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IL NUOVO LIBRO ENRICO BRIGNANO TUTTO SUO PADRE Rizzoli Estratto della pubblicazione

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Page 1: Tutto suo padre · 2018. 4. 12. · No. Non è così che si fa. In un titolo c’è tutto un mondo. Sono stati fatti degli studi. La maggior parte delle persone impiega circa un secondo

IL NUOVO L IBRO

ENRICOBRIGNANOTUTTO

SUOPADRE

RizzoliEstratto della pubblicazione

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ENRICO BRIGNANO

TUTTO SUO PADRE

Rizzoli

Estratto della pubblicazione

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Proprietà letteraria riservata

© 2012 RCS Libri S.p.A., Milano

ISBN 978-88-58-6297 1

Prima edizione digitale da I edizione: maggio 2012

Crediti fotografici: p. 19, a destra: © Gianmarco Chieregatop. 148: © Foto di Nicolaj Pennestri, dal film Sharm el Sheikh. Un’estate indimenticabilepp. 45, 180, 214, 272: © Publidea95, dal libro Tra Roma e il mare. Storie di Acilia e dintorni Tutte le altre foto: © Archivio privato della famiglia Brignano

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L’Editore ha fatto il possibile per reperire i proprietari dei diritti e rimane a disposizione per gli adempimenti d’uso.

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TUTTO SUO PADRE

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Prima di tutto, grazie! Grazie infinite. Dico a te, ca-rissima amica o carissimo amico… Dice: «Ma come?! Ancora stiamo a carissimo amico?». Certamente! Perché voglio principiare rivolgendomi direttamente a te, caro lettore o cara lettrice, che ti stai apprestando a leggere queste pagine. È doveroso che prima di tutto ti porga i miei ringraziamenti. Non è cosa frequente che qualcuno ti apra la propria casa per accoglierti, se pur con il sano intento di farsi raccontare delle storie.

«Tutto suo padre. Ma che libro è?» Magari adesso ti starai chiedendo: “L’autore cosa vuole raccontar-mi?”. Se di racconto si trattasse, o di romanzo, o di poema in versi, o di commedia, sarebbe facile soddi-sfare la tua curiosità. Una storia comincia, si dipana, s’intreccia, s’ingarbuglia e si risolve in un finale che rimanga impresso. Ma per far questo dovrei essere uno scrittore. E scrittore non sono, io sono attore. Un attore che scrive non si imbriglia in uno schema

CARO LETTORE DUE PUNTI

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logico, nel meccanismo delle cause e degli effetti, so-prattutto se sono effetti personali, affetti personali, come quelli che ispirano il senso del libro che tieni fra le dita. Sappimi perdonare quindi se in questo diario condiviso non rispetterò affatto i canoni del racconto, se passerò dalla prosa ai versi sciolti, tran-sitando per il dramma e la commedia, se saltabecche-rò da un tempo all’altro, da un luogo all’altro, senza navigatore, senza rotta. Farò come fanno i ricordi, e per te sarà come vedere un mio spettacolo.

Ma ora permettimi qualche raccomandazione, ci tengo, se non altro perché ogni libro contiene qual-cosa di chi lo scrive, ma il suo destino è esclusiva-mente nelle mani di chi lo legge. Fa’ come se questo libro fossi io stesso. Leggimi dove vuoi e come più t’aggrada. Però non lasciarmi solo troppo a lungo, non ripormi senza avermi dato un solo sguardo, dentro uno scaffale, fra le ricette della pastafrolla e il Bignami sbiadito del liceo; portami un po’ con te, nel fondo di una borsa, nelle buste della spesa o nelle tasche di un trolley; appoggiami pure sul sedile posteriore o sul cruscotto dell’auto; leggimi dapper-tutto se ti diverto, è ovvio. Portami pure al bagno se t’aiuta, magari fa’ attenzione che non cada dal bordo della vasca nella schiuma o dentro differenti specchi d’acqua. Se vuoi tenere il segno fammi pure le orec-chie, se vuoi sottolineare qualche passo, a penna o

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con il lapis, fallo pure. Se vuoi mi addormenterò con te sul comodino che hai vicino al letto. Leggimi sen-za voce, sottovoce, ad alta voce… hai piena voce in capitolo. E, quando avrai finito, magari regalami o lasciami sulla panchina di un parco affinché qualcun altro mi faccia raccontare ancora un po’. Se poi sarò per te soltanto carta, sappimi riciclare in modo giu-sto. Insomma, fa’ di me quello che vuoi ma fa’ come se il libro fosse tuo.

Un abbraccio di parole Enrico

P.S. Dopo questa dichiarazione d’intenti mi auguro proprio che tu, caro il mio compagno o mia compa-gna di confidenze, non ti stia domandando quale sia stata la malaugurata ragione per la quale tu abbia deciso di uscire da casa, prendere la macchina, par-cheggiarla in doppia fila, rischiare la multa, entra-re in libreria e comprare questo mio secondo libro. Lo so, avrei dovuto pagarti io per farti leggere le mie smemorie, un po’ come si fa con gli psicanalisti. Comunque, se casualmente tu che mi stai leggendo facessi di mestiere lo psicanalista, gradirei che me lo facessi sapere, io pago quello che c’è da pagare, so-prattutto nel caso avessi preso pure la multa. Ci met-tiamo d’accordo… Un tot a seduta, anzi a sdraiata, perché è notorio che dallo psicanalista, se ci vai, si

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parla sdraiati; e se poi non fosse uno psicanalista classico, freudiano, magari ti fa pure parlare seduto ma poi ti sdraia lo stesso al momento della parcella.

Sarebbe auspicabile che tu, al di là del mestiere che fai, mi stessi leggendo per divertirti, magari per conoscermi meglio, senza stare tanto a scomodare l’inconscio. Anche perché, ora più che mai, sono con-scio del fatto che proprio io che nella vita, scolastica soprattutto, con i libri ho sempre avuto dei proble-mi, ora sto scrivendo addirittura il mio secondo li-bro. Quasi non ci credo! Mi dico che sto sognando, poi mi chiama l’editore per sapere a che punto sto e mi rendo conto che è vero.

Tutto suo padre è la mia seconda opera letteraria, un po’ come il Convivio per Dante Alighieri o La commedia degli errori per William Shakespeare… Non che voglia paragonarmi a loro, ma mi è sempre piaciuto avere dei modelli irraggiungibili. Più lonta-no è il traguardo, più gagliarda è la salita.

Facendo un calcolo approssimativo, secondo me il pre-cedente libro è stato letto da circa centomila persone.

Dico secondo me, perché in Italia le cifre si mettono sempre in discussione: «Ma che centomila? Saranno stati al massimo diecimila». Ovviamente si minimiz-za quando l’evidenza delle cifre risulta destabilizzante per qualcuno. C’è sempre qualche “addetto ai livori” che si sente destabilizzato dal successo di un libro, di

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uno spettacolo teatrale, di un film o addirittura di una manifestazione di piazza. Nell’ultimo caso è la questu-ra che tende a minimizzare: «In piazza San Giovanni un milione di manifestanti». La questura rettifica: «Trecentomila». «Hanno partecipato al corteo cen-tomila persone.» La questura: «Venticinquemila». A meno che la manifestazione non sia stata indetta dal governo in carica. E allora a piazza San Giovanni è come se si fossero festeggiati un secolo di Primi Maggio. La questura lo fa, lo fa sempre. È carattere! È nel DNA! Addirittura lo fece con Luigi Pirandello… quando scrisse Uno, nessuno e centomila la questura di Agrigento disse: «Quarantacinquemila, massimo quarantasei». Uno, nessuno e quarantaseimila.

Bel titolo. Devo ricordarmelo quando mi deciderò a scrivere il mio terzo libro.

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Una cosa da non sottovalutare nella stesura di un li-bro è il titolo. Importantissimo, è il biglietto da visi-ta. Un piccolo trailer, l’anticipazione del tema. Deve invogliare, incuriosire colui che passa distrattamente davanti alla vetrina della libreria. Deve essere pen-sato con mente lucida e cervello fino, deve essere un titolo di testa. Tre mesi per scrivere circa sessanta-cinquemila parole – più o meno quelle contenute in centocinquanta pagine – e sei per trovare un titolo.

Come per un titolo nobiliare, il titolo di un libro è una grande responsabilità, perché ogni autore che si rispetti ha dei doveri verso il suo lettore, sia esso occasionale o affezionato. Tu autore (specialmente comico) non puoi barare, non puoi farti tentare dal-la simpatia o dalla bellezza del titolo se poi non cor-risponde esattamente al contenuto. Sarebbe troppo facile. C’è gente che ancora sta tentando di scrivere un libro solo perché gli è venuto un titolo gagliardo.

L’IMPORTANZA DI UN TITOLO

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Celeste pubalgia

E giù a cercare di inventarsi una storia ambientata in paradiso, dove un angelo soffre appunto di pubalgia.

Dalla padella nell’antrace

E vai con la storia del cuoco del presidente ameri-cano assoldato dai servizi segreti arabi per mettere questa micidiale sostanza chimica nei condotti di ae-razione della Casa Bianca.

Corte parziale

Già vedo lo scrittore! Allora… dunque… lui ama con-quistare le donne ma è affetto da incostanza perni-ciosa…

Condannati a sorte

Bello! E vai: questa è facile. Una famiglia sul lastri-co, senza più una lira per pagare il mutuo, riceve una lettera della banca. Se fra quindici giorni non si metterà in regola con i pagamenti, le sequestrerà la casa. Il capofamiglia si fa fare un prestito dagli amici e compra un sistemone del Superenalotto.

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No. Non è così che si fa. In un titolo c’è tutto un mondo.Sono stati fatti degli studi. La maggior parte delle

persone impiega circa un secondo per leggere un tito-lo. Ebbene, in quel secondo lo scrittore si gioca tutto: la sua fatica letteraria, il suo impegno, la sua bravura. In quel misero secondo si gioca la possibilità di ven-dere così tante copie da invogliare la casa editrice a ristamparlo. Tutto questo è indissolubilmente legato alla speranza che quel secondo si allunghi a causa del titolo del suo libro.

La spietata filosofia del marketing conta tre momen-ti fondamentali. Primo: bloccare il passante. Secondo, ancora più difficile: farlo entrare in libreria. Terzo, il momento che tutti gli scrittori sognano: l’ignaro pas-sante – che ormai non è più ignaro –, una volta en-trato in libreria, si avvicina al libro, invogliato dalla foto del comico sorridente e con un’espressione pa-cioccona, innocua, come per dire: «Non ti preoccupare ignaropassantecheormainonseipiùignaro, avvicinati di più, non ti può succedere niente di male, guarda-mi, noi due la pensiamo allo stesso modo. Il mondo è cattivo sai, tutti cercano di farci le scarpe, di fregarci. È triste non poterci fidare di nessuno, stare sempre sul chi vive, senza rilassarci un attimo. Tutti contro tutti col coltello fra i denti… a parte il fatto che non puoi più parlare, perché appena apri bocca ti cade il coltello per terra… e poi che fai? Lo raccogli e te lo rimetti di

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nuovo in bocca? Non è igienico: lo devi lava’. Lo devi asciugare bene… perché se non è acciaio inox si può arrugginire… amico mio, in verità ti dico, sputa quel coltello, anche perché che ne sai chi ce l’ha avuto fra i denti prima di te? Dai, non è igienico.»

Tu dirai: «Ma come faccio, se non mi posso fidare di nessuno?».

«Sbagli amico mio… di me ti puoi fidare, io sono dalla tua parte, non vedi come ti sorrido bonario? E, credimi, non lo faccio per interesse…»

«Uhm, e chi me lo dice a me?» «Amico mio, tu credi dunque che io stia facendo

tutto questo per farti comprare il mio libro? Per ir-retirti come una zoccola seminuda in un viale albe-rato accanto al suo copertone che brucia? Tu pensi veramente che io abbia sottomesso la mia voglia di raccontarmi senza pudori, di aprire il mio cuore al lettore, farlo partecipe delle mie più segrete emozio-ni, dei miei segreti più inconfessabili, alla squallida matematica del vendere copie, per il solo scopo di guadagnare soldi? Allora non mi conosci… e mi di-spiace, mi addolora a tal punto che, se potessi, in questo momento dalla mia foto in copertina non sor-riderei più… se potessi non farei più vedere la gioia che ho di stringermi in un abbraccio con tutti i miei lettori… con te. Non ti mostrerei più questo sponta-neo sorriso – che ho voluto con tutto me stesso – anche

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a costo di sembrare quello che più odio: un ruffiano che circuisce la parte più bella dei miei possibili lettori. La libertà di comprare o non comprare il mio libro.»

«Scusami Brignano.»«Ma che Brignano. Dai, chiamami Enrico…»«Sai che ti dico, Enrico? Quasi quasi lo compro il

tuo libro…»«No, possibile lettore, sbagli! Questo non è il mio

libro, questo è il nostro libro! E se lo compri, leggen-dolo ti riconoscerai negli episodi, nelle situazioni, in certi momenti della tua vita che avrebbero meritato di essere bloccati nella memoria. Io li ho scritti, li ho fermati sulla carta anche per te.»

A questo punto il probabile lettore è psicologica-mente pronto per allungare il braccio, afferrare il libro e sfogliare le prime pagine… procede tutto a meravi-glia. Come funziona un’esca al pescatore che ha but-tato la lenza a mare, così funziona il titolo nel grande mare della comunicazione. Detto così sembra che io sia un intenditore, uno che, appena gli è venuto in mente Tutto suo padre, abbia esclamato: «Eureka! Questo libro non può che chiamarsi così. È perfetto». In effetti l’ho pensato… Tutto suo padre… me lo ripetevo con-tinuamente in bagno, al ristorante, in macchina… me lo dicevo in mente, me lo immaginavo sulla copertina del libro, lo vedevo stampato in tutti i colori, anche do-rato, a sbalzo. Ma non sarà troppo impegnativo? Non

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sarà troppo ridondante? Non sarà troppo? Ma sì, in fondo un classico nero su bianco non è male.

Soddisfatto, comincio a pensare al carattere del ti-tolo… deve essere un carattere che mi somigli… al-meno nel carattere. E vai, sìììì! È fatta. Questo titolo è una bomba. Sicuro di aver fatto centro, eccitato, lo dici al tuo migliore amico. Sto scrivendo un libro, che ne dici del titolo? Tutto suo padre. Bello, no?… E qui la letteratura deve fare i conti con la debolezza dell’es-sere umano, con la sua gracile costituzione psicologica. Basta un niente, una pausa del tuo amico… che invece di precipitarsi a dire: «Uau, è stupendo, è meraviglioso, non ho mai sentito un titolo così forte…» fa una pau-sa. In realtà sta solo valutando quello che ha appena sentito. Non ha in volto nessuna espressione contra-riata, nessun segno mimico di negatività, sta facendo soltanto e semplicemente una pausa. In quel piccolo lasso di tempo una valanga investe il tuo castello di convinzioni, le tue sicurezze si sciolgono come neve al sole… quella pausa è un cancellino che fa sparire dalla lavagna delle certezze il tuo titolo. Cancellato, azzerato da quella maledetta pausa.

Saluti frettolosamente l’amico, giuri che, finché sa-rai in vita, non gli sottoporrai più niente da valutare e cominci a rimboccarti le maniche per raccogliere i cocci rimasti dopo questo frontale con la realtà. Ma la realtà ha una cosa di bello: è soggettiva, basta mettersi d’ac-

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cordo con l’inconscio e la puoi manipolare a piacimen-to. Esamini la cosa con finta freddezza. In realtà, que-sto mio amico mi ha dato una delusione… ma poi in realtà, questo mio amico è davvero mio amico? È stato imparziale nel suo giudizio? O si è fatto influenzare da qualcosa che in questo momento mi sfugge? Magari, che ne sai?, qualche volta l’ho trattato male… l’ho de-luso… può essere. Forse qualche volta non sarò stato all’altezza delle sue aspettative. Magari lui ha aspetta-to e io non sono arrivato. Adesso che mi ricordo, l’altra volta dopo lo spettacolo mi sono intrattenuto a parlare con la sua ragazza in camerino…Vuoi vedere che l’ha presa male? Difatti quando la sua ragazza l’ha convin-to ad andare a mangiare tutti insieme, al ristorante è

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stato zitto tutto il tempo… Va bene, aveva un gran mal di denti, ma che vuol dire? Lo so io che vuol dire. Vuol dire che non mi voleva parlare, che ce l’aveva con me. Ecco perché ha fatto quell’espressione di sofferen-za quando la sua ragazza al momento dei saluti mi ha detto: «Sei il meglio!». Adesso è tutto chiaro.

Magari il titolo gli è piaciuto, ma siccome ce l’aveva con me non mi ha voluto dare la soddisfazione di dir-mi la verità. Da un amico proprio non me l’aspettavo.

Ti sei salvato in corner. Ma anche se fosse vero che non gli sia piaciuto… siamo in due? A me piace a lui no, siamo al cinquanta per cento… Occorre un test e una persona sola non fa test… ci vuole un son-daggio serio come fa la Doxa, una piccola inchiesta tra i miei conoscenti. Cominci a mettere in mezzo il portiere del palazzo, gli zii, la fruttivendola, il barista sotto casa, il giornalaio, la cerchia dei parenti… E ti accorgi di come una domanda può scatenare le più impensate reazioni. Giovanni, il mio meccanico che fino a un momento prima si occupava di marmitte ca-talitiche, esce da sotto la macchina, si alza, protende le mani avanti come se fosse un chirurgo nell’atto di farsi mettere i guanti dall’infermiera prima di un’o-perazione importante, il ragazzo di bottega si preci-pita verso di lui dopo aver strappato della carta da un rotolo e gliela porge. Giovanni fa un’espressione concentrata: «Aridimmelo un po’».

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«Tutto suo padre» butti lì il titolo, badando a non sottolineare niente che possa in qualche modo influenzare il giudizio.

Giovanni restituisce la carta ormai sporca al ra-gazzo, prende un respiro: «Suo padre… di chi?».

«Di chi in che senso?»«Di chi è ’sto padre?»«È mio!»«Ah, padre tuo?! Quindi tutto tuo padre.»«Sì, però il titolo è Tutto suo padre.»«Ho capito, ma suo di chi?» «A Giovanni, il padre è sempre mio. È un modo

di dire… che te lo devo dire io?»«E la madre?»«Cioè?»«La madre c’entra?»«No. La madre non c’è…»«’Sto fijo c’ha solo il padre? La madre che ha fat-

to? È scappata? Da chi è stato allevato ’sto fijo?»«Mamma mia Giova’, è solo il titolo di un libro.

Dico, ti piace?»«Com’era?» «Tutto suo padre.» «Ma il padre di chi?»«A Giova’, se vedemo! Oh, grazie per l’aiuto.»Vi risparmio il contenuto degli altri sondaggi… Vi

dico l’ultima cosa in merito al tema. Un titolo è una

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specie di piccola magia, un miscuglio di intuizione, raziocinio e fortuna. È un’alchimia che ha bisogno di elementi precisi. Ci sono regole ferree da rispettare se non vuoi dare la fregatura al lettore. Un titolo può essere tutto… ma non deve essere mai gratuito. Un titolo deve costare, ad esempio ’sto titolo t’è costato venti euro… il contenuto è omaggio: a cominciare dal-la seconda di copertina tutto quello che leggi è gratis.

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A te che magari nell’acquistare il libro hai posto attenzione soltanto al titolo senza curarti del nome dell’autore, voglio precisare che io mi chiamo En-rico Brignano. Ci tengo a puntualizzare la mia identità anche per iscritto perché a volte il pub-blico è un po’ distratto. Magari viene a teatro e si addormenta in prima fila oppure vede la tv in modo passivo, mentre apparecchia o sparecchia la tavola, mentre va al bagno, mentre discute sul di-vano e crede di aver capito tutto di te. Magari è lo stesso pubblico che, vedendo un tuo film al cinema mentre manda sms, pensa di conoscerti da anni… Perché il pubblico è così… È sovraesposto a mille stimoli, impulsi, sollecitazioni, imposizioni della comunicazione contemporanea, tanto da esserne letteralmente sopraffatto.

Quindi ripeto, sono Enrico Brignano… Con la “O”… mi raccomando. Ci tengo perché tanti, so-

MA TU SEI COSO, QUELLO FAMOSO!

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