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Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato.

Sal 2, 7

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“Ogni relazione profonda è generativa,perché ci fa essere quello che altrimenti

non saremmo stati”

Mauro Magatti-Chiara Giaccardi

premessa

Nello scorso anno pastorale abbiamo cercato di ritrovare l’alfabeto più semplice del nostro essere Chiesa: fatto di fiducia reciproca, di voglia di incontrarsi e di comunicare, di passione viva per il Vangelo che diventa gusto di testimonianza e forza creativa.

Ci siamo interrogati su che cosa è “Essenziale”, per la vita della comunità e quindi su come essere corresponsabili - “Non da soli” - in ciò che è essenziale.

Il lavoro svolto durante l’anno è confluito nel Convegno pa-storale del giugno scorso, dal quale sono emerse preziose indicazioni per continuare il cammino nel prossimo anno pasto-rale, che prende l’avvio con il Convegno di settembre. Abbiamo fatta nostra l’esortazione di Papa Francesco: “Usciamo, uscia-mo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo…” (Evangelii Gau-dium, 49)

Questo il senso di un “programma pastorale”: non tanto un progetto da attuare, ma un cammino da fare insieme alle no-stre comunità, “uscendo ed entrando” in quelle “periferie” che sono gli ambiti della vita, dalla nascita alla morte, non per “oc-cupare spazi, ma per avviare processi” di Annuncio e di Carità.

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Con la Chiesa che è in Italia

Già il Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona del 2006 ave-va portato a termine il grande sforzo di passare dalla tradizio-nale pastorale “di settore” a un’attenzione globale per l’identità della persona e per le sue relazioni fondamentali esemplificate da cinque ambiti: affetti, lavoro, festa, fragilità, tradizione e cit-tadinanza.

Il Convegno Ecclesiale di Firenze del 2015 è andato ancora oltre, indicando cinque vie da percorrere - uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare - che tracciano la direzione di un compito educativo per una «nuova generazione dell’umano in Cristo».

“Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato”

Questa straordinaria verità richiama ognuno di noi a ricono-scersi collegato ad un prima e ad un dopo, a riconoscere che siamo figli di qualcuno, abbiamo una storia che ci fa diversi in quanto portatori di un nome proprio, di unicità, e dall’altra parte siamo anche padri con una responsabilità rispetto alle genera-zioni successive.

Non si può generare senza la consapevolezza di essere parte di un tutto più ampio, di un Tutto che non finisce con me. “Gene-rare è per eccellenza il modo dell’essere che non sta chiuso in sé, ma si riconosce in relazione, aperto verso gli altri e alla vita. Ed è anche, per eccellenza, il modo dell’agire: far essere qual-

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cosa che prima non c’era”(Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, “Generativi di tutto il mondo unitevi”, Feltrinelli, 61).

La responsabilità spesso la decliniamo come un peso da porta-re, un lavoro da svolgere; sarebbe bello sentirla come la rispo-sta che solo io posso dare all’altro e al mondo, la traccia che porta il mio nome, quel qualcosa che mi rende unico e fecondo.

“L’uomo responsabile è solo colui che non ha come criterio ulti-mo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscien-za, la propria libertà, la propria virtù, ma è pronto a sacrifi-care tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile, nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio: l’uomo responsabile, la cui vita non vuole essere altro che una risposta alla domanda e alla chiamata di Dio.” (Dietrich Bonhoeffer, “La vita responsabile”, San Paolo, 14-15).

L’uomo generato in Cristo

La storia concreta di Gesù è una storia filiale, è la storia del Figlio. Quando noi viviamo nello sguardo del Figlio, diventiamo figli perché ci lasciamo plasmare dalla relazione di Gesù con il Padre e dal mistero con cui il Padre lascia essere e lascia andare nel mondo il Figlio. Nessuno ha con il Padre un rapporto simile a quello vissuto da Gesù: Gesù sa ciò che ‘piace’ al Padre, sente ciò che il Padre desidera e acconsente a Lui. Gesù è conosciuto, guardato con sguardo unico dal Padre e con lo stesso sguardo si rivolge a Lui. Giovanni nel prologo dice della singolarità di questa relazione: Gesù vive costantemente rivolto al Padre (Gv

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1,1.18). Il testo evoca una relazione di contatto con il suo petto, in una sintonia unica e insuperabile con il suo sentire e il suo volere. Si tratta di una relazione singolarissima: un rapporto di amore, un prendersi cura, che gli evangelisti chiamano ‘rela-zione di predilezione’, il Figlio è considerato infatti l’agapetòs, il molto amato, il super amato. Gesù non vuole tenere questa relazione in modo esclusivo per sé: la sua relazione con il Padre è unica, ma non esclusiva, anzi è per natura sua coinvolgente. Il ‘discepolo amato’(Gv 13), che a tavola reclina il capo sul petto di Gesù, vivrà un’esperienza simile nell’ora in cui Gesù è tradito da Giuda.

Essere figli consiste nel riceversi continuamente dalla propria ‘origine’, un riceversi che è la condizione per poter donare. Così è stato singolarmente e totalmente per Gesù, così è per ogni discepolo di Gesù, per ogni credente. Accettare di essere figli, vivere da figli e perciò da fratelli, è la forma singolare della fede cristiana.

Nella storia di Gesù, nelle sue parole e nei suoi gesti fino al culmine dell’evento pasquale, egli racconta l’amore del Padre, i suoi desideri e il suo prendersi cura anche nell’atto estremo del lasciare andare. È la cura del Padre che gli consente di vivere come figlio e fratello e di narrare ai suoi discepoli la medesima identità.

Il cammino della nostra Chiesa in questo anno è dedicato alla riscoperta di ciò che costituisce la nostra identità originaria, identità di figli. Tale riscoperta ci permette di attraversare le ‘so-glie’ dell’esistenza senza cadere nel disorientamento, nell’apa-tia o peggio ancora nella tiepidezza.

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Il percorso prende avvio dalla riflessione sul senso della nascita, sulla riscoperta cioè della persona come un essere-originato, sull’esistere come un riceversi. Il significato della nascita, e resti-tuito dalla vicenda di Gesù, l’unigenito figlio del Padre, nato da Maria, permette di intravedere i tratti filiali di tutto ciò che esiste.

“Tu sei mio figlio” è la rivelazione del Padre a Gesù nel Batte-simo, rivelazione che ci riguarda come afferma San Paolo scri-vendo ai Galati: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”(3,26).

“Tu sei mio Figlio” dice il Padre a Gesù, e Gesù dona a noi la sua stessa identità di figli. Per suo dono e in forza di Lui anche noi siamo ammessi-introdotti, abbiamo accesso alla stessa rela-zione che egli intratteneva con il Padre. Siamo “figli nel Figlio”!

Tre aTTeggiamenti

Evocando l’atto generativo non possiamo che concentrare la nostra attenzione sull’essere figli e sul diventare padri.

Tre Atteggiamenti sembrano accompagnarci nella riscoperta del nostro essere figli nel Figlio:

• desiderare• prendersi cura• lasciare andare

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DesiderareÈ una delle parole più usate e forse meno comprese del nostro tempo. Sembra che viviamo nell’era del fare ciò che desideriamo, avendo tante opzioni a nostra disposizione, ma questo spesso corrisponde a un benessere solo momentaneo e superficiale che ci lascia affamati di qualcosa che non sappiamo nominare. In realtà, non siamo allenati ad ascoltare i nostri desideri profondi che ci dicono chi siamo veramente. Nel desiderio che ci abita risiede il compito che possiamo svolgere su questa terra e quindi lì giace anche il nostro appagamento profondo. Il desiderio sempre suggerisce l’orientamento che ci impedisce di allontanarci dalla meta e che ci fa rimanere sempre in ascolto. Il desiderare implica la pazienza dell’attesa che il germoglio fiorisca. Il desiderio è relazione con l’altro, e con lui si trasforma in esperienza. Mettere in gioco il proprio desiderio e lasciarsi toccare dal desiderio dell’altro è entrare nella meravigliosa danza della reciprocità.

Prendersi cura

Abbiamo il desiderio di generare al mondo uomini e donne li-beri. E se abbiamo il desiderio di generare al mondo – non solo figli, ma anche un’attività, un’associazione, …– questa capacità di offrire la vita ha bisogno di spazi, di luoghi, di forme: ha biso-gno di cura per divenire feconda. Avere cura è la caratteristica propria di chi ama. È la vicinanza amorevole e creativa di chi sa allevare e custodire ciò che gli è prezioso. In modo del tutto singolare la comunità cristiana non ha altra ragione di essere se non ricordare e narrare la cura di Dio per l’uomo.

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Lasciare andare

Sapere che la vita va avanti, che ciò che abbiamo fatto, inven-tato, generato, prenderà strade nuove, diverse da quelle che abbiamo immaginato. Se non lo si lascia andare, ciò che ab-biamo messo al mondo muore. Dunque lasciare andare è de-siderio di futuro, è lasciare che altri possano ereditare ciò che anche noi abbiamo ricevuto. Il linguaggio cristiano chiama tutto questo tradizione.

Un metodo: generare è narrare

Un metodo, il narrare, attraversa le tre attenzioni e con-duce le nostre comunità a ritrovare la novità dell’atto generativo.

Desideriamo vivere il ‘desiderare, prendersi cura, lasciare an-dare’ attraverso l’esperienza della narrazione. A livello comu-nitario, nelle nostre parrocchie, con i nostri catechisti, educatori, operatori pastorali vogliamo ritrovare il gusto di narrare per ge-nerare ancora.Il Dio di Gesù ha parlato, nella storia della salvezza, attraverso la voce di padri impegnati a rispondere agli interrogativi dei loro figli. Le sue strade sono quelle che anche la condizione umana deve percorrere per addentrarsi nell’intricata selva del senso. Esse hanno normalmente a che vedere con il mistero del-la nascita e con il dramma della morte, passando per le gioie e i dolori della vita. Per questa ragione la Scrittura trabocca di nascite, di accorate preghiere per chiedere un figlio e grate

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benedizioni per averlo ricevuto, di infanzie piene di presagi, di morti drammatiche, di innamoramenti e crisi profonde.L’uomo è un essere che racconta; certe cose, che ci sembra-no misteri insondabili diventano vivibili mediante il racconto. La nascita e la morte, gli eventi più ripetitivi del mondo, vengono vissuti come una cosa nuova e unica proprio attraverso la narra-zione. Senza la distanza simbolica del racconto il soggetto non prende coscienza della sua identità.

Quando un padre e una madre mettono al mondo un figlio, per il fatto stesso di volerlo in vita, gli rivolgono implicitamente una promessa: «Fidati, essere uomini vale la pena, venire al mondo merita, e se hai paura, non temere, noi saremo sempre con te». Non si viene al mondo senza questo originario atto di fede. Per alimentarlo e sostenerlo, per farne una cosa credibile e affida-bile, colui che genera deve portare a testimonianza la propria storia, la voce autorevole della propria memoria, capace di assicurare l’avventura di un nuovo essere umano sulle basi di un passato vagliato come il grano. Generare è narrare. Basta pensare a come sono felici i bambini quando i genitori raccon-tano del loro matrimonio. Nel racconto di qualcosa che li ha preceduti essi trovano però la giustificazione di quello che sono, quella persuasione di essere stati voluti che vale come promessa per quello che saranno chiamati a essere. Il racconto di chi genera introduce nella grazia dell’origine, orienta nel cammino della vita, affida alla promessa di un futu-ro. Consente cioè di essere uomini. Raccontare significa sempre esprimere una professione di fede nei confronti dell’esistenza del senso. Senza di questo un essere umano non nasce alla vita del mondo.

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indicazionipastorali

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Il cammino della nostra Chiesa in questo anno è dedicato alla riscoperta di ciò che costituisce la nostra identità originaria, identità di figli. Tale riscoperta ci permette di attraversare le ‘soglie’ dell’esistenza senza cadere nel disorientamento, nell’a-patia, nella dimenticanza.

“QUELLO CHE TU EREDITI DAI TUOI PADRI, RIGUADAGNATELO, PER POSSEDERLO”.

Questa frase - tratta dal Faust di Goethe e scelta come titolo del Meeting per l’amicizia fra i popoli che si è svolto a Rimini alla fine di agosto 2017 - pone l’accento sul bisogno di riappro-priarsi di quello che ci è stato lasciato in eredità.

“È proprio questo che ci interessa facendo memoria di ogni avvenimento del passato in cui il Mistero si è manifestato. Ci interessa riguadagnarlo, che poi è come dire “redimerlo”. Da cosa? Da una distrazione, da una dimenticanza che poco o tanto ha magari lasciato scivolare nel passato un’esperienza in cui l’Eterno si è manifestato nel presente. E’ la verità del cuore del figlio prodigo. Il cuore dell’uomo, in qualunque condizione si trovi, ritrova una strada, la “strada di casa”, della casa del padre, e riguadagna l’eredità, non quella che ha dilapidato, che era un’eredità materiale e che non può mai valere quanto un cuore, ma l’eredità di essere figlio, di lasciarsi rigenerare dal Padre alla vita e alla felicità.Spesso, se l’uomo contemporaneo dilapida l’eredità paterna, non lo fa soltanto per sete di libertà, di indipendenza e di pia-cere, ma perché l’eredità che si è preteso di trasmettere, anche

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culturale, anche religiosa, era un’eredità senza paternità, che ha preteso di trasmettersi senza il padre che la dona. Nessuna eredità è interessante se non trasmette, con essa e per suo tra-mite, un amore alla vita che si comunica solo da cuore a cuore, dal cuore del padre al cuore del figlio, dal cuore del maestro al cuore del discepolo. Un’eredità che non trasmette il cuo-re di chi ci genera, non è interessante, e merita solo di essere dilapidata.” ( Cfr. intervento al Meeting dell’Abate Mauro Lepori)

Che cosa abbiamo ereditato? Cosa abbiamo dilapidato?

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PROMUOVERE UNA PASTORALE INTEGRATA

Tutto quanto abbiamo detto impone un ripensamento della pa-storale: le azioni, i progetti, le iniziative e i soggetti pastorali della Chiesa – osserva Mons. Franco Giulio Brambilla - de-vono funzionare in modo integrato. Pastorale “integrata” e/o pastorale “d’insieme” indicano l’urgenza del momento. Biso-gna che tutti – preti e laici – diventiamo capaci di ascoltare, immaginare, pensare e agire insieme: la parola deve aprirsi al sacramento, la liturgia deve alimentarsi all’evan-gelizzazione, annuncio e celebrazione devono edificare la comunione e la carità, la vita cristiana non può non aprirsi al mondo.Nel Battesimo lo Spirito ci rende figli del Padre, figli con una precisa identità di grazia. E ogni dono è servizio. Mediante lo Spirito siamo generati in Cristo alla vita nuova – figli nel Figlio - e incorporati alla Chiesa, ognuno con una precisa vocazione e missione.

I MINISTERI LAICALI

Il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium ci insegna che Cristo nel suo corpo, che è la Chiesa, continuamente dispensa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù sua, ci aiutiamo vicendevolmente a salvarci (cfr. n. 7), e che «lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma, “di-stribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui” (1Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine, grazie

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speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assu-mersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento della Chiesa e allo sviluppo della sua costruzione, secondo la parola: “A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per-ché torni a comune vantaggio” (1Cor 12,7)» (Cfr. L.G. n. 12).

DIVERSI TIPI DI MINISTERO

Oltre ai ministeri ordinati - episcopato, presbiterato, diaco-nato - che hanno il loro fondamento nel Sacramento dell’Ordi-ne, abbiamo nella Chiesa anche i ministeri istituiti - lettorato e accolitato - detti anche laicali, che hanno il loro fondamento nel Battesimo e nella realtà della Chiesa, tutta ministeriale, co-munione di fede e di amore, come espressa nei grandi docu-menti del Vaticano II.

Questi sono ministeri laicali ma non esauriscono i “ministeri ri-conosciuti” dalla comunità ecclesiale, propri dei fedeli laici. Ci sono anche ministeri di fatto, ai quali la Chiesa riconosce stabilità, per la loro connessione diretta alla vocazione batte-simale dei fedeli laici e per la corrispondenza ai fini ecclesiali propri della comunità cristiana.

I fedeli laici sono chiamati a cooperare alla costruzione della Comunità cristiana mediante lo svolgimento di servizi determi-nati che trovano nell’ambito parrocchiale la loro specifica attua-zione: catechisti, animatori della carità, lettori della Parola nella liturgia, ministri straordinari della comunione, animatori della liturgia, incaricati per la preparazione degli ambienti dove si

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svolge il culto… L’elenco potrebbe essere più esteso e continua-mente in evoluzione.

Ciò che legittima la ministerialità del fedele laico è il suo batte-simo e in generale il suo essere pienamente incorporato alla re-altà ecclesiale mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Con il Vaticano II si è infatti sottolineata la pari dignità e nello stesso tempo la differenza di grado e di essenza tra il sacerdo-zio comune e quello ministeriale.

LA SITUAZIONE

La nostra tradizione ecclesiale è stata caratterizzata dalla centralità della presenza e dell’azione dei preti, mentre ora tale presenza si sta riducendo numericamente e mostra i limiti dovuti all’ innalzamento dell’ età media. Sono quindi ormai numerose le parrocchie (soprattutto di piccole dimensioni) che non hanno più il parroco residente.

Questo dovrebbe generare responsabilità e non diventare un assillo, a volte nevrotico.

Noi non siamo chiamati a garantire il nostro futuro, ma la presenza di Gesù e del suo Vangelo nell’oggi. Dio ci chiede il presente e dentro il presente il futuro che è Lui. Nient’altro.

Una costatazione consolante è che in tante parrocchie ci sono laici, uomini e donne, che con generosità e intelligenza

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sanno assumersi compiti comunitari; che molti di questi hanno maturato una buona formazione personale e pastorale nelle esperienze associative (in particolare nell’Azione Cattolica), nei cammini di catechesi parrocchiali, nei corsi di formazione per operatori pastorali, nella Scuola di formazione teologica per laici.

Le Unità Pastorali, come pure l’esperienza degli Organismi di partecipazione ecclesiale (Consigli Pastorali, Consigli per gli affari economici), anche se in modi e con esiti diversi, hanno fatto crescere il senso della corresponsabilità nella vita eccle-siale. Un segno positivo è dato dalla sorprendente disponibilità di energie laicali che spesso si rivela spontaneamente quando viene meno la presenza del prete. Nei primi mesi del 2018 sa-ranno rinnovati i Consigli Pastorali Parrocchiali, di Unità Pasto-rali e Diocesano. Sarà un’occasione preziosa per educarci alla corresponsabilità in modo che questi organismi siano autentici luoghi di partecipazione.

Ma va riconosciuto che, nonostante qualche tentativo, non sia-mo ancora riuscita a ridire il ministero pastorale in forme ade-guate alla nuova situazione e alle esigenze del nostro tempo. Così come esistono forti ritardi nella comprensione e nella va-lorizzazione della vocazione e della missione dei laici, anche perché - spesso per una carente formazione - un certo numero di essi preferisce assumere ruoli “clericali” anziché sviluppare la propria identità di vocazione laicale.

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RICONOSCERE E VALORIZZARE LA VOCAZIONE DEI LAICI

Sappiamo e crediamo che il Signore non lascia manca-re alla sua chiesa i doni di cui ha bisogno, ma tocca a noi riconoscerli e valorizzarli.

Il nostro presente e il nostro futuro, per quanto ci sembrino diffi-cili e oscuri, sono pur sempre “tempo di Dio”. Le situazioni che ci troviamo a vivere non possono essere né fuggite né subite, ma lette come “segni dei tempi” per mezzo dei quali il Padre ci rimette continuamente sulla via dell’esodo e ci fa scoprire la terra nuova e feconda che prepara per noi.

Avremo bisogno di un grande sforzo di discernimento per com-prendere il progetto di Dio sul nostro futuro; ma in ogni caso un “segno” molto evidente sta davanti a noi e attende risposte: lo sviluppo della vocazione e della missione dei laici nella Chiesa e per il mondo.

La piena partecipazione dei laici infatti è segno di una chiesa che vive la comunione e la missione accogliendo fedelmente tutti i doni dello Spirito, e si apre a un rapporto con il mondo che nasce dalla condivisione dell’esistenza quotidiana, personale e sociale, di ogni uomo e di ogni donna.

La scommessa decisiva è il passaggio dalla collaborazione, in base alla quale i laici danno il loro contributo alla vita comu-nitaria, ma lasciando ogni responsabilità effettiva al parroco,

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alla corresponsabilità, in forza della quale i laici condivido-no con i pastori le scelte e gli impegni della vita ecclesiale, nel rispetto delle diverse funzioni, ma anche assumendo stabilmen-te e personalmente compiti e servizi.

IL DECENTRAMENTO NEI VICARIATI E NELLE UNITÀ PASTORALI

I Vicariati, nella nostra Diocesi, sono nati nel 2001, “come strumento di decentramento della pastorale, per creare un pon-te tra il centro e le realtà del territorio, luogo privilegiato del-la formazione dei sacerdoti e degli operatori pastorali”. Nei Vicariati, attraverso le Unità Pastorali le linee diocesane entrano nei programmi pastorali alla luce delle esigenze del territorio. Con il nuovo anno pastorale, sarà importante e decisivo programmare, in ogni Vicariato, con l’aiuto degli Uffici Pastorali Diocesani, incontri di formazione per i ministeri laicali. Non si tratta prima di tutto di riscrivere la struttura della Diocesi, ma - per usare una espressione di Papa Francesco - “più che occupare spazi, avviare processi”, cammini permanenti, con indicazioni diocesane, ma con una attuazione nei singoli vicariati. Si tratta di creare “luoghi formativi” per Ope-ratori Pastorali. Lo faremo in cinque zone: Piacenza, Castel San Giovanni, Fiorenzuola, Bobbio, Borgotaro.

Sarà necessario “rivedere” i percorsi formativi per i ministri straordinari della comunione legati al territorio e raccor-darli agli Uffici pastorali e in particolare all’Ufficio Liturgico.

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Attivare un percorso di fede per tutti, con una attenzione particolare alla pastorale degli adulti, ai genitori.

Questo programma pastorale ha l’umile pretesa di offrire un “percorso”, cinque tappe, lungo l’anno, all’interno del quale sia possibile far convergere anche le differenti ministerialità.

UN CAMMINO IN CINQUE TEMPI

Guidati dal vangelo di Marco e dall’anno liturgico, l’unitarietà del cammino pastorale si snoda in cinque tempi:

1. TEMPO D’INIZIO: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”

2. TEMPO D’AVVENTO E NATALE: “Diede alla luce il figlio primogenito”

3. TEMPO ORDINARIO: “Figlio perché ci hai fatto questo?”

4. TEMPO QUARESIMA: “Davvero quest’uomo è il Figlio di Dio!”

5. TEMPO PASQUALE: “Egli vi precede in Galilea”

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Per ogni tempo dell’anno proponiamo• un’opera d’arte con lettura interpretativa• un’icona evangelica con il commento• alcune domande per il cammino personale• un percorso narrativo per le nostre comunità

STRUMENTI PASTORALI

Al fine di promuovere buone prassi e dare una risposta alle esi-genze raccolte nei Vicariati e nel Convegno di giugno, gli Uffici pastorali nel corso dell’anno realizzeranno alcuni strumenti indi-rizzati alle nostre comunità. Sarà un’occasione concreta per le parrocchie di confrontarsi sui temi di volta in volta proposti.Particolarmente prezioso, preparato dall’Ufficio Liturgico, sarà il testo per la “Celebrazione in mancanza di presbitero”.

Per crescere ulteriormente nella comunione chiediamo alle di-verse comunità parrocchiali di condividere concretamente le esperienze maturate negli anni circa i temi generatori del cam-mino dell’anno. Sarà sufficiente comunicarle, tramite file ([email protected]), al Coordinamento degli Uffici Pastorali, che provvederà a creare un archivio aperto e a di-sposizione di tutti.

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Per i più piccoli

La mostra “Io Pinocchio”La mostra ripercorre la storia del famoso burattino permetten-do al bambino che la guarda di scoprire il significato di essere figlio. Pinocchio infatti, tra allontanamenti e monellerie, si ritro-verà a ricercare continuamente il perdono di Geppetto e a ri-tornare se,pre a quel rapporto di padre e figlio che gli dona la sua identità.Da Gennaio la mostra sarà a disposizione di parrocchie, orato-ri, scuole che ne faranno richiesta agli Uffici Pastorali.

UN INVITO ALLA PREGHIERA

Proponiamo per l’inizio dell’Anno Pastorale un tempo -impor-tante- di preghiera e di riflessione. Nelle Parrocchie grandi, nel-le Unità Pastorali o nei Vicariati.Potrà essere una giornata di ritiro, o di “Esercizi Spirituali Feria-li”, o altro.

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tu seiil figlio mio,l’amato.

1.tempod’inizio

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EL GRECOBATTESIMO DI GESÙ

1608-1614, OLIO SU TELA, TOLEDO, HOSPITAL DE TAVERA

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Nel primo decennio del XVII secolo il grande pittore El Greco fu impegnato nello studio di alcune tele per l’ospedale Tavera di Toledo. Egli lascerà in quella splendida città spagnola alcuni capolavori. La grande tela che ci affascina ora però è il Batte-simo di Gesù. Ha grandi dimensioni, è allungata verso l’alto, sviluppandosi in uno spazio che ben si adatta alle tipiche forme di questo visionario pittore. Pare dipinta oggi. Singolare nei tratti delle forme umane, nell’uso delle pennellate e dei colori, nei volti che, appena accennati, si definiscono con una precisione unica nello sguardo di chi li osserva. È inconfondibile.

Le figure più grandi della parte bassa subito ci presentano una scena più vicina a noi, una scena che appartiene alla terra: al centro l’acqua che copiosa, da una conchiglia cade sulla testa del Cristo. È un giovane uomo, che pur possente nel tratto, as-sume una umile posizione: diviene la più bassa, la più umile di tutte le figure. Eppure è così grande! Si fa piccolo di fronte a chi quell’acqua versa: Giovanni il Battista. Figura ascetica e delica-ta a un tempo, che con ritrosia alza una mano da cui un indice si stacca. Egli si rende così riconoscibile: è colui che indica, è il precursore, il messaggero mandato davanti. Scompare poi tutto il paesaggio: solo un turbinio di figure si assiepa intorno al Cri-sto, prossimo dall’essere avvolto nel manto porpora, preludio della sua passione, e nel manto chiaro, preludio della sua risur-rezione. Quelle figure sono le stesse figure angeliche che fanno da trono al Padre, alla figura che nel cielo trattiene nella sua mano potente e sapiente l’universo, che con l’atra mano parla della propria realtà (tre dita unite attraverso il tocco del pollice: unico Dio in tre persone). È il creatore. E da lui scende, come fiume di luce, una scia che si trasforma in colomba: il Padre fa

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udire la sua voce, lo Spirito discende come colomba. E il cielo si apre gioiosamente affollato di luce.

icona evangelica

Battesimo di Gesù e nostro BattesimoGiovanni Battista e Battesimo di Gesù al Giordano (Mc 1,1-11)

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. 2Come sta scritto nel profeta Isaia:Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:egli preparerà la tua via.3Voce di uno che grida nel deserto:Preparate la via del Signore,raddrizzate i suoi sentieri, 4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorre-vano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Ge-rusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cam-mello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. 9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giorda-no da Giovanni. 10E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciar-

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si i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

Per entrare nella Parola

In Marco, la descrizione del battesimo è molto rapida (vv. 9-11); siamo all’inizio del vangelo e il battesimo è la prima azione di Gesù descritta in assoluto. Ben più ampio invece il raccon-to dell’attività battezzatrice di Giovanni Battista che lo precede (vv. 2-8); le parole del Battista servono a presentare la persona di Gesù: è lui «il più forte» che verrà a «battezzare in Spirito Santo». Il Battesimo conferma queste parole e svela a chi legge il Vangelo la vera identità di Gesù: egli è il Figlio di Dio. È possibile riconoscere, nel racconto, molti elementi legati all’Antico Testamento. L’apertura dei cieli è un tema biblico ricor-rente (cf. Is 63,19), la «colomba» allude a Gen 1,2 (lo Spirito) e Gen 8,8 (Noè); le parole che giungono dal cielo alludono al Sal 2,7, ma anche al servo del Signore in Is 42,1 e al figlio amato di Gen 22,2 (il racconto di Abramo e Isacco). Ciò si-gnifica che la vicenda di Gesù è la prosecuzione dell’alleanza che Dio aveva già stabilito con gli uomini; c’è una storia che ci precede, il Padre di Gesù è il Dio di Abramo. L’elemento principale su cui Marco concentra l’attenzione è la rivelazione di Gesù: per lui, cioè, con il battesimo si ebbe la prima manifestazione del Figlio di Dio, Messia e servo di Dio. Marco non dà troppa importanza al fatto che Cristo vide qual-cosa e non dice neppure che sentisse la voce (come per una vocazione profetica): gli interessano soprattutto l’apertura dei

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cieli, la discesa dello Spirito e la voce che dichiara l’identità divina di Gesù. Chi legge il Vangelo, d’ora in poi, sa bene chi è Gesù, ed egli, d’altra parte, riempito di Spirito Santo, può iniziare la sua missione come Figlio di Dio venuto nel mondo.

Per il cammino personale

“Questa vita improntata a quella di Gesù potrà suscitare inter-rogativi, far nascere domande, così che ai cristiani verrà chiesto di “rendere conto della speranza che li abita” e della fonte del loro comportamento. Per questo servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza stessa che la vita cristiana è “buo-na”: quale segno più grande di una vita abitata dalla carità, dal fare il bene, dall’amore gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini, soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia? Teofilo di Antiochia, un vescovo del II secolo, ai pagani che gli chiedevano “mostra-mi il tuo Dio”, ribaltava la domanda: “mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il tuo Dio”, mostrami la tua umanità e noi cristiani, at-traverso la nostra umanità, vi diremo chi è il nostro Dio. I cristiani del XXI secolo possono dire questo? Sanno mostrare una fede che plasma la loro vita a imitazione di quella di Gesù, fino a far apparire in loro la differenza cristiana? La loro vita propone una forma di uomo, un modo umano di vivere che racconti Dio, attraverso Gesù Cristo?”

Carlo Maria Martini

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Ti sei sentito amato nella tua vita? Senti di vivere da figlio? Hai la consapevolezza che all’inizio della tua vita c’è un “si” benedicente, definitivo, invincibile?Senti che vivi il momento presente con tutta l’intensità con la quale sei chiamato a vivere?

Percorso narrativo per la comunità

Generare è narrare

I destinatari individuati per questo percorso sono i membri del Consiglio Pastorale parrocchiale e gli operatori pastorali in sen-so generale.L’obiettivo è quello di realizzare una raccolta di “narrazio-ni” al fine di consolidare una prassi e una coscienza condivisa circa l’accoglienza di una nuova vita all’interno della comunità cristiana.Sarà un ritrovarsi insieme per riflettere sul senso del mettere al mondo e del generare alla fede.In ogni comunità si individuano alcuni genitori impegnati nella vita della parrocchiale, a cui si chiede di raccontare la propria esperienza, i propri ricordi, le proprie attese, le gioie e le paure originate dall’evento di una nuova nascita nel proprio nucleo famigliare.I diversi racconti individuali confluiranno in un unico racconto condiviso.

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A partire da questa narrazione, la comunità è chiamata a do-mandarsi in che modo e in quale misura è in grado di prender-si cura di una nuova vita e di generarla alla fede.Il racconto consegnato alla comunità cristiana diventerà uno strumento utile capace di esprimere una cura pastorale. Gra-zie a questa traditio, trasmissione, l’atto generativo consentirà anche di lasciare in eredità un patrimonio importante per le ge-nerazioni future.Sarà messa disposizione una scheda per il lavoro scaricabile sul sito della Diocesi.

Strumenti pastorali

• Percorsi per la preparazione dei genitori al Battesimo dei figli e indicazioni e materiali per la celebrazione del sacra-mento.

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diede alla luceil figlioprimogenito.

2.tempod’avventoe natale

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GEORGES DE LA TOURADORAZIONE DEI PASTORI

1644, OLIO SU TELA, PARIGI, MUSÉE DU LOUVRE, PARIGI

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Nel 1644, in un paese nei territori franco-tedeschi, Georges De La Tour, il grande maestro della luce, terminava questa sua ope-ra mirabile. Tutto qui è sapiente uso del colore per raccontare la luce, per narrare quello che è impalpabile. Ed è proprio un racconto quello che viene evocato. È un racconto in cui prota-gonista è la luce, proprio come sempre nelle opere di questo grande artista.

È la sapiente mano del pittore che compone una scena assai equilibrata. Cinque figure adulte divengono la corona che la-scia il posto libero ad uno spettatore attento. Sono Maria (a sinistra) e Giuseppe (a destra), il quale tenendo la candela, in-dirizza la luce della candela verso il centro della scena, attiran-do così il nostro sguardo talvolta distratto. Sono nel frattempo giunti i pastori, coloro che vediamo di fronte a noi, e hanno portato qualcosa in una pentola per quella povera famiglia. Si, perché si tratta di una famiglia umile che ha appena vissuto una delle gioie più grandi che si danno nella vita di una donna e di un uomo: la nascita di un figlio. È venuto alla luce, ed è il pri-mogenito! Lo accolgono i poveri, lui stesso è povero! Il piccolo corpo fasciato, secondo il costume dell’epoca del pittore, è in-fatti adagiato in un semplice canestro. Un agnello si affaccia: è lui che ci segnala chi sono gli avventori. La luce: è stato dato alla luce ed è la luce a un tempo. Quei corpi, che sembrano i manichini di una composizione costruita ad arte, trovano vita nel calore della luce di una candela. La loro carne si scalda, si anima, si colora. E quel bimbo diventa luce: non riflette soltanto la luce, ma ne diviene la fonte. Eccolo al centro: è nato! E quella nascita cambia il mondo: lo scalda, lo anima, lo colora come solo la luce sa fare.

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icona evangelica

Nascita di Gesù (Lc 2, 1-7)

1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si fa-cesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti anda-vano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giu-seppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una man-giatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

Per entrare nella Parola

Il racconto della nascita di Gesù fatto dal Vangelo secondo Luca è molto discreto, e inizia ricordando la circostanza sto-rica (il censimento) che costringe Giuseppe e Maria al lungo viaggio verso Betlemme, città di Davide, città del Messia atteso. Solo dopo Luca ricorderà la venuta dei pastori, gli angeli, la luce e la gloria: fino al momento della nascita, ciò che prevale è la normalità e la fatica di una coppia costretta a vedere nascere il proprio bambino lontano dalla propria casa. Sia Giuseppe che Maria hanno un ruolo, ben evidenziato da

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Luca; Giuseppe assicura il legame con la storia che precede: la casa di Davide, la città santa di Betlemme; Maria è sposa e madre, è colei che porta in sé il bimbo, avvolge in fasce... Circostanze e gesti semplici: giorni che si compiono, bimbo av-volto in fasce, bimbo deposto nella mangiatoia, tra il fieno cibo degli animali. Niente di spirituale, niente di astratto, ma tutta la concretezza che circonda ogni nascita, che ci ricorda che ogni bimbo è figlio di un padre e di una madre, e che ciascuno di noi nasce come un dono. Anche Gesù, come ogni bambino che nasce, è accolto su questa terra da un padre e una madre; ma la sua nascita misteriosa e rispondente all’antico disegno della Scrittura attesta che egli è anzitutto figlio di un Padre diverso, altro, che ci precede con il suo amore e ci dona la vita. In lui anche noi siamo figli di questo Padre celeste.

Per il cammino personale

“Questo Natale non è stato come gli altri. È ancora carico di significato. Come Maria, conserviamo tutte le cose che ci sono successe. Proseguiamo quella meditazione che lei iniziò nel suo cuore. Il significato, come una spada, ci trafigge. Il Verbo pren-de questa comunità di carne e di sangue per narrarsi qui, oggi. […] Tutto è pasquale nella vita del Figlio. Dobbiamo avere una visione ampia del mistero pasquale. Morte e risurrezione fanno parte del mistero dell’incarnazione che consiste a prendere l’u-manità per introdurla nella gloria di Dio. Dobbiamo trovare nel mistero dell’incarnazione le vere ragioni della nostra presenza. Nella Pasqua di Cristo, la redenzione è il motivo, ma l’incar-

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nazione è il modo. Dopo la prima visita di un gruppo armato in monastero, il Natale del 1993, abbiamo celebrato la messa di mezzanotte. Dovevamo accogliere questo bambino indifeso e già minacciato. Attraverso questi eventi ci siamo sentiti invi-tati a “nascere”. La vita di un uomo passa di nascita in nascita. Giovanni, l’evangelista dell’incarnazione – «e il Verbo si è fatto carne» –, era l’unico discepolo presente ai piedi della croce. Ci presenta l’intera vita di Cristo come un mi-stero di incarna-zione. Nella nostra vita c’è sempre un bambino da mettere al mondo: il figlio di Dio che noi siamo. “Bisogna rinascere”, ha detto a Nicodemo. Questa nascita ci è proposta nella chiesa. La chiesa è il proseguimento dell’incarnazione. Essa non ha che noi, qui, per continuare l’incarnazione. Nel bene e nel male. […] Dobbiamo essere testimoni dell’Emmanuele, cioè del “Dio-con”. C’è una presenza del “Dio tra gli uomini” che proprio noi dobbiamo assumere.”

Frère Christian De Cherge e gli altri Monaci di Tibhirine

A Natale celebriamo una nascita che ci chiede incessantemente di rinascere. Nella nostra vita c’è sempre il bisogno di mettere al mondo il figlio di Dio che noi siamo. In che cosa sento la necessità di rinascere? In che cosa sento il bisogno di rinsaldare il legame con la storia che mi precede? In che misura mi sento figlio di una storia che mi precede e padre di un futuro che deve compiersi?

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Percorso narrativo per la comunità

Nonno raccontami

I soggetti individuati per questo percorso sono gli adultissimi delle nostre comunità, in grado di narrare ai giovani la propria storia con l’obiettivo di creare il più possibile occasioni d’incon-tro tra le diverse generazioni.In ogni comunità si individuano alcuni adulti-anziani in grado di narrare, a partire dai temi della fede, il Natale di tempi passati, facendo affiorare il ricordo delle tradizioni liturgiche e familiari (i regali che si ricevevano, i piatti tipici, i vestiti che s’indossava-no…).Si predispongono un tempo e un luogo dove vivere questa nar-razione tra generazioni.Pare opportuno valorizzare luoghi come centri anziani o case di riposo, oppure le scuole materne…Per custodire la memoria di questi incontri preziosi si consiglia una documentazione audio-video.

Strumenti pastorali

• Percorsi e sussidi per il tempo di Avvento-Natale.

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figlio,perchè ci haifatto questo?

3.tempoordinario

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SIMONE MARTINIRITORNO DI GESÙ A BETLEMME DOPO LA DISPUTA COI DOTTORI

1342, TEMPERA SU TAVOLA, LIVERPOOL, WALKER ART GALLERY

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Datata al 1342, opera del maestro Simone Martini, questa ta-vola fa trasparire la sapiente ricerca che innerva la sua produ-zione artistica. L’intreccio tra tradizione e ricerca realistica, sta-ticità e solennità insieme con un rinnovato afflato classico, per il vero mai tramontato, fanno di questa tavola un interessante insieme di suggestioni e occasioni di riflessione.

L’episodio è stranamente portato agli epigoni: la narrazione infatti è quella del ritrovamento di Gesù adolescente mentre di-scute coi dottori del tempio, ritrovamento operato da Maria e Giuseppe. Mentre il vangelo sovrappone l’episodio al dialogo breve e acceso tra madre e figlio, qui il pittore ci lascia intuire che la made, seduta e con l’aria seria voglia chiedere spiega-zioni: figlio perché ci hai fatto questo? Ormai i tre hanno abban-donato il tempio e qui si accende il dialogo. Il tratto della madre si fa preoccupato. Con un gesto a un tempo accogliente e inter-rogante, pare tradisca una richiesta di chiarimento, il quale dif-ficilmente potrà fare a meno di tutta quella storia che l’annuncio della buona novella custodisce nei libri del vangelo. E proprio un libro è trattenuto dalla madre che si rivolge al figlio. Giu-seppe, con fare buono e severo a un tempo, invita il ragazzo a mostrarsi accondiscendente all’interrogare di una madre pre-occupata. E il figlio rimane col viso serio, meditabondo, quasi stupefatto di quella domanda: non sapevate che debbo occu-parmi delle cose del padre mio? Prende forma in lui il sapere altro di chi sta per compiere il proprio cammino, di chi è affidato alla cura perché possa divenire colui che si prende cura. Una tavola dunque che rende intimo lo scambio di una battuta, di un’incomprensione che rimarrà a denotare la storia di un mon-do in cui ogni singolo essere umano è chiamato all’affidamento.

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Ma è un affidarsi che chiede di essere rinnovato con gioia in una quotidianità che mai si presenta uguale. Ogni credente è così invitato a lasciare il proprio tratto dubbioso, assumendo, proprio come Maria, quella posa umile che la rende docile alla risposta di quello straordinario figlio donato.

icona evangelica

ritrovamento di gesù nel tempio(Lc 2, 41-52)

41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rima-se a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalem-me. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, ango-sciati, ti cercavamo”. 49Ed egli rispose loro: “Perché mi cercava-te? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sotto-

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messo. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Per entrare nella Parola

È un brano particolare questo di Luca, che leggiamo sempre con un misto di incomprensione e imbarazzo. Perché Gesù si sottrae ai suoi genitori? Com’è possibile che a dodici anni pos-sa già competere con i sapienti del Tempio? Perché Maria e Giuseppe non capiscono? Perché egli risponde loro in un modo quasi irrispettoso? Questa piccola pagina di Luca (solo lui la riporta, tra tutti i Vangeli) getta una luce diversa sul rapporto tra Gesù e i suoi genitori, e tra Gesù e il Padre. Proprio il contrasto tra i suoi genitori, in particolare Giuseppe, e il Padre (celeste) è il cuore del brano. Se ci si fa caso, il narratore non nomina mai Giuseppe da solo, ancor meno lo chiama “padre” di Gesù; è solo Maria che afferma questo, suscitando la reazione del figlio: «tuo padre ed io ti cercavamo»… «devo occuparmi del-le cose del Padre mio». «Tuo padre»/«Padre mio»: due punti di vista differenti, che consentono al Vangelo secondo Luca di chiudere i racconti dell’infanzia e iniziare il lungo racconto di questo figlio così speciale, che – dopo il tempo della custodia a Nazaret – si rivela per quello che è: il Figlio di Dio, colui che rivela Dio nel mondo. Ma la pagina di Vangelo dice anche qualcos’altro: nelle parole di Gesù sussiste una verità che vale per ciascuno di noi. Siamo tutti figli, in un modo radicale, di quel Dio che ci ha voluti e cre-ati, e mandati nel mondo. È un legame più profondo di quello

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con la madre e il padre, perché lo precede e lo genera. Certo, è sempre una fatica il distacco: anche Maria non comprende! Ma occorre lasciare, sempre, nei rapporti più veri, per riconoscere che l’altro è dato, è dono, non è mio.

Per il cammino personale

“I suoi genitori sono stupefatti, sorpresi, e la madre Maria lo rimprovera: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!”. Gesù con semplicità replica loro senza biasimarli, ma facendo una rivelazione, che si espri-me con una prima domanda: “Perché mi cercavate?”. Parole che certamente hanno raggiunto il cuore di Maria e Giuseppe, i quali hanno dovuto interrogare se stessi, i loro sentimenti e la loro fede riguardo a questo Figlio dono di Dio, nato per volon-tà di Dio e non per loro volontà. Poi Gesù pone una seconda domanda: “Non sapevate che devo stare presso il Padre mio?”. Egli ha un Padre che è il suo vero Padre, da lui riconosciuto come tale: è Dio, e Gesù, ora che è stato messo al mondo ed è cresciuto, deve stare, rimanere presso il Padre, nel tempio che al suo cuore, il Santo dei santi, contiene la sua Presenza. Gesù deve stare presso il Padre, è una necessità per lui, ed egli tante volte nella sua vita sentirà e annuncerà ai suoi discepoli che qualcosa “è necessario, bisogna, occorre” (deî). Lungo tutta la sua esistenza Gesù obbedisce a tale “necessità”, non perché questo sia il suo destino, dal momento che egli conserva sempre una piena libertà, ma perché questa è la sua volontà e la sua missione: compiere ciò che Dio suo Padre gli chiede.”

Enzo Bianchi

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Come viviamo il rapporto con i nostri figli e con le nuove generazioni? Quali tempi e spazi dedichiamo al dialogo con loro e alla narrazione reciproca delle nostre vite? Con quali atteggiamenti ci poniamo difronte alle loro scelte di vita, come viviamo il necessariodistacco da noi? Come da adulti-educatori riusciamo a stare den-tro in questo preciso tempo storico?

Percorso narrativo per la comunità

Una generazione narra all’altraI destinatari di questo percorso sono i genitori in dialogo con i loro figli, più in generale gli adulti e i giovani della comunità.L’obiettivo è creare occasioni di dialogo “genitori-figli” su alcuni snodi cruciali dell’esistenza. Gli adulti saranno chiamati a nar-rare la scoperta della propria vocazione (come hanno maturato le proprie scelte in campo affettivo, professionale, di fede…).

Sarà messa disposizione una scheda per il lavoro scaricabile sul sito della Diocesi.

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Strumenti pastorali

• Il Consiglio pastorale: luogo di corresponsabilità e discerni-mento. Indicazioni e materiali per accompagnare il tempo del rinnovo dei Consigli e ridire un metodo di lavoro.

• Itinerario per genitori alla riscoperta del rapporto tra geni-tori e figli.

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davveroquest’uomoè il figliodi dio!

4.tempodi quaresima

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HANS MEMLINGPOLITTICO DELLA PASSIONE (particolare)

1491, OLIO SU TAVOLA, LUBECCA, MUSEUMSQUARTIER ST. ANNEN

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Nel 1491 prende forma il Polittico della Passione di Lubecca di Hans Memling. Opera che si attarda in un’infinità di particolari, come ogni opera d’ispirazione fiamminga di quest’epoca, ri-chiede attenzione e pazienza, caratteristiche che ne hanno se-gnato anche l’operare del pittore. Tavola preziosa, ci racconta della morte e della vita, annuncio di qualcosa di grande seppu-re segnato dalla torva presenza del soffrire.

L’articolata opera del maestro bavarese operante nelle Fiandre, pone al centro, alto e ben visibile, il Cristo crocifisso: domina tutta la scena e tutto avviene intorno a lui. I due ladroni sono rivolti a quella croce centrale, chiamati ad intrattenere con essa un dialogo fatto di parole, sguardi, silenzi. Dietro la città che ha rigettato fuori il profeta, affinché conosca una morte ignominio-sa. Ai piedi di quella croce, ossa che evocano altre sentenze ca-pitali, avvenute senza alcuna pietà, neppure quella della sepol-tura. Negli angoli in basso due momenti in contraddizione tra loro: una madre straziata dal dolore, soccorsa dal gesto d’affet-to d’una donna e dal sostegno dell’apostolo Giovanni a sinistra; voraci e gaudenti soldati, ormai troppo abituati alla morte per essere distratti nel loro gioco feroce di chi spartisce un bottino a destra. Vicino alla croce, ad un livello che pare inclinare il piano, donando centralità all’evento stesso nella crocefissione posta a metà tra lo sfondo e l’osservatore, ecco una parata di personaggi interessanti. Se alla nostra sinistra compare il sol-dato a cui la tradizione ha attribuito il nome di Longino, intento con un gesto solenne a portare a termine, aiutato da un altro, il suo compito di carnefice, tocca ad un altro guerriero, con gesto sicuro e sguardo fiero, dare voce a quelle parole che furono del centurione: davvero costui era Figlio di Dio. Semplice confes-

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sione di una fede schietta, nata dall’esperienza di un incontro: essa si articola in questa serie di personaggi, che non sono altro che il committente e i suoi famigliari. La loro fede è nel tempo, nella storia, come quella di ciascuno di noi che può fare proprie quelle parole semplici e benedette.

Icona evangelica

La morte di Gesù (Mc 15,2-39)

2Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa “Luogo del cranio”, 23e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. 24Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tiran-do a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. 25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. 26La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei”. 27Con lui crocifis-sero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. [ 28]29Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, 30salva te stesso scendendo dalla croce!”. 31Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! 32Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!”. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.33Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “ Eloì,

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Eloì, lemà sabactàni? “ , che significa: “ Dio mio, Dio mio, per-ché mi hai abbandonato? “. 35Udendo questo, alcuni dei pre-senti dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. 36Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere , dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere”. 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.38Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. 39Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.

Per entrare nella Parola

Di tutto il lungo brano della morte di Gesù, ci soffermiamo sol-tanto sulle parole del centurione, che ne costituiscono la con-clusione: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». Sono parole importanti, che Marco colloca in modo speciale al termine del Vangelo, riprendendo  il programma narrativo esposto in Mc 1,1 («Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio»), che era già stato parzialmente portato a termine dalla confessione di Pietro («tu sei li Cristo») in Mc 8,29. Il centurione romano (cioè, straniero e pagano), è in questo Vangelo il primo uomo a dichiarare che Gesù è «Figlio di Dio» (prima di lui, infatti, solo i demoni avevano fatto dichiarazioni simili). Inoltre, egli constata in modo chiaro la morte di Gesù (dice, infatti, che Gesù «era» figlio: non «è» più, quindi); importante anche la costatazione che il centurione parla dopo che «ha vi-sto» Gesù morire, potente richiamo al lettore: il centurione, che «vede», costringe anche il lettore a fermarsi per comprenderne il valore di quella morte.

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Ma perché un centurione romano? Non c’erano altri, sotto la croce? In Marco – va ricordato – no, davvero non vi sono altri sotto la croce: non i discepoli, non Maria; solo alcune donne, ma da lontano, assistono alla morte di Gesù, abbandonato, solo, oltraggiato. E poi, che sia un romano a vedere in Gesù il Figlio, istituisce un potente effetto di contrasto con gli altri perso-naggi coinvolti, i capi giudaici (e la folla), che – pur essendo gli eredi dell’alleanza e i custodi della fede dei padri – sono rimasti ciechi, non hanno visto in Gesù il Messia. Il Vangelo ci invita: chi siamo, noi, sotto la croce? I discepoli che fuggono, i capi che oltraggiano, la folla che assiste o quel soldato di Roma? Certo, non è facile vedere in un condannato, in un morto ammazzato, il Messia. In questa pagina di Marco c’è tutto il paradosso della croce e del Vangelo: quel crocifisso è il salvatore, quel disprezzato è il giusto, quel cadavere è fonte di vita. Eppure, il centurione ha visto e capito. E noi?

Per il cammino personale si rimanda al sussidio per il tempo forte della Quaresima.

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Percorso narrativo per la comunità

Quest’uomo era figlio di DioI soggetti di questo percorso sono giovani e i ragazzi della comunità.L’obiettivo è quello di reinterpretare, attraverso i differenti lin-guaggi e le diverse capacità espressive, i tre brani dell’annuncio della Passione proposti per il percorso di Quaresima e offirili alla comunità tutta in occasione delle stazioni quaresimali o per la tradizionale preghiera dei giovani di Quaresima nei vicariati.

Strumenti pastorali

• Percorsi e sussidi per il tempo di Quaresima - Pasqua

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eglivi precedein galilea.

5.tempopasquale

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MATTHIAS GRUNEWALDPOLITTICO DI ISENHEIM (particolare)

1512-1516, OLIO E TEMPERA SU TAVOLA, COLMAR (ALSAZIA), MUSÉE D’UNTERLINDER

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Tra il 1512 e il 1516 Grünewald, potente pittore tedesco, dipinse un polittico che la storia dell’arte consacrò come una delle ope-re più grandi che un pittore seppe fare. È il grande polittico di Sant’Antonio Abate i Isenheim: sulle ante, disposte l’una dopo l’altra, si tratteggia il mistero della redenzione in Cristo. La cele-bre crocefissione così è seguita da una visionaria resurrezione.

La risurrezione di Grünewald denuncia senza esitazione un cambiamento straordinario: il corpo martoriato, sfigurato che era stato inchiodato sulla croce, è ora sospeso tra cielo e ter-ra, in una luminosa, abbagliante bellezza. Quel rosso che lo avvolge canta la forza della passione, dell’amore, del sangue che è stato versato. Quelle mani e quei piedi segnati dai chiodi, senza esitazione ci dicono che è lui, il crocifisso. La sua non è la luce immateriale e senza storia di quanto è separato dal mon-do. La sua è la presenza amorevole di Dio che si è manifestato al mondo amandolo fino all’offerta di sé. Chi ci farà rotolare via la pietra, si chiedevano le donne che volevano visitare quella tomba. Ed eccola divelta ai piedi del risorto. E i soldati che ve-gliavano affinché la morte potesse regnare, sconfitti, nei loro gesti scomposti, non possono che rimanere disarmati di fronte a tanta forza. Ma ancor più straordinario è quel mondo, quell’au-ra colorata intorno al Cristo: è quel mondo trasformato, ricre-ato: ogni discepolo è chiamato ora a raccontarne la bellezza ritrovata e trasfigurata. È la notte che si fa giorno, in cui tutto è luce e vita, in cui le stelle vegliano in un buio che fa trattenere il respiro tanto è affascinante e profondo. Quelle stelle silenziose gioiscono del prodigioso accadere della salvezza. Non resta che tornare all’inizio, a quell’inizio da cui tutto era partito, a quella terra di Galilea da cui ora tutto comincia in modo nuovo per ogni esistenza, per tutta la storia: surrexit Dominus vere.

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Icona evangelica

Il Risorto appare alle donne

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepol-cro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: “Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?”. 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.  5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero pau-ra. 6Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”. 8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

Per entrare nella Parola

Splendido brano questa pagina finale del Vangelo secon-do Marco. Poche righe per annunciare l’indicibile («è risorto, non è qui») e per lasciare il lettore in uno stato di sconcerto e sospensione che lo costringe a non rimanere tranquillo. Perché ci si accorge subito che manca qualcosa a questa pagina che finisce così, troncata in modo così strano. Eppure gli ingredienti della resurrezione ci sono tutti: le donne

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che vanno con gli oli aromatici, la pietra da far rotolare via, la figura angelica (in realtà «un giovane», dice il vangelo), l’invito a non temere, le parole dell’annuncio di Pasqua («è risorto!»), il sepolcro vuoto. Tutto quello che serve per credere, pensiamo noi. Certo, Gesù non si fa vedere, ma fa promettere ai discepoli che l’incontro avverrà, in quella Galilea dove tutto era iniziato. Eppure, il Vangelo ci stupisce con quel finale così sorprendente: le donne, piene di spavento, fuggono e non dicono niente a nessuno. Ci chiediamo: com’è possibile? Eppure, non è questa la vera domanda. Chiediamoci piuttosto perché Marco finisce il rac-conto in questo modo! Questo finale aperto e sospeso lascia al lettore, a noi che leggiamo, a noi che ascoltiamo quelle pa-role, il compito di entrare nel racconto e continuare la storia… La paura delle donne e il loro silenzio sono per accendere la partecipazione del lettore. Gesù vuole apparire non solo ai di-scepoli della prima ora, ma a noi, sempre. Vuole interpellare e inviare non solo quei discepoli; egli continua a inviare anche noi. È a noi che dipende, oggi, che risuoni ancora l’annuncio che Gesù è vivo, che Gesù è presente, che siamo figli nel Figlio.

Per il cammino personale

Ritornare in Galilea vuol dire rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria; senza paura, “non temete”. Rileggere tutto – la predicazione, i miracoli, la nuova comunità, gli entusiasmi e le defezioni, fino al tradimento – rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio, da questo supremo atto d’amore.Anche per ognuno di noi c’è una “Galilea” all’origine del cam-

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mino con Gesù. “Andare in Galilea” significa qualcosa di bel-lo, significa per noi riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana. Tornare in Galilea significa anzitutto tornare lì, a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. E’ da quella scintil-la che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle. Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona e mite.Nella vita del cristiano, dopo il Battesimo, c’è anche un’altra “Galilea”, una “Galilea” più esistenziale: l’esperienza dell’in-contro personale con Gesù Cristo, che mi ha chiamato a seguir-lo e a partecipare alla sua missione. In questo senso, tornare in Galilea significa custodire nel cuore la memoria viva di que-sta chiamata, quando Gesù è passato sulla mia strada, mi ha guardato con misericordia, mi ha chiesto di seguirlo; tornare in Galilea significa recuperare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi si sono incrociati con i miei, il momento in cui mi ha fatto sentire che mi amava.

Qual è la mia Galilea? Si tratta di fare memoria, andare indietro col ricordo. Dov’è la mia Galilea? La ricordo? L’ho dimenticata?

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Percorso narrativo per la comunità

La nostra Galilea

Tutta la comunità è chiamata a riconoscere i luoghi genera-tori dell’esperienza di fede e a interrogarsi su come è possibile custodirli nel tempo.Questo avverrà attraverso racconti-testimonianze da par-te di figure significative: il parroco, un educatore/catechi-sta, un membro della Caritas, un missionario…. Le narrazioni potranno confluire nella Veglia di Pentecoste, che proponiamo di vivere a livello parrocchiale o di Unità pastorale.

Strumenti pastorali

• Percorsi per la preparazione dei genitori ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e indicazioni e materiali per la ce-lebrazione dei sacramenti.

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SANTA FRANCA: 800 ANNI D’INTERCESSIONE

Nel 2018 ricorre l’ottocentesimo anniversario della morte di santa Franca.“A Santa Franca dobbiamo molto, ed esserle grati per come ha vissuto la sua vita, per come è diventata santa nella sua vita. Non è così scontato fare della propria vita un luogo di santità.Insieme a S. Raimondo e a S. Fulco Scotti, Vescovo, fu per la nostra città motivo di salvezza nel 1200. Piacenza in quel pe-riodo viveva momenti di grandi lotte interne ed esterne, grandi diatribe tra famiglie potenti, epidemie e anche la Chiesa era divisa in sé stessa.Come ha affrontato tutto questo Santa Franca? Pregando. Con la preghiera assidua, soprattutto notturna ai piedi della croce, con il silenzio e l’umiltà. Queste sono state le armi di S. Franca: preghiera, umiltà, silen-zio. Queste le armi per vincere le nostre battaglie quotidiane. Anche noi siamo chiamati a vivere con autenticità la vocazione ricevuta. Anche per noi la preghiera deve divenire il luogo in cui Dio può manifestare la sua presenza, la sua gloria, in me, negli altri e nella Chiesa. La potenza della preghiera, la potenza di un mo-nastero in una città, la potenza di una famiglia o di una comuni-tà che prega diventano forza e luce per molti.Ecco la bellezza di S. Franca. Una grande santa, una donna di Dio, una madre per il suo popolo per il quale ancora intercede presso Dio. Il suo corpo, per espressa volontà nel suo testamento, riposa nella chiesa di san Raimondo in città:Questo luogo è santo e graditissimo alla divina bontà. Vi prego

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di seppellirmi in esso e di non permettere mai che il corpo sia sepolto altrove perché voglio rimanere insieme a voi.”

M. Emmanuel, Badessa Monastero San Raimondo

Rimanga con noi e interceda per noi, per la nostra Chiesa, perché anche noi possiamo vivere questo pezzetto di storia la-sciando qualche segno di santità.

Bottega emiliano-lombardaSANTA FRANCA E L’ANGELO (SEC. XVII)

BOBBIO, PALAZZO VESCOVILE

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calendariodiocesano2017/2018

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settembre

6 -11FESTA MULTIETNICA A FIORENZUOLAMIGRANTES

7 - 9CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO

10 -17FESTA DELLA FAMIGLIAMIGRANTES

17SANTA MESSA IN CATTEDRALE NELL’XI ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI SR. LEONELLA SGORBATIUSMI MISSIO

22GIORNATA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO - CONFERENZACARITAS MISSIO

22INCONTRO UNITARIO E CELEBRAZIONE DEL MANDATO AC

24GIORNATA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO – PREGHIERA ECUMENICA CARITAS MISSIO

26,27DUE GIORNI PER IL CLERO - FESTA DI SAN VINCENZO CLERO

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ottobre

2“ADORO IL LUNEDÌ” ADORAZIONE EUCARISTICA IN CATTEDRALEAC

7ORDINAZIONI PRESBITERALI IN CATTEDRALE

14CONVEGNO ANNUALE DELLE CARITAS PARROCCHIALICARITAS

19PRIMA ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PRESBITERALECLERO

19SOSTE DELLO SPIRITOAC GIOVANI

20CONVEGNO PRESENTAZIONE REPORT POVERTÀ CARITAS EMILIA ROMAGNA CARITAS

20VEGLIA MISSIONARIA DIOCESANA MISSIO

21ASSEMBLEA DI INIZIO ANNOUSMI

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22GIORNATA MISSIONARIA MONDIALEMISSIO

27SERATA DEI DESIDERIAC ADULTI

29FORMAZIONE PER RESPONSABILI ED EDUCATORIAC

novembre

5INCONTRO DELLE CHIESE DI PIACENZA-BOBBIO E RORAIMAMISSIO

6“ADORO IL LUNEDÌ” ADORAZIONE EUCARISTICA IN CATTEDRALE AC

12GIORNATA DEL SETTIMANALE DIOCESANO “IL NUOVO GIORNALE”

16ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PRESBITERALE CLERO

16SOSTE DELLO SPIRITO AC GIOVANI

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18ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO

19PRIMA GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

19FORMAZIONE PER RESPONSABILI ED EDUCATORI AC

23FESTA DI SAN COLOMBANO

24SERATA DEI DESIDERIAC ADULTI

26GIORNATA DI SENSIBILIZZAZIONE PER IL SOSTENTAMENTO CLERO

dicembre

4“ADORO IL LUNEDÌ” ADORAZIONE EUCARISTICA IN CATTEDRALE AC

8ORDINAZIONI DIACONALI

8FESTA DELL’ADESIONE NELLE PARROCCHIEAC

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10RITIRO SPIRITUALEUSMI

14ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PRESBITERALECLERO

15VEGLIA DIOCESANA DEI GIOVANI DI AVVENTOPASTORALE GIOVANILE

17GIORNATA DI SENSIBILIZZAZIONE E SOSTEGNO ALLE OPERE DI CARITÀCARITAS

18NATALE DI FRATERNITÀ PRESSO LA MENSA DELLA CARITAS DIOCESANACARITAS

21SOSTE DELLO SPIRITOAC GIOVANI

gennaio

7 - 9ESERCIZI SPIRITUALI PER IL CLERO (BEDONIA)AC GIOVANI

18 - 25SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANIECUMENISMO

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26SERATA DEI DESIDERIAC ADULTI

27CONVEGNO DEI GIORNALISTI COMUNIC SOCIALI

febbraio

2GIORNATA PER LA VITA CONSACRATA USMI

3FESTA DELLA PACE AC

4POMERIGGIO DELLA PACE PER GIOVANISSIMIAC GIOVANI

5“ADORO IL LUNEDÌ” ADORAZIONE EUCARISTICA IN CATTEDRALEAC

8ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PRESBITERALECLERO

14MERCOLEDÌ DELLE CENERIISCRIZIONE DEL NOME PER I CATECUMENI

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15RITIRO E CELEBRAZIONE PENITENZIALE PER IL CLEROCLERO

16X ANNIVERSARIO ORDINAZIONE EPISCOPALE DEL VESCOVO GIANNI

22QUARESIMALE IN CATTEDRALE

23SERATA DEI DESIDERIAC ADULTI

marzo

1QUARESIMALE IN CATTEDRALE

3,4ESERCIZI SPIRITUALIAC ADULTI

4RITIRO SPIRITUALEUSMI

5“ADORO IL LUNEDÌ” ADORAZIONE EUCARISTICA IN CATTEDRALEAC

8ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PRESBITERALECLERO

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9PREGHIERA DEI GIOVANI DI QUARESIMA NEI VICARIATINOTTE DI RICONCILIAZIONEPASTORALE GIOVANILE

15SOSTE DELLO SPIRITOAC GIOVANI

15QUARESIMALE IN CATTEDRALE

17,18DUE GIORNI DI SPIRITUALITÀ PER GIOVANISSIMIAC GIOVANI

18GIORNATA DI SENSIBILIZZAZIONE E SOSTEGNO MISSIONI DIOCESANEMISSIO

24XXXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙPASTORALE GIOVANILE

24GIORNATA DI PREGHIERA E DIGIUNO PER I MISSIONARI MARTIRIMISSIO

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aprile

2 - 4TRE GIORNI DI AGGIORNAMENTO PRESBITERI A BEDONIACLERO

8FESTA DELLA MADONNA DEL POPOLO

9ANNIVERSARI DI PROFESSIONE RELIGIOSAUSMI

12ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PRESBITERALECLERO

19GIORNATA EUCARISTICA PER LE VOCAZIONI E PER LA VITA CONSACRATACLERO

19SOSTE DELLO SPIRITOAC GIOVANI

19GIORNATA EUCARISTICA PER LE VOCAZIONI E PER LA VITA CONSACRATACLERO

20VEGLIA DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONICENTRO VOCAZIONALE

20SERATA DEI DESIDERIAC ADULTI

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22GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

25FESTA DI SANTA FRANCA NELL’VIII CENTENARIO DELLA MORTE.

27 - 1VIAGGIO DEL SETTORE GIOVANIAC GIOVANI

28 - 1PELLEGRINAGGIO DIOCESANO DEI CRESIMATI A ROMAPASTORALE GIOVANILE

maggio

1MESSA PER IL MONDO DEL LAVORO

7“ADORO IL LUNEDÌ” ADORAZIONE EUCARISTICA IN CATTEDRALEAC GIOVANI

10CONSIGLIO PRESBITERALECLERO

27CELEBRAZIONE EUCARISTICA ALLA PELLEGRINA NEL 25° ANNIVERSARIO DELLA CASA DI ACCOGLIENZA “DON GIUSEPPE VENTURINI”CARITAS

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giugno

PROCESSIONE EUCARISTICA NELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

7FESTA DEL SACRO CUORECLERO

luglio

4SOLENNITÀ DI SANT’ANTONINO

7CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO ORDINAZIONE PRESBITERALE DEL VESCOVO GIANNI

agosto

PELLEGRINAGGIO DEI GIOVANI ITALIANI

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REALIZZATO A CURA DEGLI UFFICI PASTORALI DELLA DIOCESI.

HANNO COLLABORATO MONS. GIUSEPPE BUSANI E DON GIUSEPPE LUSIGNANI