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Anno VI Numero 1245 Mercoledì 13 Dicembre 2017 S. Lucia AVVISO Ordine 1. Caduceo d’Oro 2017 e Giuramento di Galeno Notizie in Rilievo Scienza e Salute 2. “TUNNEL CARPALE, alimenti ricchi di vitamina B riducono il rischio?3. Prostata, in quali casi il test del psa può presentare valori elevati? 4. Polmoni, a cosa serve la spirometria? 5. Malattia di Huntington: una cura sperimentale ne rallenta la progressione Prevenzione e Salute 6. Sciatica, contro il dolore meglio il caldo o il freddo? Meteo Napoli Mercoledì 13 Dicembre Nuvoloso Minima: 10° C Massima: 17 °C Umidità: Mattina = 52% Pomeriggio = 53% “TUNNEL CARPALE, alimenti ricchi di vitamina B riducono il rischio?Alcuni credono che assumere alimenti ricchi di vitamina B aiuti a ridurre il rischio di tunnel carpale. Vero o falso? FALSO. Anche se la vitamina B ha un effetto protettivo sul tessuto nervoso, e quindi sulla vera sindrome del tunnel carpale, assumere alimenti ricchi di vitamina B non aiuta a ridurre il rischio di sindrome del tunnel carpale, una malattia della mano che provoca dolore e indolenzimento alle dita. Infatti, la sindrome del tunnel carpale ha cause anatomiche che non si possono risolvere con l’assunzione di alimenti ricchi di vitamina B che si trova in tacchino, patate dolci, riso integrale, semi di girasole, ceci, salmone, maiale e pollo oltre a orzo e banane. La gravidanza, come tutte le condizioni che determinano ritenzione di liquidi e cioè l’uso di anticoncezionali, la menopausa, le malattie della tiroide, alcune terapie ormonali, il diabete, e altre, può far emergere i sintomi da compressione del nervo mediano al polso (sindrome del tunnel carpale). In alcuni casi si tratta di una situazione temporanea che si risolve spontaneamente una volta ristabilite le normali condizioni metaboliche, altre volte si tratta di una vera sindrome del tunnel carpale e la condizione metabolica costituisce solo l’occasione per manifestare la malattia con disturbi che persistono. In questi casi, l’elettromiografia aiuta a perfezionare la diagnosi di sindrome del tunnel carpale. Inoltre, l’utilizzo di un tutore durante la notte pur aiutando ad alleviare i sintomi, non risolve il problema se alla base c’è una tale condizione di conflitto tra il nervo e il canale. In questo caso l’atto risolutivo è chirurgico.” (salute, Humanitas) SITO WEB ISTITUZIONALE : www.ordinefarmacistinapoli.it E-MAIL: [email protected] ; [email protected] SOCIAL Seguici su Facebook Diventa Fan della nostra pagina www.facebook.com/ordinefarmacistinapoli iBook Farmaday Proverbio di oggi……… Chi è povero ‘e denaro è ricco ‘e core.

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Anno VI – Numero 1245 Mercoledì 13 Dicembre 2017 – S. Lucia

AVVISO Ordine

1. Caduceo d’Oro 2017 e

Giuramento di Galeno

Notizie in Rilievo

Scienza e Salute 2. “TUNNEL CARPALE,

alimenti ricchi di vitamina B

riducono il rischio?”

3. Prostata, in quali casi il test

del psa può presentare

valori elevati?

4. Polmoni, a cosa serve la

spirometria?

5. Malattia di Huntington:

una cura sperimentale ne

rallenta la progressione

Prevenzione e Salute

6. Sciatica, contro il dolore

meglio il caldo o il freddo?

Meteo Napoli

Mercoledì 13 Dicembre

Nuvoloso Minima: 10° C Massima: 17 °C Umidità: Mattina = 52% Pomeriggio = 53%

“TUNNEL CARPALE, alimenti ricchi di vitamina B riducono il rischio?”

Alcuni credono che assumere alimenti ricchi di vitamina B aiuti a ridurre il rischio di tunnel carpale. Vero o falso?

“FALSO. Anche se la vitamina B ha un effetto

protettivo sul tessuto nervoso, e quindi sulla vera sindrome del tunnel carpale, assumere alimenti ricchi di vitamina B non aiuta a ridurre il rischio di sindrome del tunnel carpale, una malattia della mano che provoca dolore e indolenzimento alle dita. Infatti, la sindrome del tunnel carpale ha cause anatomiche che non si possono risolvere con l’assunzione di alimenti ricchi di vitamina B che si trova in tacchino, patate dolci, riso integrale, semi di girasole, ceci, salmone, maiale e pollo oltre a orzo e banane. La gravidanza, come tutte le condizioni che determinano ritenzione di liquidi e cioè l’uso di anticoncezionali, la menopausa, le malattie della tiroide, alcune terapie ormonali, il diabete, e altre, può far emergere i sintomi da compressione del nervo mediano al polso (sindrome del tunnel carpale). In alcuni casi si tratta di una situazione temporanea che si risolve spontaneamente una volta ristabilite le normali condizioni metaboliche, altre volte si tratta di una vera sindrome del tunnel carpale e la condizione metabolica costituisce solo l’occasione per manifestare la malattia con disturbi che persistono. In questi casi, l’elettromiografia aiuta a perfezionare la diagnosi di sindrome del tunnel carpale. Inoltre, l’utilizzo di un tutore durante la notte pur aiutando ad alleviare i sintomi, non risolve il problema se alla base c’è una tale condizione di conflitto tra il nervo e il canale. In questo caso l’atto risolutivo è chirurgico.” (salute, Humanitas)

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PAGINA 2 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno VI – Numero 1245

PREVENZIONE E SALUTE PROSTATA, IN QUALI CASI IL TEST DEL PSA PUÒ

PRESENTARE VALORI ELEVATI?

Il test del PSA è uno degli esami a cui si ricorre per valutare le condizioni della prostata.

Valori elevati possono suggerire la presenza di un tumore prostatico, sebbene solo con la biopsia si possa

arrivare a una diagnosi certa. In ogni caso la neoplasia prostatica non è l’unico motivo per cui il test potrà

indicare valori fuori norma.

In quali altri casi il PSA potrà dunque risultare elevato? L’abbiamo

chiesto al dr Giovanni Lughezzani, urologo di Humanitas.

IL TEST

PSA sta per Antigene Prostatico Specifico, un enzima prodotto dalle

cellule della ghiandola prostatica.

In caso di patologie a carico della prostata la concentrazione di questa

molecola nel sangue aumenta.

Il dosaggio del PSA, che può essere considerato un marcatore delle

condizioni della ghiandola, viene effettuato con un semplice prelievo di sangue.

Il test può essere richiesto dal medico anche dopo una visita urologica ed è uno dei principali esami con cui

poter rilevare la presenza di un tumore alla prostata.

Tuttavia i risultati del test devono essere interpretati dal medico specialista anche alla luce di altre

caratteristiche del paziente senza poter fare affidamento esclusivo sull’esito del test.

Dopo una diagnosi di tumore, infine, si ricorre al test per monitorarne l’evoluzione.

In genere ci si può sottoporre al test, in assenza di fattori di rischio per tumore alla prostata, dai 50 ai 70

anni di età; in caso di familiarità, invece, anche dai 40-45 anni.

In ogni caso il consiglio è sempre quello di sviluppare un dialogo fruttuoso con il proprio urologo di fiducia

per valutare l’opportunità di sottoporsi al test ed interpretare i risultati nel modo più corretto.

Questi devono essere interpretati con cautela prima di poter pensare a una diagnosi di tumore prostatico:

«Mentre il PSA è senz’altro un marcatore organo-specifico, essendo prodotto esclusivamente dalla

prostata, non è un marcatore tumore specifico e può pertanto risultare aumentato per molteplici cause

non tumorali.

In quest’ottica ci sono differenti parametri che possono aiutare lo specialista, come il rapporto tra PSA

libero e totale, la variazione nel tempo del PSA (PSA velocity), il rapporto tra PSA e volume prostatico (PSA

density)», spiega il dottor Lughezzani.

IPERTROFIA e PROSTATITE

Quali altre patologie al di là del tumore possono essere causa di innalzamento del PSA?

«L’infiammazione prostatica (prostatiti acute o croniche) è la causa più frequente di aumento del PSA. Lo

stesso aumento volumetrico della ghiandola prostatica come nel caso dell’ipertrofia prostatica

benigna può associarsi a un aumento del PSA», conclude lo specialista.

Infine valori più elevati del PSA possono semplicemente essere dovuti all’età del paziente, oppure, ad

esempio, al fatto che il paziente si sia sottoposto a esami come la biopsia prostatica o la cistoscopia,

ovvero l’esame endoscopico della vescica. (Salute, Humanitas)

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PAGINA 3 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno VI – Numero 1245

PREVENZIONE E SALUTE SCIATICA, CONTRO IL DOLORE MEGLIO IL CALDO

O IL FREDDO?

Quando il dolore è acuto, indipendentemente dal punto del corpo in cui sorga, per un trattamento immediato si pensa al caldo o al freddo.

Il dubbio, però, su quale stimolo esterno possa essere più efficace, a volte, è altrettanto immediato.

Ad esempio nel caso di dolore da sciatica cosa è meglio applicare? L’abbiamo chiesto alla dottoressa Lara

Castagnetti, osteopata e specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa

di Humanitas.

LA SCIATICA

Questo termine è noto a tante persone.

La sciatica – o meglio, la sciatalgia – è infatti una condizione molto

comune nella popolazione generale caratterizzata dall’irritazione

del nervo sciatico o ischiatico.

Questo nervo parte dalla colonna vertebrale, in particolare origina

dal plesso sacrale nell’area lombo-sacrale, e lungo il suo percorso

attraversa il gluteo, la coscia, la gamba, fino al piede.

In qualsiasi punto del suo tragitto il nervo sciatico, se irritato, potrà comportare l’insorgenza di dolore.

Questo può assumere diverse caratteristiche:

può essere un dolore più sordo o associato a una

sensazione di bruciore;

può persino costringere all’immobilità temporanea chi ne soffre.

Il dolore può aumentare d’intensità e aggravarsi nel corso della

giornata.

UN ANTIDOLORIFICO NATURALE

Gli uomini fra i 30 e i 50 anni di età sono la categoria più colpita

da questa condizione.

«Il freddo, applicato ad esempio

con una borsa del ghiaccio ed

evitando il contatto diretto con

la pelle, è più indicato per lenire

il dolore acuto riconducibile alla sciatalgia».

«Il caldo, generalmente più indicato in caso di contratture muscolari, può essere benefico in fase post

acuta, possiamo dire dopo le prime 48 ore dall’insorgenza del dolore per sciatalgia».

«Se questo non dovesse essere sufficiente si può ricorrere a un antidolorifico.

A ogni modo è consigliato non passare troppo tempo a letto ma cercare – nei limiti del possibile – di

muoversi, di fare attività fisica poco intensa, di camminare ad esempio», conclude la specialista.

(Salute, Humanitas)

QUANDO IL DOLORE È ACUTO, COSA

POSSONO APPLICARE ?

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PAGINA 4 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno VI – Numero 1245

SCIENZA E SALUTE POLMONI, A COSA SERVE LA SPIROMETRIA?

Un test di facile esecuzione che fornisce preziose informazioni sullo stato di salute dell’apparato respiratorio è la spirometria.

In quali casi si ricorre a questo tipo di esame? Ne parliamo con la drssa Alessandra Ibba, pneumologa di Humanitas.

COME SI ESEGUE La spirometria è un esame di funzionalità respiratoria non invasivo e indolore. Chi vi si sottopone espira in un boccaglio posto all’estremità di un tubo collegato a un macchinario, lo spirometro, che misura diversi parametri. Spesso il test comincia con una profonda inalazione seguita da un’espirazione effettuata compiendo uno sforzo massimale. Una molletta impedirà il passaggio dell’aria dal naso. «Non ci sono delle indicazioni particolari previa esecuzione di un esame spirometrico, naturalmente – si consiglia di non effettuare sforzi eccessivi subito prima dell’esecuzione dell’esame e, se possibile, sospendere la terapia inalatoria in atto nelle 24 ore precedenti il test». «La spirometria – continua – è sconsigliata qualora esista una condizione di instabilità emodinamica (angina pectoris o infarto miocardico recente), recenti interventi chirurgici toracici o addominali, recente pneumotorace. La presenza di emottisi in atto o nausea e vomito controindica l’esame. Infine l’esame non è valutabile se il paziente è poco collaborante o comunque non in grado di seguire le indicazioni dell’operatore». In alcuni casi, per una valutazione più completa della funzione respiratoria, alla spirometria semplice possono seguire ulteriori test allo scopo di valutare ulteriori parametri. Al soggetto si potrà richiedere ad esempio di assumere un farmaco che possa aiutare i bronchi a dilatarsi prima di soffiare nel tubo. In questo modo si potrà valutare la funzione polmonare prima e dopo l’assunzione del medicinale.

TOSSE E OSTRUZIONE TORACICA I test potranno essere eseguiti anche all’interno di una cabina: in questo caso si parla di spirometria con tecnica pletismografica e, rispetto alla spirometria semplice, si potrà valutare non solo quanta aria viene emessa durante un’espirazione forzata (i cosiddetti volumi dinamici) ma anche i volumi statici, espressione di quanta aria rimane intrappolata nei polmoni dopo uno sforzo massimale. In presenza di quali sintomi il medico può richiedere una spirometria? «Il paziente che lamenta tosse cronica, affanno da sforzo e a riposo, episodi di broncospasmo, sintomatologia respiratoria notturna, sensazione di costrizione toracica, può avere indicazione all’esecuzione della spirometria», risponde la specialista.

A COSA SERVE? La spirometria può aiutarci a rispondere ad importanti quesiti clinici: la dispnea del paziente è di origine polmonare o cardiaca? Il paziente con tosse cronica può avere un asma bronchiale? L’obesità del paziente può condizionare la funzionalità polmonare? La dispnea del paziente può essere causata da un’alterazione dei muscoli respiratori? Qual è il rischio chirurgico? Il trattamento farmacologico è di aiuto al paziente? Con la spirometria da sola, tuttavia, non è possibile effettuare diagnosi di patologie quali, ad esempio, la fibrosi polmonare o l’enfisema. I risultati dell’esame devono sempre essere valutati alla luce della storia personale del paziente, dell’esame obiettivo, talvolta della Radiografia o della TC del torace. In alcuni casi è comunque talmente caratteristica da permetterci di formulare una diagnosi precisa (ad es. nel caso delle patologie tracheali o delle alte vie respiratorie).

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PAGINA 5 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno VI – Numero 1245

I RISULTATI Dalla spirometria possono essenzialmente emergere due tipi di alterazioni: un deficit ventilatorio ostruttivo, in cui l’ostruzione bronchiale determina una riduzione dell’aria emessa durante l’espirazione forzata e conseguente intrappolamento d’aria nei polmoni, è quello che vediamo ad esempio nei pazienti asmatici o nei bronchitici cronici; un deficit ventilatorio di tipo restrittivo in cui l’aria emessa è ridotta ma in cui la causa è da ricercarsi al di là dell’albero bronchiale, è il caso della fibrosi polmonare, ma anche delle patologie neuromuscolari o dell’obesità. Oltre che per la diagnosi, il test potrà essere eseguito per valutare l’evoluzione delle patologie diagnosticate: «La spirometria è un importante strumento di monitoraggio, sia nelle patologie ostruttive (quali asma e broncopneumopatia cronico ostruttiva) dove ci permette di osservare come la sintomatologia respiratoria correla con la funzionalità polmonare, di verificare gli effetti della terapia in atto, sia in soggetti a rischio per esposizione ambientale/occupazionale, nei pazienti affetti da malattie neuromuscolari, interstiziopatie, nel follow-up di pazienti trapiantati». (Salute, Humanitas) REVENZIONE E SALUTE

Malattia di HUNTINGTON: una cura sperimentale ne rallenta la progressione

Il trattamento impedisce al gene difettoso caratteristico della patologia di produrre una proteina dagli effetti tossici. Potrebbe essere impiegato anche per altre condizioni neurodegenerative.

Un trattamento farmacologico sperimentale ha dato risultati positivi nel rallentare la progressione della Corea di Huntington, una malattia genetica neurodegenerativa che si trasmette per via ereditaria e porta a danni cerebrali irreversibili. Finora le terapie usate per contrastarla potevano soltanto alleviarne i sintomi. Lo studio clinico - un trial farmacologico di fase 1, sta destando l'interesse dei neurologi di tutto il mondo perché il trattamento, che si basa su un filamento sintetico di DNA, sembra molto promettente e potrebbe in futuro essere impiegato contro altre malattie neurodegenerative, Alzheimer o di Parkinson.

LA PATOLOGIA. La Corea o malattia di Huntington è una malattia incurabile e progressiva che compare

attorno alla mezza età e che si manifesta inizialmente con sbalzi d'umore, rabbia e depressione, quindi con movimenti muscolari non coordinati, demenza, paralisi. Alcuni pazienti muoiono entro 10 anni dalla diagnosi. A causarla è una mutazione di una delle due copie (alleli) di un gene che dà istruzione alle cellule affinché codifichino per una proteina tossica, chiamata huntingtina. Questo codice di istruzioni è copiato da una molecola messaggero che lo trasmette alle fabbriche di produzione di proteine.

PRIMA CHE IL DANNO SI DIFFONDA. Il farmaco, chiamato Ionis-HTTRx, intercetta la molecola

messaggero e la distrugge, prima che le proteine tossiche possano essere prodotte: in pratica, annulla e silenzia gli effetti del gene mutante.

EFFETTI INCORAGGIANTI. Il farmaco è stato somministrato in dosi crescenti ad ogni iniezione: subito

dopo, la concentrazione di proteina huntingtina nel midollo spinale è diminuita in proporzione alla quantità di medicinale ricevuta. Questa relazione indica, di norma, che il farmaco sta agendo con efficacia (il trattamento è stato breve perché si potessero riscontrare miglioramenti anche nei sintomi).

VERSATILE. Il farmaco è un singolo filamento sintetico di DNA appositamente studiato per incastrarsi,

come un mattoncino del Lego, sulla molecola messaggero della huntingtina. «Per la prima volta un farmaco ha abbassato i livelli della proteina tossica nel sistema nervoso, ed è risultato sicuro e ben tollerato». «Questo è forse il momento più significativo nella storia di questa malattia da quando fu isolato il gene che la causa». In futuro la molecola potrebbe essere somministrata ai pazienti con Corea di Huntington prima che sviluppino i sintomi della malattia. (Salute, Focus)

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PAGINA 6 FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA Anno VI – Numero 1245

CONCERTO DI NATALE, CADUCEO D’ORO, MEDAGLIE di BENEMERENZA alla PROFESSIONE

e GIURAMENTO di GALENO

Ordine dei Farmacisti della Provincia di Napoli La Bacheca

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