ullismo e devianza giovanile: spunti di riflessione … · pertanto, aumentano esponenzialmente...

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________________________________________________________________________________________________ 1 BULLISMO E DEVIANZA GIOVANILE: SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLE BUONE PRATICHE IN AMBIENTE SCOLASTICO E CENNI AGLI ASPETTI DI TUTELA LEGALE DEGLI INSEGNANTI (di Amedeo Pazzanese) Premessa La delicatezza delle tematiche sottese ai fenomeni di devianza giovanile e, più in generale, al rapporto tra giovani e legalità, pone quotidianamente all’attenzione dei genitori e delle istituzioni il problema della prevenzione e delle responsabilità di natura giuridica che possono derivare dalla sottovalutazione di alcune delle criticità che si manifestano nel vissuto quotidiano dei ragazzi. Tali aspetti investono inevitabilmente anche tutti gli altri soggetti i quali, a vario titolo, entrano a far parte del complesso meccanismo di sviluppo ed educazione delle nuove generazioni. Tra questi i primi sono senza dubbio gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. La portata, la natura ed il costo sociale dei numerosi fenomeni di devianza giovanile che da alcuni anni ad oggi si riscontrano in numero sempre maggiore (tra i quali spiccano, per triste attualità, il bullismo ed il cyberbullismo, con le loro conseguenze a volte drammatiche), sono stati esaminati ed ampiamente analizzati nei più disparati consessi. Psichiatri, psicologi, sociologi, criminologi, neuropsichiatri (anche infantili), magistrati, forze

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BULLISMO E DEVIANZA GIOVANILE: SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLE

BUONE PRATICHE IN AMBIENTE SCOLASTICO E CENNI AGLI ASPETTI

DI TUTELA LEGALE DEGLI INSEGNANTI (di Amedeo Pazzanese)

Premessa

La delicatezza delle tematiche sottese ai fenomeni di devianza giovanile e, più in generale,

al rapporto tra giovani e legalità, pone quotidianamente all’attenzione dei genitori e delle

istituzioni il problema della prevenzione e delle responsabilità di natura giuridica che

possono derivare dalla sottovalutazione di alcune delle criticità che si manifestano nel

vissuto quotidiano dei ragazzi.

Tali aspetti investono inevitabilmente anche tutti gli altri soggetti i quali, a vario titolo,

entrano a far parte del complesso meccanismo di sviluppo ed educazione delle nuove

generazioni. Tra questi i primi sono senza dubbio gli insegnanti delle scuole di ogni ordine

e grado.

La portata, la natura ed il costo sociale dei numerosi fenomeni di devianza giovanile che

da alcuni anni ad oggi si riscontrano in numero sempre maggiore (tra i quali spiccano, per

triste attualità, il bullismo ed il cyberbullismo, con le loro conseguenze a volte

drammatiche), sono stati esaminati ed ampiamente analizzati nei più disparati consessi.

Psichiatri, psicologi, sociologi, criminologi, neuropsichiatri (anche infantili), magistrati, forze

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di polizia, esponenti delle istituzioni ed altri, hanno cercato di affrontare la materia in modo

quanto più esaustivo possibile.

E’ stato da più parti posto l’accento sul fatto che le nuove generazioni agiscono spesso

sulla base di automatismi, individuali o di gruppo, che precludono loro la possibilità di

valutare correttamente la portata e le conseguenze (sia fisiche che giuridiche) delle azioni

che compiono. Del resto gli stessi limiti fisiologici connessi all’età e allo sviluppo “sociale”

dei giovani, più che naturali nelle fasce di età più basse, rappresentano un ostacolo

insormontabile alla possibilità di gestire i fenomeni di devianza facendo leva

esclusivamente sull’opera di sensibilizzazione e di formazione rivolta a coloro che però

sono anche parte attiva e causa dei fenomeni stessi.

La rapidità con la quale le nuove generazioni interagiscono, unita all’abbattimento di ogni

forma di inibizione causato dall’utilizzo massivo di strumenti informatici, ha aumentato in

maniera esponenziale la portata degli atti contrari alle regole (a volte illeciti o antigiuridici)

compiuti dagli stessi. Considerate le precise e rigide disposizioni normative in materia di

illeciti compiuti da soggetti minorenni, è aumentata, parallelamente, anche l’esposizione a

responsabilità giuridica di tutti coloro che per ragioni familiari e/o professionali assumono

nel corso dei vari momenti della giornata la responsabilità delle azioni di giovani e

giovanissimi.

I profili giuridici della culpa in educando (tipica dei genitori) e della culpa in vigilando (tipica

degli educatori), sono tematiche note a molti ma conosciute nel dettaglio da pochi. Sono

materie poco approfondite, che richiedono sicuramente tecnicismo e preparazione

giuridica ma che, se ben illustrate, sono comprensibili e risultano di particolare utilità per

coloro che hanno la responsabilità delle azioni dei minori sottoposti alla loro vigilanza,

sulla base del principio dell’affidamento.

Si tratta, tuttavia, di tematiche che raramente sono oggetto di aggiornamento

professionale nei modi dovuti e che, soprattutto, non fanno sempre parte del bagaglio

professionale del corpo docente; purtroppo si palesano in tutta la loro importanza solo

quando un danno è stato provocato ed una responsabilità giuridica è oramai determinata

ed in corso di attribuzione.

E’ evidente agli addetti ai lavori, quanto sia elevato il rischio, anche se in astratto e a livello

solo potenziale, di comportamenti illegali o antisociali posti in essere da parte degli

studenti all’interno delle strutture scolastiche e durante l’orario delle lezioni o degli

intervalli. La stragrande maggioranza di questi fenomeni origina da più generali condizioni

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di disagio sociale, familiare, generazionale e di altra natura; si tratta di fenomeni che

trovano nel bacino dell’istruzione uno dei loro contesti di manifestazione e/o realizzazione,

ma raramente sono ascrivibili direttamente al contesto educativo scolastico anche se poi,

come è noto, le conseguenze di natura giuridica possono ricadere anche sui responsabili

dei plessi formativi.

Ciò vale a prescindere dalla fascia di età o dal contesto socio-culturale di appartenenza: le

nuove generazioni attribuiscono ai concetti di rispetto delle regole e della persona,

significati alterati, deformati, spesso frutto di convincimenti superficiali o di valutazioni non

corrette.

Tali errate interpretazioni e la visione spesso distorta che i giovani hanno sia del concetto

di rispetto delle regole sia dei soggetti che devono farle rispettare, sono molte volte frutto

di condizionamenti familiari o sociali non corretti (alcune volte scriteriati), di modelli distorti,

di atteggiamento deviante da parte di individui che, per professione o condizione sociale,

esercitano sui giovani un qualsivoglia potere di condizionamento e, non da ultimo,

dell’effetto di trascinamento delle masse, tipico dei giovani di oggi, in virtù del quale l’idea

o il comportamento di uno (giusti o sbagliati che siano) sono destinati inevitabilmente a

diventare l’idea o il comportamento di una moltitudine.

Proprio in considerazione della difficoltà di attuare una corretta opera di prevenzione e

formazione direttamente sui giovani, spesso la loro condotta sfugge al controllo di coloro

che sono deputati alla vigilanza e gli effetti, laddove negativi, possono ricadere oltre che

sugli stessi studenti, anche sulle famiglie e su tutti i soggetti che assumono la

responsabilità di controllarne le azioni nei vari momenti della vita quotidiana (familiare,

scolastica, sportiva, aggregativa ed altro).

Se allora è importante insistere nell’opera di formazione, educazione e sensibilizzazione

dei giovani, non si può tuttavia prescindere da una ciclica e sistematica attività di

informazione ed aggiornamento degli insegnanti, con l’obiettivo di fornire tutti gli strumenti

conoscitivi essenziali per gestire sia gli aspetti fisiologici che le patologie del

comportamento degli studenti, conciliando le esigenze della formazione e dello sviluppo

delle nuove generazioni con la tutela giuridica di chi, per legge, assume la responsabilità

dei minori quando sono affidati alla custodia di persone diverse dai genitori.

A tale riguardo sarebbe anche auspicabile una rimodulazione (o modulazione) delle

procedure interne agli istituti di istruzione di ogni ordine e grado, onde consentire al corpo

docente di poter contare su linee guida chiare e inequivoche circa i comportamenti e gli

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obblighi di informazione da tenere in caso di episodi degni di attenzione (ricompresi anche

quelli più gravi) posti in essere da parte degli studenti all’interno delle strutture di

pertinenza.

Tale percorso è già stato avviato e delineato dal Miur nell’aprile del 2015 con le “Linee di

orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo ed al cyberbullismo”,

documento in cui si propone “…la revisione dei processi messi in atto per una messa a

punto di un nuovo piano strategico di intervento che tenga conto dei mutamenti sociali e

tecnologici che informano l’universo culturale degli studenti”.

Quanto esposto può essere “…realizzato attraverso la costituzione di reti territoriali allo

scopo di realizzare progetti comuni e di valutare processi e risultati prodotti: si darà vita

così, attraverso il confronto, ad un sistema di buone pratiche e si svilupperà nel tempo un

know-how fondato storicamente sulla continuità e sulla valutazione delle esperienze e,

contestualmente, sul rinnovamento dei processi alla luce dei risultati…”.

Il percorso appare ancora necessario, in quanto è già stato evidenziato come, in molti

casi, si rilevi una carenza di informazione degli insegnanti in relazione a quelle che sono le

loro responsabilità di natura sia civile che penale (oltre che di natura patrimoniale),

derivanti dalle condotte degli alunni all’interno degli istituti ed in relazione al dovere di

sorveglianza che sorge in capo a tutti i docenti dal momento in cui i minori vengono loro

affidati per ragioni di istruzione.

Le condotte “contra legem” che oggi possono essere realizzate da parte degli studenti,

travalicano le figure alle quali siamo stati tutti tradizionalmente abituati, anche e soprattutto

in virtù delle nuove forme più pervasive di devianza giovanile, che si realizzano non più in

un solo momento o con una sola azione, quanto piuttosto attraverso una seria di atti ciclici,

ripetuti nel tempo, a volte visibili e tangibili ma che, nella maggior parte dei casi, si

realizzano in maniera più silenziosa e subdola, attraverso il web, con il suo effetto di

irreversibile moltiplicazione di ciò che attraverso di esso viene divulgato e comunicato.

Alcune rapide (ma non secondarie) considerazioni devono essere formulate con

riferimento alla tipologia di condotte tenute dagli studenti, dalle quali possono derivare

conseguenze giuridiche per gli insegnanti e per tutti coloro che assumono la responsabilità

in virtù del principio giuridico dell’affidamento.

In via preliminare è bene evidenziare come in tutti i casi che verranno presi in esame

(scuola primaria e scuola secondaria, di primo e secondo grado), gli eventuali autori sono

soggetti minori di anni 18 e, come tali, totalmente o parzialmente non imputabili. Ciò

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significa che gli stessi non sono dotati della capacità di intendere (rendersi conto delle

conseguenze che possono derivare dalle proprie azioni) e della capacità di volere

(capacità di determinarsi e di indirizzare le proprie azioni, consapevolmente, verso un

determinato risultato).

Significa, ancora più nel dettaglio, che gli stessi non sono dotati dell’idoneità al reato, ossia

che l’ordinamento giuridico non li ritiene in grado di collegare un fatto da loro commesso

(fatto antigiuridico, quindi commesso in violazione di una legge) con le conseguenze

giuridiche che da quel fatto derivano.

Per i soggetti di età fino ai 14 anni la presunzione di non imputabilità è assoluta. Dai 14 ai

18 anni viene valutata, in caso di illecito, caso per caso dal giudice, in base allo stadio di

sviluppo e maturazione del minore.

Fatte queste premesse, posto che gli atti che il minore può compiere all’interno della

scuola (e dai quali possono comunque derivare delle responsabilità per docenti e genitori)

prescindono dall’età dello stesso (sono aumentati, negli ultimi anni, proprio quelli

commessi da ragazzi di età molto bassa), appare naturale evidenziare come vi siano delle

differenze sostanziali, relativamente alle possibili problematiche generate dagli alunni, in

relazione all’età e alla tipologia di classe dagli stessi frequentata.

E’ naturale come gli alunni della scuola primaria, trattandosi di bambini che si attestano

nella fascia di età 5-10 anni, possano generare fatti illeciti le cui conseguenze giuridiche

sono destinate ad esaurirsi all’interno del plesso scolastico e siano facilmente risolvibili tra

gli stessi genitori e i docenti. Si tratta per lo più di fatti accidentali, riconducibili alla

fisiologia dello sviluppo dei bambini e che, laddove vadano ad impattare sulla sfera fisica o

emotiva dei loro coetanei, non sono comunque destinati a produrre conseguenze durevoli.

Per gli alunni della scuola secondaria di primo grado, trattandosi di fascia di età compresa

tra gli 11 ed i 13 anni, il discorso è più articolato. Si tratta infatti di quell’età in cui pur a

fronte di uno sviluppo non ancora definito della personalità (sono, infatti, soggetti del tutto

non imputabili dal punto di vista del diritto), gli atti compiuti sono in grado di produrre

modificazioni sostanziali nella sfera fisica e giuridica altrui. A ciò va poi aggiunto il fatto che

in quella fascia di età l’utilizzo degli strumenti informatici comincia ad essere massivo e,

pertanto, aumentano esponenzialmente anche i rischi di consumazione di fatti illeciti legati

all’utilizzo del web (dei quali si è già parlato, n.d.r.).

Quanto agli alunni della scuola secondaria di secondo grado, con fascia di età compresa

tra i 14 ed i 18 anni, è sottinteso che si tratta della fascia di età nella quale il rischio di

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consumazione degli atti illeciti (che saranno singolarmente esaminati nel capitolo

seguente) è il più elevato. Proprio per tali motivi la legge riserva al giudice (in caso di

illecito riscontrato) la valutazione nel caso concreto della personalità del minore e del

grado di capacità di intendere e volere al momento del fatto. Anche in questo caso la

variabilità degli elementi che vengono presi in considerazione dal giudice, attiene ad un

momento successivo ed è pertanto ininfluente sulle dinamiche alunni/docenti, considerato

che ciò che può ricadere sulla sfera giuridica di questi ultimi (in termini di responsabilità di

natura penale, civile o patrimoniale) è il fatto storico realizzato all’interno della scuola e nel

corso dell’affidamento, a prescindere dal grado di imputabilità dell’autore del fatto così

come valutato successivamente durante l’eventuale processo.

Ciò che interessa, in particolare, sono i fatti illeciti che originano dalla condotta dei minori,

escludendosi dalla presente trattazione i fatti accidentali o quelli che originano dall’omesso

controllo dei docenti e dai quali può derivare un danno agli studenti senza condotta attiva

di questi ultimi. Rilevano poi, in questa sede, le possibili condotte illecite che vengono

tenute dagli studenti all’interno degli istituti scolastici; in buona sostanza tutto ciò che

ricade sotto la responsabilità degli insegnanti durante l’orario scolastico ed all’interno delle

scuole (dal momento della consegna dei minori, laddove inizia l’obbligo di vigilanza).

Si parlerà solo di responsabilità oggettiva (o, meglio, indiretta) degli insegnanti,

rimandando ad altro lavoro la responsabilità diretta (fatti eventualmente consumati dagli

insegnanti in danno degli studenti). Si rimanda ad altra sede anche la trattazione della

responsabilità patrimoniale, in quanto si tratta di una materia vasta, articolata e che

richiede un autonomo lavoro per essere affrontata in maniera chiara ed esaustiva.

Sulla responsabilità civile e patrimoniale dei docenti è già stato scritto molto, così come

copiose sono anche le pronunce della giurisprudenza in materia. Non residuano oramai

dubbi sul fatto che il quadro normativo di riferimento sia misto: legislativo (cfr. ex multis

l’art. 61 della legge 312/1980 sulla responsabilità patrimoniale del personale direttivo,

docente, educativo e non docente; l’art. 2048 del Codice Civile relativo alla responsabilità

dei precettori); contrattuale (vedasi contratto collettivo nazionale di lavoro). Il dato dal

quale si deve partire per configurare correttamente il tipo di responsabilità degli insegnanti,

è quello per cui il personale docente delle scuole è riconducibile alla categoria dei

“precettori” di cui al richiamato art. 2048 del codice civile (articolo che, per costante

interpretazione della giurisprudenza, è applicabile per analogia anche ai dipendenti

statali).

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Il dovere di vigilanza che ricade in capo agli insegnanti, origina dall’art. 2048 comma 3 del

codice civile, che prevede quella forma di responsabilità aggravata a carico dei docenti

che si basa sulla c.d. “colpa presunta”, che ha quale presupposto la c.d. “culpa in

vigilando” (che a sua volta origina dalla violazione dell’obbligo di sorveglianza sugli allievi,

propri di tutti i docenti).

L’insegnante potrà liberarsi dalla presunzione di colpa a suo carico, solamente

dimostrando che quanto accaduto sia la conseguenza del caso fortuito, inteso quale

evento straordinario non prevedibile o superabile con la dovuta diligenza in relazione al

caso concreto (età, grado di maturazione degli allievi, condizioni ambientali, altro). E’

altresì necessario che l’insegnante dimostri di aver adottato, sempre nel caso concreto,

tutte le misure preventive ritenute idonee ad evitare la situazione di pericolo poi

trasformatasi nel fatto dannoso.

Molto è stato scritto anche sulla responsabilità di natura penale degli insegnanti, in

particolare nella materia di reati omissivi impropri (laddove il fatto sia addebitato

all’insegnante in quanto soggetto che aveva l’obbligo di evitare che si verificassero le

conseguenze dell’evento dannoso sul soggetto sottoposto alla sua vigilanza).

Quello che si vuole analizzare in questo lavoro sono le possibili forme di responsabilità dei

docenti per quelle nuove forme di devianza giovanile, in particolare bullismo e

cyberbullismo, nelle quali l’illecito non è causato da un fatto isolato ed episodico, ma da

una serie ripetuta e continuativa di atti che spesso avvengono tutti i giorni sotto gli occhi

degli insegnanti e per i quali potrebbero venirsi a profilare responsabilità degli stessi in

violazione dell’obbligo di vigilanza.

Proprio con riferimento a bullismo e cyberbullismo sorgono spontanei alcuni quesiti: se

quelli che poi andranno a configurare la fattispecie bullismo (o la sua più evoluta versione

del cyberbullismo) sono atti isolati, prodromici, singole parti di una concatenazione causale

che, presa nella sua interezza costituisce un fenomeno, ma valutata nei singoli elementi

costitutivi configura illeciti indipendenti, come possono gli insegnanti individuarli senza una

adeguata preparazione? E una volta individuati quali elementi sintomatici di ciò che va

oltre le normali dinamiche di interazione tra giovani, come possono attivarsi se non si è in

presenza di una condotta configurabile come reato o, quantomeno, come parte evidente di

esso? Quali sono gli organi dello Stato e delle Istituzioni che ne fanno parte che possono

essere attivati anche in una fase cd interlocutoria?

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La prima difficoltà che si incontra nell’affrontare la materia, deriva proprio dagli ultimi tre

quesiti e ne pone un altro, che attiene tuttavia più che all’aspetto tecnico, alle dinamiche

interne al corpo docente. Possono esigersi dagli insegnanti una condotta ed una

attenzione che vadano oltre la loro materiale possibilità di individuare eventuali criticità

comportamentali, trattandosi spesso di condotte devianti allo stato meramente

embrionale? Possono gli insegnanti monitorare tutto ciò che accede all’interno della scuola

e possono cogliere i sintomi del bullismo, posto che spesso gran parte degli episodi

negativi di rilievo accade nei momenti più disparati della giornata, in molti dei quali i minori

sono sottratti alla vigilanza del docente?

In questo lavoro si cercherà di rispondere a questi interrogativi, affrontando il problema da

un angolo di visuale distinto e differente, soprattutto con riferimento all’interazione del

corpo docente con gli organi dello stato che sono preposti a livello provinciale alla gestione

dei fenomeni di devianza giovanile e, dove necessario, alla prevenzione e repressione

degli illeciti.

La devianza giovanile

I fenomeni di devianza giovanile che si verificano all’interno degli istituti scolastici, che

originano dalle relazioni tra studenti e che si manifestano prevalentemente attraverso atti

di prevaricazione e sopraffazione (che, spesso, sfociano anche nel bullismo), sono legati

sia alle nuove dinamiche di interazione tra gli adolescenti, giovani e giovanissimi, sia alla

loro mancanza di percezione e conoscenza di quelle che sono le conseguenze giuridiche

delle azioni compiute (mancanza di conoscenza che, come spesso si riscontra, può

coinvolgere anche famiglie, educatori e soggetti preposti alla vigilanza sui giovani).

E’ noto come l’effetto negativo del fenomeno in esame sia poi amplificato dalla

inarrestabile diffusione degli strumenti tecnologici a disposizione degli studenti, quasi tutti

oggi abituali fruitori della rete ed utilizzatori degli strumenti offerti dal web per gran parte

delle attività quotidiane.

L’accessibilità degli strumenti informatici, unita ad una diffusione capillare di internet per

tutti gli usi della vita quotidiana (lavoro, studio, comunicazione, ecc.), aumenta

esponenzialmente la portata negativa degli illeciti e degli atti di violenza di genere ed

evidenzia in tutta la sua importanza il problema del controllo, ponendolo al centro

dell’attenzione di tutti coloro che fanno parte del complesso meccanismo della formazione

e dell’educazione dei minori.

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Attesa la possibilità che i giovani possano porre in essere atti illeciti all’interno delle

strutture deputate alla formazione e considerate le precise responsabilità che derivano agli

insegnanti dagli obblighi di affidamento e vigilanza, è opportuno che tutti i docenti delle

scuole (di qualsiasi ordine e grado), oltre a porre in essere le tradizionali attività di

“sorveglianza fisica” sul comportamento di coloro che sono posti sotto la loro

responsabilità, devono mantenere costante l’aggiornamento per poter contare sui

necessari strumenti finalizzati ad individuare sia le condotte più evidenti che gli atti c.d.

invisibili, ossia tutti quei comportamenti che possono nascondere latenti situazioni di

disagio o atti di prevaricazione in danno dei più deboli.

La prevenzione resta ancora oggi l’unico strumento in grado di conciliare le esigenze di

abbattimento degli episodi di illegalità all’interno degli istituti di istruzione e la tutela

giuridica degli insegnanti.

Con riferimento poi alle condotte delittuose (si utilizza qui il termine nella sua accezione

tecnica, senza voler trascendere in eccessi di allarmismo), che possono essere

consumate e che devono essere costantemente oggetto di osservazione da parte degli

insegnanti, uno dei principali problemi, oltre a quello della loro individuazione, è quello

relativo alla tempistica ed alle modalità di segnalazione dei fatti verificatisi all’interno della

struttura scolastica.

Obiettivo principale deve essere quello di fornire gli insegnanti degli strumenti più adatti,

sia per non enfatizzare oltremodo condotte che rientrano nella fisiologia dei rapporti tra gli

studenti sia, nel contempo, per implementare la loro capacità di osservazione verso i cd

“eventi sentinella”, quei fatti più silenziosi dai quali possono però poi emergere, nel tempo,

veri e propri episodi di bullismo.

Altro obiettivo, di non secondaria importanza, è quello di consentire ai docenti di

distinguere ciò che può e deve essere affrontato all’interno della struttura scolastica, con le

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istituzioni a questa preposte, da ciò che invece richiede l’interessamento e, se del caso,

l’intervento degli organi dello Stato (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, altri), con le

modalità che saranno esaminate nel capitolo seguente.

In merito a tale ultimo aspetto, corre doveroso rammentare che per determinate tipologie

di fenomeni, l’interessamento delle forze di polizia con competenza specifica nella materia

(anche se spesso in funzione esclusivamente preventiva e non repressiva) è inevitabile,

rappresentando l’unico strumento a garanzia del corretto svolgimento delle attività

scolastiche ed a tutela dei docenti in tutti i casi più o meno latenti di fenomeni di devianza.

E’ previsto che gli uffici ed i reparti della Polizia di stato e dell’Arma dei Carabinieri deputati

al controllo del territorio o alle attività investigative (queste ultime con articolazioni

specializzate proprio in materia di reati in danno di minori), possano intervenire anche a

prescindere dalla consumazione di un reato ed anche solo in funzione di supporto o ausilio

del corpo docente.

Un dato essenziale da tenere in debita considerazione, è il fatto che il più generale

fenomeno del bullismo e quello del cyber bullismo (che qui interessano), raramente si

appalesano in modo evidente e diretto, ma spesso emergono attraverso la vittima, a

condizione che quest’ultima inizi a manifestare una situazione di disagio. Per questo

motivo, è opportuno analizzare le condotte tipiche delle singole fattispecie di reato che,

ripetute nel tempo ed in danno dello stesso soggetto (o di più soggetti), possono poi

evidenziare l’esistenza di una situazione di bullismo.

Per condotte tipiche si intendono quegli atti il cui compimento è richiesto dalle norme

penali generali o speciali (ossia contenute nel codice penale o previste da singole leggi

speciali), che disciplinano le singole ipotesi di reato, affinchè la condotta di un soggetto

possa considerarsi effettivamente contraria alla legge.

I reati che possono essere consumati più di frequente dai giovani (direttamente o per il

tramite dei social network o degli altri strumenti di comunicazione offerti dal web) sono:

- Art. 581 del codice penale “percosse”. Consiste nel percuotere taluno (schiaffo, pugno),

senza che dal fatto derivi una malattia nel corpo o nella mente (non deve esservi referto

medico con giorni di prognosi). Si procede a querela della persona offesa;

- Artt. 582/583 del codice penale “lesione personale”. Consiste nel cagionare ad alcuno

una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente. Per la

corretta configurazione del reato è necessario un referto medico con almeno un giorno di

prognosi. La lesione può essere lievissima, lieve, grave e gravissima, in base sia ad un

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criterio quantitativo (secondo il numero di giorni di prognosi che vengono riconosciuti alla

vittima nel referto medico), sia ad un criterio qualitativo (la tipologia delle lesioni, gli esiti

più o meno permanenti delle stesse, i sensi e/o gli organi oggetto delle lesioni, altro). Si

procede a querela della persona offesa solo nel caso di lesioni lievissime (prognosi fino a

20 giorni), d’ufficio in tutti gli altri casi;

- Art. 610 del codice penale “violenza privata”. Consiste nel costringere altri, con violenza

o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualche cosa. Procedibile a querela della persona

offesa;

- Art. 612 del codice penale “minaccia”. Consiste nel minacciare ad altri un ingiusto

danno. La minaccia può anche essere grave o aggravata ai sensi dell’art. 339 del codice

penale. Nel caso di minaccia semplice si procede a querela di parte, mentre nel caso delle

varie forme aggravate si procede d’ufficio;

- Art. 624 del codice penale “furto”. Consiste nell’impossessarsi della cosa mobile altrui,

sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per se o per altri. Nel caso di furto

semplice si procede a querela, nei casi aggravati (art. 625 c.p., art. 61 nr. 7 c.p.) si

procede d’ufficio. Esiste anche una forma attenuata di furto, prevista dall’art. 626 del

codice penale, anche questa procedibile a querela di parte;

- Art. 628 del codice penale “rapina”. Consiste nella condotta di chi, per procurare a se o

ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza sulla persona o minaccia, si impossessa

della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. La rapina è procedibile d’ufficio;

- Art. 629 codice penale “estorsione”. Consiste nel costringere qualcuno, mediante

violenza o minaccia, a fare od omettere qualche cosa, procurando a sè o ad altri un

ingiusto profitto con altrui danno. Si procede d’ufficio;

- Art. 635 codice penale “danneggiamento”. Consiste nel distruggere, disperdere,

deteriorare o rendere in tutto o in parte inservibili code mobili o immobili altrui. Il secondo

comma dello stesso articolo prevede delle forme aggravate di danneggiamento. Si

procede a querela di parte per la forma semplice e d’ufficio per la forma aggravata;

- Art. 648 del codice penale “ricettazione”. Consiste nella condotta di chi, al fine di

procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti

da una qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od

occultare. Esiste una attenuante della ricettazione al secondo comma del medesimo

articolo ed una clausola, al terzo comma, che prevede anche la punibilità in caso di autori

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del reato non imputabili o non punibili ovvero nel caso in cui manchi una condizione di

procedibilità riferita a tale delitto. Si procede d’ufficio.

Fattispecie di reato che si inquadrano nel fenomeno del cyber bullismo:

- Art. 414 codice penale “istigazione a delinquere”. Consiste nell’istigare pubblicamente

qualcuno a commettere uno o più delitti. Si procede d’ufficio;

- Art. 494 del codice penale “sostituzione di persona”. Consiste nell’indurre taluno in

errore, al fine di procurare a sé un vantaggio o arrecare ad altri un danno, sostituendo

illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o

un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici (norma tra l’altro

perfettamente applicabile alla creazione dei c.d. “falsi profili”). Si procede d’ufficio;

- Art. 167 Decreto Legislativo 196/2003 “violazione della privacy”. Consiste nel

riprendere e diffondere immagini o video che ritraggono altri soggetti senza il loro

consenso;

- Art. 595 comma 3 codice penale “diffamazione aggravata”. Consiste nell’offendere

l’altrui reputazione comunicando con più persone. Il delitto è aggravato dal mezzo di

diffusione. Si procede a querela di parte;

- Art. 615-ter codice penale “accesso abusivo a sistema informatico”. Consiste

nell’introdursi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di

sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di

escluderlo. Si procede a querela di parte.

Alcune brevi note esplicative sulle c.d. condizioni di procedibilità, che sono state sopra

richiamate nell’esposizione dei singoli reati.

Se un delitto è procedibile a “querela della persona offesa”, affinché si insaturi il

procedimento penale e vengano avviate le attività di indagine finalizzate a ricostruire la

dinamica dei fatti, è necessario che venga presentata querela nelle forme di legge, o dalla

vittima, se maggiorenne, o dagli esercenti la patria potestà, se la vittima è minore. Se

invece il delitto è procedibile “d’ufficio”, è sufficiente che gli organi investigativi (Polizia di

Stato ed Arma dei Carabinieri in via prevalente) o direttamente la magistratura (Procura

della Repubblica presso il Tribunale), vengano a conoscenza del fatto-reato, con qualsiasi

forma, perché vengano avviate le indagini di competenza. In quest’ultimo caso ad attivarsi

è direttamente lo Stato per il tramite dei suoi organi.

L’esistenza di condizioni di procedibilità e, quindi, la necessità che venga sporta querela

perché si avvii un procedimento penale per determinati reati, non toglie tuttavia la

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possibilità che l’evoluzione di un fatto avvenuto all’interno di un istituto scolastico e

comunicato alle istituzioni preposte con le modalità e le forme di cui si parlerà nella

sezione seguente, possa essere seguito anche fin dalle sue fasi embrionali, realizzando

così le auspicate condizioni di tutela del minore da un lato e tutela giuridica degli

insegnanti dall’altro.

Aspetti operativi e buone pratiche scolastiche

Tra gli aspetti più complessi legati alle responsabilità che derivano agli insegnanti

dall’obbligo di vigilanza nei confronti degli studenti, ci sono sicuramente le incombenze di

natura organizzativa e le procedure da adottare e seguire per affrontare correttamente

tutte le criticità che si possono verificare all’interno degli istituti di formazione.

Ciò che in particolare interessa in questo contesto, sono gli aspetti legati al bullismo in

senso stretto; come evidenziato nella parte precedente, si tratta di una fattispecie

composita, costituita da una serie di atti che, già presi singolarmente, integrano condotte

che possono essere previste dalla legge quali elementi costitutivi di singoli reati.

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Non saranno affrontati gli aspetti degli altri fenomeni di devianza giovanile quali i reati a

sfondo sessuale (che, per la loro complessità, richiedono una trattazione autonoma e

separata) ed i reati intra familiari (i cui effetti possono manifestarsi in modo indiretto o

riflesso all’interno del contesto educativo, ma raramente influiscono sulle dinamiche tra

studenti); ciò che deve essere oggetto di conoscenza e conoscibilità da parte dei docenti

sono invece i comportamenti giuridicamente rilevanti che vengono posti in essere

all’interno della scuola ed attengono al fenomeno del bullismo.

E’ evidente che non si può esigere dagli insegnanti la conoscenza di complicate nozioni di

diritto sostanziale e procedurale; sono, infatti, materie che esulano dal bagaglio culturale

specifico di chi opera nel campo della formazione (ad eccezione, ovviamente, di coloro

che nelle scuole secondarie di secondo grado insegnano diritto). Ciò che invece si ritiene

essenziale, è che i docenti abbiano punti di riferimento ben definiti e delineati, procedure

operative corrette (“procedure codificate…per segnalare i comportamenti a rischio”, come

rileva il Miur) ed elementi precisi per poter indirizzare e canalizzare le informazioni che

attengono a fatti di rilevanza penale accaduti all’interno degli istituti, verso i soggetti

effettivamente titolati e competenti ratione materiae.

E’ oltremodo necessario sgombrare il campo da alcuni equivoci di natura procedurale

(oltre che relativamente ai soggetti cui fare riferimento), che spesso si riscontrano

allorquando è necessario procedere a segnalazioni relative alla condotta tenuta da un

minore all’interno della struttura scolastica.

Quello che infatti può accadere, è che nel caso di problematiche riscontrate all’interno

degli istituti scolastici, le procedure adottate prevedano l’interessamento di organi ed enti

che in realtà non sarebbero titolati a trattare la materia, mentre non sempre vengono

avvisati ed investiti coloro che per legge devono procedere alle attività specifiche. E’ infatti

accaduto che, in alcuni casi, a seguito di episodi delittuosi verificatisi all’interno di istituti

scolastici, attraverso i canali interni di circolarità delle informazioni siano stati informati i

genitori (in quanto esercenti la patria potestà), operatori del Terzo Settore (in virtù di

protocolli sottoscritti in ambito provinciale) ed altri soggetti a vario titolo competenti, ma

siano state omesse le comunicazioni di legge agli uffici delle Forze di Polizia che hanno la

specifica competenza in materia di reati commessi da minori e di reati in danno di minori.

Proprio per questo motivo si è già evidenziato come sia assolutamente imprescindibile una

preliminare, ciclica e sistematica attività di informazione ed aggiornamento degli

insegnanti, che persegua l’obiettivo di fornire al corpo docente tutti gli strumenti conoscitivi

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essenziali per gestire e saper distinguere gli aspetti fisiologici dalle patologie del

comportamento degli studenti, conciliando le esigenze della formazione e dello sviluppo

delle nuove generazioni con la tutela giuridica di chi, per legge, assume la responsabilità

di soggetti affidati alla custodia di persone diverse dai genitori.

La tutela giuridica degli insegnanti passa anche attraverso il corretto dovere di

informazione, laddove i fatti che accadono all’interno della scuola rientrano tra quelli per i

quali è obbligatoria o, quantomeno, opportuna la comunicazione alla polizia giudiziaria ed

all’autorità giudiziaria, direttamente o per il tramite degli organi scolastici.

Informare le forze di polizia dei fatti accaduti all’interno della scuola, laddove questi

assumano i connotati della particolare gravità, non significa militarizzare la scuola né,

tantomeno, generare allarme ingiustificato negli studenti o nei genitori. Non significa

neanche violare la normativa sulla privacy; vuol dire semplicemente coinvolgere gli enti e

gli organi dello Stato competenti in materia di devianza giovanile, nelle sue varie forme di

manifestazione. Del resto, considerato che gran parte delle criticità che si manifestano

all’interno degli istituti scolastici se individuate per tempo sono destinate a risolversi

positivamente ed in tempi brevi, appare evidente come la prevenzione resti lo strumento

principale per evitare che situazioni giovanili fisiologiche assumano il connotato della

patologia laddove non individuate per tempo o sottovalutate.

L’opera di formazione ed informazione, necessaria per fornire i docenti di elementi

conoscitivi concreti, non può quindi prescindere dalla corretta definizione delle procedure

interne agli istituti di istruzione, essenziali per consentire ai dirigenti scolastici di poter

impartire disposizioni al corpo docente e a questi ultimi di poter contare su precisi

vademecum operativi.

Obiettivo di tali procedure è quello di fornire coloro che sono giuridicamente responsabili

delle attività e delle azioni dei minori all’interno dei plessi scolastici, di strumenti di

intervento ben definiti; questi devono si essere in linea con le procedure interne agli istituti

di istruzione, ma devono tener conto anche delle norme del codice penale, del codice di

procedura penale, del processo a carico di imputati maggiorenni e del processo minorile,

in modo da garantire la circolarità delle informazioni verso le strutture periferiche dello

Stato deputate alla prevenzione e repressione dei reati ed alle attività di ricerca delle fonti

di prova finalizzate all’individuazione dell’autore del reato (elementi essenziali per

consentire al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale).

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A tale riguardo è bene precisare che i punti di riferimento delle strutture e dei direttori

didattici indicati nelle linee guida del Miur sono stati gli Osservatori Regionali,

“…che hanno svolto un ruolo di supporto alle scuole e di raccordo con Enti pubblici e del

Terzo Settore..”. Per le azioni di contrasto al bullismo ed al cyberbullismo, è stata

ipotizzata “…la fusione degli osservatori regionali nei Centri Territoriali di Supporto, al cui

interno potrebbero essere individuati alcuni docenti referenti, formati proprio sulle

problematiche relative alle nuove forme di devianza giovanile…”. Sempre nel medesimo

documento è stata inoltre prevista la collaborazione dei docenti referenti con figure

professionali già incardinate in altre strutture/Enti, tra le quali viene indicato anche il

“…Rappresentante territoriale della altre forze dell’ordine interessate…”.

Premesso quindi che “…alle scuole è affidato il compito di individuare e contrastare i

fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, qualora siano già presenti, e di realizzare

interventi mirati di prevenzione del disagio…”, e che “…le singole istituzioni scolastiche

avranno cura di integrare l’offerta formativa con attività finalizzate alla prevenzione e al

contrasto del bullismo e del cyberbullismo…”, è necessario individuare con precisione

assoluta quali siano gli uffici delle forze dell’ordine interessate.

Le forze di polizia che in via permanente si occupano di prevenzione e repressione dei

reati, attraverso gli uffici centrali e quelli dislocati sul territorio, sono la Polizia di Stato e

l’Arma dei Carabinieri. In ogni provincia del paese vi sono numerose tipologie di uffici di

Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri, ognuno con distinte e svariate competenze, ma in

questa sede rilevano quelli al cui interno si trovano articolazioni ed organi competenti in

materia di prevenzione e repressione dei reati.

La loro competenza specifica discende sia dalla Legge nr. 121 del 1 aprile 1981 (per ciò

che concerne la prevenzione dei reati, legata alle attività di controllo del territorio ed alle

funzioni di pubblica sicurezza), sia dalle norme del codice di procedura penale, art. 55 e

seguenti (per quanto riguarda la polizia giudiziaria, la repressione dei reati e le

competenze investigative alle dirette dipendenze dell’autorità giudiziaria).

La prevenzione ha quale funzione principale quella di evitare che la consumazione di reati;

ciò avviene attraverso il controllo del territorio, che si realizza attraverso un piano

coordinato che vede equipaggi della Polizia di Stato (Squadra Volante) e dell’Arma dei

Carabinieri (Nucleo Radiomobile/Aliquota Radiombile), per tutte le 24 ore della giornata e

con una precisa suddivisione delle zone, a presidio dell’intero territorio nazionale, con

funzioni di osservazione, pronto intervento e soccorso pubblico. Gli equipaggi preposti a

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tali compiti si attivano attraverso il numero di soccorso pubblico unico europeo “112” (oggi

ancora affiancato dal numero di soccorso pubblico “113” della Polizia di Stato).

I numeri di soccorso pubblico sono utilizzabili per le richieste di intervento a seguito di

reato, per segnalazioni relative a situazioni di degrado/reati potenziali/persone pericolose

o sospette (prevenzione generale), per soccorso pubblico, per calamità naturali e per

segnalazioni di varia natura sempre attinenti all’ordine pubblico ed alla sicurezza dei

cittadini.

Le sedi provinciali della Polizia di Stato sono la Questura, i Commissariati di Pubblica

Sicurezza ed i Posti di Polizia. Nella filosofia del piano nazionale di controllo coordinato del

territorio (oltre che di quelli provinciali), l’attività della Polizia di Stato è privilegiata nelle

città capoluogo, nelle grandi aree urbane e nei comuni a più alta densità abitativa.

Le sedi provinciali dell’Arma dei Carabinieri sono il Comando Provinciale, le Compagnie, le

Tenenze e le Stazioni. Nella filosofia dei piani di controllo coordinato del territorio (oltre

che di quelli provinciali), l’attività dell’Arma dei Carabinieri, pur sempre presente nei

capoluoghi e nelle grandi aree urbane (anche se in misura minore), è molto più

capillarizzata sul territorio. L’obiettivo è quello di garantire la maggior copertura possibile

dell’intero territorio nazionale con le due Forze di Polizia a competenza generale.

Negli uffici provinciali delle due Forze di Polizia a competenza generale, sono presenti

anche i settori che si occupano della repressione dei reati, sia che si tratti di reati già

consumati sia che si tratti di reati nelle fasi embrionali (tentativo). Sono la Squadra Mobile,

per la Polizia di Stato, ed il Reparto Operativo, per l’Arma dei Carabinieri.

Ai sensi del codice di procedura penale, i due uffici investigativi indicati sono “servizi

provinciali di polizia giudiziaria”, ossia uffici posti gerarchicamente alle dipendenze dei

rispettivi vertici, ma funzionalmente dipendenti dall’Autorità Giudiziaria in quanto strumento

dell’ufficio del Pubblico Ministero per la conduzione delle indagini.

Per quanto riguarda il tema che qui interessa, i richiamati uffici hanno competenza

generale per i reati consumati da parte di minori ed in danno di minori, qualunque sia il

reato per cui si procede. La loro competenza investigativa è pressoché esclusiva. Sono il

primo punto riferimento per insegnanti e direttori didattici per tutto ciò che attiene alle

forme gravi di devianza giovanile.

Gli stessi possono essere attivati sia per fattispecie gravi e/o reati già consumati, sia per

situazioni di devianza non ancora realizzatesi compiutamente, ma nelle quali sono già

individuabili i prodromi dei reati che abbiamo indicato nella parte che precede. Sarà poi

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cura degli stessi uffici investigativi formulare le valutazioni più opportune con riferimento al

caso concreto.

Un’ultima nota di carattere procedurale, in una materia nella quale si ritiene sia opportuno

sgombrare il campo da equivoci. Le informazioni che vengono richieste da parte degli

organi investigativi, con particolare riferimento a ciò che può accadere all’interno degli

istituti scolastici, sono disciplinate dall’art. 25, comma 2, del Codice in materia di

protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003 nr. 196 e successive modifiche). La

norma dispone che “E’ fatta salva la comunicazione o diffusione di dati richiesti, in

conformità alla legge, da forze di polizia, dall’autorità giudiziaria, da organismi di

informazione e sicurezza o da altri soggetti pubblici ai sensi dell’art. 58, comma 2 (…che

operano…, ndr) per finalità di difesa o di sicurezza dello Stato o di prevenzione,

accertamento o repressione dei reati”.

All’interno della Divisine di Polizia Anticrimine di tutte le Questure della Repubblica, vi è

poi l’Ufficio Minori. È stato istituito nel maggio del 1996 con lo scopo di fornire un primo e

valido sostegno ai minori in difficoltà e alle loro famiglie. Vi lavora personale della Polizia di

Stato qualificato, in grado di dare ascolto ai minori autori o vittime di reati, anche con la

collaborazione di enti ed associazioni che operano nel settore minorile.

Nello specifico l’Ufficio Minori si occupa di:

-abbandono di minore;

-pornografia e prostituzione;

-sfruttamento del lavoro minorile;

- abusi sessuali sui minori;

-uso o spaccio di sostanze stupefacenti;

-maltrattamenti;

-bullismo a scuola.

Oltre alle citate attività, ve ne sono anche altre svolte dagli operatori di polizia di questo

nucleo, in collaborazione con il ministero dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca,

proprio all’interno degli istituti scolastici.

L’attività dell’Ufficio Minori è svolta in affiancamento o autonomamente rispetto a quella

degli uffici investigativi, è prodromica a quella degli uffici investigativi o può essere

complementare. L’ufficio rappresenta un ulteriore interlocutore qualificato per gli istituti

scolastici.