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LA CITTÀ FUORI LE MURA nella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO GIUSEPPE DI BENEDETTO

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LA CITTÀ FUORI LE MURAnella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto

PALERMOTRA OTTOCENTO

E NOVECENTO

GIUSEPPE DI BENEDETTO

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Giuseppe Di BenedettoPALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTOLa città fuori le mura nella collezione fotografica di Enrico Di Benedetto

ISBN 13 978-88-8207-364-0EAN 9 788882 073640

Le tracce di Palermo, 11Seconda edizione, dicembre 2009

Di Benedetto, Giuseppe <1961->

Palermo tra Ottocento e Novecento : la città fuori le mura / Giuseppe Di Benedetto. – 2. ed. – Palermo : Grafill, 2009.(Le tracce di Palermo ; 11)ISBN 978-88-8207-364-01. Di Benedetto, Enrico – Fotografie. 2. Palermo – Fotografie – Sec. 19.-20.779.4458231 CDD-21 SBN Pal0222068

CIP – Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

© GRAFILL S.r.l.Via Principe di Palagonia, 87/91 – 90145 PalermoTelefono 091/6823069 – Fax 091/6823313 Internet http://www.grafill.it – E-Mail [email protected]

Tutti i diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica e di riproduzione sono riservati. Nessuna parte di questapubblicazione può essere riprodotta in alcuna forma, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, né memorizzata tramitealcun mezzo, senza il permesso scritto dell’Editore. Ogni riproduzione non autorizzata sarà perseguita a norma di legge.Nomi e marchi citati sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici.

Finito di stampare nel mese di dicembre 2009presso Officine Tipografiche Aiello & Provenzano S.r.l. Via del Cavaliere, 93 – 90011 Bagheria (PA)

Foto di copertinaPonte dell’Ammiraglio; particolare. Fine del XIX secolo.

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A mio padre

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7 | Prefazione di Salvatore Pedone

11 | Introduzione

17 | L’espansione fuori le mura

33 | I modelli di sviluppo della città nuova

59 | La città tra vecchi riti aristocratici e nuovi modelli borghesi

71 | Le parti della città in rapporto con il mare

89 | La città ad ovest: l’asse di corso Calatafimi

103 | La campagna intorno alla città

131 | Note

133 | Indice dei luoghi

138 | Indice dei nomi

Indice

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Prefazionedi Salvatore Pedone

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Pagina precedentePalazzo Alù (distrutto) in via Lincoln visto dall’Orto Botanico. Fine XIX secolo.

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La cartolina illustrata, come del resto lamaggior parte della corrispondenza cartacea stascomparendo lentamente nell’uso comune. Or-mai passano negli uffici postali soltanto bollet-tini di pagamento, comunicazioni di enti pub-blici e privati, depliants vari e materiale com-merciale. Nel prossimo futuro non potremoconsultare, per la seconda metà del XX secolo,nelle biblioteche i preziosi carteggi di personag-gi più o meno illustri che forniscono importan-ti contributi allo studio ed alla conoscenza piùin generale. Questo evento non giunge inaspet-tato, era stato ampiamente previsto dagli esper-ti di comunicazione quando avevano presocampo le nuove tecnologie elettroniche di ge-stione dati, che si sono in breve sovrapposte aitradizionali sistemi di scrittura e di lettura. Cirendiamo conto quanto sia vera l’asserzione etale da costituire argomento di riflessione, so-prattutto quando pensiamo che la moltiplica-zione dei media non ha aggiunto né tolto nullaa quanto era già in uso; ha cambiato radical-mente tutto.

Tuttavia, la cartolina illustrata, come reper-to storicizzato, ha ancora un presente ed avràun futuro, ma solo ed esclusivamente come do-cumento visivo, al di là naturalmente dell’at-tenzione dei collezionisti. Del resto, basta visi-tare oggi uno dei tanti mercati delle pulci, labottega di un rigattiere o di un più sofisticato ecolto antiquario per rilevare come questo gene-re sia ancora oggetto di attenzione e molto ri-chiesto. Anche nel grande calderone di INTER-NET il genere è presente in un numero impres-

sionante di siti (molti di questi ben fatti); qui lacartolina viene proposta e studiata in direzionenon soltanto del mero collezionismo.

Raccogliere cartoline postali illustrate è sta-to ed è uno dei tanti modi per ricordare, cono-scere e raccontare. Le radici di questo interesserisalgono alla fine dell’Ottocento, quando il ge-nere, divenuto ormai di uso comune, propone-va oltre a disegni, dipinti, litografie anche ec-cellenti e riproduzioni fotografiche. “L’inven-zione” aveva fatto il suo ingresso in Italia intor-no al 1874 e dopo che in Germania, pare permerito di un solerte funzionario delle poste H.von Stephan, aveva avuto notevole diffusione.Era stata il veicolo principale di comunicazionetra i soldati al fronte e le loro famiglie nellaguerra franco-tedesca. Se nei primi esemplarierano stati raffigurati ritratti e disegni, del ge-nere patriottico; successivamente, con l’affer-marsi della fotografia, cominciarono a circolarele prime vedute panoramiche di città e paesi odi singoli monumenti; vennero ancora celebriritratti di imperatori, principi e loro familiariin posa da dipinto. Nelle cartoline si riprodus-sero anche eventi notevoli; ricorderemo per l’I-talia la rara serie del 1860 con gli scontri di Pa-lermo tra le truppe borboniche ed i garibaldini.

Come mezzo di comunicazione si era poidiffusa ampiamente e capillarmente, non esi-steva viaggio, in qualsiasi parte del mondo, chenon comportasse l’invio a parenti e amici dellacartolina, che recava sul dritto l’immagine delluogo visitato e, nel verso, il comune messaggio“a te pensai…”. Da questo punto al collezioni-

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smo il passo fu breve incrociandosi spesso conquello filatelico; queste raccolte cominciarono adivenire sempre più imponenti e gli esemplariqualitativamente migliori nelle stampe. Se hocompreso bene lo spirito che aveva animato ilcollezionista palermitano, conte Enrico Di Be-nedetto, nel mettere insieme circa 20.000 car-toline illustrate, oggi custodite nella BibliotecaComunale di Palermo, debbo dire che il fineandava oltre il semplice interesse del raccoglito-re. Lo stesso che si definiva «collezionista dicarte postali della Sicilia illustrata», aveva scrit-to: «La collezione delle mie cartoline illustrateha lo scopo storico e istruttivo per la Sicilia; percui ha anche la correlazione per l’estero per gliemigranti siciliani che si trovino in esso». Cre-do che per il collezionista Di Benedetto ricerca-re e mettere insieme cartoline classiche, pubbli-citarie, di carattere celebrativo, ma anche rita-gli di giornali o addirittura alcune polizze delgioco del lotto ed altro rappresentava in massi-ma parte uno svago, un momento di delizia.Ma c’è qualcosa di più, si rivela un interesse dacurioso attento, che si pone e risolve anche deiproblemi di classificazione per generi, renden-do oggi agevole la lettura rapida su aspetti ur-banistici, storico-artistici, sull’architettura, sul-l’arte in genere, sulle tradizioni, nonché usi ecostumi popolari in Sicilia ed a Palermo in par-ticolare. Qualcuno dei 62 album, nel classicoformato a maddalena, rilegato in pelle scura hala struttura di una monografia affidata alle im-magini. Il nostro, non avrebbe mai potuto im-maginare che la sua collezione sarebbe divenu-ta un importante corpus documentario disponi-bile per l’utenza più varia, dagli studiosi aisemplici curiosi. Sulla scorta della mia frequen-tazione della Biblioteca Comunale di Palermoposso assicurare che questo materiale è consul-tato continuamente, quasi alla pari (sia purecon doverosi ed obbligatori distinguo) con imanoscritti di quel «buon patrioto e raccoglito-re di patrie memorie» Francesco Maria Ema-nuele e Gaetani, marchese di Villabianca. Adifferenza del primo, il nobiluomo ornava isuoi manoscritti con incisioni e disegni, rita-gliati dalle più svariate pubblicazioni o rinve-nuti in foglio sciolto e che incollava successiva-

mente; inoltre, oltre alle immagini, aveva rac-colto su Palermo in particolare informazioni diogni genere: dalla descrizione di eventi storicialle curiosità, ai necrologi ed ancora disquisi-zioni su quasi ogni ramo dello scibile umano.Entrambi però mostrano un grande amore perla loro città natale. Il Villabianca con la consa-pevolezza di trasmettere ai posteri il frutto diqueste fatiche ed ai suoi contemporanei, ai qua-li dava volentieri accesso alle sue pagine mano-scritte, si proponeva come uomo di cultura,completo ed appassionato. Basterebbe a questoproposito segnalare quella parte introduttiva alsuo manoscritto «Palermo d’oggigiorno», dovecon una punta di poco malcelato orgoglio se-gnalava che le misure fornite dei luoghi e deimonumenti palermitani descritti erano state ef-fettuate con il palmo della sua mano, con la mi-sura del suo piede e dei suoi passi.

Le cartoline della collezione della Bibliote-ca Comunale di Palermo che Giuseppe Di Be-nedetto, dopo un’attenta lettura e selezione, cipresenta consentono una lettura attenta dellacittà di Palermo extra moenia con delle prezio-se annotazioni sulle immagini, colte prima cheil piccone giacobino rendesse la città ed il suoterritorio diversi e disarmonici. Sconvolto l’a-gro senza nessun rientro sulla scorrevolezza deiflussi di viabilità, e cancellato il rapporto con lefondamentali emergenze architettoniche. Ba-sterebbe a questo proposito considerare alcunidi questi monumenti: la piccola Cuba, il Castel-lo di Maredolce, la maggior parte delle ville deiColli e di quelle della zona orientale ed a sudnello stradone di Mezzo Monreale. Nel com-mentare le sostanziali trasformazioni ambien-tali della città di Palermo e della società, tra ilXIX ed il XX secolo, Giuseppe Di Benedettonon si propone di esaurire un discorso ben piùampio e complesso; al di là di una maniera folk-lorica e nostalgica con cui sono stati spesso trat-tati questi temi, compie interessanti approfon-dimenti sul rapporto tra ambiente e comunità,tra architettura e cittadino, fornendoci una va-lida testimonianza su come Palermo vedesse sestessa e come si sia evoluto negli anni successi-vi, dalla fine della seconda guerra mondiale,questo sentire.

PALERMO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO – LA CITTÀ FUORI LE MURA

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Introduzione

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«Pianta della Città di Palermo / e suoi contorni / dedicata / a S.A.R. / il Principe di Salerno / Nell’anno 1818 / DalSuo Umiliss.o e Ossequioss.o Servitore / Gaetano Lossieux».

Pagina precedenteStatua di Ruggiero Settimo con lo sfondo del Teatro Politeama in fase di completamento. 1875 ca.

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Nel completare con questa pubblicazio-ne il lavoro dedicato alla collezione fotogra-fica di Enrico Di Benedetto, che ritrae lacittà di Palermo tra la fine dell’Ottocento e iprimi decenni del Novecento, ho la sensa-zione di appartenere a quella schiera di pa-lermitani che Marcello Benfante descrive,con lucida analisi, come fautori di una «rie-laborazione perpetua di un lutto», fabulato-ri ossessivi della stessa unica “fiaba”, quella«delle mille e una notte della dinamica, ele-gante e cosmopolita Palermo dei Florio»1.La sensazione è forte come il disagio di sen-tirsi cucito addosso quell’abito ideologicoesistenziale, di lampedusiana memoria, chetende a metastorici vaneggiamenti voluttuo-si e voluttuose manifestazioni oniriche diun’insana aspirazione ad un’eterna immobi-lità storica.

Le immagini raccolte da Enrico Di Bene-detto ciò nonostante ci aiutano a comprende-re che quella Palermo non è stata né un mi-raggio né una proiezione onirica, e non credoche si “riesumi” il passato soltanto perché ir-resistibilmente attratti da ciò che è morto esepolto. Eppure sembra che le fotografie difine Ottocento e della prima decade del No-vecento non raffigurino Palermo com’era,ma un’altra città, tale è la distanza fisica chesovente separa il presente dal passato.

Palermo, come ha scritto Cesare de Seta,«è il simbolo di tutte le sventure che lo scor-rere del tempo, l’invadenza scurrile dell’u-mana cupidigia, mista a rozzezza ed ignoran-

za, hanno inflitto al suo volto e alla magnifi-cenza del suo passato»2.

Considerazioni, queste, vecchie di oltrevent’anni e che sembrava non doversi più rife-rire alla nostra città, ma che oggi e, forse, peranni a venire, ritornano di tragica attualità.

Una città, pertanto, difficile da capire.Difficile per le tante contraddizioni che

la caratterizzano, per le differenze che emer-gono tra la città reale e quella rappresentatadagli antichi cartografi, nei racconti letterarie nelle cartoline illustrate ingiallite dal tem-po. Il corso della storia, del resto, ha impostoa Palermo il ciclico riproporsi di destini maidel tutto compiuti. Con la morte di FedericoII di Svevia si interrompeva precocemente ilruolo di città capitale, sebbene per secoli Pa-lermo continuò ad essere, almeno nominal-mente, prima sedes corona regis et regni ca-put. Incompiuta si rivelò la “rifondazione”cinque-secentesca della città, quella dellaquadratura geometrica, dei rettifili e dellacroce di strade, che a sua volta intervenivacon profonde lacerazioni sul quel tessuto ur-bano e sociale che per secoli aveva sostenutolo sviluppo marittimo-mercantile della «cittàtutto porto». Neanche la città prefiguratadai piani di riforma dell’Ottocento – daquelli predisposti tra il 1860 e il 1861, al pia-no regolatore del 1884 di Luigi Castiglia, aipiani di risanamento e di ampliamento di Fe-lice Giarrusso del 1885 e del 1886 –, che an-cora una volta tendevano ad una «Palermodell’astrazione»3, si è compiutamente realiz-

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zata. Tutto questo ha certamente impedito ilformarsi della «città tutta centro e tutta peri-feria» pensata da Giovan Battista FilippoBasile e il radicamento nel tessuto sociale edeconomico di Palermo del modello borghesecapitalistico di inizio Novecento.

Nei fatti la borghesia a Palermo nell’Otto-cento rimase una componente esogena, nonautoctona, venuta da fuori, dalla Francia, dal-la Germania, dall’Inghilterra e dal resto d’Ita-lia, e pertanto estranea alla tradizionale strut-tura sociale della città in cui soltanto l’aristo-crazia aveva esercitato un ruolo egemonicoincontrastato. Malgrado il rapido dissolvi-mento del potere economico, la nobiltà eser-citava un’influenza irresistibile sulle nuoveclassi dirigenti, offrendo, grazie ai suoi intra-montabili rituali di casta, ai suoi alberi genea-logici, all’esclusivo sensus vitæ, dei modellicomportamentali necessari al riconoscimentodi un’avvenuta affermazione sociale. Quest’ir-resistibile attrattiva finirà per trasformare lefamiglie emergenti del nuovo sistema capitali-sta e imprenditoriale presente in città agli ini-zi del Novecento in una versione rinnovata (avolte ridotta e un po’ caricaturale) della mi-gliore aristocrazia locale di cui si tentava diimitare il modus vivendi sino ad apparire (manon ad essere) parte integrante di essa.

Come osserva Marcella Aprile: «Palermonon riuscì mai a trasformarsi in una capitaleborghese, come si evince dalla scarsa presen-za di quei monumenti, servizi e spazi pubbli-ci di cui si erano pur dotate le grandi cittàcentro europee a partire dalla seconda metàdel XIX secolo; come è testimoniato, anche,dalla parziale esecuzione del piano Giarrus-so del 1885. Il teatro della lirica e il Politea-ma furono due eccezioni, affatto singolari,cui non seguirono altre operazioni analogheper importanza, sebbene in quello stesso pe-riodo l’espansione economica e fisica dellacittà fosse degna di nota»4.

Se non fu mai capitale borghese, se nonfu mai come Barcellona o Berlino, Palermoseppe comunque inscrivere la propria vicen-da sociale ed urbanistica, con un proprio ri-conoscibile ed autonomo carattere, nel lento

processo di unificazione nazionale. E, in taleambito, avrebbe potuto sviluppare un per-corso coerente con la sua storia se l’immobi-lismo culturale e ideologico delle classi socia-li egemoni, vecchie e nuove, – costrette dallapropria atavica condizione storica, a rimane-re uguali a se stesse per sottrarsi ai mutamen-ti epocali in virtù di incomparabili “destini”già compiuti – non fosse stato stravolto dallafuria distruttiva e lacerante di un prevarican-te potere politico-mafioso. Furono sufficien-ti appena cinquant’anni perché Palermo de-perisse, si disfacesse e languisse miseramente,riducendosi le testimonianze memorabili delsuo passato in lacerti appena riconoscibili diantiche configurazioni definitivamente scom-parse. A questi “frammenti” della storia, alloro straordinario e incorrotto potere evoca-tivo, è oggi affidato il ruolo di interlocutoriprivilegiati di quel dialogo osmotico che è ne-cessario intrattenere con la complessa geo-grafia della memoria della città per preser-varne l’identità storica e culturale. Questoimpone una particolare attenzione soprattut-to per ciò che è definitivamente perduto per-ché se ne restituisca l’effettiva consistenza nelquadro complessivo dell’ordito architettoni-co e della trama strutturale della città.

Oltre le immagini apparenti dei luoghiraffigurati nella Collezione fotografica si ce-lano sempre molti dei caratteri perenni e sa-lienti di Palermo.

Diviene quindi indispensabile riferirsi aquella struttura profonda della città che inrealtà è sottesa al suo aspetto esteriore al fi-ne di comprendere e decodificare le figureche la definiscono e carpirne il «respiro fi-siologico». Il mio intento, potrei dire con lestesse parole che Alberto Savinio aveva uti-lizzato per definire il ritratto di Milano, èquello di ascoltare il cuore della città, la suavera essenza, il suo carattere profondo.

A questo modo di perscrutare ‘saviniano’,e al correlato desiderio di appagamento co-noscitivo, corrisponde lo smanioso ricercareentro queste antiche immagini fotografiche e,nel contempo, dentro le storie e le descrizio-ni letterarie di Palermo ad esse connesse.

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Lo stesso ordinare le foto per temi e percontesti serve soprattutto a ricalcare percor-si e luoghi già raccontati da altri o per imma-ginare le narrazioni apocrife che hanno sa-puto suscitare.

Nella lettura interpretativa del caratteredella città ci vengono in soccorso soprattut-to alcune parole di Leonardo Sciascia che diPalermo aveva detto: «città che rappresentala scena di una città». Una definizione chenon soltanto si applica con evidenza allacittà storica e ai suoi rettifili – quelli del Cas-saro e della via Maqueda –, ma che è possi-bile estendere a tutte le forme espressive diPalermo, compreso quelle della città bor-ghese dell’Ottocento e del Novecento.

Scrutando oltre la scena urbana percepi-bile emerge pervicacemente l’interrogativocui occorre dare risposta: quale città è celatadietro la sua rappresentazione?

Palermo è certamente «città di città». Inessa si sovrappongono, convivono e si scon-

trano differenti modelli urbani in un dialet-tico gioco degli opposti frutto di una straor-dinaria congerie di accadimenti.

Affinché un discorso sulla storia di Paler-mo non si trasformi nell’ennesima stentoreacelebrazione pregna di malinconiche rievoca-zioni di splendori veri o presunti, ma costitui-sca un contributo, anche modesto, alla cono-scenza della città, occorre avocare sufficientistrumenti analitici capaci di letture interpre-tative più articolate che valutino criticamentela complessità dei fatti presi in esame nel lorosviluppo storico-sociale, senza concessionipassionali a seducenti consuetudini descritti-ve che alla fine risultano estranee al reale pro-cesso storico di Palermo. Anche il rapportocon il concetto di memoria e quindi di ricor-do deve essere del tutto particolare.

In un momento di preveggenza, Proustindividuava, nella sua Recherche, due generidi memoria: quella nostalgica piena di senti-mentalismo che non ricorda le cose com’era-

INTRODUZIONE

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Padiglione d’ingresso e ponte dell’Esposizione Agricola Siciliana del 1902 (progetto di Ernesto Basile) in via Libertà.

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no ma come vogliamo ricordarle; e quelladefinibile come memoria viva, attiva nel pre-sente, scevra da sentimentalismi e da nostal-gie, ma in grado di attualizzare i ricordi.

Affinché la reminiscenza di Palermo pos-sa costituire una condizione di vitalità, in cuiil passato rimane vivo nel presente, è neces-sario ricordare con il secondo tipo di memo-ria suggerito da Proust.

Per tale ragione, le immagini della Colle-zione Di Benedetto che qui si presentano co-

stituiscono un vasto repertorio della memo-ria urbana che si tenta di guardare attraver-so la visione distaccata di una storicità ormaiconclusa, che quindi sfugge alla dimensionepuramente nostalgica e passatista della nar-razione di eventi trascorsi, nonché risultaaliena alle retoriche esaltazioni del «vagheg-giamento e della mitizzazione di una gran-dezza passata, di uno splendore svanito dicui ostinatamente ci s’illude di alimentarecon vacui rituali un ultimo barbaglio»5.

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L’espansione fuori le mura

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Piazza Castelnuovo e piazza Ruggiero Settimo nel 1875. Si noti il teatro Politeama ricoperto ancora da un telone el’imbocco di via Libertà delimitato dai giardini del cosiddetto «firriato di Villafranca» appartenenti a Ernesto Gior-gio Wilding, principe di Radalì.

Pagina precedentePianta topografica di Palermo del 1909; particolare.

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L’immagine della città, tra fine Ottocen-to e gli inizi del Novecento, è spesso associa-ta a quella dei personaggi mitici della cultu-ra e dell’economia palermitana fin de siecle;un’era in cui la città viveva un felice connu-bio tra la committenza e la produzione arti-stica. È questa una tesi che vuole legare lefortune economiche degli uomini “nuovi”della borghesia imprenditoriale (i Florio e iWhitaker per fare un esempio dei più scon-tati) alla fioritura dei Liberty palermitano edei suoi protagonisti culturali.

In realtà si tratta di un processo evoluti-vo assai più complesso che trova le sue radi-ci storiche nel taglio secentesco di via Ma-queda; un segno urbano che indicherà le di-rettrici di espansione della città ottocente-sca, in antitesi con i valori urbani espressi fi-no ad allora, che prefiguravano una proie-zione fuori la cinta muraria verso sud-ovest,lungo l’asse di Mezzomonreale.

La proliferazione, tra il diciassettesimo eil diciottesimo secolo, di ville patrizie nellapiana dei Colli e la creazione del parco del-la Favorita costituirono ulteriori premesseper lo sviluppo della città verso nord, sanci-to dal piano del 1778 predisposto dal preto-re del Senato di Palermo Antonio La GruaTalamanca e Branciforte, marchese di Regal-mici, che riproponeva nell’incrocio tra la«Strada fuori Porta Maqueda» (via RuggieroSettimo) e lo «Stradone dei Capacioti» (viaMariano Stabile) [Fig. 1] il sistema di stradecruciformi carico di implicazioni storiche,

simboliche e monumentali. Per la costruzio-ne della strada fuori Porta Maqueda, clero earistocrazia assunsero per l’ultima volta ilruolo di protagonisti di una rinnovata faseedilizia della città, mettendo in atto la realiz-zazione di nuovi complessi conventuali egrandi palazzi. Non furono pochi, tuttavia,gli edifici a non essere completati, oppuread essere portati a termine solo dopo moltianni. Ancora nel 1852, il cavalier FedericoGravina, dei principi di Montevago, deputa-to della Sezione Molo del Senato di Paler-mo, in un rapporto inviato al pretore dellacittà, principe di Manganelli, lamentava co-me nella strada fuori Porta Maqueda «esi-stono palazzi ed esistono ancora case di se-condo ordine, ma la maggior parte dei primie delle seconde non sono completi, conciòsicché taluni sono rimasti al secondo piano,e taluni al primo solamente. Il motivo è chetaluni proprietari non hanno potuto più rial-zare le loro fabbriche per impedimenti frap-posti dai monasteri, altri per mancanza dimezzi o incuria»6.

Il Conservatorio di S. Lucia, detto «Ba-dia del Monte» (1781)7 [Figg. 3-4], e il pa-lazzo Oneto di Sperlinga, ereditato nel 1889da Luigi Maria Majorca Mortillaro (nipotedel marchese Vincenzo Mortillaro di Villare-na), conte di Francavilla8 [Figg. 5-7], furonotra i primi edifici ad essere costruiti nellastrada fuori Porta Maqueda. Nel 1788 fu ini-ziata la fabbrica forse più impegnativa, quel-la del grandioso palazzo di Francesco Notar-

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1. Via Mariano Stabile (già stradone dei Capacioti o diS. Sebastianello), 1908. A sinistra, in primo piano,scorcio del palazzo costruito dal cavalier Eugenio Vil-lanueva nel 1847 utilizzando le originarie fabbricheedificate dal capomastro Giuseppe Virzì [Ed. G. Pedo-ne Lauriel, Palermo].

3. Via Ruggiero Settimo all’imbocco di piazza Castelnuovo. Sulla destra si scorge il Conservatorio di S. Lucia («Ba-dia del Monte») prima delle trasformazioni. Si noti in primo piano, a sinistra, lo slargo di piazzetta Milazzo. Inizi delXX secolo [Ed. Devaux, Paris].

2. Piazza marchese di Regalmici: palazzo Villanueva. Ini-zi del XX secolo.