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1 TRADUZIONE Hellequin - Harlekin Arlekin - Arlecchino di Dario Fo Testo e traduzione a cura di Franca Rame con la collaborazione di Giselda Palombi e di Marisa Pizza Università La Sapienza Roma Collaborazione: Carlotta Colli e Roberto William Shaw disegni originali di Dario Fo con la collaborazione di Michela Casiere

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TRADUZIONE

Hellequin - Harlekin Arlekin - Arlecchino

di Dario Fo

Testo e traduzione

a cura di Franca Rame

con la collaborazione

di Giselda Palombi

e di Marisa Pizza Università La Sapienza

Roma

Collaborazione: Carlotta Colli e Roberto William Shaw disegni originali di Dario Fo con la collaborazione di Michela Casiere

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Questa commedia è stata scritta per la Biennale di Venezia per essere messa in scena nel quattrocentesimo anniversario della nascita di Arlecchino. La prima rappresentazione di questo spettacolo si è tenuta al Palazzo del Cinema di Venezia il 18 ottobre 1985.

Commedia dell’arte all’improvviso Personaggi Arlecchino Marcolfa Razzullo Scaracco Ganassa Sparavento Burattino Toni Balordo Capocomico

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ATTO PRIMO Scena all’antica italiana. Su ambo i lati del palcoscenico spuntano le sagome di due case. Un largo praticabile attraversa tutto il fronte scenico lasciando libero il proscenio che misura quattro metri circa. Si accede ad esso per mezzo di scale poste sui lati. Sale lentamente la luce. Entra in scena Arlecchino suonando un gran trombone le cui spire gli avvolgono il petto, seguito da otto maschere (gli Zanni) che eseguono capriole, volteggi a ruota e combattimenti con bastoni, schiaffi e pedate sui ritmi della canzone L’eroe. L’eroe, l’eroe, l’eroe, l’eroe della vitto-o-ria sia adesso il nostro re della vittoria il nostro eroe l’eroe, l’eroe della vittoria sia adesso il nostro re sia adesso il nostro re. Ono-o-onor e gloria all’Arlecchin si deve l’eroe delle nostre vitto-o-rie sia adesso il nostro re,

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il nostro eroe delle vittorie sia adesso il nostro re sia adesso il nostro re. Prologo Presentazione spettacolo Il costume che io ho indosso è quello del primo Arlecchino. Noterete subito che non ho la maschera: ci sono stati dei critici che la prima volta che sono apparso così, si sono messi quasi a urlare, disperati, scandalizzati: “Non ha la maschera!”. Non sapendo essi stessi che il primo Arlecchino non portava assolutamente la maschera, ma un maquillage proprio esattamente preciso a quello che mi vedete addosso. Il primo Arlecchino fu un grosso comico italiano di Mantova, si chiamava Tristano Martinelli, il quale si trovava in Francia con la “Compagnia dei Gelosi”. Con altri gruppi fondò la “Compagnia degli Uniti” e pensò di mettere in scena delle commedie con dentro questo personaggio, un personaggio che all’inizio era uno Zanni in seconda, come si dice, un comico in secondo piano, ma aveva un’irruenza e

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soprattutto una dimensione completamente nuova. Arrivava dentro a spaccare lo stesso assetto della commedia, non aveva un ruolo fisso e aveva un antiruolo, come si può dire ancora oggi, e soprattutto faceva delle cose di una scurrilità ed una grevezza incredibile: si tirava giù i pantaloni di colpo e si metteva a defecare… non c’è altro termine, questo è quello raffinato, non quello usato da Arlecchino. Naturalmente era tutto finto, non è che facesse cose immonde vere, faceva anche pipì sul pubblico: quasi sempre era acqua, quasi sempre, alcune volte invece… cioè provocava nel modo più osceno, scurrile, anche con delle battute, anche con delle situazioni legate alla sessualità, legate al problema del cibo, la fame, il problema della morte, il problema dei cadaveri. Distruggeva ogni buon modo di pensare, ogni morale… ecco, era fondamentalmente un amorale. Ebbe un successo incredibile, sarà che aveva capito, questo comico, un determinato gusto che esisteva ancora in Francia legato a Rabelais e soprattutto ai grandi fabliaux, la grande tradizione del racconto appunto dei francesi. Qualcuno avrà visto il “Fabulazzo Osceno”. Ecco, il primo, quello della

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“topola”, era proprio un fabliau di carattere francese. Questo spettacolo, che si andava a realizzare in forma farsesca con truculenze incredibili, non ebbe soltanto successo presso il pubblico, ma addirittura presso la corte e in particolare i più grandi fanatici di questo spettacolo erano il re, la regina, il fratello e via dicendo. Addirittura esistono lettere in cui la regina prega questo Martinelli di venire a corte ad allietare le sue giornate perché si sente in malinconia e ha perso qualche cosa, un vero amico, dice. Tale era l’affetto del re e della regina che tennero a battesimo il figlio e la figlia di questo Martinelli. La cosa che vedete evidente sul mio costume è il fatto che non ci sono le losanghe, le classiche losanghe di Arlecchino. Infatti dobbiamo arrivare a quello di Goldoni per vedere le vere losanghe (si avvicina ai costumi esposti in scena dietro le sue spalle), che è questo, e neanche qui, (indica un altro costume) che è quello dell’Arlecchino, quello di sessant’anni dopo, quello di Dominique Biancolelli o Domenico Biancolelli, che ricorda un pochettino le squame di un serpente. L’allusione al demonio è chiara ma anche

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Hellequin, Arlek, Arlekin, è il nome di un demonio. Sapete benissimo che lo stesso Dante ricorda Arlecchino o Lecchino, come uno dei tanti demoni, quando fa l’elenco di alcuni fra i più bizzarri e straordinari demoni. Ecco, questa maschera proviene da tutta una tradizione popolare legata ai demoni. Per quanto riguarda queste foglie strane che io ho addosso, le ha l’uomo selvaticus, l’uomo della foresta, che era un’altra maschera soprattutto di tutta l’Europa centrale. Allora niente ha a che vedere con il discorso dell’Arlecchino con le toppe, questo viene molto più tardi, e non ha niente a che vedere con il primitivo. Un’altra cosa diversa a proposito dell’Arlecchino così come lo concepiamo noi: l’Arlecchino non ha classe, questo Arlecchino cioè non è il solito Zanni, come è l’Arlecchino di Goldoni, che è un servo. Poche volte ritroviamo Arlecchino servo e ve ne darò l’esempio fra poco. Normalmente è uno sganciato dalle situazioni, una specie di picaro, un personaggio che esce e entra dai personaggi stessi; troviamo per esempio Arlecchino che fa il giudice di colpo, non perché si traveste da giudice, il suo mestiere è il giudice. Naturalmente

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fa delle cose folli, per far capire quale è il vero mestiere, la vera professione, sul piano del potere, del giudice, così come fa ad un certo punto l’arcivescovo. Esiste un Arlecchino Inquisitore, esiste un Arlecchino Tartufo, esiste un Arlecchino don Giovanni, eccetera eccetera, cambia, svolge diverse maschere e diversi ruoli. Anche qui vedrete che non esiste mai se non nel primo esempio che vi faccio, un Arlecchino con dietro il padrone: l’Arlecchino servo dovete dimenticarlo. Un’altra cosa che vi voglio ricordare qui è il fatto della lettura dei canovacci. Noi, quando ci siamo incontrati a Santa Cristina di Gubbio, un posto stupendo, se ci passate per caso veniteci a trovare, è veramente la fine del mondo, infatti vicino c’è un paese che si chiama Casa del Diavolo, poi subito c’è Santa Cristina… in questo posto ci siamo incontrati con dei grossi ricercatori, e non lo dico per piaggeria, c’era Ferruccio Marotti, poi c’era Delia Gambelli e c’erano altri di passaggio e leggevamo i nostri copioni, meglio chiamarli canovacci. Ecco, questi canovacci sono veramente dei rebus: in venti righe, si può dire, è risolta una commedia per intiero. Faccio per dire venti righe, saranno duecento righe, ecco, in venti

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minuti si legge tutto un copione di questo tipo. Soltanto che ci si accorge, ad un certo punto, che abbiamo letto soltanto la trama, qualche pezzettino di dialogo, nient’altro… e tutto il resto? Si sa che i copioni, meglio dire i canovacci, determinavano la possibilità alle commedie di svilupparsi per due ore, due ore e mezza, tre ore, ci sono alcune memorie, alcune cronache che ci dicono di spettacoli che duravano anche cinque ore, ebbene? Dove si raccoglie, diciamo, la polpa, il sangue della commedia stessa in termini che sono veramente astrusi, sono veramente legati quasi a scherzi, a ironia?... A un certo punto troviamo il lazzo. Il lazzo è una specie di ripetizione continua: lazzo del cane, lazzo della fune, lazzo dell’incendio, lazzo dello sternuto, lazzo lazzo lazzo… decine di volte è ricordato questo termine. Ora, per gli attori che si segnavano questi lazzi, era chiaro, volevano dire certi passaggi, certi andamenti, gag o “gheg”, come si dice oggi ancora in teatro e nel cinema; ma per noi vuol dire zero, non parliamo poi per certi accademici che hanno sempre rifiutato di andare oltre le pagina scritta, e non si sono mai interessati, certi, non tutti fortunatamente, di

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andare a vedere dove erano andati a finire i giochi dei lazzi. In tutto il teatro minore, infatti, li ritroviamo: a cominciare da tutto il teatro di varietà napoletano, in Italia, che è ricchissimo, quello romano, quello toscano e anche quello del nord, per non parlare poi dell’avanspettacolo, i clown… ecco, i clown si può dire che hanno raccolto la gran parte di tutto il gioco. Quando noi pensiamo al clown, pensiamo soprattutto al circo. In verità il clown è ancora più antico del personaggio della maschera della commedia dell’arte. Il clown nasce addirittura paro paro con i fabliaux, con i fabulatori, meglio ancora con i giullari; tanto è vero che quando io mi trovavo in Inghilterra e il traduttore doveva tradurre “giullare”, usava preferibilmente il termine clown. Dunque i clown sono entrati nella commedia dell’arte, hanno fatto parte della commedia dell’arte e poi sono usciti portandosi via ancora un sacco di materiale. Un’altra cosa che voglio ricordare è il cinema muto. Il cinema muto si è ripreso quantità enormi, c’è Max Linder per esempio, che ha fatto bottino, saccheggio, per non parlare di Charlot. Charlot usa, pochi lo sanno, dei lazzi propri della commedia dell’arte.

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Ora un’altra cosa vi voglio segnalare: in Italia la commedia dell’arte è nata ma l’Arlecchino come personaggio è arrivato molto tardi, è arrivato addirittura col Gherardi, che è un altro, e mi dispiace che normalmente abbiamo qui il costume, ma abbiamo dovuto mandarlo a ripulire, ad aggiustare. Ebbene il costume del Gherardi, che è del Settecento, ci mostra già l’Arlecchino fatto, costruito. Solo allora, all’inizio del Settecento, Arlecchino ha avuto successo in Italia, quindi con un grave ritardo. Ha avuto successo dappertutto: in Spagna, in Germania, in Inghilterra, perfino in Russia, nella Danimarca e perfino nella Svezia. Tardi è arrivato da noi. Succede sempre così che chi nasce in un luogo poi ritorna con molto ritardo. Ora devo dire che il gioco del lazzo io ve lo posso raccontare. Prendiamo per esempio quello del fallotropo, portatore di fallo, Arlecchino portatore di fallo. Allora la storia è questa: Arlecchino che è servo del Magnifico, ed è uno dei pochi casi in cui ritroviamo Arlecchino servo. Il Magnifico, tanto per indicarvi, è il personaggio che porta questa maschera (prende una maschera tra quelle esposte sul pannello alle sue spalle e la mostra al

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pubblico), è un signore decaduto; il Magnifico vi ricorda subito Lorenzo il Magnifico, i grandi signori dell’Italia rinascimentale, ma è uno spompato rispetto a quella che è la grande tradizione degli uomini del Rinascimento, è uno che si è rovinato in tutti i sensi, anche sul piano morale, per non parlare su quello economico. Questo (mostra un’altra maschera) è il prototipo di un altro personaggio famoso, è Balanzone, molti di voi lo riconosceranno. Ora il Magnifico si è innamorato di una donna, in particolare una donna poco perbene, per quanto piena di leggiadria, che è una prostituta, come si chiamavano allora erano le cortigiane, ne sentirete parlare ancora fra poco da Franca di questo Magnifico, è una storia analoga. Ora, questo Magnifico vuol fare bella figura con questa donna splendida e avida anche di denaro e di sesso. Manda immediatamente Arlecchino a trovare una pozione da una fattucchiera che ha già interpellato. Arlecchino ci va e torna con la pozione dentro una fiaschetta; è riuscito, furbastro com’è, a portare via la pozione pagando un terzo di quello che era stato pattuito. Coi soldi che gli sono rimasti va in una osteria e comincia a

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schiamazzare, a bere, a cantare, viene fuori con quattro, cinque fiaschetti in più, e una fiaschetta sola; beve, canta e a un certo punto si rende conto che si è bevuto la pozione, tutta intiera. La fattucchiera l’aveva avvertito: “Attento a te! Se ti bevi un cucchiaino di questa pozione fuori dai pasti e col vino è già un disastro, figuriamo bersela tutta intiera! Diventi un drago! Ti crescono cose innominabili! E rischi di scoppiare”. Ora Arlecchino comincia ad avere i sudori freddi, infatti comincia a sentire il calore dal basso verso l’alto e, lo sviluppo di tutta la struttura fondamentale alla riproduzione e gli orpelli decorativi che ne sono connessi, strabordano non soltanto dalle braghe ma anche dallo stomaco, spaccano i bottoni, sollevano, arrivano a spingere il collo in alto… l’atteggiamento (busto ritto e testa alta) è quello di un personaggio molto altolocato in quanto la pressione è esuberante. Ora io vi ho già introdotto sciogliendo e soprattutto traducendo alcuni lazzi, ma i lazzi che mi interessa indicare che ci sono sul copione, meglio dire sul canovaccio, sono questi: lazzo

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della pelle di gatto stesa ad essiccare, poi c’è lazzo della fanciulla che vuole accarezzare il gatto, lazzo del cane, lazzo del fantolino, meglio delle fasce del fantolino, e poi della cuffietta del fantolino, lazzo delle ragazze che vogliono abbracciare il fantolino, lazzo del fantolino che esplode (pausa)… e qui, grazie alla vostra morbosità, io ho la possibilità…, questo per me è una specie di lancio o meglio di provocazione che faccio per vedere la velocità che avete nell’intuire cose oscene dentro la storia, e devo dire che avete intuito, con mormorii… La cosa straordinaria, devo dire, la velocità massima è delle signore, maggiore è nelle ragazzine che poi spiegano al ragazzino quello che io volevo dire, e il ragazzino sempre un po’ intontito: “Eh?… chi è? Aah! Ahaha!” e senti le voci argentine delle ragazzine. Infatti, se fate caso, sentirete delle risate, ogni tanto, fuori tempo, maschili, giovanili, che sono quelle dei ragazzini a cui la ragazza, nell’intervallo, ha spiegato il significato di quello che ho detto sei battute prima… tutto controtempo. Allora dicevo di questi lazzi che io vado a raccontarvi: sono espressione diretta e continua e

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grazie appunto alla nostra conoscenza del teatro minore, del teatro molte volte disprezzato, quale quello dei clown l’avanspettacolo eccetera eccetera, siamo riusciti a ricostruire la chiave del racconto. Comincio dal momento in cui il personaggio di Arlecchino si mette a bere, a cantare e si rende conto di aver bevuto la pozione che fa strabordare il sesso, appunto, di cui parlavamo… L’eroe, l’eroe, l’eroe, l’eroe della vitto-o-ria sia adesso il nostro re della vittoria il nostro eroe l’eroe, l’eroe della vittoria sia adesso il nostro re sia adesso il nostro re. Ono-o-onor e gloria all’Arlecchin si deve l’eroe delle nostre vitto-o-rie sia adesso il nostro re, il nostro eroe delle vittorie sia adesso il nostro re sia adesso il nostro re. (Nei panni di Arlecchino fallotropo danza e canta in grammelot)

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Iihéee gadì bedòn… Ohi ca’ bell’endriga… belè, sangìga cojòn, mandàlo belòn, s’ampìcca in zamìro… (al pubblico) E’ una canzone tardo Cinquecento, bergamasca (pausa)... per soli ubriachi, naturalmente! (Riprende danza e canto) Hiièè galè disìo medè son pènton cojòn, vin sim de cojòn! Vindìro cojón… (continua il suo canto, in grammelot, all’improvviso mima di osservare le due fiaschette… di colpo si rende conto dell’equivoco). Boiaaa! Ho bevuto la pozione… tutta! (Pausa) Coglione, ho bevuto tutto il vino… e anche la pozione! Che calore che viene... (pausa) M’aveva detto la fattucchiera di non prenderne che un cucchiaino per volta… adesso scoppio! Ohi che mi sento un fuoco tremendo venire di sotto… qua mi scoppiano i coglioni! (Guardandosi il bassoventre) Ohi che cresce! (Mima lo sforzo di arrestare la crescita del fallo) Ohi… no… ferma! PLUÀ…PLUÒ… ohi la… la cintura!... PLUUMB… ohi i bottoni!... PCIÀ… Aiuto…. oooh… il collo… ohi ohi mi strozza! Basta così, brigante! Ohi... ma cosa e successo qui? Che stomaco che ho, boia! (Con le braccia a mimare di imbracciare un altro corpo attaccato al suo, si guarda intorno) Guarda che gobba!

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POM! M’ha staccato i bottoni… No!, mi strozzi! (Sempre più impegnato ad arrestare la tremenda crescita del fallo) Mi strozzi! Strozzato dal proprio figlio! Viene gente! Viene gente adesso! Ma che disgrazia, dov’è che mi copro, che mi nascondo? (Si guarda intorno e mima di scorgere stesa su una corda, una pelle di gatto) Ohi guarda… una pelle di gatto… pelle di gatto seccata al sole. (Mima di afferrare la pelle di gatto) Ohi che bello… eccola qua… (mima di usarla per coprirsi) Ohi che bel gattone! La metto sopra per coprirlo… ecco… (mima di avere un gatto in braccio) oh che bel gattone (cammina a gambe leggermente divaricate) ohi che bel gatto… (mima l’arrivo di gente) Buon giorno, signora, mi piacciono i gatti eh eh! Sì, è mio (si siede sullo sgabello al centro della scena) è mio ‘sto gatto, oh da sempre… (cerca di accavallare le gambe per darsi un contegno, ma ha difficoltà) l’ho sempre avuto. (Ride) Eheheh, MIAO, è bello eh? Ah, è buono, è buono, è buono… Oh è cresciuto tanto! (Mima che la donna gli si avvicini e tenti di accarezzare il gatto) No… non toccare… signora non toccare ‘sto gatto! Non si danno carezze al gatto che si arrabbia, diventa

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nervoso… le dà una morsicata eh!! E’ ammalato, è ammalato… ha la rogna! (mima l’arrivo di altre femmine che tentano di accarezzare il gatto: cerca di frenare le effusioni) No, fuori… no… non toccare… (mima l’arrivo di un'altra donna) Buongiorno… sì… un altro giorno… se ne vada pure grazie… Boia, un cane… cosa fa… un cane… (rivolto al pubblico) Lazzo del cane. (Impaurito si alza di soprassalto scalciando il cane e si confondono le sue grida con l’abbaiare dell’animale) UHAAAUU… BAUBAUUU… UHAAAUUU… Aiuto! Ohi… Dio, boia che male! Disgraziato, m’ha morsicato proprio… ohiia hee… Ohia viene gente, dove mi nascondo adesso? (Sorride) Orco, Ah ah… son fortunato! (rivolto al pubblico, uscendo dal personaggio) Lazzo delle bende del fantolino. Ecco qui le fasce… le fasce del fantolino, guarda qui… (mima di avvolgere il ‘bambino’) ohi che bello che me lo fascio… ecco qui, anche sotto, così… (esegue) bella lunga che è… (mima di trovare una cuffietta) ohi, una cuffietta! Ehm… non so dov’è il davanti, dov’è il di dietro… beh non importa. (Si avvia allo sgabello cantando e si siede) Nana bobò, nana bobò, tutti i bambini

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dormono ma questo no!... (Tenta di ha accavallare le gambe senza riuscirci) Dormi, dormi, dormi per un anno… ueee uee là… (si avvicina una donna) Buongiorno… è il mio bambino sì. Oh è buoni, dorme, dorme sempre… adesso è sveglio… (la donna gli si avvicina: cerca di prendere il bimbo in braccio. Preoccupato) No no, gli sono attaccato tanto! No signora… no... no… no si può… non lo posso dare in braccio… (mima l’arrivo di una ragazzina: anche lei cerca di prendere il bimbo tra le braccia) anca tu ragazzina… va via! (Tono di rimprovero) Non sono roba per delle figlioline ‘sti bambini andiamo! Che tu poi me lo fai cadere per terra! No no, non posso… (come strattonato si alza in un frenetico tira e molla) non tenermi… no lascia… lascia…. (esplosione a braccia larghe) PPUUAAAA! Boia, m’è scoppiato il bambino! (Pausa) Che bello vivere da castrato! Ahhhaaaahhh!!! Benissimo, eccovi indicate soltanto quelle che sono le chiavi di svolgimento, appunto di un gioco legato ai canovacci.

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Ora quello che io voglio indicare ancora è il tipo di argomenti che Arlecchino usava, oltre a quelli del gioco osceno, della scurrilità, e dell’insolenza, il gioco politico. È risaputo che Arlecchino ogni tanto si fermava proprio in mezzo al racconto e faceva allusioni dirette magari a personaggi che c’erano in sala, oppure a personaggi importanti della politica che non erano casualmente nella sala ma di cui tutti sapevano vita, morte e miracoli. Ecco, c’è una storiella legata a tre ministri famosi: Blechar, Glonì e Plomplè, tanto per indicarvi…non so io chi raffigurare, ecco Plomplè sicuramente è Longo, nella sua struttura generale. Mi dispiace tanto che sia uscito dalla vita politica, ho sofferto molto quando ho saputo che i socialdemocratici l’avevano tolto di mezzo, e per accorgersi i socialdemocratici che era l’ora di toglierlo di mezzo vuol dire proprio che era arrivato al massimo… Stanno riprendendo per mandarmi in televisione, voglio ridere quando arriveranno qua… ah… come faranno? Dove poter tagliare? Qua taglieranno… in longo… Vabbè è facile è facile, è facile… Pare che per fortuna ci siano i radicali che stanno facendo una

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campagna per riabilitare i coglioni soli nel mondo e forse lo ritroveremo… Anche questa (indica le sforbiciate della censura) io spero che vediate questa trasmissione esattamente il giorno in cui va in onda e vi divertirete a vedere, tac questo è stato tagliato, tac tac… Sarò io il primo a tagliare, non si possono dire queste battute in televisione, ci sono i bambini che saltano, gente che sviene, gente che passa da un canale all’altro, che non capisce più niente. Ecco, immaginiamo che Plomplè sia appunto proprio Longo e che ci sia Andreotti, non può mancare, un personaggio vivo, vivace che riesce veramente a scantonare da tutte le situazioni, ha un colpo di rene, cercano di bloccarlo, lui sempre così… ha anche delle ali, voi sapete benissimo che quella curva che ha è perché ha una giacca molto ampia che copre queste ali, poi la sera se la toglie e “Hhhiiiiaaaaaa” e vola su Roma… Un corvo bellissimo, ampio, con una papalina rossa qui dietro che non fa vedere… Allora, dicevo che abbiamo anche Craxi che non può mancare. Ecco, Craxi con la sua potenza, con la sua irruenza. Allora, abbiamo questa situazione… (un fischio dal pubblico) oh bene arrivano anche fischiando,

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ma è proprio un teatro popolare, vero, finalmente, non lo sentivo più dall’ultima volta che sono stato al circo equestre… ho sempre sognato di fare un fischio così. (Rivolgendosi lontano in platea) L’hai trovato? Antonio ci sei? Certe volte azzecco, azzecco anche il nome. Ecco, andiamo… (riprende il racconto) Allora, dicevo che…. rimarrà questo fischio, spero che rimanga per la ripresa. Dicevo che abbiamo Andreotti, Longo e anche Craxi, e la storia di questi tre personaggi, di questi tre ministri dice nella parte antica che c’è una rivolta terribile, e dei rivoltosi riescono a prendere il potere e a uccidere e condannare a morte i tre ministri. Sto parlando del Cinquecento, immaginiamo che questi ugualmente vengano condannati a morte… E’ una favola naturalmente, oggi in democrazia non potrebbe mai succedere, ed è meglio così, che rimangano in vita sempre, anche perché così io avrò tutta la vita la possibilità di argomenti straordinari e di trattarli. Infatti, quando hanno eliminato Longo io sono rimasto molto male e per molto tempo. Allora, dicevo che i tre vengono portati davanti a un giudice il quale avverte loro che possono scegliere il modo di morire. Allora

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c’era il taglio della testa con la mannaia, c’era l’impiccagione, c’erano già le prime fucilazioni con gli schioppettoni. Ecco, in questo caso noi dobbiamo sostituire, per essere moderni, il taglio della testa con la sedia elettrica. Dicono al primo che gli arriva sotto, che è Craxi: “Craxi, lei è condannato a morte, lo sa?” “Si, lo so” “E allora, quale modo di morire preferisce?” “Scelgo senz’altro la sedia elettrica, anche perché, anche se ho avuto qualcosa da dire con Reagan, oggi sono in perfetta amicizia, e in ricordo dell’amicizia che ho per Reagan, quasi come per Berlusconi, io preferisco la sedia elettrica.” Si siede subito sulla sedia elettrica, sa tutto della sedia elettrica, perché ne aveva già comprata una perché ci voleva mettere sopra Spadolini, che è scappato. Ingenuamente pensava di potergli dare una scossa, si sarebbe sciolto tutto come un formaggio. Io amo molto Spadolini, è una delle trovate del nostro senso del grottesco, perché noi italiani abbiamo anche… ogni tanto vengo anche qua che c’è quella signora che si arrampica perché c’è la telecamera in mezzo e anche di là… Dicevo che noi italiani abbiamo, anche a livelli diciamo… politici, un senso del grottesco,

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dell’ironia altissimo, perché l’idea di mettere Spadolini alla Difesa, guarda, bisogna avere proprio una faccia! Spadolini alla difesa! Questa gelatina meravigliosa, fluttuante, la difesa fluttuante proprio, morbida, la difesa morbida, che gli dai un pugno…pluuaaah (mima di ritirare il braccio come affondato in una gelatina molle). Quando fanno le fotografie ai ministri che c’è di mezzo Spadolini, viene tutto sfocato, perché lui anche quando è fermo (mima il tremolio del corpo molle)… Che se ci fosse stato Spadolini al tempo della presa di Porta Pia, lui l’avrebbero messo alla breccia, i bersaglieri (mima bersaglieri in marcia) tattatattà… Oddio! (Dietro front). Non si sarebbero mai permessi di entrare, sarebbero scomparsi dentro, si sarebbero sciolti… Ad ogni modo, dicevo di Craxi che si siede, si mette comodo, subito si calza le cinture, si mette il cerchio e poi dice: “Calate pure la leva” subito STRRAA… (mima l’effetto fasullo della scossa sul corpo del destinato). Niente, qualche pelo superfluo che brucia, non succede niente. Seconda: SCCIUUUMM TUMB TUMB… sussulta, gli girano un po’ gli occhi, niente. Ancora: FFRRRUUUMMM… si vede fumare, il

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vapore, si dimagrisce un pochettino ma niente! “Allora, per legge internazionale – dice il giudice – lei è libero, ha sopportato tre scariche, lei può andare”. Lui se ne esce, incontra subito Andreotti che se ne sta nell’angolo ad aspettare, con la sua borsa, voi sapete che si tiene sempre la borsa dove ci ha dentro tutti i documenti del Sircam, ancora... del Sismi, del Sasti del Pisti… di tutte, ce l’ha tutte, che può incastrare chi che sia, ha le lettere di Sindona dentro lì… non la molla mai, va a morire, ma se la tiene stretta che non si sa mai, all’ultimo momento può anche ricattare qualcuno (mima un nuovo taglio di censura)… Ci sono i miei compagni dietro che sghignazzano, che pensano a tutte le cose che taglieranno. Alla fine durerà un terzo, questo spettacolo, quando lo vedrete in televisione. Dicevo che appunto va, ci fa tutto, con quella borsa tutto ci fa… anche l’amore, non che vada a far l’amore con una donna, no no no, è con la borsa che fa all’amore… (mima un tuffo nella borsa con grida goduriose) AHIIIAMMAA! Tutto dentro, non si sa cosa ci sia, fatto sta che si siede subito sulla sedia elettrica, dice: “Io preferisco la sedia elettrica” “Ma come, non le ho ancora chiesto

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cosa preferisce!” “E io già lo so, so già che ci son tre… vada tranquillo, tirate pure”. Si siede sulla sedia elettrica: TRRAACC le palette (tirandosi le orecchie) che vibrano, si raddrizza in piedi, il collo gli si allunga, mai visto così imponente che sembra un dragone. Un’altra scarica: CIICCCHHHCCII non succede niente, appena un po’ di bruciaticcio di piume ma non succede niente. “Lei è libero!... leggi internazionali… la terza volta… lei è libero”. Esce e incontra Longo, che è lì così, il Minotauro ambulante. “Longo, Longo, la sedia elettrica non funziona!” - “EH?” – “La sedia elettrica non funziona” – “AH, bene”. Entra Longo, subito il giudice: “Cosa preferisce?” – “Beh, la sedia elettrica non funziona… preferisco la fucilazione!” (risata muta con gioco mimico). L’altro giorno c’erano quaranta stranieri, tutti critici europei che erano lì tutti in quel gruppo, ad un certo punto ci guardavano: “Ma è possibile che sia così stupido?” Sì! Sto parlando di Ben Biblò, cioè il ministro francese di quel tempo. Allora questo è per indicarvi il modo di sghignazzo e di ironia di Arlecchino. (Di fianco al pannello delle maschere lì esposte, comincia a

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presentarle) Qui ci sono quasi tutte le maschere della Commedia dell’Arte a partire naturalmente da Pulcinella, poi c’è il Capitan Fracassa, c’è Balanzone ci sono tutti. Arlecchino. Questa è la maschera di Arlecchino che userò nel secondo tempo. La prima maschera che si conosce della Commedia dell’Arte legata ad Arlecchino è questa, ed è stata fabbricata, quasi tutte sono state fabbricate, da uno dei più grandi ‘mascherari’ d’Italia che è Sartori;una famiglia gloriosa, ed ecco questa, dicevo, è la maschera che io userò nel secondo tempo. Adesso, mentre loro portano via tutto, compresi questi due costumi che sono quelli che poi indosserà Franca, che sono quelli di Franceschina che è la morosa di Arlecchino e questa è della Savant che era indossata dalla famosa Andreini, quasi uguale come costume. (Attori in maschera liberano la scena dai pannelli espositivi di costumi e maschere) Isabella Andreini fu la prima grande attrice che calcò le scene dopo secoli e secoli in cui alle donne era proibito assolutamente montare sulle tavole. La cosa che mi importa indicarvi è il prologo. Il prologo era importantissimo al tempo della

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Commedia dell’Arte, importante anche per un particolare. In molti casi, non sempre, soltanto dopo il prologo si staccava il biglietto, quindi, se alla gente era piaciuto il prologo rimaneva e pagava, se no, diceva: “Ci vediamo un’altra volta”. C’era della gente che la sera girava a vedere tutti i prologhi e poi andava a casa dicendo: “Non mi è piaciuto andare a teatro”. Il prologo era importante, e questo prologo oltretutto è l’insieme dei cosiddetti tormentoni a scatafascio. Succede che – a tormentone vuol dire “in continuità” – succede che si propone l’inizio di una storia o l’andamento, e viene distrutto da incidenti continui. L’incidente era la chiave, si può dire, del modo nuovo di realizzare la commedia dell’arte. La grande differenza fra il teatro francese del tempo, anche quello di Molière ancora, e i comici, era questo continuo sfasciare, distruggere, per cui mai una sera uno spettacolo poteva assomigliare all’altro, cosa che, ve ne renderete conto, succede immediatamente questa sera stessa… ci vediamo! (esce di scena) Entrano tutte le maschere: mimano danze e lotte con bastoni, salti mortali e giravolte.

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Rientra Arlecchino suonando il trombone che già conosciamo e canta: L’eroe, l’eroe, l’eroe, l’eroe della vitto-o-ria sia adesso il nostro re della vittoria il nostro eroe l’eroe, l’eroe della vittoria sia adesso il nostro re sia adesso il nostro re. Ono-o-onor e gloria all’Arlecchin si deve l’eroe delle nostre vitto-o-rie sia adesso il nostro re, il nostro eroe delle vittorie sia adesso il nostro re sia adesso il nostro re. Al termine della canzone Arlecchino esce di scena, contemporaneamente entra Marcolfa con un secchio, spazzolone e strofinaccio. Si pone carponi e inizia a pulire il pavimento. Canta mentre gli attori continuano a esibirsi in capovolte e acrobazie clownesche.

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MARCOLFA Il mio amor m’ha detto: “io ti amo” E io gli ho risposto : “ma vatti ad impiccare!” Lui mi ha detto: “allora io ti mordo!” e mi ha morsicato lì, proprio sulla chiappa! Il mio amore è di Porta Negra, ha una palla triste e l’altra allegra... Il mio amore è di Porta Lagna, ha una chiappa molle e l’altra stagna! Larallalarallarallallà! Larallalarallarallallà! (Al termine della canzone guarda in platea e solo allora si accorge che il pubblico è in sala) Oh madre! Ma siamo matti?! Ma chi ha aperto il sipario?! C’è tutta la gente seduta che guarda... (Indicando gli Zanni) E questi che per scaldarsi le giunture delle gambe e delle braccia fanno lazzi e stramberie! (Li sospinge fuori scena) Fuori, fuori... (ad alta voce verso la quinta) Tirate il sipario, chiudete, che non è ancora ora di cominciare. La signora non è ancora pronta con il trucco... tirate il sipario! Dalla quinta di sinistra spuntano due mani gesticolanti e una voce grida frasi incomprensibili in grammelot).

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PRIMA VOCE-MANI (come a dire) Non si può. MARCOLFA Come, non si può chiudere il sipario? Da un’altra quinta si ripete il gioco “mani-grammelot” SECONDA VOCE-MANI: (come a dire che si è bloccata la rondella!) Gh’è egnù ol rodó. MARCOLFA: S’è incantata la rondella? Ma io non posso stare qui a lavare il palcoscenico con la gente che mi guarda... Chiamate qualcuno che lo aggiusti... chiamate Arlecchino... FUORI SCENA, A PIÙ VOCI Arlecchino, Arlecchino, Arlecchino! Entra in scena Arlecchino. ARLECCHINO Ma lo sai che ho l’impressione che qualcuno mi chiami? Sento le voci! MARCOLFA Arlecchino, è successa una disgrazia! S’è rotto il sipario e tutta la gente è lì seduta che mi guarda! E io non posso lavare per

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terra perché mi vergogno! ARLECCHINO (rivolgendosi al pubblico) Scusate, scusate! C’è stata una disgrazia... Si è rotto tutto il sipario e adesso per piacere dovreste voltare la faccia dall’altra parte! Perché altrimenti lei (indica Marcólfa) non può lavorare. Allora, per piacere, voltate la faccia!... Sarebbe come se ci fosse stata una disgrazia a casa vostra, s’è spaccata la finestra, e io arrivo lì... mi appoggio alla finestra e dico: “Signora, stia tranquilla... nella sua intimità… si spogli pure che a me piace!” Voi mi dite: “Guardone villano!” Allora, per piacere, voltate la faccia dall’altra parte! Parlate tra voi… Guarda che screanzati… duemila occhi che guardano… Grazie. MARCOLFA (guardando il pubblico) Non obbediscono! ARLECCHINO Voltatevi! Voltate la faccia dall’altra parte! MARCOLFA (c.s.) Ubbidire! Villani! ARLECCHINO Continuano a guardare! Quello, addirittura con il binocolo! Guardone! (Minaccioso) Guardate che divento cattivo! MARCOLFA Peggio per voi! Adesso Arlecchino diventa cattivo!

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ARLECCHINO Basta! Divento cattivo! (Come avesse davanti una grande lavagna, fa il gesto di cancellare con la mano il pubblico). MARCOLFA Cosa fai, Arlecchino? ARLECCHINO Li cancello tutti! MARCOLFA No, lascia stare... ARLECCHINO (pausa, guardando in platea) Non spariscono!... Com’è difficile cancellare la gente! MARCOLFA Arlecchino, bisogna aggiustare il sipario. Hai una scala lunga? ARLECCHINO No, ma ho un carretto. MARCOLFA E che cosa fai con il carretto? ARLECCHINO È un carretto che abbiamo rubato nel teatro qui di fronte. Ha delle ruote con i raggi… io gli strappo via tutti i raggi, ne faccio dei pioli... (mima di strappare i raggi delle ruote) Li metto tutti in fila e salgo su, passo dopo passo, fino in cima! MARCOLFA Ma dio, Arlecchino! Sei un fenomeno! Sei veramente capace di salire sui pioli e di arrivare fino in alto, senza i pali laterali?! Che bravissimo che sei, Arlecchino! ARLECCHINO Non sono bravissimo… sono stordito! Marcolfa, grazie! Mi hai salvato la vita!

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Che io come un coglione salivo su ‘sti pioli e quando ero in cima: “Non ci sono i pali!!” (Mima una caduta) BRAAAMM... mi rompevo tutto! Grazie, mi ricorderò di questo tuo salvamento! (Riprende a raccontare) Bene, allora vado nel teatro dove abbiamo rubato il carretto, lì hanno una scala lunga... prendo la scala, le strappo via tutti i pioli e li lascio lì, prendo i due pali e infilo i miei raggi al posto dei pioli. Così non mi possono dire che ho rubato una scala: ho rubato due pali! (Ride ammiccando al pubblico) Che testa tengo, che cervello! MARCOLFA Ma di fatto, caro cervellone, è che adesso quelli del teatro non hanno più una scala, ma solamente dei pioli buttati per terra! ARLECCHINO Che importa? Tanto loro la scala non la possono più adoperare… MARCOLFA Perché? ARLECCHINO Perché il sipario è bruciato! MARCOLFA È bruciato il sipario? Quando? ARLECCHINO Adesso! Ho dato l’ordine al Ganassa di bruciarlo! (Urlando verso la quinta) Ganassa, hai bruciato il sipario? GANASSA (da fuori quinta) Sì capo, brucia! ARLECCHINO Bravo! Qualsiasi cosa tu gli dica,

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lui ubbidisce! MARCOLFA Una corda lunga ce l’hai? ARLECCHINO No, ma ho l’asino! MARCOLFA Cosa ci fai con l’asino? ARLECCHINO L’asino che era attaccato al carretto! Quando abbiamo portato via il carretto, l’asino s’è messo a piangere… Sai come piangono sempre gli asini quando gli porti via il carretto: (imita il raglio dell’asino) IIHII IIHIIHIII! Allora abbiamo portato via anche l’asino. Solo che all’asino era attaccata una corda che era legata al teatro. Noi abbiamo tirato la corda, ma il teatro non voleva venire… è un teatro stabile… Allora abbiamo preso un piccone e abbiamo strappato via l’anello dal muro del teatro dove era attaccata la corda. Adesso attacchiamo l’anello, la corda e anche l’asino al nostro sipario… così che l’asino ci fa de contro-peso e quando arriva in fondo: IIIHII, IHII!, capiamo che il sipario è chiuso! (esce). MARCOLFA Bravo Arlecchino! Sei proprio un genio! (Rivolgendosi al pubblico) Signori spettatori, due minuti, Ganassa e Arlecchino aggiustano il sipario... io non lavo per terra perché mi vergogno… e poi andranno a

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cominciare con il prologo i signori artisti. (Raccoglie gli attrezzi da lavoro e si avvia a uscire di scena, ma viene bloccata dalle due mani gesticolanti che già conosciamo, che spuntano dalla quinta accompagnate dal solito vociare concitato in grammelot). PRIMA VOCE-MANI (grammelot come a dire che il primo attore non è arrivato). MARCOLFA Cos’è? Il primo attore non è arrivato? Oh boia! Altre due mani spuntano da un’altra quinta SECONDA VOCE-MANI (grammelot come a dire che il primo attore non verrà). MARCOLFA Come, non viene? Cosa gli è capitato? Altre due mani spuntano da un’altra quinta. SECONDA VOCE-MANI (grammelot come a dire che il primo attore non verrà). MARCOLFA Come non viene? Che gli è capitato? TERZA VOCE-MANI (si ripete nuovamente il

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gioco mani-grammelot, come a dire “E’ in galera!”). MARCOLFA In galera?! Dio, che disgrazia! (Al pubblico) Il primo attore è in galera... Allora niente... non si fa né prologo, né spettacolo... andate a casa vostra. Buonasera! Entra Arlecchino che, rivolgendosi a Marcolfa, parla concitatamente in grammelot e finisce dicendole: ARLECCHINO Il prologo lo fai tu! (Esce). MARCOLFA Cosa? Io dovrei fare il prologo... Io?! Ma siete matti!? Io non sono capace di prologare! Da una quinta si ripete il gioco mani-grammelot: è il capocomico CAPOCOMICO (come a dire: “Devi assolutamente fare tu il prologo!”). MARCOLFA Non sono capace... scappo! Entra in scena il capocomico.

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CAPOCOMICO Marcolfa, non fare storie che tu sai pure di che si tratta nella commedia imperocché in infinite occasioni tu l’hai veduta. Dài, dacci di prologo. MARCOLFA Mi scusi, signor capocomico, ma io la commedia non l’ho mai vista in infinite occasioni, semmai l’avrò sentita… e con distrazione, perché io son sempre dietro durante la commedia ad aiutare la signora Isabella a mettersi i vestiti e a tirarle su le tette con le pezze per rassodargliele! CAPOCOMICO Ma cosa vai a tenere simili discorsi in fronte allo pubblico astante! MARCOLFA A me, del pubblico astante non mi interessa niente. Deve scusarmi, ma io non sono mica un’attrice, io... Che cosa interessa a me del pubblico astante... Io non posso vedere la commedia perché devo tirare su le tette a Isabella! Mi tenga questo (consegna al capocomico secchio e spazzolone) che glielo dimostro... (mima quello che va dicendo) Prendo una tetta dell’Isabella e la faccio su, (mima di arrotolare il seno della donna come fosse una striscia di stoffa) la faccio su, la faccio su, e ci metto una pezza con la colla per bloccargliela.

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Poi prendo l’altra tetta... la faccio su, la faccio su, TAC!, altra pezza... E meno male che Isabella ha soltanto due tette, altrimenti dovrei cominciare la mattina presto a farle su le tette... Poi prendo una corda sottile e le lego i birighignòli... CAPOCOMICO Che cosa sono i birighignòli? MARCOLFA I bottoni dei capezzoli! In italiano: birighignòli. Prendo la cordicella, non troppo sottile, perché se è troppo sottile quando faccio il nodo si stacca il birighignòlo... ed è una cosa orrenda! Poi la cordicella gliela passo dietro, la passo sulle spalle, la passo di sotto, e poi tiro: una montata di tette mai vista al mondo! (Indica la base della gola) Le arrivano qui... due gozzi! È bellissima! Si asciuga le lacrime perché è un’operazione dolorosa! Poi, con rispetto parlando, la volto e faccio lo stesso lavoro con le chiappe. Con le chiappe, però, è un lavoro di concetto... le chiappe pesano... Prendo una corda grossa un dito... (mima di legare una natica) faccio su una chiappa... l’altra chiappa... tiro su... le faccio una bella gobbetta... CAPOCOMICO (interrompendola) Basta, basta Marcolfa, che non si va a discorrere di certi argomenti in fronte allo pubblico audente!

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MARCOLFA Perché? Non è mica una cosa schifosa lavorare di tette e di chiappe! (Guarda in platea) Ho sentito tante donne ridere perché sono contente che io sia qui per loro! (Al pubblico, alzando la voce) Donne, se qualcuna avesse bisogno di un’alzata di zinne e dell’alzabandiera delle chiappe, io sono qui... Anche gli uomini... se avete qualcosa da tirare su... io sono a disposizione. Due baiocchi soltanto! CAPOCOMICO Piuttosto, hai tu visto i miei occhiali in qualche loco? MARCOLFA Sì, li ho veduti nel camerino della signora Isabella… ieri. CAPOCOMICO Ma che m’importa di ieri? Enfino a un istante fa li tenevo in su appicciati allo naso per sbirciare lo canovàzzo! MARCOLFA Li avrà lasciati sul canovaccio! CAPOCOMICO Ah, brava! (Cambia tono: seccato) Ma non ti sortire con ’ste ciancerìe! Lo canovàzzo lo tiéngo costì nelle mie mani! MARCOLFA Siete voi che dovete sapere dove li avete lasciati… Cosa c’entro io? Non sono mica l’addetta agli occhiali, io! Io lavo il pavimento, tiro su le tette e le chiappe, e basta! Sono responsabile solo della carne, io!

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CAPOCOMICO Allora tu ci rifai con le ciancerie! Imperocché anche se io lo savèssi in dove stanno ’sti miei occhiali, nulla me verrebbe in vantaggio, imperocché senza occhiali non vedo punto! (Guarda in platea) Nello medesimo proposito, vi è di molto pubblico? MARCOLFA Pieno! Sono arrivati anche quei due che eravamo in pensiero! Faccia una cosa, signor capocomico, vada a comprarsi un altro paio di occhiali, così con quelli nuovi può trovare quelli vecchi che ha perso! CAPOCOMICO E a te arrisémbra che li occhiali te li gettano addietro come si costuma con li confetti? Mettici poi d’aggiunta che io li vo’ a smarrire almanco dieci volte allo giorno… se per ogni occasione dovessi comprarne uno paro sano, starei fresco! MARCOLFA Oh, esagerato! Mica ha bisogno di una cassa di occhiali! CAPOCOMICO Ma che ti cianci la cassa… ma di due para è certo! Uno per vederci d’appresso e l’altro per vederci da lontano… MARCOLFA No, guardi che non serve che siano due paia para… Ve lo dimostro: immaginiamo che avete perduto gli occhiali per vedere da

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lontano e che portate sul naso quelli per vedere da vicino... se capita che gli occhiali per vedere da lontano sono lontano… voi con gli occhiali per vedere da vicino non arrivate mica a vedere quelli per vedere da lontano. A meno che voi non portate sempre sul naso gli occhiali per vedere da lontano, così anche se avete perso gli occhiali per vedere da vicino e vi capita per disgrazia che gli occhiali per vedere da vicino sono talmente vicini che con gli occhiali che con gli occhiali per vedere da lontano non riuscite a vederli perché sono troppo vicini… allora lei dovrebbe andare indietro, sempre più indietro dal punto dove ha lasciato gli occhiali per vedere da vicino, fino a che con gli occhiali per vedere da lontano riuscite a vedere gli occhiali per vedere da vicino. CAPOCOMICO Brava! Brava! La pole essere una ottima idea! (Riconsegna alla donna secchio ecc.) Ci vuoi dare di prologo, per favore? MARCOLFA No, io non posso… non sono capace, signore… CAPOCOMICO Tu sei bravissima! Tieni una fantasia straordinaria e nello mismo tieni pure le physique du rôle! MARCOLFA (spaventata) Cos’è che ho io,

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signore? CAPOCOMICO Le physique du rôle! Forza Marcólfa! Vai col prologo! (Esce di scena). MARCOLFA (al pubblico, preoccupata) Che ha detto che ho?... i fichi sul collo? È matto? Non è nemmeno stagione dei fichi! È la personalità più importante della compagnia, ma è matto! Avete sentito come parla “Imperocché! Immantinente! Al pubblico astante!” Farò il prologo perché lui me l’ha ordinato e se non faccio quello che dice mi caccia via. Poso i miei arnesi del mestiere... (si avvicina alla porta di destra e passa in quinta secchio e spazzolone) Sono emozionata... che io non ho mai parlato con tanta gente che non conosco... ho il cuore che mi batte… mamma mia, come batte! Ve lo farei sentire… (con intenzione) Insomma… era un’offerta… Dunque, è una commedia bella, ma bella... da ridere e da piangere... di scambi, di travestimenti, di sesso, di porcellerie. E di pulci... pulci. Quante ne fanno! C’è un uomo che tutti chiamano “Il Magnifico” per prenderlo in giro, perché di magnifico quello non ha proprio niente. È un vecchio, appassito, brutto, senza denaro... un ex nobile spiantato! Roba da non credere, ha una

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moglie tanto bella, giovane, nobile, che tutti chiamano “Contessa Isabella”. Ma a dire la verità, non si vede tanto che questa contessa Isabella sia bella perché lei va sempre in giro trascurata, vestita di nero, piange dalla mattina alla sera, va sempre in chiesa a pregare e cammina come un cammello. Prega, piange e “cammella” dalla mattina alla sera (mima la camminata da cammello). Si consuma d’amore perché suo marito Il Magnifico rincoglionito non le fa più i preamboli d’amore nel letto. Per la verità, non le fa neanche i deamboli d’amore nel letto... neanche i triangoli! Non fa niente nel letto, non la guarda, né la tocca. Un giorno Isabella contessa cammellona viene a scoprire che suo marito Magnifico si è innamorato di una cortigiana, la famosa puttana Eleonora, detta Strizzauomini! Una parrucca rossa fiammeggiante sulla testa, le gote imp... (cerca la parola) imporporate... rosse... due tette e due chiappe d’oro!... che le faccio io con la corda... e cammina che sembra un galeone che va per mare, con le chiappe che ondeggiano di qua e di là! (Imita la camminata) Isabella... è disperata! “Mi uccido, mi uccido!” Poi di colpo cambia idea e dice: “Ma sono

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matta?! Perché mi dovrei uccidere io? Vado a casa di Eleonora e uccido lei!” E cammellando, cammellando, va a casa di Eleonora puttana. Il destino vuole che appena entra in casa si imbatte giusto in Eleonora che si è da poco alzata dal letto! Non crede ai suoi occhi: una faccia slavata, quattro capelli disgraziati in testa... tette e chiappe... nulla! Era andata a dormire e si era slacciata i cordoni. La frana notturna! Isabella dice: “Mi scusi, lei sarebbe la famosa Eleonora puttana?!” “Sì, sono io! Molto piacere!” “Molto piacere un cazzo, cara puttana Eleonora! Molto piacere i miei coglioni!” (Rivolgendosi al pubblico imbarazzata) Non dice proprio queste parole l’attrice... l’ho dette io per rendere il concetto... (pausa. È perplessa) Eh... non è mica facile raccontare le commedie! (Riprende sul tono di racconto) “Molto piacere i miei coglioni!” Eleonora, furente: “A chi, molto piacere i miei coglioni?” Insomma, un po’ di cazzi di qui e di là... dialettica femminile... Poi Isabella dice... (si interrompe per rivolgersi al pubblico) È una scena! A me piace! La guardo sempre... (riprende a raccontare) “Ma come?! Mio marito mi tradisce con quella vecchia lì, tutta sderenata...

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mentre io sono ancora nel fiore degli anni! Ah, ah!” Comincia a ridere come una matta... (pausa) Eleonora non ride per niente... ha un giramento di palle! Dice: “Come? Sono qui, in casa mia... la mattina presto... mi si insulta!” (Al pubblico) Com’è brava! Però bisogna dire che Eleonora è una puttana, ma è una ragazza bravissima! Generosa... di cuore... dà via proprio tutto! È una ragazza che ragiona giusto... e dice: “Ma sì, è vero, io sono vecchia, tu sei più bella di me...” e ride anche lei. Le due donne fanno amicizia, e commentano come sono coglioni gli uomini. Quella scena è molto gradita da tutte le donne che stanno in platea. Battono le mani e dicono: “È vero! È vero!” Ieri sera c’era una signora che ha detto: “È vero, ho portato qui mio marito come testimone!” (Pausa, si compiace. Riprende) Eleonora decide di fare un grande scherzo al Magnifico coglione, marito di Isabella: “Ti travestirò da puttana, Eleonora, così farai l’amore con tuo marito senza che lui se ne accorga, e, per compenso, ti darà anche due fiorini d’oro della tua dote!” “Ah! – dice Isabella – son contenta, così torna a casa qualcosa!” Insomma, c’è felicità!

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In quel momento lì, Eleonora batte le mani ed entro in scena io che sono la servetta... non parlo ma opero: il mio solito alzabandiera delle carni. Entro e dico una battuta sola, ma faccio la mia figura... Dico: “Si spogli, signora contessa!” La dico benissimo... mi fanno sempre i complimenti. Una sera che c’era giù il mio moroso, per fare più bella figura, mi sono allungata la parte. Ho detto: “Si spogli, signora contessa, per piacere!” EUH! Le due attrici mi hanno fatto una scenata! Mi hanno detto: “Non ci si allunga la parte, eh!” Le donne attrici sono matte! Beh, allora lei si mette tutta nuda e io faccio il mio solito alzabandiera. Poi le mettiamo la parrucca rossa di Eleonora, l’abito da puttana, e poi Eleonora dice: “Adesso basta, mia cara contessa, di camminare come un cammellone, eh! Si cammina con lo scodinzolamento delle chiappe! (Cammina ancheggiando vistosamente) E uno e due... allenarsi!” E lì Isabella fa una camminata! Le si sloga tutto il bacino... “E uno e due... (si arresta) Come si muovono le mani... davanti al naso del maschio... come farfalle sensuali... (esegue) Ma non così! (Si schiaffeggia le mani) Così gli fai aria! Mettici un po’ di languore: e uno e due!

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Come si fa la risata dell’oca giuliva (esegue): ahahah... ahahah...!” Le attrici la fanno proprio benissimo… a me viene male. Eleonora dice: “È importantissimo imparare a ridere da scema. Guai a farsi scoprire intelligente dal maschio! Gli viene il complesso di inferiorità e diventa impotente! Come si piange? Con il singhiozzo: (esegue) EUHEUHEUH! Non importa se non ci sono le lacrime... importante è il singhiozzo: (esegue) euheuheuh! Come si fanno le moine da smorfiosa con l’occhio da ingenua: (esegue) “Ahhh... oh nohhh... ohhh... (agita le dita a ventaglio all’altezza degli occhi imitando lo sbatter delle ciglia) nohhh... questo non mi piace... ohhh... nohhh... ohhh, che mal di pancia! Oh, che mal di testa... Mi vien da vomitare (esegue): BUHOPP!” Il conato di vomito al momento giusto è una cosa di un erotismo, dio! (Esegue) BUHUOHP! Bello, grosso! Io non so perché, ma gli uomini diventano matti per il conato di vomito... (al pubblico) Imparare donne, imparare! Stasera allenarsi a casa, ehhh: BUHUOHP! Vedrete che cosa vi capita, vedrete! (Riprende la lezione:c.s.) Sospiri: hhh... hhh... gemiti: ah... ah... Sospiri e

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gemiti: hhh... ahh... hhh... ahh... Languore languido prolungato: eoàhhaua! Sospiri, gemiti, languore languido prolungato: hhh, ahh, eoahh (chiude con un gran conato di vomito) BUHUOHP! E, a quel punto, tuo marito coglione non capisce più niente: ti salta addosso, ti vuol baciare, ti vuol... (ansimando) ha il fiatone: hha... hha... tu, il fiatino: hhi… hhi... hhi... e quando siete al massimo del riscaldamento del sesso: in bianco! Mandarlo in bianco! Stop! “Ho fame!... Ho sete!... Ho sonno! Andiamo a letto?” “Sì sì, a letto!” “No, caro. Io da sola nel mio letto! Tu, a casa tua che questa è casa mia!” E lui se ne va che ha i coglioni che fumano! Scena terza: Isabella è distesa languida sul canapè, entra il marito, non si accorge di nulla. Lei è bravissima, ha imparato la lezione, muove le chiappe come una matta, sospira, geme, ride, piange... e vomita! Lui perde la testa... le salta addosso... Lei dovrebbe dire: “Ho fame... ho sete...” insomma, mandarlo in bianco, ma non ce la fa perché è innamorata. Fanno l’amore... E qui

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c’è una scena che... si salvi chi può! Buio totale! Non si vede nulla, ma... si sente! Cigolii tremendi... Una roba! Poi gemiti... ma dio, quante di quelle urla... mai sentite nella mia vita. “Aoahh, muoio! Aoahhh, sto morendo! Aoahhh, sono morta!” “Aoahhh! Sono morto anch’io!” Due morti nel letto! Lui ha capito benissimo che lei non è l’Eleonora puttana ma che è sua moglie, ma sta zitto perché avere lì la moglie così vogliosa, così diversa, così insolita, lo fa impazzire! Lei ha capito che lui ha scoperto che lei non è lei ma che è lei... ma sta zitta perché avere lì il marito così incalorato che è la prima volta da quando lo conosce... (in falsetto) la fa impazzire! Fanno l’amore un’altra volta, un’altra volta ancora, un’altra volta... È il terzo atto, è notte... è notte fonda, e l’amore dura proprio tutta la notte! Fan l’amore, rifanno ancora… insomma per farla fanno l’amore centonovantaquattro volte... degli amplessi! Uno più appassionato dell’altro! Cento e novant... No, calma... ho sbagliato... no, centonovantaquattro è proprio un’esagerazione. Perdonatemi… è l’entusiasmo di fare il prologo...

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Centonovantaquattro? Sono matta! No, bisogna dirlo, perché magari qualcuno dei maschi qui presenti ci crede... poi va a casa frustrato... No, no... è impossibile. Mi sembra già di sentire le mogli: “E allora?... Sei arrivato soltanto a cinquantuno... E allora? Ne mancano centoquarantatré! E allora?” Questi poveri uomini, tutti morti! No, è stato un errore! (Riprende il racconto) Fanno l’amore, quattro volte! (Direttamente al pubblico) Si può, no? Ohi, giovani, rispondere eh... (breve pausa) Oh! Tutti ammutoliti! (Perentoria) Quattro volte si può! Giornata di festa... domani, riposo... per un mese. (Riprende il racconto) Isabella è felice, contenta, beata, perché finalmente lei, Isabella, donna perbene, contessa, che pregava dalla mattina alla sera, che andava sempre in chiesa... per la prima volta è soddisfatta, è contenta, una donna realizzata! E perché? Perché finalmente ha imparato a fare la puttana! Coraggio, donne! Coraggio!

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Parte una marcia strombazzante: dalla quinta di destra reggendo su una spalla un lungo e grosso palo entra Ganassa. GANASSA Signora, siamo arrivati per il lavoro... MARCOLFA Oh, bravi! (Rivolta al pubblico) Un momento, scusatemi. (A Ganassa ) E la scala? Dov’è la scala per il sipario? GANASSA Non so io della scala... io ho bruciato solo il sipario. Il mio capo mi ha detto: “Carichiamo questo albero e si va a teatro!” Io non lo sapevo che per andare a teatro bisognava portarsi un albero... Dev’essere un’abitudine degli spettatori delle grandi città, di sedersi tutti col proprio albero in spalla... così, invece di entrare col biglietto han l’albero!! “Biglietto!” “No (mima di segare un pezzo del palo) ho l’alberamento!”. MARCOLFA (gli fa il verso, seccata) Alboraménto! Ma chi credi di far ridere, stupidotto? (Cambia tono) Che intenzione avete... di piantare ‘sto alboramento sul palco? Gli attacchiamo due grandi vele e andiamo tutti per mare a pescare che non c’è nemmeno un pesce? GANASSA Non sarebbe una brutta idea! Ma se

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vuol sapere di preciso, è meglio chiedere al mio capo. MARCOLFA E dov’è il vostro capo? GANASSA Dall’altra parte dell’albero, in cima al palo. Lei mi tenga ‘sto palo (passa il palo alla donna caricandoglielo sulla spalla e la sospinge verso l’uscita di sinistra) così scivola fuori... poi arriva il mio capo... e io glielo domando. MARCOLFA (cerca di opporsi, ma poi fatalmente sparisce spintonata in quinta) Ma cosa mi fai?... Io devo recitare il prologo. GANASSA Stia tranquilla signora, che la faccio tornare fra un minuto. (Il palo scorre e porta in scena Arlecchino che lo sorregge) Salute, capo! Andiamo per mare? ARLECCHINO Cosa? Per mare? GANASSA Sì, me l’ha detto la signora che era qui. Ha detto: “Piantiamo questo palo sul palco, poi gli attacchiamo tutte le vele... gli mettiamo il timone a poppa... la prua di sopra, e quando arriva il vento... via: andiamo tutti per mare, con il palo e il sipario!” Col sipario ci facciamo le vele? (Compiaciuti, ridono entrambi). ARLECCHINO E cosa fanno gli spettatori? GANASSA Alla voga! Alla voga! (Ridono

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ancora). ARLECCHINO Remare! Remare! GANASSA E quando siamo in mezzo al mare (mima gli spettatori che vanno a picco) GLU GLU GLU... tutto il teatro affondato! ARLECCHINO E gli spettatori annegano? GANASSA Sì! ARLECCHINO Annegano tutti? (Guarda in platea, intristito) Mi dispiace!... Devo dire qualcosa alla vostra mamma? (Di nuovo perplesso, a Ganàssa) Ma non si potrebbe andare a farlo in un altro teatro? Ché questi mi sono un po’ simpatici! GANASSA Capo, tanto domani ne vengono di nuovi! Ridono sgangheratamente ARLECCHINO Disgraziato, canaglia… ma dove ce l’hai il cervello? Dov’è la signora? Voglio parlare con ‘sta signora. Dov’è? GANASSA È dall’altra parte dell’albero che lo tiene. ARLECCHINO E come faccio a parlare a questa signora, se è dall’altra parte dell’albero? È

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lontana… GANASSA Oh, questo è facile. Tu adesso scorri di nuovo all’indietro (sottolinea, mimando con grandi gesti, quello che sta dicendo), lei arriva... io prendo il palo... lei resta qui, io ritorno di là e tu la incontri qui. ARLECCHINO (sghignazza) Ah, ah, ah… Fammi vedere se ho capito. Dunque, io ho il palo e vado... vado... vado... lei arriva qui... poi tu prendi il palo e te ne vai, e lei resta qui. (Pausa) E noi... dove siamo andati a finire? GANASSA Sulla zattera in mezzo al mare! Arlecchino esce portandosi appresso il palo. Musica. Dalla quinta di sinistra entra Marcolfa sorreggendo l’altra estremità del palo. GANASSA Ben tornata, signora! Ho parlato con il mio capo. Non si va per mare. Mi ha detto che vuole parlarle lui di persona, (Si carica il palo sulla spalla) stia qui che adesso arriva. (Musica. Commenta, rivolto al pubblico) Ho un cervello, io…! (Esce a sinistra). MARCOLFA (riprende il racconto) Scena quarta…

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Entra un nuovo personaggio che ha rimpiazzato Arlecchino al termine del palo. Calza una maschera chiara con baffi vistosi. Parla con accento bolognese: è Sparavento. SPARAVENTO Buongiorno, signora! MARCOLFA Buongiorno. (Tra sé) Dio, che bell’uomo! (Si avvicina a Sparavento imitando la camminata di Eleonora. In una sequenza senza pause: ride, piange, sospira, geme, e accenna un urto di vomito) Perdonatemi... mi viene da vomitare. Ma voi non siete Arlecchino?! SPARAVENTO (con soddisfazione) No, sono Sparavento. MARCOLFA Oh, che bel nome! Sensualista… sensuale! Scusate, Sparavento, che cosa fate con questo albero in spalla? (conato di vomito) BBBBUUUUAGGG.. SPARAVENTO Ah, non lo so mica, io! MARCOLFA Andate in giro con un albero in spalla e non sapete a che cosa serve? (Ride seducente ed emette conati di vomito guardando Sparavento con molta sensualità) BBBBUUUUAGGG!

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SPARAVENTO È stato un facchino che mi ha detto: “Vuol tenerlo in spalla un momento?” Si vede che gli era venuto un bisogno selvaggio di liberarsi! MARCOLFA (fra sé) Ah, ecco dov’è andato quel boia di Arlecchino! (Al pubblico) Vengo subito. (a Sparavento) Allora, signor Sparavento, sei capace di riparare rondelle e sipari? SPARAVENTO Ha colpito nel segno signora, è una vita che aggiusto rondeeelle e ripaaaro sipari! MARCOLFA Che felicità! E allora, coraggio! (Gli fa il verso) Riparate sipaaario e rondeeelle. SPARAVENTO Non si può mica. MARCOLFA Perché? SPARAVENTO Ci vorrebbe una scala! MARCOLFA E andate a cercarla ‘sta scala! SPARAVENTO Vado immediatamente! Oh… e questo qui... (indica il palo) lo tiene lei, lo tengo io, o lo appoggio per terra? MARCOLFA Per terra! Sono un’attrice, io! SPARAVENTO (posa il palo a terra) Vado e torno. (Al pubblico, uscendo a sinistra) Che conquista, ragazzi! MARCOLFA (al pubblico) Stavo raccontandovi dell’Isabella...

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Entra Arlecchino sulla solita marcetta con una borsa a tracolla contenente alcune grosse corde. Solleva il palo posato a terra, lo fa scorrere nella quinta di destra. ARLECCHINO E dov’è quello a cui ho dato il palo da tenere? (Commenta rivolto al pubblico) Dai il palo a uno che ha la faccia onesta e lui te lo molla per terra come se fosse un orfano. (Appeso all’altro capo del palo riappare Ganassa ) Dov’è andato l’orfano? GANASSA Non so io... tu, piuttosto, dove ti eri cacciato? ARLECCHINO (aggressivo) Io non mi sono cacciato!! Io sono andato a prendere il materiale per fare il lavoro. (Indica il sacco). Ganassa esce di scena portandosi appresso il palo. MARCOLFA (ad Arlecchino) Bugiardo! Tu sei andato a fare i tuoi bisogni! ARLECCHINO (offeso) I miei bisogni, cara signora, sono stati quelli di andare a prendere

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questa corda e anche questi pioli! Poi, tu non hai il diritto di andare a raccontare al pubblico quali sono i miei bisogni, perché i miei bisogni sono i miei bisogni di me! (Si porta in proscenio) Perché io non vengo a domandare a loro quali sono i loro bisogni. (Rivolgendosi a una signora del pubblico) Signora, sono forse venuto a dirle io: “Come va con i bisogni? È andata bene, tranquilla... liscia?” (Ad altri spettatori) E voialtri, avete avuto sforzo… sofferenza? Avete provato con la tisana? Cumulativamente, uno a uno devono dire come sono andati i loro bisogni… (indignato a Marcolfa) Ma si viene a teatro per parlare di bisogni, dico?! No, non si fanno questi discorsi a teatro! (Cambia tono) Sono discorsi che si fanno a tavola! MARCOLFA E allora, dov’è la scala? ARLECCHINO (indica il palo) Questo è la scala! MARCOLFA ‘Sto palone qua, è una scala?! ARLECCHINO Sì, è una scala!… È un palone se lo guardi con occhi da incompetente, ma uno che sia appena del mestiere, lo capisce subito che si tratta di una scala in embrione! Basta tagliarla in due, ti arrampichi sino alla cima… Che una volta in piedi, (mima di rizzare il palo) ci si mettono

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dentro i pioli e ci si monta. MARCOLFA Ci vuole almeno una giornata per prepararla! ARLECCHINO No, non occorre. È già pronta. (Solleva il palo e lo passa in quinta.) Musica. Il palo scorre. Entrano in scena tre maschere: Burattino, Toni e Balordo. Camminano a passi brevi, uno incollato all’altro con il capo appoggiato al palo. Dormono. MARCOLFA E questi chi sono? ARLECCHINO Sono tre critici di tre giornali importanti che stavano nell’altro teatro a guardare lo spettacolo e si sono addormentati subito. Anche quando bruciava il sipario loro non si accorti… è bruciato il teatro e non si sono accorti… loro dormivano. Li abbiamo portati via con il palo del sipario. Ma adesso lasciamoli dormire, così domani ci fanno una bella critica... Andiamo! (Spinge fuori scena le tre maschere con il palo). MARCOLFA Allora Arlecchino, ti permetto di aggiustare il sipario… ma in silenzio, che devo sprologare! (Al pubblico) Perdonatemi ‘sto casino

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che ho messo in piedi…. ma mi tocca lavorare con dei rozzi… maleducati e ignoranti… Dunque l’Isabella… (riprende il racconto) dice… continuerò a far la puttana… farò la puttana… (continua a parlare a soggetto mentre rientra il palo sorretto da cinque maschere: Ganassa, Razzullo, Scaracco, Burattino, Balordo e il Capocomico. Tutti, danzando, si impegnano a rizzare il palo – centro palcoscenico – come fosse l’asta di una bandiera. Si pongono di fronte al pubblico su un’unica fila sull’attenti: guardano in platea estatici. Arlecchino intona un inno patriottico in un linguaggio carico di enfasi, ma fortemente sconnesso) ARLECCHINO “Oh che sale garréndo sprontàle lo sgualdràppo che svéntola… anche il cor ci stràmbola, in patrio fulgor… Siam pronti alla pugna e a crepar con ardor!” MARCOLFA Cosa fai, Arlecchino? ARLECCHINO L’alza bandiera! MARCOLFA (seccata di essere continuamente interrotta) Adesso, Arlecchino, fai il tuo lavoro in perfetto silenzio... che io devo sprologare. (Al pubblico riprendendo il racconto) Allora, scena

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quarta: Isabella si sveglia... allora la sua amica Leonora le dice… (continua il suo racconto a soggetto, molto compiaciuta, mentre le maschere posano il palo a terra e velocemente ci infilano dei pioli trasformandolo in una scala). CAPOCOMICO Smettila di parlare… chiacchierona! Se racconti tutta la commedia per intero… quando arriviamo noi comici, cosa recitiamo a questo meraviglioso pubblico? MARCOLFA Zitto, signor capocomico… (riprende il racconto) Allora ‘Leonora le mette una bella parrucca rosso fuoco… Arlecchino estrae dalla sua borsa delle corde MARCOLFA L’Isabella dice… oh, son contenta che quel coglione di mio marito… ARLECCHINO (in grammelot dà ordini ai suoi compagni, mentre Marcolfa continua a raccontare) MARCOLFA (furente) Allora? Basta, eh!... Basta! (le maschere si zittiscono ma iniziano ad armeggiare intorno al palo) Oh! Siamo arrivati alla quarta scena... che è molto bella perché c’è Isabella che si sveglia... (rivolta al pubblico

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distratto dall’armeggiare delle maschere) Guardare me, oh! Guardate che vengo giù e vi faccio il racconto orecchio a orecchio, eh! State qui fino all’anno venturo! Chiaro? (riprende il racconto) Isabella si sveglia... (tenta di raccontare, ma Arlecchino la interrompe continuamente per dare istruzioni ai suoi compagni che stanno agganciando quattro funi alla sommità del palo). ARLECCHINO Allora bisogna che uno vada tra il pubblico là... (indica la platea sulla destra) e l’altro tra il pubblico là... (indica un altro punto della platea, distribuisce un capo delle funi ai suoi compagni). SCARACCO Ma non si può lavorare in mezzo al pubblico. ARLECCHINO (nei panni del capo dei lavori) Oh boia! Per tenere in piedi un palo bisogna che una corda di tenuta tangente del triangolo sia là di barricata... Ce l’hai in mente la piramide? Fa conto che la piramide sia un palo: bisogna che ci siano quattro corde d’angolo a tenerla. SCARACCO La piramide sul pubblico non si può fare! ARLECCHINO Zitto! Non stare a far discussioni,

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boia! Bisogna che vi immaginate che siamo nel millecinquecentottantacinque... non c’era ancora l’organizzazione dei lavoratori, i sindacati! D’accordo? (A Burattino e Toni) Voi andate in settima fila, dove c’è quel signore con gli occhiali... Burattino e Toni scendono in platea portandosi le corde, cercando di disturbare il pubblico il più possibile MARCOLFA (alzando la voce cerca di riprendere il racconto) Allora Isabella... e allora, la nostra cara Isabella si sveglia e dice al marito: (nel tentativo di catturare l’attenzione del pubblico, con voce acutissima) “Caro marito, da oggi farò la puttana…” (continua a parlare ma la sua voce è sopraffatta da quella di Arlecchino che urla a sua volta. Dalla platea risalgono in palcoscenico gli attori. Issano il palo, trattenendolo dritto con quattro corde. La donna furente si rivolge ad Arlecchino) Ma basta! Mi disturbi! ARLECCHINO Ma boia, ma non si alza così la voce! Bisogna intrattenerlo il pubblico, non

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terrorizzarlo! Scaracco e Burattino scendono con le corde in platea ARLECCHINO (a Scaracco e Burattino) Chiedete per piacere, villani! (Al pubblico) Alzarsi... alzarsi... grazie... un po’ di comprensione, boia, per chi lavora! Siamo proprio in Italia, eh: quattro minchioni che lavorano e mille seduti, spaparanzati a godersi lo spettacolo! Ministeriali! (Scorge Scaracco che armeggia con la corda al collo di uno spettatore) Boia, che cosa fa, quello?... Che cosa fai a quel signore lì? SCARACCO (toglie la fune dal collo dello spettatore, conciliante) Va bene, gliela do in mano, che mi aiuta a tirare. ARLECCHINO In mano?! Ma boia, ma se uno non è abituato alla corda, si spella tutte le mani, eh?! Dagli almeno del talco, del magnesio in mano, eh! (Scaracco estrae di tasca un fazzoletto e lo scuote verso lo spettatore avvolgendolo in una gran nube di talco) È un po’ troppo abbondante così, eh? (Scruta con attenzione)

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Boia, adesso che si è diradata la nebbia... guarda là chi c’è! Lo conosco quello lì con la giacca a vento rossa, è un intellettuale... Scaracco, tiragli via subito la corda di mano, perché quello al momento della tensione molla tutto... crisi di indentità… flessione culturale… butta le corde e scappa. Via, lascialo stare! E va’ fra gli spettatori tu, obbedisci, subito, per piacere, entra… MARCOLFA (nel tentativo di catturare l’attenzione del pubblico, con tono di voce acutissimo) Allora dice Isabella, dice Isabella, dice… ARLECCHINO Cosa dice? MARCOLFA Ma fa’ il tuo lavoro!… (Riprende il racconto) L’Isabella… (ancora la sua voce è sopraffatta dalle urla di Arlecchino, le cui mani sono finite sotto i piedi di Ganassa che sta montando sul palo) L’Isabella…. (ad Arlecchino, furente) insomma, basta!… ARLECCHINO Ahhh! Mi ha schiacciato le mani! MARCOLFA (riprende) “Io farò la puttana – dice a suo marito – io farò la puttana, farò la puttana!” ARLECCHINO (la guarda attonito) Ma va?!

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Dove? In che via? MARCOLFA (indignata) Ma non sono mica io... ARLECCHINO Come non sei tu... MARCOLFA È Isabella... ARLECCHINO Che prezzi? MARCOLFA (lo interrompe furiosa) Ma va via! ARLECCHINO Per comitive? MARCOLFA (riprende, ignorandolo) “Farò la puttana! Oh, come farò la puttana! Io farò la puttana...” ARLECCHINO Ho paura che qualcuno abbia il sospetto che Isabella farà la puttana. Ho sentito circolare la voce. (Rivolto a Ganassa che sta in cima al palo) Adesso, dov’è caduta questa vite? Ganassa indica il pavimento. Arlecchino va cercando la vite di qua e di là e finisce la sua ricerca nella scollatura di Marcolfa. Mentre la donna parla, Arlecchino sottovoce continua a ripetere: “La vite, la vite dove si è cazzàda?” MARCOLFA (prosegue nel suo racconto infastidita dalle “spalpignate” di Arlecchino) “Farò la puttana, andrò sulla carrozza con la mia amica Eleonora, e tutte e due faremo un mucchio

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di soldi e saremo felici e contente!” (Arlecchino ha infilato le mani sotto la gonna di Marcolfa che manda un urlo) Ma cosa fai, Arlecchino?! Tira via le mani! ARLECCHINO C’è una vite. La vite nella vita. MARCOLFA (esce dal personaggio e allude al particolare che Dario-Arlecchino è suo marito) Arlecchino, non ti approfittare della parentela! ARLECCHINO (le cui braccia sono letteralmente sparite fra le sottane di Marcolfa, ammicca divertito al pubblico) Oh, mamma! MARCOLFA Cosa c’è da ridere?’ ARLECCHINO Non l’avrei mai pensato! Anche tu hai le corde intorno alle chiappe! Ah, ah, Marcolfa! (All’istante, come impazziti, gli aiutanti di Arlecchino fanno ondeggiare il palo dal quale è appena sceso Ganassa. Il palo precipita verso il pubblico e, come una sciabola, passa a ventaglio sulle teste degli spettatori) Ohi, ferma, ferma! Le corde... le corde... le corde!... MARCOLFA Ma attenzione alle teste... Non tagliategli le teste!... ARLECCHINO Ohi che spavento! Ma disgraziato! (Indicando il pubblico) Hai dato due sfregate a quella signora lì che... le è rimasto il

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segno di Zorro sulla faccia. Quel signore là, poi, si è visto arrivare il palo dritto così e ha gridato: “Porco cane, chi è arrivato: Ulisse con Polifemo?!” Ma sei un disgraziato, non ti si può far lavorare, Ganassa, incosciente! (Raccontando al pubblico) Boia, ieri... guarda, è successa una disgrazia: c’era qui il palo, proprio qui dove siete voi... due, tre, quattro... (indica quattro poltrone dove ora stanno gli spettatori che reggono le funi) Lo rifacciamo... dài, tira che... (Gli spettatori lanciano grida, spaventati) No, è per farvi vedere... perché uno non crede quanto è disgraziato quello (indica Ganassa) A un certo momento è andato giù il palo così: SGNACH! Io ho sentito un colpo tremendo, non ho avuto il coraggio di guardare: quattro morti gravi... Sono arrivati subito tre o quattro infermieri che erano lì nell’atrio per caso, sono arrivati dentro a una velocità tremenda. (Mima di sollevare i corpi e di vivisezionarli rapidissimo) “Al trapianto! Al trapianto! Donatore!” È una mania che hanno addosso, questa qui del trapianto. Io personalmente vado sempre in giro con un cartello con scritto: “Ho già donato”. (Le maschere intorno ridono sgangheratamente).

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Marcolfa riprende a parlare mentre il palo viene finalmente issato e tenuto ritto dai clown: Arlecchino ci sale sopra, guarda davanti a sé e all’improvviso si mette a urlare. ARLECCHINO Lu pisce, lu pisce, lu piscespàda! Tutte le maschere mimano di remare a gran ritmo scandendo in coro CORO Pisci, pisci, pisci tutto l’anno, la mattanza è ’nu gran danno… remate, remate… MARCOLFA Basta! ARLECCHINO (dandole sulla voce) Basta! (Al pubblico): Scusatemi, è stato un momento di slancio emotivo… di colpo mi sono visto in Sicilia su una barca alla caccia del pescespada, pesci dappertutto… Ho visto merluzzi, tonni tremendi… che c’era intramezzo anche un pesce tremendo, piccolo ma d’un rapace, con una bocca… (mima un pesce che arriva velocemente) li mangiava tutti: Silviospada, si chiama! AHM AHM! E canta: “E’ l’amor che mi consuma!” Basta, che mi uscirebbero allusioni tremende.

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MARCOLFA Basta, io non parlo più dell’Isabella, mi ha rotto le palle! ARLECCHINO Non si possono fare ’ste allusioni al presente storico di adesso, sennò si finisce che se tira in ballo Alfano col suo Lodo, poi c’è il Lodo Mondadori, e poi la corruzione dei giudici, il lodo del lodo coi giudici che si fan comprare da quell’avvocato Previti del Berlusconi che lui, l’avvocato, lo mettono in galera, ma Silvio scivola fuori come un pesce dalla rete e fa scoregge a tutti, inventa il processo lungo e quello breve e quello così e così, quello rapido, che non si vede manco: “In piedi, entra la corte”, (gira su se stesso) ZIUU, la corte è già fuori… “Cosa fai qui, coglione, che il processo l’han cancellato?” MARCOLFA (furente) Allora? Basta! Si ritorna in epoca originale! Millecinquecentottantacinque… ARLECCHINO (sottovoce al pubblico con malcelato pudore) Poi salta fuori l’avvocato Ghedini e Pecorella, Straccatàne, Puzzarello, Caccamorti… (si blocca e indica in fondo alla pletea) Oddio, chi è quello con la testa tutta pelata che pare un pallone? E’ lui, Bondi, la palla

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Bondi… (a gran voce) Sono in giro a cercarti… scappa che ti fanno un trapianto… Bondi, sàlvati! MARCOLFA Non è mica bello che tu parli in ‘sto modo, di quello! E’ un ministro, un po’ di rispetto!... Un che è così coltivato e scrive delle poesie così gentili che sembra un bambino dell’asilo… tenero! ARLECCHINO E io appunto ne parlo… son del suo comitato… “poeti sletterati!” MARCOLFA Ho detto che non si fa ironia… di Bondi non se ne parla! ARLECCHINO D’accordo, non gli parlo ma gli canto: “Ohi, Bondi, Bondi, Bondi… ah, ah! Siamo in giro sempre tondi e tonti… come lui!” (Mima di pastrocchiarsi Bondi, palpandoselo tutto. Quindi, perentorio) A Bondi gli fanno dei trapianti… per via che è nato con le bretelle! Da bambino… uno nasce con la camicia… lui con le bretelle. Ma piccole… due bretelline piccole… la sua mamma era contenta quando lo ninnava: “Nanna ohhh, tun tun tun… (canta mimando di pizzicare le bretelle del piccolo Bondi come fossero le corde d’una chitarra) Nanna ohhh, tun tun tun… ‘Nanna ohoh… tutti i bambini dormono ma Bondi no!”

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Poi è cresciuto e non gli hanno cambiato le bretelle.Ha ancora le bretelle da bambino. (Cammina come costretto da tiranti che gli abbassano vistosamente le spalle). MARCOLFA A cosa gli servono ‘ste bretelle? A tenergli su le chiappe? ARLECCHINO No, a tenergli giù, bloccata, la testa! MARCOLFA Come a dire la crapa? E perché? Cos’ha? ARLECCHINO È vuota, con un cervellino piccolo… Tutto incurvato come un punto di domanda! È così vuota che se gli parli dentro, esce fuori l’eco… UAO AUOO AUOO! MARCOLFA E che c’entrano le bretelle? ARLECCHINO Perché se non ha le bretelle che la tengono bloccata, la crapa vola via come un palloncino (Canta) Vola vola la crapa de’ Bondi, va cercando nuovi mondi, mondi nuovi come lui ‘sto poeta di velluto! MARCOLFA (tentando di interromperlo) Allora? Millecinquecentottantacinque... Si ritorna in epoca? (Arlecchino sta farfugliando in

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sordina) Cosa dici? ARLECCHINO Ma guarda tu cosa sta discendendo dal cielo…(Tutte le maschere guardano in cielo stupite. Dall’alto scende il pupazzo di De Mita) un campione della politica passata… chi è? Mi pare Ciriaco! MARCOLFA Chi? ARLECCHINO Ciriaco De Mita... (glorioso) chiamato “pera Williams” per via della crapa a punta che tiene! Hai fatto caso? Ci ha la testa a pera… MARCOLFA Come a dire una pera-pesca? ARLECCHINO No, è una pera e basta... E’ lui, De Mita, si vede benissimo... in bottiglia... sotto spirito... lo spirito eterno della DC! “Quel che natura crea, la DC conserva!” MARCOLFA Ma non era morto? ARLECCHINO Morto lui o la DC? MARCOLFA Tutti e due! ARLECCHINO La DC e De Mita morti? Ma non muoiono mai, quelli! Al massimo muoiono e se muoiono resuscitano… sempre! E’ il partito surgelato… eterno, quello! MARCOLFA Come il ghiaccio al Polo! ARLECCHINO Beh, speriamo nel riscaldamento

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della Terra! MARCOLFA Ma il Ciriaco non era in galera? Mi ricordo bene che è stato condannato per ruberie! ARLECCHINO Sì, è stato condannato, ma in galera non ci è mai stato! E se l’hanno sbattuto dentro, è subito sortito… Le sue galere hanno la porta che gira come quelle dei grand hotel… ZON ZON (gira su se stesso)… dentro e fuori! MARCOLFA E allora? Basta! (Cerca di parlare, interrotta continuamente da Arlecchino, di colpo si blocca e rivolgendosi a Scaracco che si è accomodato beato su di una poltrona, urla) Tornare su… ARLECCHINO Ti dispiace venire su? Ma guarda te, cosa hai combinato! (Scaracco ha disteso lungo la corda che regge il palo calzini, fazzoletti, fasce di vari colori) Ma guarda!... Tutto il bucato ha fatto! MARCOLFA Scaracco! ARLECCHINO (rivolgendosi a Scaracco e Burattino, le due maschere in platea) Avanti tutti e via... ringraziare la gente che vi ha aiutato! MARCOLFA (incitandoli) Grazie mille... coraggio... grazie mille... ARLECCHINO Craxi mille...

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MARCOLFA (correggendolo) No, eh! Non tiriamo in ballo Craxi! Per carità, non torniamo ancora indietro nel tempo! (Venendo in proscenio si rivolge direttamente al pubblico) Allora, mi sono dimenticata di dire una cosa importantissima, che la vicenda che vi ho raccontato della contessa puttana, si svolge a Napoli! E sono sicurissima che nessuno di voi ricorda chi governava Napoli a quel tempo... ARLECCHINO (venendo a sua volta in proscenio si rivolge minaccioso al pubblico) Dai, avanti... che al primo che alza la mano, gliela taglio via di netto, così impara a giocare ai quiz! MARCOLFA (cercando di superare la voce di Arlecchino) Allora, chi governava Napoli... coraggio! ARLECCHINO (sempre al pubblico) Guai a chi indovina! Adesso, però, bisogna indovinare... chi c’era a Napoli a quel tempo? MARCOLFA Chi governava Napoli... (Rivolta a uno spettatore in platea) Guardi lei, signore… guardi che l’ho vista, sa… che mi fa una faccia come di sopportazione… ARLECCHINO Ma no, è stato così… un tic. MARCOLFA No, che tic? È un villano... ha fatto

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una smorfia come a dire: lei lava in terra e poi viene qui adesso a far la maestrina... Avanti, che abbia il coraggio di dirmi chiaro e netto. Anzi, io adesso vengo giù... (decisa si dirige alla scaletta che porta in platea). ARLECCHINO Ma dove vai? MARCOLFA Vado giù e gli do uno schiaffo! ARLECCHINO Brava, così non rimane più niente per il trapianto! MARCOLFA Eh, adesso! ARLECCHINO (punta il dito verso la platea) Ehi! Ti ho visto! No, non fare la spia... suggerire a quell’ignorante lì davanti… lascialo nell’ignoranza assoluta quello lì... (infervorandosi) Spia, spia... non sei figlio di Maria, non sei figlio di Gesù, va all’inferno anche tu! Si comincia così… poi finiscono in politica… consiglieri diventano! MARCOLFA Basta! Andiamo avanti… Lasciamo perdere… (al pubblico) Chi governava Napoli in quel tempo… che tanto per noialtri… di sopra, di sotto, di fuori, qui… per noialtri, insomma, tutti noialtri, o Carlo, o Alberto, o Ferdinando, lo prendiamo sempre in quel bando! (Termina piegando il braccio sinistro battendo

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con la mano destra nell’incavo del braccio medesimo. Questo gesto, chiamato “gesto dell’ombrello”, si usa per dire ad una persona “prendilo in quel posto” o “ti ho fregato”). ARLECCHINO Bella! Fine!... ma triviale! Voglio dire... triviale, ma fine! MARCOLFA È una metafora chiara... ARLECCHINO Scusa, posso aggiungere un’allocuzione alla metafora… un’allocuzione mia personale, di osservazione... MARCOLFA Perché... se ti dico di no, eh... ti ferma qualcuno? ARLECCHINO No, non mi ferma nessuno. No... voglio far osservare una cosa tremenda... mi domando sempre io, e chissà quanti di voialtri ci avranno fatto caso, nella storia d’Italia di tutti i tempi, quando succedono guerre, si fanno i bordelli, ci si scanna, anche lontano di qui... poi pian piano vengono a scannarsi addosso a noialtri. Ci prendono dentro, sempre! Guarda, nella storia... ci sono per esempio, i francesi, meglio: gli spagnoli che si battono contro i francesi... (recita in grammelot spagnolo una sfilza di improperi che terminano con) “Caprone, te e tua madre!” (Recita in grammelot francese,

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alludendo a una risposta altrettanto colorita a base di insulti e minacce) E anche voialtri tedeschi! (Vistoso sproloquio in grammelot germanico) E anche gli inglesi! (Esegue un grammelot inglese pacato ma carico di disprezzo) Allora è la guerra! È la guerra, boia! Noi inglesi andiamo a scannare tutti i francesi e scendiamo a fare la guerra fino in Spagna. E noi spagnoli andiamo contro i tedeschi e lì metteremo a ferro e fuoco, e noi tedeschi andiamo in Inghilterra a bruciare, violentare e far strame! (Allarga le braccia perentorio) Fermi! Non state a far casotto per niente... a sparpagliarvi dappertutto! Troviamoci in Italia!, che c’è il sole e ci si scanna che è una meraviglia! MARCOLFA (minacciosa) Arlecchino, o taci o io prendo questo palone… (indica il palo) te lo ficco nel culo… come fanno i turchi… con i pioli come mancia! Chiaro? ARLECCHINO (indignato) E mi avevano detto che era uno spettacolo consigliato per i ragazzi... (si caricano il palo sulle spalle ed escono lentamente di scena muovendosi al ralenti, con passo felpato). MARCOLFA (verso il pubblico) Dunque,

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allora... ARLECCHINO (da fuori scena) IHEIAIIAIA! MARCOLFA Ma cosa c’è?... ARLECCHINO (entra circospetto a passo di danza) Un turco! (Se ne esce sempre con lo stesso passo sulla solita marcetta). FINE PRIMO ATTO ATTO SECONDO Sono sparite le sagome delle case, sostituite da quinte. La scenografia base è costituita da due piani consequenziali. L’uno determina il proscenio di tre metri di profondità e di una larghezza che può andare dai nove metri ai dodici-quindici metri, a seconda delle dimensioni fisiche del palcoscenico. L’altro in secondo piano, di fatto è un praticabile di circa un metro e mezzo d’altezza al disopra del proscenio, e di tre-

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quattro metri di profondità. Ad esso si accede attraverso una scala frontale e due altre laterali mascherate dalle quinte. Il praticabile è di fatto coperto da un piano composto da pannelli mobili che se si fanno scorrere possono creare fosse dentro le quali si può scendere e risalire. Grazie a questi meccanismi, ecco che il praticabile si può trasformare facilmente in una specie di trincea o addirittura in un sepolcro. I BECCHINI Elenco dei personaggi Arlecchino Primo becchino Razzullo Secondo becchino Primo Teschio Scheletro Primo teschio Secondo Teschio Mani scheletriche Prete Vedova Marito morto della Vedova Fratello della Vedova Cognato della Vedova

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Personaggio con una piuma rossa sul cappello: amante della Vedova Due parenti Amici del morto I due becchini, Arlecchino e Razzullo, famosa maschera napoletana, stanno dentro una fossa armati di pale e mimano di scavare. Cantano. E qui si fanno i conti senza i resti passata la barca di là dal fiume, non si ritorna lascia le smancerie, lascia le svenevolezze che qui c’è scritto: “Basta, siete morti!” Chissà cosa ci aspetta nell’altro mondo ognuno racconta di sogni e stranezze. Ci sono gli indiani che dicono che poi si risvegliano dentro un animale con grande contentezza tutti contenti di essere degli animali. Ci sono i saraceni che hanno il Corano che mostra il paradiso come un bordello pieno di donne belle tutte nude

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ridendo tutto il giorno fanno l’amore fanno l’amore nude senza peccato! RAZZULLO Per chi è che stiamo scavando? ARLECCHINO Per l’amministrazione del cimitero, son loro che pagano! RAZZULLO Sì, va bene, ma chi è che dobbiamo seppellire? ARLECCHINO Ah, il morto, dici? È uno che si è accoppato da solo, un assassino di se medesimo. RAZZULLO Ah, suicida?! ARLECCHINO Sì, suicida, si è annegato nell’acqua. RAZZULLO Ah, quello che dicono che si è annegato... ARLECCHINO Sì, s’è annegato, con una forza di volontà incredibile. È andato a casa, ha preso un mastello pieno d’acqua, s’è messo in ginocchio, si è messo una mano sulla testa e ha detto: “Annego”. E giù... sott’acqua! Dopo un po’ la testa, che ragiona, dice: “Ueh, ma son proprio un coglione, morire in questa maniera!” Ma la mano caparbia: “Sotto: quel che è detto, è detto. Crepa!” Ohi, c’erano le bollicine che gli uscivano dappertutto. Gli venivan fuori dal naso, dalle

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orecchie, anche dal culo! PRUUUOOOAAHM... soffioni di Boario! RAZZULLO (ride divertito) Ah, ah, ah, e tu ci credi che quello s’è annegato da solo? Secondo te, uno si mette con la testa sott’acqua e senza che nessuno l’aiuti: GLU, GLU, GLU... si beve tutta l’acqua? Ma senti me: questo è un delitto... qualcuno l’avrà ucciso! ARLECCHINO No, no, può darsi che qualcuno gli abbia appoggiato una mano un po’ pesante sulla testa per aiutarlo un poco a stare sotto, ma guarda che c’è della gente caparbia che quando ha deciso di ammazzarsi, nessuno la ferma! Io ho conosciuto uno che si è annegato nel vino! RAZZULLO Nel vino?! ARLECCHINO Sì, in un tino di vino. RAZZULLO Che bella morte! Ma come ha fatto? ARLECCHINO Stai buono che ti racconto... (esce dalla fossa e, dando colpi con la pala qua e là come stesse sistemando la terra, racconta) Si chiamava Bolgirone, era uno che conoscevo bene. Era innamorato del vino! Fatto sta però che quest’uomo aveva una malattia tremenda, un’artrosi psichica per cui non riusciva ad alzare il bicchiere fino alla bocca: (mima la fatica di

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articolare il braccio) TRIC, TRAC, si bloccava, per il senso della colpa e del peccato dell’ubriacone, tanto che su quattro bicchieri riusciva a berne a malapena due! Bene, ma per sua fortuna gli muore uno zio che gli lascia un’eredità da non dire, una valanga di denaro. Allora lui è andato al mercato e ha comprato due tini grandi come una casa, uno pieno di vino e l’altro vuoto. RAZZULLO E che cosa se ne faceva di quello vuoto? ARLECCHINO Aspetta che ti racconto. Ha preso questo tino pieno di vino, ha costruito un’impalcatura e l’ha sistemato in alto nel cortile, poi gli ha messo una canna e un rubinetto che andavano dentro l’altro tino, ha preso questo tino vuoto e gli ha messo dentro tutta la mobilia: il letto a tre piazze, il comodino, l’armadio, e si è stravaccato sul letto (mima l’azione sdraiandosi sul praticabile). Poi ha aperto il rubinettone e... giù... una cascata di vino! E lui bello tranquillo, disteso sul letto, aspettava che il livello del vino crescesse fino alla bocca, apriva le labbra e a quel punto diceva la famosa frase del Vangelo: “Lasciate che i vini vengano a me!” Beveva beato

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senza neanche bisogno di alzare il braccio e cantava felice: “BLUGLBLUGLBLUGLBLUG!”, sembrava un mandolino: “BLUGLBLUGLBLUG!” RAZZULLO Ma come, il vino non saliva di livello e l’annegava? ARLECCHINO No, perché il furbastro, lui, aveva messo una vescica con un galleggiante collegata a una leva in modo che quando il vino saliva troppo di livello: CLOOK, subito scattava la leva e chiudeva di botto il rubinetto. Lui aspettava e beveva piano, piano, ma appena il livello scendeva troppo scattava di nuovo la leva e giù!... una cascata di vino! E lui era sempre contento con il livello giusto, ubriaco ma scientifico!... (Si leva in piedi) Soltanto che un giorno quest’uomo non va a innamorarsi di una donna? RAZZULLO A cui non piaceva il vino? ARLECCHINO No, era una brava donna, le piaceva il vino. Tanto è vero che loro, tutti e due, stavano allungati tutto il giorno su questo letto... facevano l’amore dentro il vino!... “Oh mio caro... BLUGBLUG... ti voglio bene... BLUGBLUG... vai sotto tu che io annego!”

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Sempre con la vescica del livello pronta, ubriachi tutto il giorno d’amore e di vino! (Pausa breve) Soltanto che, guarda, certe volte le donne sono cattive. Questa donna non va a innamorarsi di un altro uomo? RAZZULLO Normale! ARLECCHINO Un uomo a cui piaceva il latte! (Razzullo ha un moto di disgusto) Sì, che stava tutto il giorno stravaccato dentro una tinozza grande, piena di latte, immerso fino alla bocca, cantando canzoni da ubriaco di vino nel latte! RAZZULLO Traditore! Ma come si fa a invaghirsi di uno che succhia latte?! ARLECCHINO Hai ragione. Pensa che questi due, lei e lui, facevano l’amore dentro il latte! “PIRIPATAGNAC... amore mio... SPLISHSPLASH... vado in apnea.” (Mima l’abbracciarsi e il rotolarsi nell’amplesso) E si dimenavano tutto il giorno nel latte, che la sera era tutto formaggio! RAZZULLO Degenerati! ARLECCHINO Degenerati! Ma con il castigo di Dio: “Chi fa l’amore nel latte lo trasforma in formaggio! Invece, chi fa l’amore nel vino... spumante!” Fatto sta che il nostro uomo, quello

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buono a cui piaceva il vino, è andato a casa e per la disperazione ha spaccato la vescica del galleggiante. Veniva giù una cascata di vino senza fermarsi, lui si è sdraiato sul letto con il vino che cresceva. L’hanno sentito cantare e gorgogliare tutta la notte. La mattina, quando sono arrivati i parenti e gli amici, hanno trovato il tino che strabordava... tutto il vino per la strada, con la mobilia, compreso il letto, e lui, quest’uomo, gonfiato nella pancia che sembrava la cupola di San Pietro... morto annegato! Tutto intorno si spandeva un odore di vino che al funerale erano tutti ubriachi, ubriaco il prete, ubriachi gli amici, i parenti, perfino i quattro becchini che portavano la bara, tutti ubriachi che cantavano (intona il “De profundis” ballandoci sopra). I DUE IN CORO In morte de profundis sei crepato E miserere nobis sei crepato E feretrum peccati sei crepato

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Requiem aeternam dona eis Domine sei crepato Peccata mundi, peccata mundi, peccata mundi. Anche Razzullo esce dalla fossa. ARLECCHINO Credimi, se uno ha la volontà di morire, muore e nessuno lo ferma! (Scavando con la pala tira fuori dalla fossa un teschio che rotola fra i piedi di Razzullo che zompa spaventato). RAZZULLO Madonna mia, che impressione, una testa di morto! ARLECCHINO Ohi, ma ti spaventi per una testa di morto? Sei un becchino, caro! RAZZULLO Io non lo vorrei fare questo mestiere... Non mi sono ancora abituato! (Raccatta il teschio) E poi io questo teschio neanche lo conosco!... (Lancia il teschio che Arlecchino afferra al volo). ARLECCHINO Fammi vedere, boia, mi sembra di conoscerlo... Sì, lo riconosco! Adesso che lo guardo bene, questo è lo zio di quello che è annegato nell’acqua. Era uno che aveva una faccia, da vivo... uguale, identica a questa! Solo

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che adesso ha lo sguardo un poco più profondo! Era un gradasso pieno di prosopopea, una faccia di merda! (Lancia il teschio a Razzullo che, spaventato, lo rilancia ad Arlecchino). RAZZULLO IAOOOO!! Ah, che impressione! La vuoi finire?! ARLECCHINO L’ho fatto per farti fare un po’ d’abitudine! RAZZULLO M’hai tutto sconvolto! Adesso mi è venuto da pisciare! ARLECCHINO Sei un po’ debole di vescica? E vai a pisciare! RAZZULLO E dove? Bisogna che me ne vada fuori dal cimitero. ARLECCHINO E perché devi prenderti tutto questo disturbo? Piscia qui. RAZZULLO Dove? Sopra una tomba? ARLECCHINO No, mica sopra una tomba qualsiasi. Su questa, per esempio. Questa è una tomba buona per pisciarci sopra. RAZZOLO MA non ti sembra che manchiamo un po’ di rispetto? ARLECCHINO Che? Rispetto per dei morti malnati, infami in questo modo? Ma è giusto pisciar loro addosso. Guarda qua... ti do

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l’esempio storico! (Mettendosi di spalle al pubblico, armeggia attorno alla braghetta dei pantaloni). RAZZULLO Posso anch’io? ARLECCHINO Come no? Favorisca! (I due orinano nella tomba) Spunta un teschio dalla fossa che cerca di coprirsi con le mani più che scheletriche. PRIMO TESCHIO Oh, che state facendo, sozzoni? RAZZULLO Una testa di morto che parla! ARLECCHINO (al teschio) Eh, ma di che ti lamenti? T’ho dato una lozione per i capelli! PRIMO TESCHIO Un poco di rispetto per i morti! Siate stramaledetti! ARLECCHINO (a Razzullo) Ti devi abituare, soprattutto quando incontri dei morti come questi, che da vivi son stati così boriosi che non si riesce a convincerli a stare zitti neanche da morti. Ma con una bella innaffiata in fronte, adesso gli rinfresco le idee! (Orina con voluttà). PRIMO TESCHIO Basta, maledetti sporcaccioni! ARLECCHINO Cosa?! Hai detto “sporcaccioni”?

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Arlecchino e Razzullo prendono a schiaffi il teschio dalla cui bocca alla fine schizza una manciata di denti. PRIMO TESCHIO (piagnucolando) Mi avete fatto uscire tutti i denti! ARLECCHINO Oh, ma non è un teschio, è un caimano! PRIMO TESCHIO Malnato, non si batte sui morti! ARLECCHINO Su dei morti come te si picchia, si piscia, si sputa, si caga e poi si scorreggia per asciugare il tutto! PRIMO TESCHIO Vergogna! Non siete capaci di parlare d’altro che di porcherie! Di orina, di escrementi! RAZZULLO Oh, s’è scatenata la testa di morto! PRIMO TESCHIO Dovreste almeno avere un po’ di rispetto per il luogo. ARLECCHINO Perché, che luogo è questo, sentiamo! PRIMO TESCHIO È un luogo sacro codesto, dove si consuma il trapasso per l’aldilà. ARLECCHINO E tu lo sai come la chiamavano

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gli antichi questa filosofia dell’andare di là? PRIMO TESCHIO Non lo so e non me ne importa! ARLECCHINO Non te ne importa perché sei uno stronzo truccato da teschio fatto con il calco di una scorreggia! PRIMO TESCHIO Ohi, dico! RAZZULLO Vacci piano... moderati con questi morti. ARLECCHINO No, no, è proprio adesso che bisogna dirgliele queste cose, adesso che son morti, perché se gliele dici da vivi, loro ti mettono in galera!... (Al teschio) Senti qua, morto... dunque, i greci, che sono i padri di tutto il nostro pensiero ragionato, loro il problema dell’anima lo chiamavano “éscatos”. (Il teschio si infila le dita nel naso e Arlecchino gli molla un ceffone) Sempre con le dita nei buchi del naso. Guarda che buchi ti sei conciato! Allora, gli antichi chiamavano “éscatos” il pensiero dell’anima e dell’aldilà, e chiamavano “escatologia” la filosofia e il ragionamento sul trapasso... (Il teschio ascolta interessato) Orbene, questi greci... furbi... chiamavano la merda “scatos” e la filosofia sulla merda “scatologia”. Una “e” di

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differenza, una piccola “e” di congiunzione tra “scatos” ed “éscatos” che permette alla merda di librarsi nell’aldilà e di riempire di puzza tutto il paradiso! Hai capito?! RAZZULLO Che testa che avevano, ‘sti greci! PRIMO TESCHIO Ah, un’altra nefandezza mi tocca sentire! Villani, rozzi! Il vostro è un parlare da eretici screanzati. Finirete tutti e due bruciati! Stanotte stessa apparirò in sogno al vescovo inquisitore e gli dirò: “Eminenza, andate a prendere quei due becchini che sono sozzi, eretici e anticristo!” E... VUUUMMM, sul falò! ARLECCHINO Ah, anche da morto fai la spia! E allora, TIEHH! I due becchini prendono ripetutamente a pedate il teschio palleggiandoselo finché rotola per terra. Arlecchino lo raccoglie e gli sputa nelle orbite. Dalla tomba ora spunta agitandosi uno scheletro. PRIMO TESCHIO Ridammi la mia testa! Puliscila e ridammela! Arlecchino getta il teschio tra le mani dello scheletro mentre, dalla tomba, spunta un altro

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teschio. SECONDO TESCHIO (furente) Come vi permettete di trattare in questo modo mio nipote? RAZZULLO Adesso verrà fuori tutta la famiglia di teste di morto! ARLECCHINO Ma cosa gli ho fatto?!... Per una pedatina, così, scherzosa! PRIMO TESCHIO No, mi ha mollato una gran pedata e mi ha scassato tutta la mascella! SECONDO TESCHIO Provaci con me se hai il coraggio, che stanotte ti vengo a tirare per i piedi e ti faccio crepare di spavento! ARLECCHINO A me? SECONDO TESCHIO Sì, a te! ARLECCHINO E allora un’altra pedata! I due becchini mollano schiaffi e pedate ai due teschi mentre dalla quinta di destra entra in scena un prete. PRETE Siamo pronti con questa fossa? Che state combinando con i teschi, voi? ARLECCHINO Stiamo giocando un po’ con questi morti a dargli pedate per farli un po’

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contenti, che sono proprio senza vita! PRETE Allora, venite ad aiutarmi a portare la salma! Arlecchino, Razzullo e il prete escono a destra e rientrano con due parenti che portano la salma sulle spalle, seguiti dalla vedova e amici tra i quali spicca un personaggio con una piuma rossa sul cappello, cantano in coro il “Dies irae”. “Ille te domine meo qui fecit terram et aquam laudate deum a peccatum mortis servat insuescit confiteor vincere dies irae.” Appoggiano la salma sul praticabile, che rotola sul bordo della fossa. Il defunto presenta un ventre rigonfio. PRETE Un poco di rispetto, pure se è cadavere! La vedova piangente si getta sul corpo del morto e grida tra i singhiozzi la sua disperazione in

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grammelot. Ogni volta che la donna abbraccia il marito, dalla bocca del morto escono spruzzi d’acqua. Uno del seguito apre l’ombrello e lo porge alla vedova perché si ripari dagli spruzzi. RAZZULLO (indicando la vedova che sproloquia suoni incomprensibili) Ma che sta dicendo? ARLECCHINO Parla il dialetto del suo paese. Dice che è disperata. Disperata che vuol morire annegata anche lei! Dice “Sei annegato per colpa mia... E io ti amavo tanto!” (Il cognato solleva ombrello e vedova e, in grammelot, la consola) Questo è il fratello del morto... è innamorato matto della vedova. (La vedova è tornata in ginocchio; ora è il personaggio con piuma rossa sul cappello che la solleva, lei lo abbraccia) Questo invece è quello che piace a lei, questo con la piuma rossa. Il cognato è geloso, (i personaggi, parlando in grammelot, eseguono quanto viene raccontato da Arlecchino) gli porta via l’ombrello, gli porta via la vedova... Lei non lo vuole mica, va in braccio a quello con la piuma rossa. Lei si è messa in ginocchio a piangere... La vedova è disperata. (L’amante la solleva e

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l’abbraccia con ardore, il prete cerca di dividerli) Il prete è anche lui innamorato... innamorato matto! RAZZULLO Pure lui?! ARLECCHINO Sì, di quello con la piuma rossa!... (I personaggi, parlando in grammelot, mimano l’azione raccontata da Arlecchino) È geloso!... Lei lo manda via... Il prete si arrabbia, lei piange... dice che lui teneva mano a suo marito... che da vivo era uno sporcaccione. Il fratello giura che invece era una brava persona... ma lei, la vedova, racconta che quando era in vita ha messo incinte tutte le ragazze del paese: “E tu, prete, gli tenevi mano!” Lui, il prete, si difende: “No, io gli ho sempre detto che era uno sporcaccione... non gli ho mai dato l’assoluzione quando veniva a confessarsi!” PRETE È morto in peccato! I teschi che spuntano dalla tomba addentano la tunica del prete; il prete reagisce schiaffeggiandoli. RAZZULLO E se la piglia con i morti! ARLECCHINO Eh, ma guarda che questi morti

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sono rognosi... Sembra il Parlamento europeo!... Però, signor prete, mi dispiace, ma se è morto in peccato, per legge questo morto non può essere seppellito in luogo consacrato, bisognerà gettarlo nella fossa dei cani! PRETE Giusto, ben detto! FRATELLO Nella fossa dei cani mio fratello?... Butto te nella fossa dei cani... brutto scemo! (Si avventa contro il prete prendendolo a schiaffi). PRETE (accomodante) Fratello... (accusa un primo schiaffo) fratello... (altro schiaffo) cerca di ragionare, fratello! VEDOVA Tregua, bisogna spostare il morto, può farsi male! Dopo aver spostato il morto, il fratello riprende a schiaffeggiare il prete, che reagisce mollandogli potenti ceffoni. PRETE Fratello!... (Schiaffo) Fratello!... (Altro schiaffo. Alla fine della colluttazione il prete ha la peggio e cade morto rotolando riverso dal praticabile sul palcoscenico). ARLECCHINO La Chiesa è caduta! Ma arriverà un tedesco che la resusciterà. Nostradamus, libro

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quarto. VEDOVA Ha ammazzato il prete! (Rivolgendosi all’amante) Ammazzalo, cavagli gli occhi... uccidilo! Gag di cazzotti tra l’amante e il fratello del morto; i due finiscono con l’uccidersi l’un l’altro, stramazzando al suolo. Il fratello ruzzola dal praticabile andando a finire addosso al prete. VEDOVA Aahh!... sono rimasta vedova per la seconda volta! ARLECCHINO Boia, sono cento repliche che il fratello del morto va a crepare con la testa appoggiata sulle chiappe del prete! (Alla vedova) Piuttosto, signora, chi è che paga per la sepoltura di questi altri tre morti, adesso? VEDOVA Ci penseremo dopo! Adesso venite a casa mia. C’è il grande pranzo delle esequie… Tenetemi compagnia. (Si avvia all’uscita). ARLECCHINO Andiamo, andiamo! Si mangia! TESCHI (rispuntando dalla tomba) E noialtri non mangiamo? ARLECCHINO Boia, che mondo! Non solo i

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pensionati vogliono mangiare, anche i morti, adesso! Bene, portiamo anche loro. (Si china sulla tomba e agguanta i due teschi) Andiamo! MANI SCHELETRICHE (le mani scheletriche si agitano fuori dalla tomba) Aho, e noialtre mani? ARLECCHINO È un pranzo per signori, questo, si mangia senza mani! (Sferra un calcio alle mani scheletriche). Esplode una musica allegra. Tutti danzano. Pure i morti si levano in piedi e ballano come fossero marionette. LA SERRATURA Elenco dei personaggi Arlecchino Franceschina Razzullo Scaracco Ganàssa Uomo con chiave d’oro

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Entra in scena Arlecchino suonando il gran trombone che già conosciamo. Lentamente si porta in proscenio. Rivolgendosi al pubblico dice: ARLECCHINO Abbiamo perso una chiave! Per piacere, se trovate una chiave, portatela qui subito... Dalla quinta di sinistra entrano tre attori – Razzullo, Scaracco, Ganassa – portando un tavolo. Lo posano. Si guardano attorno e, non contenti di dove l’hanno sistemato, decidono di cambiare collocazione. Tutti e tre cercano di sollevarlo con sforzi immani, senza riuscire però a spostarlo di un millimetro. RAZZULLO Forza, tirate! SCARACCO Boia, che pesante!... sembra di marmo! GANASSA Proviamo ad alzarlo insieme. RAZZULLO Non viene mica... l’unica è fare leva. Vado a prendere una leva. (Dalla quinta prende un grosso bastone).

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GANASSA Cos’è questa leva? SCARACCO La leva serve per levare! Bisogna essere moderni! Si fa tutto con la leva. Te lo dico io che ho studiato scienze confuse. È la prima legge chimica: metti e leva. Guarda qui, basta infilare sotto il palo così, e si alza! (Muove il bastone senza esito). GANASSA Non succede niente! RAZZULLO Se non fate appoggio, non fate leva! GANASSA No, qui ci vuole il contrappeso della balanza! RAZZULLO Cos’è questa “balanza”? GANASSA La balanza è come una leva, però è più grande! È semplice (a Scaracco), tu spostati lì (gli indica un lato del tavolo), basta che io mi sieda qui (si siede sul lato opposto) oplà! Vedi che sale? (Il tavolo si alza sul lato di Scaracco). SCARACCO È vero, è diventato leggero come una piuma! Sì, ma per alzarlo di qua cosa fai adesso? GANASSA Basta che io venga di lì... e si alza anche di lì. Dai, tu vai sotto... (Razzullo si mette carponi sotto il tavolo) Prima leva! (Strisciando, raggiunge il centro del tavolo) Adesso passo di là un pochino... ecco, alzati: (Razzullo solleva il

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groppone e, di conseguenza, il tavolo) si parte! (Razzullo, oppresso dal peso, cammina con gran fatica) Ohé! Questo si chiama il miracolo della meccanica e dei contrappesi a balanza!... SCARACCO Miracolo! (Portano il tavolo sul lato destro della scena, lo posano ed escono). Sottofondo musicale. Entra Franceschina. FRANCESCHINA (urla perentoria verso la quinta da dove è entrata) Coraggio, entrate... e ricordatevi il basamento! (Esce). Ganassa e Scaracco entrano ed escono portando in scena vari elementi. Tra questi, un’enorme serratura coperta da un lenzuolo. La abbandonano a metà percorso: l’oggetto rimane sospeso nel vuoto, ma nessuno si fa meraviglia dell’incredibile magia. Ci accorgiamo però che sotto il lenzuolo c’è, nascosto, Scaracco che la sposta posandola sul tavolo, ma sventato com’è, lascia le mani sotto il peso. SCARACCO Oh, che dolore! Mi sono incastrato le man sotto a ’sto peso… (dà strattoni per

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liberarsi) non vengono via… mi sono incastrato sotto… Come faccio adesso?… (al pubblico) Datemi una mano, fate qualcosa, dai! (Cerca di liberare le mani) Boia! Son venute via da sole!… (Mostra al pubblico due mani enormi, gonfie e color rosso ciclamino) Oh, boia! (Esce). Sulla musica entrano altri facchini che portano casse di varie dimensioni, combinano guai e incidenti a ripetizione. Rientra Franceschina che solleva il lenzuolo che copre la grande serratura. Porta con sé un secchio e un piumino per spolverare. Stop musica. FRANCESCHINA (rivolgendosi alla serratura) Bella, dolce... mio tesoro, adesso vieni qui che ti metto in ordine, cara, la mia bella, bellissima serraturina, dio che dolcezza... (la spolvera con il piumino) Chi è quel disgraziato di un trovarobe che ti ha dimenticata su questo palco, in mezzo alle ragnatele, in mezzo alle schifezze? Adesso ti lavo, vado a prendere un bel secchio di acqua fresca e profumata. (Fa per andarsene ma ritorna sui suoi passi) No, ti copro, perché non voglio che passi qualche malnato... ti guardi e

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ti tocchi. Stai lì, eh, mia bella toppa. (Esce). Riprende la musica; entra da destra Arlecchino cantando e portando sulle spalle un’enorme chiave. Infilati al braccio, ha due canestri coperti da un tovagliolo. . ARLECCHINO (al pubblico) Ho trovato la chiave! (Sorpassando la serratura, la chiave vibra e strattona Arlecchino quasi a trattenerlo) Ma boia!... Ma che ti prende, disgraziata! (Parla con la chiave cercando di calmarla) Ma cosa vai cercando? Cosa cerchi? Petrolio?... L’acqua? (Indicando la serratura nascosta dal lenzuolo) Una fonte? È questa? (Posa i canestri a terra) Aspetta... ci deve essere l’acqua, boia: l’acqua, l’acqua! (Solleva il lenzuolo e scopre la serratura)... No, non è acqua questa... (La chiave trascina Arlecchino verso la toppa) No! Ferma! (Strattona e schiaffeggia la chiave) Oh, golosa!... Non guardare!... Ohi! (Accarezza la serratura) Arabo-moresca! Guarda che bella...

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Entra Franceschina a catapulta. Arlecchino nasconde la grande chiave dietro la schiena. FRANCESCHINA Fermo lì!... Tira giù quelle manacce puzzolenti dalla mia serraturina! ARLECCHINO Ohi, matta! Cos’ho fatto?... L’ho appena sfiorata con un dito. FRANCESCHINA È proprio con le dita che non si devono sfiorare le serrature... Si comincia col fare delle carezze con un dito e non si sa dove si va a finire... (si è resa conto dell’impaccio di Arlecchino) Che cosa nascondi lì, che cos’hai lì dietro? ARLECCHINO Io... qui? Dietro? Ho un bastone. FRANCESCHINA Ah, un bastone?! E da quando in qua ci si vergogna a mostrare un bastone? ARLECCHINO Mi hanno sempre insegnato che non si mostra mai un bastone alle serrature giovani e perbene. FRANCESCHINA Ehhh, questo è un discorso saggio e costumato. (Inzuppa uno strofinaccio in un secchio e comincia a lavare la serratura) Vieni qui, bella serratura, che ti lavo e ti preparo per la tua festa... dio, che bella!

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A sua volta Arlecchino ha infilato la sua chiave fra due casse in modo che resti in piedi e, canticchiando, la strofina con uno strofinaccio sul quale sputa ripetutamente, esaltato. FRANCESCHINA Ehhh... cos’hai là? ARLECCHINO Un membro del comitato per la ricerca del tricolore in Italia... detto anche “chiavettino”. FRANCESCHINA Non ti vergogni a mostrare questo chiavone birichino a una serratura immacolata come la mia?! ARLECCHINO Immacolata? FRANCESCHINA Immacolata! ARLECCHINO Così grande... ancora immacolata?! (Ride). FRANCESCHINA Villano! È immacolata non per mancanza di richieste, ma per una scelta politico-religioso-ideologica e sociale! ARLECCHINO Ah sì... scusa, fammi provare... (Si avvicina brandendo la chiave). FRANCESCHINA No! Fermo lì e non guardarla, che me la consumi! Vai via, volgaraccio, via! La copro... un paravento. (Conficca due manici di scope nel tavolo, sui quali stende un lenzuolo,

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così da nascondere la serratura agli occhi di Arlecchino). ARLECCHINO (estrae da uno dei due canestri un armamentario da barbiere: un rasoio, un pennello, uno specchio, borotalco, e inizia a fare toletta alla sua chiave) La toletta del chiavettone! (Annoda all’immaginario collo della chiave un tovagliolo). FRANCESCHINA Oehhh! (Estrae dal secchio un lunghissimo nastro con il quale avvolge la serratura come fosse un uovo di Pasqua). ARLECCHINO Guarda, che meraviglia! Il nastro! Arriverà il ministro a tagliare il nastro... e si frega la serratura. FRANCESCHINA Ma taci... tagliati la lingua! (Indica il fiocco) Guarda che bello! ARLECCHINO Oh... nastro azzurro... è nato il chiavettino! FRANCESCHINA Ma vai via, vai, vai via... (estrae dal secchio due enormi orecchini colorati, li mostra ad Arlecchino e li appende ai lati della serratura) Orecchini per serrature!... ARLECCHINO Boia! La serratura di Natale! (Mentre mima di radere la chiave) Chiavettone di primo pelo... (quindi estrae un barattolo nel

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quale intinge due dita). FRANCESCHINA Cos’è? Cosa fai? ARLECCHINO Olio... gli do l’olio aromatico per chiavi, chiavettoni, serrature e catenacci... FRANCESCHINA Me ne dai un filo anche per la mia serraturina? ARLECCHINO Comoda. (Le offre il barattolo) Ma cara... vacci piano!... è forte. (Franceschina imbratta d’olio la serratura) Non così, boia, soltanto nei punti erogeni! (Mostra i punti predetti). FRANCESCHINA Oh... non toccarla!... ARLECCHINO Che meraviglia! Ma che meraviglia! (Ammira appassionato la serratura) Roba che... Senti, si potrebbe fare in modo che... che ci sia un contatto... sia pure spirituale... tra il chiavettone (A tiritera) Chiavettone settentrionale bella presenza a scopo amicizia offresi. FRANCESCHINA Giammai al mondo... giammai al mondo... Tu vorresti infilare quel chiavettone malfatto nella mia creaturina santa?... ARLECCHINO Senza impegno! Poi, cos’è questa storia della creaturina santa? Cosa credi di avere lì, il catenaccio dei miracoli? FRANCESCHINA Dei miracoli! L’hai detto,

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caro Arlecchino, dei miracoli! Hai in mente il paradiso? ARLECCHINO Sì... FRANCESCHINA Hai in mente il grande portone che c’è davanti al paradiso? ARLECCHINO Sì. FRANCESCHINA Prima delle nuvole... hai in mente che su quel portone c’è una serratura? Beh, quella serratura è la mia. ARLECCHINO La serratura del portone del paradiso?! FRANCESCHINA Sì, certamente, e quando arriverà la fine del mondo, il giorno del giudizio... dio, dio, già me lo vedo, Cristo spunta dalle nuvole, bellissimo, dalla terra spuntano fuori tutti i morti tremendissimi che guardano la mia serratura pieni di speranza, tutti insieme parleranno in tutte le lingue del mondo. ARLECCHINO I morti... i morti che parlano? FRANCESCHINA E diranno: “Oh, che bellissima serratura...” (prosegue in grammelot, uno sfarfugliare stridente da chioccia). ARLECCHINO Parlano così i morti?... FRANCESCHINA Sì, i morti parlano così... ARLECCHINO Giusto che siano morti! Galline

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ubriache! FRANCESCHINA “Zitti” dirà Gesù Cristo. ARLECCHINO “Zitti, morti, o vi accoppo tutti!” FRANCESCHINA I morti tacciono spaventati, poi Cristo fa un segno così con la mano, e da una parte vanno i buoni, dall’altra i cattivi, e in mezzo restano i coglioni. ARLECCHINO Giustizia divina! FRANCESCHINA Poi Cristo va verso la mia serratura, la guarda fissamente... ARLECCHINO Poi prende una bella chiave tutta d’oro... FRANCESCHINA No, niente chiave. ARLECCHINO Gli presto la mia? FRANCESCHINA No, per piacere... vergognoso! ARLECCHINO Senza chiave? FRANCESCHINA Cristo dà una soffiata alla mia serratura e la serratura si scioglie, gira il catenaccio, spalanca la porta, e le anime sante entrano in paradiso, i cattivacci sprofondano nell’inferno, il portone si chiude e lì davanti, nella terra di nessuno, restano i coglioni come te, Arlecchino! ARLECCHINO Ma tu sei sicura che sia proprio Gesù Cristo in persona, il Redentore, questo qui

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che soffia alle serrature? Oh, guarda, guarda, il mio chiavettone si sta sciogliendo, boia, è tutto pieno di passione... ah... brucia... boia, per piacere... (gridando verso la quinta) un secchio, svelti, un secchio d’acqua fresca... FRANCESCHINA (fredda) Indifferente, indifferente. Entra una maschera con un secchio, lo posa ai piedi di Arlecchino che affonda la grossa chiave nell’acqua. Subito ne fuoriesce una nube di vapore. ARLECCHINO Boia! Oh che fuoco d’amore! FRANCESCHINA Indifferente... sono indifferente al chiavettone lessato... indifferente... ARLECCHINO Guarda il vapore che consuma la passione! FRANCESCHINA Bollito di chiavettone... sono indifferente. ARLECCHINO Senti, abbi un po’ di pietà, fai in modo che il calore di questo mio chiavettone... FRANCESCHINA Mai! ARLECCHINO ... possa entrare...

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FRANCESCHINA Mai! ARLECCHINO ... nella tua serraturina! (Con enfasi) Serraturina fresca, fresca serraturina! Lo dice anche il poeta, Petrarca: “Dolce, chiara, fresca serraturina, fa bene di sera e ancora di mattina”. FRANCESCHINA Taci, serraturomane, taci! Vai via! Sennò, guarda: prendo quel tuo oggettone orrendo e lo metto sull’incudine infuocata... e con un martello gli do tante martellate che te lo faccio diventare appiattito... che al massimo ti ci puoi fare aria come con un ventaglio. ARLECCHINO (rivolto alla chiave) Ohi, hai capito, caro il mio chiavettone, mettiti il cuore in pace che andare per tope sante, oggi, è proibito. Fai conto di essere in quaresima. (Solleva da terra un canestro ricoperto da un tovagliolo) Ma non stiamo a piangere sul latte versato e andiamo... (scopre il contenuto del canestro) Ohh! Vedo qui un regalo... meraviglioso! FRANCESCHINA Cos’è?... ARLECCHINO La mia mamma ha preparato un canestrino... FRANCESCHINA Che buona mamma... ARLECCHINO Guarda qua... (estrae una

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collana di salamelle) una sciarpa... di luganega! FRANCESCHINA (sospira golosa) Ahhh! ARLECCHINO (se l’avvolge intorno al collo) Contro il freddo e il mal di gola. FRANCESCHINA (geme per il languore) Ahauhoo! ARLECCHINO Guarda qua... olio... no... vino santo... guarda qua... un formaggio, ma che formaggio, è un brillante (pone sull’anulare una provola)... faccio una montatura d’anello... lo baceranno tutti. FRANCESCHINA Ahhh! ARLECCHINO Guarda qua... ehhh!, un pollo! (Estrae dal canestro un pollo) Un pollo arrostito ancora caldo! (Prende dal canestro una spazzola e va sfregando il pollo). FRANCESCHINA Ahhh! Arlecchino, tu sei bello, sei intelligente, sei bravissimo! Si mangia? ARLECCHINO No, soltanto le persone gentili, di cuore, e che hanno amore per i chiavettoni, mangiano! FRANCESCHINA Villano! ARLECCHINO Quelle che tengono fresche le serrature e che gli fan fare i giochi d’amore con i chiavettoni!

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FRANCESCHINA Villano! Non mi hai neanche detto: “Vuoi favorire, cara Franceschina?...” ARLECCHINO Prova a spazzolare il pollo: diventa una cosa meravigliosa! (Cambia tono) Perché, tu mi hai detto: “Vuoi favorire” a proposito del mio chiavettone che era là che si consumava, addirittura, che sembrava un turibolo in chiesa? FRANCESCHINA Sto morendo di fame! ARLECCHINO E allora, tu fai in modo che non si consumi più questo povero chiavettone, disgraziata! FRANCESCHINA (indignata) Giammai al mondo. Non si fa commercio con l’onore della mia serratura, chiaro? ARLECCHINO E allora tieniti l’onore della tua serratura, io mi terrò la fragranza del pollo e il suo ripieno! (Batte con le nocche delle dita sul pollo) TOC TOC TOC! Senti, che croccante! (Porta il pollo alle orecchie) Si sente anche il mare! (Porta il pollo all’orecchio di Franceschina) Senti! FRANCESCHINA Sto morendo di fame! ARLECCHINO Il mare dei polli! FRANCESCHINA Arlecchino, Arlecchino... non

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ne posso più. Mi giuri che sarai delicato? ARLECCHINO Delicato come una chiave di violino. FRANCESCHINA Una volta sola? ARLECCHINO Una volta sola. FRANCESCHINA (si lamenta, quasi piangendo) Ahi, ahi, ahi!! Per mezzo pollo?! ARLECCHINO No, un pollo intiero. FRANCESCHINA D’accordo. Dammi il pollo. ARLECCHINO Ti do anche due salamini. (Entrano Razzullo e Scaracco che, approfittando della distrazione di Franceschina, tentano di rubare la serratura) Ohé... ladri!... ladri!... Boia... disgraziati! RAZZULLO Non siamo ladri, volevamo solo darle un poco d’olio. SCARACCO Una ingrassatina! ARLECCHINO Vi do una chiavata! (Mena fendenti con la chiave) Disgraziati! (I due fuggono) Disgraziati! Vanno in giro, questi ladri, a rubare le serrature per venderle in Oriente... ai sultani! FRANCESCHINA (geme di spavento) Uhhh, uhhh... ARLECCHINO … che hanno gli harem pieni di

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serrature di tutte le razze e i colori. FRANCESCHINA Che disgrazia... stavo per perdere la serratura e il pollo in una volta sola. Stacco musicale. Entra in scena un uomo con una grande chiave d’oro sulla spalla. Sorride spavaldamente guardando la serratura. FRANCESCHINA Accidenti... che chiavettone d’oro! Si avvicina all’uomo con sguardo incantato) ARLECCHINO Macché d’oro... è un catenaccio di ottone dorato. FRANCESCHINA (si blocca) È vero, è un ferraccio. Un ferraccio dorato. ARLECCHINO (rivolgendosi all’uomo della chiave) Cosa guardi? Cosa credi, di essere il Superman dei chiavettoni, tu? L’arcangelo Gabriele con in spalla la chiave di San Pietro in Roma? FRANCESCHINA Mirate popolo... mirate: chiavettoni in competizione! ARLECCHINO È inutile che stai qui... non c’è mercato. È già promessa! Preferisce il ferro, sano e onesto, caro mio! (A Franceschina) Andiamo,

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combiniamo questo nostro affare. FRANCESCHINA Giusto, combiniamo. Arlecchino e Franceschina si spostano, parlottando, sul lato opposto della scena. ARLECCHINO Dammi un po’ di profumo per farlo rinvenire. FRANCESCHINA Profumo?... Non gli fa male? L’uomo si avvicina alla serratura sventolandole intorno la chiave d’oro; la serratura affascinata segue l’uomo ed entrambi escono di scena. ARLECCHINO Oh boia, scappa! (Corre a inseguire la serratura) È scappata la frescolina! (Entra fra le quinte e torna con la serratura nella quale è conficcata la chiave d’oro). FRANCESCHINA La mia serratura!... Oh... oh!... ARLECCHINO La frescolina! FRANCESCHINA (una ragazza fra il pubblico esclama: Oh, dio!) Che è? (Scruta fra il pubblico). ARLECCHINO Ha detto: “Oh dio!... oh dio!...”

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(Indica la ragazza in platea). FRANCESCHINA (alla ragazza, uscendo dal personaggio) Ma no, stai tranquilla, è falso, tutto finto. ARLECCHINO Dopo una buona confessione, il peccato è rimesso. FRANCESCHINA (percuote la cassa della serratura) È di legno, senti, è di legno. ARLECCHINO Peccato... è un peccato di legno. FRANCESCHINA (riprendendo a recitare) Ohhh... che disgrazia! ARLECCHINO San Pietro ha colpito ancora! (Va verso destra dove ha lasciato la chiave). FRANCESCHINA Una povera donna fa tanti sacrifici per tirare su una serratura immacolata e al primo disgraziato di chiavettone dorato che le va dietro, lei scappa, ’sta smorfiosa, e si fa infilzare! ARLECCHINO (grido di dolore) Ahhh! (È tutto preso ad armeggiare con la chiave nascosta dietro una cassa). FRANCESCHINA Cosa c’è? ARLECCHINO È morto! FRANCESCHINA Chi? ARLECCHINO Il chiavettone! (Estrae il

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chiavettone). FRANCESCHINA Oh... perché?! ARLECCHINO Senza anima... (la chiave si affloscia). FRANCESCHINA Ohhh... ARLECCHINO Oh, tragedia d’amore! (Se la getta sulle spalle, ammosciata com’è, ed esce di scena. Stacco musicale). L’ASINO E IL LEONE Personaggi Elenco dei personaggi Arlecchino Franceschina Razzùllo Scaracco L’asino Il leone Il banditore Il beccaio Altro uomo All’inizio della scena si ode un grande abbaiare:

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entra Arlecchino terrorizzato. ARLECCHINO Ahhh... cane d’un cane... boia, che il dio dei cani ti fulmini, cane bastardo, cane schizzinoso, cane maledetto! Boia, non si può più andare in giro, ci sono cani dappertutto, anche dalle finestre si sporgono come i cristiani. Stavo camminando tranquillo e vedo lì, sul davanzale di una finestra, una terrina con dentro una salsiccia, dei salamini, c’erano pezzi di carne, boia d’un cane, sto per allungare la mano... UAUHHH! Salta fuori un cane tremendo che per un pelo mi morsica via tutta la mano! Dategli da mangiare carne avvelenata a questi cani che fanno la guardia alle salsicce!... che stramazzino stecchiti per terra! (Con un gran balzo Razzullo e Scaracco entrano in scena. Calzano sul viso maschere con sembianze di cane. Zompano su quattro zampe e saltano abbaiando addosso ad Arlecchino che grida spaventato) Ohi!... e che è?! RAZZULLO (togliendosi la maschera) Ah, ah! Ci sei cascato come un merlo! SCARACCO (anche lui si scopre il viso) Ah, hai preso una bella strizzata di chiappe, eh, Arlecchino?

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ARLECCHINO Boia! Coglione disgraziato! Siete voi? RAZZULLO Ah, ah... è un divertimento da scompisciarsi vedere come ti spaventi per un’abbaiata! SCARACCO GNAM! Pare che ti abbia preso una tarantola. RAZZULLO-SCARACCO (i due ballando e cantando gli girano attorno, lo sfottono ed escono di scena) Zompa, zompa, c’è un cagnone, Arlecchino è un pisciacchione. Per un colpo di spavento s’è pigliato la tremarella. Lui voleva la salamèlla e s’è accattàto la scagarèlla. Zompa accà, zompa allà, Arlecchino è ’nu quaquaraquà. ARLECCHINO (anche lui accenna qualche passo di danza a controsfottò) Cantate! Cantate! Come siete coglioni! Ma davvero avete creduto di avermi fatto spavento? A me? RAZZULLO-SCARACCO (rientrando in scena) Ah no, eh?!...

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ARLECCHINO No di sicuro, boia! Con quella maschera (indica la maschera che Razzullo tiene ancora in mano), si vede da lontano che è di carta. E poi… io, io… ah, ah... Arlecchino che ha paura di un cane?! Ma voi sapete qual è il mio vero mestiere? (Diniego dei due) Beh, è proprio quello di andare in giro ad acchiappare i cani rabbiosi e famelici per ordine dell’Amministrazione di Venezia! (I due scoppiano a ridere) Sì! Quando c’è un cane famelico, chiamano me: “Arlecchino! Prendi ’sto cane!” (Mima con truculenza l’azione raccontata) Arrivo io davanti a ’sto cane, gli punto gli occhi tremendi, lui trema. Io alzo una mano… lui fa per prendermela... tiro via la mano... lui mi passa sopra saltando... gli prendo un coglione... glielo strizzo... prendo l’altro coglione... gli faccio una treccia di coglioni! (Imita i guaiti del cane) IUAH! IUAH! SCARACCO (lo aggredisce alle spalle, abbrancandolo per le natiche) AOOH! UOUOH! ARLECCHINO (mostrando le mani richiuse a pugno) Disgraziato, Scaracco! Mi sono rimasti in mano i coglioni del cane! RAZZULLO Ah!... Ma adesso hai visto

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l’acchiappacani dell’Amministrazione di Venezia. OAUO... (Razzullo e Scaracco escono danzando e cantando) Zompa, zompa, fai un botto, Arlecchino è un quaquaraquà. ARLECCHINO Disgraziati... canaglie maledette! Far prendere di questi spaventi! Che gusto a fare ’sti scherzi... (se ne sta andando ma viene bloccato da Franceschina che entra in scena per la stessa quinta dalla quale sono usciti i due compari). FRANCESCHINA Arlecchino, cosa è successo? Ti ho sentito gridare contro i tuoi compari Razzullo e Scaracco... ARLECCHINO No, sono loro che gridavano contro di me. Sì, perché gli ho fatto uno scherzo e si sono arrabbiati... FRANCESCHINA Sì?... Quale scherzo? ARLECCHINO Perché io gli ho fatto una scommessa... gli ho fatto un gioco... che è un indovinello... e gli ho vinto dieci baiocchi. Lo faccio anche a te questo indovinello? FRANCESCHINA Sì, fammelo. ARLECCHINO C’è quella cosa gialla e verde

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che sta dentro una gabbietta con le piume e fa: cip, cip... Indovina, cos’è?! Fa: cip cip... Indovina, cos’è?! FRANCESCHINA Ma è un canarino. ARLECCHINO Canarino? No, no. FRANCESCHINA È un uccelletto. ARLECCHINO No, neanche un uccelletto. FRANCESCHINA Cedo. ARLECCHINO Una scarpa! FRANCESCHINA Gialla e verde? ARLECCHINO Gialla e verde; l’ho colorata io così perché mi piace. FRANCESCHINA Nella gabbietta? ARLECCHINO L’ho messa nella gabbietta perché così c’è aria e la scarpa non puzza. FRANCESCHINA E tutte le piume intorno... ARLECCHINO Perché così è più soffice... FRANCESCHINA E cip cip? ARLECCHINO Gliel’ho aggiunto io, altrimenti era troppo facile e indovinavano subito. Ah, ah... come si sono arrabbiati! FRANCESCHINA Ma taci!... Li ho sentiti che andavano dicendo che tu sei uno spaventato... (Gli punta addosso un dito, minacciosa) Guarda, Arlecchino, che non mi piace tenermi per uomo

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un uomo che non è un uomo! ARLECCHINO Boia, e tu stai a credere a quel che dicono quei due?... Quei cacasotto! Un giorno o l’altro glielo faccio vedere io, a quelli, chi sono io! FRANCESCHINA Lo spero bene, caro Arlecchino. E coi fatti, non solo a chiacchiere... altrimenti tu a me… non mi sfiori neanche con un dito sulle chiappe! ARLECCHINO Boia, ma perché fai così, Franceschina?... Boia, sono il tuo moroso... fammi un po’ di coccole da innamorati. FRANCESCHINA No! Un’altra volta! (Esce di scena). ARLECCHINO (implorante) Un bacetto, boia, un bacetto! Mi disprezza... è tutta colpa di quei due disgraziati canaglie. (Entra un asino: Entra un asino: grida spaventato) AIAHH! San Giorgio, presto, a cavallo, il drago! Un drago... San Giorgio... (si ferma, sbircia l’animale e si rende conto dell’equivoco. Pausa) Comodo, San Giorgio, non c’è bisogno che monti a cavallo... Non era un drago, è un asino. Bestia! Sono un disgraziato, prendo gli asini per draghi. (Fa gesti all’asino che trotta per la scena) Vieni qui un

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momento... (l’asino si arresta) Ma guarda che bella bestia (l’asino incrocia le zampe atteggiandosi a bullo) Che bella posizione di asino! Scusa, ma non hai un padrone? (Rivolto al pubblico) Oh, che asino intelligente! Senti, senti, asino... (ancora al pubblico) Voglio vedere se è stato un caso o se è proprio intelligente. (All’asino) Senti, devi dirmi: dov’era il tuo padrone l’ultima volta che l’hai incontrato? Era di là, era su, era giù... (l’asino volge la testa a sinistra, a destra, in giù, in su, poi galoppa torno-torno) Si era perso? (L’asino si blocca e fa cenno di sì) Ah, si era perso! Ho indovinato! Ma che bestia intelligente, come si fa capire! E chi era il tuo padrone? Dimmi, era un contadino?... (L’asino fa cenno di no) No, non era un contadino. Era un notaio?... (L’asino tentenna con la testa) Quasi? Allora era un prete? (L’asino fa cenno di sì) Un prete, oh, ho indovinato, un prete! (L’asino raglia in segno di assenso) Boia, un prete! Che bestia intelligente! Adesso dimmi: l’ultima volta che l’hai incontrato, cosa stava facendo il tuo padrone? (L’asino accenna un passo di danza) Ballava? Oh, sì, ballava! (Danza a sua volta) E ballando che faceva? (Raglio

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dell’asino) Cantava? Fa’ sentire... (l’asino riprende a ragliare) Cantava! Allora era ubriaco? (L’asino fa cenno di sì e barcolla vistosamente a imitare il passo incerto di un ubriaco) Era ubriaco! Ballava cantando da ubriaco. E cos’ha combinato?... Fammi capire... fammi un segno... che io capisco. (L’asino ha levato la gamba e gli sta orinando addosso. Arlecchino si scansa e il getto finisce in platea annaffiando gli spettatori delle prime file) O boia... no, no... fermati... smettila... oh boia... ohi ohi... Oh, scusatemi... no, è acqua... è roba... sana, naturale... (Rivolto nuovamente all’asino) E dimmi, cos’altro ha combinato ancora... (l’asino si accuccia; si odono boati sospetti. Dal sedere vengono sparate palle di sterco che finiscono addosso ad Arlecchino) Cosa fai? Cosa sono questi versi? No, no, no!!! (Urla di Arlecchino e altri rumori dell’asino; una scarica di palle viene proiettata in platea; Arlecchino si rivolge al pubblico) Scusatemi... no, no, è solo carta dipinta di marrone. Fuori... è carta... La signora l’ha aperta? Ecco, dentro c’è una sorpresa. (All’asino) Senti, fammi un piacere, voglio sapere: poi, una volta che si è scaricato, cosa ha fatto ‘sto prete ubriaco?... (L’asino, con

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ragli sensuali, si pone in posizione rampante e si avvinghia ad Arlecchino quasi a volerlo montare. Arlecchino si divincola) Ma non si fanno queste cose davanti alla gente!... (L’asino lo sbaciucchia sul collo) Cosa fai?... Era innamorato! (L’asino si dimena in atteggiamenti vezzosi) Ma guarda come si fa capire! Il padrone era innamorato? Di una donna, eh? Senti, e cosa ha fatto? L’amore, ha fatto l’amore? (L’asino raglia assentendo) E facendo l’amore cosa gli è capitato?... (L’asino si lascia cadere di schianto a terra) Morto?! Gli è preso un colpo... (L’asino, rantolando, solleva a stento la testa e poi si lascia andare, morto) Un colpo d’amore?! (L’asino raglia in falsetto) Non piangere, va tutto bene. (Lo afferra per la cavezza e lo aiuta a rimettersi in piedi) Guarda che in tutta la tua disgrazia sei fortunato, perché hai incontrato me, perché per legge si dice che quando un asino senza padrone incontra un padrone che non ha l’asino, il suo asino diventa lui... Sì, voglio dire che lui diventa l’asino... no, voglio dire che... insomma, lui diventa il padrone dell’asino che non ha padrone. Io sono il tuo padrone. Sei contento? (L’asino fa cenno di no) Non sei contento? Ma perché? (L’asino se ne va

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caracollando per la scena) Vieni qua, sii buono... sii buono eh! Vieni qua!!! Obbedisci!!! (Afferra un bastone e colpisce l’asino) Vieni qua subito perché sennò divento una bestia!... Io sono il padrone! (Sbracciarsi del sedicente padrone e ragli di protesta dell’asino; l’asino scalcia, fa volar via il bastone dalle mani di Arlecchino, quindi, serrando le mascelle a tagliola, afferra per un orecchio Arlecchino e lo trascina a terra) Ahi, ahi, ahi!! Aiuto! Aiuto, basta! Sono io l’asino, e tu sei il padrone! (I due compari che vestivano la pelle dell’asino si scoprono con una gran risata). RAZZULLO Ah, ah! Un’altra ruzzolata da coglione! RAZZULLO-SCARACCO (danzando) Arlecchino, battacchio, cervello di gallina e cuore di peocio... Ah, ah... (cantando e facendo piroette escono di scena) Zompa, zompa al pendaglione, Arlecchino è un gran coglione, lui voleva il ciucciariello e s’è annaffiato con il pisciarello, s’è beccato un gran petone, Arlecchino è un quaquaraquà! ARLECCHINO (tenta a sua volta di danzare per

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darsi un tono) Disgraziato, maledetto! Mi prendono proprio tutti per un coglione... Ma si può essere così minchione? (Piange) Mi trattano tutti come un tamburo... (Afferra il bastone da terra e, soprapensiero, colpisce le palle di sterco dell’asino che sono rimaste in scena. Ne fa volare qualcuna in platea) Boia!... è così che è nato il golf! (Riprende a commiserarsi) Ma sono proprio un coglione. Mi fanno uno scherzo e io ci casco dentro subito. Eh, ma non si può andare avanti così. (Risoluto) Adesso basta, il prossimo scherzo che mi fanno, non ci casco più! (Gridando) Non ci casco! Anche se mi fanno lo scherzo più tremendo, guarda... piuttosto mi cago addosso! Boia, mi cago addosso,!.. ma con una dignità tremenda! (Esce di scena con passo tronfio). Entra il banditore. BANDITORE State in ascolto, gente di questo quartiere! Da questo momento restate serrati dentro le vostre case perché un leone arrabbiato e famelico... (Dal fondo scena entra un leone che si avvicina al banditore di soppiatto) è fuggito dal serraglio del sultano che stava nella sua nave nel

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porto. Questo leone ha già sbranato il guardiano e due persone intere. State a casa vostra ben serrati, gente, fino a che non sarà stato preso questo leone. Il leone azzanna il braccio del banditore e glielo stacca di netto. Quindi se lo divora. Il banditore urlando esce di scena. Anche il leone si allontana. Entra Arlecchino. ARLECCHINO Oh... aveva ragione il mio compare Ganassa quando diceva: “Eh, Arlecchino, sia ben chiaro che ogni uomo si fa da sé... Il carattere di ogni uomo si forma nel cervello...” È questione di costanza, è questione di convincersi nella testa: “Arlecchino, sei un fulmine di coraggio, Arlecchino, sei una tempesta, un terremoto!” E poi è anche una questione di portamento, fare una faccia da diavolaccio cattivo, tremenda, una camminata da gradasso! (Mima una camminata da gradasso) Guarda qua, una catapulta, una catapulta umana!! (Arlecchino va a sbattere contro un uomo che entra in scena correndo. È un beccaio che tiene sottobraccio un paniere ricolmo di carne e

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salami. Nello scontro il paniere cade a terra) Ohi... cosa fai, disgraziato? Vai in giro senza neanche guardare dove metti i piedi... BECCAIO Perdonami... ma è stato per lo spavento... (indica alle spalle di Arlecchino). ARLECCHINO Spavento?! Di me?! Tu hai paura di me?... (Gli si avvicina) Tranquillo... vieni qua... (alle spalle di Arlecchino, dalla quinta, si affaccia il leone. Arlecchino non se ne rende conto). BECCAIO No, per carità! ARLECCHINO Non ti tocco! Non ti tocco! (Il beccaio è terrorizzato) Vieni, non ti mangio mica! BECCAIO Aiuto! (Fugge uscendo di scena). ARLECCHINO Ma boia!... (Al pubblico) Ah, funziona, sono tremendo! (Entra un altro uomo, Arlecchino lo chiama) Vieni qui, guardami in faccia, tu! (L’uomo scorge, alle spalle di Arlecchino, il leone che si erge rampante. Fugge urlando. Arlecchino, esterrefatto, si rivolge al pubblico) Sono troppo tremendo, boia!... Faccio proprio spavento! (Raccoglie il paniere con tutto quello che contiene) Ohé, ecco il premio, il premio per il bravaccio... Il coraggio premia!

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Adesso mi mangio comodo questa salsiccia! (Si va a sedere sui gradini del praticabile) Il primo che viene a sfrucugliarmi le palle, gli stacco i coglioni con le mie mani... Voglio stare tranquillo. (Estrae dal canestro una salsiccia e se la muove davanti al viso come fosse un serpente) Sembra viva, eh, questa luganega. (Alle spalle di Arlecchino il leone ruggisce. Arlecchino osserva sorpreso la salsiccia) Il lamento della luganega... (senza volgere il capo) Ahhh, Scaracco, Razzullo! Vi ho riconosciuto! Siete ancora voi... Che tormento, boia! Prima mi fate lo scherzo del cane, poi quello dell’asino, adesso quello del leone... Ma siete proprio dei rompicoglioni! Adesso fatemi sentire di nuovo com’è questo ruggito, dai... LEONE (emette un ruggito sommesso) UOAUHUOAH! ARLECCHINO (ridendo) E questo sarebbe un ruggito da leone? Questa è una rana con le adenoidi. Guarda... il leone si fa così, ascolta: (imita un ruggito) UOAUHUOAH! LEONE (emette a sua volta un ruggito fragoroso come un boato) UOAHHH! ARLECCHINO (allocchito) Complimenti! Hai

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fatto un progresso! (Il leone continua a ruggire. Arlecchino si volta a guardarlo e sobbalza) Oh, che costume meraviglioso... Oh... ma da dove viene? Dove l’avete preso? (Si leva in piedi e lo tasta) Guarda che pelle! Sembra quella di un leone vero. (Gli afferra la coda) La coda! (Gira il capo disgustato) Anche la puzza sembra vera! (Gli sferra un calcio bonario) Adesso, però, Scaracco e Razzullo, via!... (Il leone riprende a ruggire. Arlecchino torna a sedersi sui gradini) Non rompete, perché finché si gioca va bene, ma quando mangio divento una belva se mi toccano. (Estrae salumi dal canestro) Guarda, il prosciutto lo mangio dopo, adesso mi mangio un salamino piccolo piccolo... (Il leone copre con i suoi ruggiti la voce di Arlecchino e addenta il salame) Ti avevo avvertito che poi divento una bestia! Adesso ti morsico un’orecchia... (si avventa contro il leone e gli addenta un orecchio. Il leone molla il salame lamentandosi per il dolore; poi reagisce e si mette in posizione rampante) Ti rivolti a me?... E allora: coglioni! Guarda qua, una bella intorcinata di coglioni! (Gli afferra i testicoli; il leone emette guaiti penosi) Non ti è piaciuta, eh, la strizzatina di coglioni?! (Il leone a

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terra si dimena e si lecca le parti strizzate) Non piangere, non piangere, guarda, facciamo la pace... (afferra dal canestro due cotechini) La pace del salamino! Allora: a te, Scaracco, che sei davanti, ti ficco un salamino in bocca (esegue); e a te Razzullo, che sei di dietro, l’altro salamino... (gli solleva la coda e ficca il cotechino nel sedere. Ruggito del leone, stranamente acuto sul finale). Ah, non ti piace? Ah, Razzullo, non ti piacciono gli scherzi?... Vi piace solamente farli agli altri... “Zompa, zompa...” (Ballando e cantando, fa il verso ai due amici che crede nella pelle del leone. Entra in scena Franceschina che, vedendo il leone, dopo pochi passi si blocca terrorizzata) Che c’è?!... Franceschina... FRANCESCHINA (con voce strozzata) Oh, dio santo! Arlecchino, scappa! C’è una bestia feroce. Non ti muovere! Non parlare! Non respirare! ARLECCHINO (finge di non rendersene conto. Il leone è alle sue spalle) Posso almeno cagarmi addosso senza far rumore? (Si gira) È quello? Mi hai spaventato. È solo un leone. Altro che bestia feroce! (Il leone si sdraia a terra mugolando e si lecca una zampa) Oh, povero leone... ha una spina nel piede. (Rivolto al pubblico) La sfortuna

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che hanno i leoni! Tutte le spine che ci sono intorno... ZAC! gli si infilzano dentro al piede! (Sottovoce al leone, dentro la pelle del quale è sempre convinto stiano i suoi due compari) Bravi. Continuate così. Fatemi un piacere, Razzullo e Scaracco, state al gioco... fatemi fare una bella figura con Franceschina, che poi vi regalo un pezzo di carne per uno... (Mima di togliere una spina dalla zampa del leone) Ecco la spina! FRANCESCHINA Salvati Arlecchino!... (Il leone si fa rampante) Mamma, punta me! Mi zompa addosso! ARLECCHINO No, Franceschina... non aver paura... ci sono qua io! ’Ste bestie bisogna sapere come trattarle. Guarda, si prende la coda, la si tende e poi si gira... (Arlecchino afferra il leone per la coda e gliela torce facendola girare come fosse una manovella. Canta) “Oh, che bello l’organetto che faceva far l’amor...” (Il leone dimena il sedere assecondando Arlecchino). FRANCESCHINA Arlecchino! Non immaginavo che avessi tanto stomaco! Attento a non farti azzannare... ARLECCHINO Azzannare me?! Guarda, guarda cosa gli faccio: gli infilo la mano nello stomaco...

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(Infila l’intero braccio nelle fauci del leone) Ah, ah!... gliela infilo di qua e viene fuori di là! (Dal sedere esce la mano dell’attore che sta dentro il leone: per il pubblico è la mano di Arlecchino) Guarda, sembra un gattone. (La mano afferra la coda e la fa roteare). FRANCESCHINA Oh, Arlecchino, perdonami se ti avevo creduto un cacasotto. Non ho mai visto nessuno così coraggioso! Ti voglio un gran bene, Arlecchino mio caro. (Si avvicina ad Arlecchino, ma il leone le ruggisce contro; Franceschina retrocede spaventata). ARLECCHINO È geloso! (Il leone si struscia contro Arlecchino) Oh... quante pulci! (Mima di acchiappare con le unghie delle pulci che schiaccia con la perizia e la velocità d’una scimmia). FRANCESCHINA (verso la quinta, gridando) Razzullo, Scaracco, venite a vedere cosa è capace di fare il mio Arlecchino con un leone. (Esce). ARLECCHINO (scuote la mano a liberarsi di qualcosa) Che bava! Hai mangiato delle lumache crude? (Gridando a Franceschina) Non ci sono questi miei due compari... Sono andati via per di là col traghetto...

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FRANCESCHINA (entrando) Ma cosa dici, via col traghetto? Sono là sul ponte... Guardali! (Gridando) Razzullo, Scaracco... (chiamandoli, esce di scena). ARLECCHINO (osservando meglio nella direzione indicata da Franceschina) Eh già, sono loro! Ma allora... chi c’è dentro ’sta pelle a fare il leone? Chi c’è? (Spalanca la bocca del leone e ci guarda dentro) Ohi, chi siete voi lì dentro? Venite fuori... fatevi riconoscere. Sei tu, Burattino?... Rispondi! (Il leone ruggisce in forma d’eco) C’è l’eco! Dai, non fare scherzi! Fatti conoscere! (Guarda sotto la coda e il leone scoreggia) Come non detto! Il leone esce di scena; entra Franceschina con Razzullo e Scaracco. FRANCESCHINA Venite a vedere Arlecchino. (Si accorge che il leone non c’è più) Dove s’è cacciato il leone? ARLECCHINO È andato a cagare un po’ di eco. FRANCESCHINA Questi tuoi compari non credono che tu, il leone, lo fai ballare come un gatto.

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ARLECCHINO Bene, appena torna vi faccio vedere. Eccolo là, guarda, si sta spulciando, è pieno di pulci. FRANCESCHINA Eccolo che arriva... SCARACCO Boia, che leone! Via, scappiamo! ARLECCHINO Cacasotto! Che paura! (Canta a sfottò) “Zompa, zompa...” RAZZULLO (appiattito alla quinta) Vorrei vedere! Questo è un leone vero. Ha sbranato anche il guardiano. FRANCESCHINA Oh, ha preso un cavallo... lo sbrana!... Scappiamo! Oh dio, salvami! Franceschina, Razzullo e Scaracco fuggono fuori scena. ARLECCHINO Ohh! Ha mangiato il cavallo... e anche il carretto. Ma allora è un leone vero! (Impietrito dalla paura, non riesce più a muovere le gambe. Il leone entra in scena, si avvicina ad Arlecchino, lo lecca, gli si struscia contro). Mi assaggia... Se gli piaccio, mi mangia! (Il leone si accovaccia e costringe Arlecchino a sederglisi accanto) Ho capito, ti devo spulciare. (Esegue. Rivolgendosi al pubblico) Morale: non è tanto del

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leone che bisogna aver paura, ma delle sue pulci! Sulla canzone “Zompa-zompa” entrano in scena l’asino che caracolla, un orso con le ali da pipistrello, la grande serratura con chiave infilata, due spettri con cranio da morto. Tutti danzano intorno al leone che a sua volta balla ergendosi rampante. Entra anche Franceschina che danza con Arlecchino. Alla fine tutti gli animali si scompongono: appaiono gli attori che gettano le pelli fuori scena. Tutte le maschere, agitando tamburelli e picchiando su grandi tamburi da tammuriata, danzano e cantano il finale. Zompa, zompa a lo pendajóne, Arlecchino è ’nu gran cojóne, lu ce vulìva lu ciucciarièllo e s’è innaffiato cu’ lu pisciariéllo, s’è beccato ’nu petacchióne, Arlecchino è ’nu quaquaraquà SCENDE LENTAMENTE LA LUCE

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FINE