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Risorse Umane >> Gestione e organizzazione del personale TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE INIDONEO E RIFIUTO DI ESEGUIRE NUOVE MANSIONI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI di Silvia Greco

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Risorse Umane >> Gestione e organizzazione del personale

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ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

di Silvia Greco

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La Corte di Cassazione (Sez. lav., 4 giugno 2002, n. 8096) ha ripetuto che il provvedimento del datore dilavoro di trasferimento di un lavoratore, non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., è nullo eha cassato la pronuncia dei Giudici della Corte d’Appello di Torino, con la quale era stata dichiaratal’illegittimità del rifiuto del lavoratore alla dequalificazione operata dal datore di lavoro, in quanto la rispostanegativa non può ritenersi proporzionata e conforme a buona fede.Con questa sentenza è stata confermata la decisione pretorile di primo grado, che aveva ritenuto legittimo ilrifiuto del lavoratore al trasferimento e illegittimo il licenziamento intimato per giusta causa.Nel caso in esame il lavoratore, colto da improvviso malore e sottoposto a visita medica di controllo, inseguito alla rilevata inidoneità allo svolgimento delle mansioni originarie, era stato trasferito in altra unitàproduttiva. Successivamente al rifiuto del lavoratore di prendere servizio nella nuova sede, il datore di lavorolo aveva licenziato per giusta causa. Il lavoratore, invece, si era dichiarato in grado di svolgere le precedentimansioni e aveva sostenuto la non equivalenza delle nuove mansioni.I diversi gradi di giudizio che si sono susseguiti evidenziano i difformi orientamenti della giurisprudenza intema di legittimità o meno del rifiuto opposto dal lavoratore al trasferimento.

AACCCCEERRTTAAMMEENNTTOO EE GGIIUUDDIIZZIIOO SSUULLLL''IIDDOONNEEIITTÀÀ FFIISSIICCAA

Il problema riguarda l’inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni alle quali è adibito, in seguitoal sopravvenuto stato di infermità, fisica e/o psichica1 e, in proposito, occorre stabilire chi farà o devecompiere l’accertamento della sopravvenuta inidoneità fisica, il conseguente giudizio sulle residue capacitàlavorative e quale valore l’ordinamento attribuisce a quel giudizio.L’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, prevede la facoltà del datore di lavoro di chiedere il controllosulla idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici e di strutture specializzate di diritto pubblico.La formulazione della norma è generica2. Lo scopo della medesima è di inibire, con il ricorso alla sanzionepenale, la possibilità del datore di lavoro di procedere ad accertamenti sanitari sui lavoratori, avvalendosi dipersonale medico di sua fiducia scelto e retribuito dallo stesso datore di lavoro e, quindi, non in grado di offrire adeguate garanzie di obbiettività ed imparzialità del controllo sanitario. Pertanto, si affida l’accerta-mento amedici che sono inquadrati in strutture pubbliche. Il bene tutelato è la dignità del lavoratore che può essere lesa dalle particolari modalità con cui il controllo può essere eseguito 3.Per quanto riguarda la portata che la legge assegna al giudizio sull’idoneità, in maniera univoca lagiurisprudenza ritiene che il parere della Commissione possa essere rivisto in giudizio, perché all’art. 5 dellalegge n. 300/1970:“non è attribuito alcun valore privilegiato da alcuna norma né da alcun principio generale, trattandosi non diun accertamento di fatto, bensì di un giudizio e come tale anche se proveniente da un organo pubblico, èsuscettibile di controllo” 4.

1 Cfr. Soma C., La sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, in Dir. prat. lav., 1999, 27,1961; Mannacio G., Impossibilità sopravvenuta della prestazione: inquadramento teorico e conseguenze pratiche, in Lav.giur., 1999, 5, 435; D’Oriano M., Il lavoratore che diventa inabile non perde il posto se è possibile assegnarlo a mansioniinferiori – Ma il datore di lavoro non deve alterare l’assetto organizzativo dell’impresa, in Guida dir., 1998, 37, 58.2 Vedi Colonna A., Il controllo medico dell’inidoneità sopravvenuta del lavoratore, in Dir. lav., 2001, I, 24.3 Vedi Bellavista A., Gli accertamenti sanitari: il controllo sulle assenze per malattia o per infortunio dei lavoratori. Art. 5St. Lav.: il bene tutelato, la ratio dell’incriminazione. Gli accertamenti non sanitari, Giappichelli, Torino, 1995, 182.L’Autore sostiene che se si ammettono accertamenti sanitari sui dipendenti, non dovrebbe essere possibile affermareche il bene protetto sia la riservatezza del lavoratore; qualora, infatti, la disposizione avesse il fine di garantire una spaziodi riservatezza al prestatore d’opera, non sarebbe consentita alcuna forma di controllo sanitario. Invero, continual’Autore, la norma vieta soltanto al datore di lavoro di procedere direttamente al controllo avvalendosi di personale da luiscelto, ma tale controllo non è vietato in modo assoluto in quanto viene demandato ad altri soggetti che, rispetto alpersonale di fiducia del datore di lavoro, offrono maggiori garanzie di obbiettività ed imparzialità. L’Autore, quindi,sostiene che l’art. 5 St. Lav. ammette che a determinate condizioni e con l’osservanza di precisi limiti possa esseresquarciato il velo della riservatezza del dipendente; semmai, si conclude, si può rilevare che è il datore a non poteredirettamente invadere il suddetto spazio e perciò sussiste una relativa tutela della riservatezza nei suoi confronti. Sultema si veda anche Mazzotta O., Accertamenti sanitari, eccessiva morbilità e contratto di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel.ind., 1983, 13.4 In tal senso si vedano: Cass., 3 luglio 1987, n. 5830, in Or. giur. lav., 1987, 946; Cass., 16 marzo 1988, n. 2461, inGiust. civ. mass., 1988, 3; Cass., 5 settembre 1988, n. 5027, in Not. giur. lav., 1988, 902; Cass., 17 novembre 1989, n.

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Nel caso in esame, la dichiarata inidoneità del lavoratore in seguito a visita medica di controllo è statariformata dalla consulenza tecnica esperita nel primo grado di giudizio, con una declaratoria di idoneità allosvolgimento delle mansioni precedenti.

OOBBBBLLIIGGOO DDII SSOOTTTTOOPPOORRSSII AALL CCOONNTTRROOLLLLOO MMEEDDIICCOO

La dottrina si è posta più volte il problema concernente l’obbligo del lavoratore a sottoporsi al controllo delmedico pubblico, disposto su richiesta del datore di lavoro e, in proposito, la Corte Costituzionale ha respintola censura di incostituzionalità della disposizione dell’art. 5 dello Statuto sotto il profilo della lesione dellalibertà personale, affermando che il prestatore di lavoro non è costretto a sottoporsi alla visita, in quanto lanorma “non prevede alcun mezzo coattivo per sottoporre il lavoratore a tale controllo e tanto meno la facoltàdel datore di lavoro di costringerlo contro la sua volontà”. Di conseguenza, l’art. 5 è legittimo per il fatto chenon comporta nessuna degradazione giuridica del lavoratore, nessuna menomazione della libertà moraleimplicante un assoggettamento totale della persona al potere altrui, ma è diretto soltanto a regolare lemodalità con cui deve svolgersi l’accertamento” in parola 5.Il controllo, come congegnato dal legislatore, produce effetti e sanzioni solo nell’ambito del rapporto di lavoroe, poiché è funzionale all’esecuzione della prestazione lavorativa, è giustificato dall’implicazione dellavoratore nello svolgimento del rapporto. La previsione che il controllo non sia posto in essere direttamentedal datore di lavoro, come accade nell’ipotesi delle perquisizioni di cui all’art. 6 St. Lav., ma da appositisoggetti inquadrati in enti pubblici, elimina il timore di abusi. Se, quindi, il lavoratore è obbligato a subire ilcontrollo di cui all’art. 6 St. Lav., a fortiori è tenuto a sottoporsi a quello in questa sede considerato 6.Con l’art. 5 St. Lav. si realizza un bilanciamento fra gli interessi delle parti. Infatti, alcune ponderateimpostazioni mirano a contemperare l’esigenza di permettere il controllo sanitario, da cui trae giustificazionel’obbligo della reperibilità in determinate fasce orarie e quella contrapposta di disattendere questo obbligo inpresenza di giustificati motivi, evitando nocumenti alla personalità del lavoratore 7.A pena di decadenza dal diritto all’indennità di malattia, sussiste, inoltre, in capo al lavoratore l’obbligo diessere reperibile durante le prescritte fasce orarie, per sottoporsi alla eventuale visita sanitaria di controllo 8.In applicazione dell’art. 1218 c.c., il lavoratore ammalato, nei cui confronti il medico ispettore abbia attestatola irreperibilità, ha l’onere di provare l’esistenza di uno specifico impedimento che giustifichi l’assenza. Non è 4913, ibidem, 1990, 343; Cass., 13 febbraio 1990, n. 1044, ibidem, 1990, 288; Cass., 13 aprile 1992, n. 4507, ibidem,1992, 659; Cass., 27 agosto 1993, n. 9067, ibidem, 1994, 92.5 Cfr., Corte Cost., 5 febbraio 1975, n. 23, in Foro it., 1975, I, 249.Sul punto si confronti anche Colonna A., Il controllo medico dell’inidoneità sopravvenuta del lavoratore, in Dir. lav., 2001,I, 24, il quale risponde al quesito concernente la possibilità di opposizione da parte del lavoratore all’accertamentomedico e alle conseguenze di un eventuale rifiuto, aderendo alla maggioritaria giurisprudenza, nel senso del realizzarsidi una condotta disciplinarmente rilevante. Egli rileva, altresì, che la questione deve essere inserita nel più ampiocontesto della tutela della privacy disciplinata dalla nota legge n. 657 del 1996: sul tema si afferma, infatti, la necessitàdel consenso del lavoratore per il trattamento del dato sensibile, ma quando tale dato è relativo alla salute ed interessal’azienda il rifiuto del lavoratore a dare il consenso rende impossibile la prosecuzione del rapporto e legittima illicenziamento per giustificato motivo oggettivo.La recente giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere che il controllo, attuato attraverso le strutture pubbliche, siconfiguri come una facoltà del datore di lavoro il cui mancato esercizio non gli preclude di far valere in sede giudizialel’inidoneità fisica del lavoratore, come causa di risoluzione del rapporto e di chiederne l’accertamento attraverso gliopportuni mezzi istruttori ritenuti non meno garantistici del controllo stragiudiziale anzidetto. Cfr. ex pluribus Cass., 21maggio 1992, n. 6106, in Not. giur. lav., 1992, 662; Cass., 27 dicembre 1997, n. 13056, ibidem, 1998, 303; Cass., 6giugno 1998, n. 5600, in Giust. civ. mass., 1998, 1235; Trib. Roma, 20 aprile 1994, in Not. giur. lav., 1994, 391.6 Cfr. Bellavista A., Gli accertamenti sanitari: il controllo sulle assenze per malattia o per infortunio dei lavoratori. Art. 5St. lav.: il bene tutelato la ratio dell’incriminazione. Gli accertamenti non sanitari, Giappichelli, Torino, 1995, 182.7 Cfr. la recente sentenza della Cass., Sez. lav., 4 gennaio 2002, n. 50, in Mass. giur. lav., 2002, n. 7, 441 in tema diassenza del lavoratore alle visite di controllo e di onere della prova di un impedimento oggettivo con nota di Iacone G.,Controllo della malattia ed inadempimento paracontrattuale, ibidem, 2002, 7, 442.8 Cfr. Corte Cost., 26 gennaio 1988, n. 78, in Mass. giur. lav., 1988, 2; Cass., 26 maggio 1999, n. 5150, in Giust. civ.mass., 1999, 1184; Cass., 23 luglio 1998, n. 7254, ibidem, 1998, 1578; Cass., 14 maggio 1997, n. 4212, in Dir. lav.,1998, II, 77; Cass., 6 maggio 1995, n. 4938, in Giust. civ. mass., 1995, 954; Cass., 21 ottobre 1992, n. 11488, in Mass.giur. lav., 1993, 56; Cass., 18 luglio 1991, n. 8006, in Giust. civ. mass., 1991, 7; Cass., 6 febbraio 1990, n. 814, in Mass.giur. lav., 1990, 287; Cass., 15 febbraio 1989, n. 905, in Inf. prev., 1989, 626; Cass., 8 settembre 1989, n. 3888, in Or.giur. lav., 1989, 1107. Si veda, inoltre, Del Punta R., La sospensione del rapporto di lavoro. Malattia, infortunio,maternità, servizio militare, in Il codice civile. Commentario, art. 2110 e 2111, diretto da Schlesinger, Milano, 1992.

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rilevante, a questo fine, l’erronea convinzione del lavoratore di avere adempiuto all’obbligo suddetto. E’necessario, invece, un impedimento oggettivo 9, cioè un caso fortuito, o una forza maggiore, la cui influenzanegativa per l’adempimento, se l’evento era prevedibile, non avrebbe potuto essere evitata, se non mediantel’adozione di tutte le cautele necessarie per consentire al medico fiscale l’accesso al domicilio del lavoratore.Il datore di lavoro sarà, quindi, pienamente legittimato all’applicazione di sanzioni disciplinari nei confronti deldipendente che abbia vanificato la possibilità di controllare il proprio stato di malattia, assentandosi daldomicilio senza che sussista una valida ragione, anche nel caso in cui la mancanza non rientri fra quelleespressamente contenute nel codice disciplinare 10.In virtù dei principi di correttezza e buona fede, il dipendente è pure tenuto ad accelerare, per quantopossibile, il pieno recupero delle normali condizioni di salute 11e, durante il periodo di assenza è concessa lapossibilità di prestare altra attività, in proprio o in favore di terzi. Questa facoltà, tuttavia, non rendeautomaticamente giustificata e corretta l’assenza, poiché si deve avere riguardo sia alla mancanza dipredeterminazione dell’assenza, sia al tipo di attività esercitata e alla idoneità o meno di questa diversaattività ad ostacolare, o viceversa favorire, il recupero delle energie psicofisiche del dipendente 12.In base all’art. 16 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, l’accertamento periodico per il controllo dello stato disalute del lavoratore e la formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica spettano al medicocompetente, che può avvalersi, ove sussistano motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisticiscelti dal datore di lavoro. Al suddetto medico il datore di lavoro dovrà indirizzare il dipendente che, in corsodi rapporto, abbia presentato un certificato medico attestante una patologia e/o uno stato di minoratacapacità fisica passibili di aggravamento, a causa delle mansioni alle quali è addetto.

RRIICCOORRSSOO AALLLL''OORRGGAANNOO DDII VVIIGGLLIIAANNZZAA

Avverso il giudizio di inidoneità parziale, temporanea o totale, formulato dal medico competente è ammessoil ricorso, a norma dell’art. 17 del D.Lgs. n. 626/1994, all’organo di vigilanza territorialmente competente ilquale, all’esito di ulteriori accertamenti, conferma, modifica o revoca il giudizio formulato dal medicocompetente.Ancora in base al disposto dell’art. 17, comma 5, che rovescia la precedente impostazione legislativa13, ilmedico può essere un dipendente di una struttura esterna pubblica oppure privata e convenzionata con 9 Cfr., Cass., 23 novembre 1999, n. 13006, in Inf. prev., 2000, 823; Cass., 23 luglio 1998, n. 7254, in Giust. civ. mass.,1998, 1578; Cass., 21 maggio 1998, n. 5090, ibidem, 1998, 1096; Cass., 14 maggio 1997, n. 4216, in Dir. lav., 1998, II,77; Cass., 6 maggio 1995, n. 4938, in Giust. civ. mass.,1995, 954; Cass., 17 dicembre 1993, n. 12465, in Mass. giur.lav., 1993, 12; Cass., 11 febbraio 1993, n. 1711, in Giust. civ. mass., 1993, 280; Cass., 21 ottobre 1992, n. 11488, inMass. giur. lav., 1995, 56; Cass., 28 dicembre 1991, n. 13982, in Giust. civ. mass., 1991, n. 12; Cass., 21 novembre1990, n. 11226, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1991, III, 229; Cass., 17 aprile 1990, n. 3180, in Foro it., 10990, I, 2485. Intema di nozione civilistica di causa non imputabile cfr. Cass., 17 novembre 1999, n. 12760, in Giust. civ. mass., 1999,726; Cass., 3 settembre 1999, n. 9278, ibidem, 1999, 1890; Cass., 19 agosto 1996, n. 7604, in Giur. it., 1997, I, 1078;Cass. 16 febbraio 1994, n. 1500, ibidem, 1995, I, 111; Cass., 9 aprile 1991, n. 3724, in Resp. civ. prev., 1992, 790.10 Cfr. Cass., 22 giugno 2001, n. 8544, in Giust. civ. mass., 2001, 1239; Cass., 26 maggio 1999, n. 5150, in Not. giur.lav., 1999, 617; Cass., 24 luglio 1998, n. 7295, in Guida lav., 1998, 40, 25; Cass., 3 febbraio 1996, n. 922, in Dir. prat.lav., 1996, 25, 1790; Cass., 9 agosto 1996, n. 7370, ibidem, 1996, 44, 46; Cass., 11 dicembre 1995, n. 12686, in Dir.prat. lav., 1996, 14, 965.Recentemente ed in senso contrario si vedano: Ichino P., Il datore ha il diritto di controllare, ma il lavoratore ha il diritto disottrarsi al controllo, (nota a Cass., 30 gennaio 2002, n 1247) in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 428; Albi P., Sulle fasce direperibilità in caso di infortunio sul lavoro, (nota a Cass., 2 giugno 1998, n. 5414) ibidem, 1999, II, 341.11 Cfr. Cass., 1° giugno 1988, n. 3719, in Not. giur. lav., 1988, 367; Cass., 14 giugno 1985, n. 3578, ibidem, 1985, 65.12 Cfr. Cass., 7 giugno 1995, n. 6399, in Dir. prat. lav., 1996, 4, 263; Cass., 14 dicembre 1991, n. 13490, in Dir. prat. lav.,1992, 5, 297; Cass., 29 luglio 1986, n. 4868, ibidem, 1986, 42, 2741; Cass., 17 giugno 1983, n. 4179, in Mass. giur, lav.,1983, 240.13 Si deve ricordare che il precedente legislativo del D.Lgs. n. 626/1994 è la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 277/1991, diattuazione di cinque direttive comunitarie (direttive n. 80/110/Cee, n. 82/605/Cee, n. 83/477/Cee, n. 86/188/Cee e n.88/642/Cee, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici ebiologici durante il lavoro) che individua nozione ed attribuzioni della figura del medico competente. In base all’art. 3 delcitato decreto, il medico competente doveva essere in possesso di particolari specializzazioni o di determinate docenzeo libere docenze, ove possibile dipendente dal servizio sanitario nazionale. Il decreto n. 626 si inserisce su questanormativa definendo nuovamente la nozione di medico competente ed assegnando a questo una serie di attribuzioni chesi sovrappongono a quelle individuate in precedenza. Si tratta, infatti, di un medico in possesso degli stessi titoli indicatidalla normativa precedente, ai quali si aggiungono espressamente altre specializzazioni. L’unica differenza tra ladisposizione contenuta nel decreto n. 626 e quella del D.Lgs. n. 277 consiste nell’eliminazione del ricorso alla nozione di

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l’imprenditore per lo svolgimento dei compiti di sorveglianza sanitaria, o un libero professionista, o undipendente dello stesso datore di lavoro.Soltanto dal comma 7 dell’articolo 17 si ricava una limitazione alla designazione del medico competente: èimpedito al medico dipendente da una struttura pubblica di svolgere l’attività di medico competente qualorala struttura alla quale egli appartiene sia chiamata a svolgere attività di vigilanza.Parte della dottrina ritiene di individuare la giustificazione di questa impostazione nella volontà del legislatoredi mantenere distinte le funzioni di sorveglianza sanitaria, rispetto a quella di controllo, rilevando comequesta preoccupazione finisca per comportare la concreta conseguenza dell’impossibilità di designare, comemedico competente, un medico dipendente dall’Usl che svolga attività di vigilanza.Dopo il varo del D.Lgs. n. 626/1994 non è più così chiaro a chi siano demandate le verifiche sulla idoneitàalle mansioni dei lavoratori, essendo controverso se l’art. 17, comma 5, del decreto del 1994, abbia o menoabrogato l’art. 5 St. lav. A questo dubbio, una autorevole dottrina ha fornito interpretazioni tendenti ad unarisposta negativa, ritenendo necessario mantenere la distinzione di tipo funzionale che separa gliaccertamenti svolti su richiesta e all’interesse del datore di lavoro da quelli connessi alla presenza di servizisanitari di fabbrica 14.

EEVVOOLLUUZZIIOONNEE GGIIUURRIISSPPRRUUDDEENNZZIIAALLEE

La decisione in commento rispecchia l’orientamento recentemente consolidato in tema di ricollocazione adaltre mansioni del lavoratore colpito da sopravvenuta inidoneità.Ricostruendo il pensiero giurisprudenziale che si è susseguito fino a giungere all’impostazione oggiprevalente 15, si riscontra che il punto di svolta è rappresentato da tre sentenze: la n. 5961 del 3 luglio 1997,la n. 7908 del 23 agosto 1997 e la n. 7755 del 7 agosto 1998, le quali hanno rifiutato il principio secondo cui:

“la sopravvenuta impossibilità del lavoratore, per condizioni fisiche o psichiche, di svolgere le mansioni per lequali è stato in concreto destinato secondo le esigenze di impresa costituisce, ove non sia ricollegabile acasi di sospensione legale del rapporto e si prospetti di durata indeterminata, o indeterminabile, giustificatomotivo di recesso per il datore di lavoro ai sensi della seconda ipotesi dell’art. 3, legge 15 luglio 1966, n. 604,ancorché il datore di lavoro svolga nella propria azienda attività con mansioni confacenti alle condizioni dellavoratore. Invero, salvo il caso di espressa previsione di legge o di contratto, non ricorre, in via generale, undiritto del lavoratore al mutamento di mansioni pattuite, in relazione alle sue condizioni di salute; la legittimitàdi tale licenziamento può essere esclusa solo qualora il lavoratore ne deduca e dimostri la pretestuosità, peravere il datore di lavoro profittato di quella situazione al fine di recedere ingiustificatamente dal contratto” 16.

specializzazione equipollente: con ciò si è evidentemente voluto evitare un giudizio sull’equipollenza tra lespecializzazioni, rispetto al quale non era neppure chiaro quale fosse il soggetto chiamato ad esprimerlo.14 Vedi Rondo A., Aggravamento della malattia e obbligo di licenziamento. Non esiste un obbligo di licenziare qualora visia incertezza circa la compatibilità tra prestazione lavorativa e condizioni di salute, (nota a Cass., 13 dicembre 2000, n.15688) in Mass. giur. lav., 2001, n. 4, 328; Franco M., La responsabilità del datore e del prestatore di lavoro in materia disicurezza nel d.lgs. n. 626 del 1994, in Riv. it. dir. lav., 1996, I, 263; Bortone R., La sorveglianza sanitaria, in MontuschiL. (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza, Giappichelli, Torino, 1997, 149. Per una posizione articolata si vedaGalantino L., Diritto del lavoro, 2001, Giappichelli, Torino, 355.15 Per una compiuta analisi dell’evoluzione giurisprudenziale di vedano: Figurati S., Inidoneità sopravvenuta allemansioni: limiti al licenziamento. Osservazioni sull’obbligo del repechage nel licenziamento per sopravvenuta inidoneitàalle mansioni, (nota a Cass., 5 agosto 2000, n. 10339) in Mass. giur. lav., n. 11, 1208; Soma C., La sopravvenutainidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, in Dir. prat. lav., 1999, 27, 1961; Mannacio G., Impossibilitàsopravvenuta della prestazione: inquadramento teorico e conseguenze pratiche, (nota a Cass., 7 agosto 1998, n. 7755)in Lav. giur., 1999, 5, 429; D’Oriano M., Il lavoratore che diventa inabile non perde il posto di lavoro se è possibileassegnarlo a mansioni inferiori. Ma il datore di lavoro non deve alterare l’assetto organizzativo dell’impresa, (nota aCass., 7 agosto 1998, n. 7755) in Guida dir., Il Sole-24 Ore, 1998, 37, 58; Meucci M., Obbligo di ricollocazione in altremansioni del lavoratore colpito da sopravvenuta inidoneità, in Lav. prev. oggi, 1998, 3, 2058; Scognamiglio P.,Sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore e mutamento delle mansioni, (nota a Cass., 3 luglio 1997, n. 5961) in Mass.giur. lav., 1998, 438; Campanella P., Sul licenziamento per sopravvenuta inidoneità psico-fisica del lavoratore, (nota aCass., sez. lav., 6 novembre 1996, n. 9684) in Riv. it. dir. lav., 1997, II, 612; Riccardi A., Impossibilità della prestazionelavorativa per inidoneità fisica; licenziamento; onere del “repechage”, (nota a Cass., 23 agosto 1997, n. 7908) in Mass.giur. lav., 1997, 871; Meucci M., Il diritto alla flessibilità delle mansioni accordato dall’art. 2103 c.c. all’impresa e negatoai lavoratori colpiti da sopravvenuta inidoneità psico-fisica, in Riv. crit. dir. lav., 1996, I, 35; Barbanti V., Sullasopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, (nota a Cass., 13 marzo 1996, n. 2067) in Dir.lav., 1996, 2, 453; Mannacio G., Malattia e inidoneità permanente alle mansioni, in Dir. prat. lav., 1992, 23, 1517.

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Questo orientamento, dunque, legittimava il recesso da parte del datore di lavoro senza onere per lo stessodi ricercare preventivamente, nell’organico dell’impresa, mansioni equivalenti proficuamente affidabili aldipendente e compatibili con il suo mutato stato di salute. Si riteneva, infatti, che la sopravvenuta inidoneitàdel lavoratore a svolgere le mansioni alle quali era adibito si traducesse in una impossibilità sopravvenutadella prestazione ai sensi degli articoli 1256 e 1464 c.c., costituendo giustificato motivo oggettivo dilicenziamento ai sensi dell’art. 3, della legge n. 604/1966. Il lavoratore non poteva pretendere l’assegnazionead altre mansioni compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa, a meno che quest’obbligo non fosseprevisto da disposizioni legali o contrattuali. Quindi, non vi era l’obbligo per il datore di lavoro di provare insede giudiziale, ai fini della legittimità del recesso, l’impossibilità di utile repechage del lavoratore 17.

L'orientamento delle Sezioni Unite della CassazioneIl nuovo e più recente orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, come risulta dalla pronuncia n.7755/1998, è nel senso che:

“la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, qualegiustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (articoli 1 e 3, legge n.604 del 1966 e 1463, 1464 codice civile), non è ravvisabile nella sola ineseguibilità dell’attività attualmentesvolta dal prestatore, ma può essere esclusa dalla possibilità di altra attività riconducibile - alla stregua diun’interpretazione del contratto secondo buona fede - alle mansioni attualmente assegnate o a quelleequivalenti (articolo 2103 del codice civile) o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purchè questa attivitàsia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore”.

Le Sezioni Unite hanno concentrato l’attenzione sulla natura particolare della prestazione richiesta nelcontratto di lavoro e hanno affermato che essa dev’essere adeguata alla nozione civilistica dell’impossibilitàsopravvenuta, al fine di rispettare i molteplici interessi costituzionali coinvolti ed i principi di correttezza ebuona fede. La prestazione che il lavoratore si obbliga ad esercitare, infatti, non costituisce quasi maiun’obbligazione dai contorni netti, ab origine delineabile con caratteristiche fisse ed immutabili, comeavviene generalmente nei contratti sinallagmatici di scambio, ma (nell’interesse dell’imprenditore) ilcomportamento dovuto dal lavoratore deve adeguarsi al contesto aziendale, seppure nei limiti dell’art. 2103 16 In tal senso Cass., n. 1556/1976; ex pluribus Cass., 9 giugno 1989, n. 2803, in Dir. prat. lav., 1989, 40, 2688; Cass.,22 febbraio 1990, n. 1337, ibidem, 1990, 15, 973; Cass., 21 maggio 1991, n. 5686, ibidem, 1991, 33, 2148; Cass., 26giugno 1991, n. 7196, in Or. giur. lav., 1991, 672; Cass., 21 maggio 1992, n. 6106, in Dir. prat. lav., 1992, 30, 2056;Cass., 20 marzo 1992, n. 3517, in Mass. giur. lav., 1992, 210; Cass., 20 maggio 1993, n. 5713, in Dir. prat. lav., 1993,33, 2213; Cass. 18 marzo 1995, n. 3174, in Giur. it., 1995, I, 1, 1635 e in Lav. giur., 1996, 860; Cass., 13 marzo 1996, n.2067, in Giur. it., 1996, I, 1038; Cass., 2 aprile 1996, n. 3040, in Not. giur. lav., 1996, 618; Cass., 6 novembre 1996, n.9684, in Mass. giur. lav., 1996, 768 e in Riv. it. dir. lav., 1997, I, 612. Ma anche Pretura di Milano 19 aprile 1988, in Dir.prat. lav., 1988, 36, 2502; Pretura di Termini Imerese, 13 novembre 1989, in Not. giur. lav., 1989, 657; Pretura di Milano19 novembre 1989, ibidem, 1989, 657; Pretura di Foggia, 17 aprile 1991, in Dir. prat. lav., 1991, 39, 2554; Pretura diMilano, 13 gennaio 1992, in Or. giur. lav., 1992, 122; Tribunale di Milano, 10 novembre 1993, in Dir. prat. lav., 1994,37, 2560;17 Cfr. Papaleoni M., Licenziamento per giusta causa o motivo, Cedam, Padova, 1998, 157; Scognamiglio P.,Sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore e mutamento delle mansioni, (nota a Cass., 3 luglio 1997, n. 5961) in Mass.giur. lav., 1998, 438. L’Autore, in riferimento alla tradizionale posizione della giurisprudenza, rileva come essa si siagiustificata con la circostanza che il contratto individuale di lavoro rientra tra i contratti sinallagmatici in cui la prestazionedi ciascuna delle parti trova la sua causa nell’altra e, pertanto, risultano applicabili i principi dettati degli articoli 1256 e1463 c.c.; si veda anche Barbanti V., Sulla sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, (notaa Cass., 13 marzo 1996, n. 2067) in Dir. lav., 1996, 2, 453. L’Autrice, nel commento della sentenza della Suprema Corte,rileva come, nonostante il mutato orientamento giurisprudenziale, venga ribadito nella stessa l’esclusione dell’onere delrepechage nell’ipotesi in cui sono le condizioni fisiche del lavoratore a determinare la sopravvenuta impossibilità disvolgimento delle mansioni. “Laddove, anzi, i richiami operati dalla dottrina e dalla giurisprudenza che si sono occupatedell’argomento ai principi contenuti negli artt. 4 e 41 della Costituzione sembrerebbero avvallare l’opportunità disperimentare un giusto contemperamento tra le esigenze imprenditoriali e le (mutate) condizioni del lavoratore prima digiungere al licenziamento dello stesso. A ben guardare, invece, la S.C. in motivazione, nell’escludere il diritto deldipendente all’assegnazione di mansioni compatibili con la sopravvenuta situazione di salute, neppure giunge a far salvoil caso di espressa e specifica previsione legislativa o contrattuale. L’unica concessione alla posizione del prestatore dilavoro che la Corte è disposta a compiere riguarda la precisazione secondo la quale la sopraggiunta impossibilità allosvolgimento delle mansioni non può condurre al licenziamento per giustificato motivo obbiettivo ove sia riconducibile acasi di sospensione legale del rapporto o non si profili come impedimento di durata indeterminata o indeterminabile”.

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del c.c. Per ravvisare una impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa non è sufficiente chedivenga impossibile per il lavoratore esercitare la sola attività che in quel momento sta espletando, maoccorre che risulti impossibile anche un suo proficuo utilizzo altrove 18.In anni precedenti la giurisprudenza prevalente aveva affermato che il licenziamento intimato in seguito asopravvenuta inidoneità del lavoratore alle mansioni poteva ritenersi legittimo soltanto se il datore di lavoroavesse fornito la prova dell’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con le residue capacitàlavorative, avendo il datore di lavoro l’obbligo di repachage in mansioni equivalenti o, in mancanza, anche inmansioni inferiori. L’eventuale licenziamento del lavoratore per sopravvenuta inidoneità alle mansioniavrebbe dovuto ritenersi legittimo se ed in quanto il datore di lavoro avesse fornito la prova dell’insussistenzain organico di mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori, affidabili allo stesso e compatibili con il suomutato stato di salute.In definitiva, la giurisprudenza oggi prevalente, unitamente al sostegno di alcune precedenti decisioni, ègiunta ad equiparare il licenziamento determinato da sopravvenuta inidoneità del prestatore alle mansioni,non causato, nè motivato da scelte imputabili al datore di lavoro, al licenziamento dovuto a “ragioni inerentiall’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”, per definizionedeterminato da scelte discrezionali del datore di lavoro e, comunque, imputabili allo stesso. Anzi, le SezioniUnite hanno reso ancora più rigorosa la disciplina del recesso conseguente all’inidoneità sopravvenuta delprestatore, rispetto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, introducendo, come condizione dilegittimità, l’onere della prova dell’insussistenza in organico non soltanto di mansioni equivalenti, ma anchedi mansioni inferiori 19.

Demansionamento e obbligo di sicurezzaNel caso concreto, oggetto della decisione in commento, il lavoratore è stato giudicato inidoneo allosvolgimento delle mansioni concernenti il servizio di vigilanza antitaccheggio in un supermercato e,conseguentemente, trasferito in una nuova sede con l’incarico di “addetto all’insieme delle operazioniausiliarie alle vendite con promiscuità di mansioni”. Il demansionamento sembra pacifico.Dall’analisi degli orientamenti giurisprudenziali che si sono susseguiti, il risultato è il seguente: la SupremaCorte ammette la possibilità di adibire il dipendente a mansioni inferiori, rispetto a quelle precedentementesvolte, e cioè il c.d. patto di dequalificazione. Altrettanto pacificamente acquisito in giurisprudenza è ilprincipio secondo cui il demansionamento deve costituire una extrema ratio ed essere accompagnato dalconsenso del lavoratore. Pertanto, l’assegnazione al prestatore di lavoro di mansioni inferiori è illegittima, sequest’ultimo non ha manifestato la propria disponibilità ad accettarle. Altrimenti, soltanto nell’ipotesi in cuinon siano reperibili mansioni equivalenti, il datore di lavoro potrà adibirlo a mansioni inferiori20. La SupremaCorte ritiene giustamente ammissibile l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, pur di evitarne illicenziamento, ma nell’ambito di accordi volontari e al di fuori di qualunque obbligo di repachage.Chi scrive ritiene che, in concreto, risulterà difficoltoso, soprattutto da parte delle imprese medio-grandi,dimostrare l’impossibilità del riutilizzo adeguato del lavoratore inidoneo, per l’assenza di mansioni diverse e

18 Cfr. D’oriano M., Il lavoratore che diventa inabile non perde il posto se è possibile assegnarlo a mansioni inferiori. Ma ildatore di lavoro non deve alterare l’assetto organizzativo dell’impresa, (nota a Cass., 7 agosto 1998, n. 7755) in Guidadir., Il Sole-24 Ore, 1998, 37, 58, nelle sue conclusioni l’Autrice rileva come la decisione della Suprema Corte,attribuendo prevalenza al diritto alla conservazione del posto di lavoro rispetto alla necessità di salvaguardare laposizione professionale raggiunta dal lavoratore, ha accolto un principio di inderogabilità relativa al divieto di mutatio inpeius sancito dall’art. 2103 c.c., relativamente alle situazioni in cui il demansionamento sia l’unica alternativa allicenziamento e sia sorretto dal consenso di chi lo subisce. In tal modo La Corte, sostiene l’Autrice, si è spinta fino ariconoscere, non una facoltà al datore di lavoro, bensì un vero diritto del lavoratore ad essere assegnato a mansioniinferiori. L’unico limite riscontrabile, ed in tal modo si conclude, resta quello collegato alla libertà di iniziativa economicadell’imprenditore. Per giustificare la legittimità del licenziamento il datore di lavoro potrà provare che un impiego dellavoratore in mansioni equivalenti o inferiori, compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa, comporterebbe unaggravio organizzativo per la struttura aziendale, con il rischio di alterare gli equilibri che ne garantiscono il buonandamento e la funzionalità. Si veda anche Mannacio G., Impossibilità sopravvenuta della prestazione: inquadramentoteorico e conseguenze pratiche, (nota a Cass., 7 agosto 1998, n. 7755) in Lav. giur., 1999, 5, 429.19 Cfr. Soma C., La sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, in Dir. prat. lav., 1999, 27,1961; Scognamiglio P., Sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore e mutamento delle mansioni, (nota a Cass., 3 luglio1997, n. 5961) in Mass. giur. lav., 1998, 437; Riccardi A., Impossibilità della prestazione lavorativa per inidoneità fisica;licenziamento; onere del repechage, (nota a Cass., 23 agosto 1997, n. 7908) ibidem, 1997, 871.20 Si vedano Rosin G., Recesso per inidoneità sopravvenuta alle mansioni tra tutela della salute e libertà economicad’impresa – Infermità sopravvenuta e diritto del lavoratore alla modifica delle mansioni, (nota a Cass., 2 agosto 2002, n.10574) in Mass. giur. lav., 2002, n. 3, 161; Spolverato G., Mutamento di mansioni e divieto di demansionamento, in Dir.prat. lav., 2002, 32, 2156; Papaleoni M., Licenziamento per giusta causa o motivo, Cedam, Padova, 1998, 133.

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confacenti, nell’organigramma aziendale. D’altronde, l’onere di questa prova, posto a carico del datore dilavoro, costituisce la conseguenza dell’obbligo di repechage.D’altra parte, dovendo il datore di lavoro ricorrere al demansionamento, stante il consenso del lavoratore, sirende necessario che l’attività offerta sia utilizzabile dall’imprenditore, in base ad un assetto organizzativoinsindacabilmente stabilito, e questa appare essere la tesi migliore 21.In proposito, non deve essere trascurata l’incidenza dell’obbligo di sicurezza. Il datore di lavoro, infatti, perevitare la responsabilità di cui all’art. 2087 c.c., non può essere costretto al licenziamento del dipendente inprecarie condizioni di salute, ogniqualvolta non sia possibile rinvenire, all’interno dell’organizzazioneaziendale, uno spazio lavorativo di sicura ininfluenza della malattia22. Questa impostazione giurisprudenzialeè nel senso che la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087, non ha carattere oggettivo, ma èinquadrabile nell’ambito della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.23 Si tratta di un orientamento piùequilibrato rispetto a quello a lungo predominante in passato incentrato sulla concezione estesa ed estremadella responsabilità datoriale in tema di sicurezza, che coincideva quasi con la responsabilità oggettiva verae propria 24.Ora si è affermata la tendenza a delineare una dimensione della responsabilità più coerente con i principidell’ordinamento, legata alla valutazione effettiva dell’attribuibilità del pregiudizio al datore di lavoro. Dunque,

21 Cfr. Figurati S., Inidoneità sopravvenuta alle mansioni: limiti al licenziamento. Osservazioni sull’obbligo di repechagenel licenziamento per sopravvenuta inidoneità alle mansioni, (nota a Cass., 5 agosto 2000, n. 10339) in Mass. giur. lav.,2000, 11, 1208; Meucci M., Obbligo di ricollocazione in altre mansioni del lavoratore colpito da sopravvenuta inidoneità,in Lav. prev. oggi, 1998, 3, 2059; Mannacio G., Malattia e inidoneità permanente alle mansioni, in Dir. prat. lav., 1992,23, 1517.Contra: Trib. Milano, 11 gennaio 2000, in Lav. giur., 2000, 469. In questa decisione si sostiene che affinchè il datore dilavoro possa licenziare il lavoratore divenuto inidoneo occorre che “non soltanto gli proponga, ma gli assegniformalmente mansioni diverse, anche inferiori”, sicchè “solo in caso di rifiuto del dipendente di svolgere anche le nuovemansioni assegnate viene meno il suo diritto alla conservazione del posto”.Sempre in senso contrario al maggioritario orientamento giurisprudenziale si vedano: Soma C., La sopravvenutainidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, in Dir. prat. lav., 1999, 27, 1961, a parere dell’Autrice “l’attualeformulazione dell’art. 2103 c.c., ultimo comma (che sancisce la nullità dei patti contrari al divieto di demansionamentosancito dal medesimo art. 2103 c.c.) non consente deroghe di sorta nemmeno allorquando la deroga consenta disoddisfare un primario interesse del prestatore di lavoro”; Filadoro C., “Repechage” del lavoratore: le sezioni uniterisolvono il contrasto, in Guida lav., 1998, 39, 32. L’Autore, sul tema della dequalificazione consensuale obbietta che: “Inquesta maniera, tuttavia, richiamando l’importanza dell’accordo del lavoratore sulla dequalificazione, le Sezioni Unitegiungono ad abrogare direttamente una precisa disposizione di legge, secondo la quale (articolo 2103 c.c., ultimocapoverso) “Ogni patto contrario è nullo”. Una via più diritta per giungere a superare quello che, ancor oggi, costituisceun vero sbarramento alla condivisione della soluzione delle Sezioni Unite, sarebbe stata quella di denunciare questadisposizione dell’art. 2103 del codice civile (interpretata rigidamente) alla Corte Costituzionale come sospetta diincostituzionalità (in relazione agli articoli 1, 3, 4, 35, 36, della Costituzione). In tale denuncia di incostituzionalità, sisarebbe potuto opportunamente sottolineare come una interpretazione rigida della norma, approvata per tutelare lecondizioni del lavoratore, finirebbe - sempre solo in qualche caso - per tradursi in una disposizione contraria alleesigenze di dignità e libertà che la legge del 1970 intendeva originariamente tutelare”.Cfr. Trib. Milano, 30 aprile 1996, in Lav. giur., 1996, 764; Trib. Milano, 27 marzo 1979, in Not. giur. lav., 1979, 338 e 30gennaio 1982 in Or. giur. lav., 1982, 457.22 Cfr. Rondo A., Aggravamento della malattia e obbligo di licenziamento. Non esiste un obbligo di licenziare qualora visia incertezza circa la compatibilità tra prestazione lavorativa e condizioni di salute, (nota a Cass., 13 dicembre 2000, n.15688) in Mass. giur. lav., 2001, 4, 328.23 Ex pluribus: Cass., 8 aprile 2002, n. 5024, in Giust. civ. mass., 2002, 4; Cass., 5 marzo 2002, n. 3162, ibidem, 2002, 3;Cass., 2 gennaio 2002, n. 5, ibidem, 2002, 7; Cass., 5 dicembre 2001, n. 15350, ibidem, 2001, 2089; Cass., 20 giugno2001, n. 8381, ibidem, 2001, 1223; Cass., 5 febbraio 2000, n. 1307, ibidem, 2000, I, 664; Cass., 18 febbraio 2000, n.1886, in Not. giur. lav., 2000, 452; Cass., 12 febbraio 2000, n. 1579, ibidem, 2000, 314; De Angelis L., Interrogativi intema di danno alla persona del lavoratore, (nota a Cass., 5 febbraio 2000, n. 1307) in Foro it., 2000, I, 1554; Cass., 20gennaio 2000, n. 602, in Giust. civ. mass., 2000, 94; Cass., 7 novembre 2000, n. 14469, in Dir. giust., 2000, 43; Cass., 4luglio 2000, n. 8944, in Riv. crit. dir. lav., 2000, 1029, Cass., 18 febbraio 2000, n. 1886, in Giust. civ. mass., 2000, 406;Monaco M. P., Sui confini mobili dell’inadempimento nell’obbligazione di sicurezza, (nota a Cass., 2 giugno 1998, n.4509) in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 337; Cass., 3 aprile 1999, n. 3234, in Giust. civ. mass., 1999, 749; Trib. Milano, 17ottobre 2000, in Lav. giur., 2001, 693;Trib. Milano, 21 giugno 1999, ibidem., 1999, 1077.24 In tal senso: Cass. pen., Sez. IV, 4 marzo 1982, in Giust. pen., 1982, II, 715; Pret. Napoli, 10 luglio 1981, in Riv. giur.lav., 1982, IV, 498; Cass. pen., Sez. IV, 15 luglio 1990, in Cass. pen., 1990, I, 1582; Cass. pen., Sez. IV, 9 febbraio1989, ibidem, 1990, I, 935; Franco M., Responsabilità contrattuale del datore di lavoro per danno alla salute, efficaciadelle norme comunitarie in materia di rumore nei luoghi di lavoro e rischio consentito, (nota a Cass., 29 marzo 1995, n.3740) in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 85; Lorusso A., L’art. 2087 c.c. e la responsabilità per danni all’integrità psico - fisica dellavoratore, (nota a Cass., 29 marzo 1995, n. 3740) in Mass. giur. lav., 1995, 359.

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si deve escludere che l’art. 2087 imponga un dovere di recesso a salvaguardia delle condizioni di salute insituazioni di pregiudizio.Da quanto sopra esposto discende che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre un ambiente idoneo allosvolgimento della prestazione lavorativa, come adempimento propedeutico allo svolgimento del rapporto.Ma, a fronte di una prestazione resa con modalità che il lavoratore giudica pregiudizievoli per la propriasalute, egli avrà sempre la facoltà di rifiutare l’adempimento, avvalendosi della previsione di cui all’art. 1460c.c., in quanto potrà proporre un giudizio di accertamento, volto ad avvalorare la prospettata incompatibilitàtra prestazione lavorativa e salute 25.

Autotutela del lavoratoreIn ipotesi di illegittima modificazione delle mansioni è oramai acquisito il principio per cui il lavoratore puòreagire, rifiutandone l’espletamento. Vertendosi in tema di nullità, la legge non assegna alcun termine entro ilquale effettuare l’impugnazione e l’iniziativa volta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un declassamentonon è assoggettabile, ovviamente, a termini convenzionali di decadenza.La dottrina prevalente ha sempre configurato il rifiuto del prestatore di lavoro come esercizio del diritto diautotutela, integrando gli estremi dell’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., secondo la formula“inadimplenti non est adimplendum”, in quanto al lavoratore viene richiesta una prestazione lavorativadiversa da quella pattuita contrattualmente 26. Ne consegue che: il lavoratore conserverà il diritto allaretribuzione, che gli sarà erogato a titolo di risarcimento del danno, purchè continui ad offrire lo svolgimentodelle precedenti prestazioni. In tal modo

“il prestatore avrà la facoltà di porre in mora il debitore mediante intimazione a ricevere la prestazione -attraverso il rifiuto verbale di svolgere il compito richiesto in una con l’offerta di proseguire quello cui lostesso era precedentemente adibito - ed acquisterà il diritto al risarcimento del danno”27.

Un’altra parte della dottrina configura il rifiuto del prestatore di lavoro non come eccezione ai sensi dell’art.1460 c.c. e ritiene che il lavoratore non rifiuti una prestazione dovuta, affermando l’inadempimento dell’altraparte, ma si limiti a rifiutare l’esecuzione di una prestazione non dovuta, senza alcuna necessità di invocarea sostegno un inadempimento del datore di lavoro. Ne deriva l’irrilevanza delle questioni di interdipendenzaed equivalenza delle prestazioni proprie dell’eccezione di inadempimento.E’, quindi, il rifiuto della prestazione non dovuta a costituire una forma di autotutela individuale del lavoratore,che, in quanto tale, prescinde da un previo accertamento giudiziale della legittimità della pretesa del datoredi lavoro28.

25 Cfr. Douglas Scotti F., Sulla legittimità del rifiuto di svolgere mansioni lesive della salute, (nota a Pretura Roma, 26maggio 1992) in Riv. crit. dir. lav., 1994, 342.26 Per la legittimità del rifiuto di trasferimento ingiustificato: Ianni R., Il cambiamento delle mansioni e la mobilità interna,Cedam, 2001, 109; Calà F., Il trasferimento del lavoratore, Cedam, Padova, 1999, 247; Pelaggi A., Sulla nozione ditrasferimento del lavoratore. Trasferimento del lavoratore e mobilità all’interno dell’unità produttiva, (nota a Cass., 14giugno 1999, n. 5892) in Mass. giur. lav., 1999, 11, 1194; Brollo M., La mobilità interna del lavoratore. Mutamento dimansioni e trasferimento. Il codice civile. Commentario. Art. 2103, diretto da Schlesinger, Giuffrè, Milano, 1997, 631;Pisani C., La modificazione delle mansioni, Milano, 1996, 221; Vallebona A., Tutele giurisdizionali e autotutelaindividuale del lavoratore, Cedam, Padova, 1995, 117; Franco M., Trasferimento ad altra unità produttiva e adibizione amansioni non equivalenti, in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 358; D’Arrigo G., voce Trasferimento dei lavoratori, in Enc. dir., vol.XLIV, Milano, 1992, 996; Tullini P., Il trasferimento del lavoratore: la nozione e i profili applicativi, in Quad. dir. lav. rel.ind., 1989, 220; Dell’Olio M., voce Autotutela. III) Diritto del lavoro, in Enc. giur. Treccani, vol. IV, 1988; Pelaggi L., Iltrasferimento del lavoratore subordinato e la giurisprudenza della Cassazione, in Mass. giur,. lav., 1988, 395; BianchiD’Urso F., La mobilità “orizzontale” e l’equivalenza delle mansioni, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1987, n. 1, 117; Mazziotti DiCelso F., Profili dell’autotutela nei rapporti di lavoro, Morano, Napoli, 132; Angiello L., Il trasferimento dei lavoratori,Cedam, Padova, 1986.27 In tal senso Giugni G., Mansioni e qualifiche nel rapporto di lavoro - parte I, Jovene, Napoli, 1963, 371.Ex pluribus: Cass., 1° luglio 2002, n. 9530, in Mass. giur. lav., 2002, 10, 66; Cass., 1° giugno 2002, n. 7967, ibidem,2002, 10, 664, relativamente alla determinazione del danno partimoniale giudizialmente accertato la quale può avvenireanche in via equitativa, eventualmente con riferimento all’entità della retribuzione risultante dalle buste-paga prodotte ingiudizio; Cass., 10 maggio 2002, n. 6763, ibidem, 2002, n. 8-9, 595; Cass., 2 novembre 2001, n. 13580, ibidem, 2002,n. 1-2, 29; Cass., 14 novembre 2001, n. 14199, ibidem, 2002, n. 1-2, 30; Cass., 2 gennaio 2002, n. 326, ibidem, 2002, 4,272.28 Cfr. Pisani C., La modificazione delle mansioni, Milano, 1996, 227, l’Autore sostiene che per ridurre il rischiodell’autotutela , connesso all’esito del futuro giudizio di merito, il lavoratore possa scegliere, ricorrendone i presupposti, di

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SSEENNTTEENNZZAA NN.. 88009966//22000022

Conclusivamente, si ritiene di aderire alla soluzione secondo cui, in ogni caso, il licenziamento intimato comeconseguenza del rifiuto di svolgimento della prestazione lavorativa non può considerarsi legittimo e la stessaSuprema Corte, nelle motivazioni della decisione in commento si pone in contrasto con la sentenza disecondo grado, in quanto omissiva della considerazione di alcune circostanze valutabili come decisive29

quali: la mancanza della prova, da parte della società datrice di lavoro, della dimostrazione che le nuovemansioni affidate al lavoratore fossero le uniche disponibili in azienda, nonché la contestazione, supportatada relativa documentazione di accertamento positivo, dell’impossibilità di svolgimento delle mansionioriginarie di assunzione con la conseguente considerazione in termini di sproporzione e non correttezzadella reazione del prestatore di lavoro30. Infatti, l’articolo 2103 c.c., che è posto a tutela della professionalitàdel lavoratore subordinato, a parere di chi scrive, presuppone che le nuove mansioni, pur se non identiche aquelle originarie, siano aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale del prestatore di lavoro, inmodo da consentire il reimpiego e l’arricchimento del patrimonio professionale acquisito in precedenza.La valutazione della Corte di Appello di Torino ha disatteso l’orientamento consolidato della giurisprudenzadi legittimità, che appare il migliore, secondo cui

“il provvedimento del datore di lavoro di trasferimento di sede di un lavoratore che non sia adeguatamentegiustificato a norma dell'art. 2103 c.c. determina la nullità dello stesso e integra un inadempimento parzialedel contratto di lavoro, con la conseguenza che la mancata ottemperanza allo stesso provvedimento daparte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di un'eccezione di inadempimento (art. 1460c.c.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti; non si può invece ritenere che sussistauna presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali, che imponga l'ottemperanza agli stessi fino a uncontrario accertamento in giudizio”31.

In base ai principi espressi nella decisione che si commenta, affinchè il rifiuto del lavoratore sia dichiaratolecito, esso deve apparire come una reazione posta in essere in buona fede e proporzionata alcomportamento illecito del datore di lavoro, tenuto conto del raffronto fra le mansioni rifiutate e quelle didestinazione.Ancora, e si conclude, con la sentenza in esame, si pone come certo un aspetto non considerato dalla Cortedi Appello, e precisamente che l’indagine relativa alla equivalenza o meno delle mansioni deve essere svolta

sorreggere la propria autotutela richiedendo un provvedimento d’urgenza di sospensione degli effetti dell’attopregiudizievole. In tal modo, il rifiuto della prestazione non dovuta risulta conforme all’ordine cautelare, con automaticaesclusione di qualsiasi profilo di colpa anche nell’ipotesi in cui, all’esito del giudizio di merito, fosse accertata la legittimitàdella pretesa del datore di lavoro ed il relativo obbligo di soddisfarla; Vallebona A., Tutele giurisdizionali e autotutelaindividuale del lavoratore, Cedam, Padova, 1995, 130; Zoppoli L., La corrispettività nel contratto di lavoro, Ed.Scientifiche Italiane, 1991, 266.29 In tal senso si vedano: Cass., 7 giugno 2002, n. 7719, in Giust. civ. mass., 2002, 1242; Cass., 14 dicembre 1999, n.10697, ibidem., 1999, 12; Cass., 5 aprile 1984, n. 2231, in Giust. civ., 1985, I, 163; Cass., 6 dicembre 1983, n. 7281, inGiust. civ. mass., 1983, 11.30 Cfr. Cass., 28 luglio 2000, n. 9957, in Giust. civ. mass., 2000, 1655; Cass., 26 giugno 1999, n. 6663, ibidem,1999,1503, con questa decisione la Suprema Corte sancisce che l’illegittimo comportamento del datore di lavoro consistentenell’assegnazione del dipendente a mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica può giustificare il rifiutodella prestazione lavorativa, in forza dell’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., purchè la reazione risultiproporzionata e conforme a buona fede: nella fattispecie concreta è stata confermata la sentenza impugnata nella quale,in base all’interpretazione del Ccnl del commercio da applicare, era stato accertato che nelle mansioni di terzo livello -vale a dire di commesso provetto - rientrava anche quella attinente all’espletamento di operazioni di incasso, sicchèl’assegnazione alla cassa doveva considerarsi esercizio legittimo dello “ius variandi” del datore di lavoro e,conseguentemente, il rifiuto opposto allo svolgimento della predetta mansione doveva considerarsi non giustificato;Cass., 12 ottobre 1996, n. 8939, in Lav. giur., 1997, 422; Cass., 5 dicembre 1988, n. 6609, in Giust. civ. mass., 1988, 12.Sul tema si veda anche Levi A., Il trasferimento disciplinare del prestatore di lavoro, Giappichelli, Torino, 2000, 277.Contra Corte Appello Torino, 8 luglio 2000, in Lav. giur., 2001, 186, per la quale il rifiuto del lavoratore, assegnato anuove mansioni, di fornire la propria prestazione lavorativa, motivato da un’asserita dequalificazione, non può ritenersigiustificato ex art. 1460 c.c., perché la reazione dello stesso risulta non proporzionata e contraria a buona fede.31 Cfr. Cass., 8 febbraio 1999, n. 1074, in Giust. civ. mass, 1999, 288 e in Not. giur. lav., 1999, 335. Nella fattispecie inquestione la lavoratrice era stata licenziata in quanto si era rifiutata di prendere servizio presso il nuovo posto di lavorosito in una città molto distante presentandosi, invece, nelle sede originaria; il giudice di merito, con sentenza confermatadalla Suprema Corte, ha dichiarato illegittimo il licenziamento ritenendo insussistenti i presupposti oggettivi e soggettivi.

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in base non ad un criterio formalistico ma in base alla natura ed al contenuto delle prestazioni effettivamentesvolte, non essendo sufficiente, ai fini dell’accertamento dell’equivalenza, il riferimento in astratto al livello ogrado del sistema di classificazione adottato dalla contrattazione collettiva che presuppone che le nuovemansioni, pur se non identiche, siano aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale e siano, inogni caso, tali da consentire l’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase delrapporto 32.

32 In tal senso: Cass., 1° marzo 2001, n. 2948, in Giust. civ. mass., 2001, 370 e in Foro it. , 2001, I, 1869; Cass., 28 luglio2000, 9957, in Giust. civ. mass., 2000, 1655; Cass., 26 giugno 1999, n. 6663, ibidem, 1999, 1503; Cass., 17 luglio 1998,n. 7040, in Dir. prat. lav., 1999, 2, 119; Cass., 1° luglio 1998, n. 6446, ibidem, 1999, I, 55; Cass., 9 giugno 1998, n. 5684,ibidem, 1998, n. 44, 2971; Cass., 6 novembre 1998, n. 11216, ibidem, 1999, n. 11, 1059; Cass., 7 luglio 1997, n. 6124,ibidem, 1997, n. 43, 3166; Cass., 9 giugno 1997, n. 5162, ibidem, 1997, n. 36, 2647; Cass., 30 luglio 1997, n. 7129,ibidem, 1997, 46, 3399; Cass., 23 novembre 1995 n. 12121, in Dir. lav., 1996, II, 365 e in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 796;Cass., 19 marzo 1991, n. 2896, in Dir. prat. lav., 1991, 25, 1624; Cass., 23 aprile 1986, n. 2881, ibidem, 1986, 34, 2234;Cass., 21 febbraio 1985, n. 1577, in Not. giur. lav., 375; Cass., 8 febbraio 1985, n. 1038, ibidem, 1985, 10, 745; Cass., 5aprile 1984, n. 2231, in Giust. civ., 1985, I, 163; Cass., 14 maggio 1983, n. 3353, in Not. giur. lav., 1983, 356; Cass., 18febbraio 1982, n. 1035, in Or. giur. lav., 1982, 1037; Pret. Napoli, 4 giugno 1991, in Dir. prat. lav., 1991, 46, 3053; Trib.Monza, 16 aprile 1985, in Or. giur. lav., 1985, 727.Si vedano: A.M.B., Recenti orientamenti in tema di ius variandi, in Dir. lav., 1996, II, 351; Caro M., Dequalificazioneprofessionale e strumenti di autotutela, (nota a Cass., 23 novembre 1995, n. 12121) in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 796. Nelcaso specifico, un’impiegata amministrativa, adibita per diciassette anni alla tenuta della contabilità aziendale, vieneassegnata dall’impresa datrice di lavoro a mansioni di collaudatrice in serie di capi di abbigliamento. Al momento dellacomunicazione del mutamento di mansioni, la lavoratrice contesta la legittimità dell’operato aziendale e, preso attodell’irremovibilità della direzione, rifiuta di assumere il nuovo incarico, abbandonando il posto di lavoro. L’Autore,nell’analisi della decisione, rileva come siano presenti, nel panorama giurisprudenziale, sentenze che attribuiscono allavoratore dequalificato il diritto di abbandonare il posto di lavoro e di mettersi a disposizione del datore di lavoro pressola propria abitazione, in attesa di essere chiamato a svolgere le mansioni precedenti o altre equivalenti. Secondo questoorientamento, il rimanere inoperoso presso la sede aziendale arrecherebbe al prestatore di lavoro un grave dannoprofessionale e morale.

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Equivalenza delle mansioniLimite che il datore di lavoro deve rispettare nel variare qualitativamente l'oggetto dellaprestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore. L'obiettivo primario è quello digarantire lo status tecnico professionale del lavoratore.

Patto di dequalificazioneAccordo fra datore di lavoro e lavoratore che prevede l'assegnazione al lavoratore dimansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte. Il demansionamento deverappresentare un rimedio estremo volto ad evitare il licenziamento e deve comunqueessere accompagnato dal consenso del lavoratore.

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Fonte: Diritto e Pratica del lavoro-Settimanale di amministrazione e gestione del personale, Ipsoa Editore