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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN. Dipartimento di Geoscienze Direttore Prof. Cristina Stefani TESI DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE GEOLOGICHE TELERILEVAMENTO E ANALISI STRUTTURALE DELL’AREA DEL FADALTO Relatore: Dr. Matteo Massironi Correlatore/i: Prof. Giulio Di Toro Dr. Riccardo Pozzobon

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN.Dipartimento di Geoscienze

Direttore Prof. Cristina Stefani

TESI DI LAUREA TRIENNALE INSCIENZE GEOLOGICHE

TELERILEVAMENTO E ANALISI STRUTTURALE DELL’AREA DEL FADALTO

Relatore: Dr. Matteo Massironi

Correlatore/i: Prof. Giulio Di Toro

Dr. Riccardo Pozzobon

Laureando:Filippo Zago

ANNO ACCADEMICO 2011 / 2012

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Al Nonno Toni,

comandante e lottatore,

insostituibile pezzo di storia.

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INDICE

Premessa

1. Introduzione

2. Inquadramento geomorfologico

3. Inquadramento stratigrafico

3.1 Biancone

3.2 Calcare del Fadalto

3.3 Scaglia Rossa

4. Inquadramento strutturale

5. Studio sismico

6. Metodi

6.1 Rilevamento in campagna

6.2 Analisi strutturale

6.3 Telerilevamento

7. Risultati

7.1 Esito dell’analisi strutturale

7.2 Influenza delle strutture sulla frana

7.3 Descrizione della carta

8. Conclusioni

9. Bibliografia

10. Ringraziamenti

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PREMESSA

La tesi si pone come obiettivo la valutazione dell’assetto strutturale del versante

est della Val Lapisina, già soggetta in passato a importanti fenomeni gravitativi, al

fine quindi di ricavare informazioni sulla stabilità dei pendii e su come le strutture

esistenti la influenzino.

1 - INTRODUZIONE

L’area presa in esame in questo studio si trova al confine tra la provincia di

Treviso e Belluno, nella suggestiva cornice delle prealpi Venete.

Più precisamente si è presa in considerazione la zona del Fadalto, dove la Val

Lapisina collega il territorio trevigiano con la cittadina di Vittorio Veneto e

l’Alpago.

La formazione di tale valico è riconducibile al passaggio del cosiddetto

“ghiacciaio del Piave” (Pellegrini, 2000) ritiratosi poi definitivamente in epoca

Fig.1 La Val Lapisina è una breve vallata (ca. 10 Km) che mette in comunicazione l’alta Marca Trevigiana e l’Alpago.

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wurmiana. E’ interessante osservare come nel versante est della valle sia

conservata molto bene una notevole nicchia di frana formatasi nel periodo

postglaciale, la quale ha dato vita alla conformazione attuale della Val Lapisina.

Ulteriori dettagli sono trattati nel capitolo dedicato all’inquadramento

geomorfologico.

Dal punto di vista geologico l’area era compresa nel Mesozoico al confine tra

l’ambiente pelagico del bacino bellunese e la piattaforma friulana ed è quindi

caratterizzata da un predominio litologico di calcari. Si tratta in particolare delle

formazioni della Scaglia Rossa, del Biancone e del Calcare di Fadalto le cui

descrizioni si rimandano al capitolo sull’inquadramento stratigrafico.

Per quanto riguarda l’aspetto strutturale, la zona è stata interessata dallo sviluppo

dell’orogenesi alpina che, in quest’area, è espressa da faglie di trasferimento e

rampe laterali legate ai thrust sud-vergenti che limitano le Alpi meridionali.

Il primo passo per la realizzazione di questa tesi è stato la raccolta dati attraverso

uno studio bibliografico riguardante l’ambiente tettonico e geomorfologico del

Sudalpino.

Si è poi proceduto alla raccolta dati in campagna dapprima finalizzati alla

compilazione di una carta geologica e, in un secondo momento, all’analisi

strutturale su affioramenti individuati nel versante e rappresentativi dell’area di

studio.

Per un’analisi di sintesi è stata utilizzata anche la tecnica del telerilevamento, utile

per ricavare informazioni relative a lineamenti strutturali.

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2 - INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

La Val Lapisina rappresenta l’antico percorso del fiume Piave abbandonato in

epoca tardo glaciale per l’ostruzione della valle stessa ad opera di un’enorme

frana staccatasi dal versante settentrionale del monte Costa – Millifret (Pellegrini,

2000). Durante l’ultima glaciazione wurmiana, che ha visto il suo acme 17000

anni fa, l’intera valle come del resto buona parte dell’arco prealpino (Vajont,

Tessina, Cadola, Dolada, ecc.) fu sede di un ghiacciaio che scendeva da nord

escavando e modellando il territorio sul quale insisteva. Ne è risultata una valle a

fondo piatto, con fianchi ripidi e profilo longitudinale a gradinata, con soglie in

roccia e conche di sovrescavazione (bacini lacustri del Lago Morto e di Petrello,

attualmente modificati per lo sfruttamento della risorsa idroelettrica).

Dal punto di vista idrogeologico la sella del Fadalto rappresenta lo spartiacque

superficiale fra il bacino del fiume Piave e quello del Livenza; l’unico fiume, il

Meschio, raccoglie per via sotterranea le acque provenienti dai rilievi carsificati

del Col Visentin.

La posizione della falda rispetto al piano campagna è pesantemente influenzata

dal regime di precipitazioni; questo è importante per quanto concerne l’origine dei

boati registrati nell’inverno 2011.

Gli accumuli di frana sono l’elemento morfologico dominante del fondovalle

lapisino; in Fadalto si ritrova con aspetto caotico e costituito da detrito

prevalentemente calcareo in matrice limoso – sabbiosa (Rilievi effettuati da

Autostrade SPA, 1985).

L’evento franoso è dovuto prevalentemente all’assetto strutturale dell’area poiché

le numerose faglie hanno provocato un deterioramento delle proprietà meccaniche

dell’ammasso roccioso. Le fratture giocano un ruolo fondamentale

nell’incremento della permeabilità secondaria che consente l’infiltrazione delle

acque all’interno dell’ammasso roccioso, favorendone l’alterazione per

dissoluzione carsica.

Le caratteristiche meccaniche e idrogeologiche dell’ammasso roccioso associate

all’elevata energia del rilievo sono parametri significativi ai fini del dissesto dei

versanti. (Bistacchi & Massironi, 2001).

In particolare tra le cause predisponenti sono sicuramente comprese la giacitura

a franapoggio della stratificazione e la presenza di giunti paralleli alla cresta.

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Perché avvenga la frana sono comunque necessarie cause scatenanti, ovvero

quelle che portano ad oltrepassare le condizioni di equilibrio del sistema.

Nel caso della frana del Fadalto spiccano per importanza il detensionamento del

versante dovuto all’ablazione e al ritiro del ghiacciaio e lo scuotimento sismico.

In effetti, Surian & Pellegrini (1994) hanno constatato che la datazione del

terremoto del 3 gennaio 1117 corrisponde a quella della frana del Masarei che è

stata datata tramite analisi al radiocarbonio in tronchi ritrovati nei debris.

Sul versante sono visibili joints e fratture anche a larga scala orientati circa nord-

sud che isolano porzioni di roccia che occasionalmente potrebbero essere tuttora

soggette a collassi.

Gravità, carsismo ed erosione in generale possono portare all’apertura di queste

fratture esponendo il sistema a nuove frane.

Per una migliore conoscenza dell’entità del deposito si è resa utile

un’investigazione dal punto di vista geofisico con lo scopo di determinare lo

spessore approssimativo dell’accumulo di detrito e, dove possibile, caratterizzare

la natura litologica del substrato sottostante (Surian & Pellegrini 1994).

E’ stato sfruttato prevalentemente il Sondaggio Elettrico Verticale (SEV),

dispositivo Wenner-Schlumberger, che ha portato come risultato la scoperta di

uno strato a bassa resistività a profondità variabile a seconda dell’area investigata

da 20 a 60 m.

Questo strato corrisponde alla presenza di depositi di origine glaciale a loro volta

ricoperti da uno strato ad alta resistività tipica di un caotico deposito di frana

caratterizzato dalla presenza di spazi vuoti.

A differenza delle regioni vicine l’area del Fadalto non ha mai sofferto

conseguenze dopo eventi metereologici importanti: questo grazie a notevoli

infiltrazioni delle acque nelle cavità carsiche. Tuttavia, piogge intense e di lunga

durata possono in ogni caso dar luogo a fenomeni di colamento (Pellegrini, 1979).

Anche l’impatto antropico ha svolto una sua parte: ad esempio in seguito alla

costruzione del tratto autostradale A27 datata 1994, vicino alla località

Sottochiesa, dove gli scavi per la messa in posto di uno dei piloni che sorreggono

il viadotto autostradale hanno causato una frana di tipo rotazionale.

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3 - INQUADRAMENTO STRATIGRAFICO

Durante il Mesozoico l’area del Fadalto era situata paleogeograficamente tra la

piattaforma Friulana a Est (Cansiglio) ed il bacino bellunese ad Ovest (Col

Visentin – Nevegal). Durante il Cretaceo le Dolomiti facevano parte dello stesso

vasto mare cui appartenevano le Alpi Venete (Veronese, Trentino meridionale,

Vicentino, Feltrino e Bellunese), una regione in cui i sedimenti del Cretaceo sono

costituiti fondamentalmente da due formazioni: la Maiolica (Biancone) nella parte

inferiore e la Scaglia Rossa nella parte superiore.

Nel nostro caso le due formazioni sono intervallate da una calcarenite: il Calcare

del Fadalto costituito da depositi di slope originatisi dallo smantellamento della

piattaforma del Cansiglio.

3.1 - BIANCONE (Cretacico p.p. – Malm p.p.)

Si presentano come calcari bianchi a grana finissima costituiti da microscopici

frammenti e gusci di organismi planctonici marini depositatesi in ambiente di

mare profondo.

Le micriti della Maiolica si presentano in strati decimetrici massicci e

caratterizzati da giunti stilolitici senza particolari strutture visibili.

Fig.2 Situazione paleogeografica nel Veneto durante l’era mesozoica.

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Nell’area di studio questa formazione si discosta dalla Maiolica in senso stretto,

infatti alcuni autori (Tracanella, Costa et al., 1992) propongono una distinzione

netta tra la facies classica e quella della parte orientale del Vallone Bellunese

denominata Calcare di Soccher. Pur essendo sempre un’unità di tipo bacinale è

caratterizzata da un colore variabile e generalmente più scuro rispetto alla facies

classica e dalla frequenza di livelli torbiditici derivati dalla piattaforma

carbonatica che si sviluppa contemporaneamente nell’area friulana.

Nel calcare del Soccher questi strati sono riuniti in “strata-set” metrici che

sporadicamente sono coinvolti in scivolamenti intraformazionali e che contengono

letti con noduli di selce grigia e giallastra. Lo spessore di questa formazione

oscilla da 200 a 300 m circa ed in accordo col progressivo allontanamento dalla

piattaforma friulana che ne rappresenta l’alimentazione, lo spessore diminuisce da

SE verso NW.

Dal punto di vista geodinamico la formazione rappresenta la base della scarpata

deposizionale della piattaforma friulana che verso NW entra progressivamente

nella margine bacinale ad essa immediatamente adiacente.

3.2 - CALCARE DEL FADALTO (Cretacico sup p.p. – Albiano)

Denominato anche calcare di Monte Cavallo e Calcarenite di Col Palù, consiste in

calcareniti e calciruditi bioclastiche bianche e nocciola in strati tabulari di

spessore da decimetrico a metrico.

La formazione è interpretata come detrito derivante dallo smantellamento della

scogliera che si accumulava nell’antistante zona di fore-reef ai piedi della

piattaforma friulana e depositatasi assieme a coeve formazioni pelagiche che

forma localmente delle intercalazioni di spessore metrico in facies di biancone

(Tracanella, Costa et al. 1987).

E’ talora possibile osservare strutture caratteristiche come gradazioni dirette,

laminazioni parallele ed incrociate.

Il Calcare del Fadalto quindi si presenta come un corpo a geometria cuneiforme

con massimi spessori che raggiungono i 400 – 500 immediatamente a ridosso

della scarpata alimentatrice che si trova nei monti dell’Alpago.

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La potenza di questa formazione diminuisce sia verso Nord sia verso Ovest dove

si assottiglia a ca. 200 m nell’area del Fadalto-Nevegal-Col Visentin.

3.3 - SCAGLIA ROSSA (Eocene inf. p.p. – Cretacico sup. p.p.)

Si tratta di una roccia sedimentaria marina costituita da calcari selciferi a grana

fine più o meno marnosa di colore prevalentemente rossiccio passante talora al

bianco.

Nel settore settentrionale del Vallone Bellunese la formazione della Scaglia Rossa

poggia in continuità sul Biancone o sul Calcare di Soccher mentre in quello

sudorientale è sovrapposto al calcare del Fadalto con in quale è in parte eteropica.

Il passaggio tra la formazione della Scaglia Rossa e quella del Biancone/Maiolica

è graduale con un aumento progressivo della frazione argillosa accompagnata

dalla comparsa della colorazione rossastra, anche se in alcuni settori è possibile

registrare un passaggio netto sottolineato da alcuni metri di brecce

intraformazionali a clasti micritici male arrotondati.

Nell’area di studio i banchi biocalcarenitici del Calcare del Fadalto passano

superiormente e lateralmente a calcari selciferi biancastri e grigi via via più

argillosi e rossastri. Questi ultimi costituiscono un intervallo di circa 20 m

denominato Scaglia Grigia che, molto spesso (anche in questo elaborato), viene

accorpato alla formazione della Scaglia Rossa a causa delle caratteristiche

litologiche simili.

La base della Scaglia Rossa poggia in onlap sul cuneo bioclastico rappresentato

dal Calcare del Fadalto e risulta quindi diacrona.

Nella parte inferiore di questa formazione si intercalano livelli torbiditici

bioclastici biancastri che rappresentano il persistere di eventi di risedimentazione

originati da flussi gravitativi sottoforma di frane sottomarine o torbide proveniente

dal margine della piattaforma friulana.

Verso l’alto la formazione della Scaglia Rossa diventa sempre più marnosa e

sottilmente stratificata e la selce rossa va scomparendo nei termini di tetto.

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4 - INQUADRAMENTO STRUTTURALE

L’area di studio fa parte del dominio delle Alpi Venete che si trovano all’interno

della catena di pieghe e sovrascorrimenti delle Alpi meridionali. La catena veneta

ha vergenza SSE con direzione degli sforzi principali orientati N20-30W e si è

sviluppata a partire dal Neogene.

I principali thrust del sudalpino orientale sono, a partire da nord, linea della

Valsugana, linea di Belluno, linea di Tezze e linea di Bassano; quest’ultima è

l’unica delle quattro che si trova a sud della Val Lapisina (Fig. 4 e 5).

Tutte presentano una sudvergenza e un’orientazione prevalentemente WSW-ENE.

Una delle principali complicazioni del sistema di thrust frontale del sudalpino si

verifica proprio all’interno della Val Lapisina dove si trova allo stesso tempo la

rampa laterale del thrust di Belluno ed una faglia di trasferimento della linea di

Maniago che rappresenta la sua più avanzata prosecuzione verso est (Fig.6).

Fig. 4 Mappa Tettonica semplificata delle Alpi Venete

Fig. 5 Sezione geologica NNW-SSE delle Alpi Venete. Si pongono in evidenza i quattro thrust principali: Linee della Valsugana, di Belluno, di Tezze e di Bassano.

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Per “rampa laterale” si intende una discontinuità che si forma parallelamente alla

direzione di movimento dei thrust (e.g. Fossen, 2010): si tratta di faglie a forte

componente trascorrente che connettono segmenti delle rampe frontali. Nella valle

Lapisina sono testimoniate da faglie traspressive con direzione NNE-SSW ed

immersione verso W. Questo sistema di rampa laterale viene chiamato anche

Linea Longhere-Fadalto-Cadola e si è impostato su una zona di debolezza

ereditata in corrispondenza del limite tra il bacino di Belluno e la Piattaforma

Friulana, limite costituito da faglie probabilmente attive dal Lias fino al giurassico

superiore (Doglioni, 1990).

5 – SISMICITÀ

Fig. 6 Immagine schematica del bordo frontale delle Alpi Venete. Il profondo thrust di Bassano raggiunge la superficie formando una triangle zone. A est termina in una zona di trasferimento denominata Linea di Caneva. La Pianura Veneta rappresenta l’avanpaese di due diverse orogenesi (Alpina e Dinarica).

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La zona del Fadalto rientra nel distretto sismico Alpago-Cansiglio, una zona

interessata storicamente da eventi che hanno raggiunto o superato la soglia di

distruzione.

Gli eventi sismici più rilevanti che hanno causato la massima intensità

macrosismica osservata sono gli eventi avvenuti il 29 giugno 1873 (Mw=6.3) e il

18 ottobre 1936 (Mw=5.9) che comportarono anche dei fenomeni di

intorbidimento diffuso delle sorgenti dopo la scossa principale (Comelli et al.,

2011).

Nonostante questi terremoti siano stati ripetutamente studiati sia dal punto di vista

macrosismico che strumentale, non sono state ancora oggi univocamente definite

le sorgenti sismogenetiche (Comelli, 2011).

Dal 1936 una decina di eventi nell’area sono stati percepiti dalla popolazione

prevalentemente nell’area di Cansiglio, Polcenigo, Sacile e Cordignano, ma

solamente dopo il devastante terremoto in Friuli del 1976 la rete di monitoraggio è

stata ampliata e la sismicità strumentale è rilevata da una rete di stazioni

permanenti OGS.

Nell’ultimo decennio le massime magnitudo registrate nell’area sono relative a

due eventi registrati il 26 febbraio 2007 localizzate in Friuli a poche ore di

distanza l’uno dall’altro: sciami e tremori sono comunque frequenti e rientrano nei

normali livelli di sismicità dell’area.

Le informazioni più dettagliate che oggi abbiamo per quanto riguarda l’analisi

sismica della zona del Fadalto ci giungono principalmente da studi e ricerche

svolte dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) del

Dipartimento Centro di Ricerche Sismologiche (CRS) raccolte nel “rapporto

preliminare sulle indagini sismometriche condotte in relazione ai fenomeni

acustici percepiti in Val Lapisina” (Comelli, 2011).

Questo lavoro si è reso necessario a seguito di numerose e preoccupate

segnalazioni ricevute dalla popolazione locale spaventata dall’udire dei profondi e

clamorosi boati che interessavano tutta la Val Lapisina: un fenomeno singolare e

inquietante accompagnato da evidenti vibrazioni di vetri e suppellettili delle

abitazioni.

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Lo staff del CRS si è attivato nei primi mesi dell’anno 2011 infittendo la rete di

sismometri con stazioni di registrazioni portatili allo scopo di:

verificare la corrispondenza tra le segnalazioni della popolazione ed

eventuali vibrazioni del terreno.

caratterizzare gli eventi sulla base delle caratteristiche temporali e spettrali

dei sismogrammi.

localizzare la sorgente delle emissioni sismiche ed acustiche.

fornire elementi per la spiegazione scientifica del fenomeno.

predisporre strumenti automatici ed in tempo reale per seguire

l’evoluzione del fenomeno a supporto di eventuali azioni della protezione

civile.

In particolare il CRS è intervenuto nell’area con 7 unità di registrazione portatili

di cui 4 fisse per tutto il periodo di registrazione mentre le altre sono state spostate

man mano che, sulla base dei dati di localizzazione, è stata circoscritta la zona

sorgente.

Fig. 7 In verde le localizzazioni degli eventi dal 1 al 28 febbraio 2011; in bianco le stazioni OGS utilizzate durante questo periodo per le localizzazioni.

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La stazione di registrazione rivelatasi più utile era installata nella sella del Fadalto

appena a nord di Lago Morto dove la qualità dei segnali è stata migliore (ottimale

rapporto segnale/rumore).

Questa stazione denominata “FADA” ha registrato fino a fine febbraio 346 eventi

sismici, non tutti correlati alla percezione dei fenomeni acustici ed ha segnalato

come l’andamento dell’orario degli eventi mostri come questi avvengano a tutte le

ore con una riduzione dell’attività da gennaio e febbraio. Inoltre essa mostra in

genere le forme d’onda più semplici e nette. Ciò indica che le onde sismiche si

propagano in modo pressoché diretto dalla sorgente alla stazione e che la distanza

ipocentrale è molto ridotta.

Il calcolo della differenza dei tempi di arrivo delle onde P e onde S misurate nelle

diverse stazioni grazie alla relazione

D=V s V p (T s−T p )

V p−¿V s¿

ha permesso di giungere alla conclusione che gli eventi possono essere considerati

di chiara origine locale. Prima di procedere alla localizzazione è stato in ogni caso

necessario prevedere una correzione topografica per i tempi calcolati alle stazioni.

Apportate tali modifiche e/o correzioni, si è infatti riusciti a determinare che gli

eventi occupano prevalentemente un’area ristretta compresa tra lago Morto e la

sella del Fadalto e risultano a profondità non superiore ai i 1,5 km e comunque

mediamente comprese tra i 500 e 600 m.

La sismica attiva inoltre ha permesso di definire la geometria del basamento della

valle, indispensabile per capire se questi eventi siano da localizzare all’interno o al

di sotto del corpo di paleofrana.

In conclusione, dalle analisi dei dati sismometrici raccolti in Val Lapisina

emergono i seguenti elementi:

le registrazioni sono caratterizzate da elevato contenuto in alta frequenza

in banda 30 a 70 Hz: questo spiega la percezione acustica.

la durata dei segnali è dell’ordine di 2-3 secondi il che porta a stimare

magnitudo da durata inferiore a 1.

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i primi arrivi delle onde P sono caratterizzati sia da compressione che,

seppur in numero più limitato, da dilatazione.

le onde S appaiono fortemente polarizzate orizzontalmente

gli eventi si concentrano in un’area limitata che comprende la centrale

dell’ENEL a nord di Lago Morto e si estende a settentrione fin sotto la

sella del Fadalto.

le profondità ipocentrali sono concentrate mediamente tra 500 e 600 m.

non vi è ad oggi alcun riscontro esplicito di corrispondenza dei segnali

correlati ai boati con attività antropiche di nessun tipo.

In aree caratterizzate dalla presenza di serbatoi e condotte carsiche può registrarsi

una sismicità indotta collegata a fenomeni detti “colpi d’ariete” (Milanovic,

1985); manifestazioni dovute a improvvisi aumenti di pressione locale che si

manifestano con microvibrazioni a effetti sonori molto forti percepiti come colpi

secchi, rumori cupi.

La circolazione delle acque sotterranee e il brusco riempimento di acquiferi

sembrano essere alla base di questi fenomeni.

In effetti, in studi effettuati in diverse parti del mondo (Germania, Austria,

Svizzera), è stata osservata una microsismicità indotta da acque che filtrano nel

terreno a causa di elevata piovosità (Fehler & Bame, 1985). Gli effetti acustici

sono simili a quelli riscontrati nell’abitato di Fadalto ed una maggiore

correlazione è data anche dal fatto che i mesi di novembre e dicembre 2010 in

Veneto son stati particolarmente piovosi, cosa che ha probabilmente alterato

l’equilibrio locale.

La dinamica idraulica che porta alla produzione di questi rumori sordi e profondi

è simile a quella che gli antichi Romani provocavano per coltivare miniere d’oro

(Angela, 2010). Plinio il Vecchio nel libro “Historia Naturae”, descrisse il metodo

utilizzato denominato “ruina montium” nel sito di Las Medulas (Galizia): una

grossa massa d’acqua raccolta e accumulata per mesi in un piccolo lago viene

rilasciata entrando fragorosamente in una fitta rete di gallerie e cunicoli in discesa

scavati all’interno della montagna. La forza d’urto comprime l’aria all’interno e

quando la pressione diventa eccessiva, si sbriciolano le pareti provocando un

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rumore sordo e potente. Il versante crolla e dal detrito i minatori possono così

recuperare il minerale.

In conclusione non ci sono elementi evidenti per collegare questi fenomeni alla

sismicità più profonda di origine tettonica.

6 - METODI

6.1 - RILEVAMENTO IN CAMPAGNA

Nel momento in cui si vuole analizzare le cause di una frana e, a maggior ragione

di una paleofrana, è necessario studiare l’area circostante per individuare le

caratteristiche dei lineamenti e delle discontinuità che all’interno della nicchia o

dell’accumulo sono ormai nascoste o rimaneggiate dall’evento stesso.

In primo luogo si è quindi posta attenzione alla stratigrafia tramite il

riconoscimento della litologia e la misura della giacitura negli affioramenti

riscontrati.

La raccolta dei dati litologici con relative giaciture si è basata essenzialmente

sull’uso di un dispositivo palmare (Hp ipaq) collegato a un riferimento satellitare

tramite GPS che restituiva una precisione max di 3 metri. I dati son stati poi

scaricati e sovrapposti a una carta topografica georeferenziata dell’area di studio

utilizzando il software ArcMap 9.3.

Il risultato di questo lavoro ha permesso la realizzazione di una carta geologica

digitalizzata completata, nelle zone periferiche, incrociando dati derivati da altre

carte geologiche già esistenti (Foglio 063 della carta 1:50000 dell’IGM Belluno,

Pellegrini & Surian 1996, Foglio 23 della carta d’Italia 1:100000 dell’IGM).

6.2 - ANALISI STRUTTURALE

In un secondo momento l’attenzione si è posta sull’analisi strutturale.

Gli affioramenti utili a questa causa non sono stati numerosi e le stazioni

strutturali sono state effettuate in tre località vicine tra loro raccogliendo per

ognuna circa 40 misurazioni per un totale di circa 120 dati.

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Da questi dati poi e, attraverso il programma Stereonet è stato possibile ricavare

un rose diagram e uno stereoplot. Il rose diagram rappresenta, all’interno di un

cerchio, le direzioni dei piani misurate in campagna mentre nello stereoplot si

aggiunge la componente inclinazione e i dati vengono trasferiti in una emisfera in

cui un piano perfettamente verticale sarà visualizzato come una semplice linea

retta mentre uno orizzontale o inclinato seguirà il cerchio massimo nella sfera.

6.3 - TELERILEVAMENTO

La raccolta di dati in campagna è stata integrata con l’utilizzo di dati telerilevati.

Fig 8 Fratture coniugate in Calcare del Fadalto. E’ in affioramenti come questi da cui son stati presi i valori plottati in stereoplot e in rose diagram.

Fig. 9 Costruzione di uno stereoplot: la proiezione dell’intersezione del piano con l’emisfero inferiore della sfera viene segnato nel disco orizzontale della sfera ottenendo una linea che rappresenta la direzione e l’inclinazione del piano plottato.

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Il telerilevamento è una disciplina tecnico-scientifica che permette di ricavare

informazioni qualitative e quantitative sull’ambiente attraverso la lettura e

interpretazione di dati (ortofoto, foto aeree, DTM) ricavati tramite aerei, satelliti o

sonde spaziali.

In particolare in questo lavoro si è usufruito di:

Foto Aeree

Le foto aeree utilizzate sono riprese di voli del 2003, non geometricamente

corrette.

Con l’utilizzo del programma di elaborazione ARCGIS 9.3 si è potuto

comunque sovrapporle alla carta geologica realizzata in precedenza

utilizzando dei punti invariabili e riconoscibili su entrambi i prodotti (Ground

Control Point).

Dal momento che non si sono analizzate vere e proprie ortofoto, anche dopo

la georeferenziazione, ai margini della fotografia perdurano distorsioni che

possono trarre in errore durante la lettura delle morfologie ai margini delle

riprese. Tuttavia il centro dell’immagine fornisce un dato sufficientemente

adeguato per una prima analisi delle discontinuità intese quali faglie o

fratture.

Lidar

Dati di miglior qualità e di maggior precisione che ci permettono di

approfondire l’indagine effettuata tramite foto aeree derivano da un

particolare sistema di acquisizione detto LIDAR (Laser Imaging Detection

and Ranging).

Il LIDAR è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la

distanza di una superficie utilizzando un impulso laser.

L’utilità di questo metodo è consiste nel ricavare informazione sulla

geomorfologia anche in condizioni di copertura boschiva grazie al suo potere

di penetrazione.

Quel che nella pratica fornisce questo sistema è un dato puntuale ricavato

calcolando il tempo di andata/ritorno del raggio laser. Il risultato

dell’acquisizione consiste in una nuvola di punti, ognuno dei quali è associato

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ad un’altezza e a una posizione geografica precisa (formato .las) con una

risoluzione, nel nostro caso, di 3 punti a metro quadro.

Questo dato è stato importato in ArcGis e interpolato tramite un’apposita

applicazione.

Il prodotto risultante è un’immagine TIN composta da una fitta rete di

triangoli di interpolazione che evidenziano la topografia dell’area. Dal TIN si

crea quindi un file raster sul quale è possibile effettuare altre elaborazioni

atte all’analisi interpretativa. Il file raster è una griglia dove ogni cella ha tre

informazioni che sono X e Y geografiche e un digital number che nel nostro

caso è la componente Z.

Visualizzando quest’ultimo digital number attraverso una scala graduata di

grigi o di colore è possibile rappresentare l’altezza topografica.

E’ possibile anche fornire all’immagine un’illuminazione orientata a

discrezione dell’operatore (Hillshade). In questo caso è stata scelta una luce

proveniente da NW utilizzando un azimut rispetto al NORD di 315° con un

altezza zenitale di 45. In un’immagine hillshade la scala di grigi rappresenta

il livello di illuminazione in cui 0 (nero) sono le zone perfettamente in ombra

e 254 (bianco) sono zone completamente illuminate.

La scelta di questa precisa orientazione luminosa è stata suggerita dalle

direzioni della maggior parte delle strutture rilevate che seguono direzioni

NNE-SSW.

Dopo questo processo di elaborazione si è in possesso di un dato a buona

definizione che, una volta georeferenziato e sovrapposto a carte e foto aeree, è

facile sfruttare per individuare sistemi di discontinuità altrimenti non visibili.

Una volta tracciate tutte le discontinuità tramite l’editor di ArcMap si è potuta

avere una panoramica generale delle direzioni dei sistemi di debolezza delle

loro mutue relazioni e della loro relazione con il fenomeno franoso.

Nuvola di punti formato .las

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Immagine TIN

File Raster. Qui la scala di grigi è in funzione dell’altezza.

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7 - RISULTATI

7.1 - ESITO DELL’ANALISI STRUTTURALE

In letteratura sono riportate nell’area di studio diverse faglie di cui alcune ben

riconoscibili anche in dati telerilevati.

Si tratta di faglie traspressive sinistre ovvero faglie con componente sia

compressiva che trascorrente, coerenti con la cinematica di rampa laterale del

thrust di Bassano.

La componente trascorrente è associata a parecchie strutture secondarie visibili sul

terreno e rilevate tramite telerilevamento.

Si sviluppano infatti fratture e faglie coniugate che sono composte da:

sistema R: discontinuità a basso angolo (15°) con la zona di shear

principale con senso di slip coerente con essa.

sistema R’: fratture ad alto angolo (75°) rispetto alla zona di shear

principale generalmente meno sviluppate delle R e con senso di

movimento opposto.

sistema P: discontinuità a bassissimo angolo rispetto alla faglia principale

(5-7°) e senso di slip concorde con la zona di faglia principale.

fratture tensionali T: si formano perpendicolarmente all’asse di massima

tensione e a 45 °rispetta alla zona di shear principale, direzione lungo la

quale si possono formare anche faglie normali.

Formato hillshade georeferenziato all’interno della carta topografica con sovrassegnate le fratture. ricavate dall’analisi in

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Non è raro anche lo sviluppo di pieghe con assi a 90° rispetto a σ 1 che al

persistere della deformazione di taglio ruotano, chiudendo l’angolo tra l’asse della

piega e la direzione principale della faglia.

Lungo la stessa orientazione delle pieghe possono formarsi altre strutture

contrazionali come stiloliti e faglie inverse.

Queste strutture finora trattate come interne alla zona di shear possono estendersi

e proseguire anche all’esterno, come riscontrato sia durante il rilievo di campagna

che dall’analisi in telerilevamento in particolare nella zona attorno alla faglia a est

dove si è trovato evidenza di pieghe anticlinali che seguono il tipico andamento

illustrato in figura 9.

Dall’analisi effettuata nella stazione strutturale si evidenziano tre direttrici

principali N15-35E, N80-110E e N150-160E con un’inclinazione che, per la

maggior parte dei casi, non varia di più di 3 gradi rispetto alla verticale.

Fig. 10 Schema fratture Riedel (Fossen, 2010).

Fig. 11 Immagine Hillshade con segnate in vari colori le fratture tipo Riedel. Viola=R Verde=R’ Blu=P Giallo=T

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L’orientazione dello stress individuato concorda con il σ 1 alpino N25W; nello

stereoplot si riconoscono le T-fractures orientate parallelamente allo sforzo

principale le discontinuità di tipo P (N15-35E) e le R’(N80-110E). In

telerilevamento invece le discontinuità sono presenti in maggior numero e con una

maggiore variabilità delle direzioni. Si riconoscono infatti le fratture tipo P, R, R’

e T (Fig.11). Altre invece non sono state riconosciute nella stazione strutturale in

campagna, ad esempio le fratture parallele alla faglia che potrebbero essere di

origine gravitativa.

Fig.12 Stereoplot delle 99 misurazioni effettuate nella stazione strutturale. Si riconoscono le

fratture R, R’ e P. La freccia indica la direzione dello sforzo principale.

R’

TP

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Anche i livelli più profondi possono essere interessati da pieghe nella shear zone,

ma in questi casi le relazioni con le fratture son più complicate.

Questa complessità strutturale è un evidente segno dell’intensa fratturazione, che

interessa un’area tuttora tettonicamente attiva.

Al momento dell’evento parossistico di frana tali discontinuità hanno avuto un

ruolo attivo tra le cause principali predisponenti.

Fig.14 Stereoplot con rappresentati i poli dei piani.

Fig. 13 Rose Diagram illustrante le direzioni dei 99 piani di frattura

misurati. I più frequenti sono orientati N20-40E.

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7.2 -

INFLUENZA DELLE STRUTTURE SULLA FRANA

Fratturazioni in un versante ripido, come nel caso dei versanti della Val Lapisina,

costituiscono zone di debolezza papabili cause di distacchi e di conseguenti

fenomeni franosi.

L’evidenza si riscontra nella parete in roccia affioranti all’interno della scarpata

principale: qui l’ammasso roccioso è disconnesso in vari blocchi separati da

aperture beanti sviluppate per una profondità di circa tre metri la cui massima

apertura è di circa 50 cm e si chiude a cuneo rastremandosi verso il basso. Tali

aperture dovute all’attività gravitativa, vengono ulteriormente allargate e

approfondite degli effetti del carsismo. Queste strutture si notano anche a scala

maggiore osservando la parte alta della nicchia di frana dove sono evidenti grosse

ed inquietanti fratture che creano discontinuità verticali nella parete (Fig. 15).

Le fratture P, potrebbero essere indicate come le maggiori responsabili del

distacco della porzione di versante nella zona di coronamento poiché la loro

orientazione è approssimativamente parallela alla scarpata principale della frana.

Le fratture tipo R’ costituiscono invece svincoli laterali che sblocchettano la

scarpata date la loro direzione all’incirca perpendicolare o quasi alla scarpata.

Le fratture T controllano infine la parte nord della zona di coronamento.

Non è da escludere che le attuali fratture, seppur sottoposte a stress di rilascio

minori, possano causare clamorosi distacchi di parte del versante anche al giorno

d’oggi.

Fig.15 Scarpata principale della nicchia di frana che mostra evidenti fratturazioni verticali.

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7.3 - DESCRIZIONE DELLA CARTA

Da questo lavoro si è dedotto che nell’area a Est della valle la superficie del

rilevamento è quasi esclusivamente dominata da tre litotipi: Maiolica, Calcare del

Fadalto e Scaglia Rossa.

Al di sopra della nicchia di frana è stato possibile incontrare in diversi punti il

limite tra il Calcare del Fadalto e la Scaglia Rossa che assieme all’andamento

delle giaciture disegna assi di pieghe anticlinali a direzione NE-SW probabilmente

correlati all’evidente faglia traspressiva riconosciuta anche tramite telerilevamento

in sinistra idrografica della Val Lapisina.

La Scaglia Rossa affiora sulla porzione centrale del coronamento della frana e non

sempre con la facies tipica dal momento che si presenta con una varietà cromatica

prevalentemente grigia. Non incontrando affioramenti che offrissero una quanto

minima continuità stratigrafica non è stato possibile capire se questo intervallo di

facies sia presente con regolarità.

La Maiolica invece affiora al di sotto della scarpata di frana con giacitura generale

degli strati immergenti verso la valle. Il limite con il Calcare del Fadalto avviene

per alternanza e viene posto alla prevalenza di calcarenite.

Il versante est della valle è quello che ospita la nicchia di frana ed è stata quindi

attentamente studiato tramite

l’analisi in telerilevamento

utilizzando l’immagine hillshade.

Si riconoscono fratture Riedel

correlate alla medesima faglia

orientata N10-20E che corre in

sinistra idrografica della Val

Lapisina. Questa discontinuità è

stata interpretata come una faglia

traspressiva con forte componente

Fig.16 Struttura a fiore positivo. Nel riquadro rosso si vuole risaltare la serie di thrust che si riscontrano anche in Val Lapisina.

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trascorrente sinistra probabilmente facente parte, insieme alle faglie nel versante

ovest, del sistema di rampa laterale della linea di Bassano.

La presenza pervasiva di numerose discontinuità alla meso- e alla macro-scala

predispone il versante a eventi di tipo gravitativi.

Il lavoro di campagna svolto nel versante Ovest della valle ha portato alla

constatazione che la presenza di affioramenti è sporadica e di pessima qualità

perciò la compilazione della carta geologica in quest’area è stata possibile

solamente tramite interpretazione incrociata di diverse carte geologiche a scala

maggiore (Surian & Pellegrini, 1996; Tracanella, 1987; Dal Piaz, 1941).

Le strutture che risaltano maggiormente in questo versante sono quattro faglie

traspressive sinistre che formano una struttura a fiore positivo. Le faglie andranno

poi a confluire tra loro a sud con la linea di Bassano della quale fan parte con

funzione di rampa laterale.

Il contributo compressivo che ha dato origine alle faglie ha fatto sì che le litologie

più profonde siano portate in superficie; qui infatti si segnala la presenza oltre che

delle più superficiali Maiolica, calcare del Fadalto e Scaglia anche di Rosso

Ammonitico e Calcare del Vajont assenti nel versante opposto.

La giacitura degli strati deriva da una grossa piega anticlinale il cui asse è

orientato all’incirca N-S.

8 – CONCLUSIONI

Nell’analisi della Val Lapisina si è riconosciuto che le strutture tettoniche presenti

derivano da sforzo principale con orientazione N25W, che è tipica dell’orogenesi

Alpina. Inoltre si è giunti alla correlazione dei sistemi di fratturazione e pieghe

anticlinali associate alla faglia traspressiva nell’area a est della nicchia di frana.

Le discontinuità sono responsabili di un deterioramento delle resistenze

meccaniche del versante, perciò la frana del Fadalto può essere considerata

dormiente poiché le cause che l’hanno provocata sono tutt’ora presenti e un nuovo

evento sismico di notevole rilevanza potrebbe riattivare il sistema scatenando un

evento parossistico.

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9 – BIBLIOGRAFIA

ANGELA A. (2010) – Impero

BISTACCHI & MASSIRONI (2001) – Introduzione alla tettonica fragile

neoalpina e sua influenza sull’instabilità dei versanti.

CATELLARIN A., CANTELLI L., FESCE A.M., MERCIER J., PICOTTI

V.,PINI G.A., PROSSER G., SELLI L. (1992) – Alpine compressional tectonics

in the southern Alps, Relations with the N-Apennines. Ann. Tect. 6, 62-94.

COMELLI & CRS STAFF (2011) – Rapporto preliminare sulle indagini

sismometriche condotte in relazione ai fenomeni acustici percepiti in Val Lapisina

(Gennaio – Febbraio 2011).

DOGLIONI C. (1990) – Thrust tectonics examples from the Venetian Alps.

FOSSEN H. (2010) – Structural Geology

PELLEGRINI G.B. & SURIAN N. (1996) – Geomorphological study of the

Fadalto landslide, Venetian Alps, Italy.

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10 – RINGRAZIAMENTI

Dr. Matteo Massironi nonostante tutto e tutti.

Un sincero ringraziamento lo rivolgo ai magnifici dottorandi e assegnisti del

Dipartimento di Geoscienze, dotati di una smisurata dose di competenza e

gentilezza. In particolare alla ‘’tuttologa’’ Sara Callegaro, spesso decisiva ed

essenziale nell’ultimo mese in avvicinamento alla laurea.

Nello e Gabriella indispensabili sponsor del percorso universitario.

Collega Dr. Dal Zilio Luca.

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