l’intento, L’Oréal ridefinisce le competenze chiave, richieste a ciascun

collaboratore, determinando un identikit standard, valido su scala internazionale, del

potenziale dipendente, cercando di creare un macthing perfetto tra offerta esterna ed

offerta interna. Il gruppo, inoltre, acquisisce la consapevolezza che la comunicazione

rappresenta il mezzo basilare di accesso al target potenziale e decide, quindi, di

realizzare una struttura di recruiting orientata a promuovere l’immagine del gruppo nelle

realtà universitarie, grazie, anche, al lancio di due competizioni internazionali tra

studenti: la“L’Oréal Marketing Award” e la “E-Strat Challenge”.

L’Oréal, tramite il perfezionamento della propria strategia di comunicazione e del

processo di recruiting, è riuscita, rispetto al 2000, a migliorare il rapporto “candidati

assunti vs. candidati incontrati”; se all’inizio del nuovo millennio erano necessari 25

colloqui di lavoro per assumere 1 collaboratore (1:25), oggi ne sono necessari soltanto

otto (1:8). Ciò manifesta una maggiore coerenza tra quanto dichiarato dal gruppo e

quanto percepito dai potenziali collaboratori e il tutto ha consentito, pertanto, di

potenziare in modo rilevante l’efficacia e l’efficienza del processo di selezione. Gli

addetti alla selezione dei candidati operano, infatti, su un bacino di collaboratori

potenziali coerenti con il gruppo e, di conseguenza, le loro azioni sono più finalizzate e

meno dispendiose in termini di tempo, energia e risorse utilizzate, realizzando, dunque,

migliori performance nella fase selettiva, performance che si traducono nella scelta degli

outsider più giusti e coerenti con il sistema valoriale aziendale; scelta che a sua volta si

ripercuote in un miglioramento del clima interno, in un aumento dei livelli di

soddisfazione, in un perfezionamento del lavoro svolto, in una qualità più elevata del

prodotto/servizio offerto e, dunque, in un ridimensionamento dell’inefficienza con effetto

positivo sul flusso dei profitti.

Page 82: Tesi di Angelo Anello

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