turandot: la genesi, il melodramma, la critica

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Esercitazione di produzione di un ebook per il corso "Editoria elettronica" del DOL di Milano. a.a. 2012/13

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INDICE

Tre gli enigmi, tre le date di Turandot: 1762 - 1917 - 1924 Gozzi - Busoni – Puccini

Turandot di Giacomo Puccini:

Riassunto in breve e trama... atto per atto

L'atmosfera della Turandot

Arie Celebri

Puccini e le sue opere

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Tre gli enigmi, tre le date di Turandot: 1762 - 1917 - 1924 Gozzi - Busoni - Puccini

(fig 1- 2- 3)

La Turandot nasce per la prima volta sotto forma di fiaba teatrale scritta nel 1762 da Carlo Gozzi. Rimasta per quasi due secoli e mezzo in una sorta di limbo letterario, fu ripresa per il teatro lirico da due musicisti nell’arco di una decina d’anni: Giacomo Puccini, di Lucca, e Ferruccio Busoni, di Empoli, entrambi morti nel 1924, ma entrambi anche stregati dalla crudele principessa cinese Turandot.

Nel 1917 a Berlino debuttò infatti la produzione di Busoni;quella del Maestro Puccini nel 1926 alla Scala.

A proporre la realizzazione della fiaba a Puccini fu il veneziano Renato Simoni, già giornalista e fortunato scrittore teatrale. L’idea che voleva sviluppare Simoni mirava alla realizzazione di un opera capace di presentare la «inverosimile umanità del fiabesco». Puccini ne fu immediatamente entusiasta e calcolò, la storia gli ha dato ragione, di poter sviluppare a quel modo una forte drammaticità incentrata sul personaggio chiave della principessa.Alcuni anni prima Ferruccio Busoni aveva musicato con le stesse intenzioni il personaggio della gelida Turandot, ma il risultato non può essere nemmeno lontanamente paragonato a quello ottenuto da Giacomo Puccini. Inoltre, lo stesso Puccini con molta probabilità non conosceva l’opera di Busoni e non poteva né esserne stato influenzato, né averne in alcun modo elaborato i concetti e gli espedienti teatrali.

Se Busoni si attenne rigorosamente, tranne il taglio di alcuni personaggi, alla commedia scritta Gozzi, Puccini la rivoltò come un calzino lasciando, di fatto, solo la struttura centrale: ossia i tre enigmi da risolvere per conquistare il cuore dell’algida principessa, pena la morte.

Molte infatti sono le differenze che il musicista di Lucca impose a Giuseppe Adami e Renato Simoni nella stesura del libretto per meglio adattare la vicende alla sua visione artistica. Così Calaf, affrontata e vinta l’impresa, rimette in gioco la sua vita e sfida Turandot nel scoprire il suo nome.La principessa scopre che Liù, la schiava di Calaf che accompagna suo padre ed è

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innamorata di lui, conosce quel nome, la mette alla tortura e lei si uccide per non cedere al supplizio. Così finalmente Turandot capisce la forza dell’amore e si getta tra le sue braccia.

(figg 4 -5)

Ma nell’intreccio gozziano non c’è nessuna Liù, o meglio c’è una schiava innamorata di Calaf ma appartiene a Turandot e si chiama Adelma. Anche lei conosce il nome di Calaf che nella versione pucciniana da principe di Astrakan diventa figlio del sovrano dei Tartari. Adelma alla fine non solo non si toglie la vita per evitare di rivelarlo sotto tortura, ma viceversa per vendicarsi di non essere lei la prescelta, lo spiffera senza riguardo alla sua padrona. Tenterà, senza riuscirci, il suicidio, solo quando scopre che Turandot non gli taglia la testa come promesso. Cambiano poi gli enigmi, se per Adami e Simoni sono «la speranza, il sangue e Turandot», per Gozzi erano «il sole, l’anno e il leone dell’Adria, cioè Venezia».Lo scrittore immerso nel suo universo di commedia dell’arte, circonda Altoum di quattro dignitari in realtà maschere della tradizione. E cioè Pantalone, segretario dell’imperatore, Tartaglia, gran cancelliere, Brighella, maestro dei paggi, e infine Truffaldino, capo degli eunuchi del serraglio di Turandot. Per loro non ci sono dialoghi e situazioni ben definiti, bensì un «canovaccio» dove sono indicati gli elementi di base della sceneggiatura senza entrare eccessivamente nel dettaglio, per lasciare spazio agli attori di improvvisare. In piena commedia dell’arte dunque con i pochi testi per di più scritti in dialetto veneziano. Puccini, come del resto aveva fatto anche Busoni, ne toglie uno e li trasforma in Ping, Gran Cancelliere, Pang, Gran Provveditore, e Pong, Gran Cuciniere.

Quando iniziò a comporre la Turandot Puccini non era certo più giovane e una malattia minava le sue forze. I collaboratori e l’editore stesso cercarono di dissuaderlo dal lavorare troppo, cercando di suggerire un riposo ristoratore. Come ben si sa non riuscì però a finire l’opera.Arrivato alla morte di Liù, pianta da Timur insieme al coro con il celebre «Liù, poesia!» si fermerà due battute dopo. E lì rimase per un anno fino a quando, stremato da un tumore alla gola, non chiuse gli occhi a Bruxelles. «Qui il Maestro è morto» dirà l’amico Arturo Toscani dirigendo al prima il 25 aprile del 1926 in una serata magica per la Sala.

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Turandot di Giacomo Puccini

(fig 6)

Riassunto in breve

In Cina, in un mitico “tempo delle favole”, viveva una bellissima e solitaria principessa (Turandot), nella quale albergava lo spirito di una sua antenata violentata e uccisa. Da ciò nasceva l’orrore di Turandot per gli uomini. Il popolo di Pechino e l’Imperatore suo padre (Altoum) le fanno però pressione affinché si sposi. Ella alla fine accetta di sposare solamente il giovane nobile che sarà in grado di sciogliere i tre enigmi da lei proposti: se fallirà, però, morirà. L’opera si apre con l’ennesima testa che cade, quella del giovane Principe di Persia. Tra la folla è presente in quel momento Calaf, principe tartaro spodestato, che non riesce a resistere alla bellezza di Turandot e decide di provare a risolvere gli enigmi. Fra la folla ritrova il vecchio padre (Timur) e la fedele schiava Liù (da tempo segretamente innamorata di Calaf) che tentano inutilmente di fargli cambiare idea. Calaf si ritrova faccia a faccia con la “bella di ghiaccio” di cui riesce a risolvere tutti e tre gli enigmi. Turandot è ovviamente disperata e Calaf le propone a sua volta un enigma: se prima dell’alba la Principessa riuscirà a scoprire il suo nome, egli morirà, altrimenti diventerà il suo sposo. Turandot, riesce a rintracciare Timur e Liù, ma entrambi taceranno, anzi, Liù sentendo di non poter  resistere alle torture a cui la stanno sottoponendo, si suicida. Alla fine sarà lo stesso Calaf a rivelare alla principessa il proprio nome, ma solo dopo essere riuscito a darle un bacio appassionato, bacio che sconvolgerà nell’intimo Turandot, la quale andrà con Calaf davanti all’imperatore suo padre ed al popolo, annuncerà trionfante di aver finalmente scoperto il nome dello straniero: “Il suo nome è “Amor”.  Turandot è un’opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni. La partitura pucciniana è incompiuta e del finale scritto da Puccini restano solo alcuni abbozzi, sparsi su 23 fogli. La prima rappresentazione di Turandot ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano, il 25 aprile 1926, sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale, profondamente commosso, arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso “Liù, poesia!”, sussurrando al pubblico le parole: “Qui termina la

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rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto”. In un primo momento il finale della Turandot venne affidato al compositore napoletano Franco Alfano e riscritto, in seguito, dal maestro Luciano Berio nel 2001.

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Atto I Quadro primo - Una piazza a Pechino, «al tempo delle favole». Un Mandarino annuncia alla folla che il principe di Persia, non avendo risolto i tre enigmi proposti da Turandot, sarà decapitato pubblicamente. Tra la folla ci sono un vecchio ammalato e una donna che chiede aiuto. Accorre un giovane, che riconosce nel vecchio Timur suo padre, un re tartaro spodestato dai cinesi. Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna il condannato ed alla sua vista la folla, prima eccitata, si commuove e invoca la grazia per il condannato. Turandot allora entra , glaciale, ordina il silenzio alla folla e, con un gesto, dà l’ordine al boia di giustiziare l’uomo. Calaf, impressionato dalla regale bellezza di Turandot, decide di tentare di risolvere i tre enigmi per conquistare la mano della principessa. Timur e Liù tentano di fermarlo, ma lui si lancia verso il gong dell’atrio del palazzo imperiale, dove anche i tre ministri del regno, Ping, Pong e Pang, tentano di fargli cambiare idea sottolineando l’insensatezza dell’azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot.

(fig 7)

ASCOLTA:

Popolo di pechino: https://www.youtube.com/watch?v=BbfKrdbPryYSignore Ascolta: https://www.youtube.com/watch?v=lDMEmYuDmFENon piangere Liù: https://www.youtube.com/watch?v=2lTr6WVBLtY

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Atto IIQuadro secondo:  Notte in un padiglione vicino alla reggia. I tre ministri si lamentano di come, in qualità di sudditi,  siano costretti ad assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.Quadro terzo: Vasto cortile del palazzo dominato da una scalea di marmo Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per l’infernale prova dei tre enigmi. L’imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest’ultimo insiste. Il mandarino fa dunque iniziare la prova mentre entra Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero che l’aveva violata ed uccisa. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva inventato il rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti. Ma Calaf riesce a risolvere gli enigmi e la principessa, disperata, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Per l’imperatore la parola data è sacra, la figlia sposerà il giovane. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che, in questo modo, egli avrà solo una donna riluttante e piena d’odio. Calaf, che l’ama, la scioglie allora dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa prima dell’alba riuscirà ad indovinare il suo nome, egli si sottoporrà alla scure del boia. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un’ultima volta, solenne, l’inno imperiale.

(fig 8)

ASCOLTA: Olà Pang, olà Pong: https://www.youtube.com/watch?v=CPXT3zt0imI In questa Reggia: https://www.youtube.com/watch?v=AaRh3n6PcBQStraniero ascolta: https://www.youtube.com/watch?v=PMmUikAJ3Oc

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Atto III Quadro quartoÉ notte nel giardino della reggia. In lontananza si sentono gli araldi che portano l’ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire, il nome del principe ignoto deve essere scoperto ad ogni costo prima dell’alba. Calaf intanto sogna ad occhi aperti le labbra di Turandot, finalmente libera dall’odio e dall’indifferenza. Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il sapere il suo nome. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Subisce delle torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot che le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture; Liù risponde che è l’amore a darle questa forza. Turandot è turbata da questa dichiarazione ma, tornata ad essere la solita gelida principessa, ordina ai tre ministri di scoprire ad ogni costo il nome del principe ignoto. Liù, capendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, riesce a prendere un pugnale e ad uccidersi, cadendo esanime ai piedi di Calaf. Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui, la prima volta che l’aveva visto e pur essendo travolta dalla passione lo supplica di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur.Quadro quinto: Cortile d’onore della reggia. Un ampio scalone del palazzo imperiale.Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe e Turandot afferma di conoscere finalmente il nome dello straniero, ma, quando tutti attendono che lo sveli per mandare l’audace alla morte, la principessa, fissando Calaf, esclama, ardendo della nuova fiamma: “il suo nome è …Amore”. Calaf raggiunge Turandot e la abbraccia tra le grida di giubilo della folla.

(fig 9)

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ASCOLTA:Nessun dorma https://www.youtube.com/watch?v=lMD_5UzjdqQ

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L’ATMOSFERA DELLA «TURANDOT»

Se è vero che la storia avviene in una fiabesca Pechino, è anche vero che si deve respirare una reale atmosfera orientale in modo da poter aprire il nostro animo a una non meglio precisata realtà esotica. Puccini riesce a rielaborare alcune melodie tipiche dell’oriente e a farle parte integrante della sua opera. Ma se a volte è facile individuare queste melodie altre volte dobbiamo accontentarci di assorbire l’esotismo attraverso gli espedienti musicali proposti dall’autore, capace di creare con la musica atmosfere così particolari da sembrare veramente appartenenti a un’altra cultura. Una volta che Puccini ci ha accompagnato dentro questa particolare realtà esotica rimane difficile alienarsi da tale mondo e avvertirne la lontananza. Ogni opera di Giacomo Puccini è frutto di una continuità melodica che cattura l’ascoltatore dalla prima nota e lo lascia solo al termine dell’atto, concedendo un breve momento di distacco. Una vibrazione continua capace di ipnotizzare chiunque sia all’ascolto, immergendolo a fondo nel mondo creato per lui. Le varie melodie si susseguono senza soluzione di continuità in un alternarsi fluido di alti e bassi, ma senza sciogliere, neppure nei momenti di minore intensità strumentale, il legame particolare creato con lo spettatore. Non ci sono chiuse nette e, una volta trovato il registro adeguato, il maestro riesce tenere in vita l’effetto creato, concedendosi una chiusa a effetto solo nel finale. Ma la componente musicale da sola non può supportare un intero impianto intento a ricreare un esotismo così ben marcato. È a questo punto che intervengono personaggi chiave che danno spessore sia alla narrazione che colore all’ambientazione. I personaggi chiave di questo effetto orientale sono perlopiù i tre ministri: Ping, Pang e Pong. Già abbiamo detto di come possano risultare strani i nomi di questi tre personaggi e abbiamo sottolineato il fatto che sostituiscono personaggi tipici della cultura italiana quali Tartaglia, Pantalone, Truffaldino e Brighella. Nella trasposizione in opera lirica il loro numero è ridotto a tre e i nomi scelti servono a garantire quel carattere orientale che poteva dare una maggiore resa esotica. Inoltre ai tre ministri viene associata la maggior parte delle melodie originali cinesi in modo che l’effetto non sia conseguenza solo del loro nome. Durante il primo atto appare poco evidente questa caratterizzazione musicale, ma all’apertura del secondo atto ci rendiamo conto che Puccini ci sta un poco alla volta immergendo in quel fantastico mondo immaginario. I tre ministri descrivono la loro vita con nostalgiche melodie e si abbandonano ai ricordi di un’esistenza più felice. Forse per la prima volta ci rendiamo conto dell’ambientazione orientale. Infatti nel primo atto le emozioni si susseguono a tale ritmo e con tale intensità che l’ascoltatore viene trascinato inconsapevole verso l’esplosivo finale. È solo con il secondo atto, prima che il rito inizi, che abbiamo qualche minuto per allentare la tensione e riflettere. Nella Turandot ogni personaggio gioca un ruolo ben preciso e nulla è lasciato al caso.In questo modo quelli che nel primo atto sembravano i ministri della morte ora ci appaiono sotto una luce diversa, più morbida e umana. Insieme alla piccola Liù riescono a creare intorno ai due personaggi principali una specie di morbido

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cuscinetto e ammortizzano i duri contrasti emotivi dei due protagonisti. Non raggiungono il coinvolgimento né lo spessore emotivo della schiava Liù, ma senza il loro intervento l’atmosfera dell’intera opera risulterebbe più opaca e meno efficace. In una storia ambientata in un mondo fiabesco è importante che l’ascoltatore possa percepire in modo evidente la lontananza e il distacco dal proprio mondo. Solo così è possibile accettare tutte le incongruenze che inevitabilmente si presentano e allo stesso tempo sentirsi partecipi delle vicende. I tre ministri, quindi, oltre a svolgere un importante ruolo di collegamento tra le varie parti, come la stessa Liù, danno un significativo colore esotico all’ambientazione, ricoprendo un ruolo indispensabile per l’intera struttura dell’opera.

ARIE CELEBRI

Fino a ora abbiamo analizzato l’opera nel suo complesso ma i momenti che rimangono impressi nella memoria generale sono quelli delle grandi arie cantate dai protagonisti principali. In Puccini non troviamo le cosiddette cavatine, momenti in cui un personaggio, isolato dal contesto generale si esibiva nel proprio pezzo, ma questi momenti particolarmente melodici sono inseriti in modo organico nel contesto generale dell’opera. Le arie principali, quelle più famose per l’appunto, sono generalmente interpretate dai protagonisti della storia (non a caso molte della arie sono per tenore e soprano) e a volte può essere significativo fare un’analisi di questo dato per renderci effettivamente conto della particolare importanza data dal compositore al ruolo stesso. Anche nella Turandot troviamo arie di altissimo livello (forse il Nessun dorma è l’aria più famosa a livello mondiale) e a sottolineare il discorso fin qui portato avanti è interessante notare che i personaggi coinvolti sono sempre gli stessi: Liù, Calaf, Turandot. La prima aria importante che troviamo è proprio per la voce della piccola Liù, questo a evidenziare ancora una volta il ruolo di particolare importanza ricoperto dalla giovane schiava. Calaf ha deciso di affrontare gli enigmi della principessa. Nessuno riesce a dissuaderlo. Ci prova ancora una volta Liù con una commovente preghiera: “Signore, ascolta! Ah, signore, ascolta! Liù non regge più, si spezza il cuor! Ahimè, quanto cammino col tuo nome nell’anima, col nome tuo sulle labbra! Ma se il tuo destino doman sarà deciso, noi morrem sulla strada dell’esilio. Ei perderà suo figlio, io l’ombra d’un sorriso. Liù non regge più! Ah!” Una preghiera dolce e malinconica, ancora in ricordo di quel sorriso del suo signore, lontano nel tempo. Ma Calaf è ormai deciso e cerca di alleviare il dolore della giovane, chiedendole di rimanere a fianco del padre, che dopo la sua morte non avrà più nessuno al mondo: “Non piangere, Liù! Se in un lontano giorno io t’ho sorriso, per quel sorriso, dolce mia fanciulla, m’ascolta: il tuo signore sarà domani, forse solo al mondo… Non lo lasciare, portalo via con te! […] Dell’esilio addolcisci a lui le strade! Questo, o mia povera Liù, al tuo piccolo cuore che non cade, chiede colui che non sorride più!” E il primo atto termina con un intreccio di emozioni cantate a più voci da tutti i

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personaggi entrati in scena. Un finale maestoso e memorabile quanto un’aria famosa, con gli spettatori senza fiato e travolti dalla potenza emotiva della musica. Il secondo atto si apre, come precedentemente detto, con il terzetto dei tre ministri, ma il momento cruciale inizia quando entra in scena l’imperatore, con lo splendido coro di giubilo d’accompagno e successivamente quando prende la parola Turandot. Con il modo che la caratterizza, la principessa inizia in modo freddo, ma un poco alla volta le splendide melodie del suo canto ipnotizzano e la fredda staticità della gelida conquista anche lo spettatore: “In questa reggia, or son mill’anni e mille, un grido disperato risonò. E quel grido, traverso stirpe e stirpe qui nell’anima mia si rifugiò! Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena che regnavi nel tuo cupo silenzio in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura l’aspro dominio, oggi rivivi in me! […] Pure nel tempo che ciascun ricorda, fu sgomento e terrore e rombo d’armi. Il regno vinto! E Lou-Ling, la mia ava, trascinata da un uomo come te, come te straniero, là nella notte atroce dove si spense la sua fresca voce! […] O Principi, che a lunghe carovane d’ogni parte del mondo qui venite a gettar la vostra sorte, io vendico su voi, su voi quella purezza, quel grido e quella morte! Mai nessun m’avrà! L’orror di che l’uccise vivo nel cuor mi sta! No, no! Mai nessun m’avrà! Ah, rinasce in me l’orgoglio di tanta purità! Straniero! Non tentar la fortuna! Gli enigmi sono tre, la morte è una!” In un crescendo senza fine la principessa arriva al termine della sua storia e alla sua voce sia affianca il calore esuberante di Calaf: “Gli enigmi sono tre, una è la vita!”I due uniscono le voci e si raggiunge la meraviglia quando insieme ripetono l’ultimo verso, l’una sottolineando l’aspetto macabro, l’altro l’ottimismo. Gli indovinelli della principessa chiudono in parte il secondo atto. Turandot è sconfitta dall’ignoto straniero ma non si rassegna. Puccini anticipa a questo punto la sua più celebre aria e lo fa sempre tramite Calaf: “Tre enigmi m’hai proposto, e tre ne sciolsi. Uno soltanto a te ne proporrò: Il mio nome non sai. Dimmi il mio nome. Dimmi il mio nome prima dell’alba, e all’alba morirò” Trionfalmente arriviamo al terzo atto dell’opera. Il momento della trasformazione della principessa è vicino, ma per il momento è ancora intenzionata a scagliare contro il principe ignoto la propria ira. Vuole conoscere il nome dello straniero e ha ordinato che “nessun dorma in Pechino”: tutti devono impegnarsi per scoprire quel nome. Calaf osserva tutto con fare distaccato, sicuro della propria vittoria: “Nessun dorma! Nessun dorma! Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza guardi le stelle che tremano d’amore e di speranza… Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà! No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà… Ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia. […] Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! All’alba vincerò! Vincerò!” E così si procede verso la fine. C’è ancora tempo per intensi duetti e momenti di alta tensione drammatica. Lo spettatore soffrirà per la morte della piccola Liù (“Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma vinta, l’amerai anche tu!”) e patirà nei momenti finali vedendo crollare la bella principessa, in un susseguirsi di duetti e leitmotiv ricorrenti, fino al finale gioioso, pure questo anomalo e fonte di tante discussioni.

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PUCCINI E LE SUE OPERE

Puccini è indubbiamente uno dei più grandi compositori d’Opera mai esistiti e il suo nome è sinonimo di talento compositivo in tutto il mondo. Se andiamo a contare le sue opere ci rendiamo però conto che la sua produzione è inversamente proporzionale al suo grande successo e talento. Molti potrebbero obiettare che nomi quali La bohème, Tosca, Turandot, Madama Butterfly possono essere più che sufficienti a soddisfare ogni melomane, ma il discorso che attraverso questo dato fondamentale si vuole affrontare è diverso. Ogni opera è affrontata da Giacomo Puccini con una attenzione e una dedizione che nel mondo della composizione ha ben pochi riscontri. Altri compositori, non meno noti al grande pubblico, hanno prodotto una quantità incredibile di partiture, approfittando di vantaggiosi contratti e lavorando sulla scia di una fama senza confronti. Leggendo lettere e dichiarazioni di compositori o contemporanei possiamo apprendere che alcune opere, che potremmo pensare essere il frutto di mesi di duro lavoro, con il compositore alla ricerca dell’ispirazione e della migliore forma stilistica, sono invece il risultato del frenetico lavoro di poche settimane, a volte pochi giorni.Per fare un esempio possiamo parlare de Il barbiere di Siviglia di Rossini. Sembra che il compositore abbia impiegato solamente otto giorni per realizzare centinaia di pagine di partitura. Forse di tempo ce n’è voluto un po’ di più, ma non molto, presumibilmente. Sarebbe ingenuo pensare che il lavoro di Rossini fosse del tutto originale e scritto di getto così in pochi giorni. In effetti il discorso è molto più complesso, e avendo la possibilità di studiare a fondo la produzione rossiniana ci si rende conto che nella sua celebre opera ci sono non pochi richiami ad arie e brani di altri suoi lavori precedenti. Anche la celebre ouverture iniziale sembra appartenesse a un suo lavoro precedente. Una specie di collage, abilmente trasformato in una delle opere più famose mai composte. Tutta questa frenesia nel comporre non la ritroviamo certo in Giacomo Puccini. Anzi, notiamo una certa riflessione, una cura a volte esasperata sia nella ricerca del tema che della forma. Naturalmente anche Puccini ha spesso attinto a temi melodici preesistenti, soprattutto quando si trattava di dover caratterizzare in modo appropriato una delle sue opere dal gusto esotico (Madama Butterfly, Turandot), però dietro c’è tutta una preparazione atta a integrare nella trama melodica della sua opera questi estratti esotici. Nella Madama Butterfly le note dell’inno nazionale americano non danno l’impressione di essere messe lì a riempire un vuoto, ma caratterizzano l’atmosfera e il personaggio in maniera indiscutibilmente efficace. Ma per trovare altri compositori dalle sterminate produzioni possiamo menzionare Verdi, Mozart, Donizetti. Artisti di grande livello, non certo frettolosi nel comporre, tantomeno trascurati. Compositori che hanno lavorato con maggiore intensità senza trascurare per questo la forma e un’attenta ricerca tematica. Tutto questo ragionamento serve solo a farci comprendere in modo chiaro quale fosse la partecipazione emotiva di Puccini nella composizione delle sue opere e nella caratterizzazione dei suoi personaggi. Un’attenzione fuori dal

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normale che ci permettere di distinguere ancora una volta Puccini da tutti gli altri; così unico, così particolare. Nascono in questo modo personaggi di grande fascino e spessore come Rodolfo e Mimì, Musetta e Marcello, Calaf e Liù, Mario Cavaradossi e Floria Tosca, Pinkerton e Cio-cio-san. E i nomi delle sue opere sono ormai passati alla storia della musica: Le villi, Edgar, Manon Lescaut, La bohème, Tosca, Madama Butterfly, La fanciulla del West, La rondine, Il tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi (queste ultime tre ad atto unico, unite sotto il nome de Il trittico), Turandot. Dodici capolavori è quello che Puccini ha lasciato a tutti gli amanti dell’Opera; dodici stelle tra le quali splende luminosa la meraviglia della sua ultima fatica: Turandot, naturalmente.

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(fig 10)

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FONTI

Cento anni fa Puccini stravolse la fiaba di Gozzi dando a Turandot l'immortalità -   IlGiornale.it http://www.ilgiornale.it/news/cento-anni-fa-puccini-stravolse-fiaba-gozzi-dando-turandot.html

TURANDOT - opera di GIACOMO PUCCINI - trama   Turandot http://www.settemuse.it/musica/opera_turandot.htm

ANDREA FRANCO - TURANDOT DI GIACOMO PUCCINI - CROCE E DELIZIA DELL'OPERA   ITALIANA http://www.rodoni.ch/busoni/turandotandreafranco.html

Fonti iconografiche:

fig 1 http://www.istitutointernazionaleperlaricercateatrale.it/venezia/carlo-gozzi/

fig 2 http://web.infinito.it/utenti/h/heinrich.fleck/busoni/galleria/main_galleria_01.htm

fig 3 http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/49/Puccini1908.jpg

fig 4 http://www.sapere.it/enciclopedia/G%C3%B2zzi,+Carlo.html

fig.5 http://gpuccini.altervista.org/opere/turandot/turandot.htm

fig 6 http://www.manfredschweigkofler.com/it/_operacomix/turandot-operacomix/

fig 7 http://www.settemuse.it/musica/opera_turandot.html

fig 8 http://operaomniablog.blogspot.it/2010/11/turandot-7-riassunto-dellatto-ii.html

fig 9 http://www.klpteatro.it/turandot-barberio-corsetti-scala

fig 10 http://iopera.es/wp-content/uploads/2012/05/1-3d09fce5a7.jpg