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Page 1: ULTERIORI RIFLESSIONI SUI CRITERI DI QUANTIFICAZIONE … · Fiorella Buttiglione 55 I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli. Riflessioni, proposte e orientamenti
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Editoriale2 Ulteriori riflessioni sui criteri di quantificazione degli assegni

Milena Pini

Focus3 I provvedimenti economici a favore del coniuge e della prole alla luce dell’interpretazione

giurisprudenzialeGloria Servetti

15 L’assegno in favore dei figli, in particolare del figlio maggiorenne, e l’assegnazione della casa coniugaleUmberto Roma

30 Criteri di quantificazione degli assegni di mantenimento. I fogli di calcoloFiorella Buttiglione

55 I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli. Riflessioni, proposte e orientamenti del Tribunale di MonzaPiero Calabrò

65 Vantaggi e limiti nell’utilizzo di un programma di calcolo dell’assegno di mantenimento. La prassi del Tribunale di CagliariGiorgio Latti

73 Gli strumenti per conoscere la situazione fiscale dell’altro coniugeGaudenzia Brunello, Giovanna Tonello

82 Gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato o divorziato: il trattamento fiscaleGiampiero Perusi

Contributi e approfondimenti89 Proposta per una “lettura” del nuovo art. 709 ter c.p.c.

Bruno de Filippis

93 Il procedimento ex art. 709 ter c.p.c.Marina Marino

105 Il reclamo del provvedimento presidenzialeGiulia Sarnari

111 L’omologazione della separazione consensuale alla luce del d.p.r. 396/2000 e della sentenza dichiarativa di fallimento: il regime degli acquisti di beni mobili (e diritti equiparati) nella comunione tra coniugi e l’opponibilità ai creditori esecutanti in sede mobiliareRenato Culmone

Dalle Regioni125 I criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge adottati da alcuni Tribunali

del Venetoa cura di Lorenza Cracco, Gabriella de Strobel, Damiana Stocco

132 Veneto. Raccolta di giurisprudenza relativa all’assegno di mantenimento

SOMMARIO

AIAFRIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

Anno XIV n° 2, maggio-agosto 2009 - nuova serie quadrimestrale

Direttore responsabile Milena PiniRedazione Galleria Buenos Aires 1, 20124 Milano - tel. e fax 02 29535945

[email protected] www.aiaf-avvocati.it

Stampa O.GRA.RO. srl - vicolo dei Tabacchi 1, 00153 Roma

AIAF 2009/2

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Ritorniamo a trattare in questo numero laquantificazione degli assegni periodici a favoredel coniuge e dei figli, in sede di separazione edivorzio, tema al quale abbiamo già dedicato iln. 2/2008.

È sempre più avvertita dai giudici di merito l’esi-genza di fondare i criteri di quantificazione de-gli assegni, indicati dalla legge, su concretiprincìpi di equità così da ripartire le risorse eco-nomiche in proporzione ai bisogni di tutti icomponenti del nucleo familiare, affinché tuttigodano dopo la separazione di un tenore di vi-ta tendenzialmente analogo a quello pregresso.

Alcuni Tribunali hanno elaborato fogli di calco-lo che tengono conto dei dati di natura persona-le ed economica dei componenti del nucleo fa-miliare (quali Palermo e Cagliari), altri fannoriferimento a modelli di calcolo più complessifondati su criteri statistici (Firenze, modelloMo.Cam.), altri ancora si rifanno a criteri pro-porzionali e aritmetici (Monza).

Queste nuove prassi conducono a risultati suffi-cientemente equi nel caso di situazione econo-miche e patrimoniali “semplici”, dove uno o en-trambi i coniugi svolgono attività di lavoro di-pendente, e non vi sono situazioni attive o pas-sive che incidono in misura rilevante sul tenoredi vita della famiglia. Risultati discutibili scatu-riscono invece dall’applicazione di fogli di cal-colo o di criteri astrattamente proporzionali nelcaso di situazioni complesse, ad esempio conno-tate da una collaborazione di entrambi i coniu-gi in una impresa familiare e in una società dipersone, o da un regime di separazione dei be-ni che abbia consentito l’accumulo dei risparmifamiliari in capo ad un solo coniuge, o nel casodi redditi e patrimoni di una certa importanza.

Vero è che nei procedimenti contenziosi di sepa-

razione e divorzio la quantificazione degli asse-gni da parte del Tribunale è quasi sempre con-testata da entrambe le parti: il coniuge econo-micamente più debole, o il genitore collocatariodei figli, lamenta l’insufficienza dell’importo li-quidato, mentre il coniuge obbligato alla corre-sponsione ne critica l’eccessiva onerosità.

Non è pertanto inutile proseguire la nostra ri-flessione e ricerca di strumenti che potrebberoconsentire risultati più equi e prassi giudiziariecondivise.

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ULTERIORI RIFLESSIONI SUI CRITERI DI QUANTIFICAZIONE DEGLI ASSEGNI

Milena PiniAvvocato, Foro di Milano

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Gli assegni di mantenimento e di divorzio

La legge 8 febbraio 2006 n. 54, intitolata “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e af-fidamento condiviso dei figli”, ha riformulato, sostituendola, la norma di cui all’art. 155 c.c. (Prov-vedimenti riguardo ai figli) e ha introdotto in via innovativa gli artt. 155 bis, 155 ter, 155 quater,155 quinquies, 155 sexies, utilizzando una tecnica legislativa che già in precedenza ha avuto “for-tuna” nell’ambito delle disposizioni d’ordine processuale, vale a dire ad esempio nella predisposi-zione del cosiddetto procedimento cautelare uniforme; per effetto di ciò non solo la norma origi-naria è stata sostituita, ma anche il suo contenuto precettivo si è articolato in una serie di nuovedisposizioni, complementari e specificative della prima.Il legislatore non è, invece, intervenuto a modificare la norma di cui all’art. 156 c.c. (Effetti dellaseparazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi), il che potrebbe far pensare che con riguardoalla regolamentazione economica dei rapporti tra i coniugi nulla è mutato rispetto al passato e chel’entrata in vigore dell’affidamento cosiddetto condiviso non ha avuto su di essa alcun effetto.Eppure, esaminando le più recenti pronunce, in particolare di legittimità, si avverte la sensazioneche il nuovo impianto normativo abbia in qualche misura influenzato anche l’approccio interpre-tativo alle tematiche economiche riguardanti la coppia genitoriale, come se i forti princìpi innova-tivi siano stati di stimolo per un parzialmente diverso modo di affrontare questi aspetti nonostan-te la volontà del legislatore di non intervenire a espressamente modificarli.E, del resto, l’art. 155 quater (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residen-za) è di per sé destinato a produrre conseguenze rilevanti anche sul piano dei rapporti economi-ci tra i coniugi e, per effetto della disposizione finale di cui all’art. 4, comma secondo, che ne esten-de l’applicazione “anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del ma-trimonio”, anche tra gli ex coniugi.L’elaborazione giurisprudenziale in tema di assegno di mantenimento e di assegno periodico di na-tura divorzile ha visto nel tempo una progressiva omologazione delle due tipologie di prestazione,quantunque2 ne sia stata reiteratamente confermata l’autonomia concettuale attraverso la precisa-zione che “la determinazione dell’assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimonia-li operanti, anche per accordo tra le parti, in sede di separazione”; ciò nondimeno, la stessa Cortedi legittimità non ha mostrato esitazione ad affermare “l’identità di ratio, riconducibile alla funzio-ne eminentemente assistenziale” dell’assegno di mantenimento rispetto a quello divorzile3, così co-

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FOCUS

1 Intervento tenuto al Convegno La legge sull’affido condiviso a due anni dall’entrata in vigore: problemi aperti, organizzato daAIAF Abruzzo, Tribunale di Pescara, Aula Alessandrini, 19 aprile 2008.2 Cfr. Cass. n. 5302 del 10 marzo 2006; Cass. n. 2510 del 30 novembre 2007; Cass. n. 1758 del 28 gennaio 2008 e Cass. n. 4424del 21 febbraio 2008.3 Cass. n. 10344 del 17 maggio 2005.

I PROVVEDIMENTI ECONOMICI A FAVORE DEL CONIUGE E DELLA PROLE ALLA LUCEDELL’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE 1

Gloria ServettiMagistrato, coordinatrice della sezione IX civile, Tribunale di Milano

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me già in epoca più risalente4 era stata riconosciuta “l’identità del riferimento all’adeguatezza deimezzi, posto dall’art. 156, primo comma, c.c. e dall’art. 5, sesto comma, legge n. 898 del 1970”, re-stando in tal modo confermato che per entrambi gli assegni “vige il principio secondo il quale il te-nore di vita goduto durante il matrimonio... è quello al quale deve essere rapportato il giudizio diadeguatezza dei mezzi a disposizione del soggetto richiedente”.Appare, dunque, innanzitutto evidente il costante riferimento, comune ad entrambe le prestazionieconomiche, al tenore di vita goduto in costanza di convivenza, parametro che, non esplicitato nel-l’originaria formulazione dell’art. 155 c.c., ha invece fatto ingresso attraverso la legge n. 54 [art. 155,comma quarto n. 2) di nuovo conio] quale criterio essenziale ai fini della quantificazione della con-tribuzione di ciascun genitore al mantenimento della prole (“il tenore di vita goduto dal figlio incostanza di convivenza con entrambi i genitori”).Da un lato può, allora, dirsi che la giurisprudenza della Corte di legittimità, sempre più orientataverso la valorizzazione della natura eminentemente assistenziale dell’assegno di divorzio, ha com-piuto una sostanziale omologazione dei due tipi di assegni, con una tendenza ad omogeneizzarele conseguenze patrimoniali del divorzio e della separazione che non tiene conto della linea diconfine che il legislatore (anche, e soprattutto, quello della Novella del 1987) aveva mostrato di vo-ler porre tra i due istituti, così che a ragione può oggi dirsi che alla solidarietà coniugale (senzadubbio sussistente nel regime di separazione, laddove l’obbligo di mantenimento rappresenta an-cora espressione dell’obbligo di assistenza, siccome funzionale a consentire a ciascun coniuge dicondividere, pur dopo la cessazione della convivenza, la medesima condizione sociale dell’altro)è venuta ad equipararsi la solidarietà post coniugale, la quale avrebbe dovuto essere invece con-notata da un ambito più ridotto e fors’anche residuale, in linea con le raccomandazioni espressenella Relazione Lipari al Senato volte ad escludere la realizzazione di rendite cosiddette parassita-rie e a promuovere l’acquisizione da parte del coniuge più debole di una progressiva e accettabi-le autonomia.Dall’altro lato, poi, si deve oggi riconoscere che il parametro di riferimento rappresentato dal teno-

re di vita proprio del periodo della convivenza è divenuto comune a tutte le prestazioni economi-che tipiche del momento della crisi familiare, sia di quelle inerenti i rapporti tra i coniugi sia – eproprio per espressa opzione legislativa – di quelle riguardanti il mantenimento dei figli.Ma, ancora, ben recentemente5 è stato affermato (riprendendo un principio già enunciato in Cass.n. 20838/04) che ai fini della quantificazione dell’assegno ex art. 156 c.c. deve anche tenersi con-to “della durata del matrimonio e del contributo apportato dalla donna alla formazione del patri-monio del coniuge, elementi che integrano parametri utilizzabili in occasione della quantificazio-ne dell’assegno di mantenimento in caso di separazione personale”, mentre proprio nei mesi scor-si6 è stato precisato che il giudice deve dare giustificazione della propria decisione in tema di quan-tificazione dell’assegno di divorzio alla luce dei criteri che siano stati puntualmente dedotti e richia-mati dalle parti, sì che si rileva un’omissione quando abbia il giudice trascurato di considerare “ilcriterio basato sul contributo offerto alla conduzione familiare attraverso il lavoro casalingo e la

cura diretta della prole”, per tale via imponendo una significativa quanto indispensabile valorizza-zione della componente contributiva rappresentata dal lavoro domestico.Troviamo, allora, anche in queste recenti pronunce un riferimento esplicito ad un altro dei criteriespressamente dettati dal legislatore del 2006 ai fini della quantificazione del contributo a favoredei figli, atteso che l’art. 155, comma quarto n. 5) impone di considerare “la valenza economicadei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”: la sintesi cui possiamo ora giungereè che, grazie al costante sforzo interpretativo affrontato dalla Suprema Corte, si è pervenuti all’in-dividuazione di taluni parametri per l’attribuzione e la quantificazione degli assegni di mantenimen-to e di divorzio a favore del coniuge (in particolare il tenore di vita e la valenza del lavoro dome-

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4 Cass. n. 10465 del 26 novembre 1996.5 Cass. n. 25618 del 7 dicembre 2007.6 Cass. n. 593 del 14 gennaio 2008.

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stico) che sono sostanzialmente coincidenti con quelli che il legislatore ha voluto in via espressaprevedere nel novellato art. 155 c.c. con diretto riferimento agli obblighi contributivi a favore del-la prole.Ma vediamo che cosa è ancora di recente accaduto.Sono dell’opinione che nell’ultimo periodo, grazie a plurimi e articolati interventi della Corte di le-gittimità, si sia anzitutto rafforzata la tutela del credito relativo a tutti gli assegni qui in discussio-ne, dal momento che è stato precisato che:1. l’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato integra un credito pecuniario e, quin-

di, a norma dell’art. 1282 c.c. produce interessi corrispettivi ope legis dal momento in cui sia li-quido ed esigibile: ne consegue che, quando l’assegno medesimo venga fissato in importi dif-ferenziati per il periodo intercorrente dalla domanda alla decisione, su ciascuna rata, a partiredalla relativa scadenza, devono essere riconosciuti i suddetti interessi, anche quando la decisio-ne medesima non ne contenga un’espressa attribuzione7;

2. nell’ipotesi in cui l’assegno, sia per il coniuge che per i figli, sia quantificato in sentenza in mi-sura maggiore rispetto a quella fissata in via provvisoria dal presidente (o dal giudice istrutto-re) in ragione della svalutazione monetaria intervenuta nelle more, la decorrenza di tale mag-giore misura non può farsi coincidere con la data della decisione senza alcun conguaglio per ilperiodo intermedio, dovendosi invece riconoscere l’adeguamento secondo scaglioni progressi-vi, rapportati ad un anno o al diverso periodo di tempo ritenuto opportuno, fino a raggiunge-re, a partire dalla decisione, la quantità aggiornata al valore della moneta all’epoca corrente8;

3. in tema di separazione, l’art. 156, sesto comma, c.c. postula una valutazione di opportunità cheprescinde da qualsiasi comparazione tra le ragioni poste a fondamento della richiesta avanzatae quelle addotte a giustificazione del ritardo nell’adempimento, implicando esclusivamente unapprezzamento in ordine all’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi circal’esattezza e la regolarità del futuro adempimento, e quindi frustrare le finalità proprie dell’as-segno di mantenimento9;

4. il limite della impignorabilità della retribuzione oltre il quinto non opera con riferimento all’ese-cuzione promossa dal creditore per contributo al mantenimento della prole, avendo questo fun-zione alimentare10.

Appare, in sintesi, evidente l’orientamento volto a sempre più garantire l’effettività del credito perprestazioni di mantenimento, sia sotto il profilo della produzione di interessi corrispettivi sia sottoquello della tutela di fronte all’inadempimento; e proprio a tale secondo riguardo sono oltremodorilevanti la “caduta” del discusso limite del quinto per il pignoramento (che si ripercuote sull’ope-ratività dell’ordine di corresponsione diretta ex art. 156 sesto comma c.c. per l’intero assegno dimantenimento, potendo questo giungere ad assorbire anche l’intera retribuzione, alla sola condi-zione che quest’ultima rappresenti solo “una parte” del reddito dell’obbligato) e la non necessitàdi un pregresso inadempimento (che di norma si richiedeva fosse provato o attraverso un’esplici-ta ammissione o per il tramite della notifica di un precetto per ratei scaduti e non corrisposti) ai fi-ni dell’ordine al terzo, essendo oggi sufficiente una ragionevole previsione di mancata ottemperan-za, anche sotto il profilo del mero ritardo, il che sembra persino poter spostare la natura della mi-sura da coercitiva a cautelare.

L’assegnazione della casa coniugale

Nessun dubbio può essere prospettato in ordine alla fermezza e alla solidità dell’orientamento dilegittimità volto a negare il potere del giudice di procedere all’assegnazione della casa coniugale

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FOCUS

7 Cass. n. 3336 del 14 febbraio 2007.8 Cfr. Cass. n. 3336/07, cit.9 Cfr. Cass. n. 23668 del 6 novembre 2006.10 Cfr. Cass. n. 15374 del 10 luglio 2007.

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ove non siano presenti figli minori o figli maggiorenni ma non ancora indipendenti11, con l’effettoche è ormai incontroverso ravvisare l’interesse protetto dall’istituto dell’assegnazione in quello van-tato dalla prole alla stabilità delle proprie abituali condizioni di vita, così come si sono create nelperiodo della convivenza dell’intero nucleo familiare.Ciò spiega le perplessità sorte nell’immediato di fronte alle disposizioni contenute nell’art. 155 qua-ter di nuovo conio laddove è previsto che “il diritto al godimento della casa familiare viene menonel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o convivamore uxorio o contragga nuovo matrimonio”, fermo restando che sulle prime due ipotesi non puòesservi seria contestazione e che, per contro, la perdita, o la cessazione ex lege, del diritto all’asse-gnazione in caso di convivenza o matrimonio fa sì che una vicenda personale del genitore, affida-tario o convivente, esplichi effetti dirompenti proprio su quell’assetto di vita dei figli che la normasi pone come obiettivo di tutelare.La disposizione in questione è stata nell’immediatezza investita da sospetto di incostituzionalità dal-la larga maggioranza dei commentatori, e i giudici di merito hanno recepito simili dubbi: la Corted’Appello di Firenze (ord. 13 dicembre 2006), la Corte d’Appello di Bologna (ord. 22 febbraio2007), il Tribunale di Firenze (ord. 13 gennaio 2007) e ancor prima il Tribunale di Busto Arsizio,con ordinanza del 20 ottobre 2006, hanno infine sollevato la relativa eccezione con riferimento agliartt. 2, 3 e 30 Cost., segnalando la contraddittorietà e l’irrazionalità insite nella scelta legislativa disacrificare in modo pressoché automatico e perentorio l’interesse stesso che la norma si ripromet-te di tutelare in via primaria; come noto, la Corte investita della questione ha rilevato la prelimina-re inammissibilità della stessa (ord. n. 421 del 22 novembre-5 dicembre 2007), sì che ancora ogginon è dato avere certezza alcuna in ordine alla legittima persistenza nel nostro ordinamento di unadisposizione di siffatto contenuto.Vero è che da talune parti12 si è propugnata, se pur su diversi presupposti, una lettura costituzio-nalmente orientata del disposto normativo in questione, tale da consentire di superare il dubbio diincostituzionalità, ma è altrettanto vero che qualsiasi interpretazione, di fronte a un dettato legisla-tivo dall’apparenza chiara e univoca, non potrebbe che aprire il varco al fiorire di prassi oltremo-do diversificate e finanche contrastanti, con l’effetto ultimo e inquietante della perdita di certezzadel diritto.Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di legittimità con la sentenza n. 26574 dell’8 no-vembre-17 dicembre 2007 che, dopo avere premesso che l’assegnazione della casa coniugale è fi-nalizzata in via esclusiva alla tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambien-te domestico in cui è cresciuta, ha rilevato come la norma di cui all’art. 155 quater non si pongain contraddizione con detta finalità, trattandosi “di mera conseguenza dell’avere l’abitazione per-duto, nei primi due casi, oggettivamente la sua funzione, e negli altri due casi per essere venutomeno, secondo la valutazione del legislatore, in conseguenza della formazione di un nuovo nu-cleo familiare da parte del coniuge assegnatario, quell’habitat che si intendeva conservare, finchépossibile, ai figli”.La pronuncia pare rifarsi a un già espresso orientamento13 secondo il quale l’espressione casa fa-miliare non dovrebbe connotare materialmente il bene immobile all’interno del quale si è svolta,in un determinato periodo di tempo comunque giunto a conclusione, la vita coniugale e familia-re, bensì “il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza”, nel senso di luogo de-gli affetti, degli interessi e delle consuetudini di quel nucleo familiare originario; da qui la conclu-sione che l’ingresso di un terzo soggetto in quell’habitat domestico avrebbe non solo l’effetto dialterare le relazioni personali ma, anche, di far perdere alla casa la sua valenza di centro di aggre-

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11 Vedi anche Cass. n. 10994 del 14 maggio 2007, Cass. n. 16398 del 24 luglio 2007 e la già ricordata Cass. n. 25010 del 30 no-vembre 2007, che sul punto rileva, fra l’altro, l’inderogabilità della scelta legislativa che presume un danno psicologico per la pro-le derivante dal mutamento del proprio originario ambiente domestico.12 In dottrina, Paladini, e in giurisprudenza Trib. Firenze, decreto 16 maggio 2007.13 Cass. n. 13065 del 9 settembre 2002.

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gazione del nucleo originario, non più esistente perché caratterizzato da un nuovo partecipante ecosì sostanzialmente modificatosi.Poiché tuttora ritengo affatto infondati i dubbi di incostituzionalità già espressi dai diversi richia-mati uffici (e si veda Cass. n. 17043 del 3 agosto 2007, che significativamente esclude l’incidenzadella convivenza del genitore ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento dovuto peril figlio dall’altro genitore, così mostrando di voler tenere ben distinte le posizioni dei due sogget-ti) penso che in attesa di una definitiva soluzione della questione non ci si possa che rifare, nel-l’applicazione della controversa disposizione normativa, al consolidato orientamento della Corte dilegittimità (tra le più recenti, Cass. n. 17643 del 10 agosto 2007) in ordine alla qualificazione e al-la struttura stessa della convivenza more uxorio, ben differenziata rispetto al mero concetto di coa-bitazione: intendo con ciò richiamarmi al più volte ribadito principio che per acquisire rilievo giu-ridico la convivenza deve non solo essere stabile e sorretta dalla comune volontà di dare originea un consortium vitae del tutto similare a uno di tipo familiare ma deve, anche e soprattutto, ve-dere una reciproca assistenza di ordine materiale ed economico, sì che al convivente siano garan-tite prestazioni abituali, continuative e di rilievo che, ancorché riconducibili al novero delle obbli-gazioni naturali, siano idonee ad alterare in melius la posizione economica del percipiente14.La sintesi è che spetterà al giudice di merito vagliare con massima attenzione, sotto il profilo del-l’assolvimento dell’onere probatorio, gli elementi indicatori di una convivenza così complessiva-mente connotata, consapevole dell’importanza che una simile valutazione assume anche ai fini del-la persistente assegnazione del domicilio coniugale, per evitare che ad un’erronea qualificazionedel rapporto intercorrente tra il genitore, affidatario o con lui convivente, con terza persona facciaseguito un danno irreversibile per il figlio destinatario della tutela dall’ordinamento predisposta.

Il mantenimento dei figli

L’art. 155 co. 4 prevede che “salvo accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genito-ri provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”.Il dettato normativo ha posto immediati problemi all’attenzione dell’interprete.

a) Il criterio della proporzionalità è già previsto dagli artt. 143, 147 e 148 c.c. ed è quindi princi-pio fondamentale e normalmente ritenuto inderogabile, così che ci si deve domandare se essopossa essere invece oggi derogato attraverso un diverso accordo delle parti sottoscritto “libera-mente”, con riconoscimento di una supremazia dell’autonomia privata sulle generali disposizio-ni di legge.Prima di tutto deve essere precisato che al giudice compete la verifica che il diverso accordosia di per sé valido, ovvero che sia stato raggiunto in piena libertà e coscienza, al di fuori dipressioni, condizionamenti o valutazioni estranee all’interesse precipuo del minore; se non fos-se consentito effettuare questo controllo preliminare, e quindi apprezzare se l’accordo si pon-ga in termini di efficace tutela dell’interesse del minore, si avrebbe la conseguenza – inaccetta-bile – che sul piano economico gli accordi delle parti sfuggono alla verifica giudiziale e non sa-rebbe neppure rispettato il disposto dell’art. 155 co. 2 riformulato (“... prende atto, se non con-trari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”).È stato al riguardo osservato che un accordo totalmente derogatorio rispetto al criterio di pro-porzionalità non sarebbe accettabile, in quanto confliggente con il principio generale dell’art.148 c.c., a sua volta espressione del principio di eguaglianza costituzionalmente garantito: daqui la consequenziale ipotesi interpretativa secondo la quale la disposizione in esame dovreb-be essere letta nel senso che è consentito ai genitori accordarsi circa le rispettive modalità dimantenimento, con ciò intendendosi che questo può essere prestato in forma diretta o indiret-ta per il tramite di un assegno, ma fermo il rispetto del criterio di proporzionalità previsto da

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FOCUS

14 Cass. n. 24056 del 10 novembre 2006.

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una norma generale, e non modificata, che trova riconoscimento negli stessi superiori princìpid’ordine costituzionale.Resta sempre salvo, a mio avviso, il compito del giudice di valutare a fondo la regolamentazio-ne privata, chiedere chiarimenti, valorizzare i compiti di accudimento diretto e le cure domesti-che eccetera, così che non potrà il medesimo del tutto passivamente fare propri accordi chenon siano improntati all’attuazione del principio di proporzionalità ma dovrà, per converso, invia complessiva apprezzare se l’apparente non puntuale proporzione trovi invece ragion d’es-sere in una pertinente diversificazione dei singoli apporti e della loro rispettiva natura.

b) L’assegno è previsto “ove necessario” e in quel caso deve essere determinato tenendo conto dicinque parametri, due dei quali nuovi rispetto all’applicazione giurisprudenziale più consolida-ta, e cioè quello dei “tempi di permanenza presso ciascun genitore” e della “valenza dei com-piti domestici e di cura svolti da ciascuno”.È stato a tale riguardo osservato che, stando alla lettera della legge, con accordi scritti i genito-ri possono prevedere di assumere direttamente parte degli oneri di mantenimento, mediante at-tribuzione di un bene o il pagamento diretto di beni o prestazioni nell’interesse dei figli, fermarestando la funzione “riequilibratrice” dell’assegno, anche se questo non può più essere defini-to perequativo (come nelle precedenti stesure della legge).Non è mancato chi ha invece ritenuto che l’art. 155 co. 5 (“l’assegno è automaticamente ade-guato agli indici Istat in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice”), l’art. 155quinquies (“Disposizioni a favore dei figli maggiorenni”) e l’art. 3 (“Disposizioni penali”) sem-brano attestare una generale eliminazione del mantenimento diretto e la scelta legislativa fina-le di prevedere come forma di contribuzione ordinaria quella indiretta attraverso il versamentodi un assegno.Una soluzione concretamente prospettabile può essere quella che, dove gli accordi non sianoconvincenti o vi sia acceso contrasto tra le parti (come di norma avviene nei procedimenti con-tenziosi), il giudice può sempre stabilire l’assegno, anche se nel contempo può opportunamen-te prevedere una concorrente ripartizione tra i genitori delle spese per i figli con modalità di-rette: è prevedibile, ma anche ragionevole, la conclusione che, in presenza di una consistenteconflittualità in ordine alla ripartizione o alla quantificazione degli obblighi di mantenimento, ilgiudice finirà con il ravvisare necessaria la determinazione di un assegno periodico, in questitermini dando conto del rispetto della volontà legislativa espressa attraverso l’introduzione del-l’inciso “ove necessario”.Sul punto disponiamo di dati abbastanza significativi nell’ambito del distretto milanese: il man-tenimento con modalità “dirette” non è mai disposto nelle procedure contenziose, neppurequando è al riguardo avanzata richiesta da parte del genitore non collocatario; più della metàdegli uffici procede, invece, in tal senso quando a richiederlo siano congiuntamente entrambi igenitori.In caso di mantenimento diretto diversi Tribunali attribuiscono ai genitori il compito di provve-dere del tutto liberamente alle esigenze dei figli, mentre pare non avere riscontrato alcun suc-cesso l’ipotesi (fatta propria dal legislatore nelle prime stesure della Riforma) che sia il giudicea ripartire gli oneri secondo “capitoli di spesa”.Quale corollario di simile evidente diffidenza verso il mantenimento in forma diretta, la preva-lente parte dei Tribunali ricorre alla determinazione di un assegno periodico sempre e in ognicaso, il che equivale a dire che l’assegno non è meramente perequativo ma destinato ad assol-vere in via del tutto prevalente l’obbligazione di mantenimento, fatta salva in linea pressochégenerale la concorrente previsione di un accollo percentuale (di massima al 50%) delle spesemediche, scolastiche e, più in generale, straordinarie.

c) L’art. 155 co. 4 riferisce la proporzionalità al reddito, mentre il punto 4) dello stesso comma fariferimento alle “risorse economiche” di ciascun genitore.Nonostante tale contraddizione lessicale, secondo una tesi che ritengo condivisibile ciò stareb-be a significare che nulla è cambiato rispetto al passato e che deve aversi riguardo alla previ-sione di cui all’art. 148 c.c., con la conseguenza che dovranno venire in considerazione tutte le

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sostanze dei coniugi nel loro complesso, in linea con la costante elaborazione giurisprudenzia-le inerente a tutte le tipologie di prestazione periodica.

d) Tra i cinque criteri da seguire e applicare per la determinazione dell’assegno in favore dei figlinon è espressamente previsto quello dell’assegnazione della casa coniugale (art. 155 co. 4),mentre l’art. 155 quater (“Dell’assegnazione della casa il giudice tiene conto nella regolamenta-zione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”) lo consi-dera elemento da valutare nei rapporti economici tra i coniugi.La discrasia è a mio avviso solo apparente e non deve essere enfatizzata dall’interprete, perchél’assegnazione della casa, che pure rappresenta un beneficio anche per il genitore collocatarioo affidatario della prole, è destinata a incidere sulle rispettive situazioni economiche e costitui-sce un’importante forma di contribuzione diretta alle esigenze di mantenimento della prole (siveda l’interessante Cass. n. 4203 del 24 febbraio 2006 che sul punto ha affermato che “il godi-mento della casa familiare costituisce un valore economico – corrispondente, di regola, al cano-ne ricavabile dalla locazione dell’immobile – del quale il giudice deve tenere conto ai fini delladeterminazione dell’assegno dovuto all’altro coniuge per il suo mantenimento o per quello deifigli”); a ciò si aggiunga, come già osservato, lo stabile orientamento che esclude la possibilitàdi assegnazione a un coniuge in difetto di prole (v. a conferma la recente Cass. n. 24407 del 23novembre 2007 che, riaffermando il carattere eccezionale del potere di assegnazione, ha riba-dito che la norma “non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, con riferimen-to alla posizione del coniuge non affidatario, ancorché avente diritto al mantenimento, neppu-re ai sensi dell’art. 156 c.c.”), di guisa che il problema interpretativo si risolve sol che si pensiche laddove non c’è prole non può esserci assegnazione.

e) Per il mantenimento dei figli maggiorenni l’art. 155 quinquies prevede solo la corresponsionedi un assegno, così che sembrerebbe doversi escludere l’ipotesi che alle esigenze del maggio-renne possa provvedersi con modalità dirette: ci si deve, allora, domandare se possa in ipotesiil giudice procedere egualmente in tal senso, ripartendo tra i genitori i singoli titoli di spesa.Seguendo una prima tesi, ancorata al dato letterale, sembrerebbe doversi dare una risposta ne-gativa, sia perché il dettato non pare consentirlo sia perché “di norma” l’assegno per il figliomaggiorenne deve essere versato direttamente al beneficiario medesimo; resta però da verifica-re se una soluzione di questo tipo non crei un contrasto poco accettabile nel raffronto con ledisposizioni in tema di mantenimento della prole minore, tenuto conto che a livello applicati-vo, e di garanzia dei diritti del soggetto beneficiario, non si rinvengono ragioni ostative a checiascuno dei genitori assolva agli obblighi su di lui pro quota gravanti mediante l’assunzione invia diretta di talune voci di spesa.

Mantenimento diretto e mantenimento indiretto

Abbiamo già visto come lo stesso legislatore, dopo non poche oscillazioni di pensiero e manifesta-zioni di aperto dissenso provenienti da più parti, abbia infine desistito dall’originario progetto vol-to ad imporre in via generalizzata e tassativa la forma di mantenimento cosiddetto diretto e la sud-divisione tra i genitori dei relativi oneri mediante individuazione di “capitoli di spesa”, in qualchemisura riproduttivi di quelle “sfere di competenza” che avrebbero dovuto fra loro ripartire l’eserci-zio della potestà genitoriale, con una complessiva parcellizzazione dei corrispondenti diritti e do-veri che tante perplessità e critiche aveva suscitato.In linea del tutto prevalente la prima giurisprudenza applicativa dei nuovi princìpi si è mossa nel-la direzione di un persistente maggior favore verso il sistema tradizionale, all’evidenza sensibile alproblema delle garanzie di un corretto adempimento e convinta che, in presenza di una conflittua-lità, che pure non risulta di per sé ostativa all’applicazione del regime prioritario dell’affidamentocondiviso, la contrapposizione all’interno della coppia genitoriale è foriera di ulteriore contenzio-so sul piano economico, con detrimento delle esigenze di mantenimento della prole.Non va, infatti, trascurata la difficoltà di tutela esecutiva che si accompagna a statuizioni generiche

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e, in sintesi, affermative del principio di contribuzione proporzionale alle proprie capacità, tantoche di recente15 la Suprema Corte non ha potuto che ribadire che “in materia di assegno di man-tenimento, nel caso in cui il coniuge onerato alla contribuzione delle spese straordinarie, sia purepro quota, non adempia, al fine di legittimare l’esecuzione forzata occorre adire nuovamente ilgiudice affinché accerti l’effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e larelativa entità”, il che sta a significare che il credito deve essere verificato nella sua liquidità ed esi-gibilità perché ne possa essere ingiunto il pagamento e che solo dopo di ciò potrà procedersi allafase esecutiva. È pertanto evidente che in caso di inadempimento all’obbligo di mantenimento informa diretta sarà precluso il ricorso immediato alla notifica di un precetto e, del pari, l’utilizzo de-gli importanti strumenti di garanzia rispettivamente rappresentati dall’art. 156, sesto comma, c.c. edall’art. 8 legge n. 898/1970, come opportunamente riformulato a detti fini dalla Novella n. 74/1987.Ciò nondimeno, già con sentenza 16 giugno-12 luglio 2006 il Tribunale di Catania ha adottato unastatuizione favorevole al mantenimento diretto in un caso in cui, adottato il regime di affidamentocondiviso, in presenza di pressoché pari periodi di permanenza del figlio presso l’uno e l’altro ge-nitore e di una pari potenzialità di reddito (si trattava nella specie di due insegnanti), ha ritenutoche non vi fosse necessità di stabilire alcun assegno periodico “fermo restando che ciascuno dovràprovvedere al mantenimento diretto nei periodi di rispettiva permanenza e sarà tenuto al 50% del-le spese scolastiche e di vestiario e di quelle per le attività sportive o ricreative cui abbia dato il suoassenso, nonché al 50% di quelle di carattere sanitario”. Interessante è anche vedere come la giurisprudenza si è posta il problema del contributo diretto almantenimento, nell’ambito del più generale problema della motivazione della quantificazione del-l’assegno, e dell’indicazione di quali spese (ordinarie o straordinarie) esso serva a coprire.Così, ad esempio, sempre il Tribunale di Catania (ord. 24.04.2006), premessa una valutazione com-plessiva delle esigenze del minore secondo quanto documentato dai genitori e una valutazione del“costo” annuo del mantenimento, ha distribuito in misura proporzionale tra i coniugi il costo rile-vato, tenendo conto anche del contributo domestico, ha stabilito una quota in percentuale di spe-se cui il genitore doveva provvedere direttamente e ha coperto il resto con l’assegno periodico dimantenimento. Al contrario, la Corte d’Appello di Torino con decreto del 27 ottobre 2006 ha ritenuto preferibile,pur riconoscendo nel mantenimento diretto una nuova regola, stabilire un assegno mensile a cari-co del padre, argomentando che la madre, presso la quale la prole aveva il prevalente collocamen-to, aveva lamentato come da parte dell’altro genitore vi fosse la tendenza a sostenere spese nonnecessarie, se non persino voluttuarie, lasciando in buona sostanza tutto il carico delle spese ordi-narie alla madre.Ancora il Tribunale di Catania, con sentenza del 14 aprile 2006, ha in modo articolato affrontato iltema della concorrenza tra mantenimento diretto e mantenimento indiretto, ritenendo quest’ultimocome conguaglio “ove il modo diretto non copra interamente il budget a proprio carico” e valga aintegrare la quota parte a carico di un genitore, fermo restando l’insopprimibile margine di discre-zionalità devoluto al giudice nel caso in cui “la contribuzione diretta appaia improbabile per inaf-fidabilità dell’uno dei genitori (ad esempio perché questi non si è mai occupato in prima personadi provvedere ai bisogni del figlio)”, così da integrare quella necessità che è il presupposto condi-zionante la fissazione di un assegno periodico.A qualunque soluzione si voglia pervenire sul piano della rigorosa interpretazione del nuovo datonormativo, è in ogni caso certo che la formula del mantenimento diretto non ha trovato nelle au-le di giustizia il successo forse auspicato e la spiegazione sta nel fatto che laddove il contenziosoè più acceso (e cioè nelle controversie giudiziali, rispetto alle quali viene a formarsi l’orientamen-to giurisprudenziale) più basse sono le probabilità che le parti riescano a collaborare sul piano eco-nomico e a coordinare i propri individuali interventi di spesa, con il rischio affatto remoto che ilfiglio abbia tutto il superfluo ma sia privo di ciò che gli è invece essenziale.

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15 Cass. n. 1758 del 28 gennaio 2008.

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E, del resto, un significativo sostegno in questa direzione è giunto dalla Suprema Corte che, con lanota sentenza n. 18187 del 18 agosto 2006, ha affermato che “l’affidamento congiunto non puòcomportare necessariamente, in ordine al mantenimento dei figli, un pari obbligo patrimoniale acarico dei genitori, nel senso che dall’affidamento congiunto debba discendere l’obbligo per ciascungenitore di provvedere ‘in via diretta’ al mantenimento dei figli” così che “l’affidamento congiun-to è istituto che, per le sue finalità riguardanti l’interesse dei figli, non esclude l’obbligo del versa-mento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore con il quale i figli stes-si convivono”.Il sistema che, comunque, sembra oggi prevalente è quello della determinazione di un assegnomensile e di un ampliamento delle voci di spesa che, in presenza di un affidamento condiviso, rap-presentano una forma di contribuzione diretta: così, infatti, mentre in precedenza la larga maggio-ranza dei provvedimenti prevedeva un concorso, di norma al 50%, alle sole spese mediche nonmutuabili e straordinarie, oggi sempre più diffuso è l’ampliamento di una siffatta previsione allespese scolastiche, a quelle sportive, a quelle culturali (come i viaggi studio all’estero) e finanche aquelle ricreative, sì da realizzare un maggiore coinvolgimento del genitore non convivente nellescelte di questa natura e nel pagamento dei correlati oneri economici, con l’effetto che il sistemache il più delle volte viene a crearsi potrebbe dirsi “misto”.

Il mantenimento dei figli maggiorenni

Un problema ancora aperto è quello riguardante il mantenimento dei figli maggiorenni, ovviamen-te quando siano privi di autonomia economica e ancora conviventi con un genitore, posto che inmancanza di tale rapporto è incontroversa la cessazione della legittimazione attiva del genitore ele questioni economiche non possono che essere oggetto di regolamentazione diretta per iniziati-va del figlio, unico legittimato iure proprio.Laddove, per contro, permanga la convivenza, ci si è a lungo interrogati sugli effetti anche proces-suali delle nuove norme e, in particolare, sull’individuazione del soggetto legittimato a chiedere ericevere detto contributo al mantenimento, atteso che da una prima lettura sembrava doversi de-sumere la volontà legislativa di rendere, sempre e comunque, il figlio maggiorenne destinatario di-retto, e percipiente, dell’assegno in questione, siccome titolare di un’autonoma posizione giuridicasoggettiva; molte sono state le critiche mosse a una siffatta opzione, destinata a produrre un nuo-vo contenzioso tra il figlio e il genitore convivente, chiamato a sollecitare il versamento di sommedal primo ricevute per poter far fronte alla gestione domestica, nonché a porre consistenti proble-mi in ordine all’ammissibilità dell’intervento del figlio in procedimenti di separazione, di divorzioo di relativa modifica, per loro natura destinati ad accogliere unicamente “contese endoconiugali”(in senso negativo, Trib. Marsala, 26 febbraio 2007).Tralasciando, di necessità, di rivisitare le plurime argomentazioni portate dalla dottrina a sostegnodell’una e dell’altra soluzione, è invece il caso di rilevare subito come la prassi non abbia sino adoggi registrato un incremento delle iniziative autonome dei figli maggiorenni e come non sia statanegata la persistente legittimazione del genitore convivente, in difetto di un’azione direttamente in-trapresa dal figlio (azione che in tal caso dovrebbe necessariamente essere promossa nei confron-ti di entrambi i genitori, in via separata e con giudizio a cognizione ordinaria); in diversi casi si èinvece optato per una soluzione per così dire intermedia, comportante una suddivisione dell’asse-gno dovuto dall’altro genitore tra i due destinatari della prestazione, sì da consentire al genitoreconvivente di avere garantita la diretta utilizzazione di parte dell’assegno per far fronte agli oneridi conduzione domestica e al figlio maggiorenne di disporre di una porzione del contributo a luidestinato, per lasciargli un margine di autonomia e, in qualche misura, consentire di testare la stes-sa sua capacità di gestire in prima persona il denaro destinato al suo mantenimento16.

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16 In questi termini, App. Milano, 6 giugno 2007.

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È peraltro opportuno precisare che il versamento diretto, anche ove ritenuto conveniente in rap-porto a tutte le circostanze del caso, può essere disposto solo se al momento della pronuncia il fi-glio abbia già raggiunto la maggiore età, mentre se il regime era quello previsto per il figlio mino-re (con la legittimazione esclusiva del genitore convivente) dovrà, eventualmente, essere instaura-to un procedimento di revisione delle condizioni (ex artt. 710 c.p.c. e 9 legge div.), in difetto delquale continuerà ad essere efficace la corresponsione al genitore già in precedenza destinatario delpagamento (contra, Finocchiaro, il quale sostiene la sopravvenuta inefficacia dei provvedimentiemessi in precedenza a favore del genitore affidatario o convivente, con la conseguenza che l’ob-bligato, per essere stimato adempiente, deve versare l’assegno direttamente al figlio maggiorenne).A mio avviso, in via di estrema sintesi, il precedente assetto deve necessariamente conservare pie-na validità sino a diverso provvedimento, sia perché i genitori (e anche il figlio) potrebbero nonavere alcun interesse a una diversa regolamentazione, sia perché debbono tendenzialmente evitar-si situazioni di “vuoto” nel regime di contribuzione, dal momento che eventuali inadempimenti da-rebbero luogo, nell’incertezza sulla legittimazione attiva, a situazioni creditorie di ben difficile sod-disfacimento sul piano del recupero coattivo.Inoltre, la norma di cui all’art. 155 quinquies, seconda parte, c.c. presuppone sempre un control-lo del giudice su chi debba essere il destinatario del pagamento, con la possibilità che – tenutoconto di tutte le circostanze del caso – sia conservata la corresponsione a favore del genitore: an-che da qui l’impossibilità di aderire ad una soluzione che veda la perdita automatica di efficaciadel provvedimento nella sua conformazione antecedente al solo raggiungimento della maggiore etàda parte del figlio destinatario del contributo periodico.La valutazione delle richiamate complessive circostanze ha, del resto, indotto il Tribunale di Bolo-gna (sent. 16 maggio 2006) a stabilire a carico di un padre il versamento diretto a favore delle fi-glie pure stabilmente ancora conviventi con la madre, essendo stato in quel caso valorizzato un si-stema di pagamento (accredito sulla carta Postepay di una figlia) già da tempo in essere ed essen-do stata del pari segnalata la particolare situazione derivante da ripetuti, e non sempre noti, spo-stamenti del nucleo quanto a residenza e domicilio.In conclusione, pare potersi oggi affermare che la linea interpretativa volta a sostenere la caren-za di legittimazione del genitore convivente non abbia incontrato il favore della giurisprudenza eche sia invece prevalente l’orientamento che riconosce una legittimazione alternativa, tale da con-sentire l’azione (autonoma) del figlio solo in presenza di un comportamento processuale omissi-vo del genitore; inoltre, forte è la tendenza a verificare caso per caso la situazione del nucleo fa-miliare e, non ultima, la maturità del figlio e la sua verosimile capacità di assumersi con respon-sabilità la gestione del contributo, in relazione alla sua età, alle sue abitudini di vita, al suo pre-gresso comportamento e, quindi, a tutte le circostanze concrete che sia possibile accertare nel-l’ambito del giudizio.Significativa conferma dei riferiti assunti è, peraltro, di recente giunta da Cass. n. 21437 del 12 ot-tobre 2007, la quale ha ribadito che la legittimazione del genitore convivente con il figlio maggio-renne, ma non ancora autonomo, è concorrente con la diversa legittimazione, in capo a quest’ul-timo, del diritto al mantenimento, con la precisazione che non può ravvisarsi un’ipotesi di solida-rietà attiva, trattandosi di diritti autonomi, fondati su presupposti in parte diversi (nel caso del ge-nitore il presupposto della legittimazione è la sua coabitazione con il figlio), e non del medesimodiritto attribuito a più soggetti.

I provvedimenti economici del T.M.

Un problema, che ancora oggi resta almeno in parte “aperto”, si è presentato all’interprete a segui-to dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 8362 del 22 marzo-3 aprile 2007 che ha risolto il con-flitto negativo di competenza tra il Tribunale ordinario e il Tribunale per i Minorenni relativamen-te all’affidamento e al mantenimento di minori figli di genitori non coniugati.Era stato, infatti, osservato che l’accorpamento di tali procedimenti innanzi all’organo minorile

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avrebbe avuto l’effetto di produrre un provvedimento giudiziale privo della qualificazione di tito-lo esecutivo, laddove è incontroverso che in tema di obblighi di mantenimento, rispetto ai quali ilproblema dell’inadempimento si pone come uno dei più seri ed importanti, la tutela dell’avente di-ritto richiede la diretta azionabilità del titolo, così come peraltro avviene con riguardo alle senten-ze e ai decreti resi in materia dal giudice ordinario: la perplessità nasceva dal dettato normativo dicui all’art. 474 c.p.c. che, prevedendo che costituiscono titolo esecutivo “le sentenze e i provvedi-menti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva”, avrebbe comportato la nonestensibilità di tale connotazione ai decreti emessi dal giudice minorile ex art. 317 bis c.c. nelle for-me previste dall’art. 737 c.p.c. Vale la pena di ricordare che questa sorta di anomalia era stata individuata dal Tribunale per i Mi-norenni di Milano come uno degli argomenti rafforzativi della tesi volta a sostenere la competen-za del giudice ordinario, ma subito è stato obiettato che nessuno aveva mai dubitato del fatto cheil decreto reso dal Tribunale ordinario all’esito di procedimenti instaurati ex art. 710 c.p.c. o art. 9legge n. 8989/1970 e successive modificazioni (entrambi regolati dagli artt. 737 e ss. c.p.c.) costi-tuisse idoneo titolo per l’esecuzione forzata, così come del resto sono titoli esecutivi il verbale exart. 711 c.p.c. una volta omologato, il decreto emesso a mente dell’art. 148 c.c., il provvedimentoconseguito ex art. 446 c.c., aventi tutti forma diversa da quella di sentenza ma natura del tutto as-similabile.E, invero, benché l’art. 710 c.p.c. nulla preveda in ordine alla natura di titolo esecutivo del decre-to che definisce il relativo procedimento (di talché analogo rilievo circa la sua estraneità alla pre-visione di cui all’art. 474 c.p.c. avrebbe ben potuto essere avanzato), la giurisprudenza di legittimi-tà ha ben presto ritenuto che, essendo stato a seguito della legge 29 luglio 1988, n. 331 previsto ilrito camerale in luogo di quello ordinario precedentemente vigente, il procedimento di nuovo co-nio si configura pur sempre come procedimento contenzioso che si svolge nel pieno contradditto-rio delle parti, titolari di confliggenti diritti soggettivi, e che si chiude con un decreto “che ha na-tura sostanziale di sentenza”, cosicché, fra l’altro, il provvedimento reso dalla Corte d’Appello insede di reclamo è impugnabile con ricorso per cassazione17.Non poteva, infatti, sfuggire l’insita contraddittorietà di una difforme soluzione, atteso che sareb-be stato inaccettabile ritenere che i provvedimenti economici della sentenza di separazione sonoassistiti da efficacia di titolo esecutivo e che, invece, la stessa natura difetta ai provvedimenti resiin successiva sede di modifica di quelli originari, interpretazione che avrebbe tra l’altro fatto se-riamente dubitare della costituzionalità della scelta del legislatore del 1988 a favore del rito came-rale in luogo di quello ordinario precedentemente previsto per le modifiche delle condizioni diseparazione.In tema di applicazione dell’art. 155 c.c. da parte del giudice minorile si è, rifacendosi a questa im-postazione sistematica, pronunciato il Tribunale per i Minorenni di Milano con decreto del 14 di-cembre 2007, segnalando tra l’altro che una contraria interpretazione, oltre che manifestamente il-logica, sarebbe anche stata lesiva del principio di uguaglianza e parità di trattamento dei figli.Problematiche in larga parte analoghe si pongono, tuttavia, con riferimento al profilo della provvi-soria esecutività o meno di tali decreti, così come in passato si sono posti relativamente ai decretiemessi ex art. 710 c.p.c. ove non assistiti dal contestuale utilizzo della clausola di cui all’art. 741secondo comma c.p.c.: infatti, tale ultimo articolo al primo comma dispone che “i decreti acquista-no efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato propo-sto reclamo”, il che comporta che nella pendenza del termine per impugnare ex art. 739 c.p.c. l’ef-ficacia del provvedimento, e della sue statuizioni, dovrebbe rimanere sospesa.La situazione è di per sé alquanto grave, sol che rifletta sul fatto che in presenza di una notifica-zione su istanza di parte il termine per proporre reclamo è di dieci giorni ma in difetto si applicail termine ordinario annuale, nel mentre perché il giudice possa fare ricorso alla clausola di cui alcomma secondo dell’art. 741 c.p.c. sono necessari non solo il riscontro di particolari ragioni d’ur-

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FOCUS

17 Cass. n. 11042 del 18 ottobre 1991.

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genza ma anche l’istanza di parte, fatto salvo il caso di statuizioni riguardanti figli minori rispettoalle quali può legittimarsi l’intervento officioso del giudice.La Corte d’Appello milanese con ordinanza del 16 marzo 2004 ha tentato di percorrere una via in-terpretativa che, riconosciuta connotata da condivisibile sistematicità, ha trovato il consenso di cer-ta parte della dottrina e che potrebbe essere esportata anche con riguardo ai provvedimenti delgiudice minorile qui in discussione, sul presupposto che ancora una volta sarebbe irrazionale untrattamento differenziato tra decreti resi dal giudice ordinario e decreti pronunciati dal giudice mi-norile in tema di regolamentazione economica a favore dei figli, rispettivamente nati da genitoriconiugati e da genitori non coniugati.La Corte, in quel caso, ha sottolineato come la giurisprudenza di legittimità18 avesse escluso l’ap-plicazione al giudizio camerale delle disposizioni specificamente previste per il processo di cogni-zione ordinaria, così che ha stimato non risolutivo il fatto che la precedente giurisprudenza aves-se riconosciuto ai decreti ex art. 710 la natura sostanziale di sentenza e la ricorribilità per cassazio-ne siccome incidenti su diritti soggettivi (di guisa che avrebbero potuto dirsi applicabili le disposi-zioni generali che oggi attribuiscono, a mente dell’art. 282 c.p.c. riformulato dall’art. 33 della l.26.11.1990, n. 353, in vigore dal 1° gennaio 1993, con le precisazioni di cui all’art. 90 legge citata,efficacia esecutiva immediata a tutte le sentenze di primo grado aventi ad oggetto statuizioni dicondanna), mentre ha dato rilievo a quanto previsto dall’art. 4, comma undicesimo, legge n.898/1970 laddove è in via espressa previsto che “per la parte relativa ai provvedimenti di naturaeconomica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva”, concludendo nel senso che“l’esecutività provvisoria deve assistere la corresponsione dell’assegno per i figli e per il coniuge an-che nei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, attesa l’identica na-tura dei diritti e degli interessi oggetto della controversia e della parimenti identica esigenza di ap-prontare una loro sollecita tutela”.Ciò che, in sintesi, emerge con chiarezza dal pur poco sistematico quadro normativo è la volontàdel legislatore di riconoscere ai provvedimenti relativi a prestazioni di mantenimento efficacia di ti-tolo esecutivo e per di più immediatamente esecutivo perché tale connotazione è indispensabileper garantire la tutela che l’ordinamento ha individuato come primario obiettivo, di guisa che an-che un decreto (sia esso reso dal Tribunale ordinario in sede di modifica o dal T.M. ex art. 317 bisc.c.) sprovvisto della clausola di cui all’art. 741, secondo comma, c.p.c. sarà idoneo all’apposizio-ne della formula esecutiva ancor prima della scadenza dei termini per la sua impugnazione ex art.739 c.p.c., fattore di non scarso rilievo ove ancora una volta si pensi che, in difetto di notificazio-ne ad istanza di parte19, il decreto reso nei confronti di più parti soggiace all’ordinario termine an-nuale di impugnazione, ex art. 327 c.p.c., decorrente dalla sua pubblicazione.E, del resto, proprio la legge n. 54/06 ha chiaramente inteso, attraverso la norma finale di cui al-l’art. 4, comma secondo, unificare e tendenzialmente omologare fra loro tutti i procedimenti nelcui ambito si dibatta dell’affidamento dei minori e, deve intendersi, dei correlati diritti e doveri dimantenimento gravanti sui genitori secondo il particolare quadro normativo di nuovo conio, di gui-sa che ancora meno accettabile sarebbe un’interpretazione volta a distinguere sul piano dell’effet-tività della tutela provvedimenti di contenuto economico resi, rispettivamente, a favore di figli le-gittimi o naturali.

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18 Cass. n. 986/1996 e Cass. n. 14022/2000.19 Cfr. per tutte, Cass. SS.UU. 29 aprile 1997, n. 3670.

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1. Il mantenimento della prole minorenne e maggiorenne

La riforma attuata con la l. n. 54/2006, si segnala per le innovazioni introdotte in tema di manteni-mento dei figli.Le novità che intendo esaminare sono, in primo luogo, l’ambito operativo accordato dalla legge al-l’autonomia dei genitori rispetto al provvedimento giudiziale sul mantenimento; in secondo luogo,le modalità di adempimento del dovere di mantenimento e l’eventuale, e discussa, esistenza di unamodalità privilegiata scelta dal riformatore; in terzo luogo, il problema della legittimazione a chie-dere e riscuotere il mantenimento per il figlio maggiore di età.Mi pare siano, infatti, questi i profili innovativi di maggiore interesse. La loro analisi, condotta allaluce delle nuove disposizioni e delle applicazioni giurisprudenziali, porterà ad una conclusione chepare riscuotere crescenti consensi: quella secondo cui non molto è cambiato rispetto alla prassi giu-diziale anteriore alla novella.Dirò subito che questo rilievo è dovuto a due caratteri rinvenibili nella legge n. 54: 1) alcune disposizioni non costituiscono che consacrazione legislativa di princìpi giurisprudenzia-

li da tempo consolidati (così è per alcuni dei criteri di quantificazione dell’assegno e per l’enun-ciazione del diritto al mantenimento del maggiorenne non indipendente economicamente);

2) proprio dove la novità doveva, almeno secondo le intenzioni proclamate, corrispondere ad unainnovazione reale e sostanziale ad opera del legislatore – come in tema di modalità privilegia-ta di mantenimento ed individuazione degli spazi rimessi all’autonomia privata – la sciatteria re-dazionale, cui da tempo siamo abituati, ha consegnato all’interprete disposizioni ambigue e ta-lora oscure.

Mi riferisco, principalmente, ai rapporti cruciali tra il 2° comma e il 4° comma dell’art. 155 c.c., nel-la parte in cui entrambi enunciano il dovere genitoriale di mantenimento e contemplano accordidei genitori con funzione rispettivamente: imprecisata nel 2° comma, oscura o illogica, come dirò,nel 4° comma. Ancora, nel 4° comma, si ribadisce superfluamente il principio di proporzionalitànell’adempimento del dovere in parola; di più, si prevede la derogabilità del principio per effettodell’accordo tra le parti, e, poi, incredibilmente, si accorda al giudice il potere di disporre un “as-segno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”, si noti, quello stesso principiodi proporzionalità che, in forza dell’esordio del 4° comma, sembra poter essere derogato dalla vo-lontà privata. A questo risultato si perviene attribuendo alla legge il “senso (...) fatto palese dal si-gnificato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. Il problema è che la stessa “intenzio-ne del legislatore” non è agevolmente ricostruibile.

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FOCUS

1 Relazione tenuta al Corso di formazione in diritto di famiglia, organizzato da AIAF Veneto, Treviso, 18 giugno 2008.

L’ASSEGNO IN FAVORE DEI FIGLI, IN PARTICOLARE DEL FIGLIO MAGGIORENNE, E L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE 1

Umberto RomaAvvocato del Foro di Treviso, professore aggregato di Diritto privato presso l’Università di Padova

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Se, infatti, la disposizione del 4° comma è quella che è, in tutta la sua ossimorica portata, ciò si de-ve al fatto che, passando dalla stesura iniziale a quella definitiva, si sono omesse tre parole (“informa diretta”) che, indubbiamente, restituivano un senso al testo. Ma, potremmo parafrasare, re-solutis verbis, resolvitur et sensus legis. In altri termini, una volta eliminate le tre parole, è forse eli-minata l’opzione legislativa per il cosiddetto mantenimento diretto; ma che senso ha la disposizio-ne se non quello di consentire la deroga del principio di proporzionalità? Il che è assai discutibi-le, sia per la dubbia abdicabilità a tale principio, sia per la funzione che la legge, subito dopo, ri-conosce all’assegno periodico, quella di realizzare il principio medesimo.L’oscurità delle disposizioni legislative ha come conseguenza, per quanto risulta sino ad oggi, un’in-terpretazione delle medesime che ne depotenzia l’auspicata carica innovatrice.

1.1. Accordi dei genitori e provvedimento giudiziale nel rapporto tra i commi 2° e 4° dell’art.155 c.c.

Nel nuovo articolato codicistico, il mantenimento della prole è considerato nel 2° e nel 4° commadell’art. 155 c.c..La duplicazione pone all’interprete due questioni: a) quella di comprendere le ragioni della dupli-ce menzione di tale dovere e b) quella di spiegare il rapporto tra le due disposizioni laddove en-trambe contemplano gli accordi dei genitori, stabilendo diversi requisiti di rilevanza, ovvero la noncontrarietà all’interesse dei figli, nel 2° comma, e la forma scritta, nel 4° comma.Prima questione. Perché la duplicazione? Perché le due norme hanno destinatari diversi. Il 2° com-ma si indirizza al giudice, stabilendo che qualunque sia la forma di affidamento prescelta, egli do-vrà sempre provvedere anche in ordine al mantenimento; più precisamente dovrà stabilire la mi-sura e il modo con cui ciascun genitore dovrà adempiere il relativo obbligo. Il 4° comma si rivol-ge ai genitori, ribadendo, per le ipotesi di patologia della coppia, il dovere stabilito dall’art. 147 ela modalità del relativo adempimento, che è il principio di proporzionalità di cui all’art. 1482.Seconda questione. Perché per i soli accordi del 2° comma, espressamente si dispone che il giudi-ce ne prende atto “se non contrari all’interesse dei figli”, mentre di ciò si tace per gli accordi del4° comma? E perché solo per questi ultimi si richiede la forma scritta?Secondo l’interpretazione più accreditata in dottrina3 gli accordi del 2° comma costituirebbero piùche atti di autonomia in senso tecnico, comportamenti di auto-organizzazione; sarebbero, cioè, unsubstrato di modus vivendi, già in atto tra i genitori e informalmente concordato, di cui il giudicesi limita a prendere atto a condizione che tale autoregolamentazione della quotidianità familiarenon si ponga in contrasto con l’interesse della prole.Gli accordi del 4° comma costituiscono, invece, veri e propri atti di autonomia negoziale; in ragio-ne della loro bilateralità e patrimonialità essi hanno natura contrattuale e sono volti a disciplinareesclusivamente i rapporti interni tra i genitori quali condebitori solidali dell’obbligazione, di risul-tato, del mantenimento dei figli. Il silenzio di legge circa la necessaria non contrarietà all’interessedi questi ultimi si spiegherebbe col fatto che tali accordi, disciplinando le modalità di suddivisionedell’obbligazione di risultato su di essi gravante, sarebbero di per sé inidonei a compromettere ildiritto di credito dei figli, e come tali “indifferenti” per costoro.A tale interpretazione credo sia possibile aggiungere un rilievo che consente di sottoporre al va-glio giudiziale di non contrarietà all’interesse della prole anche gli accordi di cui al 4° comma. Sitratta, in sostanza, di intendere quest’ultimo comma come necessariamente integrativo, limitata-mente al mantenimento, del comma 2°, dedicato anche agli altri profili, e cioè alla cura, all’istru-zione e all’educazione dei figli. Se così è, allora, l’accordo sul mantenimento richiede la forma scrit-

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2 Roma, sub art. 155 c.c., in Mantovani (a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condivisodei figli. Commentario, in Nuove leggi civ. comm., 2008, 113 ss.3 In particolare, Di Gravio, Gli accordi tra genitori in sede di separazione, in Patti e Rossi Carleo (a cura di), L’affidamento con-diviso, Milano, 2006, 54 ss.

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ta ai sensi del comma 4° e la valutazione giudiziale di conformità all’interesse dei figli ai sensi delcomma 2°4.Escluderei decisamente, invece, l’interpretazione secondo cui il 4° comma sarebbe applicabile incaso di separazione consensuale o divorzio a firma congiunta, laddove il 2° comma varrebbe nelcaso di separazione e divorzio contenziosi. Un primo ostacolo sta nel silenzio della legge circa ledue forme di separazione e divorzio. Ma il maggiore impedimento a questa ricostruzione è rappre-sentato dal fatto che, seguendo la tesi criticata, si dovrebbe coerentemente escludere, in caso di se-parazione e divorzio contenziosi, l’applicabilità diretta dello stesso assegno periodico e dei criteridi determinazione per esso previsti dallo stesso 4° comma5.

1.2. Il “misterioso” oggetto degli “accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti” di cui al4° comma dell’art. 155 c.c.

Vengo, ora, all’esame del 4° comma dell’art. 155, la cui rilevanza nelle controversie che ci occupa-no è ben nota a tutti. Si tratta di “una delle norme peggio formulate della legge, atteso che ciascu-na proposizione di cui si compone, quasi ciascuna parola, potrà dare luogo a discussioni”6.“Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mante-nimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, lacorresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da de-terminarsi considerando (...)”.Fermiamoci al primo periodo. Che cosa afferma, almeno prima facie? Che ciascuno dei genitoriprovvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, salvo un accordodiverso sottoscritto dalle parti. Pare, in sostanza, che la volontà privata possa derogare, non ovvia-mente al dovere di mantenimento, ma alla misura nella quale ciascuno dei genitori è tenuto: quel-la proporzionale al proprio reddito.L’interrogativo che sorge spontaneo è se sia derogabile il principio di proporzionalità nell’adempi-mento dell’obbligo in esame.Nel silenzio, per quanto mi consta, della giurisprudenza, va rilevato che la dottrina è divisa.Secondo un orientamento, l’autonomia privata può derogare al principio di proporzionalità a con-dizione che non sia pregiudicato l’interesse della prole: “indipendentemente dalle modalità di ri-partizione tra i genitori, al figlio deve infatti essere garantito il mantenimento in via integrale”7. Personalmente credo sia preferibile la soluzione opposta8, per almeno tre ragioni: a) la tesi della derogabilità contrasta con il principio espresso dall’art. 148, il quale trova ancorag-

gio nel principio di uguaglianza tra i coniugi, stabilito dall’art. 29, 1° comma, Cost., 143, 1° com-ma, e 147, e tra i genitori, desumibile dall’art. 30 Cost. nonché dal combinato disposto degliartt. 147, 261 e 277. Per come è configurato, il principio di proporzionalità è espressione delprincipio di uguaglianza;

b) in secondo luogo, non si comprende come quel principio inderogabile nella coppia unita, di-venti derogabile in caso di separazione, in senso lato, della coppia genitoriale: il sospetto di il-legittimità costituzionale è più che fondato;

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FOCUS

4 Roma, sub art. 155 c.c., cit., 115.5 Roma, sub art. 155 c.c., cit., 115 ss.6 Casaburi, I nuovi istituti di diritto di famiglia: prime istruzioni per l’uso, in Giur. merito, Speciale riforma di diritto di fami-glia, marzo 2006, 52.7 Così Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, in Familia, 2006, 662; in senso analogo,Basini, Ancora in tema di affidamento condiviso della prole, in Fam., pers. e success., 2007, 302 s.; Bellisario, Autonomia dei ge-nitori tra profili personali e patrimoniali, in Patti e Rossi Carleo (a cura di), L’affidamento condiviso, cit., 90 ss.8 Ipotesi sostenuta anche da Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: A) profili sostanziali, in Fam. e dir., 2006, 384;Scalisi, Il diritto del minore alla “bigenitorialità” dopo la crisi o la disgregazione del nucleo familiare, in Fam. e dir., 2007, 530 ss.;Casaburi, op. cit., 52; Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 65.

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c) sul piano sistematico, ancora, diventa difficile affermare la derogabilità del principio anche allaluce del secondo periodo dello stesso comma 4° (che dal primo è separato da un semplice pun-to e virgola), in cui si attribuisce al giudice il potere di disporre un assegno periodico con la fi-nalità, espressamente enunciata, di “realizzare il principio di proporzionalità”.

Ma, allora, seguendo questa seconda interpretazione, bisogna chiedersi quale sia l’oggetto degli ac-cordi in deroga: cioè, a che cosa essi derogano? Il tenore letterale della disposizione non offre al-cuno spunto: la ragione di tale oscurità l’ho indicata in precedenza. Prima dell’approvazione defi-nitiva, la norma ragionava di “mantenimento in forma diretta”. La scelta iniziale ed espressa dellegislatore consisteva nel cosiddetto mantenimento diretto.La soppressione del riferimento alla forma diretta di mantenimento assume un’importanza centra-le non solo per la comprensione della disposizione in esame ma per quella del nuovo sistema delmantenimento.Se, infatti, la disposizione in esame ha carattere dispositivo, si applica cioè salvo diversa volontàdelle parti, è di essenziale rilievo stabilire quale sia la portata precettiva della norma stessa. In al-tri termini, per definire quali siano le diverse modalità di mantenimento che i genitori possono con-venire derogando alla legge, bisogna individuare previamente quale sia la modalità tipica, ordina-ria di mantenimento scelta dal legislatore.

1.3. La discussa modalità ordinaria di mantenimento: diretta o indiretta?

La novella non stabilisce espressamente se la modalità ordinaria di mantenimento sia quella diret-ta o quella indiretta.La dottrina è divisa; la giurisprudenza, sino ad oggi pronunciatasi, è divisa tra regole effettivamen-te applicate dalle decisioni di merito ed enunciazioni di principio della Cassazione.Coloro che sostengono la tesi del mantenimento diretto fanno leva sul principio fondamentale at-tuato con la riforma, quello della bigenitorialità: in sostanza, se, anche dopo la crisi della coppia,i rapporti con i figli, sul versante personale, devono conservarsi come erano prima della disgrega-zione, così, sul versante patrimoniale, l’assetto organizzativo volto a soddisfare il mantenimento deifigli deve restare, tendenzialmente e se possibile, inalterato9. Sul piano sistematico, poi, si osserva10 che il giudice deve stabilire un assegno periodico solo “ovenecessario”. Tale riferimento alla necessità comproverebbe che l’assegno di concorso nel manteni-mento avrebbe oggi carattere eventuale e residuale o, al più, funzione integrativa del mantenimen-to diretto.In quali ipotesi, allora, secondo questa tesi, può essere disposto l’assegno periodico?a) Quando i genitori convengano per iscritto che la contribuzione al mantenimento avvenga, in-

tegralmente o parzialmente, tramite l’assegno;b) quando, in assenza di tale accordo, il giudice ritenga contrastante con l’interesse della prole il

mantenimento diretto: ciò può accadere quando per situazioni di fatto esso sia particolarmentedifficile e/o faccia temere ritardi o inadempimenti (come nel caso di accesa conflittualità circala ripartizione dei rispettivi oneri ovvero di controversia circa le scelte educative comportantiimmediate ricadute economiche);

c) quando i genitori convengano di assumersi direttamente solo parte degli oneri di mantenimen-to, o mediante l’attribuzione di un bene o mediante il pagamento diretto di prestazioni neces-sarie per i figli (quando il figlio trascorra più tempo presso uno dei genitori). In tal caso, l’as-segno avrà la funzione di riequilibrare l’apporto di ciascuno assicurando il principio di propor-zionalità.

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9 Per questo argomento, tra gli altri, vedi Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: A) profili sostanziali, cit., 385; Vil-lani, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati, in Studium iuris, 2006, 670; Quadri, Affidamen-to dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, in Familia, 2006, 407.10 De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006, 105; Scalisi, op. cit., 531.

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Secondo un’altra ricostruzione11, la modalità ordinaria di mantenimento sarebbe anche dopo la ri-forma quella indiretta. In tal senso depongono vari elementi: sia l’eliminazione della forma diret-ta quale modalità espressa nell’art. 155, sia considerazioni di ordine sistematico.Il 5° comma dell’art. 155, prevedendo l’adeguamento automatico dell’assegno, lascia intendere lanecessità ordinaria della corresponsione dello stesso. Inoltre, l’art. 155 quinquies, nel prevedereche il giudice possa disporre un assegno in favore del figlio maggiore di età, non prevede formealternative di contribuzione rispetto a quella indiretta12. A favore della tesi della persistenza del mantenimento indiretto pare anche Cass., 18 agosto 2006,n. 1818713, la quale nega la premessa di fondo della tesi opposta; premessa secondo cui sussiste-rebbe, nello spirito della riforma, una sorta di nesso di consequenzialità automatica tra affidamen-to condiviso e mantenimento diretto. La Cassazione spezza tale nesso, distinguendo nettamente ipiani su cui ciascuno dei suoi elementi si pone: l’affidamento attiene all’“interesse ‘esistenziale’” delminore, ma tale interesse nel contempo prescinde “sia dal rapporto patrimoniale tra i due ex co-niugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore”, i quali trovano autonoma disci-plina nel 4° comma dell’art. 155. L’affidamento condiviso (come quello congiunto) non comportacome “conseguenza ‘automatica’” il “principio che ciascuno dei genitori provvede in modo direttoed autonomo alle esigenze dei figli”.Secondo questa tesi, allora, i diversi accordi fatti salvi dall’esordio del 4° comma potranno preve-dere solo parzialmente l’assegno periodico e/o altre modalità di mantenimento, quali la correspon-sione di un assegno in unica soluzione o l’attribuzione definitiva di beni o l’obbligo, per uno o en-trambi i genitori, di effettuare tale attribuzione14.

1.4. I criteri di determinazione dell’assegno

Solo qualche cenno posso fare, premettendo due osservazioni: 1) si tratta del recepimento legislativo di orientamenti giurisprudenziali consolidati; 2) ai cinque criteri enumerati in questo articolo, deve aggiungersi quello dell’art. 155 quater, se-

condo cui dell’assegnazione della casa familiare il giudice “tiene conto nella regolazione dei rap-porti economici tra i genitori”.

Il primo criterio considera “le esigenze attuali del figlio”: l’assegno va commisurato escludendo leesigenze future, anche perché il provvedimento è sempre modificabile. Si dovranno considerare leesigenze della vita quotidiana e quelle ragionevolmente prevedibili, non quelle imprevedibili im-plicanti oneri e spese straordinarie.Il secondo criterio contempla “il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”: si tratta di uncriterio tendenziale e non assoluto, da correlare con il criterio base che è quello costituito dalle “ri-sorse economiche di entrambi i genitori”. Il criterio in esame non può giungere sino a ridurre i ge-nitori (o uno di essi) in uno stato di quasi indigenza.Il terzo criterio considera “i tempi di permanenza presso ciascun genitore”: durante tali periodi è ilgenitore che tiene il figlio che provvede personalmente e direttamente alle necessità di costui. Sipotrà, pertanto, evitare l’arricchimento che in passato traeva l’affidatario il quale, secondo la giuri-sprudenza prevalente, aveva diritto di percepire l’intero ammontare dell’assegno mensile anchequando la prole convivesse per apprezzabili periodi con il non affidatario.A questo criterio è, ovviamente, connesso quello di cui al n. 5 che si incentra sulla “valenza eco-nomica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. Tali compiti saranno, infatti,tanto maggiori quanto maggiore è il tempo concretamente trascorso dalla prole con ciascuno dei

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FOCUS

11 Padalino, op. cit., 57 ss.; Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e di divorzio, Torino, 2006, 201 ss.12 Vedi, amplius, Padalino, op. cit., 59 ss.13 Anche in Fam. e dir., 2007, 345, con nota di Dogliotti, e in Giur. it., 2007, 2193, con nota di Gandolfi.14 Padalino, op. cit., 63 ss.

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genitori. Si tratta della monetizzazione del lavoro domestico attuabile con il raffronto del costo cor-rispondente di una collaboratrice domestica o di una bambinaia.

1.5. Il mantenimento del figlio maggiorenne

Consacrazione legislativa dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il dovere di mantenimen-to si protrae oltre la maggiore età, sino a quando il figlio abbia raggiunto una propria indipenden-za economica o, in alternativa, versi in colpa per non aver conseguito un titolo di studio o per nonessersi procurato un reddito mediante un’attività lavorativa o, ancora, per avere ingiustificatamenterifiutato una tale attività15. Va, quindi, decisamente escluso che il verbo “potere” ricorrente nella let-tera della legge possa intendersi come se il giudice godesse di un margine discrezionale circa lapossibilità stessa di riconoscere o meno il diritto del maggiorenne a conseguire il mantenimento16.Perché, allora, la legge dice che il giudice “può disporre il pagamento di un assegno periodico” equali solo le circostanze da valutare? La risposta ai due quesiti può dipendere dalla soluzione della questione, già esaminata, circa la mo-dalità ordinaria di mantenimento del figlio minore.Se si ritiene che tale modalità sia quella del mantenimento diretto, dovrà concludersi che il giudi-ce potrà disporre la corresponsione di un assegno in luogo del mantenimento diretto (oppure an-che la corresponsione di un assegno con funzione integrativa del parziale m. diretto). Quali sonoperò le circostanze da valutare per derogare, in tal modo, alla regola del mantenimento diretto? A mio modo di vedere, deve muoversi dalla premessa che rispetto all’obbligo di mantenimento,che vede i genitori debitori solidali, sono, in primo luogo, le esigenze e gli interessi di costoro chevanno valutati; in seconda battuta, si dovrà accertare se le modalità preferite dai genitori in basealle loro esigenze siano contrastanti o meno con quelle della prole17.Allora le circostanze da valutare sono le seguenti: a) l’eventuale accordo dei genitori sulle modalità di mantenimento a condizione che non contra-

stino con oggettive esigenze logistiche del figlio18;b) in mancanza di accordo ovvero ove l’accordo contrasti con l’interesse del figlio, sarà il giudice

a stabilire la modalità più idonea, sempre considerando che la preferenza di legge è per il man-tenimento diretto.

Vanno allora considerate le seguenti ipotesi:• se il figlio convive con uno dei genitori e questi convengano che uno provveda direttamente e

l’altro tramite assegno, il giudice disporrà conformemente;• allo stesso modo il giudice recepirà l’eventuale accordo di contribuzione diretta da parte di en-

trambi, ove il figlio conviva con uno dei due;• se i genitori nulla convengono o se appare probabile l’inadempimento o il ritardo nel manteni-

mento diretto di un genitore, il giudice potrà disporre il mantenimento diretto solo da parte delgenitore convivente che non prospetti rischi di inadempimento;

• infine, ove il figlio non conviva con nessuno dei due e abiti in località assai distante da entram-bi i genitori e ove sussista dissidio tra i due circa modalità e quota gravante su ciascuno, il giu-dice potrebbe disporre il mantenimento indiretto da parte di entrambi.

Se si segue l’avviso secondo cui modalità ordinaria di mantenimento è quella indiretta, la dispo-sizione deve essere interpretata diversamente per l’ovvia ragione che, per tale tesi, il mantenimen-to non può aver luogo che mediante un assegno periodico. “Il giudice, valutate le circostanze, può

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15 Ex multis, Cass., 28 maggio 2007, n. 12457, in Fam. e dir., 2007, 947.16 Amplius, Roma, sub art. 155 quinquies, in Mantovani (a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affida-mento condiviso dei figli. Commentario, cit., 169 ss.17 Roma, sub art. 155 quinquies, cit., 171, riprendendo un spunto di Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa co-niugale: la recente riforma, cit., 411.18 Sull’essenzialità dell’accordo tra i genitori, Casaburi, op. cit., 54.

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disporre un assegno periodico” significa, allora, che tale assegno potrà essere disposto solo qualo-ra il giudice ritenga non sussistenti, nel caso sottopostogli, quelle circostanze tipizzate dalla costan-te giurisprudenza che escludono lo stesso diritto al mantenimento19.La seconda parte del 1° comma dell’art. 155 quinquies dispone che l’assegno “salva diversa deter-minazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.Si tratta di una scelta legislativa che, rispetto alla prassi giurisprudenziale pacificamente consolida-ta, pone qualche interrogativo in ordine alla legittimazione a riscuotere l’assegno e anche a richie-derlo. Come è noto, infatti, la giurisprudenza riteneva legittimato il genitore del maggiorenne conlui convivente a chiedere e riscuotere il mantenimento per il figlio, e non già ex capite filii, ma iu-re proprio20. La legittimazione del genitore era conservata dopo la maggiore età del figlio, a condi-zione che costui continuasse a convivere con il genitore già affidatario, ma diveniva concorrentecon quella di costui21.Primo interrogativo: che effetto ha la nuova disciplina, che sembra conferire al figlio una legittima-zione esclusiva, sulla legittimazione del genitore convivente? Il genitore conserva, anche nel nuo-vo sistema, una legittimazione concorrente con quella del figlio divenuto maggiorenne? Come è noto si temeva un’estensione della conflittualità, che sarebbe stata spostata dai figli controi genitori. Ma così non è stato, poiché le prime pronunce non paiono discostarsi dell’orientamen-to tradizionale.Un autorevole orientamento dottrinale ritiene che, con la maggiore età, unico legittimato alla ri-chiesta in giudizio e alla riscossione sia il figlio22. La soluzione adottata dalla giurisprudenza dopola novella è, tuttavia, più articolata e richiede non poche distinzioni.a) Figlio, non convivente con nessuno dei genitori, maggiore di età al momento della domanda diassegno.Chi è legittimato a chiedere l’assegno? Il figlio maggiore di età con procedimento ordinario e/o aisensi dell’art. 147 e 148, nei confronti di uno o entrambi i genitori. L’assegno dovrà essere versatodirettamente al figlio.b) Figlio convivente con uno dei genitori, maggiore di età al momento della domanda di assegno.In base alla nuova disposizione, la soluzione dovrebbe essere identica alla precedente. Tuttavia, siregistrano decisioni che riprendono l’orientamento giurisprudenziale anteriore alla novella. Il fattodella convivenza con il genitore fonderebbe la legittimazione attiva di quest’ultimo a chiedere l’as-segno (verosimilmente secondo il procedimento di modifica delle condizioni di separazione o di-vorzio). Il giudice potrebbe, poi, disporre che l’assegno sia versato al figlio o al genitore istante23.Ove il giudice disponga che l’assegno sia versato al figlio, si riscontra la novità di un provvedimen-to giurisdizionale in favore di un terzo che non è parte processuale24. Si precisa, peraltro, che quel-la del genitore è una legittimazione concorrente, che sussiste nell’inerzia da parte del figlio, il qua-le attivandosi autonomamente estingue la legittimazione genitoriale25.

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19 Così, in coerenza con la premessa, De Marzo, L’affidamento condiviso. I, Profili sostanziali, in Foro it., 2006, V, 94.20 Di recente, Cass., 12.10.2007, n. 21437.21 Cass., 16.7.1998, n. 6950, per riferimenti di giurisprudenza e dottrina, Roma, La nozione di convivenza/coabitazione ai finidella legittimazione del genitore già affidatario a chiedere l’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, in Nuova giur. civ.comm., 2006, I, 460 ss.).22 Finocchiaro, Assegno versato direttamente ai maggiorenni, in Guida al dir., 2006, n. 11, 42; la tesi, contrastante con l’avvisomaggioritario di giurisprudenza e dottrina, era stata sostenuta anche in passato da Finocchiaro, Chi è legittimato a chiedere l’as-segno di mantenimento per il figlio divenuto maggiorenne?, in Giust. civ., 1982, I, 1337, e Id., in A. e M. Finocchiaro, Diritto difamiglia, I, Milano, 1985, 568 ss.).23 Trib. Catania, 31.3.2006 in Dir. fam. e pers., 2007, 182; Trib. Marsala, 2.3.2007, in Dir. fam. e pers., 2007, 799; Trib. Modena,28.6.2007, in Fam. pers. succ., 2007, 1040; Trib. Modena, 6.9.2007, in Fam., pers. succ., 2007, 947.24 Trib. Catania, 31.3.2006, cit.; Trib. Modena, 6.9.2007, cit.; favorevole, in dottrina, Cea, L’affidamento condiviso. I, Profili pro-cessuali, in Foro it., 2006, V, 97; dubbioso, invece, almeno in ordine ad una pronuncia d’ufficio in favore dei figli maggiori nongravemente disabili, Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: B) profili processuali, in Fam. e dir., 2006, 398.25 Trib. Catania, 31.3.2006, cit.; Trib. Marsala, 2.3.2007, cit.; Trib. Modena, 28.6.2007, cit.; Trib. Modena, 6.9.2007, cit.; conforme-mente al sistema giurisprudenziale anteriore: Cass., 24.2.2006, n. 4188, in Guida al dir., 2006, n. 18, 76; Cass., 16.7.1998, n. 6950;Trib. Vicenza, decr., 7.3.1991, in Dir. fam. e pers., 1991, 1027.

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Ribadisco che è la convivenza con il figlio maggiorenne a conferire al genitore la legittimazione adinstare per il mantenimento: cessata la convivenza, cessa la legittimazione26.I vantaggi di questa soluzione sono: a) evitare la caducazione ope legis di un eventuale preesisten-te titolo esecutivo in favore del coniuge convivente, caducazione che si tradurrebbe in una mino-razione di tutela per il figlio maggiore non indipendente; b) evitare l’instaurazione di contenziositra figli e genitori; c) evitare l’intervento dei figli nelle cause tra i genitori.Deve osservarsi che, secondo alcune pronunce va esclusa l’ammissibilità di un intervento del figlioin causa27, laddove per altre decisioni esso è ammissibile sia come intervento volontario ex art. 105c.p.c. sia su istanza di parte ex art. 106 c.p.c.28. In particolare, seguendo un orientamento dottrina-le, è stato deciso che l’intervento può configurarsi come intervento principale, ove il figlio faccia va-lere la pretesa all’assegno nei confronti di entrambi i genitori, o come intervento adesivo dipenden-te, qualora il figlio affermi il suo diritto all’assegno sostenendo la domanda avanzata dal genitore29.c) Figlio minore di età al tempo della domanda avanzata dal genitore convivente, che raggiungel’età maggiore in pendenza del giudizio.Il giudice dovrebbe disporre il versamento in favore del figlio divenuto maggiore. E ciò anche seil genitore ha chiesto il versamento a sé medesimo. Sotto il profilo processuale, quanto alla parte-cipazione al giudizio del figlio maggiore, si riscontrano tre tesi: quella che ne esclude l’intervento,quella che ammette l’intervento volontario, e quella, più radicale, che impone l’integrazione delcontraddittorio nei suoi confronti30.d) Figlio che raggiunge la maggiore età, dopo che sia già stato pronunciato sul mantenimento infavore del genitore convivente con il figlio stesso.Le prime pronunce riprendono l’orientamento sviluppatosi ante riforma: il genitore conserva la le-gittimazione alla riscossione e a richiedere la modifica del quantum31. Va esaminata, tuttavia, la possibilità che sia modificato il destinatario del pagamento stante la for-mula dell’art. 155 quinquies.Ciò può avvenire su iniziativa dell’obbligato, il quale dovrà necessariamente proporre domandagiudiziale secondo il procedimento di modifica delle condizioni di separazione o divorzio32, doven-dosi escludere che possa versare l’assegno direttamente al figlio per il solo raggiungimento dell’etàmaggiore di costui.Secondo alcune pronunce, il figlio sarebbe legittimato ad intervenire ai fini dell’individuazione, daparte del giudice, del soggetto destinatario del versamento33.Ma la modifica potrebbe avvenire anche su istanza del figlio stesso. Il quasi unanime orientamen-to dottrinale esclude che il figlio possa attivare i procedimenti di modifica delle condizioni di se-parazione e divorzio di cui agli artt. 710 c.p.c e 9 l. n. 898/1970, poiché la relativa legittimazionespetta esclusivamente ai coniugi (o ex coniugi), quali uniche parti dell’originario giudizio di sepa-razione e divorzio. La domanda dovrebbe proporsi, ex art. 147 c.c., nelle forme ordinarie34.

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26 Trib. Marsala, 2.3.2007, cit.; Trib. Modena, 6.9.2007, cit.; anteriormente alla riforma, Cass., 27.5.2005, n. 11320, in Fam., pers.e success., 2005, 557, e in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 454, nota di Roma.27 Trib. Marsala, 2.3.2007, cit.; Trib. Modena, 28.6.2007, cit.28 Trib. Messina, 5.5.2006, in www.affidamentocondiviso.it; Trib. Genova, 6.2.2007, in Foro it., 2007, I, 946.29 Trib. Venezia, 18.4.2007; secondo la prospettazione di Napolitano, op. cit., 259 ss.; in dottrina, favorevole all’intervento è an-che Tommaseo, op. cit., 398.30 Graziosi, Profili processuali della legge n. 54 del 2006, sul c.d. affidamento condiviso dei figli, in Dir. fam. e pers., 2007, 1869,il quale aggiunge che, se il ricorso è proposto quando il figlio è già maggiore, la causa deve radicarsi ab origine anche nei suoiconfronti.31 Trib. Messina, 5.5.2006, cit.; la quasi totalità della dottrina concorda: Sesta, op. cit., 386; de Filippis, op. cit., 131; Casaburi, op.cit., 54; Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, cit., 411; Napolitano, op. cit., 259;Balestra, op. cit., 663 ss., contra, M. Finocchiaro, op. cit., 42.32 Trib. Napoli, 9.11.2006, in Corr. merito, 2007, 26.33 Trib. Messina, 5.5.2006, contra Trib. Modena, 28.6.2007, cit.34 In luogo di molti, Tommaseo, op. cit., 398;. Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente ri-forma, cit., 412.

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2. L’assegnazione della casa coniugale

2.1. Finalità dell’istituto: la tutela della prole

L’art. 155 quater si segnala per tre ragioni: a) la semichiara individuazione della finalità dell’assegnazione; b) l’elencazione delle cause estintive del diritto dell’assegnatario al godimento della casa; c) un’innovativa scelta circa il regime di opponibilità che privilegia le ragioni della proprietà ri-

spetto alle esigenze della prole.Prevedendo che il “godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto del-l’interesse dei figli”, il riformatore stabilisce espressamente che la finalità dell’assegnazione è la tu-tela della prole. Si tratta di un’affermazione sconosciuta alla formula precedente dell’art. 155 c.c. ea quella dell’art. 6 della l. n. 898/1970, che, col prevedere che la casa spettava di preferenza all’af-fidatario, non accordavano all’interesse della prole quell’essenzialità che oggi ispira l’istituto dell’as-segnazione.Oggi è la presenza dei figli il solo fatto legittimante il provvedimento di assegnazione. Se figli nonvi sono, non vi è luogo a discutere di assegnazione35. Il primo periodo dell’art. 155 contiene, tuttavia, un avverbio “prioritariamente”: il godimento è at-tribuito considerando prioritariamente l’interesse filiale, il che lascerebbe spazio per attribuire il go-dimento tenendo conto, sia pure secondariamente, anche di altri fattori (così, ad esempio, le esi-genze abitative del coniuge36). Ciò tuttavia, a mio avviso, non esclude che la presenza della prole sia condizione necessaria per-ché si faccia questione di assegnazione. Se la prole non vi è, e quindi non è possibile tener contoprioritariamente del suo interesse, non vi è neppure possibilità di considerare secondariamente al-tri interessi.In tal modo, ci si conforma all’orientamento della Cassazione, sempre più frequentemente e anchedi recente ribadito, secondo cui l’assegnazione è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e del suointeresse a permanere nell’ambiente domestico in cui è vissuta e non può essere disposta a titolodi componente degli assegni previsti di mantenimento o di divorzio37.A mio giudizio, tuttavia, una volta assodato che la presenza della prole è condizione necessaria perl’assegnazione, non si dovrebbe escludere che con la finalità di tutela della prole possano coesi-stere, in secondo ordine, finalità ulteriori da considerare ai fini dell’assegnazione.Prima di esaminare questo problema, bisogna indagare come si combina l’interesse dei figli allaconservazione dell’habitat con le modalità con le quali si atteggia in concreto l’affidamento.In caso di affidamento esclusivo, non può dubitarsi che valga la soluzione del passato: la localiz-zazione prevalente dei figli presso il genitore affidatario determina l’assegnazione della casa a que-st’ultimo38.In caso di affidamento condiviso, è inevitabile che il provvedimento, dopo aver fissato i tempi ele modalità della permanenza dei figli presso ciascun genitore, debba assegnare la casa a quelloche trascorrerà maggior tempo con i figli o, in altri termini, a quello con il quale i figli vivrannoprevalentemente. La collocazione privilegiata (o localizzazione prevalente) del figlio presso uno deigenitori comporta l’assegnazione della casa e, nel contempo, l’individuazione della residenza non-ché del domicilio del minore39.

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35 Assai chiaramente Cass., 18.2.2008, n. 3934, in Mass. Giur. it., 2008; Cass., 24.7.2007, n. 16398.36 Sesta, op. cit., 387.37 Da ultimo Cass., 17.12.2007, n. 26574; Cass., 22.3.2007, n. 6979.38 Così pure Quadri, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, in Corr. giur., 2006, 1143; Casaburi, op. cit., 55.39 Roma, sub art. 155 quater c.c., in Mantovani (a cura di), Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamentocondiviso dei figli. Commentario, cit., 153; Quadri, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, cit., 1143; Pa-dalino, op. cit., 140; de Filippis, op. cit., 121.

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Nel caso in cui il provvedimento stabilisca una ripartizione pressoché paritaria dei tempi di perma-nenza del figlio presso ciascuno dei genitori40, si riscontrano, in dottrina, soluzioni diverse: vi è chiinvoca la considerazione di altre istanze, come la tutela del coniuge più debole41; altri fanno levasu elementi di valutazione integrativi relativi alla prole42, ad esempio, trattandosi di figli in età sco-lare, in considerazione della vicinanza della scuola alla casa, quest’ultima potrà assegnarsi al geni-tore che accompagni il figlio a scuola e ve lo riprenda al termine.È decisamente da escludere, invece, l’assegnazione della casa in favore del figlio; da un lato, inve-ro, la titolarità del diritto di godimento riconosciuto al figlio potrebbe confliggere con le situazionireali o personali di godimento dei genitori, creando complicazioni in tema di affido e mantenimen-to; dall’altro lato, la praticabilità dell’ipotesi è smentita dal fatto che tra le cause di estinzione del-l’assegnazione è contemplato il nuovo matrimonio dell’assegnatario43. Si è, piuttosto, decisa, sia pu-re in via provvisoria, un’assegnazione alternata della casa a ciascun genitore per tre settimane cia-scuno, affidando i figli ad entrambi i genitori, sul presupposto che tale assetto di rapporti garanti-va, nel caso concreto, le esigenze di stabilità e serenità della prole ed attenuava l’aspro conflittotra i genitori proprio in ordine all’uso dell’immobile44.Tornando, ora, alla questione dell’eventuale rilevanza, nella decisione sull’assegnazione, di interes-si diversi da quello della prole, riterrei che anche le esigenze del genitore economicamente più de-bole possano venire in campo, ma solo in via secondaria. Si tratta, forse, di ipotesi abbastanza im-probabili, come quella sopra descritta della paritaria divisione dei tempi di permanenza del figliopresso ciascun genitore. L’ancoraggio testuale per conferire rilievo alle condizioni economiche deigenitori mi pare quello contenuto nello stesso art. 155 quater: il dovere giudiziale di tener contodell’assegnazione nella regolazione dei rapporti economici. Si rinvengono decisioni, peraltro isola-te, che hanno attribuito rilievo ad interessi diversi da quelli dei figli: quali la “debolezza economi-ca o morale di un coniuge rispetto all’altro”; secondo una pronuncia, la lettera dell’art. 155 quaternon impedisce che, in assenza di prole, ove la casa sia in comproprietà, ne sia possibile l’assegna-zione in base ad un criterio economico per favorire la parte meno abbiente45.

2.2. Cause estintive del diritto al godimento

Con previsione espressa, ignota per il passato, il riformatore ha enunciato quattro cause di estin-zione del diritto al godimento dell’assegnatario che sussistono: a) quando costui non abiti nella ca-sa familiare, o b) cessi di abitarvi stabilmente, o c) conviva more uxorio o, da ultimo, d) contrag-ga nuove nozze. Le prime due cause di estinzione costituiscono recepimento dell’avviso giurisprudenziale che indi-vidua i caratteri distintivi della casa familiare in relazione alla funzione che le è propria46, e cioèl’essere “il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza”47 o anche “centro di affet-ti, di interessi di consuetudini di vita”48; più precisamente, il “complesso di beni funzionalmente at-trezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare”49. Qualora la funzione pro-

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40 Per un caso concreto, Trib. Chieti, 28.6. 2006, in www.affidocondiviso.it41 De Filippis, op. cit., 121.42 Napolitano, op. cit., 214 ss.43 Paladini, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, in Fam. e dir., 2006, 330.44 Trib. Palermo, 27.3.2007, in Fam., pers. succ., 2007, 759.45 Trib. Viterbo, 12.10.2006, in Corr. merito, 2007, 313; in dottrina, minoritariamente, D’Auria, Interesse dei figli nell’assegnazio-ne della casa familiare, in Corr. merito, 2007, 1109 ss.46 Amplius Quadri, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, cit., 1147.47 Cass., 20.1.2006, n. 1198, in Giur. it., 2006, 1595; Cass., 16.7.1992, n. 8667, in Giust. civ., 1992, I, 3002.48 Corte cost. 13.5.1998, n. 166, in Giur. it., 1998, 1783.49 Cass., 22.5.1993, n. 5793, in Giur. it., 1994, I, 1, 242.

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pria della casa coniugale sia già cessata al momento della crisi della coppia genitoriale ovvero ces-si in seguito, non vi è motivo per provvedere all’assegnazione50 e, corrispondentemente, secondola nuova disciplina, si estingue il diritto di godimento dell’assegnatario. Le due cause di estinzione consistenti nella contrazione di nuove nozze o nella convivenza moreuxorio sono state oggetto di censure in sede dottrinale e giurisprudenziale, giunte sino alla propo-sizione di questioni di legittimità costituzionale. La principale critica mette in luce come le ipotesidi estinzione in parola frustrino la funzione stessa dell’assegnazione: è irragionevole, si afferma,prevedere la cessazione dell’operatività di un istituto funzionale alla tutela della prole per effettodella condotta sopravvenuta di un genitore51; ancora, si osserva, l’interesse del coniuge, per nullarilevante in sede di assegnazione, lo diviene in misura preponderante nella vicenda estintiva del-l’assegnazione: le cause estintive in esame considerano, invero, il mutamento della situazione per-sonale del coniuge e non l’interesse prioritario del figlio52. La norma è poi censurata sotto il profilo della violazione di un diritto fondamentale, qual è la li-bertà matrimoniale (artt. 2 e 29 Cost.), dell’assegnatario, il cui esercizio sarebbe condizionato dal-la prospettiva di perdere l’assegnazione della casa familiare53.Premesso che a me pare fuorviante considerare l’interesse dell’adulto assegnatario, tanto più se losi riguarda in termini assoluti, e cioè prescindendo dalla sua connessione con l’interesse della pro-le, ritengo che la disposizione criticata si sottragga alle censure di illegittimità costituzionale e, co-munque, sia suscettibile di un’interpretazione costituzionalmente orientata, come, in effetti, ha de-ciso la Consulta54.Secondo un orientamento dottrinale, che pure ha trovato credito in giurisprudenza55, il verificarsidelle due cause estintive (nuovo matrimonio e convivenza more uxorio) non comporterebbel’estinzione ope legis dell’assegnazione, ma richiederebbe un provvedimento giudiziale di revoca.In tale sede, nell’esercizio dei poteri discrezionali di cui sarebbe investito, il giudice dovrebbe ri-considerare ex novo, alla luce dei fatti sopravvenuti, l’opportunità dell’assegnazione della casa,sempre tenendo prioritariamente conto dell’interesse della prole. Convivenza more uxorio e nuo-vo matrimonio potrebbero risultare contrastanti con tale interesse oppure no, legittimando rispet-tivamente la revoca o la conferma dell’assegnazione56. Questo avviso dottrinale ha trovato confor-to nella pronuncia di Corte cost., 30 luglio 2008, n. 308, per la quale il contesto normativo e giu-risprudenziale, anche antecedente alla novella del 2006, rivela come non solo l’assegnazione dellacasa familiare, ma anche la cessazione della stessa, è stata sempre subordinata, pur nel silenzio del-la legge, ad una valutazione giudiziale di rispondenza all’interesse della prole. La disposizione –conclude la Consulta – si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale se interpretata, non giàsulla base del dato letterale, ma nel senso che l’assegnazione non viene meno di diritto al verifi-carsi dell’instaurazione di una convivenza di fatto o alla contrazione di nuove nozze, ma che la de-cadenza dall’assegnazione è subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore.

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50 Cass., 13.2.2006, n. 3030, in Foro it., 2007, I, 237: “l’assegnazione non può essere pronunciata in favore del coniuge affidata-rio ove in concreto al momento della domanda l’immobile non si configuri più come casa familiare, per essersi per qualsiasi ra-gione quell’habitat domestico già disciolto”; Cass., 23.5.2000, n. 6706, in Mass. Foro it., 2000.51 Casaburi, op. cit., 56.52 Da qui la violazione dell’art. 30 Cost.; Cubeddu, L’assegnazione della casa familiare, in Patti e Rossi Carleo (a cura di), L’af-fidamento condiviso, cit., 197; Basini, Cause di estinzione del diritto al godimento della casa familiare e sospetti di incostituziona-lità, in Fam., pers. e success., 2006, 619.53 Sesta, op. cit., 387; Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., 666.54 Corte cost., 30.7.2008, n. 308, di cui vedi almeno l’ampio commento di Villani, Assegnazione della casa familiare e cause del-la perdita del diritto al godimento dell’immobile: l’interpretazione dell’art. 155 quater c.c. operata dalla corte costituzionale, inNuove leggi civ. comm., 2008, 1255.55 Trib. Napoli, 9.11.2006, in Foro it., 2007, I, 302; Trib. Firenze, 16.5.2007, in Fam. e dir., 2007, 834.56 Lenti, La legge sull’affidamento condiviso: nell’interesse dei figli o dei padri separati?, in Minori giustizia, 2006, n. 3, 260; Fer-rando, L’assegnazione della casa familiare, in Dogliotti (a cura di), Affidamento condiviso e diritti dei minori, Torino, 2008, 139ss.; Villani, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati, cit., 674 ss.; contra, in diversa prospettiva,Quadri, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, cit., 1148; Basini, Cause di estinzione del diritto al godi-mento della casa familiare e sospetti di incostituzionalità, cit., 620; Padalino, op. cit., 156 ss.

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Secondo altro orientamento dottrinale57, che pare avallato da un obiter della Cassazione, le due cau-se di estinzione in esame non contrasterebbero con i princìpi costituzionali di tutela della prole edi libertà matrimoniale. L’assegnazione della casa familiare al genitore non titolare di diritti realisull’immobile costituisce previsione di carattere eccezionale che consente la compressione del di-ritto del proprietario in vista della tutela di un interesse legislativamente reputato di rango superio-re, quello dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico. La scelta legislativa che riconnettealla convivenza more uxorio o alle nuove nozze dell’assegnatario l’estinzione dell’assegnazione è“mera conseguenza dell’avere l’abitazione perduto (...) la sua funzione (...) per essere venuto me-no, secondo la valutazione del legislatore, in conseguenza della formazione di un nuovo nucleo fa-miliare da parte del coniuge assegnatario, quell’habitat che si intendeva conservare, finché possibi-le, ai figli”58.A questa tesi interpretativa è evidentemente sotteso il riconoscimento di una duplice componentedell’habitat domestico: l’una di carattere oggettivo, fisico-materiale, sostanziantesi nella casa fami-liare come “centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza”59, l’altra di carattere sog-gettivo, personale-relazionale, costituita dal nucleo familiare originario, sia pure privato, a segui-to della crisi familiare, di uno dei genitori, composto, quindi, dai figli conviventi e dal genitore as-segnatario60.L’istituto dell’assegnazione è funzionale alla conservazione dell’ambiente domestico in quanto talehabitat sia rimasto immutato nella sua duplice componente, quella oggettiva e quella soggettiva. Ècoerente, allora, con questa premessa la conclusione secondo cui l’assegnazione viene caducataove nel nucleo familiare residuo si inserisca un nuovo componente estraneo a tale nucleo; in talmodo, si realizza, invero, una modifica di quell’habitat originario che la legge intende conservare.È significativo rilevare come questo argomento sia stato sviluppato e impiegato anche anteriormen-te alla novella del 2006. Già nel 1997, la Cassazione aveva deciso che la compressione del dirittoreale o personale di godimento del coniuge titolare non potesse avere luogo “allorché il nucleo fa-miliare, formato dal coniuge assegnatario e dai figli con lui conviventi, abbia perso la propria iden-tità originaria, come nel caso della formazione di un proprio aggregato familiare da parte del fi-glio convivente con il coniuge assegnatario, comportante l’ingresso di persone estranee nel nucleoesistente quando l’assegnazione venne decisa dal giudice ed il prevalente interesse di sopravviven-za del nuovo nucleo rispetto a quello originario”61.A conclusione, deve aggiungersi che il verificarsi delle quattro cause estintive del diritto di godi-mento non comporta mai la caducazione automatica del provvedimento di assegnazione, ritenen-dosi necessario un provvedimento giudiziale di revoca ai sensi dell’art. 155 ter c.c.62. La necessitàdi quest’ultimo provvedimento – che avrebbe secondo una ricostruzione63 lo scopo di dichiararel’estinzione del diritto e revocare l’assegnazione – è desumibile dal sistema pubblicitario previstodalla quarta parte del comma 1° dell’art. 155 quater, dove è stabilito che sia il provvedimento diassegnazione sia quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi mediante trascrizione. Lacessazione del vincolo gravante sul bene sarà opponibile ai terzi mediante annotazione, ex art.2655 c.c., del provvedimento di revoca dell’assegnazione64.

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57 Paladini, Le nuove cause di estinzione dell’assegnazione della casa familiare al vaglio del giudice delle leggi, in Fam. e dir.,2007, 839 ss.; Padalino, op. cit., 154 ss.58 Cass., 17.12.2007, n. 26574, in Fam. e dir., 2008, 299.59 Cass., 9.9.2002, n. 13065.60 Di “gruppo familiare residuo” ragiona Cass., sez. un., 26.7.2002, n. 11096, in Foro it., 2003, I, 183.61 Cass., 17.7.1997, n. 6559, in Dir. fam. e pers., 1998, 52.62 Roma, sub art. 155 quater c.c., cit., p. 163 ss.; Quadri, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, cit.,1147; Cubeddu, op. cit., 198.63 Cubeddu, op. cit., 197 ss.64 Quadri, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, cit., 1147.

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2.3. L’opponibilità del provvedimento di assegnazione (e di revoca)

Ebbene, è proprio con riguardo all’opponibilità dell’assegnazione che il riformatore ha dato “il me-glio di sé”, in termini di sciatteria redazionale, superficialità nell’approccio al sistema della trascri-zione, bilanciamento degli interessi contrapposti. La soluzione adottata fa un balzo indietro di ven-t’anni, cancellando quel minuzioso lavorio giurisprudenziale che aveva ricostruito uno statuto uni-forme a divorzio e separazione raggiungendo un equilibrio tra ragioni proprietarie e interesse fa-miliare e della prole che oggi pare fondamentalmente riscritto. “Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sen-si dell’art. 2643”.Prima imprecisione o, meglio, oscurità: la trascrivibilità ai sensi dell’art. 2643 poco si comprende,poiché tale articolo non formula altro che un elenco di atti trascrivibili; si sarebbe dovuto, piutto-sto, menzionare nell’elenco il provvedimento di assegnazione e revoca della casa coniugale.Seconda imprecisione: l’opponibilità ai sensi dell’art. 2643 non significa nulla, poiché tale articolonon prevede gli effetti della trascrizione degli atti soggetti a trascrizione; tali effetti sono previsti dalsuccessivo art. 2644.Come può ricostruirsi “ortopedicamente” la disposizione? La tesi dottrinale più condivisibile inter-preta la lettera della legge nel senso che i provvedimenti di assegnazione e di revoca vanno tra-scritti, ai sensi dell’art. 155 quater, agli effetti dell’art. 2644 c.c.65. Ciò significa che quei provvedi-menti non sono opponibili ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sulla casa fami-liare in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione di quei provvedimenti. Allora, per effetto della novella, solo la trascrizione del provvedimento di assegnazione garantiscel’opponibilità ai terzi di quest’ultima (la dottrina maggioritaria è in questo senso66). Incolmabile èla distanza rispetto al sistema previgente che consentiva, tramite il rinvio all’art. 1599 c.c. contenu-to nell’art. 6, comma 6°, l. n. 898/70, l’opponibilità, al terzo acquirente, del provvedimento di as-segnazione entro il novennio dalla data del provvedimento, anche se non trascritto, e anche dopoi nove anni, se trascritto67. Non manca tuttavia una sia pure minoritaria tesi dottrinale68 che ritiene ancora vigente l’art. 6. com-ma 6°, l. n. 898/70 e, in conseguenza, il meccanismo di opponibilità fondato sull’art. 1599 c.c.Occorre, in particolare, distinguere il conflitto tra assegnatario e terzo acquirente dell’immobile dalconflitto tra assegnatario e terzo titolare di altro diritto incompatibile con quello dell’assegnatario(ad esempio diritto del conduttore in base ad un contratto ultranovennale). Nel primo caso, l’opponibilità è quella prevista dall’art. 1599, quindi opponibilità novennale in as-senza di trascrizione; nel secondo, opponibilità ai sensi dell’art. 2644, in base alla priorità della tra-scrizione.

2.4. Trascrivibilità dell’ordinanza presidenziale e del ricorso per separazione e divorzio

Un’altra questione che la novella non affronta è quella di quale sia il provvedimento trascrivibile:solo quello definitivo o anche quello provvisorio pronunziato dal presidente del Tribunale con laforma dell’ordinanza?Il quesito acquista una portata considerevole ove si ritenga, con l’orientamento maggioritario,l’inapplicabilità, a seguito dell’abrogazione tacita dell’art. 6, comma 6°, l. 898/70, del meccanismo

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FOCUS

65 Zaccaria, La nuova disciplina in materia di pubblicità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, in Studiumiuris, 2006, 258; Id., Opponibilità e durata dell’assegnazione della casa familiare, dalla riforma del diritto di famiglia alla nuovalegge sull’affidamento condiviso, in Fam., pers. e success., 2006, 775; Casaburi, op. cit., 57.66 Per riferimenti: Roma, sub art. 155 quater c.c., cit., 164 ss., ed amplius Ferrando, L’assegnazione della casa familiare, cit., 132 ss.67 Per la regola e la sua applicabilità anche alla separazione Cass., sez. un., 26.7.2002, n. 11096, anche in Fam. e dir., 2002, 461,con nota di Carbone.68 Paladini, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, cit., 334 ss.

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di opponibilità fondato sull’art. 1599 c.c. Se, infatti, in passato, anche il provvedimento presiden-ziale di assegnazione era opponibile, pur in assenza di trascrizione, per il semplice fatto di esse-re pronunciato e di avere data certa (v. art. 1599, comma 1°, c.c.), oggi può esserlo esclusivamen-te in forza di trascrizione. Ritenere intrascrivibile l’ordinanza presidenziale, perché non figura trai titoli per la trascrizione elencati dall’art. 2657 c.c., significa esporre l’assegnazione stessa, per tut-ta la pendenza del processo, alle manovre elusive del genitore proprietario dell’immobile. Si ritie-ne, allora, che l’ordinanza possa trascriversi o in forza dell’art. 2645 c.c.69, oppure in forza delladisposizione dell’art. 155 quater, che, ragionando solo di “provvedimento di assegnazione”, nondistingue tra provvedimento definitivo e provvedimento provvisorio, imponendo, comunque, latrascrizione70.Nulla ha previsto la novella circa la trascrivibilità dei ricorsi per separazione o divorzio contenen-ti la domanda di assegnazione. Come è noto, la trascrizione delle domande giudiziali ha un effet-to, per così dire, prenotativo dell’effetto proprio della sentenza, consentendo così di evitare chequest’ultimo sia vanificato da atti dispositivi (o, comunque, incompatibili) compiuti in pendenzadel giudizio. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la trascrizione dei ricorsi in parola va esclusa in conside-razione del principio di tassatività delle domande soggette a trascrizione indicate dagli artt. 2652 e265371. Lo stesso argomento è posto a base di una recente sentenza di merito72.Due isolate pronunce di merito, risalenti alla metà degli anni ’90, hanno, tuttavia, ammesso la tra-scrizione della domanda giudiziale di separazione, in forza di applicazione sistematica degli artt.2652 e 2653, riferiti all’art. 2643 c.c., come integrato dall’art. 6, comma 6°, della l. n. 898/1970, cheha previsto la trascrizione dell’assegnazione della casa familiare73. La motivazione dei provvedimen-ti afferma che la tutela introdotta con la sentenza della Corte costituzionale 27 luglio 1989, n. 454,che ha esteso alla separazione la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione, “deve essere ne-cessariamente estesa alla fase prodromica dell’introduzione del giudizio, ossia fin dal momento del-la proposizione della domanda di assegnazione già con il ricorso per separazione (...), al fine dievitare possibili elusioni della norma nelle more del giudizio, in forza dei principi desumibili dagliartt. 2652-2653 c.c. atteso che il riferimento agli atti soggetti a trascrizione di cui all’art. 2643 c.c.(norma che del resto non contempla solo diritti reali, ma anche situazioni meramente obbligatorie)deve essere inteso non alla lettera, ma in via di interpretazione sistematica, mediante opportuna in-tegrazione richiesta dall’incidenza della sentenza n. 454 del 1989 della Corte costituzionale quan-to al provvedimento di assegnazione dell’abitazione coniugale”. Aggiunge il Tribunale di Veneziache, “diversamente opinando, la lettura restrittiva della disciplina sulla trascrizione degli atti sug-gerita dall’ufficio resistente [la Conservatoria dei registri immobiliari] comporterebbe un’inammissi-bile lacuna dell’ordinamento, in totale contrasto con le esigenze di tutela del coniuge assegnatariogià evidenziate” dalla Consulta.È evidente che il Tribunale veneziano, volendo evitare di affermare l’esistenza di una lacuna cheprovocherebbe una declaratoria di incostituzionalità (evitabile, eventualmente, con un interventolegislativo), formula un’interpretazione contrastante con il principio di tassatività delle domandetrascrivibili, fondata sulla regola per cui “alla trascrivibilità di un provvedimento prevista dalla leg-ge deve sempre corrispondere la trascrivibilità della domanda volta ad ottenerlo”74.Va segnalato, peraltro, che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2652e 2653 c.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 29, 30 e 31 Cost., laddove non prevedono la trascrivibili-

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69 Gazzoni, La trascrizione immobiliare, I, Milano, 1998, 347 il quale precisa che la successiva sentenza andrà annotata a mar-gine della trascrizione e a sua volta autonomamente trascritta ex art. 2643, n. 14.70 Gragnani, La tutela del diritto all’assegnazione della casa familiare, in Fam., pers. e sucess., 2008, 322.71 Cass., 30.8.2004, n. 17391, in Foro it., 2005, I, 411; Cass., 21.10.1993, n. 10434, ivi, 1994, I, 1427.72 Trib. Pisa, 13.2.2008, in Famiglia e minori, n. 8, 91, con nota di La Marca.73 Trib. Venezia, 20.7.1993, in Giust. civ., 1994, I, 262; Trib. Milano, 26.4.1997, in Dir. fam. e pers., 1999, 669.74 Gragnani, op. cit., 324.

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tà nei registri immobiliari della domanda giudiziale di assegnazione del diritto di abitazione. La que-stione è stata, purtroppo, dichiarata manifestamente inammissibile per l’inesattezza della sua for-mulazione nell’ordinanza di rimessione75.L’esigenza di tutela, pendente iudicio, del potenziale assegnatario della casa familiare è rimasta in-variata pur dopo la novella del 2006. Resta da verificare se l’art. 155 quater consenta oggi, laddo-ve ragiona, sia pure scorrettamente, di “provvedimenti (...) trascrivibili ed opponibili a terzi ai sen-si dell’art. 2643”, la trascrivibilità delle domande di separazione e divorzio.In effetti, proprio da tale scadente formulazione dell’articolo codicistico, una tesi dottrinale76 ha trat-to uno spunto positivo, che giunge al risultato della trascrivibilità della domanda evitando la discu-tibile applicazione analogica delle disposizioni dell’art. 2652 e rispettando il principio di tassativitàad essi sotteso. L’espresso richiamo all’art. 2643 c.c. operato dall’art. 155 quater varrebbe, secondoquesta tesi, ad “integrare automaticamente” quell’articolo con un ulteriore previsione, quella del-l’assegnazione della casa familiare. Da ciò conseguirebbe, “per ragioni di completezza”, l’automa-tica integrazione anche degli artt. 2652 e 2653 c.c.

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FOCUS

75 Corte cost., ord., 27.4.2007, n. 142.76 Gragnani, op. cit., 324 ss.

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1. Situazione attuale

Siamo qui perché vogliamo tentare di dare una risposta alla prima domanda che il cliente vi pone:“Avvocato quanto devo pagare?... Avvocato quanto mi spetta per legge?”.Spesso non si sa cosa dire e allora non resta che chiederlo al giudice, pur sapendo che molto proba-bilmente neppure lui ci darà la risposta “esatta” perché quasi mai lo mettiamo in grado di conoscerei redditi effettivi del coniuge obbligato al mantenimento e i bisogni del coniuge debole e dei figli. Fino a non molto tempo fa, le cause di famiglia erano la Cenerentola delle liti giudiziarie per lascarsa attenzione che veniva loro riservata; i figli nella maggior parte dei casi, per tradizione e perconvinzione degli psicologi infantili, restavano affidati alla madre, il più delle volte casalinga e conpoca possibilità di far valere i diritti suoi e dei figli in un lungo e costoso processo; a carico delpadre era posto un assegno di mantenimento liquidato “a sentimento”, spesso in un importo chepuò definirsi “penoso”, del tutto inadeguato a conservare ai soggetti deboli, seppure lontanamen-te, il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, e qualche volta insuffi-ciente persino a soddisfare le minime esigenze di vita.Lo scenario sociale, culturale ed economico è cambiato e i problemi della famiglia in crisi si sonofatti più complessi, tanto più in questo momento di grave crisi economica e di “impoverimento”generalizzato.E così anche la gestione delle cause di separazione e di divorzio è diventata più complessa e sem-pre più grande è il disagio di chi è impegnato nel tentativo di comporre il conflitto.Da qualche tempo è salito alla “ribalta” il problema, certamente sussistente e da affrontare con lagiusta ottica, dell’impoverimento dei padri separati: occupa numerose trasmissioni televisive e ra-diofoniche e intere pagine di importanti giornali nazionali; è oggetto di convegni, di numerose ecostose indagini di tipo statistico2.Mi piacerebbe però che si evitasse di parlare della famiglia separata in termini di “guerra di genere”.I problemi, anche economici, riguardano entrambi “i poveri coniugi” e i figli. Non bisogna dimenticare decenni di “silente povertà” delle madri separate con figli a carico, oggettodi sporadici studi di “nicchia” da parte di qualche sociologo o di qualche docente di diritto della fa-miglia, riportati in testi destinati ad un numero limitato di persone, e per il resto pressoché ignorata.Bisogna perciò cambiare il modo di affrontare il problema e assicurare la giusta tutela a chi si tro-va nella situazione di maggiore debolezza, senza trattamenti diversi a seconda del genere.

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1 Intervento tenuto al Convegno I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli, organizzato da AIAF Lombardia,Milano, 14 novembre 2008.2 Vedi da ultimo gli articoli pubblicati in “La Repubblica”, venerdì 31.10.2008, pp. 41-43 “Poveri padri (separati)”, “Se papà nonarriva a fine mese”, “Perdita d’immagine che ricade sui figli”.

CRITERI DI QUANTIFICAZIONE DEGLI ASSEGNI DI MANTENIMENTO.I FOGLI DI CALCOLO 1

Fiorella ButtiglioneConsigliere della Corte d’Appello di Cagliari

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1.1. La disciplina legislativa non garantisce l’attuazione concreta dei diritti dei figli e del co-niuge debole riconosciuti in astratto

Nella fase patologica del matrimonio si hanno a disposizione le coordinate teoriche che dovrebbe-ro consentire di dividere “equamente” le risorse economiche realizzate dalla coppia durante la con-vivenza secondo la rispettiva capacità di lavoro professionale o casalingo, ma sappiamo tutti che,alla resa dei conti, chi dei due ha più soldi non ha piacere di dividerli con l’ex coniuge; cerca inogni modo di “nasconderli” e comincia ad essere “parsimonioso” anche con i propri figli3.Il legislatore dovrebbe più opportunamente fornire alla coppia “ancora innamorata” e ancora ani-mata da uno spirito di solidarietà e generosità, gli strumenti giuridici per regolamentare le sorti eco-nomiche di quel che resterà della famiglia dopo la separazione; dovrebbe dare ai coniugi la pos-sibilità di stipulare dei patti prematrimoniali consentendo di modulare il regime dei loro rapportieconomici autonomamente, adattandolo alle loro particolari necessità. I coniugi sin dall’inizio decidono cosa sarà del loro futuro economico dopo la separazione (chemai possa succedere! ma se succede...); impostano la soluzione del problema su basi di chiarezzae di lealtà e, accantonato l’accordo, continuano serenamente il loro rapporto d’amore.Non c’è dubbio che “prevenire” sia meglio che “bisticciare” e la scelta secca tra il regime della se-parazione dei beni e quello della comunione è inidonea a creare le condizioni per una pace fami-liare presente e futura: • se si sceglie il regime di separazione, come avviene nella maggior parte dei casi, la famiglia par-

te senza la condivisione dei beni ma con la sola condivisione degli obblighi e alla fine dell’amo-re al coniuge economicamente più debole, che a discapito della propria professionalità ha pro-fuso un impegno maggiore in termini di tempo e di fatica per la cura della famiglia, non rima-ne altro che l’aspettativa di un assegno di mantenimento “adeguato”. E siccome i coniugi nonconcordano mai sull’importo dell’assegno necessario per mantenere lo stesso tenore di vita,quell’aspettativa si rivela spesso “vana” e diventa inevitabile il ricorso agli avvocati e al giudiceper cercare di comporre il conflitto;

• se si sceglie, invece, il regime della comunione dei beni, alla fine dell’amore il coniuge econo-micamente più forte, che è stato l’unico o il maggior produttore di reddito, si trova a dover di-videre i beni che sente solo “suoi” con chi ormai considera un nemico o nella migliore delleipotesi un estraneo.

La famiglia in cui prima tutto si condivide e alla fine tutto “giustamente” si divide il più delle vol-te resta un “sogno” del legislatore, perché nella “realtà” dei nostri processi si assiste, tuttora, alleingiustizie che, nella maggioranza dei casi, patiscono il coniuge economicamente più debole e i fi-gli, costretti a ridurre drasticamente il loro stile di vita passando “dalle ‘stelle’ del periodo della fa-miglia unita ‘alle stalle’ della convivenza con il genitore più debole economicamente”4. È vero che la maggior parte delle nostre cause riguarda famiglie che non nuotano certo nell’oro,ma il problema è quello di trovare la soluzione giusta per ogni tipo di famiglia, perché subire uningiustizia è doloroso per il povero ma anche per il ricco.

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FOCUS

3 Nell’articolo di Giovanni Parente “Figli affidati, assegni da 630 euro” ne “Il Sole 24 ore”, Lunedì 20 ottobre 2008 n. 290, 11,si legge : “... sul mantenimento si gioca un braccio di ferro particolare nella ‘guerra fredda’ che in gran parte dei casi caratteriz-za l’epilogo del matrimonio. «Da una parte ci sono i mariti che vogliono pagare il meno possibile, che cercano di dimostrare di es-sere meno ricchi di quello che appaiono – afferma Gassani. Dall’altra parte ci sono mogli e figli pronti a chiedere anche l’inter-vento della Guardia di Finanza per stanare i redditi del marito-padre»”.4 Vedi articolo di Giovanni Parente “Figli affidati, assegni da 630 euro” cit.

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1.2. Il processo non riesce a dare una risposta veloce

In un contesto di cronica carenza di mezzi e risorse umane, il processo è al collasso.Neppure nelle cause di famiglia, che certamente necessiterebbero di una pronta soluzione, è pos-sibile intervenire con la celerità necessaria.Il risultato alla fine è spesso deludente:• per le famiglie della fascia socio-economica medio-alta, difficilmente si riesce ad accertare i reali

redditi (indagini tributarie e bancarie spesso si rivelano inutili5) e quasi mai gli assegni riescono agarantire il soddisfacimento dei bisogni dei soggetti deboli secondo il pregresso stile di vita;

• per la famiglie della fascia socio-economica medio-bassa, gli assegni liquidati di volta in volta“a sentimento”, senza un criterio di calcolo predefinito, spesso risultano inadeguati a soddisfa-re anche le minime esigenze di vita.

In ogni caso, nella liquidazione degli assegni si assiste a grandi disparità di trattamento da Tribu-nale a Tribunale e a volte nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario, che sono indubbiamente daevitare. Ricordo che dall’indagine condotta dalla ANM nel 2002 in oltre 50 Tribunali d’Italia, risultò che peril figlio venivano liquidati assegni da 50 a 400 euro.La domanda formulata nel questionario era la seguente:“Se nell’impossibilità di determinare i redditi in fase presidenziale si opera una determinazione mi-nima dell’assegno per il mantenimento dei figli o come contributo per il mantenimento prima dirinviare innanzi al g.i. a quanto ammonta l’importo?”.Le risposte furono le più diverse:• minimo 50 euro per figlio• 100 euro: 2• 125 euro per un figlio • 100-150 euro • 125-150 euro per ciascun figlio• 150 euro: 2 • 175 euro: 3• 200 euro: 9• 225 euro • 200 euro per un figlio e 300-350 per due• ogni caso va valutato singolarmente• da 250 a 400 euro • a seconda dei redditi: 6• 1/3 del reddito6. Né la situazione è cambiata per effetto della riforma del 2006.Il legislatore con la legge 8.2.2006 n. 54 è intervenuto nella materia della famiglia e, nell’ambitodella nuova regolamentazione dell’affidamento condiviso, ha elencato 5 parametri di riferimentoper la liquidazione degli assegni in favore dei figli. Tutto è rimasto invariato per il coniuge debole.Non è il luogo per commentare l’efficacia della nuova disciplina; sono state espresse fondate per-plessità sull’efficacia delle nuove norme a garantire ai figli la serena presenza di entrambi i genito-ri nella loro vita e la conservazione dello stesso tenore di vita, riducendo il conflitto tra i coniugi.Quel che è certo è che i nuovi criteri di quantificazione degli assegni, così puntualmente indicati

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5 Per sperare in indagini più utili è necessario che le richieste dei difensori siano formulate in maniera più puntuale. 6 Cfr. atti del convegno Viaggio nei giudizi di separazione e divorzio. Come attuare un processo ragionevole, organizzato dallaANM a Roma il 3 giugno 2003, in cui vennero discussi tutti i problemi di carattere sostanziale e processuale messi in luce daun’approfondita indagine nei Tribunali di tutta Italia. E sullo specifico punto anche la relazione di Buttiglione “Provvedimenti dinatura patrimoniale”.

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nell’art. 155 comma 4, c.c., non hanno aiutato più di tanto i giudici a liquidare l’assegno di mante-nimento in misura “obiettivamente” più “giusta” in relazione al singolo caso concreto, sicché per-mangono quelle disparità nella liquidazione degli assegni denunciate nel corso degli ultimi anni nel-l’ambito di più sedi7.

1.3. La mediazione familiare, nei fatti, non costituisce ancora un valido rimedio alternativoal processo per la composizione del conflitto familiare

Si verifica così che i coniugi e i figli vengono trascinati nel vortice del processo per tanti anni, illoro disagio si amplifica, chi ha pochi soldi diventa più povero perché deve anche anticipare lespese della lite, e alla fine, forse, arriverà un assegno liquidato sulla base della situazione econo-mica più recente.Per il passato, come si dice a Napoli, “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha da-to, scurdammoce ‘o passato...” e, infatti, raramente si valuta l’evoluzione della situazione intervenu-ta medio tempore, perché ricostruire i mutamenti nelle disponibilità economiche dei coniugi e nel-le esigenze dei figli nel corso dei lunghi anni di causa diventa una opera ciclopica, che nessunose la sente di affrontare, oltre tutto avendo a disposizione dati il più delle volte incompleti.

2. Che fare? Rendere più prevedibile la risposta del giudice e più adeguati gli assegni

Bisogna però riconoscere che da qualche tempo, dopo avere preso atto delle prassi seguite nei pro-cedimenti di separazione e di divorzio e delle ragioni di un processo che certamente non funziona-va al meglio8, ANM, CSM e un numero sempre maggiore di giudici si stanno adoperando per cer-care di dare una soluzione ai vari problemi di carattere organizzativo, processuale e sostanziale.In particolare, si sta tentando di individuare dei criteri di liquidazione degli assegni di mantenimen-to che rendano più prevedibile la risposta del giudice, quantomeno per alcune tipologie “normali”di situazioni familiari, in modo tale da evitare ai poveri coniugi un’interminabile e antieconomicaodissea processuale e ai figli i traumi psicologici causati dalla “guerra fredda” tra i loro genitori.Criteri di quantificazione che rendano gli assegni liquidati più adeguati alle disponibilità dell’one-rato e alle necessità degli aventi diritto, realizzando l’obiettivo voluto dal legislatore di assicurareai nuclei familiari che si generano dalla separazione e dalla disgregazione dell’originaria famiglia,un medesimo tenore di vita: soffrendo tutti alla stessa maniera per la sopravvenuta “povertà” o go-dendo in pari misura della “ricchezza” sopravvissuta alla famiglia separata.Certamente è illusorio il tentativo di individuare dei criteri oggettivi valevoli per i casi più diversi,giacché ogni famiglia ha una propria storia, presenta un particolare intreccio di legami sentimen-tali ed economici e delle variabili che sfuggono ad essere ingabbiate tutte in tabelle e conteggi pre-stabiliti.

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FOCUS

7 Nell’articolo “È il momento dei tribunali specializzati” di Annanaria Bernardini de Pace e Alessandro Simeone, in “Il Sole 24ore”, lunedì 20 ottobre 2008 n. 290, 11, ci si lamenta del fatto che: “... molti Giudici riducono il criteri dell’art. 155 del Codice Ci-vile a mere clausole di stile, le disattendono come fanno anche per altri principi, alla fine l’ammontare dell’assegno finisce per es-sere l’espressione delle convinzioni del magistrato, invece che l’applicazione della legge”. Personalmente ho sempre ritenuto che èvero che c’è il rischio che il giudice sovrapponga, anche inconsapevolmente, la propria visione della vita e della gestione dei rap-porti familiari alla ratio legis delle norme in materia, ma onestamente occorre anche riconoscere che non è facile tradurre in unimporto monetario concreto i concetti astratti di “tenore di vita goduto dal figlio” o di “valenza economica dei compiti domesticie di cura assunti da ciascun genitore” tanto più se manca ogni dimostrazione di quanto costava il figlio quando la famiglia eraunita.8 Cfr. atti del convegno Viaggio nei giudizi di separazione e divorzio. Come attuare un processo ragionevole, organizzato dal-l’ANM, Roma, 3 giugno 2003.

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Tuttavia, l’esigenza di individuare un criterio base che possa essere utilizzato, sia pure limitatamen-te ad alcune tipologie di famiglie con situazioni economiche meno complesse, è sentita molto for-te da tutti gli operatori del diritto: avvocati, giudici e anche dagli stessi coniugi.Il coniuge obbligato al mantenimento vorrebbe sapere in anticipo quanti soldi “rischia” di pagareper i figli e per il coniuge economicamente più debole se dovesse decidere di separarsi; questi ul-timi hanno necessità di “disporre subito”, e non all’esito del lungo processo, di quanto necessarioper le loro normali necessità di vita.La questione si è fatta più complessa rispetto al passato, perché adesso bisogna valutare quanto“valgono” economicamente i “compiti domestici e di cura dei figli” al fine di ridurre l’importo del-l’assegno perequativo che il genitore economicamente più forte dovesse versare all’altro genitorepresso il quale risiedono prevalentemente i figli, in caso di affido condiviso. Compiti di cura cheprima venivano svolti solo dalla madre affidataria esclusiva; che avevano uguale valenza economi-ca e che, tuttavia, ben poco venivano considerati al momento di liquidare l’assegno di manteni-mento a carico del padre.Ma questo della quantificazione monetaria dei compiti di cura è un problema nel problema, e dinon scarso rilievo, come è comprensibile se solo si considera la varietà dei compiti domestici e dicura e la diversissima incidenza in termini di costi o di mancati guadagni per chi se li assume. Nonostante ciò, sono sempre convinta dell’utilità dell’individuazione di criteri che consentano unaliquidazione più obiettiva degli assegni e rendano più prevedibili le risposte del giudice.Deve essere chiaro, però, che qualunque sia il criterio di calcolo, occorrerà sempre personalizzareil risultato in considerazione delle specificità del caso esaminato.

3. Necessità di accertare di quanti soldi dispone la famiglia separata, ricostruire il bilancio familiare,trovare un criterio per dividere i soldi tra i vari componenti: la statistica non c’entra

Prima di cercare un criterio di quantificazione degli assegni è necessario chiarire alcuni presuppo-sti da cui non si può prescindere.È pacifico che l’assegno di mantenimento deve consentire ai figli e al coniuge debole di mantene-re inalterato, per quanto possibile, lo stesso tenore di vita di cui godeva la famiglia unita.Non mi stanco di ripetere che il concetto di assicurare lo stesso tenore di vita è in fondo un con-cetto molto semplice, perché in concreto significa assicurare a ciascuno dei componenti di quellaspecifica famiglia presa in considerazione, la stessa capacità di spesa che aveva prima, ovvero as-sicurargli la quantità di danaro necessaria per fare le stesse cose, per continuare a condurre lo stes-so stile di vita precedente alla separazione. È ovvio che ciò presuppone che le risorse economichelo consentano; ma, in caso contrario, come ho già detto, l’impoverimento deve riguardare tutti al-la stessa maniera. Per tradurre il tenore di vita nel suo equivalente monetario, le strade sono due:1. si accertano le ENTRATE in senso ampio della famiglia, dalle quali può implicitamente desu-

mersi il tenore di vita;2. si accertano le USCITE, cioè i soldi che venivano concretamente spesi per le necessità familiari.Compito del giudice è quello di conservare ai figli e al coniuge debole una capacità di spesa ana-loga a quella goduta in precedenza e, comunque, analoga a quella che può ancora permettersi ilconiuge economicamente più forte.Onere della parte e del suo avvocato è quello di fornire gli elementi di prova utili per accertare qua-li fossero le ENTRATE e quali le USCITE.In sostanza, occorre ricostruire il BILANCIO dell’azienda famiglia.In questa operazione sarà necessario, per accertare le entrate e le spese, il ricorso a nozioni dellascienza tributaria e della scienza economica, ma poco potrà soccorrere la cosiddetta scienza stati-stica perché qui non si tratta di stabilire quanto consuma in media la famiglia italiana, ma si tratta

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di accertare di quanto ha bisogno e quanto consuma ogni singolo componente di quella specificafamiglia.D’altronde, per la scienza statistica è indifferente che il pollo lo abbia mangiato io e che il mio co-niuge sia rimasto a digiuno, perché le esigenze della statistica sono quelle di stabilire il consumomedio alimentare nel caso in cui vi sia a disposizione solo un pollo e siano due i soggetti che de-vono mangiare. Il compito del giudice è, invece, quello di assicurare che ciascuno dei coniugi man-gi effettivamente il mezzo pollo.

4. Accertamento dei redditi ed evasione fiscale

Il problema dell’accertamento dei redditi deve fare anche i conti con la diffusa tendenza all’evasio-ne fiscale o alla cosiddetta elusione legittima di cui soffre il nostro Paese.La scorsa estate, tra luglio e agosto, la Guardia di Finanza ha fatto 3.000 controlli tra i natanti or-meggiati nei vari porti d’Italia: • c’era l’imprenditore che dichiarava € 800,00 lordi al mese e pagava una rata di € 4.000,00 al me-

se per il leasing del suo 14 metri nuovo di zecca;• al molo di via Caracciolo, a Napoli, era ormeggiato un 12 metri di un dipendente dell’ospeda-

le che percepiva solo € 1.300,00 di stipendio;.• c’era pure la casalinga, nulla facente e nulla tenente, a parte una barca di 14 metri;• c’era l’avvocato di Napoli che dichiarava € 150,00 di reddito netto all’anno ma che pagava €

3.000,00 di rata mensile per il leasing della barca.Strumenti giuridici del tutto legali: leasing, società di charter, intestazioni fittizie, sono alcuni degli in-numerevoli sistemi per apparire poveri e non pagare le tasse.Con le barche intestate a società di charter non solo il bene non risulta del vero proprietario, ma que-sti risparmia anche sul gasolio.A Chiavari la Guardia di Finanza ha scoperto:• un 42 metri che in pochi mesi ha evaso imposte per € 100.000,00 consumando 142.000 litri di

gasolio;• un ex ambasciatore americano, che bazzica ancora dalle nostre parti, che ha basato in Gran Bre-

tagna la società di charter formalmente proprietaria del suo 35 metri e in pochi anni ha rispar-miato, per le accise sul carburante e le imposte, 2 milioni di euro;.

• il ristoratore di Mogliano che dichiara € 0 di reddito e compra un cabinato da € 130.000;• l’ingegnere che dichiara € 7.000,00 lordi per anno e compra una barca per € 160.000,00, due

BMW e un’Alfa Romeo per € 200.000,00, che si aggiungono ai suoi 45 immobili tra cui unasplendida villa in Veneto.

Dei 37 evasori accertati, il 47% sono proprietari di Porsche:• una cinquantenne senza redditi compra una Porsche 911 coupé per € 112.000,00;• una trentenne, che non dichiara nulla, compra una Porsche Carrera coupé per € 109.000,00;• il titolare di una vetreria, che dichiara appena € 10.000,00 all’anno, compra una Porsche Carre-

ra cabrio per € 115.000,00. Infine, c’è un grossista della provincia di Napoli che dichiara un reddito imponibile di € 33.000,00e sfreccia su un cabinato di 15 metri per il quale paga € 1.500,00 al mese il leasing9.

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FOCUS

9 Dati tratti dall’articolo “Evasori in alto mare”, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 4.9.2008.

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4.1. Il signor AA di Firenze

Anche il signor AA di Firenze, secondo quanto accertato nella nota sentenza di separazione pro-nunciata dal Tribunale di Firenze10, nella quale si è fatto ricorso ad un programma di calcolo perla quantificazione degli assegni di mantenimento conosciuto come software Mo.Cam., presentatoin più sedi, nel 2004 disporrebbe di un reddito di circa € 39.000 all’anno, ovvero € 3.250,00 al me-se, e nello stesso anno compra una Porsche Cayenne 4.5. turbo e paga una rata di leasing di €3.000,00 all’anno.Si tratta di un caso concreto che ben può rappresentare la notoria difficoltà di accertare, nelle cau-se di separazione e di divorzio, quale sia la complessiva situazione economica dei coniugi, le lororeali disponibilità reddituali, patrimoniali e finanziarie.Nei nostri processi, spesso e con buona pace del dovere di collaborazione e di lealtà sancito dal-l’art. 5 della l. div.11, al giudice, e forse anche all’avvocato, non si dice tutta la verità. La diffusa pratica della evasione fiscale ed il frequente ricorso ai numerosi strumenti giuridici attra-verso i quali è possibile interrompere il nesso apparente tra beni e titolarità degli stessi, sono unostacolo sulla via della prova dei redditi, che il più delle volte si rivela insormontabile nonostanteil ricorso ad accertamenti tributari, bancari eccetera, sicché alla fine il giudice non riesce a saperedi quanto veramente dispone il coniuge più ricco.

4.2. Il coniuge ricco si impoverisce. Il coniuge debole e i figli passano dalle stelle alle stalle

I sociologi hanno rilevato che nella maggior parte dei casi il coniuge economicamente più forte,man mano che la coppia entra in crisi e matura l’idea della separazione, fa di tutto per apparirepiù povero, e che, d’altra parte, le donne separate con figli minori mediamente spendono per que-sti ultimi tre volte di più di quanto spende il marito; le donne separate, secondo gli studi in mate-ria, “oltre a dover far quadrare il bilancio familiare con assegni di mantenimento spesso inadegua-ti, devono fare i conti con la necessità di riorganizzare i tempi e l’intensità dell’impegno lavorativoin funzione di quello domestico e di cura”, alla fine impoverendosi notevolmente12.Anche il signor AA di Firenze, che in media dichiarava circa € 57/58.000,00 all’anno, durante gli ul-timi anni della convivenza familiare, dopo l’esplosione della crisi matrimoniale, ha dichiarato unreddito di circa € 39.000,00 eppure, nello stesso anno, come abbiamo visto, ha comprato beni al-tamente voluttuari, con un impegno per il pagamento delle rate di leasing.Non è stato accertato in causa, come pure aveva dedotto, che avesse licenziato quattro dipenden-ti a causa di una contrazione della sua attività per perdita clientela e con conseguente riduzionedei redditi; lo stesso consulente tecnico nominato dal giudice nella causa di separazione aveva da-to atto che risultava dalla dichiarazione fiscale una riduzione del reddito ma che non era affattochiaro se fosse dipesa dalla “asserita” riduzione della clientela, ovvero dalla “indicata” maggioreincidenza dei costi del lavoro. Lo stesso consulente aveva anche chiarito che, in tale ultimo caso,la maggiore incidenza dei costi del lavoro avrebbe potuto essere interpretata come indizio dell’oc-cultamento di ricavi, per cui si sarebbe potuto ipotizzare, al contrario, la concreta sussistenza dimaggiori ricavi e conseguentemente di maggiori redditi.

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10 Trib. di Firenze, 3 ottobre 2007 - Pres. Aloisio - Rel. Governatori, in Famiglia e Diritto, 1/2008, 39-52.11 Art. 5 l. n. 898/70: “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiara-zione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune”.12 Sul punto molto interessante l’indagine sociologica condotta in Italia sulle donne separate da Chiara Saraceno e Marzio Bar-bagli e riportata nel bel libro Separarsi in Italia, Bologna, 1998.

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4.3. Il tenore di vita della famiglia di Firenze

Comunque, è utile evidenziare che sino a pochi mesi prima della separazione la famiglia di Firen-ze, composta di tre persone, con circa € 57/58.000,00 annui dichiarati (pari a circa € 4.800,00 almese) si consentiva di vivere: • in una casa di mq. 240 nel centro storico di Firenze, arredata con mobili e arredi di pregio;• utilizzava i servizi di una collaboratrice domestica a tempo pieno, che spesso serviva la cena in

guanti bianchi e alla quale veniva dato uno stipendio di L. 700.000 al mese (ai quali aggiunge-re i contributi Inps, la tredicesima mensilità e annualmente anche la quota di TFR);

• era solita frequentare ristoranti e alberghi di lusso anche a cinque stelle, viaggiando con set divaligie Vuitton, Prada e Ferragamo;

• disponeva di auto prestigiose;• consentiva alla figlia di praticare sport costosi (equitazione, danza, sci, tennis) e di frequentare

scuole private;• si recava in vacanza in rinomate località di turismo invernale ed estivo (Londra, Disneyland,

Santorini, Irlanda, Stati Uniti...) e affittava per l’intero anno una casa di vacanza a Courmayeur(per un canone annuo di L. 20.000.000 nel 2000).

A giudizio dello stesso marito la famiglia aveva un OTTIMO tenore di vita; secondo la moglie si trattava di un tenore di vita ALTO, ELEVATO;secondo il Tribunale, nella sentenza citata, di un tenore di vita CERTAMENTE AGIATO.

5. Valorizzazione delle presunzioni. Redditometro

Tenuto conto della notoria scarsa tendenza a dichiarare al fisco i propri redditi effettivi, si dovreb-be fare un maggiore uso delle presunzioni per ritenere provata la sussistenza di redditi maggioridi quelli dichiarati.D’altronde la legittimità del ricorso alle presunzioni è stata ora formalizzata anche in sede tributaria.Con la “manovra di luglio 2008”, l’Agenzia delle Entrate ha rilanciato l’istituto del REDDITOMETROche è appunto uno strumento di accertamento dei redditi sulla base di INDICI e COEFFICIENTIpresuntivi che consente all’Amministrazione finanziaria di verificare se “un certo livello di spesa etenore di vita sia compatibile con i redditi dichiarati da soggetti persone fisiche”13.Livello di spesa e tenore di vita desunti da indicatori quali: possesso di aeromobili, imbarcazioni,autoveicoli e altri mezzi di trasporto, residenze principali e secondarie, collaboratori familiari, assi-curazioni eccetera.L’Agenzia delle Entrate, sulla base della spesa, “costruisce il reddito” imputabile al contribuente-persona fisica al quale spetta l’onere di provare il contrario.La Cassazione ha confermato la legittimità del ricorso a presunzioni semplici per l’accertamento deiredditi anche di recente con le sentenze n. 20708/07, 16284/07 e 16348/08. Mi parrebbe che anche in una situazione quale quella del signor AA di Firenze, risultavano con cer-tezza numerosi elementi in base ai quali poter presumere che i redditi dichiarati ante separazioneforse non rispondevano del tutto alla realtà delle disponibilità economiche, perché con € 57/58.000,00all’anno, circa € 4.800,00 al mese, difficilmente 3 persone conducono quello stile di vita. Il signor AA di Firenze aveva la titolarità esclusiva della prima casa familiare, un “signorile” e “pre-gevole immobile” di mq. 130, oltre la proprietà esclusiva dell’immobile adibito a studio professio-nale; ed aveva acquistato, intestandone alla moglie il 50%, un’altra casa, adibita a nuova residenzadella famiglia, di mq. 240 e “di categoria A/1, con finiture di pregio e arredamento costoso”.

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FOCUS

13 Cfr. Tozzi, “Il rilancio del redditometro”. Per approfondimenti vedi la recente pubblicazione di Tozzi, Il redditometro e le in-dagini finanziarie, Sistemi editoriali, 2009 (ndr).

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Inoltre, andava considerato che il signor AA di Firenze aveva dei depositi bancari che, tuttavia, nonsono stati ritenuti una risorsa finanziaria da computare ai fini della liquidazione degli assegni dimantenimento (come non si è tenuto conto del valore intrinseco dello studio commerciale).Il ctu, infatti, ha considerato la provvista bancaria azzerata dall’importo capitale di un mutuo paria circa € 100.000,00 contratto dal signor AA di Firenze, anche se le somme depositate in banca nelcorso degli anni di riferimento (min. circa € 22.000,00 max. circa € 150.000,00) costituivano una ri-sorsa tutta disponibile nell’attualità, mentre il mutuo di € 100.000,00 andava restituito a rate nel cor-so degli anni a venire, per cui l’importo depositato in banca forse non si poteva ritenere tanquamnon esset.Pur senza entrare nello specifico dei singoli criteri adottati dal commercialista per individuare il red-dito effettivamente disponibile, anche solo le considerazioni più generali sopra richiamate, avreb-bero potuto far presumere che il dato di partenza dei redditi di cui disponeva il signor AA di Firen-

ze non poteva considerarsi un elemento certo e credibile. Il fatto di ancorare il calcolo per la liqui-dazione delle assegni a quel dato di partenza viziato, ha necessariamente viziato per ciò solo la bon-tà di ogni passaggio successivo.

6. Proposte: fogli di calcolo. In quali casi utilizzarli e con quali avvertenze

Dopo aver messo in chiaro la notevole difficoltà di accertare i redditi dei coniugi, dobbiamo por-ci il problema di stabilire come dividere i soldi.Va ribadito che nella ricerca di un criterio di quantificazione degli assegni di mantenimento, il prin-cipio cardine da tenere sempre a mente è quello secondo cui, dopo la separazione, le risorse del-la famiglia si dividono in funzione della conservazione a ciascuno, ove possibile, del precedentetenore di vita (come detto: si divide la ricchezza se c’è ancora, nel rispetto anche del principio del-la parità tra i coniugi e del diritto dei figli a conservare lo stesso tenore di vita, altrimenti si dividela maggiore povertà che consegue alla separazione).Ritengo, inoltre, che in questo tentativo di elaborare programmi di calcolo da utilizzare per la li-quidazione degli assegni di mantenimento bisogna:a) rinunciare in partenza alla speranza di un foglio di calcolo o un software magico che risolva i

problemi di tutte le più svariate categorie di famiglie; non è assolutamente concepibile pensa-re di elaborare tabelle del tipo di quelle riguardanti la liquidazione del danno biologico;

b) sarebbe sufficiente limitare l’obiettivo all’elaborazione di un foglio di calcolo che riguardi solole famiglie “normali”, i cui redditi si consumano quasi completamente per i fabbisogni quoti-diani. In tal caso, è chiaro che i redditi che non consentono grandi risparmi, non possono cheessere divisi in tante quote quanti sono i componenti della famiglia perché ciascuno abbiaquanto serve per vivere “normalmente”. Certamente bisognerà tenere conto da un lato deglioneri di produzione del reddito e dall’altro dei vantaggi derivanti dalle cosiddette economie discala. Entro questi limiti si può anche pensare a un foglio di calcolo per ripartire equamente ildanaro, tenendo sempre a mente che l’obiettivo è quello di assicurare a ciascuno il medesimotenore di vita;

c) per quanto riguarda, invece, le famiglie appartenenti alla fascia sociale medio-alta, nelle qualile risorse economiche sono eccedenti rispetto ai consumi, sicché restano margini più o menoampi di risparmio, mi sembra che si possa rinunciare, per ora, a pensare ad un programma dicalcolo. È evidente la difficoltà di stabilire astrattamente e in via generale quale fosse la quotadi reddito destinata al risparmio in quella specifica famiglia e comunque bisognerebbe primachiarire se e in quale percentuale andrebbe divisa tra i vari componenti la famiglia divisa.In tali casi, mi sembra più proficuo concentrarsi sull’accertamento e sulla quantificazione dellespese che in concreto si affrontavano per assicurare a ciascun nuovo nucleo familiare analogacapacità di spesa, liquidando tuttavia un assegno che consenta ai beneficiari anche di accanto-

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nare, come si faceva prima, delle somme in vista di impreviste necessità future; d) ugualmente non ritengo utile il ricorso ad un qualche programma di calcolo quando, pur in pre-

senza di famiglie ricomprese nella fascia di reddito bassa, siano presenti molte variabili di cuisi deve necessariamente tenere conto.

Ribadisco, ancora, che occorrerà sempre che “a monte” sia accertato il reddito effettivo di cui di-spongono i due coniugi; e che “a valle” il giudice verifichi ed eventualmente adatti il risultato alleconcrete necessità di spesa del nuclei familiari originatisi dalla separazione.In ogni caso, il presupposto imprescindibile perché si possano affidare le aspettative di tutela deisoggetti deboli della famiglia ad un foglio di calcolo, pur entro i limiti suddetti, è che lo stesso diauna affidabile garanzia di un risultato “giusto”.In caso contrario, si rischiano effetti ancor più gravi di quelli causati dalla liquidazione degli asse-gni “a sentimento”, perché nel “buon sentimento” del giudice si può anche sperare, mentre dallamacchina “cattiva” si avrà sempre e solo la stessa risposta “cattiva”, senza speranza alcuna di un ri-sultato diverso e migliore.Ciò significa che la bontà di qualunque foglio di calcolo non la si può verificare a posteriori sullespalle dei poveri figli e del coniuge debole.Non si può farne prima applicazione nei vari processi per poi vedere se è andato più o meno bene. Sarà, dunque, necessario controllare prima la correttezza dei risultati testando il programma su uncampione significativo di cause già decise e di assegni già liquidati, per verificare la rispondenza delrisultato ottenuto con gli assegni mediamente liquidati dai giudici.

7. Software Mo.Cam. e statistica nella sentenza del Tribunale di Firenze

La già richiamata sentenza del Tribunale di Firenze ci dà l’opportunità di verificare l’utilizzo delsoftware Mo.Cam. e la sua efficacia in relazione alla liquidazione degli assegni di mantenimento.

7.1. Incarico al consulente tecnico statistico

Abbiamo visto sommariamente come sono state accertate le “ENTRATE” e in generale le “disponi-bilità economiche” della famiglia di Firenze con l’ausilio del ctu dottore commercialista.Successivamente, si è fatto ricorso alle cognizioni di un “tecnico statistico” al fine di:a. accertare le “USCITE”, individuando il “presumibile livello di spesa della famiglia antecedente al-

la separazione... ed il conseguente tenore di vita del nucleo familiare in costanza di conviven-za dei coniugi”; nucleo composto da tre persone: il Signor AA, la Signora BB e la comune fi-glia X;

b. individuare l’importo del trasferimento di danaro dal coniuge economicamente più forte (mari-to AA) a quello debole (moglie BB) e alla figlia X, necessario per assicurare ai due distinti nu-clei (padre+figlia/madre+figlia) un tenore di vita analogo tra loro, “ripartendo l’assegno per ca-

tegorie di spesa, individuando sulla base di opportune indagini statistiche, la ripartizione del-

l’assegno fra voci di spesa”.Vorrei ricordare che l’obiettivo da raggiungere nel processo era quello di fare in modo che i sog-getti deboli avessero la “PROVVISTA” necessaria per acquistare i beni di consumo, per godere del-l’utilità e conservare lo stile di vita proprio della famiglia di Firenze all’epoca della convivenza e,in definitiva, di realizzare un equilibrio economico tra i due nuclei familiari.Il tecnico statistico ha stabilito che la famiglia di Firenze affrontava 12 categorie di spesa presun-te secondo la stima statistica e non con riferimento alla realtà di quella famiglia.Quindi, sembra che abbia poi stimato, sempre in via presuntiva, i costi che i due nuclei formatisia seguito della separazione dovrebbero affrontare, avendo come punto di riferimento una “presun-

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FOCUS

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ta” spesa per le necessità abitative della famiglia originaria, valutata in € 81.240,00 annui (pari al red-dito figurativo di locazione ritraibile dalle due case di proprietà).Si tratta, in particolare, delle spese indicate nel prospetto di seguito riportato:

7.2. Inattendibilità della ricostruzione delle spese su basi statistiche

Salta all’occhio evidente la singolarità dei dati indicati nella scheda: a titolo esemplificativo rilevoche il nucleo madre+figlia, mangia complessivamente meno, beve e si veste ancor meno eccetera,rispetto al nucleo padre+figlia.Anche le cifre riportate nella tabella relativa alla stima statistica delle spese della “famiglia origina-ria”, al netto dei redditi figurativi delle case di abitazione (€ 81.240,00), non sembrano corrispon-dere, nel loro complessivo importo (€ 27.000,00 circa) al reddito disponibile per il periodo ante se-parazione, indicato dal ctu commercialista in circa € 57/58.000,00 annui.Ma a parte questo, ciò che conta è che il risultato finale dell’utilizzo della scienza statistica e delsoftware Mo.Cam., che avrebbe dovuto realizzare l’obiettivo di consentire a ciascun componentedella famiglia di Firenze di mantenere lo stesso tenore di vita, ha portato, e pure con la correzio-ne in aumento del Tribunale, alla liquidazione di un assegno per la moglie di € 1.400,00 al mesee per la figlia di € 600,00 al mese.La somma onnicomprensiva di € 1.400,00 al mese dovrebbe assicurare alla signora BB di Firenze,alla quale peraltro non è stata riconosciuta alcuna capacità di produrre reddito, la possibilità di:• provvedere al proprio mantenimento in modo consono al pregresso stile di vita; • provvedere alla gestione e manutenzione della casa, approntandola anche nell’interesse della

figlia; • poter utilizzare se non una Porsche un’autovettura equivalente e comprare un set di valigie ana-

logo a quello a disposizione del marito; • fare le vacanze, e non solo quelle estive “gratis” a Forte dei Marmi in casa dei suoi genitori, ma

anche le vacanze invernali a Courmayeur, fare viaggi all’estero eccetera;• risparmiare qualcosa per le spese imprevedibili (in conseguenza di malattie, di un incidente

d’auto ecc. secondo quanto riconosciuto anche dal Tribunale);• e, infine, dovrebbe anche pagare il 20% delle spese extra per la figlia (l’80% è a carico del pa-

dre) il cui importo è prevedibilmente consistente.Con € 1.400,00 al mese dovrebbe essere più o meno parificato lo squilibrio tra le situazioni eco-nomiche dei due coniugi.

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Famiglia originaria Nucleo padre+figlia Nucleo madre+figlia

1. generi alimentari 5.036,00 4.234,00 2.179,00

2. bevande 834,00 787,00 268,00

3. vestiario 3.753,00 3.594,00 452,00

4. spese abitazione 81.240,00 30.000,00 51.240,00

5. combustibili ed energia 1.565,00 1.449,00 866,00

6. mobili e beni durevoli 1.605,00 1.677,00 264,00

7. servizi sanitari 1.387,00 1.352,00 220,00

8. trasporti 5.092,00 4.682,00 1.139,00

9. comunicazioni 698,00 625,00 287,00

10. istruzione 266,00 135,00 4,00

11. ricreazione 2.678,00 2.609,00 357,00

12. altri beni 4.821,00 5.078,00 853,00

TOTALE 108.975,00 56.222,00 58.130,00

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7.3. Illogicità del metodo di ricostruzione delle spese

Non entro nel merito della bontà dei dati sui quali è stato impostato il software Mo.Cam. utilizza-to nella causa decisa dal Tribunale di Firenze.Nel 2005 avevo discusso con coloro che lo hanno programmato, sollecitando una ulteriore rifles-sione sui princìpi giuridici da tenere in considerazione e sugli altri parametri di ordine matematicoed economico utilizzati, che apparivano poco convincenti. Sin da allora avevo avuto la sensazioneche il risultato non sarebbe stato congruo, che gli assegni liquidati con quel programma non avreb-bero consentito di ripartire equamente le risorse economiche tra i vari componenti della famigliadivisa.La vicenda della famiglia di Firenze ha dimostrato, a mio parere, che il software Mo.Cam., alme-no in quel caso, non ha funzionato:a) in pratica, è risultato chiaramente inefficace rispetto all’obiettivo che vuole raggiungere: assicu-

rare ai vari componenti della famiglia la stessa capacità di spesa;b) in teoria è illogico. Lo stesso tecnico statistico ha dovuto convenire che “le stime fornite possono delimitare un ambi-to in cui l’assegno alimentare è connotato da una significatività statistica, ovvero corrisponde ad

una media di comportamenti rilevati, ma che di fatto le peculiarità del caso in esame, tra cui nonultimo il rilievo dei redditi figurativi delle abitazioni disponibili, potrebbe attenuare la congruitàdell’ambito delineato”.Ma nel caso in esame, come già accennato, non sono stati rilevati i comportamenti concreti dellafamiglia di Firenze; in particolare la spesa di € 81.240,00 per necessità abitative non è mai esistitanella realtà dei comportamenti della famiglia prima della separazione e così, dopo la separazione,il signor AA non ha speso € 30.000,00 e la signora BB non ha speso € 51.240,00 per assicurarsi untetto sotto il quale abitare. I risultati cui è giunto il consulente non si basano sui reali comportamenti di spesa per necessitàabitative tenuti da quella famiglia, ma solo su un’idea astratta che sta nel mondo ideale dello stati-stico e non nella realtà e che, tuttavia, viene illogicamente posta sullo stesso piano delle spese chesi sostanziano in reali comportamenti di spesa per soddisfare le altre necessità di vita.A ben vedere, anche per le altre spese indicate nel prospetto non si tratta dei reali comportamentidella famiglia di Firenze ma di astratte categorie di spese, che forse quella famiglia non ha mai scel-to di affrontare tutte e, comunque, non necessariamente in quel rapporto proporzionale tra le stes-se. Inoltre, non è chiaro in quale voce di spesa dovrebbe rientrare, per esempio, il costo per la colfche si è accertato ammontare a L. 700.000 al mese per il solo stipendio, oltre 13a mensilità, contri-buti INPS, rateo TFR eccetera.È perciò evidente che la media dei comportamenti di spesa di astratte famiglie di riferimento e lasemplice significatività statistica di un certo risultato, sganciato dai comportamenti concreti della fa-miglia di Firenze, è del tutto inidonea al fine di accertare quale fosse il suo reale tenore di vita, chenon può affatto desumersi da ipotetici comportamenti di spesa che non le sono propri.Ribadisco che non mi sembra logico, comunque, mettere sullo stesso piano spese che effettivamen-te devono essere affrontate e che richiedono un esborso di danaro e spese che, invece, non ci so-no nella realtà dei comportamenti. Non si può mettere sostanzialmente nell’ATTIVO del bilancio del nucleo madre+figlia il reddito fi-gurativo che sarebbe in ipotesi ritraibile dall’affitto della casa familiare di mq. 240 rimasta nella lo-ro esclusiva disponibilità, come se non fosse abitata. L’assegnazione della casa familiare alla signora BB (peraltro anche di sua proprietà per il 50%) as-sume rilievo come un risparmio della spesa necessaria per soddisfare i bisogni di abitazione, co-me una MANCATA USCITA ma non può conteggiarsi come se si trattasse di un esborso di danaroeffettivamente da affrontare e affrontato. In tal caso nelle tasche della Signora BB dovrebbero es-serci € 4.270,00 al mese o € 51.240,00 all’anno.Tale somma (pari al presumibile valore locativo dell’immobile) non si spendeva neppure prima del-la separazione; mentre si spendevano i soldi che effettivamente entravano nelle casse della famiglia

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FOCUS

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e che erano concretamente nella disponibilità delle parti per il soddisfacimento delle altre esigen-ze di vita, diverse dall’abitazione. Quindi, al massimo, ove fosse stato ritenuto di una qualche utilità concreta, si sarebbe dovuto ac-certare come effettivamente erano spesi dalla famiglia di Firenze 57/58.000,00 euro a disposizio-ne prima della separazione e come andavano distribuiti i 54.000,00 euro disponibili dopo la sepa-razione.

7.4. Altre ipotesi da verificare con il software Mo.Cam.

La verifica della inutilizzabilità dell’illogico criterio di considerare come una spesa affrontata (e dun-que come un valore ATTIVO precedentemente a disposizione) il reddito figurativo ritraibile dagliimmobili, si ha ipotizzando che il coniuge economicamente più forte sia da un lato titolare esclu-sivo della ex casa familiare (rimasta a sua disposizione in mancanza di figli a carico), alla quale at-tribuire un reddito figurativo annuo di € 30.00,00, ovvero € 2.500,00 al mese; e dall’altro percepi-sca uno stipendio di € 1.000,00 al mese. Egli dovrebbe dare alla moglie, priva di ogni reddito, una quota rapportata alla disponibilità di €3.500,00 mensili, anche se in concreto ha solo € 1.000,00 perché, abitando nella ex casa familiarenon ritrae dalla stessa alcun reddito e dispone del solo stipendio?Sarebbe interessante verificare la soluzione a cui si arriva in tal caso con l’utilizzo del programmaMo.Cam.Si potrebbe anche verificare come risponde il foglio Mo.Cam. nell’ipotesi in cui alla signora BB,che convive con la figlia, sia assegnata la casa familiare – che avrebbe un valore locativo di € 51.240all’anno ovvero di € 4.270 mensili – e il signor AA abbia solo il reddito di circa € 54.000,00 annui,ovvero di € 4.500 al mese e, non disponendo di una casa per sé, debba pagare un canone di lo-cazione ad esempio di € 500,00 al mese.Detratto l’importo del canone, gli resterebbe la somma di € 4.000,00 mensili.Secondo la logica del foglio Mo.Cam. nessun assegno di mantenimento dovrebbe corrispondersi alnucleo madre+figlia giacché la casa dove abitano ha un astratto valore locativo di € 4.270,00 al me-se, superiore al reddito dell’altro coniuge. Lo stesso Tribunale di Firenze ha rilevato che l’intero valore locativo considerato come consumodella famiglia “altera la ripartizione delle varie categorie di consumi”. Condivido l’osservazione e sottolineo che, quando la ripartizione delle varie categorie di spesa nontiene conto delle reali risorse economiche a disposizione della famiglia, quella “alterazione” è unaconseguenza inevitabile. E in tal caso, la ricostruzione su basi statistiche diventa tanto più lontanadal vero quanto più è consistente il reddito “figurativo” preso in considerazione.Anche l’assegno di mantenimento calcolato sulla base del software Mo.Cam. era talmente poco ri-spondente alla realtà della famiglia di Firenze e così poco “adeguato” che si è reso necessario eindispensabile il ricorso a significativi correttivi, rimessi alla discrezionalità del giudice.

8. Fogli di calcolo elaborati da altri Tribunali

Si tratta di fogli di calcolo che si basano tutti sul medesimo concetto di base che è quello di divi-dere i redditi accertati in causa tra i nuclei familiari che si originano dalla separazione, facendo usodi una scala di equivalenza, che permette di rappresentare i minori oneri dovuti alle economie diconvivenza tra più componenti. Si ritiene, infatti, che “la divisione del reddito familiare semplice-mente per il numero di componenti non condurrebbe ad un risultato equo considerato che i costidi una famiglia non sono perfettamente proporzionali al numero di componenti”. Ogni foglio di calcolo ha delle particolarità proprie per cui i risultati dell’applicazione di ciascuno

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non sono del tutto omogenei; la stessa scelta di una scala di equivalenza piuttosto che di un’altramodifica il risultato finale.Indubbiamente si tratta di una strada da percorrere (ricordando però il famoso monito: adelante...con juicio) perché almeno nell’ambito del medesimo Tribunale, in presenza di situazioni di fattosimili, si avrebbe una liquidazione degli assegni tendenzialmente omogenea. Senza considerare poiil risultato, certamente positivo, di consentire ai difensori di dare una risposta, sia pure approssi-mativa, a quella famosa domanda che per prima gli rivolgono i clienti: “Avvocato quanto devo pa-gare?.. Avvocato quanto mi spetta per legge?”.

9. Foglio di calcolo in corso di elaborazione nel Tribunale di Cagliari

A Cagliari, presso il Tribunale, è in corso di sperimentazione un programma di calcolo sviluppatoin ambiente Excel. Nelle pagine successive riporto i vari passaggi da percorrere nell’utilizzo del pro-gramma, con l’indicazione delle operazioni da compiere via via.Il foglio di calcolo consente sia di liquidare gli assegni spettanti al coniuge debole, in caso di cop-pia senza figli; sia gli assegni spettanti a coniuge debole+figli, tenendo conto, in caso di affidamen-to condiviso, del tempo di permanenza presso l’altro genitore.Secondo quanto chiarito nella relazione illustrativa predisposta dal collega che ha messo a puntoil programma,“... nella prima fase della liquidazione dell’assegno si procede ad una suddivisione del reddito taleda ripristinare un equilibrio economico tra i nuclei familiari formatisi a seguito della separazione.A questa prima fase svolta sulla base di criteri standardizzati e predeterminati segue una secondafase di liquidazione diretta a personalizzare il risultato raggiunto tenendo conto delle circostanzedel caso concreto.Appare, tuttavia, evidente, ..., come la personalizzazione del risultato presupponga sempre l’inter-vento discrezionale del giudice e l’attività dell’interprete debba continuamente adeguare la base dicalcolo, determinata secondo il criterio dell’equilibrio economico, con le variabili del caso concreto”.

a) Reddito ultimo periodo

Vengono inseriti i dati relativi al reddito percepito dai coniugi.

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FOCUS

reddito ultimo periodo

Obbligato Richiedente

reddito complessivo reddito complessivo

imposta netta imposta netta

addizionali regionali addizionali regionali

addizionali comunali addizionali comunali

contributi previdenziali contributi previdenziali

€ 0,00 € 0,00 reddito mensile netto

€ 0,00 Totale

retribuzione mensile

€ 0,00 Totale

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b) Media tre periodi

c) Detrazioni spese e oneri vari

Vengono detratte alcune spese sostenute nell’interesse della famiglia già prima della separazione(oneri di mutuo ipotecario contratto per la casa familiare, di finanziamenti per acquisto di beni mo-bili per la famiglia, oneri di produzione del reddito eccetera).

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AIAF RIVISTA 2009/2 • maggio-agosto 2009

oneri

Obbligato Richiedente

oneri di mutuo ipotecario oneri di mutuo ipotecario

oneri di locazione oneri di locazione

oneri di mutuo oneri di mutuo

oneri di produzione del reddito oneri di produzione del reddito

€ 0,00 € 0,00 Totali oneri mensili

€ 0,00

I II III

Obbligato

reddito complessivo reddito complessivo reddito complessivo

imposta netta imposta netta imposta netta

addizionali regionali addizionali regionali addizionali regionali

addizionali comunali addizionali comunali addizionali comunali

contributi previdenziali contributi previdenziali contributi previdenziali

€ 0,00 € 0,00 € 0,00

Media mensile tre periodi di imposta € 0,00

Richiedente

reddito complessivo reddito complessivo reddito complessivo

imposta netta imposta netta imposta netta

addizionali regionali addizionali regionali addizionali regionali

addizionali comunali addizionali comunali addizionali comunali

contributi previdenziali contributi previdenziali contributi previdenziali

€ 0,00 € 0,00 € 0,00

Media mensile tre periodi di imposta € 0,00

Totale € 0,00

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d) Applicazione scala di equivalenza

Viene applicata una scala di equivalenza di tipo soggettivo (si è fatto riferimento alla scala OCSEimpiegata dall’Istat e da Eurostat per il calcolo degli indicatori di disuguaglianza compresi nelle sta-tistiche ufficiali dell’Unione europea) tenendo conto del numero dei componenti dei due nuclei fa-miliari post separazione e dell’età dei figli (minore o maggiore degli anni 14). La scala OCSE è stata leggermente modificata nel senso che “lasciando immutato il coefficiente 1per il primo adulto, si ritiene opportuno inserire il coefficiente 0,7 (in luogo del coefficiente 0,5 uti-lizzato dalla scala Ocse) per ogni componente maggiore di 14 anni e 0,5 (in luogo di 0,3) per ogniminore di 14 anni”.

A commento di tale passaggio si legge nella relazione illustrativa:

“Ponendo ad esempio un nucleo familiare composto da due coniugi ed un figlio minore di 14 an-ni, se a seguito della separazione il figlio avrà la permanenza prevalente presso uno dei genitori, siavranno due nuclei con il coefficiente rispettivamente di 1 e di 1,5, per un totale di 2,5. Se la somma dei redditi netti dei due coniugi è pari, sempre a titolo di esempio, a 1.000 euro men-sili (800 euro un coniuge e 200 euro l’altro coniuge che ha il carico genitoriale prevalente), avre-mo il valore di una quota pari a 400 euro (1.000/2,5).Pertanto al coniuge che ha il carico genitoriale prevalente, con il coefficiente di 1,5, spetterà un red-dito “equivalente” di 600 euro (400*1,5), mentre all’altro coniuge un reddito di 400 euro.Poiché il coniuge richiedente (con il carico genitoriale prevalente) già percepiva un reddito propriodi 200 euro, l’assegno dovrà essere calcolato in 400 euro, di cui 200 euro a titolo di proprio man-tenimento e 200 euro a titolo di mantenimento del figlio”.

e) Considerazione di altre circostanze

Nel foglio di calcolo del Tribunale di Cagliari, dopo l’operazione descritta in precedenza, vengonoinseriti i cosiddetti fattori di moderazione in percentuale (capacità lavorativa dei coniugi, potenzia-

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FOCUS

componenti nucleo con figli con carico genitoriale disuguale

componenti famiglia obbligato

capo famiglia

maggiore di 14 anni

minore di 14 anni

totale quote figli 0

totale quote nucleo familiare 1

componenti famiglia richiedente

capo famiglia

maggiore di 14 anni

minore di 14 anni

totale quote figli 0

totale quote nucleo familiare 1

numero di quote complessive 2

valore quota € 0,00

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lità reddituali e patrimoniali, contributi familiari, nuova famiglia, ragioni della decisione, contribu-to personale ed economico, durata del matrimonio, accudimento dei figli da parte dell’obbligato).

Liquidazione

Si ottiene, quindi, l’importo finale degli assegni.

Altre circostanze

Aumento assegno Diminuzione assegno

capacità lavorativa

potenzialità reddituali e patrimoniali

contributi familiari

nuova famiglia

ragioni della decisione

contributo personale ed economico

durata del matrimonio

0,00% 0,00%

0,00%

accudimento dei figli da parte dell’obbigato

(giorni della settimana) 0,00%

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liquidazione

€ 0,00 assegno coniuge

€ 0,00 costo totale di mantenimento figli

€ 0,00 assegno coniuge e figli

€ 0,00 assegno figli escluse spese straordinarie

prospetto redditi

situazione precedente situazione successiva

obbligato € 0,00 € 0,00

figli>14 anni 0

figli<14 anni 0

richiedente € 0,00 € 0,00

figli>14 anni 0

figli<14 anni 0

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10. Foglio di calcolo elaborato a Palermo

Anche a Palermo è stato elaborato un foglio di calcolo reperibile nel sito www.giustiziasicilia.it

11. Considerazioni conclusive sui fogli di calcolo

Come abbiamo visto, in varie sedi d’Italia, diversi giudici specializzati nei processi di famiglia stan-no elaborando programmi di calcolo per la liquidazione degli assegni di mantenimento. Il fenomeno interessa anche non addetti direttamente ai lavori e questo è certamente un fatto po-sitivo.Tuttavia, e ciò vale per chiunque ritenga di dedicarsi a questo studio, sarebbe in ogni caso oppor-tuno che vi fosse una collaborazione di più persone, che si costituisse un team formato da diverse“competenze” (giuridica, matematica, economica eccetera, teorica e pratica), perché anche in que-sto caso vale la regola che “nessuno di noi è più intelligente di tutti noi messi assieme” e il proble-ma, se esaminato da ottiche diverse, ha più probabilità di essere risolto nel miglior modo possibile.Anche con riferimento ai soli aspetti più propriamente matematici implicati nell’elaborazione di unprogramma di calcolo, occorrerebbe, infatti, un lavoro di confronto più ampio. Tanto per rimanere al foglio Mo.Cam., Enrico Al Mureden – docente di Diritto di famiglia pressola Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna – ha criticamente rilevato che “il metodo dimisurazione del tenore di vita adottato dal CTU del Tribunale di Firenze si basa su strumenti ma-tematici ed econometrici scelti dal consulente stesso con un certo grado di discrezionalità; ciò si-gnifica che una analisi econometria delle conseguenze patrimoniali della separazione può essereeffettuata anche facendo riferimento a parametri diversi da quelli utilizzati nel caso in esame (sipensi ad esempio alla possibilità di adottare una scala di equivalenza diversa)”14.

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FOCUS

14 Al Mureden, Tenore di vita ed assegni di mantenimento tra diritto ed econometria, in Famiglia e Diritto, 1/2008, 52 ss.

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Dunque, anche la scelta della scala di equivalenza tra le varie disponibili, piuttosto che la costru-zione di una scala ad hoc, va discussa e ragionata con riferimento ai princìpi giuridici e all’obietti-vo, proprio dei processi della famiglia, del riequilibrio delle diseguaglianze economiche, liquidan-do un assegno “giusto” per tutti. Appaiono evidenti la delicatezza del problema e le mille riserve per un uso immediato di qualun-que programma di calcolo che non sia stato preventivamente testato.

12. E se usassimo un criterio-base più semplice?

Nella Corte d’Appello dove presto servizio, da tempo nella liquidazione degli assegni di manteni-mento partiamo dal criterio-base di dividere il reddito complessivamente disponibile dopo la sepa-razione in tante quote quanti sono i componenti della famiglia. Se il livello di reddito lo consentesi riconosce però al produttore di reddito una quota maggiore, a seconda dei casi anche doppia,in considerazione delle spese di produzione del reddito e dell’impegno personale.Si tratta di un criterio-base che è risultato utile per risolvere tutti i casi in cui si avevano a dispo-sizione redditi sostanzialmente destinati ad essere assorbiti dalle normali esigenze di vita della fa-miglia.Naturalmente, la Corte ha sempre opportunamente adattato il risultato del calcolo alle particolariesigenze dei vari componenti il nucleo familiare.Ad esempio, nel caso in cui il coniuge tenuto a pagare l’assegno di mantenimento avesse al contem-po l’onere di pagare un canone di locazione per la propria abitazione, essendo stata assegnata la ca-sa familiare all’altro coniuge convivente con i figli, la Corte detrae dai redditi dell’obbligato quanto ènecessario a quest’ultimo per pagare il canone e poi procede a ripartire per quote il residuo.Senza necessità di fare ricorso a lunghe e costose consulenze, quel criterio si è rivelato spesso unabuona base di calcolo per la quantificazione degli assegni. E, comunque, ha consentito di dare del-le risposte omogenee.Vorrei anche far presente che applicando il criterio della ripartizione del reddito in quote, qualesommariamente descritto, si arriva allo stesso risultato cui perviene il foglio di calcolo in corso dielaborazione nel Tribunale di Cagliari.Per stare all’esempio riportato al Capitolo 9-d, a commento di quel foglio di calcolo, ovvero di unafamiglia con un reddito di € 1.000 al mese (€ 800 guadagnati dal marito, € 200 dalla moglie), lasomma complessiva di € 1.000 sarebbe stata divisa per 5 quote, prevedendosi una quota doppiaper ogni produttore di reddito:numero di quote = 5 (2 madre, 2 padre, 1 figlio)valore di una quota = € 200 (€ 1000:5).Quindi, avremmo assegnato: 2 quote, pari ad € 400, a ciascun coniuge, e 1 quota pari ad € 200 peril figlio.In definitiva, al nucleo costituito dalla madre e dal figlio sarebbero spettati ugualmente € 600, dicui € 400 per la madre (alla quale, disponendo di soli € 200 viene riconosciuto un assegno inte-grativo di altri € 200) ed € 200 per la quota spettante al figlio; al padre resterebbero le sue 2 quo-te pari ad € 400.Sussiste l’esatto rapporto di 1 a 1,5 di cui alla scala di equivalenza applicata dal Tribunale.Naturalmente, come ho già accennato, si tratta di un criterio base che va adattato al caso concre-to; nell’esempio appena fatto, se la madre non lavorasse, al padre non si riconoscerebbe una quo-ta doppia perché in tal caso avrebbe una disponibilità di € 500 per sé solo e la madre+figlio la stes-sa somma per due. Vorrei chiarire che mi sembra opportuno pensare a criteri di liquidazione degli assegni che sianosemplici e non richiedano complicati calcoli e soprattutto siano basati su una logica complessivacondivisibile.

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Per fare un esempio mi sembra comprensibile e condivisibile una formula proposta in Svizzera. Sulla base della giurisprudenza cantonale, Emanuela Epiney-Colombo – giudice del Tribunale d’Ap-pello del Canton Ticino – nel corso del colloquio “Promemoria per il calcolo del contributo di man-tenimento”, tenutosi l’8 giugno 2004 presso il Circolo dei giuristi di Lugano, ha tradotto i criteri diliquidazione degli assegni di mantenimento precedentemente illustrati in una formula matematicain cui si prevede, anche qui per i casi “normali” che:“Stabilito l’ammontare del reddito complessivo di tutta la famiglia (RC) e dei fabbisogni di ogni sin-golo membro della famiglia (FC) si può procedere al calcolo della quota di eccedenza (E) che spet-ta a ogni coniuge seguendo la formula:

RC meno FC = eccedenza : 2 = E

Il contributo alimentare dovuto al coniuge richiedente si ottiene poi con il calcolo: (fabbisogno personale + E) - reddito personale = contributo”.

13. Suggerimenti in attesa di tempi migliori

La materia di cui ci occupiamo richiede ormai avvocati e giudici specializzati.È fondamentale che, in questa situazione in cui ancora non vi è certezza sui criteri concreti da uti-lizzare per la quantificazione degli assegni di mantenimento, i difensori si concentrino nell’attivitàdi prova dei redditi dei coniugi ma anche e soprattutto delle spese che la famiglia affrontava perle varie necessità, per desumerne in via diretta il tenore di vita goduto prima della separazione eche i soggetti deboli tendenzialmente devono poter conservare.Quando nel processo il coniuge debole dimostra le spese sostenute in costanza di matrimonio el’altro coniuge ha disponibilità economiche sufficienti, non restano margini di dubbio su quanto ènecessario liquidare per assicurare la conservazione dello stesso tenore di vita. Si pone, quindi, un problema di prova in relazione al quale sarebbe necessario approfondire le te-matiche relative ai poteri officiosi del giudice e a quelli dispositivi delle parti15.È utile che il difensore sappia fornire elementi di prova sui redditi effettivi traendoli ad esempiodalla consapevole lettura degli studi di settore; saper formulare pertinenti e specifiche richieste diindagini a mezzo della Polizia tributaria e così di indagini bancarie o sulle gestioni fiduciarie; co-noscere cos’è l’Anagrafe dei conti correnti e dei depositi, eccetera e, perché no, sapere anche faredelle osservazioni critiche relativamente ai programmi di calcolo che dovessero essere adoperatiper la quantificazione degli assegni.Non potendo procedere a tali approfondimenti in questa sede, mi limito ad alcuni suggerimentiminimi che i difensori potrebbero seguire.Anzitutto, occorrerebbe non dimenticare di introdurre nel processo di separazione e di divorzio,sin dal primo momento, tutte le notizie utili a fornire un quadro, il più completo possibile, da unlato delle spese normalmente affrontate e dall’altro delle risorse economiche di cui dispone la fa-miglia, considerato che l’assegno liquidato dal Presidente in via temporanea e urgente “è destina-to a durare a lungo”. Più elementi si mettono a disposizione del giudice e più congrua sarà verosimilmente la misuradell’assegno liquidato.

49

FOCUS

15 Cfr. Buttiglione “Assegni di Mantenimento del coniuge e dei figli. Assegno di divorzio. Poteri istruttori d’ufficio. Indagini Tri-butarie. Istruzioni per l’uso” in Mariani e Passagnoli (a cura di), Diritti e tutele nella crisi familiare, Padova, 2007, 31-94. In par-ticolare si richiamano i seguenti capitoli: “6. Poteri istruttori d’ufficio nell’accertamento della capacità reddituale e patrimoniale deiconiugi. Mezzi di prova disposti dal giudice. Ordini di esibizione. - 7. Capacità reddituale e patrimoniale, la lettura delle dichia-razioni dei redditi. Studi di settore - 8. Indagini a mezzo della polizia tributaria. - 9. Anagrafe dei Conti Correnti e dei Depositi.Potenziamento delle attività di indagine della Guardia di Finanzia. Indagini sulle gestioni fiduciarie. -10. Istruzioni per l’uso”.

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13.1. Notizie da fornire

• Generalità del coniuge: – Nome e cognome– Data di nascita– Titolo di studio

• Lavoro attuale dal ...– Tipo (es.: dipendente o autonomo)– Durata (a tempo indeterminato, a tempo determinato)– Lavoro precedente

• Redditi: importo mensile e numero mensilità– Redditi occasionali– Partecipazioni societarie– Titoli o depositi– Conti correnti intestati, contestati o con sola delega di operare– Uso di carte di credito– Altri introiti periodici: es. pensioni, indennità ecc;– Contributi non occasionali delle famiglie di origine

• Immobili– In proprietà– In uso per vacanze o per lavoro– Locati a terzi– Ubicazione, dimensioni, valore di mercato– Titolo di acquisto– Fondi agricoli: estensione e tipo di coltura

• Mobili registrati– Autovettura e motocicli in proprietà o in uso– Barche– Velivoli– Beni di lusso: cavalli e collezioni

• Viaggi e stile di vita dei componenti la famiglia (es. ristorante, teatri, sport, frequentazione cir-coli)

• Collaborazioni domestiche• Spese correnti

– utenze domestiche– spese casa– condominio– vitto

• Mutui, finanziamenti e pagamenti rateali• Addebiti mensili su carte di credito e bancomat16.

13.2. Prospetti riassuntivi

Sarebbe opportuno, per una più facile comprensione della vicende economiche della famiglia, ri-chiamare in prospetti riassuntivi le varie voci delle ENTRATE e delle SPESE. Una sorta di fotogra-fia che renda più difficile che qualcosa possa sfuggire all’attenzione del giudice al momento delladecisione.

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16 Elenco elaborato durante il corso di aggiornamento professionale strutturato in tre sessioni, Prassi nella cause di separazio-ne e di divorzio, organizzato dal CSM nel 2005.

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Ad esempio, se nel caso della nostra famiglia di Firenze si fossero allegati agli atti dei prospettiriassuntivi del tipo di quelli di seguito proposti, forse sarebbe balzato evidente agli occhi, al di làdi ogni teorica e astratta ricostruzione statistica, che la disparità tra la posizione economica dei dueconiugi era notevole e che non avrebbe potuto colmarla un assegno di soli € 1.400,00 al mese infavore della signora BB.Sarebbe stata evidente la sproporzione tra le entrate dichiarate e le somme spese per gli acquistidi mobili e immobili nel medesimo periodo di tempo.

Disponibilità economiche complessive

Rapporto tra redditi dichiarati e spese

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FOCUS

DisponibilitàeconomicheRedditi finanzeBeni immobilie mobili

Reddito lavoroDepositi bancariCasa via P. 100%Casa via S. 50%Studio 100%Porsche CayenneMini Cooper

TOTALE

Reddito nettoeffettivo

Valore intrinsecoimmobili

Disponibilità economicheRedditi finanzeBeni immobilie mobili

Casa via S. 50%

TOTALE

Reddito nettoeffettivo

Valore intrinsecoimmobili

12345678...

MARITO MOGLIE

ANNO DI IMPOSTA

2005

2004

200320022001200019991998

19971996

TOTALE

REDDITOCOMPLESSIVONETTO MARITO36.317,00 + 14.000,00assegno provvisorio39.313,00

57.998,0060.042,0065.378,0061.836,0056.770,00

377.661,00

ALCUNIACQUISTI PIÙSIGNIFICATIVI

Gennaio 2004Porsche Cayenne 4.5.TCanterano del 1600

2001 compra studio

1998 compra casain via S. mq. 240

Compra casa in via P. mq. 130

TOTALEescluso valore Porsche

SPESE

66.500,00 in leasing11.000,00

465.000,00

260.000,00dichiarati in atto

490.634,00stimati da ctu

1.227.634,00

1

2

345678

910

1112

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Spese concretamente affrontate

Spese per la figlia

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FIGLIA

ISTRUZIONESALUTEALIMENTAZIONEABBIGLIAMENTOMEZZI TRASPORTOSPORTSVAGHIVIAGGI

TOTALE

COSTI ANNUALI

#####

12345678910111213

MOGLIE

MANUTENZIONE CASACOLFCONDOMINIOBOLLETTE:luce, gas, acqua, telefonoALIMENTAZIONESPORTSVAGHICULTURAVIAGGISALUTEVARIEAUTOASSICURAZIONE

TOTALE

COSTI ANNUALI

#####

MARITO COSTI ANNUALI

#####

1234

56789101112131415

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Prospetti riassuntivi di entrate ed uscite

14. Conclusioni

Materia dolente quella dell’affidamento e dell’assegnazione della casa.Materia dolente anche quella dei contributi al mantenimento.Soffre il figlio perché ha perso il padre; soffre il padre perché viene ostacolato il suo rapporto conil figlio; soffre la madre perché non ha alcuna collaborazione dall’uomo con il quale ha vissuto peruna vita, e deve anche fare i conti con i soldi che magicamente sono volati via.Nella sofferenza si intrecciano le ragioni del cuore e le ragioni del danaro.Non si sa quali vengono prima e quali dopo.Ci si sposa solo per amore?Le fiabe ci dicono che la fanciulla sposa il “principe azzurro” ma che bacia il “rospo” per pietà. Èsolo quando il “rospo” si trasforma in “principe” che nasce l’amore e si convola a giuste nozze.Il premio Nobel per l’economia, l’americano Gary S. Becker, ha scritto che sposarsi e mettere sufamiglia sono comportamenti di valenza economica. Sin dai primordi si aveva necessità di “forzalavoro” per coltivare i campi, occorrevano perciò tanti figli e una moglie che provvedesse a tene-re vivo il focolare e a rifocillare il marito e la prole quando tornavano dal lavoro.Jean Carbonnier, professore di Diritto all’Università di Poitiers, ha scritto che “gli sposi fanno deldanaro e dell’amore un unico indivisibile pacchetto”.Nella cosiddetta relazione Lipari, con la quale fu illustrato al Senato il disegno di legge sulle mo-difiche alla legge sul divorzio n. 898/70, si rilevava che il contenzioso aveva carattere prevalente-mente economico.Ma in una bellissima relazione della dott.ssa Irene Bernardini, Presidente della SIMEF, si scopre cheè vero che spesso i coniugi litigano perché chi deve pagare l’assegno fa resistenza a tutti i costi;

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FOCUS

Voci di redditoo di spesa

TOTALE

MOGLIE

Entrate

#####

123456789101112131415

Uscite

#####

Voci di redditoo di spesa

TOTALE

MARITO

Entrate

#####

Uscite

#####

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ma che è anche vero che a volte le questioni economiche si smontano se si risolve il conflitto in-teriore, se si abbandonano il rancore e il risentimento.Quindi, neppure io so dire se nel processo viene prima il problema dei cuori infranti o dei soldiche si volatilizzano o si dimezzano.Dico che sono però aspetti dello stesso unico problema che è quello di tutelare i soggetti debolidella famiglia in crisi, cercando di distribuire le risorse economiche in modo equo ma anche sal-vaguardando i rapporti personali, per quello che ancora resta.Ciò comporta che anche l’avvocato del genitore economicamente più forte non dovrebbe dimen-ticare che la salvaguardia del rapporto con i figli è un bene prezioso per il suo stesso cliente. Gli avvocati di entrambi i coniugi dovrebbero evitare di alimentare la “guerra fredda”; dovrebberodeporre per un momento le armi e cercare di “mediare” il conflitto familiare17.Condivido quanto scrive l’avv. Milena Pini nell’editoriale “Il Diritto delle Persone e delle Famiglie.Una questione sempre più aperta”18; effettivamente occorre “una ‘negoziazione’ in cui l’avvocato –specializzato e ‘formato’ in materia, e particolarmente attento ai princìpi deontologici, (...) svolgeuna funzione fondamentale, sia nella fase stragiudiziale che in quella giudiziale, poiché ‘il risul-tato auspicabile è rappresentato dalla riorganizzazione degli assetti familiari, dalla determinazio-ne di nuovi equilibri...’”.Anch’io penso che sia necessario tendere a realizzare “un equilibrio familiare adeguato alle esigen-ze di vita del minore coinvolto” che porti “certezza e garanzia con riferimento ai soggetti coinvoltied alle relazioni tra di loro intercorrenti”, come scrive l’avvocato Anna Galizia Danovi19 ricordan-do che si tratta anche di una questione di “deontologia professionale”.

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17 Nell’articolo di Giovanni Parente “Figli affidati, assegni da 630 euro” citato, si legge: “A volte la prova della reale capacità pa-trimoniale è difficile: «Passa attraverso prove complicate che raccolgono indizi sul tenore di vita, livello di spesa voluttuaria, utili-tà economiche provenienti da società» spiega Maria Giovanna Ruo, docente di Diritto di famiglia alla Lumsa e presidente della Ca-mera minorile (...). Il risultato? Tempi che si allungano «a tutto detrimento dei figli minori e giovani adulti, che spesso passano, in-sieme al genitore convivente, dalle ‘stelle’ del periodo della famiglia unita ‘alle stalle’ della convivenza con il genitore più deboleeconomicamente»”. Personalmente soggiungerei che è proprio l’incapacità di mediare il conflitto o anche solo di dialogare la ra-gione prima dell’infinita “cattività delle liti”.18 Pini, Il diritto delle persone e delle famiglie... una questione sempre più aperta, in Rivista AIAF, 2004/1, 3.19 Danovi, L’assistenza e la consulenza dell’avvocato nella fase stragiudiziale. Questioni di deontologia”, in Rivista AIAF, 2004/1,35.

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1. Premessa

La “novella” legislativa in materia di diritto sostanziale e processuale della famiglia sta, ormai, av-viandosi al raggiungimento del terzo anno di vita e, dunque, ben presto non potrà neppure più es-sere definita come tale.L’inevitabile carenza di consolidati riferimenti giurisprudenziali di legittimità sta iniziando, man ma-no, ad essere ovviata dalle numerose decisioni dei giudici di merito, favorite anche dai necessarirequisiti di celerità dei processi in materia di famiglia.Se, però, molte delle innovazioni introdotte dalla legge n. 54/2006 sono state ampiamente e appro-fonditamente sviscerate (si pensi alle tematiche dell’affido condiviso, dell’assegnazione della casaconiugale, della corresponsione diretta dell’assegno ai figli maggiorenni), non altrettanto può dirsiquanto alla liquidazione del contributo al mantenimento del coniuge e dei figli e ai criteri che do-vrebbero orientarla.In effetti, la legge n. 54/2006 nulla ha innovato con riferimento al mantenimento del coniuge e siè limitata, quanto a quello dei figli, ad elencare una serie di parametri sinceramente assai genericie di difficile applicazione concreta.Ancora una volta, dunque, dottrina e giurisprudenza sono chiamate a sopperire all’assenza di sicu-ri e indiscutibili criteri di quantificazione dell’assegno di mantenimento: conclusione che può con-siderarsi per certi aspetti inevitabile, ma che avrebbe necessitato del supporto di altri e ben più cer-ti punti di riferimento, quantomeno rispetto alle situazioni maggiormente ricorrenti e statisticamen-te più usuali.Questa evidente carenza si appalesa ancor più deleteria con riferimento alle decisioni assunte o daassumersi in sede di udienza presidenziale: nel momento di maggiore conflitto tra le parti, conl’inevitabile e giustificato coinvolgimento psicologico e umano di tutti i protagonisti del processo,il presidente è chiamato ad assumere provvedimenti destinati a durare nel tempo e ad incidere inprofondità nella vita altrui, operando “senza rete” e con poche certezze.In attesa di tempi e normative migliori, di fondamentale importanza è il raffronto tra le prassi deivari organi giudicanti e la diffusione della conoscenza sui criteri concretamente adottati.

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FOCUS

1 Intervento tenuto al Convegno I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli, organizzato da AIAF Lombardia,Milano, 14 novembre 2008.

I CRITERI DI QUANTIFICAZIONE DELL’ASSEGNO PER IL CONIUGE E I FIGLI.RIFLESSIONI, PROPOSTE E ORIENTAMENTI DEL TRIBUNALE DI MONZA 1

Piero CalabròMagistrato, Tribunale di Monza

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2. Il rispetto delle regole procedurali e la valorizzazione dell’opzione conciliativa

La legge n. 54/2006 ha introdotto una notevole semplificazione delle procedure di attivazione delgiudizio e ha imposto alle parti, ai loro difensori e allo stesso magistrato una serie di comporta-menti virtuosi, destinati a garantire trasparenza e rapidità di giudizio.Il Tribunale di Monza ha immediatamente sposato questa linea applicativa, consapevole che, co-me suol dirsi, non vi è giustizia senza certezza di tempi e regole.Con precipuo riferimento alla rapida instaurazione del processo, è stato sino ad oggi sempre ga-rantito il rispetto del breve termine (5 giorni dal deposito in cancelleria del ricorso) per la fissazio-ne dell’udienza presidenziale, nonché la sua collocazione nel termine di 90 giorni dallo stesso de-posito dell’atto introduttivo.Personalmente ho anche interpretato come tassativo e inderogabile il rispetto, da parte del coniu-ge resistente, del termine assegnato per il deposito di “memoria difensiva e documenti”.La legge non ha, in verità, qualificato tutti gli anzidetti termini come perentori, di talché una espli-cita sanzione destinata al loro mancato rispetto non può dirsi codificata.La prassi precedente la riforma ha, in particolare, consentito alla parte resistente, in una percentua-le elevatissima di casi, di presentare memoria e documenti in limine litis, vale a dire all’udienzastessa fissata innanzi al presidente.Tale consuetudine, non sanzionabile in alcun modo, ha ingenerato nel giudice e nelle parti un cir-cuito vizioso e un modus procedendi tutt’altro che votati alla celerità: il presidente aveva solo inudienza una rapida e inevitabilmente superficiale conoscenza delle difese della parte resistente,mentre il difensore del coniuge ricorrente spesso invocava la concessione di un rinvio allo scopodi esaminare le allegazioni e produzioni avversarie.Il rispetto sostanziale delle nuove norme, invece, consente al presidente di esaminare con un con-gruo anticipo (dallo stesso fissato e valutato ex ante) le difese e i documenti delle parti e di garan-tire una piena conoscenza del caso sottoposto alla sua provvisoria giurisdizione, quantomeno neilimiti delle allegazioni e produzioni già agli atti del processo.È perfino superfluo sottolineare come l’adozione di una simile prassi virtuosa contribuisca a facili-tare il compito del magistrato che, in prima battuta, si occupa della vicenda coniugale, anche conprecipuo riferimento alla liquidazione degli assegni di mantenimento.La stessa funzione conciliativa dell’udienza presidenziale, accentuata dalla novella del 2006, ne traeindubbio giovamento.Quanto a quest’ultimo aspetto, se i primi due commi del novellato art. 708 c.p.c. ripropongono so-stanzialmente il testo previgente (“All’udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugiprima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione. Se i coniugi si concilia-no, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione”), l’adozione del termine “conci-liazione” in luogo della precedentemente auspicata “riconciliazione” non può apparire del tuttocasuale.In effetti, se la “riconciliazione tra i coniugi” continua ad avere diritto di cittadinanza nell’ordina-mento (in quanto, ai sensi dell’all’art. 154 c.c., “comporta l’abbandono della domanda di separa-zione personale già proposta”), con l’espressione “conciliazione” il legislatore non ha, invece, inte-so imporre al magistrato la sola tentata ricostruzione dell’unione familiare. Dunque, il tentativo di conciliazione dovrà riguardare non solo l’eventuale possibilità di una ricom-posizione della frattura coniugale, ma anche e soprattutto, una volta verificata in modo negativotale eventualità, il raggiungimento di un accordo, globale o parziale, sulle questioni dibattute tra leparti, non ultima quella relativa al mantenimento del coniuge e dei figli.Anche la prevista “assistenza del difensore” appare come un prezioso supporto alla funzione con-ciliativa svolta dal magistrato, nonché un incentivo all’attività preventiva (volta ad una possibile so-luzione della controversia) esplicata dagli avvocati in epoca antecedente alla comparizione dei co-niugi in sede contenziosa.La presenza nel Foro di professionisti adusi a trattare controversie di famiglia, la conoscenza dei

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criteri e delle prassi del Tribunale adìto, l’enucleazione del materiale rilevante ai fini della adozio-ne dei provvedimenti economici provvisori, sono tutti elementi che, anche al di là dell’inevitabilegioco delle parti, possono contribuire all’individuazione di una soluzione (almeno parziale) dellequestioni patrimoniali e all’affermazione di duraturi parametri per i casi a venire.Tutto ciò, però, dovrà essere inevitabilmente supportato dalla conoscenza preventiva degli atti daparte del presidente e dalla propria presumibile esperienza professionale.

3. Gli accertamenti sommari antecedenti l’emanazione dei provvedimenti provvisori

La struttura dell’udienza presidenziale, nel disciplinare i poteri di cognizione sommaria e di deci-sione provvisoria del presidente, appare improntata a criteri in apparenza antitetici: l’obbligo di le-altà e di informazione imposto ai coniugi e l’assenza di veri e propri vincoli o limiti ai provvedimen-ti del giudice.Tali criteri, invece, ove opportunamente coordinati, consentono il raggiungimento di risultati il piùpossibile aderenti alla realtà e ai princìpi di giustizia.Nel processo civile ordinario, il dovere “di comportarsi in giudizio con lealtà e probità” imposto al-le parti dall’art. 88 c.p.c., al di là della scarsa rilevanza delle sanzioni previste in caso di inosser-vanza, non è mai stato considerato alla stregua di un obbligo di attivazione, ancor più in materiadi produzioni documentali2.Il nuovo rito della famiglia, invece, impone alle parti, sin dall’udienza presidenziale, non solo ilpreventivo dovere di indicare notizie riguardanti la prole, ma anche e soprattutto di allegare “le ul-time dichiarazioni dei redditi” (art. 706 c.p.c.; art. 4 legge 898/70).Come interpretare questa prima esplicita eccezione al principio dispositivo e ai tradizionali criteriregolatori dell’onus probandi, se non nell’ottica di individuare, nelle scelte operate dal legislatore,l’affermazione di un dovere di lealtà ben più pregnante rispetto a quello dettato dal già citato art.88 c.p.c.?Del resto, tale conclusione appare del tutto conforme allo spirito della norma di cui all’articolo 29della Carta Costituzionale, laddove è sancita la pari dignità morale e giuridica dei coniugi (che, ov-viamente, non viene meno nei momenti di patologia del rapporto familiare).Può, di conseguenza, essere affermata nei procedimenti di separazione e divorzio l’esistenza, a ca-rico delle parti e dei loro difensori, di un obbligo di lealtà più intenso di quello sancito general-mente nel rito processuale civile e caratterizzato, in particolare, da un non astratto dovere di infor-mazione su alcuni aspetti rilevanti della vicenda coniugale, quali le notizie sui figli e sulle capaci-tà economiche e patrimoniali dei coniugi.L’adempimento a tale obbligo non potrà non apparire essenziale, ai fini della trasparenza ed effetti-vità dei provvedimenti provvisori, se si tiene conto che i rimedi consentiti al presidente nell’ipotesidi reticenza ovvero di insufficiente documentazione delle informazioni di carattere economico (art.155 ultimo comma c.c.) sono, nell’attualità, spesso paragonabili ad un’arma in gran parte spuntata.L’ottemperanza delle parti al dovere di adeguata e leale informazione, riguardo alle loro condizio-ni economiche e personali, apparirà addirittura fondamentale laddove si consideri che lo stesso ma-gistrato, una volta valutato come concretamente impraticabile o non compatibile con i tempi del-l’udienza presidenziale l’accertamento di Polizia tributaria, dovrà avvalersi necessariamente di ele-menti presuntivi o di carattere notorio (magari suscettibili di introdurre decisioni approssimative),pena l’abdicazione al dovere di rendere giustizia di fronte alla non corretta e non collaborativa po-sizione di uno dei coniugi.Giova rammentare quanto statuito in materia dalla Suprema Corte (“in tema di divorzio, il giudice

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FOCUS

2 Vedi Cass. 19.11.1994 n. 9839.

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del merito, ove ritenga ‘aliunde’ raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizio-nano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relati-va istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributa-ria”3) detti princìpi, chiaramente, ben possono trovare applicazione sin dall’udienza presidenziale.In tale ottica, può considerarsi inevitabile o, comunque, opportuna l’adozione di strumenti e di cri-teri di valutazione oggettivi e predeterminati, fatta salva, in ogni caso, la possibilità per il giudicedi valutare il comportamento tenuto dalle parti nel processo (quindi, anche all’udienza di cui all’art.708 c.p.c.) e le risposte fornite dai coniugi come elemento di giudizio, anche in sede di adozionedei provvedimenti presidenziali provvisori, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.

4. La necessaria adozione di criteri oggettivi e predeterminati

L’esperienza maturata, anche successivamente all’entrata in vigore della novella legislativa, unita aquella vissuta tra centinaia di controversie regolate dal rito antecedente, consente di affermare che,purtroppo, il vero oggetto del contendere tra i coniugi sovente è, fin dalle prime battute della lo-ro vicenda processuale, la regolazione economica dei reciproci rapporti.Anche la civilissima previsione di legge riguardante l’affido condiviso viene, in realtà, troppo spes-so utilizzata allo scopo di limitare gli effetti negativi della rottura dell’unità della famiglia sui red-diti dei suoi componenti.In questo contesto, l’udienza presidenziale assume un’importanza a volte esiziale, in quanto le de-liberazioni adottate appaiono suscettibili di regolare per lungo tempo (anche) la delicata materiadei rapporti economici tra i coniugi.I provvedimenti del presidente, peraltro, oltre che sorretti da una cognizione inevitabilmente som-maria dei fatti, sono per definizione temporanei e urgenti.Ciò significa che, oltre che provvisori, sono destinati a regolare nell’immediato una situazione diconflitto, che solo al momento della decisione finale troverà, previa adeguata istruttoria, una defi-nitiva soluzione processuale.Già si è detto del potere conferito al giudice (quindi, anche al presidente) di disporre tramite laPolizia tributaria accertamenti “sui redditi e sui beni” non sufficientemente documentati e oggettodi contestazione (art. 155 ultimo comma c.c.).Peraltro, l’art. 155 sexies c.c. consente al giudice (quindi, anche al presidente) di assumere, ad istan-za di parte o d’ufficio, veri e propri “mezzi di prova” solamente in relazione alle questioni affron-tate dalla stessa norma, vale a dire quelle riguardanti i figli minori.La legge, dunque, nell’attribuire al presidente un ampio potere in ordine al contenuto di tutti i prov-vedimenti reputati necessari e urgenti nell’ambito della controversia di separazione, ne circoscriveal tempo stesso le facoltà istruttorie escludendo, quanto ai rapporti economici tra i coniugi, quelleindividuabili strictu sensu come “mezzi di prova”.Obbligato, perciò, deve considerarsi il ricorso prudenziale a criteri oggettivi e predeterminati, ido-nei ad impedire disparità di trattamento in situazioni obbiettivamente simili.Criteri che, in ossequio ai cennati princìpi di trasparenza e di leale collaborazione tra gli attori delprocesso, debbono essere resi pubblici (come da tempo è avvenuto nel Foro Monzese), anche alnon secondario scopo di favorire un accordo, almeno sulle questioni economiche.Nel delicato confronto tra le informazioni e la documentazione offerte dalle parti, le motivate lorocontestazioni e allegazioni, i criteri oggettivi e predeterminati predisposti dall’organo giudicante ele risposte fornite dagli interessati alle domande del presidente (valutabili ai fini, della adozione deiprovvedimenti provvisori, ai sensi del disposto di cui all’art. 116 c.p.c.), può essere realizzata una

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3 Cass. 28.04.2006 n. 9861; Cass. 25.05.2007 n. 12308.

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verosimile approssimazione alla realtà dei fatti, tale da consentire un’immediata risposta di giusti-zia alle domande del coniuge più debole e la valorizzazione di uno dei rari momenti di autenticaoralità del processo.

5. L’incidenza dell’assegnazione della casa coniugale

La giurisprudenza prevalente della Suprema Corte, nella vigenza delle norme antecedenti la recen-te novella, ha costantemente statuito che il potere di assegnazione della casa coniugale ad uno deiconiugi può essere esercitato dal giudice solo in considerazione delle esigenze della prole, vale adire nei soli casi di convivenza con figli minorenni ovvero con figli maggiorenni non ancora eco-nomicamente autosufficienti.Tali princìpi sono stati riaffermati anche in epoca successiva (vedasi per tutte Cass. 14 maggio 2007n. 10994, che ribadisce come non sia in alcun modo consentito in sede di separazione o di divor-zio al Tribunale “di assegnare la casa coniugale al coniuge che non sia affidatario di figli minorio maggiorenni incolpevolmente non autosufficienti, in quanto il potere del Giudice di assegnare lacasa coniugale è in funzione degli interessi esclusivi della prole e non delle necessità di manteni-mento del coniuge incolpevole”), anche se le nuove disposizioni di legge hanno, in qualche modo,reso meno lineare la possibilità per il giudice di preferire un coniuge all’altro nell’assegnazione del-la casa familiare.L’art. 155 quater c.c. ora dispone, infatti, che “il godimento della casa familiare è attribuito tenen-do prioritariamente conto dell’interesse dei figli” e, non solo dal punto di vista letterale, sembra se-gnare un mutamento rispetto alle abrogate previsioni di cui all’art. 155 c.c. e allo stesso art. 6 com-ma sesto legge 898/70 (ove era stabilito: “l’abitazione familiare spetta di preferenza... al coniugecui vengono affidati i figli”).Potrebbe, dunque, trovare facile ingresso la tesi secondo la quale l’aspettativa del coniuge affida-tario dei figli all’assegnazione della casa coniugale non corrisponda più ad un diritto di questi ul-timi a mantenere l’habitat domestico, indipendentemente dalle vicende del vincolo che lega i ge-nitori, ma corrisponda ora, tutt’al più, ad un mero interesse valutabile in via prioritaria, ma nondisgiunta da altri possibili interessi.Pare ragionevole, invece, ritenere che la novella legislativa abbia attribuito alla casa familiare e al-la sua assegnazione un’esplicita e marcata valenza economica, come è tra l’altro espressamente di-mostrato dalla previsione che “dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rappor-ti economici tra i genitori” (art. 155 c.c.).Di talché, ferma restando la pressoché obbligata assegnazione al coniuge affidatario (o anche so-lo collocatario) dei figli minori, del godimento della casa coniugale si terrà doverosamente contonella regolazione delle altre questioni economiche, mentre dovrà essere ribadita l’impossibilità diprocedere, in assenza di accordo, all’assegnazione della casa coniugale ad una delle parti nell’ipo-tesi di mancanza di figli meritevoli di tutela.Peraltro, anche al di là di un formale provvedimento di assegnazione, non potrà non tenersi con-to del materiale e temporaneo godimento dell’immobile da parte di uno solo dei coniugi.

6. I criteri oggettivi e predeterminati di liquidazione dell’assegno di mantenimento adottati dal Tri-bunale di Monza (Tabelle 2008)

Già si è detto del carattere necessariamente e inevitabilmente sommario della cognizione aventead oggetto, in sede di udienza presidenziale, la liquidazione in via provvisoria di un contributo al

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mantenimento del coniuge e/o dei figli e dell’opportunità conseguente di porre, in modo chiaroe trasparente, alcuni punti di riferimento decisionale per il magistrato e per le stesse parti del giu-dizio.Il quadro normativo non è, al riguardo, di grande aiuto, posto che solo con riferimento ai figli èstato introdotto qualche nuovo parametro indicativo.In tema di mantenimento del coniuge, infatti, le norme applicabili sono rimaste immutate.L’art. 156 c.c., relativo alle condizioni economiche a seguito della separazione, così recita: “Il giu-dice pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile laseparazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualo-ra egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in rela-zione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.L’art. 5 della legge n. 898/1970, come modificato dall’art. 10 legge n. 74/1987, così statuisce: “Conla sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tri-bunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo eco-nomico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascu-no o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rappor-to alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamentea favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non puòprocurarseli per ragioni oggettive”.In tema di mantenimento dei figli, l’art. 155 c.c. novellato tra l’altro così dispone:“Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mante-nimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, lacorresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da de-terminare considerando:a) le attuali esigenze del figlio; b) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;c) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;d) le risorse economiche di entrambi i genitori;e) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.L’assegno è automaticamente adeguato agli indici Istat in difetto di altro parametro indicato dalleparti o dal giudice.Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente do-cumentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni ogget-to della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.L’unica vera innovazione, di possibile contenuto pratico, è dunque quella introdotta in tema dimantenimento dei figli, con precipuo riferimento alle ipotesi di cui ai nn. 2 e 5 dell’art.155 c.c.In effetti, le esigenze attuali del figlio, il suo pregresso tenore di vita e le risorse economiche dei ge-nitori erano parametri già ben presenti nell’elaborazione giurisprudenziale precedente la novelladel 2006: la valutazione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore e la valenza economicadei compiti domestici e di cura da questi ultimi assunti appaiono, invece, elementi suscettibili diessere tradotti nella riflessione prodromica alla liquidazione dell’assegno, oltre che coerenti con lafilosofia dell’affido condiviso.Ciò nondimeno, il Tribunale di Monza ha ritenuto opportuna, come già in passato, l’adozione di“Tabelle” motivatamente riassuntive delle ipotesi più ricorrenti e delle possibili ponderate rispostealle richieste di mantenimento formulate da uno dei coniugi (per sé e/o per i figli).Ovviamente, le astratte previsioni generali dovranno di volta in volta essere riparametrate e adat-tate al caso concreto, tenuto conto, quanto al mantenimento dei figli, dei nuovi criteri di cui al ci-tato art. 155 c.c.Sono, naturalmente, note al Tribunale le esperienze e le sperimentazioni di altri Fori, fondate sumodelli matematici e/o statistici, astrattamente idonei a fornire risposte apparentemente inoppu-gnabili e di maggiore appeal.Particolarmente apprezzabili sono le esperienze sviluppate dal Tribunale di Firenze (che, in colla-

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borazione con la Facoltà di Economia della locale Università, ha elaborato il Mo.Cam. vale a direil Modello di Calcolo dell’Assegno di Mantenimento) e dal Tribunale di Palermo (che ha elaboratoun software pubblico, scaricabile dal sito www.giustiziasicilia.it).Il limite intrinseco e oggettivo di tali orientamenti, pur validi in astratto, è da individuare nella pe-culiare situazione socio-economica del nostro Paese e nella notoria inaffidabilità dei parametri (inprimis, le dichiarazioni dei redditi e la documentazione valida ai fini tributari e fiscali) necessaria-mente utilizzati per la liquidazione dell’assegno di mantenimento.Per non tacere dei rischi di un’asettica applicazione dei “nuovi” parametri dell’ art.155 c.c.: nonsempre, ad esempio, ai “tempi di permanenza” corrispondono esborsi proporzionali (si pensi al ve-stiario, alle utenze e alle spese di gestione dell’abitazione in cui risiedono i figli). In estrema sintesi, il rischio – seriamente sperimentato da chi scrive – è quello di onerare in mo-do assolutamente non sostenibile i percettori di redditi da lavoro dipendente o similari e, per con-tro, di offrire un ulteriore e immeritato premio a coloro che possono occultare o mascherare le lo-ro reali condizioni patrimoniali.La separazione è, soprattutto nell’attuale contesto economico, una sicura iattura per gran parte del-le famiglie italiane: quel che la somma di due redditi modesti o non eclatanti consentiva (il pesodi un solo canone locatizio o di un solo mutuo fondiario; il pagamento delle utenze per un soloimmobile; l’economia domestica nella gestione della spesa alimentare; la gestione del tempo libe-ro e delle vacanze) diviene dall’oggi al domani materialmente impraticabile, perché alla divisionedelle entrate si sovrappone la duplicazione delle uscite.L’applicazione di un modello matematico può condurre, perciò, a conclusioni quasi aberranti pro-prio nelle situazioni reddituali medie o inferiori alla media: la somma di quanto appare necessarioper consentire ad un figlio minore la conservazione del precedente tenore di vita, anche in relazio-ne alle sue attuali esigenze, ha ad esempio condotto a computare in € 600,00 al mese il contribu-to di un padre percettore di un reddito pari a € 1.200,00 mensili, già onerato dei non indifferenticosti relativi al reperimento di una nuova soluzione abitativa.Compito del giudice è, invece, quello di contemperare i dati acquisiti al fascicolo processuale conle proprie conoscenze e la propria esperienza (non soltanto in campo giuridico), al fine precipuoe non eludibile di fornire alle parti una risposta improntata a criteri di giustizia: ove così non fos-se, il Tribunale potrebbe essere sostituito da un programma informatico, entro il quale gli interes-sati potrebbero convogliare i medesimi dati acquisiti al processo e ottenere risposte e valutazioniasettiche, indiscutibili e inoppugnabili, ma non per questo giuste.Ogni criterio è, di per sé, opinabile e perfettibile, ma solo la leale collaborazione dei soggetti delprocesso, nessuno escluso, unita all’esercizio misurato ma indefettibile della giurisdizione, posso-no consentire di ridurre al massimo i rischi di una decisione che interviene, comunque, in una si-tuazione di nuova sofferenza per alcune o per tutte le parti del giudizio.Questa è, in sintesi, la filosofia posta alla base delle Tabelle elaborate dal Tribunale di Monza.

Procedimento di separazione giudiziale

Ipotesi di coniugi senza figli

a) Qualora il coniuge richiedente non disponga di alcuna fonte di reddito, dovrà innanzitutto valu-tarsi se, eventualmente con il consenso dell’altro coniuge, sia possibile individuare un primocontributo nella assegnazione della casa coniugale.Come è noto, nell’attualità del nostro contesto territoriale la disponibilità di una abitazione (so-prattutto quando, come spesso accade, l’immobile sia di proprietà comune e non divisibile) puòessere equiparata ad un non indifferente contributo economico, quantomeno in termini di ri-sparmio degli esborsi necessari per il pagamento di onerosi canoni locatizi.Nel territorio della neonata provincia di Monza e Brianza, il canone di locazione di una abita-

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zione economica di medie dimensioni (2 o 3 locali, oltre servizi) è compreso tra € 500,00 ed €800,00 mensili, in relazione all’ubicazione dell’immobile.Avendo riferimento a situazioni reddituali medie (operaio/impiegato; € 1.200,00 / € 1.600,00mensili per 13 o 14 mensilità), in assenza di particolari altre condizioni valutative (ad esempio:proprietà immobiliari molteplici; depositi o conti correnti di non scarsa entità), la liquidazioneipotizzabile è la seguente:• con assegnazione della casa coniugale: assegno pari a circa 1/4 del reddito del coniuge ob-

bligato (cioè da € 300,00 a € 400,00 circa);• senza assegnazione della casa coniugale: assegno pari a circa 1/3 del reddito del coniuge

obbligato (cioè da € 400,00 a € 535,00 circa).Ovviamente, la percezione di mensilità aggiuntive oltre la 13a e di eventuali premi fissi annuali puòconsentire di integrare l’assegno in misura proporzionale e, comunque, ponderata.b) Qualora il coniuge richiedente l’assegno sia dotato di redditi propri non adeguati (come tali do-

vendosi intendere quelli che, pur sufficienti a garantire un minimo di autosufficienza economi-ca, non soddisfino l’esigenza di mantenere un tenore di vita ragionevolmente comparabile aquello precedente la rottura dell’unità coniugale), i criteri liquidativi sopra enucleati potrannotrovare applicazione operando, quale parametro di riferimento, sul differenziale di reddito tra iconiugi.Pertanto, nell’ipotesi spesso ricorrente di un coniuge con occupazione part-time produttiva diredditi modesti (es: € 600,00 mensili), la liquidazione dell’assegno potrà così essere effettuata:• con assegnazione della casa coniugale: 1/4 di € 1.200,00 (o € 1.600,00) - € 600,00;• senza assegnazione della casa coniugale: 1/3 di € 1.200,00 (o € 1.600,00) - € 600,00.

c) Le anzidette esemplificazioni possono trovare applicazione anche con riferimento a situazionidi reddito assai più elevate, peraltro spesso suscettibili di contemperamenti in relazione a possi-bili altre attribuzioni economico/patrimoniali.

Se, infatti, la stragrande maggioranza delle controversie riconducibili a situazioni reddituali medie(operaio/impiegato) appare accomunata da parametri non molto dissimili tra di loro, non altrettan-to può dirsi quanto ad altre condizioni professionali (professionista/commerciante/imprenditore).Innanzitutto, spesso discussa tra le parti è, in tali ipotesi, la reale condizione patrimoniale e reddi-tuale della parte destinataria della richiesta di mantenimento (e, talvolta, anche quella della parterichiedente). Il presidente, dunque, sarà chiamato ad operare una cognizione sommaria degli elementi valutati-vi offerti dalle parti attraverso le produzioni documentali e le dichiarazioni rese all’udienza, ondestabilire, innanzitutto, il tenore di vita pregresso dei coniugi e le loro attuali condizioni patrimonia-li e di reddito.Spesso tale valutazione impone il superamento delle sole evidenze documentali rappresentate dal-le dichiarazioni dei redditi, qualora in particolare queste ultime non appaiano in consonanza conaltri indicatori della ricchezza (ad esempio: il possesso di autovetture di grossa cilindrata, di cospi-cue disponibilità finanziarie, di un consistente patrimonio immobiliare, di avviate attività commer-ciali, professionali, aziendali).Dunque, il criterio della liquidazione di un assegno pari ad un quarto del presunto reddito dell’ob-bligato (in ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge richiedente) ovvero pari ad unterzo (in ipotesi di non assegnazione) potrà essere rispettato, previo opportuno contemperamentocon la complessiva regolazione delle altre situazioni patrimoniali evidenziate dalle risultanze pro-cessuali.

Ipotesi di coniugi con figli

Ferme restando le considerazioni e le distinzioni operate con riferimento all’assegnazione o menodella casa coniugale, va osservato che, peraltro, nella stragrande maggioranza dei casi l’abitazioneconiugale viene assegnata al coniuge affidatario dei figli minori.

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Appare opportuno, perciò, fornire alcuni elementi valutativi concernenti questa ipotesi maggior-mente ricorrente.Inoltre, deve premettersi che, normalmente, viene posto a carico del coniuge non affidatario an-che l’obbligo di contribuire nella misura del 50% al pagamento delle spese mediche e scolastichestraordinarie, di talché la regolamentazione provvisoria dell’assegno per il mantenimento dei figliimporrà al presidente l’adozione di criteri prudenziali ancor più strettamente collegati alle peculia-rità del caso concreto.Il Tribunale ha, inoltre, sovente valutato la possibilità di una ripartizione percentuale non paritaria(ad esempio 60% e 40% oppure 70% e 30%) delle spese straordinarie nelle ipotesi in cui sussistasproporzione tra i redditi dei genitoriPossono, dunque, essere indicativamente ipotizzate le seguenti situazioni:a) nel caso in cui al coniuge affidatario dei figli minori e assegnatario della casa coniugale non sia li-

quidato alcun assegno per il proprio mantenimento la liquidazione del contributo al manteni-mento dei figli, da porsi a carico dell’altro coniuge, potrà variare in relazione al numero dei be-neficiari.Nelle situazioni reddituali medie (operaio/impiegato: € 1.200,00/1.600,00 mensili per 13 o 14mensilità), in assenza di particolari altre condizioni valutative (ad esempio: proprietà immobi-liari molteplici; depositi o conti correnti di non scarsa entità), la liquidazione ipotizzabile, in re-lazione ai redditi dell’obbligato, è la seguente:• in presenza di un solo figlio: assegno pari al 25% circa del reddito (€ 300,00/€ 400,00);• in presenza di due figli: assegno pari a circa il 40% del reddito (€ 480,00/€ 640,00);• in presenza di tre figli: assegno pari al 50% circa del reddito (€ 600,00/€ 800,00).

b) Nel caso in cui al coniuge affidatario dei figli minori ed assegnatario della casa coniugale sia liqui-dato un assegno per il proprio mantenimento, nelle situazioni reddituali medie i criteri liquida-tivi sopra ipotizzati dovranno essere opportunamente contemperati alla opportunità di salva-guardare le esigenze di vita del coniuge obbligato (spesso chiamato ad esborsi per il reperimen-to di una abitazione).La liquidazione, pertanto, potrà essere effettuata con riferimento ai seguenti parametri:• in presenza di un solo figlio: assegno pari ad 1/5 circa del reddito (€ 240,00/€ 320,00);• in presenza di due figli assegno pari a circa 1/3 del reddito (€ 400,00/€ 535,00);• in presenza di tre figli: assegno pari a 2/5 circa del reddito (€ 480,00/€ 640,00).Naturalmente, tali parametri dovranno essere opportunamente variati con specifico riferimentoalla misura dell’assegno liquidato per il mantenimento del coniuge affidatario dei figli.

c) Le anzidette esemplificazioni possono considerarsi applicabili, in linea di principio, anche a si-tuazioni di reddito assai più elevate, peraltro spesso suscettibili di contemperamenti in relazionea possibili altre attribuzioni economico/patrimoniali.

Ovviamente, ribadite le maggiori difficoltà di accertamento anche sommario delle reali condizionireddituali dei coniugi, una maggiore presunta disponibilità economico/patrimoniale dell’obbligatoconsentirà valutazioni e liquidazioni meno uniformi ma sostanzialmente più congrue, soprattuttoin considerazione della possibilità di garantire ai figli forme indirette di mantenimento (quali, adesempio: rette scolastiche private; attività integrative; viaggi, vacanze e tempo libero; garanzie as-sicurative) non sempre quantificabili in modo rigido e aprioristico.

Procedimento di divorzio

Le regole e i criteri sopra sinteticamente enucleati possono trovare, come è ovvio, applicazione an-che nella procedura divorzile.È opportuno, peraltro, formulare alcune considerazioni strettamente collegate alle residue differen-ze (procedurali e sostanziali) tra gli istituti giuridici della separazione e del divorzio.In particolare, il giudicante non potrà, neppure in sede di provvedimenti provvisori presidenziali,

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non rammentare la differente regolazione dell’assegno di mantenimento fornita dall’art. 5 legge898/70 rispetto all’art. 156 c.c.Inoltre, deve considerarsi che molto spesso l’udienza presidenziale di divorzio trae origine da unapregressa separazione consensuale ovvero da una sentenza di separazione giudiziale pronunziatain epoca non molto lontana e, pertanto, ancora di estrema “attualità”.È giocoforza, quindi, che il presidente debba, nella stragrande maggioranza di tali ipotesi, confer-mare in via provvisoria la regolamentazione dei rapporti di mantenimento tra i coniugi già operata(dagli stessi consensualmente o dal Tribunale in sede di sentenza) nella procedura di separazione.In tema di rapporti tra assegno divorzile e assegno di mantenimento stabilito in sede di separazio-ne, la Suprema Corte ha stabilito: • che “la determinazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni patrimoniali ope-

ranti in vigenza di separazione”4;• che gli assetti patrimoniali definiti in sede di separazione dei coniugi al più possono fungere da

“mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili di valu-tazione”5.

La stessa Corte di Cassazione ha, altresì, affermato che “la determinazione dell’assegno di divorzio,alla stregua dell’art. 5 della Legge 1 dicembre 1970 n. 898, modificato dall’art. 10 l. 6 marzo 1987n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù didecisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché data la diversità delle disciplinesostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situa-zioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento delmatrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convi-venza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio”6.Ovviamente, il giudicante terrà nel debito conto qualsivoglia modificazione significativa della situa-zione economica e patrimoniale dei coniugi, pur nella consapevolezza della peculiarità della natu-ra giuridica (in parte alimentare, in parte risarcitoria) dell’assegno previsto dall’art. 5 legge 898/70e, pertanto, della necessità di una più completa verifica, in sede contenziosa, dei presupposti ne-cessari ai fini della sua liquidazione, che solo la fase istruttoria del giudizio di merito può offrire.I criteri di liquidazione dell’assegno di mantenimento dei figli possono, invece, considerarsi in tut-to identici a quelli già enunziati con riferimento alla procedura di separazione.

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4 Vedansi Cass. 28.01.2008, n. 1758 e Cass. 30.11.1997, n. 25010.5 Vedasi Cass. 11.09.2001, n. 11575.6 Cass. 11.09.2001, n. 11575; Cass. n. 593/2008; Cass. 28.01.2008, n. 1578; Cass. 2.07.2007, n. 14965; Cass. 12.07.2007, n. 15610;Cass. n. 4764/2007; Cass. n. 4021/2006.

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1. Premessa

Il programma di calcolo dell’assegno di mantenimento ideato presso il Tribunale di Cagliari si pro-pone lo scopo di rendere espliciti i meccanismi logico-giuridici utilizzabili nella decisione giudizia-ria e semplificare i procedimenti di calcolo. Preliminarmente, occorre osservare come nel meccanismo di calcolo, oltre alla difficoltà di attribui-re ai diversi fattori un valore matematico, un ulteriore elemento di complessità sia rappresentatodalla loro variabilità, così come si riscontra comunemente in tutti i procedimenti di liquidazione. In presenza di situazioni disomogenee, come avviene ad esempio qualora questioni economichesi rapportino a questioni personali (l’affidamento dei figli o l’assegnazione della casa coniugale),occorre, infatti, giungere ad una personalizzazione del risultato adeguando continuamente anche imeccanismi di liquidazione.Nonostante tali difficoltà, la prevedibilità della decisione secondo uno standard adeguabile al casoconcreto rappresenta un obiettivo indifferibile in ragione del suo effetto deflativo e di attenuazio-ne della conflittualità anche con riguardo ai profili personali1. Peraltro, anche a prescindere da tale finalità, al giudice spetta comunque l’obbligo di esplicitare erendere comprensibile l’iter logico-giuridico che è stato seguito nella decisione.In ogni caso, la difficoltà di arrivare a tale risultato può essere temperata da una riflessione sul da-to normativo e da una sua puntuale interpretazione. In tale attività interpretativa occorre, in primo luogo, individuare i valori coinvolti e le scelte ope-rate dal legislatore e dalla giurisprudenza.La prima scelta di valore viene operata attraverso la differente valutazione del principio di solida-rietà nei giudizi di separazione e di divorzio.Infatti, essendo diversa la disciplina, natura, finalità dei relativi giudizi, nella separazione vi è la ten-denza a conservare il più possibile gli effetti del matrimonio che siano compatibili con la cessazio-ne della convivenza2, mentre nel giudizio di divorzio è marcata l’esigenza di evitare quelle posizio-ni ingiustificatamente privilegiate (le cosiddette rendite parassitarie) e bilanciare tale esigenza conla tutela del soggetto economicamente più debole.L’importanza di porre in premessa tale scelta di valore è rappresentata dalla convinzione che neigiudizi di separazione e di divorzio possa essere adottato un medesimo criterio logico-matematico

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1 Tale esigenza è stata riscontrata anche da una ricerca sulle prassi dei vari uffici giudiziari: cfr. Le prassi giudiziali nei proce-dimenti di separazione e divorzio, a cura del CSM, Torino 2007.2 Ad esempio gli accordi matrimoniali in merito al tenore di vita o alle attività svolte dai coniugi, Cass. sez. I, n. 555/2004.

VANTAGGI E LIMITI NELL’UTILIZZO DI UN PROGRAMMA DI CALCOLO DELL’ASSEGNODI MANTENIMENTO. LA PRASSI DEL TRIBUNALE DI CAGLIARI

Giorgio LattiMagistrato, Tribunale civile di Cagliari, Sezione Famiglia

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nella determinazione dell’assegno, il cui risultato debba successivamente essere personalizzato confattori di moderazione che operano differentemente nelle due fasi della separazione e del divorzio3.Nella giurisprudenza della Suprema Corte appaiono infatti suscettibili di essere valutate differente-mente nei due giudizi, a titolo di esempio, le potenzialità reddituali dei coniugi4.Un ulteriore profilo di differenziazione è ravvisabile, come vedremo, nella differente valutazionedell’assegno per i figli e per il coniuge, avendo la giurisprudenza chiarito come, in relazione ai fi-gli, il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, siacostituito, secondo il disposto dell’art. 148 c.c., non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capa-cità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, ciò che implica una valorizzazione an-che delle accertate potenzialità reddituali5.Nella determinazione del quantum dell’assegno per il coniuge, invece, il giudice deve tener con-to anche delle ripercussioni sul piano reddituale della legittima scelta personale del coniuge obbli-gato al mantenimento di cessare l’attività professionale6.Così, anche la convivenza more uxorio (che il genitore presso il quale dimorano prevalentementei figli abbia iniziato successivamente alla separazione) non viene ritenuta idonea ad incidere nelladeterminazione dell’assegno di mantenimento del figlio minore, anche se il terzo convivente con-tribuisce alle spese di mantenimento del minore7; a differenza di quanto avviene con riguardo al-la misura dell’assegno per il coniuge qualora si dia la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, cheessa – pur se non assistita da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto consolidata e protraente-si nel tempo – influisca in melius sulle condizioni economiche dell’avente diritto8.

2. Il criterio dell’equilibrio economico

Posta questa premessa, svolgendo un sintetico esame delle due discipline al fine di rendere espli-cito il criterio utilizzato nel programma di calcolo, si può rilevare come la norma riconosca nellaseparazione il diritto del coniuge di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mante-nimento, qualora non abbia adeguati redditi propri, in forza del vincolo di solidarietà morale e ma-teriale che ancora unisce i coniugi. È pacifico in giurisprudenza come l’adeguatezza dei redditi sia riferita al tenore di vita analogo aquello di cui si godeva in costanza di matrimonio. Il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi du-rante il matrimonio, non assumendo rilievo il più modesto tenore di vita subito o tollerato, e vaidentificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso del-le risorse economiche dei coniugi9.

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3 Per una differente determinazione dell’assegno tra il giudizio di separazione e di divorzio vedi anche Rimini, La tutela del co-niuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze compensative, in Famiglia e diritto, 4/2008, 427.4 Sulle potenzialità reddituali cfr. Cass. n. 25010/2007; la durata del matrimonio e il contributo apportato da un coniuge allaformazione del patrimonio dell’altro coniuge, ovvero di quello comune, rappresentano secondo la giurisprudenza parametri uti-lizzabili in occasione della quantificazione dell’assegno divorzile e non possono valere al fine di escludere la spettanza dell’asse-gno di mantenimento in caso di separazione personale, essendo tuttavia siffatti elementi valutabili in quest’ultima sede, ai sensidell’art. 156, secondo comma, c.c., allo scopo di stabilire l’importo di detto assegno (Cass. sez. I, n. 20638/2004).5 Cass. sez. I, n. 3974/2002; n. 6197/2005.6 Cass. sez. I, n. 4800/2002.7 Cass. sez. I, n. 17043/2007.8 Seppure limitatamente a quella parte dell’assegno di divorzio che, in relazione alle condizioni economiche dell’avente dirit-to, sono destinati ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l’art. 5 della leg-ge sul divorzio ha inteso tutelare finché questi non contragga un nuovo matrimonio: Cass. n. 24056/2006.9 Cass. sez. I, n. 20638/2004 e n. 5061/2006.

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La conservazione del precedente tenore di vita da parte del coniuge beneficiario dell’assegno e deifigli, tuttavia, costituisce un obiettivo solo tendenziale, poiché quasi mai la separazione ne consen-te la piena realizzazione anche per i mancati risparmi connessi a consuetudini di vita in comune:quindi l’obiettivo della conservazione del medesimo tenore di vita va perseguito nei limiti consen-titi dalle condizioni economiche10. Nell’ipotesi in cui l’analogo tenore di vita non possa essere rag-giunto dai coniugi, bisogna verificare se vi sia una disparità di redditi11 tra i due e determinare l’as-segno più idoneo per raggiungere un equilibrio economico.Con riguardo al giudizio di divorzio, l’assegno può essere attribuito quando un coniuge non abbiamezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive12, cosicché deve essereripristinato un equilibrio economico tra i due coniugi.Le Sezioni unite13 già vent’anni fa evidenziavano il problema del bilanciamento tra la necessità dievitare rendite economiche ingiustificate in un rapporto oramai sciolto e la tutela del coniuge de-bole. Sulla scia di quella giurisprudenza si procede ad un accertamento bifasico: nella prima faseil tenore di vita analogo e l’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati sono diretti a verificare l’esi-stenza del diritto in astratto; nella seconda fase, il giudice deve procedere alla determinazione inconcreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nell’art. 5comma 6 legge divorzile, criteri, quindi, che agiscono come fattori di moderazione e diminuzionedella somma considerata in astratto.Da questo sommario esame dei presupposti dell’assegno di separazione e di divorzio si può desu-mere come il criterio logico per accertare la sussistenza del diritto sia il concetto di tenore di vitagoduto in costanza di matrimonio.Per i redditi medio bassi il tenore di vita può essere desunto dalle potenzialità economiche dei co-niugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle disponibilità patrimoniali14, in quan-to sulla base delle statistiche sulla propensione al consumo delle famiglie italiane15 è presumibileche tutti i redditi vengano destinati al consumo. L’indicatore del tenore di vita è quindi rappresentato in queste ipotesi dal reddito16, cosicché, nel-l’ipotesi di un’apprezzabile disparità di redditi tra i coniugi, si può desumere che il coniuge eco-nomicamente più debole non sia titolare di mezzi adeguati a mantenere il tenore di vita preceden-te e sia necessario ripristinare un equilibrio economico tra i due nuclei familiari che si formano aseguito della separazione.In conclusione, analizzando il concetto di tenore di vita desumiamo che il criterio logico-matema-tico da utilizzare nella prima fase di liquidazione dell’assegno è quello dell’equilibrio economico,che si raggiunge mediante la divisione del reddito netto17. Sulla base di tale criterio, nel programma di calcolo, sviluppato in ambiente Excel, occorre in pri-mo luogo inserire i dati relativi al reddito percepito dai due coniugi.

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FOCUS

10 Cass. n. 14707/2003.11 Si vedrà come nella determinazione dell’assegno oltre al reddito vengono prese in considerazione anche diverse circostanze,elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibi-li di incidere sulle condizioni economiche delle parti.12 Anche in tale fase è pacifico che l’inadeguatezza dei mezzi sia riferita al tenore di vita analogo a quello goduto in costanzadi matrimonio.13 Cass. sez. un. n. 11490/1990.14 Cfr. Cass. sez. I, n. 15610 del 12.07.2007.15 Vedi sul sito Istat la statistica I consumi delle famiglie (anno 2007)http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20080708_00/testointegrale20080708.pdf16 Per i redditi elevati (che si può presumere superiori a 8.000-10.000 euro complessivi per i due nuclei familiari) occorrerà ac-certare la spesa necessaria per mantenere il precedente tenore di vita e, quindi, si può sostenere che l’indicatore del tenore di vi-ta sia rappresentato dalla spesa.17 Anche con riguardo al mantenimento dei figli il criterio corretto da utilizzare nella determinazione del contributo appare quel-lo della proporzionalità al proprio reddito, considerando che deve essere anch’esso quantificato considerando le sue esigenze inrapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse e i redditi di costoro (Cass. sez. I,n. 9915/2007).

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3. La valutazione del reddito

È opportuno, al riguardo, svolgere alcune precisazioni in ordine alla valutazione del reddito, conciò intendendo non la modalità di assunzione del mezzo probatorio quanto la valutazione del da-to probatorio già acquisito. Il termine reddito è riferito non solo al denaro ma anche a tutte le altre utilità differenti dal dena-ro, purché suscettibili di una valutazione economica.È pacifico che non si richieda una valutazione aritmetica dei redditi ma solo un’analisi volta ad ac-certarne l’ammontare complessivo approssimativo, un’attendibile ricostruzione delle situazioni eco-nomiche di entrambi i coniugi18.Laddove si parta dalla valutazione delle dichiarazioni fiscali19, appare opportuno considerare il red-dito complessivo, in luogo di quello imponibile, dovendosi osservare, sul punto, come il legislato-re, nell’attribuzione delle deduzioni, svolga valutazioni di politica fiscale differenti rispetto alla fi-nalità del giudice della separazione20.La valutazione del reddito imponibile esporrebbe inoltre l’interprete al rischio di duplicare le valu-tazioni di alcuni oneri, come il mutuo contratto per l’acquisto della casa, che verrebbero prese inconsiderazione sia sotto mediante il calcolo della detrazione fiscale sia nella determinazione deglioneri documentati dal coniuge.

Reddito ultimo periodo

Nel reddito da fabbricati e da terreni non dovrà essere considerato quello catastale o fondiario,qualora il numero e il valore degli immobili sia apprezzabile, bensì dovrà essere svolta una valu-tazione del valore di mercato ovvero del reddito da locazione21.Con riguardo al reddito da lavoro autonomo o di impresa individuale o societaria occorre valuta-re l’eventualità di condotte elusive (imputazione tra i costi di spese personali; ricavi inferiori a quel-li effettivi; per le società il valore effettivo della quota potrebbe essere superiore a quello nomina-le) anche mediante meccanismi presuntivi, ricorrendo a indici analoghi a quelli calcolati dagli stu-

Obbligato Richiedente

reddito complessivo reddito complessivo

imposta netta imposta netta

addizionali regionali addizionali regionali

addizionali comunali addizionali comunali

contributi previdenziali contributi previdenziali

€ 0,00 € 0,00 reddito mensile netto

€ 0,00 Totale

1. Scheda di detrazione degli oneri fiscali

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AIAF RIVISTA 2009/2 • maggio-agosto 2009

18 Cass. sez. I, n. 19291/2005; n. 25618/2007; n. 9878 del 28.04.2006; n. 3974 del 19.03.2002; n. 2583 del 09.03.1998. 19 Qualora si tratti di redditi variabili negli anni, il programma consente il calcolo del reddito degli ultimi tre periodi di imposta.20 Ad esempio vengono previste detrazioni per liberalità alle onlus che, per quanto degne di apprezzamento, il giudice dellaseparazione non può tenere in considerazione poiché prevalgono le esigenze di mantenimento dei figli.21 Se i beni immobili sono improduttivi di redditi ma suscettibili di alienazione, essi devono essere considerati nella separazio-ne (Cass. n. 7630/97) e nella comparazione con le esigenze di mantenimento dei figli, ma non altrettanto nel giudizio di divorzio.

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di di settore dall’Agenzia delle entrate, fatta salva per il coniuge, così come per il contribuente, lapossibilità di giustificare redditi non congrui22.Sebbene la giurisprudenza abbia talvolta attribuito un valore locativo all’assegnazione della casaconiugale23, tale opzione dovrà essere valutata attentamente al fine di evitare palesi iniquità, essen-do pacifico che l’assegnazione non rappresenti un privilegio per il genitore assegnatario, bensì ven-ga stabilita a salvaguardia dell’habitat domestico ed a tutela dei figli.Dal reddito complessivo devono essere detratti gli oneri fiscali, quali l’imposta netta, le addiziona-li, l’Irap e i contributi previdenziali; successivamente gli ulteriori oneri sostenuti e documentati, co-me, ad esempio, gli oneri di mutuo o di locazione, qualora imputabili ad esigenze della famigliaovvero resi necessari in conseguenza dell’interruzione della convivenza (ad esempio il finanzia-mento contratto per l’acquisto di nuovi mobili). Si ritiene opportuno che, salvo diverso accordo, gli oneri di mutuo per l’acquisto della casa coniu-gale debbano essere suddivisi per metà, in conformità alla disciplina della comunione, considera-ta la difficoltà, altrimenti, di regolare i reciproci rapporti di debito e credito in sede di scioglimen-to della comunione.

4. Applicazione della scala di equivalenza

Accertato in tal modo il reddito netto dei due coniugi ridotto degli oneri sostenuti, al fine di per-venire ad una corretta divisione del reddito nell’ipotesi in cui i figli convivano prevalentemente conuno dei genitori e sussista quindi una differente composizione dei due nuclei che si formano a se-guito della frattura familiare, è opportuno applicare una scala di equivalenza che permetta di rap-presentare i minori oneri dovuti alle economie di convivenza tra più componenti24.Applicando una scala di equivalenza di tipo soggettivo (che utilizza cioè coefficienti stabiliti dal-l’operatore), come la scala Ocse, attualmente impiegata dall’Istat e da Eurostat per il calcolo degliindicatori di disuguaglianza compresi nelle statistiche ufficiali dell’Unione europea25, appare corret-to procedere ad una lieve modifica in ragione del maggior peso che nel formarsi dei due nucleifamiliari a seguito di una separazione personale assume il coniuge con il carico genitoriale preva-lente26.

Obbligato Richiedente

oneri di mutuo ipotecario oneri di mutuo ipotecario

oneri di locazione oneri di locazione

oneri di mutuo oneri di mutuo

oneri di produzione del reddito oneri di produzione del reddito

€ 0,00 € 0,00

€ 0,00

2. Scheda di calcolo degli oneri sostenuti nell’interesse della famiglia

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FOCUS

22 Vedi http://www.agenziaentrate.it/ilwwcm/connect/Nsi/Strumenti/Studi+di+settore/23 Cass. sez I, n. 5443/98.24 La divisione del reddito familiare semplicemente per il numero di componenti non condurrebbe ad un risultato equo consi-derato che i costi di una famiglia non sono perfettamente proporzionali al numero di componenti. 25 Vedi il sito: www.istat.it/dati/dataset26 Lasciando immutato il coefficiente 1 per il primo adulto, si ritiene opportuno inserire il coefficiente 0,7 (in luogo del coefficien-te 0,5 utilizzato dalla scala Ocse) per ogni componente maggiore di 14 anni e 0,5 (in luogo di 0,3) per ogni minore di 14 anni.

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La somma del reddito netto dei due coniugi dovrà, quindi, essere divisa per la somma dei coeffi-cienti individuali e si otterrà il valore della quota individuale, che verrà successivamente moltipli-cata per i coefficienti di ciascun nucleo familiare.

Ponendo ad esempio un nucleo familiare composto da due coniugi e un figlio minore di 14 anni,se a seguito della separazione il figlio avrà la permanenza prevalente presso uno dei genitori, siavranno due nuclei con il coefficiente rispettivamente di 1 e di 1,5, per un totale di 2,5. Se la somma dei redditi netti dei due coniugi è pari, sempre a titolo di esempio, a 1.000 euro men-sili (800 euro un coniuge e 200 euro l’altro coniuge che ha il carico genitoriale prevalente), avre-mo il valore di una quota pari a 400 euro (1.000/2,5).Pertanto al coniuge che ha il carico genitoriale prevalente, con il coefficiente di 1,5, spetterà unreddito “equivalente” di 600 euro (400*1,5), mentre all’altro coniuge un reddito di 400 euro.Poiché il coniuge richiedente (con il carico genitoriale prevalente) già percepiva un reddito pro-prio di 200 euro, l’assegno dovrà essere calcolato in 400 euro, di cui 200 euro a titolo di propriomantenimento e 200 euro a titolo di mantenimento del figlio.

5. I fattori di moderazione

Una volta raggiunto l’equilibrio economico attraverso l’applicazione della scala di equivalenza, lequote così attribuite possono variare in relazione alle circostanze prese in considerazione dall’art.156 2° co., nel giudizio di separazione e dall’art. 5 della legge divorzile.

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componenti nucleo

componenti famiglia obbligato

capo famiglia

maggiore di 14 anni

minore di 14 anni

totale quote figli

0

totale quote nucleo familiare

1

componenti famiglia richiedente

capo famiglia

maggiore di 14 anni

minore di 14 anni

totale quote figli

0

totale quote nucleo familiare

1

numero di quote complessive

2

valore quota

0,00

3. Scheda di applicazione della scala di equivalenza

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Altre circostanze

(percentuale) aumento assegno diminuzione assegno

capacità lavorativa

potenzialità reddituali e patrimoniali

contributi familiari

nuova famiglia

ragioni della decisione

contributo personale ed economico

durata del matrimonio

0,00% 0,00%

0,00%

4. Scheda relativa ai fattori di moderazione (percentuale)

Peraltro, abbiamo già visto in premessa come tali fattori di moderazione operino in modo differen-te nella determinazione dell’assegno per i figli e per il coniuge. La giurisprudenza ha, ad esempio, chiarito come, in relazione ai figli, debbano essere valorizzatele accertate potenzialità lavorative, purché non vengano svolte mere valutazioni astratte e ipoteti-che27 ma vengano considerate la situazione del mercato del lavoro del luogo in cui vive il coniu-ge, l’esperienza lavorativa o professionale pregressa, il tempo intercorso dall’ultima prestazione dilavoro, il lavoro casalingo nella cura e crescita dei figli.Sulla base di tali criteri, il giudice non dovrà limitarsi alla constatazione dell’inattività lavorativa,bensì richiamare l’attitudine concreta del coniuge al lavoro, mediante meccanismi presuntivi28.Nella determinazione del quantum dell’assegno per il coniuge, invece, si è ritenuto che possa es-sere considerata legittima la scelta personale del coniuge obbligato al mantenimento di cessare l’at-tività professionale29.Così, anche la convivenza more uxorio del coniuge separato e divorziato con una terza personanon viene ritenuta idonea ad incidere nella determinazione dell’assegno di mantenimento del fi-glio minore, anche se il terzo convivente contribuisce alle spese di mantenimento del minore30; adifferenza di quanto avviene con riguardo alla misura dell’assegno per il coniuge qualora si dia laprova, da parte dell’ex coniuge onerato, che essa – pur se non assistita da garanzie giuridiche distabilità, ma di fatto consolidata e protraentesi nel tempo – influisca in melius sulle condizioni eco-nomiche dell’avente diritto31.Nella determinazione del contributo economico per i figli concorrono ulteriori circostanze quali leattuali esigenze del figlio; i tempi di permanenza presso ciascun genitore; la valenza economica deicompiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

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FOCUS

27 Cass. sez. I, n. 18547 del 25.08.2006; n. 3838 del 22.02.2006; n. 12121 del 02.07.2004; n. 13169 del 16.07.2004.28 Sez. I, sentenza n. 13169 del 16.07.2004.29 Vedi giurisprudenza citata alla nota 6. 30 Cass. sez. I, n. 17043 del 03.08.2007; vedi in ordine alla nuova famiglia dell’obbligato, Cass. sez. I, n. 15065 del 22.11.2000:“La costituzione di un nuovo nucleo familiare da parte dell’obbligato è espressione di una scelta e non di una necessità e lasciainalterata la consistenza degli obblighi nei confronti della prole”.31 Seppure limitatamente a quella parte dell’assegno di divorzio che, in relazione alle condizioni economiche dell’avente dirit-to, sono destinati ad assicurargli quelle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l’art. 5 della leg-ge sul divorzio ha inteso tutelare finché questi non contragga un nuovo matrimonio Cass. n. 24056/2006.

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accudimento dei figli da parte dell’obbligato (giorni della settimana)

0,00%

5. Scheda di calcolo del fattore di moderazione rappresentato dall’accudimento dei figli

Qualora l’assegno debba essere determinato solo a titolo di mantenimento del coniuge, i fattori dimoderazione hanno un’incidenza diversa nel giudizio di separazione e di divorzio in ragione del-la scelta di valore ricordata in premessa e cioè della tendenza nella separazione a conservare il piùpossibile gli effetti del matrimonio e l’esigenza nel giudizio di divorzio di evitare posizioni econo-miche vantaggiose non più giustificate32.Le scelte soggettive con le quali il coniuge obbligato si risolve a non proseguire l’attività professio-nale, pertanto, potrebbero essere considerate legittime nel giudizio di divorzio, così come nel giu-dizio di divorzio potrebbe presumersi, valutati i fattori oggettivi sopra ricordati33, l’inserimento delconiuge richiedente nel mercato del lavoro. Infine, in un’ottica risarcitoria, le ragioni della decisione – intese con riguardo ai comportamentiche hanno cagionato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia – potranno es-sere prese in considerazione dal giudice, unitamente a tutti gli altri elementi indicati nell’art. 5, se-sto comma, della legge 1 dicembre 1970 n. 898, soltanto nella fase della concreta determinazionedella misura dell’assegno divorzile, come criterio di moderazione dell’ammontare del medesimo34.

6. Conclusioni

Riepilogando il meccanismo di liquidazione dell’assegno qui descritto, nella prima fase della liqui-dazione dell’assegno si procede ad una suddivisione del reddito tale da ripristinare un equilibrioeconomico tra i nuclei familiari formatisi a seguito della separazione.A questa prima fase svolta sulla base di criteri standardizzati e predeterminati segue una secondafase di liquidazione diretta a personalizzare il risultato raggiunto tenendo conto delle circostanzedel caso concreto.

€ 0,00 costo totale di mantenimento figli

€ 0,00 assegno coniuge e figli

€ 0,00 assegno figli

€ 0,00 assegno coniuge

6. Scheda di riepilogo della liquidazione

Appare, tuttavia, evidente, sin da questo sintetico esame del meccanismo di calcolo, come la per-sonalizzazione del risultato presupponga sempre l’intervento discrezionale del giudice e l’attivitàdell’interprete debba continuamente adeguare la base di calcolo, determinata secondo il criteriodell’equilibrio economico, con le variabili del caso concreto.

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32 Cfr. Rimini, op cit., 425.33 La situazione del mercato del lavoro del luogo in cui vive il coniuge, l’esperienza lavorativa o professionale pregressa, il tem-po intercorso dall’ultima prestazione di lavoro, il lavoro casalingo nella cura e crescita dei figli.34 Cass. Sez. 1, sentenza n. 12382 dell’11.06.2005; n. 2872 del 24.03.1994; vedi anche Rimini, op. cit., 425.

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Premessa

Quando una persona decide di separarsi o si trova a subire la separazione voluta dal coniuge, sirende conto, spesso, che poco sa della situazione economica dell’altro.Meno ancora sa quando incomincia il procedimento di divorzio.Ed è evidente che, in entrambi i casi, avrebbe uno spiccato interesse a conoscerla a fondo e a po-terla documentare.

1. La disciplina legislativa nella separazione e nel divorzio

Com’è noto, in materia di separazione, l’art. 155 c.c., comma 6, così come modificato dalla legge54/2006, presuppone che già nella fase presidenziale questa situazione debba emergere documen-talmente.La norma appena citata, infatti, stabilisce che “Ove le informazioni di carattere economico fornitedai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento dellapolizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti di-versi”.La disposizione è un po’ bizzarra: stando al dato letterale riguarda infatti soltanto i coniugi con pro-le, i “genitori” appunto, ma è anche oscura e incompleta: quali informazioni debbano essere for-nite e documentate il legislatore infatti non dice.In ipotesi di divorzio, una disposizione almeno un po’ più precisa (art. 5, comma 9, l. 898/1970)prevede : “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la di-chiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimo-nio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui pa-trimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”.Neppure questa disposizione, però, indica esattamente che cosa dev’essere prodotto e in relazio-ne a che periodo: sicuramente la dichiarazione Irpef, se le parti sono tenute a presentare questadichiarazione o il Cud, se esiste e le parti non sono tenute alla dichiarazione Irpef, ma la dichiara-zione Ici, le dichiarazioni Irpeg, gli avvisi di rettifica, le eventuali domande di condono devono es-sere prodotte e, se sì, per quanti anni?Ma, soprattutto, la disposizione non dice chi deve produrre, né prevede delle sanzioni per l’ipote-si che l’onere di produzione non venga assolto.L’interpretazione più diffusa, forse unanime, è che ciascuno debba produrre le dichiarazioni che loriguardano.Ma è un’interpretazione non del tutto appagante.Il criterio di distribuzione dell’onere probatorio nel nostro ordinamento, efficacemente condensato

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FOCUS

GLI STRUMENTI PER CONOSCERE LA SITUAZIONE FISCALE DELL’ALTRO CONIUGE

Gaudenzia BrunelloAvvocato, Foro di Treviso

Giovanna TonelloPraticante avvocato, Treviso

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nel broccardo “onus probandi incumbit ei qui dicit”, ne risulterebbe irrimediabilmente travolto.Vero è che in materia di famiglia il principio dispositivo talvolta cede il passo ad un sistema inqui-sitorio, ad evitare che diritti irrinunciabili delle parti o dei figli possano essere sacrificati perché chiha agito in giudizio non ha saputo avvalersi degli strumenti processuali di cui poteva disporre. Maneppure in questa ottica si giustifica un obbligo alla parte di produzione di documentazione chepotrebbe ritenere a sé sfavorevole e neppure correlare questo obbligo al dovere di lealtà e corret-tezza processuale, previsto dall’art 88 c.p.c., appare una soluzione interpretativa solida e rassicu-rante.In realtà l’idea che gli artt. 155 c.c. e 5 legge 898/70 impongano una distribuzione anomala del-l’onere probatorio sembra discendere, più che dalla convinzione che il legislatore abbia derogatoal principio dispositivo, da quella che, in pratica, solo la parte che ha effettuato la dichiarazionedei redditi possa disporne e che l’altra non abbia strumenti per procurarsi una dichiarazione chenon gli sia messa volontariamente a disposizione dal coniuge.Ma è proprio vero?

2. È possibile la richiesta di copia della dichiarazione dei redditi all’Agenzia delle Entrate?

Esiste la possibilità per un coniuge di rivolgersi all’Agenzia delle Entrate1 e ottenere informazionisulla situazione fiscale dell’altro coniuge e, magari, copia dei documenti custoditi, in primis delledichiarazioni dei redditi?È chiaro che una risposta affermativa avrebbe una rilevanza pratica che non si esaurisce certo nel-la valutazione concernente la distribuzione dell’onere della prova di un procedimento in corso.Sarebbe consentito alla parte, ad esempio, di valutare preventivamente le richieste da formulare invista di una separazione consensuale, di accertare la corrispondenza della dichiarazione eventual-mente messa a disposizione dal coniuge rispetto a quella inoltrata all’Amministrazione finanziaria,di conoscere l’eventuale esistenza di dichiarazioni integrative, avvisi di rettifica, domande di con-dono... Senza dire che in tutte le ipotesi in cui una delle parti non depositi nulla spontaneamente e il giu-dice rimanga inerte, l’altro coniuge avrebbe almeno la possibilità di procurarsi da sé i dati che lacontroparte non ha interesse a far emergere.Attingere ai dati di cui dispone l’Agenzia delle Entrate significherebbe poter attingere, di fatto, al-l’Anagrafe tributaria, cioè alla più grande banca dati italiana. L’Anagrafe tributaria è, infatti, il risultato di un imponente sistema di raccolta di dati e informazio-ni avviato dal Ministero delle Finanze a partire dal 19772 e gestito per il tramite della società con-cessionaria Sogei spa (sicché, al fine del trattamento dei dati, Sogei è la “responsabile”, mentre “ti-tolare” rimane l’Amministrazione finanziaria). Secondo una fonte la cui attendibilità non siamo perla verità in grado di valutare3, all’Anagrafe tributaria sono connessi, oltre all’Agenzia delle Entratecon i suoi 36.000 dipendenti, 450 enti esterni (tra cui Inps, Inail, Banche, Poste Italiane), le Regio-ni, 5.700 Comuni e 150.000 soggetti intermediari e grandi imprese, per un totale che sfiora il mi-lione di utenti. Annualmente vengono elaborati 200 milioni di documenti e sono ricevute circa 43milioni di dichiarazioni dei redditi e altri documenti rilevanti ai fini fiscali.Una lettura delle disposizioni sulla “trasparenza amministrativa” sembra fornire una risposta rassi-curante al coniuge che desideri copia della dichiarazione dei redditi dell’altro.

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1 L’Agenzia delle Entrate è, com’è noto, l’ente pubblico non economico che si occupa della gestione, dell’accertamento e delcontenzioso fiscale. Dotata di autonomia regolamentare, amministrativa, organizzativa, contabile e finanziaria, è sottoposta alla vi-gilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze. È operativa dal 1° gennaio 2001, a seguito del d. l.gs. 30 luglio 1999 n. 300,(riforma Bassanini sull’organizzazione del Governo).2 I Ministeri economici vengono “accorpati,” come si ricorderà, nel 2001 (ancora con la riforma Bassanini), sicché da allora ilMinistero è “dell’Economia e delle Finanze”. 3 E cioè Wikipedia.

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Le informazioni fiscali, infatti, non sembrano poter rientrare in alcuna delle ipotesi per le quali l’art.24, comma 1, l. n. 241/19904 prevede l’esclusione dal diritto di accesso e, comunque, il comma VIIdello stesso articolo prevede che debba essere in ogni caso garantito ai richiedenti l’accesso a queidocumenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”5.Al più si dovrebbe porre il problema della tutela del “controinteressato”, cioè del soggetto che –per esprimersi con l’art. 22, comma 1, lett c della l. 241/90, introdotto dalla l. 80/05 – “dall’eserci-zio dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto alla riservatezza”6.A tal proposito va chiarito che, se nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale antecedente allal. n° 80 del 2005 la figura del controinteressato aveva una portata esclusivamente processuale (laparte a cui nel giudizio amministrativo in materia di accesso era necessario notificare il ricorso),più di recente si è sostenuto che ha anche una valenza sostanziale.Quanto appena osservato porta a ritenere sussistente, se non proprio l’obbligo dell’istante di invia-re la richiesta di accesso anche al controinteressato, quanto meno quello dell’Amministrazione, nel-la specie dell’Agenzia delle Entrate, di coinvolgere il titolare delle esigenze di riservatezza nel pro-cedimento di accesso, comunicando prontamente la richiesta avanzata dal coniuge.In realtà, problemi non facilmente superabili nascono da un orientamento giurisprudenziale e dot-trinario che, nonostante la definizione molto ampia che ne dà la legge 241/90, nega alle dichiara-zioni la qualifica di “documento amministrativo”7.a) Una prima impostazione, fatta propria dalla Suprema Corte, definisce la dichiarazione dei red-

diti quale una mera dichiarazione di scienza, ovvero un atto dovuto a contenuto ricognitivo8.b) Secondo altra tesi, la dichiarazione fiscale sarebbe una confessione stragiudiziale con effetti di-

chiarativi e con valenza probatoria.c) Per altra parte della dottrina, la dichiarazione è la formulazione di un giudizio sugli elementi ri-

tenuti rilevanti e, quindi, dichiarati ai fini della determinazione e liquidazione del debito d’im-posta.

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4 L. 7 agosto 1990, n. 241 (novellata dalla l. n. 80/2005). Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.Art. 24, 1 - Esclusione dal diritto di accesso: “Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi disegreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pub-bliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;c) nei confronti dell’attività della Pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, dipianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale re-lativi a terzi.5 Questa testualmente la disposizione richiamata:“Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per cu-

rare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consenti-to nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.6 L. 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.Art. 22 - Definizioni e principi in materia di accesso: 1. Ai fini del presente capo si intende: a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto,concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;c) per “controinteressati”, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, chedall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.7 Qualificando come tale “ogni rappresentazione grafica fotocinematografica elettromagnetica o di qualunque altra specie delcontenuto di atti anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento detenuti dal una Pubblica Amministrazione e con-cernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanzia-le”. Art. 22 lettera d.8 “La dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e digiudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti”. Cass. 23 mag-gio 2003, n. 8153; Nello stesso senso: Cass. 26 gennaio 2007, n. 1708; Cass. 8 luglio 2008, n. 18673.

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In tutti i casi si tratta comunque di un atto del dichiarante che la Pubblica amministrazione ricevesenza partecipare al suo perfezionamento.Tant’è che, proprio in relazione all’ostensibilità della dichiarazione dei redditi, il Consiglio di Statoha statuito che:“L’art. 22, comma 2, l. n. 241 del 1990 consente l’accesso solo ad atti inseriti in un procedimento,cioè ad atti formati dalla p.a. o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa; e, pertan-to, è interdetto l’accesso ad una dichiarazione dei redditi resa da un soggetto pubblico, in quantol’atto in questione non attiene all’attività amministrativa dell’ente che la compila ma è un obbligoa cui la p.a. è tenuta al pari dei soggetti privati”9. E se la denuncia dei redditi non va considerata documento amministrativo nemmeno quando a for-marla è un soggetto pubblico, a maggior ragione non lo è se a redigerla è un soggetto privato ela pubblica amministrazione si limita a riceverla.Addirittura, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, istituita proprio col compitodi “attuare il principio di piena conoscibilità dell’attività della Pubblica Amministrazione”10, nel pa-rere reso in data 27 settembre 2000 precisava che “i dati anagrafici e gli elenchi dei contribuentiche hanno presentato le dichiarazioni annuali modello 740/770 ed IVA non hanno nulla a che ve-dere con i documenti amministrativi la cui accessibilità la legge 241/1990 vuole garantire e quin-di esulano dal suo ambito di applicazione”.E per completare va ricordato che il Ministro delle Finanze, dopo aver sottratto per decreto all’ac-cesso previsto dall’art. 24 legge 241/90 le dichiarazioni dei redditi11, ha precisato, con propria cir-colare, che “a norma dell’art. 24, ultimo comma, ultimo periodo, della legge n. 241/1990, sonoescluse dall’esercizio del diritto di accesso le dichiarazioni tributarie”12.Non che manchi, sia in dottrina che in giurisprudenza, un orientamento contrario13. Ma bisogna prendere atto che l’orientamento giurisprudenziale prevalente e i provvedimenti soprarichiamati non consentono di confidare sulla collaborazione dell’Agenzia delle Entrate se l’obietti-vo è quello di ottenere la dichiarazione dei redditi del coniuge.Diverso, invece, se l’interesse è volto a conoscere un avviso di accertamento o un qualsiasi altroprovvedimento conclusivo di un “procedimento tributario”: il diritto di accesso è in questi casi pie-namente esercitabile.

3. La dichiarazione congiunta e il cassetto fiscale

La questione si prospetta radicalmente diversa ove vi sia una dichiarazione congiunta dei redditi,possibilità concessa dall’art. 17 l. 13 aprile 1977, n. 114, ai coniugi non separati né legalmente nédi fatto.In ipotesi di dichiarazione congiunta le cartelle esattoriali e gli avvisi di accertamento devono es-

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9 Cons di Stato, sez. VI sentenza 5 ottobre 1995, n. 1083, in Bollettino Tributario, 1996, 397. 10 L. 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.Art. 27 Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi: “1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi... 5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall’articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena co-noscibilità dell’attività della Pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazioneannuale sulla trasparenza dell’attività della Pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consigliodei Ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanziadel diritto di accesso di cui all’articolo 22”. 11 Decreto Ministro delle Finanze 29 ottobre 1996 n. 603: il riferimento è all’art. 24 nella formulazione previdente le modificheintrodotte dalla legge del 2005. In quella formulazione l’art 24 escludeva dall’accesso i documenti indicati all’art. 13 che, a suavolta, escludeva “i procedimenti tributari”.12 Circolare Ministero delle Finanze, protocollo 1138/1997, n. 213.13 Es. Tar Lazio, sez. 2, 9 maggio 1995, n. 819, in Bollettino Tributario, 1995, 1669; Tar Friuli 26 gennaio 2006, n. 50 in un’ipo-tesi in cui l’accesso era stato richiesto all’Agenzia dell’Entrate da un creditore del titolare delle denunce.

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sere notificati soltanto al marito e la Corte Costituzionale ha ritenuto che la scelta legislativa sia co-munque legittima e non si ponga in contrasto con il principio di parità, in quanto, se i coniugi ri-tengono che il diritto dell’uno o dell’altro possa essere pregiudicato da questa modalità di notifica,possono scegliere di presentare delle dichiarazioni separate14.Di utilità del tutto differente risulta invece il Cassetto fiscale, un servizio inaugurato in via speri-mentale nell’anno 2003 dall’Amministrazione finanziaria di Milano e successivamente attivato a li-vello nazionale dall’Agenzia delle Entrate, che consente, previa registrazione e con accesso protet-to da un codice personale, di consultare unicamente le proprie informazioni fiscali relative anchea dati reddituali15.

4. È possibile la richiesta di informazioni alla PA?

Esclusa la possibilità di rivolgersi utilmente all’Amministrazione finanziaria invocando la legge241/90 per ottenere la copia della dichiarazione dei redditi, è opportuno domandarsi se la parteabbia a disposizione altri strumenti per ottenere, senza intervento del giudice, qualche informazio-ne sui redditi del coniuge.Va considerato come evento probabilmente non ripetibile la pubblicazione on line, avvenuta il 30aprile 2008, dei redditi Irpef dei contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni relative all’an-no di imposta 2005.Tali elenchi sono rimasti sul sito dell’Agenzia delle Entrate solo poche ore, poiché il Garante del-la privacy è prontamente intervenuto e ha invitato l’Agenzia a sospendere la pubblicazione.In quelle poche ore, però, diversi utenti li hanno visionati e scaricati, rendendo ingovernabile lacircolazione e la protezione delle informazioni offerte dall’Agenzia delle Entrate.Il clamore suscitato dalla vicenda, bloccato dal solerte intervento del Garante, non si spiega per lasemplice pubblicazione di dati fiscali: i giornali hanno spesso fornito ai loro lettori informazioni suiredditi dei contribuenti, pubblicando annualmente lunghi elenchi compilati in relazione ai più di-sparati parametri (i cinquecento ricchi d’Italia, tutti i redditi dei contribuenti del Comune di Cani-cattì, tutti i redditi degli avvocati, tutti i redditi di coloro che superavano un certo imponibile...).Ciò che ha suscitato scalpore è stato il mezzo utilizzato per la diffusione che ha reso conoscibili lenotizie riguardanti qualsiasi contribuente in tutto il mondo, con evidente lesione non solo del di-ritto alla riservatezza, ma anche di quello della tranquillità e della sicurezza delle persone titolaridi redditi molto elevati (per l’evidente rischio di estorsioni e rapine).Prescindendo da giudizi di merito e di opportunità della pubblicazione in internet, va comunquesottolineato che la pubblicazione di dati fiscali ai fini di consentire la loro conoscibilità da parte dichiunque appare una precisa scelta legislativa, riconosciuta addirittura dal Garante della privacy,secondo il quale l’art. 69 d.p.r. n. 600/1973 reca “una precisa scelta normativa di consultabilità daparte di chiunque di determinate fonti operata per favorire una trasparenza in materia di dati rac-colti dalla Pubblica amministrazione attraverso le dichiarazioni fiscali”, sicché “com’è desumibiledai numerosi pronunciamenti di questa autorità in materia di trasparenza non vi è incompatibi-

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14 “L’art. 17, 3° e 4° comma, l. 13 aprile 1977, n. 114, nella parte in cui prevede che le cartelle esattoriali e gli avvisi di accerta-mento, in caso di dichiarazione congiunta dei redditi, vengano notificati solo al marito, non è in contrasto con l’art. 29 Cost. inquanto rientra nella libera scelta dei coniugi avvalersi della dichiarazione congiunta o delle dichiarazioni separate”, Corte Cost.12.04.1989, n. 184.15 Il Cassetto Fiscale può essere utilizzato da tutti i contribuenti: persone fisiche, ditte individuali e persone giuridiche. Tale ser-vizio permette di conoscere le proprie informazioni fiscali relative a dati anagrafici, reddituali, rimborsi di imposte dirette, versa-menti effettuati tramite modello F24 e F23, nonché atti del registro concernenti dati patrimoniali. L’accesso alle informazioni inesso contenute può risultare particolarmente utile in quei casi frequenti in cui uno dei due coniugi non conosca di fatto la pro-pria posizione fiscale o non sia in possesso di alcun documento utile a ricostruirla. Per accedere al proprio Cassetto Fiscale oc-corre richiedere all’Agenzia delle Entrate un codice PIN e registrarsi con un’apposita procedura di sicurezza tramite il collegamen-to internet. Tale servizio in ogni caso esula dal tema qui trattato poiché, come già evidenziato, consente ad un contribuente diaccedere solamente a quei dati che attengono alla propria sfera individuale, essendo invece esclusa la possibilità di apprendere,tramite questo meccanismo, informazioni riguardanti soggetti terzi.

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lità tra la protezione dei dati personali e determinate forme di pubblicità di dati previste per finali-tà d’interesse pubblico o della collettività”16.E infatti il d.p.r. 600/73, nella formulazione originaria e in quella risultante dalle modifiche via viaintrodotte, prevede la predisposizione annuale, a cura degli Uffici finanziari, degli elenchi nomina-tivi dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi e dei soggetti che esercitanoimprese commerciali, arti e professioni e il loro deposito per la durata di un anno presso l’Ufficiodelle imposte e presso i Comuni interessati. Ed è esplicitamente prevista la possibilità di “prende-re visione ed estrarre copia degli elenchi nei modi e nei limiti stabiliti dalla disciplina in materia diaccesso ai documenti amministrativi”17, addirittura con esonero dei diritti normalmente dovuti peresercitare il diritto di accesso.Analoghe scelte di pubblicità sono state compiute dal legislatore con il provvedimento istitutivodell’Iva18.

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16 Provvedimento 18 ottobre 2007 - doc. web n. 1454901 che esplicitamente richiama quello del 2 luglio 2003, doc. web n.1081728.17 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600. Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditiArticolo 69 - Pubblicazione degli elenchi dei contribuenti:“1. Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è statoaccertato dagli uffici delle imposte dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti disposizioni nel-l’ambito dell’attività di programmazione svolta dagli uffici nell’anno precedente. 2. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di ret-tifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti. 3. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuentinei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a euro 5.164,57 e al 20 per cento del reddito dichia-rato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a euro 25.822,84. 4. Il centro informativo delle imposte dirette, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazio-ni dei redditi, forma, per ciascun comune, i seguenti elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmentecompetenti: a) elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi; b) elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni. 5. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione degli elen-chi di cui al comma 4. 6. Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nelpredetto periodo è ammessa la visione e l’estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in mate-ria di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modi-ficazioni, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Per l’accesso non sono dovuti i tribu-ti speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 628”.18 D.p.r. 29 settembre 1972, n. 633.Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiuntoArticolo 66 Bis - Pubblicazione degli elenchi di contribuenti: “Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di contribuenti nei cui confronti l’ufficio dell’impostasul valore aggiunto ha proceduto a rettifica o ad accertamento ai sensi degli articoli 54 e 55. Sono ricompresi nell’elenco solo queicontribuenti che non hanno presentato la dichiarazione annuale e quelli dalla cui dichiarazione risulta un’imposta inferiore dioltre un decimo a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di oltre un decimo a quella spettante. Ne-gli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di rettifica,anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti.Gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto formano [e pubblicano] annualmente per ciascuna provincia compresa nella propria cir-coscrizione un elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valoreaggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia pressolo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo, è ammessa la visione e l’estrazione di copia de-gli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli22 e seguenti nella legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da spe-cifiche disposizioni di legge. Per l’accesso non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ot-tobre 1972, n. 648.[La pubblicazione dell’elenco di cui al comma precedente avviene mediante deposito per la durata di un anno, ai fini della con-sultazione da parte di chiunque, sia presso l’ufficio che ha proceduto alla loro formazione sia presso i comuni interessati. Per laconsultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648.] Gli stessi uffici formano, per le finalità di cui al secondo comma, inoltre, un elenco cronologico contenente i nominativi dei con-tribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto e di quelli che li hanno ottenuti.Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchio di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di unasomma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragio-ne delle condizioni economiche del contravventore”.

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Tra l’altro l’art. 68 d.p.r. 600/73 prevede esplicitamente che non è considerata violazione del segre-to d’ufficio la comunicazione dei dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi.Certo l’introduzione del “codice della privacy”19 ha posto il problema del bilanciamento all’internodell’ordinamento giuridico tra il diritto di accesso, esplicitamente previsto sia dal d.p.r. 600/73 chedal d.p.r. 633/72, e il diritto alla riservatezza.In realtà, però, il Codice della privacy non ha imposto nella materia che ci riguarda limiti signifi-cativi.Non essendo i dati fiscali né dati supersensibili, né dati sensibili20, valgono, per quel che li riguar-da, i principi espressi dal Consiglio di Stato con decisione 5/97 dell’adunanza plenaria e cioè:1) qualora l’esigenza di informazione e documentazione venga in rilievo per la cura o la difesa di

propri interessi giuridici, il diritto di accesso (e quindi anche la possibilità di estrarre documen-ti) deve prevalere rispetto all’esigenza di riservatezza del terzo;

2) qualora l’esigenza di informazioni e documentazione non nasca da un’esigenza di cura o di-fesa dei propri interessi non è possibile né ottenere copia dei documenti, né trascriverli, ma sipuò prendere visione degli “atti”.

Dunque il coniuge ha diritto, se ne ha bisogno per agire in giudizio, ad estrarre gratuitamente co-pia di quel che risulta dagli elenchi previsti dai d.p.r. 600/1973 e 633/1972, depositati per un annopresso l’Ufficio delle imposte e presso i Comuni interessati.Purtroppo, con una serie di provvedimenti recenti21, l’Agenzia delle Entrate ha molto ridotto l’im-portanza di questa facoltà: interpretando davvero con grande disinvoltura l’art. 69 d.p.r. 600/73, nel-la parte in cui le attribuisce facoltà di stabilire “termini e modalità di formazione degli elenchi”, dal-l’anno d’imposta 2001 deposita infatti gli elenchi dei contribuenti che hanno presentato la dichia-razione dei redditi senza l’indicazione dei redditi (salvo mettere poi on line, com’è stato di recen-te, tutti i dati!).Ma rimangono ancora degli spazi che possono giustificare l’interesse ad esercitare il diritto di accesso.1. L’elenco anche solo nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei red-

diti consente di smascherare chi in giudizio non produce nulla asserendo di non esser tenutoalla dichiarazione.

2. È possibile, consultando l’apposito elenco, verificare se vi sono accertamenti definitivi o in con-testazione degli Ufficio delle imposte dirette e, in caso di rettifica, anche quali sono gli imponi-bili dichiarati dai contribuenti.

3. Può essere molto significativo anche l’elenco dei contribuenti che hanno presentato la dichia-razione annuale ai fini Iva con la specificazione per ognuno del volume di affari.

5. Indagini nel procedimento di separazione e di divorzio

Le due disposizioni sopra riportate (art. 155, 6 c.c., art. 5, 9 l. 898/70) introducono anche la possi-bilità che i redditi rimasti ignoti per la reticenza del coniuge che ne è titolare possano emergere aseguito di indagini disposte dal giudice anche avvalendosi della Polizia tributaria.In base al contenuto testuale delle norme di riferimento, l’attivazione della procedura è subordina-ta alla contestazione, di una delle parti, circa l’effettiva posizione reddituale e patrimoniale dell’al-tro coniuge o comunque all’insufficiente documentazione degli aspetti economici della vicenda.

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19 D.lgs. n. 196/2003.20 Dati “super sensibili” ex art. 60 d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) sono quelli“idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale”, dati “sensibili” ex art. 4 dello stesso Codice “i dati personali idonei a rive-lare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sin-dacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rive-lare lo stato di salute e la vita sessuale”.21 29 settembre 2004, relativo agli anni d’imposta 2001-2002; 29 luglio 2005, relativo agli anni d’imposta 2003; 20 settembre 2006,relativo agli anni d’imposta 2004.

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A tal proposito va sottolineata la discrezionalità di cui è titolare il giudice nell’esercizio del poteredi disporre indagini sui redditi.Le norme citate, infatti, non impongono ovviamente al giudice in via diretta e automatica di dispor-re dette indagini ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documentato, ma rimettonoallo stesso la valutazione di detta esigenza, nel rispetto del principio generale di cui all’art. 187c.p.c. che affida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti e di ordina-re quelli che può disporre d’ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza.In termini concreti, ogni qualvolta un coniuge contesti i redditi dichiarati dall’altro o le sostanze dicui lo stesso è titolare, indicando elementi che facciano supporre la sussistenza di un livello eco-nomico superiore a quello apparente e, dunque, sia in discussione la prova dei dati rilevanti ai fi-ni del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento, sia in sede di separa-zione che in sede divorzile, l’autorità giudiziaria dovrebbe esercitare il potere di disporre indaginid’ufficio sui redditi.Ove, invece, gli elementi dedotti e prodotti dalle parti consentano una soddisfacente ricostruzionedel fatto da provarsi, il giudice, seppur in presenza di contestazioni, non ha motivo di ricercarenuovi mezzi istruttori22.E, anche nell’ipotesi in cui il giudice ritenga di disporre indagini, non necessariamente deve richie-dere l’intervento della Polizia tributaria.La disposizione contenuta nella legge sul divorzio esplicitamente dice che lo fa “se del caso”; l’art.155 c.c. dal punto di vista letterale è più perentorio, ma è chiaro che non può imporre al giudicel’uso di uno strumento del quale questi non ritenga opportuno avvalersi.Quanto all’oggetto dell’attività che il giudice può delegare, l’art. 155 comma 6 c.c. parla di indagini“sui redditi e sui beni”, mentre l’art. 5 comma 9 l. div. parla di indagini “sui redditi, sui patrimonie sull’effettivo tenore di vita”.Ma l’esperienza insegna • che i giudici non fanno frequente ricorso alle indagine della Polizia tributaria;• che quando vi fanno ricorso le indagini danno risultati inconsistenti anche perché, per quanto

collaborativo possa sentirsi un Ufficio dello Stato nei confronti di un altro Ufficio dello Stato,difficilmente la Polizia tributaria riterrà di doversi far carico delle indagini delegategli dal giudi-ce, come se rientrassero in una sua competenza istituzionale.

E così tra l’altro secondo l’interpretazione più convincente non potrebbe neppure essere: la Poli-zia tributaria, neppure se lo volesse, potrebbe compiere per conto del giudice atti di indagine ecioè le vere e proprie verifiche fiscali che spettano alla Guardia di Finanza.Ciò che il giudice può delegare è esclusivamente ciò che rientra nella propria sfera di attribuzionie, siccome il giudice non può svolgere i controlli o le ispezioni fiscali tipiche, non può neppuredelegarne l’effettuazione alla Guardia di Finanza.D’altra parte, appartengono alla Polizia tributaria non solo vari ufficiali e agenti del Corpo dellaGuardia di Finanza, ma anche altri organi dell’Amministrazione finanziaria a cui la legge demandai poteri per l’accertamento delle violazioni finanziarie (tipicamente l’Agenzia delle Entrate, quelladelle Dogane, etc.), con una competenza funzionale ratione materiae23.

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22 “In tema di divorzio, l’art. 5, nono comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 non impone al tribunale in via diretta ed au-tomatica di disporre indagini avvalendosi della polizia tributaria ogni volta in cui sia contestato un reddito indicato e documen-tato, ma rimette allo stesso giudice la valutazione di detta esigenza, in forza del principio generale dettato dall’art. 187 c.p.c., cheaffida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d’ufficio, pre-via valutazione della loro rilevanza e concludenza”, Cass. sez. I, 21.05.2002, n. 743523 L. 7 gennaio 1929, n. 4.Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie.Art. 31 - “1. Sono ufficiali della polizia tributaria gli ufficiali e il personale appartenente ai ruoli “ispettori” e “sovrintendenti” delCorpo della guardia di finanza. 2. Sono agenti della polizia tributaria gli appartenenti al ruolo “appuntati e finanzieri” della Guardia di finanza. Qualora una legge finanziaria attribuisca l’accertamento di determinati reati a funzionari ed agenti dell’Amministrazione, que-sti funzionari ed agenti acquistano nei limiti del servizio a cui sono destinati e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalla leg-ge, la qualità di ufficiali e, rispettivamente, di agenti della polizia tributaria. A cura dell’Amministrazione dalla quale dipendono,la loro qualità è fatta constare a mezzo di una speciale tessera di riconoscimento”.

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Ne discende che il legislatore ha inteso permettere un’eventuale delega non soltanto ai reparti del-la Guardia di Finanza, ma a tutta la Polizia tributaria, nelle sue diverse articolazioni, militari o civi-li. Tra i soggetti che potranno essere chiamati a svolgere indagini, quindi, rientrano anche gli uffi-ci locali dell’Agenzia delle Entrate.D’altra parte la Polizia tributaria non potrebbe neppure compiere quelle valutazioni degli elemen-ti acquisiti che invece può svolgere il giudice “Mentre al giudice infatti l’ordinamento riconosceuna simile facoltà la Polizia tributaria è un organo specialistico che non può – proprio sul pianotecnico – formulare ipotesi.Quanto guadagna una persona che viaggia a bordo di una Ferrari ed una proprietaria di un gran-de attico in un prestigioso quartiere di una grande città? E quanto frutta uno studio odontoiatrico?O ancora quanto incidono nel tenore di vita i patrimoni della famiglia d’origine? Sono tutte do-mande alle quali la Guardia di Finanza non può dare una risposta tecnica, perché nessuna leggestabilisce in questo senso dei parametri”24.“Non c’è dubbio però che la Poliza tributaria possa invece consultare le banche dati come l’anagra-fe tributaria, le camere di commercio, la banca data Inps, il Pra, gli archivi delle Forze di Polizia”25.

6. Richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. e 213 c.p.c.

Nell’ambito del processo è sempre possibile, inoltre, ricorrere agli strumenti previsti dagli artt. 210e 213 c.p.c.Va però ricordato che l’art. 210 c.p.c. esige che la richiesta non abbia finalità esplorative, sicchéchi ha interesse ad utilizzare questo strumento deve indicare specificamente il documento che ri-chiede.Oltre che documenti fiscali potrebbe essere utile, naturalmente, acquisire dati concernenti aspettireddituali e patrimoniali del soggetto che non emergono dalle dichiarazioni fiscali: si pensi, adesempio, all’iscrizione a circoli esclusivi, alla frequenza di viaggi, alla disponibilità di autovetture onatanti, collaboratori domestici e così via.Quanto all’art. 213 c.p.c., esso può essere utilizzato invece soltanto con riguardo alla PA e, quindi,con l’ampliarsi del fenomeno della privatizzazione lo strumento perde in parte la sua efficacia.

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FOCUS

24 Pezzuto (Colonnello Guardia di Finanza, Roma), Le indagini reddituali e patrimoniali della Polizia Tributaria nei procedi-menti di separazione e di divorzio, in Quaderni AIAF, 1/2006, 241 ss. 25 D’Andrea (Colonnello Guardia di Finanza, Milano), L’attività della Guardia di Finanza delegata dal giudice civile nei casi discioglimento del matrimonio, in Quaderni AIAF, 1/2006, 252.

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Indeducibile la parte destinata al mantenimento dei figli: se la sentenza non distingue, si deducono nel limitedel 50%. Indeducibili quelli una tantum, i contributi e le altre utilità.

1. Gli assegni periodici

Gli assegni periodici corrisposti al coniuge, con esclusione di quelli destinati al mantenimento deifigli, in conseguenza di separazione legale, di divorzio o annullamento del matrimonio, sono con-siderati redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50, 1° comma, lettera i)del TUIR.Seguendo un criterio speculare, il coniuge percipiente li indica nella propria dichiarazione dei red-diti mentre il coniuge che li corrisponde li porta in deduzione dal proprio monte redditi ai sensidell’art. 10, comma 1, lettera c), conseguendo pertanto un risparmio in termini fiscali.Detti assegni periodici vanno dichiarati nella misura in cui risultano da provvedimento dell’autori-tà giudiziaria (la nota n. 984/E del luglio 1997 ha precisato che gli eventuali arretrati degli assegniper alimenti vanno sempre a tassazione ordinaria e quindi inclusi nella denuncia unitamente allealtre eventuali tipologie reddituali).Gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato, per il solo mantenimento dei figli, non sonoinvece soggetti ad imposizione in quanto estranei alla previsione dell’art. 10, comma 1, lettera c)del TUIR Se la sentenza non distingue la quota dell’assegno periodico destinato al coniuge da quel-la destinata ai figli, l’assegno si considera destinato al coniuge per il 50%.Si ricorda che le somme versate al coniuge separato, in via provvisoria, in base all’ordinanza giu-diziale di cui all’art. 708 del codice di procedura civile, sono equiparabili ai fini dichiarativi agli as-segni periodici corrisposti al coniuge separato per provvedimento dell’autorità giudiziaria.

2. Gli assegni una tantum

Più volte oggetto d’attenzione da parte della giurisprudenza, atteso che la normativa vigente utiliz-za il termine “periodici” per disciplinare gli assegni divorzili, gli assegni una tantum meritano undiscorso a parte.La Suprema Corte di Cassazione intervenendo sull’argomento (sentenza n. 16462 del 3 maggio2002) ha posto un punto fermo ritenendo indeducibile l’assegno di divorzio una tantum in quan-to liberamente concordato dai coniugi per definire, una volta per tutte, i loro rapporti per mezzodi una attribuzione patrimoniale, in aderenza al dettato legislativo che limita la deducibilità ai soliassegni periodici, cui va invece riconosciuta una valenza di natura reddituale.

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GLI ASSEGNI PERIODICI CORRISPOSTI AL CONIUGE SEPARATO O DIVORZIATO:IL TRATTAMENTO FISCALE

Giampiero PerusiDottore commercialista, Verona

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L’indeducibilità del versamento una tantum è stata ribadita dall’Agenzia delle Entrate con la circo-lare n. 50/E del 12 giugno 2002.Corrispondentemente, il coniuge percipiente nulla deve dichiarare in merito agli assegni percepitidi tale natura.

3. I contributi e le altre utilità a favore del coniuge separato

I contributi e le altre utilità a favore del coniuge separato, diversi dall’assegno periodico, sono as-solutamente indeducibili.Gli unici assegni ad essere deducibili sono quelli alimentari e/o di contributo al mantenimento co-niugale e non altri, per espressa disposizione legislativa: l’elencazione non è estensibile per analo-gia ad altre tipologie di spesa.Restano pertanto fuori dalla dichiarazione dei redditi, ad esempio, i contributi forfettari alle speseper servizi, le spese condominiali relative all’appartamento occupato dal coniuge separato pagatedirettamente al condominio, le spese di manutenzione e di arredamento dell’appartamento mede-simo, le rate di mutuo pagate dal coniuge che rinuncia all’assegno di mantenimento e gli altri one-ri aventi natura similare.

4. Il trattamento fiscale dell’assegno divorzile

Il trattamento fiscale dei redditi costituiti da assegni di mantenimento è piuttosto complesso e nonimmediatamente intelliggibile a causa dell’intricato meccanismo di funzionamento della detrazionefiscale prevista dalla legge per tale tipologia di reddito.La Legge finanziaria 2008, con apposita modifica all’art. 13 del TUIR ha disposto che se alla forma-zione del reddito complessivo concorrono gli assegni periodici corrisposti dall’ex coniuge va attri-buita una detrazione di misura pari a quella prevista dall’art. 13, comma 3, del TUIR, per i titolaridi pensione di età inferiore ai 75 anni.Detta detrazione non è cumulabile con le altre previste per spese di produzione e non va rappor-tata ad alcun periodo dell’anno.Trattasi di una detrazione d’imposta decrescente all’aumentare del reddito complessivo (al nettodell’abitazione principale e relative pertinenze) strutturata come di seguito schematizzato:

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FOCUS

(*) Secondo quanto disposto dalla Finanziaria 2008 si intende reddito complessivo al netto della deduzione per abitazione prin-cipale e relative pertinenze.(**) La deduzione spettante non può essere inferiore a € 690,00.(***) Come precisato dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 15/2007 gli importi fissati dalla norma di € 1.255,00 e di € 470,00devono essere riportati al periodo di erogazione della pensione dell’anno.(****) Il risultato dei rapporti si assume solo se positivo e nelle prime 4 cifre decimali.

Reddito complessivo(al netto dell’abitazione principale e

relative pertinenze)

Fino a € 7.500,00

oltre € 7.500,00 fino a € 15.000,00

oltre € 15.000,00 fino a € 55.000,00

oltre € 55.000,00

Detrazione per reddito da pensione (soggetti età inferiore a 75 anni)(***)

€ 1.725,00(**)

€ 1.255,00 + [€ 470,00 x € 15.000,00 - reddito complessivo(*)](***)

€ 7.500,00

€ 1.255,00 x [€ 55.000,00 - reddito complessivo(*)](***)

€ 40.000,00

€ 00,00

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Se si ipotizza che l’assegno divorzile sia l’unico reddito del percipiente, da quanto sopra evidenzia-to se ne deduce che per assegni di importo inferiore o pari ad € 7.500 la detrazione riesce ad assor-bire completamente il carico fiscale; nulla deve pertanto essere pagato per imposte a conguaglio;man mano che l’assegno supera i 7.500 euro aumenta il carico fiscale mentre la detrazione diminui-sce sicché il contribuente si troverà costretto a versare all’erario quanto gli risulta a differenza.

Esempio - Assegno corrisposto al coniuge (importo su base annua € 7.500)

Il contribuente incassa un assegno divorzile pari ad € 7.500,00.Il suo carico fiscale sulla base delle aliquote vigenti è pari ad € 7.500,00 x 23% = 1.725,00.La detrazione spettante per redditi fino a 7.500 euro (vedi schema a pag. 83) è pari ad € 1.725,00.In questo caso il contribuente non verserà nulla all’erario.

Esempio - Assegno corrisposto al coniuge (importo su base annua € 14.000)

Il contribuente incassa un assegno divorzile pari ad € 14.000,00.Il suo carico fiscale sulla base delle aliquote vigenti è pari ad € 14.000,00 x 23% = 3.220,00.La detrazione spettante è pari a:

[€ 470,00 x (€ 15.000,00 - € 14.000,00)]€ 1.255,00 + –––––––––––––––––––––––––––––––––– = € 1.317,66 arrot. ad € 1.318,00

€ 7.500,00

In questo caso il contribuente si troverà a dover versare all’erario la differenza pari ad € 1.902,00.

Esempio - Assegno corrisposto al coniuge (importo su base annua € 22.300)

Il contribuente incassa un assegno divorzile pari ad annui € 22.300,00.Il suo carico fiscale sulla base delle aliquote vigenti è pari a:

€ 15.000 x 23% = € 3.450,00€ 7.300 x 27% = € 1.971,00

–––––––––––= € 5.421,00

La detrazione spettante è pari a:

(€ 55.000,00 - € 22.300,00)€ 1.255,00 x ––––––––––––––––––––––– = € 1.025,96 arrot. ad € 1.026,00

€ 40.000,00

In questo caso il contribuente si troverà a dover versare all’erario la differenza pari ad € 4.395,00.

5. Le detrazioni per figli a carico

Il complesso sistema delle detrazioni si complica ulteriormente in caso di presenza di figli fiscal-mente a carico.Si rammenta che sono considerati fiscalmente a carico del dichiarante i figli, anche se naturali rico-nosciuti, adottivi, affidati o affiliati, che non abbiano superato un reddito superiore al limite annuodi € 2.840,51.La Legge finanziaria 2007 ha introdotto, a partire dal periodo d’imposta 2007, un sistema di detra-zioni per figli a carico, variabili in funzione:• del reddito complessivo del soggetto dichiarante;• delle “caratteristiche del figlio”;• del numero dei figli fiscalmente a carico.Per le seguenti casistiche sono attribuiti sgravi di maggior ammontare:• numero elevato di figli;• figli portatori di handicap;• figli di età inferiore ai 3 anni;• casi di assenza del coniuge (soggetto vedovo, ragazza madre eccetera).

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Detrazione teorica per il figli a carico

n° figli detrazione base minore di tre anni portatore handicap(art. legge n. 104/1992)

1 800,00 900,00 • 1.020,00 se maggiore di tre anni

• 1.120,00 se minore di tre anni

2 800,00 900,00 • 1.020,00 se maggiore di tre anni

• 1.120,00 se minore di tre anni

3 800,00 900,00 • 1.020,00 se maggiore di tre anni

• 1.120,00 se minore di tre anni

almeno 4 1.000,00 1.100,00 • 1.220,00 se maggiore di tre anni

• 1.120,00 se minore di tre anni

Le detrazioni in esame sono tra loro alternative, sicché se per un figlio si verificano contempora-neamente più condizioni, andrà riconosciuta la detrazione più favorevole.Inoltre le detrazioni sopra riportate devono intendersi riferite a ciascun figlio fiscalmente a carico.Tuttavia, per ottenere la detrazione effettivamente spettante, è necessario operare uno specificorapporto, trovando innanzitutto il coefficiente “D”, il cui valore dipende, oltre che dal reddito com-plessivo del contribuente, dal numero di figli fiscalmente a carico.Nel caso in cui risulti fiscalmente a carico un solo figlio, il coefficiente D si calcola considerando ilseguente rapporto:

€ 95.000,00 - reddito complessivo(*)

D= ––––––––––––––––––––––––––––––––––€ 95.000,00

Diversamente se vi sono almeno due figli fiscalmente a carico, è previsto che l’importo di €95.000,00 sia aumentato di € 15.000,00 per ogni figlio successivo al primo.Pertanto il coefficiente D si calcola considerando il seguente rapporto:

[(n. figli - 1) x 15.000,00] + € 95.000,00 - reddito complessivo(*)

D= –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––[(n. figli - 1) x 15.000,00] + € 95.000,00

(*) Secondo quanto disposto dalla Legge finanziaria 2008 per reddito complessivo si intende quello al netto dell’abitazione prin-cipale e relative pertinenze.

La Legge finanziaria 2008 ha introdotto una ulteriore detrazione a favore delle famiglie numerose. Se ai coniugi spetta la detrazione ordinaria per figli a carico, in presenza di un numero di figli su-periore a tre è riconosciuta una ulteriore di € 1.200,00.Detta detrazione è:• autonoma rispetto alla detrazione “ordinaria”;• da considerarsi a valore intero e spetta anche se l’esistenza di almeno quattro figlio si è verifi-

cata solo per una parte dell’anno. Essa spetta ai genitori in proporzione agli affidamenti stabiliti dal giudice.

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FOCUS

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Esempio - Contribuente con due figli a carico

Contribuente con reddito complessivo pari ad € 35.000,00 e due figli (maggiori di tre anni) fiscal-mente a carico.

Detrazione potenziale: € 800,00 x 2 = € 1.600,00

Detrazione effettiva:

[(2-1) x 15.000,00] + € 95.000,00 - € 35.000,00D = ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

[(2 - 1) x 15.000,00] + € 95.000,00

110.000 - 35.000D = ––––––––––––––

110.000

D = 68,1818...% = 68,18%

Detrazione spettante: € 1.600,00 x 68,18% = € 1.090,88 arrotondato ad € 1.091,00.

6. Ripartizione tra i genitori della detrazione per figli a carico

La Legge finanziaria 2007, intervenendo a regolamentare la ripartizione della detrazione per figli acarico ha disposto che in caso di genitori legalmente ed effettivamente separati ovvero in caso diannullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio:• la detrazione in mancanza di accordo spetta al genitore affidatario al 100%;• nel caso di affidamento congiunto o condiviso, la detrazione è ripartita in mancanza di accordo

nella misura del 50% tra i genitori.La locuzione “in mancanza di accordo” dovrebbe voler significare che, invece, in caso di presenzadi accordo, i genitori separati dovrebbero poter utilizzare le regole previste per i genitori coniugati(50% a ciascun genitore o 100% al genitore con reddito più elevato).La Legge finanziaria 2007 è inoltre intervenuta a regolamentare la ripartizione della detrazione nel-l’ipotesi in cui i genitori legalmente ed effettivamente separati, non possano beneficiare appieno del-la detrazione spettante per figli a carico.In particolare se:• il genitore affidatario, ovvero• in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatarinon può beneficiare (anche parzialmente) per incapienza d’imposta, della detrazione per figli a ca-rico, la stessa è attribuita per intero all’altro genitore.Quest’ultimo è tuttavia tenuto, salvo diverso accordo, a riversare all’altro genitore l’intera detrazio-ne, ovvero, in caso di affidamento congiunto, il 50% della stessa.

7. Oneri sostenuti nell’interesse dei familiari

In linea generale le detrazioni o deduzioni fiscali per talune tipologie di spesa spettano al contri-buente che li ha effettivamente sostenute per conto proprio e che quindi risulta intestatario del do-cumento di spesa.Il legislatore ha tuttavia previsto che taluni oneri possono essere detratti/dedotti anche se sostenu-ti nell’interesse dei familiari così come individuati all’art. 433 del Codice civile.Detti oneri possono essere distinti a seconda che si tratti di spese sostenute nell’interesse di fami-liari:• fiscalmente a carico;• fiscalmente non a carico.

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Spese sostenute per familiari fiscalmente a carico

Oneri che danno diritto ad una detrazione d’impostatra cui si segnalano a titolo indicativo:• Spese sanitarie• Spese per veicoli adattati per portatori di handicap• Spese acquisto cani guida• Assicurazioni sulla vita e infortuni• Spese di istruzione• Spese per addetti all’assistenza personale• Spese per attività sportive praticate da ragazzi• Spese per locazioni studenti universitari fuori sede• Spese frequenza asili nido

Oneri che danno diritto ad una deduzione dal reddito complessivotra cui:• Contributi previdenziali e assistenziali• Previdenza complementare• Contributi a fondi integrativi del SSN

Attribuzione della detrazione o deduzione spettanteIl criterio generale prevede che la detrazione o deduzione spetti al contribuente al quale è intesta-to il documento di spesa. Se il documento di spesa comprovante gli oneri sostenuti per i figli è intestato:• ad uno dei genitori, la detrazione/deduzione spetta per intero a questo;• al figlio, le spese vanno ripartite al 50% tra i due genitori.È tuttavia ammessa anche una attribuzione diversa tra i genitori purché sul documento di spesa siaannotata la percentuale di divisione. Ad esempio se un genitore annota sul documento di spesa in-testato al figlio di averla sostenuta interamente, la detrazione/deduzione spetta a quest’ultimo peril 100%.

Spese sostenute per familiari fiscalmente non a carico

È prevista la possibilità di portare in detrazione/deduzione anche alcune tipologie di spese sanita-rie sostenute nell’interesse di familiari non a carico:Detrazioni:• Spese sanitarie per familiari affetti da patologie che danno diritto all’esenzione dalla partecipa-

zione alla spesa sanitaria pubblica;• Spese per addetti all’assistenza personale.Deduzioni:• Spese mediche e di assistenza specifica dei portatori di handicap.

8. Conclusioni

Da tutto quanto sopra esposto risulta chiaro che la tassazione in capo al contribuente legalmenteed effettivamente separato che percepisce assegni periodici dall’ex coniuge dipende dall’effettocombinato di diversi fattori tra cui:• il suo reddito complessivo (incluso l’eventuale assegno divorzile);• se risulta “genitore unico affidatario” dei figli o se “affidatario congiunto/condiviso”;• dal numero dei figli fiscalmente a carico;• dalle “caratteristiche dei figli” (età inferiore o superiore ai 3 anni, presenza di handicap...).

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FOCUS

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Detto ciò, ipotizzando che per il contribuente:• l’assegno corrisposto dall’ex coniuge sia l’unica fonte di reddito;• risulti affidatario unico dei figli;• i figli siano tutti di età superiore ai tre annicon gli esempi che seguono, considerando l’effetto combinato delle detrazioni per tipologia di red-dito e quelle per figli a carico, possiamo individuare in maniera abbastanza precisa l’entità del red-dito cui corrisponde un effetto fiscale netto pari a zero in capo al coniuge percipiente.

Esempio n. 1 - Assegno pari ad € 9.945,00, figli a carico 1 con età superiore ai 3 anni, genitore

unico affidatario

Su un reddito di € 9.945,00 ad un’aliquota pari al 23% (aliquota relativa al primo scaglione) corrisponde un’imposta pari a € 2.287,00

La detrazione per il figlio a carico (calcolata con il meccanismo sopraillustrato) ammonta a € 716,00

La detrazione per redditi da assegni di mantenimento è pari a € 1.572,00–––––––––

Imposta a debito del coniuge percipiente 0,00

Esempio n. 2 - Assegno pari ad € 12.350,00, figli a carico 2 con età superiore ai 3 anni, genitore

unico affidatario

Su un reddito di € 12.350,00 ad un’aliquota pari al 23% (aliquota relativaal primo scaglione) corrisponde un’imposta pari a € 2.841,00

La detrazione per i due figli a carico (calcolata con il meccanismo sopraillustrato) ammonta a € 1.420,00

La detrazione per redditi da assegni di mantenimento è pari a € 1.421,00–––––––––

Imposta a debito del coniuge percipiente 0,00

Esempio n. 3 - Assegno pari ad € 14.730,00, figli a carico 3 con età superiore ai 3 anni, genitore

unico affidatario

Su un reddito di € 14.730,00 ad un’aliquota pari al 23% (aliquota relativaal primo scaglione) corrisponde un’imposta pari a € 3.388,00

La detrazione per i tre figli a carico (calcolata con il meccanismo sopraillustrato) ammonta a € 2.117,00

La detrazione per redditi da assegni di mantenimento è pari a € 1.272,00–––––––––

Imposta a debito del coniuge percipiente 0,00

I livelli reddituali cui corrisponde un’imposta netta pari a zero non mutano significativamente nelcaso i figli (o alcuni di loro) fossero di età inferiore ai 3 anni.Gli stessi livelli, invece, si ridurrebbero nel caso di affidamento congiunto, ipotesi nella quale alconiuge destinatario degli assegni spetterebbe una detrazione per figli a carico del 50%.

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Allorché viene coniata una nuova norma, gli interpreti sono talora catturati dall’idea di doverla ri-plasmare attraverso l’attività interpretativa, elevando così quest’ultima ad un livello simile a quellodell’attività legislativa.A maggior ragione ciò avviene allorché la norma presenta carenze di formulazione oppure, comepiù spesso avviene, è frutto di emendamenti, modifiche od interpolazioni intervenute nel corso deilavori parlamentari. L’interprete tende a divenire, a sua volta, “creatore” del precetto normativo. In tal modo, egli di-mentica che, in primo luogo, il suo compito è quello di compiere una lettura della disposizione,privilegiando le soluzioni più semplici e immediate.Applicando questa metodologia al nuovo articolo 709 ter, si può con immediatezza rilevare che sitratta di una norma semplice, che non ha bisogno di essere stravolta per poter essere applicata eche contiene in sé la soluzione di molti problemi che sono stati sollevati, problemi che alcuni han-no invece cercato di risolvere con artificiose costruzioni, se non con interpretazioni fantasiose.In primo luogo, si impone una lettura unitaria dell’art. 709 ter che tenga conto della successionedei suoi capoversi.Il primo comma del novellato articolo 709 ter descrive l’ambito applicativo della norma e detta nor-me in ordine alla competenza; il secondo descrive il rito da seguire e traccia un “sottocerchio” re-lativo alle ipotesi che, pur rientrando nella generale previsione del primo comma, presentano qual-cosa in più (gravi inadempienze, pregiudizio o ostacolo), prevedendo le specifiche conseguenzedi tale seconda situazione; il terzo comma è dettato in modo specifico per le impugnazioni.Questa lettura “semplice” della norma è stata stravolta da alcune interpretazioni, secondo le qualile indicazioni specifiche contenute nel secondo comma costituirebbero invece una fattispecie au-tonoma, suscettibile di sovrapporsi e interagire con la prima. In tal modo l’art. 709 ter è stato arbi-trariamente duplicato, creando due fattispecie entrambe monche e prive di integrale disciplina.Allo stesso modo, altri interpreti hanno ignorato il significato letterale e sistematico della normanell’esaminare la questione dell’applicabilità della nuova disposizione alle controversie di caratte-re economico oppure, laddove il legislatore ha espressamente negato la possibilità di costruire nuo-ve forme di impugnazione, hanno ipotizzato l’utilizzabilità di esse.La lettura dell’art. 709 ter, che si propone, cerca di essere fedele ai princìpi appena espressi, sforzan-dosi di dare un senso logico a ciascuna disposizione, nel modo più semplice e diretto possibile.Preliminare appare tuttavia un’analisi dello scopo per il quale la norma è sorta.È nozione condivisa da ogni operatore del diritto il fatto che, prima della novella normativa, i prov-vedimenti del giudice della separazione e del divorzio, e in primo luogo i provvedimenti presiden-ziali, spesso rischiavano di restare ineseguiti per mancanza di strumenti specifici ed efficaci, idoneiad assicurare la loro esecutività.La dottrina si interrogava sulla possibilità di applicare, ai procedimenti esecutivi riguardanti i mino-ri, le norme relative all’esecuzione degli obblighi di fare o di consegna e rilascio oppure ancora ledisposizioni relative all’esecuzione in via breve.Ciascun procedimento risultava inadeguato e non in grado di far fronte al fatto che il minore “da

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CONTRIBUTI

PROPOSTA PER UNA “LETTURA” DEL NUOVO ART. 709 TER C.P.C.

Bruno de FilippisConsigliere della Corte d’Appello di Salerno

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riconsegnare” non era un oggetto, ma una persona, e poteva assumere comportamenti attivi, ingrado di presentare problemi non risolvibili con il meccanismo attivato.Alla ricorrente domanda, rivolta ai giudici che emanavano i provvedimenti, relativa al come fareper farli effettivamente eseguire, l’ordinamento (e con esso i giudici interpellati) rischiavano di ri-manere senza risposta.Né accorreva in soccorso in diritto penale, in quanto la possibilità di attivare un procedimento exart. 388 c.p. (salvo che non ricorressero i presupposti di cui agli artt. 573 e 574 c.p.), sottoponen-do la vicenda ai tempi e alle vicende del giudizio penale, non risolveva affatto, nell’immediato, ilproblema del rispetto di quanto disposto dal magistrato.Ulteriori problemi esistevano in ordine alla competenza, potendo essere invocato l’intervento di au-torità giudiziarie diverse, con conseguenti ritardi, sovrapposizioni e conflitti.L’art. 709 ter è stato scritto per far fronte a tali problemi. Questa circostanza deve essere tenuta pre-sente nel momento dell’interpretazione, per consentire di comprendere in modo adeguato la ratiodella norma e tener conto di essa, tutte le volte che l’interpretazione stessa lo richieda. L’art. 709 ter è lo strumento utile per evitare che i provvedimenti dettati dal giudice, in particolarmodo al momento della prima comparizione, restino “lettera morta” in questo delicato settore, checoinvolge interessi primari, come quello dei minori, e suscita situazioni di forte impatto emotivo,legate al rapporto genitoriale e alle conseguenze della conflittualità coniugale su di esso.Ci si augura che, nelle situazioni che coinvolgano i minori, i genitori siano capaci di distinguere trarancori e senso di conflittualità, che possono avere nei confronti dell’ex partner, ed interesse deimedesimi. Ove ciò non avvenga, deve tuttavia esservi uno strumento valido per raggiungere ugual-mente lo scopo.Deve perciò essere completamente disattesa la tesi secondo cui la presentazione di un ricorso exart. 709 ter c.p.c. sia un atto che “crei” nuova conflittualità.Al contrario, il ricorso a tale norma serve ad assicurare che la conflittualità, la quale deriva da abu-si, inottemperanze e assenza di soluzioni giudiziarie, sia evitata e controllata.Allorché un genitore consapevolmente e reiteratamente violi le disposizioni impartite, anche in mo-do non immediatamente visibile e non apparentemente grave (così da non giustificare provvedi-menti di altra natura) deve esservi un modo per intervenire e ristabilire la legalità. La legalità, il ri-spetto delle regole, e la tranquillità, per ciascun “contendente” che ciò comporta, costituiscono unadeguato rimedio contro la conflittualità. L’esistenza della possibilità di eludere i provvedimenti delgiudice è invece idonea ad incentivarla. Si noti che l’art. 709 ter è un rimedio particolarmente duttile.Esso è previsto per sanare situazioni di gravi inadempienze, ma può essere attivato anche a pre-scindere da esse, per l’esistenza di contrasti di ogni tipo tra i genitori, nell’ambito dell’interpreta-zione e dell’esecuzione dei provvedimenti in vigore. La lettura unitaria di tale norma consente di comprendere che il primo strumento per risolvere lecontroversie è costituito proprio dalla comparizione delle parti. Questo atto ha valore anche simbolico, in quanto consente ad esse di aver presente che il giudiceè tenuto, non solo ad emettere i provvedimenti, ma anche a curare la loro esecuzione, nonché con-sente al giudice stesso di chiarire, interpretare, specificare i propri provvedimenti e far compren-dere, ove opportuno, alle parti, la necessità che essi siano rispettati.Alcuni commentatori hanno sostenuto che l’ammonimento previsto dall’art. 709 ter sarebbe unasanzione “inutile” o addirittura un mezzo per vanificare l’istanza di parte e l’intero procedimento,consentendo al giudice di chiudere il tutto con un intervento puramente esortativo e privo di pra-tica valenza. Affermare ciò significa non aver compreso che l’art. 709 ter ha funzione soprattutto preventiva: piùche punire, esso intende consentire il raggiungimento del risultato, consistente nella corretta ese-cuzione delle disposizioni impartite e, quindi, poiché esse dovrebbero garantire la piena realizza-zione dell’interesse del minore, nella corretta realizzazione del predetto interesse. Lo scopo preventivo-dissuasivo della norma richiede una corretta esecuzione della funzione di am-monimento, che risulta pertanto fondamentale.

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La sanzione da applicare alla parte è un mezzo e non un fine. L’ammonimento in ordine alla pos-sibilità della sanzione costituisce un metodo adeguato per realizzare tale funzione strumentale delprecetto di legge.A ciò deve aggiungersi che, allorché impartisce l’ammonimento, il giudice non dovrebbe chiudereil sub procedimento instaurato, bensì rinviare ad altra udienza per verificare l’avvenuta eliminazio-ne spontanea o la non ripetizione del comportamento inadempiente.Ciò premesso, passando alla lettura della norma, si osserva che l’art. 709 ter si riferisce a tutte le“controversie” insorte tra i genitori.Il termine “controversia” consente di ricomprendere ogni questione, di diritto o di fatto, che sia sor-ta tra i genitori in relazione all’esecuzione dei provvedimenti in vigore.Sono da respingere le interpretazioni restrittive che vorrebbero negare l’applicabilità dell’art. 709ter nel caso in cui i provvedimenti in vigore non siano contestati in diritto, ma vengano meramen-te elusi in punto di fatto.Il secondo rilievo letterale che la norma determina consiste nella necessità che la controversia siainsorta “tra i genitori”. Restano perciò escluse le controversie nate tra uno dei genitori e terzi (non-ni, parenti, istituto scolastico).Il primo comma dell’art. 709 ter, come si è detto, è l’unica disposizione dettata per determinarel’ambito di applicazione della norma. Quest’ultimo resta pertanto circoscritto alle controversie re-lative all’esercizio della potestà e alle modalità dell’affidamento1. Rientrano nella previsione tutte le controversie relative al modo in cui il minore deve essere istrui-to, educato e curato, nonché tutte le controversie relative al modo in cui il minore deve relazio-narsi con ciascun genitore, incontrarlo e vivere il proprio tempo con esso.Restano escluse le controversie relative al pagamento dell’assegno di mantenimento per il minore.L’esclusione si desume, sia dal chiaro tenore letterale della norma, sia dal fatto che, in ordine adesse, la legge 54 ha previsto un articolo ad hoc, con disposizioni specifiche. Le disposizioni del primo comma relative alla competenza, accolgono, come si è detto, il principiosecondo cui il giudice che ha emanato i provvedimenti è l’autorità più idonea a curare la loro corret-ta esecuzione. Egli, infatti, può comprendere con immediatezza quali parti dei provvedimenti hannodeterminato problemi e quale sia la via migliore, nel rispetto dell’interesse del minore, per risolverli.Inoltre, il giudice del provvedimento è idoneo a rispondere alle istanze proposte in “tempo reale”,in quanto l’esistenza di un procedimento in corso pone le premesse per eliminare i tempi tecnicie burocratici, normalmente necessari per coinvolgere e far intervenire un altro organo giudiziario. Il riferimento al procedimento di cui all’art. 710 c.p.c. crea, dal punto di vista interpretativo, diffi-coltà, in quanto non si comprende con immediatezza se esso abbia istituito o meno una nuova fi-gura di ricorso, ai sensi del combinato disposto tra l’art. 709 ter e l’art. 710 oppure richieda comun-que la pendenza di un ricorso ai sensi di quest’ultima norma.La prima soluzione è preferibile. Di conseguenza, la competenza per i procedimenti in corso exart. 710 c.p.c. resta invariata (senza che l’ingresso in essa di una domanda ex art. 709 ter ne de-termini spostamento), mentre la competenza per un nuovo ricorso (709 ter e 710) si radica nel sen-so previsto dalla norma.Il secondo comma dell’art. 709 ter detta le formalità in rito2.

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CONTRIBUTI

1 Per la soluzione di controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affi-damento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’art. 710 è competente il Tribunale delluogo di residenza del minore.2 A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di attiche comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modi-ficare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:1) ammonire il genitore inadempiente;2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a unmassimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

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La procedura si svolge in modo semplificato. Per la sua instaurazione è necessaria una richiestascritta, ma la stessa può anche (nel caso di procedimento in corso) essere espressa nel verbale dicausa.Il secondo comma prevede anche l’ipotesi di “gravi inadempienze e atti pregiudizievoli”. Si trattadi un’ipotesi ulteriore, non indispensabile per attivare la norma.Ove vi sia un mero contrasto tra i genitori, il giudice può intervenire (dopo essere stato sollecita-to ai sensi dell’art. 709 ter), per correggere, chiarire, modificare i provvedimenti). Ove, oltre al con-trasto, vi siano anche inadempienze idonee a danneggiare il minore, il giudice può adottare le mi-sure sanzionatorie previste.Per quanto riguarda le misure, la competenza, nel caso di procedimento in corso, compete al giu-dice istruttore e non al Collegio. Ciò può desumersi da ragioni logiche, legate alla ratio della nor-ma e alle esigenze di speditezza, e da ragioni formali, legate al fatto che la norma considera uni-tariamente tutte le misure e, quindi, poiché sia la modifica dei provvedimenti che l’applicazione diuna sanzione pecuniaria (si veda l’art. 179 c.p.c.) competono al giudice istruttore, anche le altrepossibilità devono essere attribuite, per esigenza di unitarietà, al medesimo. Per quanto riguarda la natura giuridica dei provvedimenti previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art.709 ter, si deve ritenere che costituiscano misure coercitive indirette, vale a dire, sanzionino l’ina-dempimento di un’obbligazione civile, allo scopo di indurre l’obbligato ad adempiere.Essi non rientrano nel sistema previsto dagli artt. 2043 e 2059 c.c., ma introducono, nel nostro co-dice, misure analoghe ai “danni punitivi” esistenti in ordinamenti stranieri.Ciò significa che la misura dei danni da risarcire non dipende solo dal pregiudizio subìto, ma an-che, se non principalmente, dall’entità della violazione.L’espressione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 709 ter, secondo cui “i provvedimenti assuntidal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari” significa che il legislatore nonha inteso creare nuovi strumenti di impugnazione e che, quindi, questa operazione non può esse-re compiuta dall’interprete.I provvedimenti assunti nel corso di un procedimento ex art. 710 c.p.c. potranno essere impugna-ti dinanzi alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 739 c.p.c.I provvedimenti emessi nel corso del giudizio di separazione o di divorzio saranno invece impu-gnabili, ex art. 178, con richiesta di riesame da parte del Collegio, nel momento della decisione fi-nale da parte di tale organo e, successivamente, con appello avverso la sentenza che abbia respin-to o ignorato la richiesta.

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Prima di procedere all’esame delle caratteristiche di detto procedimento è utile chiarire come lo stes-so sia, solo dopo un certo lasso di tempo dall’entrata in vigore della norma, utilizzato come strumen-to utile anche ad affrontare gli inadempimenti di ordine economico da parte dell’obbligato.

1. La natura del procedimento ex art. 709 ter c.p.c. La competenza

Il legislatore, quando ha modificato l’art. 155 c.c. con la legge 54/2006 e ha introdotto l’affidamen-to condiviso quale forma preferenziale di affidamento dei figli, si è reso conto che questa normaavrebbe potuto essere all’origine di seri conflitti tra i due affidatari al punto che ha introdotto unanuova norma nel codice di procedura civile e precisamente l’art. 709 ter c.p.c. allo scopo di forni-re ai cittadini la “soluzione delle controversie e procedimenti in caso di inadempienze o violazioni”. Va anzitutto chiarito come detto articolo sia applicabile anche alle ipotesi di affidamento esclusivo,proprio perché la novella ha fissato che la regola alla quale i genitori devono attenersi, a prescin-dere dal tipo di affidamento, sia quella dell’accordo e, di conseguenza, nei casi in cui i genitorinon riescano a raggiungere un accordo in ordine alle decisioni da assumere per i figli minori, que-sti dovranno ricorrere al giudice e lo faranno con le modalità di cui all’art. 709 ter c.p.c., ciò ov-viamente fino a quando il contrasto tra i genitori sia riconducibile ad un conflitto sulle modalità diesercizio della potestà o sulle modalità dell’affidamento condiviso. A distanza di quasi tre anni dall’entrata in vigore della norma è necessario interrogarsi se il legisla-tore con questa normativa abbia effettivamente dotato i cittadini di uno strumento in sede civileutile a risolvere le controversie nelle ipotesi di inadempienze e ai contrasti insorti tra genitori:1) che siano parti di un giudizio di separazione giudiziale o consensuale ancora pendente;2) che siano già separati;3) che siano parti di un giudizio di divorzio ancora pendente; 4) che siano già divorziati;5) che siano parti di un giudizio di invalidità del matrimonio pendente di fronte al giudice ordina-

rio e non di fronte al Tribunale ecclesiastico;6) che abbiano già ottenuto un giudicato dichiarativo dell’invalidità del matrimonio;7) ai genitori che non siano coniugati.In ordine alla natura del procedimento ex art. 709 ter c.p.c. va detto come parte della dottrina loconsideri come appartenente alla volontaria giurisdizione. Al riguardo è necessario però interrogar-si sulla circostanza che il presupposto della realizzazione dell’interesse del minore è costituito dal-la soluzione dei conflitti dei genitori e sull’ulteriore circostanza che una delle domande proponibi-li in questo procedimento è quella di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno derivante dalcomportamento doloso o colposo di uno dei due genitori. Non si comprende pertanto come si pos-sa negare al procedimento ex art. 709 ter c.p.c. natura contenziosa.La lettura del primo comma dell’art. 709 ter c.p.c. in ordine all’individuazione del giudice compe-

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CONTRIBUTI

IL PROCEDIMENTO EX ART. 709 TER C.P.C.

Marina MarinoAvvocato, Foro di Roma

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tente a conoscere di detto procedimento fa comprendere come sia necessario porre una distinzio-ne in relazione al momento in cui insorgono controversie tra i genitori.Se sorgono controversie in ordine all’esercizio della potestà genitoriale durante la pendenza delprocedimento, sarà competente a decidere il giudice della separazione o del divorzio o di altri giu-dizi quali quelli dianzi indicati pendenti e di conseguenza il ricorso ex art. 709 ter c.p.c. diventeràuna domanda incidentale rispetto alla domanda principale. Nell’ipotesi in cui si debba proporre un ricorso per la modifica delle condizioni di separazione o didivorzio nel quale si affrontino esclusivamente questioni attinenti l’affidamento o le modalità diesercizio della potestà parentale la competenza sarà del giudice del luogo di residenza del minore. Abbiamo appena accennato al fatto che la norma stabilisce la competenza del giudice del proce-dimento in corso (separazione, divorzio o procedura ex art. 317 bis c.c., giudizio di invalidità delmatrimonio pendente di fronte al giudice ordinario) a conoscere delle controversie che abbiano adoggetto l’esercizio della potestà genitoriale e le modalità di affidamento. Detto principio era già sta-to affermato dalla l. 898/70 e successive modifiche all’art. 6 decimo comma dove si legge “all’at-tuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito”. Unprimo problema di competenza si pone nei riguardi dell’art. 333 c.c., in virtù del quale, in caso dicondotta di un genitore pregiudizievole ai figli, il giudice (individuato dall’art. 38 att. c.c. nel Tri-bunale per i Minorenni) può adottare i “provvedimenti convenienti”. In relazione a tale analogia è interessante leggere quanto affermato dal Tribunale per i Minorennidi Catania con l’ordinanza del 6 giugno 2006 nel decidere una richiesta ex art. 333 c.c. posta neiconfronti di un genitore durante la pendenza del giudizio di separazione personale dei coniugi, sidichiarava incompetente a decidere il ricorso propostogli e indicava come giudice competente ilTribunale ordinario, affermando che: «In pendenza del giudizio di separazione personale dei co-niugi, spetterà al Tribunale ordinario la cognizione anche per eventuali domande di limitazione del-la potestà genitoriale avanzate da uno dei coniugi nei confronti dell’altro; ferma restando la cogni-zione del Tribunale per i Minorenni per le richieste dei coniugi ex art. 330 c.c., in quanto il giudi-ce della separazione, stante la normativa attualmente in vigore, non potrebbe comunque mai arri-vare a dichiarare la decadenza di uno dei coniugi dalla potestà genitoriale” (...). “Qualora uno deiconiugi proponga prima al Tribunale ordinario, ex art. 709 ter c.p.c., e, poi, al Tribunale per i Mi-norenni, ex art. 333 c.c., due azioni aventi ad oggetto sostanzialmente la stessa condotta (pregiu-dizievole al figlio) ed il medesimo petitum (limitazione della potestà genitoriale) spetterà a que-st’ultimo dichiarare la litispendenza ex art. 39, comma 1, c.p.c., con sentenza, disponendo la can-cellazione della causa dal ruolo. Ove le cause, invece, siano diverse, occorrerà stabilire se possaritenersi sussistere la ipotesi della continenza di cause, di cui all’art. 39, comma 2, c.p.c. (Fattispe-cie in cui la causa promossa dinanzi al Tribunale per i Minorenni, successiva alla proposizione delgiudizio di separazione personale, pur presentando gli stessi soggetti e la medesima causa peten-di, aveva un petitum meno ampio di quella presentata innanzi al Tribunale Ordinario, comprensi-va anche della richiesta di provvedimenti limitativi della potestà)».All’affermazione di questi princìpi la sentenza perviene sulla scorta di due considerazioni: 1) i fatti costitutivi di cui all’art. 709 ter comma 2, c.p.c. (“gravi inadempienze”, “atti che comun-

que arrechino pregiudizio al minore”, e, infine, “atti che ostacolino il corretto svolgimento dellemodalità dell’affidamento”) sono analoghi a quelli previsti dall’art. 333 c.c. (“condotta pregiu-dizievole al figlio”);

2) i poteri attribuiti al giudice della separazione dalla novella sono i medesimi attribuiti al Tribu-nale per i Minorenni dall’art. 333 c.c.; la ratio della novella intende garantire pari trattamento aifigli indipendentemente dal fatto che i genitori siano coniugati o meno. Pertanto, sulla scorta didetta sentenza il Tribunale per i Minorenni sarà competente a decidere sulle ipotesi di 333 c.c.proposte da genitori non separati, né divorziati, che non abbiano pendente uno dei due proce-dimenti e da genitori non uniti in matrimonio.

Il tema della suddivisione delle competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni,com’è noto, è stata affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza un numero assai consistente divolte e una delle decisioni più rilevanti prima dell’ordinanza della Cassazione che ha risolto, sia

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pure in modo non condivisibile, la questione relativa al conflitto di competenza sollevato succes-sivamente all’entrata in vigore della presente normativa, è la sentenza 3159/971 che, nel definire co-me debba suddividersi la competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni sulle do-mande di limitazione della potestà genitoriale nei confronti dei figli, aveva stabilito che: “Alla stre-gua del disposto dell’art. 38 (nuovo testo) att. c.c., sulla competenza del Tribunale per i minorenni,coordinato con le norme dettate dagli artt. 155 e 317 c.c., 9 della legge primo dicembre 1970, n.898 e 710 c.p.c., i provvedimenti di revisione delle condizioni di affidamento dei figli minori di co-niugi separati, in forza di separazione giudiziale o separazione consensuale omologata, ovvero diconiugi il cui matrimonio sia stato annullato o sciolto, rientrano nella suddetta competenza del Tri-bunale dei minorenni nei soli casi in cui, come causa di quella revisione, si chieda un interventoablativo o limitativo della potestà parentale sulla prole, a norma degli artt. 330 e 333 c.c., mentre,in ogni altro caso, sono devoluti alla competenza del Tribunale ordinario”. La nota a detta senten-za a firma di Chizzini, osserva come: “la tutela della prole rispetto alla condotta dei genitori even-tualmente pregiudizievole per i minori, non costituisce ragione esclusiva per individuare la fattispe-cie dell’art. 333 c.c. e la competenza del Tribunale per i minorenni che su di esso si radica, ben po-tendo essa rientrare nella competenza del Tribunale ordinario, sia come causa nella separazionelegale, sia come causa di provvedimenti relativi all’esercizio della potestà sui figli nella stessa sen-tenza di separazione ovvero nei provvedimenti modificativi previsti dall’ultimo comma dell’art. 155c.c. ... La fattispecie dell’art. 333 c.c., si distingue da quella degli artt. 155 e 317, secondo commac.c. per il fatto che quest’ultima presuppone la famiglia legale fondata sul matrimonio nonché lapendenza (o l’avvenuta definizione con omologa o con sentenza nei casi di modifica), di una cau-sa di separazione consensuale, di separazione legale, di annullamento, di scioglimento del matri-monio o di cessazione degli effetti civili, mentre l’art. 333 dispone soltanto per i casi di matrimoniosenza separazione legale, o comunque, per i casi di separazione di fatto dei genitori, coniugati onon”, tra le altre decisioni del medesimo tenore si segnala la sentenza 6953/2004 della Cassazio-ne2. Di segno del tutto contrario è invece la sentenza 3529/20043 della Cassazione, che ha negatol’identità di petitum e di causa petendi tra procedimento ex artt. 330-333 c.c. e giudizio di separa-zione personale dei coniugi, in quanto: “la litispendenza, che determina la competenza in base aicriteri della prevenzione, sussiste solamente quando fra due o più cause vi sia, oltre all’identità di‘petitum’ e di ‘causa petendi’, di guisa che la stessa non è configurabile – stante la comunanza sog-gettiva soltanto parziale e la diversità oggettiva – tra il giudizio di separazione personale dei coniu-gi e il procedimento per la pronunzia di decadenza dalla potestà dei figli ex art. 330 c.c. nonchéper l’emanazione degli ulteriori provvedimenti di cui all’art. 333 c.c.: infatti, quest’ultimo procedi-mento, da un lato, contempla espressamente il pubblico ministero tra i legittimati al relativo avvio,dall’altro, in ordine alla ‘causa petendi’ e al ‘petitum’, fa riferimento ad una condotta di uno o dientrambi i genitori necessariamente pregiudizievole al figlio (sia o non sia quest’ultima tale da darluogo alla suindicata pronuncia di decadenza) ed ha ad oggetto l’emanazione degli anzidetti prov-vedimenti di cui all’art. 330 e ss. c.c., laddove, nel giudizio di separazione personale, le (eventua-li) statuizioni relative ai figli minorenni, di cui all’art. 155 c.c., si inseriscono nel quadro di unaregolamentazione della vita familiare consequenziale all’allentamento del vincolo matrimoniale(onde vengono ad incidere soltanto sulle modalità di esercizio della potestà genitoriale e non postu-lano il pregiudizio o il pericolo di pregiudizio per la prole medesima)”. Nell’ipotesi in cui si debba proporre un ricorso ex art. 709 ter c.p.c. e i due genitori non abbianoin corso alcun contenzioso tra di loro per essere gli stessi definiti, la competenza a decidere del ri-corso sarà quella del Tribunale ove ha la residenza il minore; a questo proposito la dottrina piùsensibile4 ha manifestato non poche perplessità. È infatti difficile ipotizzare che sia possibile, e di

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CONTRIBUTI

1 Cfr. Cass. sentenza dell’11 aprile 1997, n. 3159 , in Fam e dir., 1997, 431.2 Cfr. Cass. 8 aprile 2004, n. 6953, in Foro it., Rep., 2004, voce Potestà dei genitori, n. 4. 3 Cfr. Cass. 21 febbraio 2004, n. 3529, in Foro it., Rep., 2004, voce Competenza civile, n. 135.4 Cfr. Salvaneschi, I procedimenti di separazione e divorzio, in Fam e Dir., 2006, 372 ss.

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fatto frequente, un procedimento di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio nel qua-le siano avanzate domande volte alla modificazione dell’affidamento o domanda volte a risolverei contrasti verificatisi tra i coniugi in merito alla gestione della potestà tra i genitori nei confrontidei figli, scisse da domande aventi un contenuto economico che può discendere sia dalla modifi-ca dell’affidamento, che dall’accoglimento della richiesta di risarcimento del danno causato da unadelle parti, risarcimento che potrà essere sia in favore del minore che in favore del genitore. Per-tanto la norma, che indica come criterio in base al quale definire la competenza quello della resi-denza del minore, appare configgente con i princìpi generali dell’ordinamento a riguardo, in con-siderazione del fatto che il luogo di residenza del convenuto potrebbe non coincidere con quellodel minore. Sarebbe quindi più in linea con i princìpi generali che sottendono al nostro codice dirito utilizzare come criterio individuatore del giudice competente quelli contenuti nell’art. 20 c.p.c.ben vero che la norma in questione fa riferimento all’art. 710 c.p.c. per individuare la competenzadel luogo di residenza del minore, ma va detto che analogo criterio dovrà essere utilizzato anchenei procedimenti ex art. 9, l. 898/70 e successive modificazioni, anche se in merito è necessario te-nere conto del fatto che alcuni importanti autori5 sono di avviso del tutto contrario ritenendo ap-plicabili alle modifiche delle condizioni di divorzio il criterio del Foro generale delle persone fisi-che e quello del Foro facoltativo delle obbligazioni, di cui all’art. 12 quater 1. div. (aggiunto dal-l’art. 18, della legge 74/87).Una formulazione tanto generica della norma in esame lascia irrisolti molti problemi, primo tra tut-ti quello della competenza a decidere dette questioni da parte del Tribunale per i Minorenni. Inparticolare si dovrà ricorrere al Tribunale per i Minorenni per le questioni di cui all’art. 316 c.c. ov-vero si dovrà ricorrere al Tribunale ordinario ex art. 709 ter c.p.c. e, via di seguito, dinanzi ad unacondotta pregiudizievole di un genitore non coniugato si dovrà proporre un ricorso al Tribunaleordinario ex art. 709 ter c.p.c. ovvero un ricorso al Tribunale per i Minorenni ex art. 333 c.c.?Chi scrive si rende conto delle difficoltà interpretative, ma è necessario ricordare che anziché ver-so un’accentuazione delle differenze tra figli di genitori coniugati e figli di genitori non coniugatisi dovrebbe, a distanza di tanti anni dall’approvazione della Carta Costituzionale, realizzare la pa-rità di trattamento dei figli; pertanto non essendo pensabile che il Tribunale per i Minorenni pos-sa applicare l’art. 709 ter c.p.c. stante la mancata previsione dell’art. 38 dis. att. c.c., ai figli nati fuo-ri dal matrimonio rimarrebbero inapplicabili le norme di cui all’art. 709 ter c.p.c. che attengono ilrisarcimento del danno e quindi ci si troverebbe dinanzi ad una disparità di trattamento sanziona-bile dai giudici delle leggi. Ovviare a tutti questi inconvenienti è semplice, oltre che consentito dal-la lettera della norma, e anche il genitore non legato dal vincolo del matrimonio potrà ricorrere alTribunale ordinario ex art. 709 ter c.p.c.Alla stregua di quanto detto ci si chiede che cosa ne sia dell’art. 337 c.c. dato che, da quanto det-to, sembrerebbe ulteriormente ridotta e limitata la competenza dei giudici tutelari ai quali è, di fat-to, sottratta tutta la materia del controllo e della vigilanza sull’adempimento delle disposizioni con-tenute nelle sentenze di separazione e divorzio. Al riguardo si deve segnalare l’opinione contrariadi Tommaseo, che ritene tutt’ora in vita l’art. 337 c.c. caratterizzato appunto dal potere di vigilan-za del giudice tutelare sull’osservanza delle condizioni stabilite per l’esercizio della potestà. Que-sta opinione è convincente se si riflette sulla circostanza che compito ben diverso è quello del giu-dice tutelare rispetto a quello del Tribunale in un ricorso ex art. 709 ter c.p.c. dato che questo po-tere di vigilanza non ha certo necessità del ricorso da parte di alcuno, mentre il Tribunale potrà in-tervenire ex art. 709 c.p.c. solo a seguito di una specifica richiesta di una parte. A ciò si aggiungache i poteri dei due sono decisamente difformi e quindi certo non è possibile parlare di abroga-zione tacita dell’art. 337 c.c.

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5 Cfr. Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili processuali, in Fam. dir., 2006, 393.

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2. Ricorso introduttivo, procedimento, forma e contenuto del provvedimento conclusivo del procedi-mento ex art. 709 ter c.p.c.

Alcuni tra i primi commentatori della novella ritengono che, in pendenza di giudizio di separazio-ne, divorzio o procedura ex art. 317 bis c.c., giudizio di invalidità del matrimonio pendente di fron-te al giudice ordinario, la richiesta possa essere formulata oralmente al giudice istruttore. Chi scri-ve non ritiene che ciò sia rispondente ai princìpi del nostro ordinamento. Infatti, partendo dal pre-supposto, generalmente condiviso, che la domanda ex art. 709 ter c.p.c., avanzata nel corso di unodei giudizi appena elencati, abbia la natura di domanda accessoria che dà luogo ad un subproce-dimento, non può essere revocato in dubbio che detta domanda vada necessariamente formulataper iscritto con tutti i requisiti richiesti dalle norme generali del procedimento civile, ciò anche perconsentire l’esplicazione a pieno del diritto di difesa della parte resistente. Ovviamente laddove ilprocedimento di separazione o di divorzio sia definito, il ricorso ex art. 709 c.p.c. si dovrà presen-tare al Tribunale ordinario del luogo di residenza del minore, ma è utile richiamare l’attenzione dellettore all’opportunità nel futuro di sollevare eccezioni di legittimità costituzionale con l’intento diricondurre la normativa appena richiamata ai princìpi generali del diritto processuale civile. Il contenuto del ricorso sarà quello di cui all’art. 125 c.p.c. e quindi dovrà contenere l’indicazione: a) del nome del genitore ricorrente e del genitore resistente; b) dei motivi del contrasto sull’esercizio della potestà; c) di quale provvedimento si chiede al giudice. Tutti coloro che sostengono che il procedimento in esame sia un procedimento di volontaria giu-risdizione ritengono che tale circostanza trovi conferma nel fatto che detto procedimento si dovreb-be svolgere nelle forme del procedimento camerale ai sensi degli artt. 737 e ss. c.p.c. Tale osser-vazione non appare molto convincente se solo si riflette quanti siano i procedimenti camerali con-tenziosi che si svolgono secondo il medesimo rito a cominciare proprio dal procedimento ex art.710 c.p.c. Pertanto per i motivi ampiamente spiegati al paragrafo precedente chi scrive ritiene trat-tarsi di un procedimento contenzioso.Una domanda che legittimamente ci si pone è quella relativa alla partecipazione del pubblico mi-nistero al procedimento. Alcuni commentatori6 ritengono che non sia necessaria la presenza del pubblico ministero in con-siderazione della mancata previsione di questo tra quelli previsti dall’art. 70 c.p.c.Altri7, invece, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale del 9 novembre 1992, n. 416 cheha affermato l’imprescindibile presenza del p.m. nei procedimenti ex art. 710 c.p.c. ogni qual vol-ta vi siano modifiche dei provvedimenti che riguardano i figli minori, poiché al termine del proce-dimento ex art. 709 ter c.p.c. si possano modificare i provvedimenti relativi alla prole, porta a farritenere che sia necessaria anche in quest’ultimo tipo di procedimenti la presenza del p.m., con laconseguenza che il ricorso introduttivo dovrà essere comunicato al p.m.Il giudice istruttore o il Tribunale dovranno disporre il termine per la notifica del ricorso al resi-stente, assegnare al medesimo un termine per la costituzione e il deposito di documenti; successi-vamente all’espletamento di detti incombenti, si procederà all’ascolto del minore e ad ammettere imezzi istruttori che si riterranno utili tra quelli proposti dalle parti e, nell’ipotesi in cui raggiunga ilconsenso delle parti, si potrà sospendere il procedimento perché le parti effettuino un tentativo dimediazione. Se anche questo non desse esito si dovrà emettere il provvedimento a chiusura dellaprocedura così come previsto dall’art. 709 ter c.p.c.Nell’imbarazzante silenzio della norma che non indica quale tipo di provvedimento dovrebbe con-cludere il procedimento, non potrà che farsi riferimento all’art. 131, secondo comma c.p.c. che pre-vede: “in mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al rag-

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CONTRIBUTI

6 Cfr. Finocchiaro, Ricorso solo con l’assistenza di un legale, in Guida al diritto, 2006, 11, 57.7 Cfr. Balena in Balena e Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari 2006.

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giungimento dello scopo”. Credo quindi che sia agevole ipotizzare, per quel che attiene le richie-ste ex art. 709 ter c.p.c. avanzate nel corso del giudizio di separazione o divorzio, che, ove i prov-vedimenti siano dati dal giudice istruttore questo avvenga con la forma dell’ordinanza, mentre seil provvedimento verrà assunto dal collegio in sede di pronuncia anche sulle domande principalila forma non potrà essere che quella della sentenza. Per quel che attiene alle richieste ex art. 709ter c.p.c. proposte successivamente alla definizione della separazione o del divorzio o del giudiziodi invalidità del matrimonio, evidentemente svolgendosi il giudizio con le forme del rito cameraleex art. 737 c.p.c., non potrà che essere definito con un decreto motivato. Un ulteriore interrogati-vo assai pratico, al quale la norma non dà risposta, è quello relativo all’immediata efficacia o me-no degli stessi. Ritengo che, per quel che attiene il provvedimento adottato con la sentenza chedecide la domanda principale, non possano esservi dubbi sull’immediata eseguibilità del provve-dimento; per quel che attiene le ordinanze, essendo esse provvedimenti che riguardano i minori,sono provvisoriamente esecutive come tutti i provvedimenti assunti nel corso dei giudizi di sepa-razione e divorzio inerenti i minori; per i procedimenti che si concludono con decreto, o il colle-gio che lo emette lo dichiara provvisoriamente esecutivo per ragioni di urgenza oppure sarà ne-cessario attenderne il passaggio in giudicato.Il legislatore del 2006 ha individuato nel dettaglio il tipo di provvedimenti che potranno essere as-sunti al termine del procedimento ex art. 709 ter c.p.c. e precisamente: 1) ammonire il genitore inadempiente;2) condannare il genitore autore della condotta pregiudizievole al risarcimento dei danni a carico

del minore;3) condannare il genitore autore della condotta pregiudizievole al risarcimento dei danni causati

all’altro genitore;4) condannare il genitore autore della condotta pregiudizievole al pagamento di una sanzione am-

ministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro ad un massimo di 5.000 euro da versare allaCassa delle ammende. Ciò non sta certo a significare che il giudice non possa decidere il pro-cedimento nei modi che riterrà più opportuni e ciò in considerazione del fatto che l’art. 709 terc.p.c. al secondo comma prevede che: “il giudice adotta i provvedimenti opportuni”. L’articoloin esame è caratterizzato dalla natura sanzionatoria, in relazione alla quale si deve chiarire chelo stesso è applicabile ai genitori che abbiano figli minorenni non emancipati dal momento chetrattandosi delle sanzioni da imporre ai genitori in conseguenza di contestazioni sulle modalitàdi esercizio della potestà, è del tutto evidente che, dal momento che l’art. 316 c.c. prevede che“il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o all’emancipazione”, fatta sal-va l’ipotesi di un figlio maggiorenne portatore di handicap che l’art. 155 quinquies parifica alfiglio minorenne.

Tale considerazione trova peraltro un’eccezione nell’art. 155 quinquies c.c. che afferma: “ai figlimaggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, terzo comma, della legge 5 febbra-io 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”, per-tanto non sembra possa essere revocato in dubbio che l’art. 709 ter c.p.c. si applichi anche ai ge-nitori di figli maggiorenni portatori di handicap8. L’aspetto sanzionatorio della norma ha suscitato un vivace dibattito a partire dall’interpretazione dadare alle “sanzioni” individuate dal legislatore ed estranee alle categorie previste dal nostro ordi-namento, iniziando proprio dalla prima definita dal legislatore come ammonizione al genitore ina-dempiente. A tale riguardo ritengo debba essere chiarito che la norma non intenda riferirsi agli ina-dempimenti di carattere economico, posto che a questi l’art. 3 della novella ha esteso l’applicazio-ne dell’art. 12 sexies della legge 74/87. Va detto che l’ammonizione sembra avere una funzione solamente simbolica se contemporanea-mente non si proceda alla applicazione di altra sanzione; a tale riguardo la dottrina9 ha fatto uno

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8 Cfr. Finocchiaro, in Guida al diritto, 11, 2006, 53 ss.9 Cfr. Greco, La responsabilità civile nell’affidamento condiviso, in Resp. civ., 2006, 745 ss.

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sforzo interpretativo non indifferente, giungendo ad affermare che: “per comprendere il significatodella sanzione in commento si dovrà procedere applicando analogicamente altri istituti che paio-no avere similitudini con la stessa”; a tal fine l’autore ci dice come ammonire sia derivato dal ver-bo latino admonere che significa “avvertire”, “rammentare”, e quindi, secondo Greco, l’ammonizio-ne sarebbe una diffida rivolta al genitore di astenersi da quel momento in avanti dal porre nuova-mente in essere comportamenti che realizzino inadempimenti o violazioni degli obblighi assunti oal medesimo imposti se non vuole incorrere in sanzioni più gravi. Questa interpretazione che delresto appare l’unica legittima, dimostra la totale inefficacia della sanzione se non comminata uni-tamente ad una delle altre sanzioni previste nel medesimo articolo dal legislatore. Le sanzioni previste ai numeri due e tre, e cioè i risarcimenti del danno causato all’altro genitoreo al minore, possono dare luogo a questioni infinite da parte della dottrina e della giurisprudenzarelativamente alla natura di questo risarcimento del danno, ma in questa sede, anziché affrontarequesto problema sicuramente interessante specie per quel che concerne un profilo eminentemen-te scientifico, ci si propone di esaminare quelli che sono i nodi che nella pratica più frequentemen-te si debbono affrontare.In primo luogo è necessario chiarire come non possa essere determinato dal giudice un risarcimen-to del danno ex art. 709 ter n. 2 e 3 in assenza di una specifica richiesta in tal senso, trattandosi diun risarcimento del danno extracontrattuale. E questo in considerazione della natura chiaramentecontenziosa del procedimento, per cui il giudice è strettamente tenuto a pronunciarsi nel pieno ri-spetto del principio della domanda, nel senso che non potrà che limitare la propria decisione allarichiesta formulata, pena il rischio di una pronuncia viziata da ultra petitum. Del tutto diverso è il principio che informa la pronuncia ex art. 709 ter, n. 4 c.p.c. In questo casola condanna in favore della cassa delle ammende non richiede la domanda di parte, ben potendoil giudice provvedere ad infliggere questa condanna sulla scorta dell’accertamento della condottapregiudizievole nei confronti dei figli. Il legislatore ha qualificato questa sanzione come “ammini-strativa”, ma questo non sta ad affermare che non possa essere una sanzione di carattere “penale”.Benché la norma parli di versamento a favore della Cassa delle ammende, anch’essa può essere ir-rogata dal giudice in assenza di una richiesta in tal senso avanzata da parte ricorrente. Certo assaipoco convincente sotto il profilo scientifico è la qualificazione di questa sanzione come ammini-strativa non essendo questa rispondente all’interesse del minore.Senza voler poi osservare come appaia davvero incongruo che, un ordinamento che non riesce afornire ai propri cittadini mezzi e reti di protezione socio-psicologica in grado di aiutarli a supera-re la conflittualità derivante dalla crisi coniugale e a trovare un nuovo e diverso equilibrio, pensipossa essere utile e giusto trarre profitto proprio da quella conflittualità che avrebbe l’obbligo al-meno di cercare di risolvere.Inoltre sembra potersi desumere che, come per l’ammonizione, l’irrogazione di tale sanzione pos-sa essere disposta anche d’ufficio dal giudice. Personalmente concordo con le critiche mosse dapiù parti alla previsione in questa norma della sanzione amministrativa così configurabile, dal mo-mento che, di per sé, non mi pare risponda all’interesse del minore. Le prime pronunce a questoriguardo sono l’ordinanza del 7 aprile 2006 del Tribunale di Modena con cui si richiamava “il con-venuto all’adempimento dei propri obblighi sanciti dal provvedimento presidenziale, tramite l’am-monimento e la conseguente inflizione della sanzione del pagamento di una sanzione amministra-tiva pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, salvo successivamente disporre, nel caso diprotrazione dell’inottemperanza e di specifica prova dei danni, il risarcimento patrimoniale a ca-rico del convenuto”. Va detto che appare non condivisibile questa ordinanza laddove è stata assun-ta sulla scorta della mancata corresponsione del contributo al mantenimento dei figli (che ha san-zioni specifiche e proprie) mentre appare legittima rispetto alla non osservanza del dovere di man-tenere un rapporto costante e continuativo con i figli. A questa ordinanza segue poco dopo l’ordi-nanza dell’11 luglio 2006 del Tribunale di Catania che si riporta per esteso: “rilevato che è pacificoche la F. di fatto non goda della casa familiare, nonostante tale presupposto fosse stato positivamen-te considerato nel provvedimento presidenziale; rilevato che essa, oggi, chiede l’assegnazione dellacasa familiare; ritenuto che la detta istanza deve trovare accoglimento, posto che, a tutela della pro-

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CONTRIBUTI

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le minorenne, l’assegnazione della casa familiare deve disporsi in favore del genitore collocatario,e dunque della F.; rilevato che parte resistente deduce la frapposizione di ostacoli, da parte della F.,ad un corretto svolgimento delle modalità di affidamento, e, in particolare, la sussistenza di com-portamenti volti ad impedire al padre di tenere con sé la prole; ritenuto che appare opportuno in-vitare la F. ad astenersi da tale condotta – altamente pregiudizievole per il corretto sviluppo dei rap-porti fra il padre ed i minori – la quale potrà in prosieguo, ove perdurante, comportare l’adozionedei provvedimenti di cui all’art. 709 ter c.p.c.; P.Q.M. Visti gli artt. 708 e 709 c.p.c. assegna, in fa-vore di F. M.C., la casa familiare, sita in M., via T.C. n. **, con i mobili e le suppellettili che l’arre-dano, perché vi abiti con la prole. Statuisce, per il resto, come indicato in parte motiva”. La decisio-ne appena riportata è uno dei primi provvedimenti ex art. 70 ter c.p.c. in cui il g.i. dopo aver ve-rificato che sono stati posti in essere comportamenti di ostruzionismo al rapporto con l’altro geni-tore, da parte del genitore collocatario dei minori, ha applicato la sanzione prevista al numero 1cioè l’ammonizione con l’avvertenza che la reiterazione del comportamento avrebbe portato comeconseguenza la modifica dei provvedimenti provvisori e l’irrogazione delle sanzioni di cui ai pun-ti 2, 3 e 4 dell’art. 709 ter c.p.c. I provvedimenti con i quali si è irrogata la sanzione amministrativa di cui al n. 4 dell’art. 709 terc.p.c. non sembra possano essere revocati o modificati dopo il reclamo, e di conseguenza verreb-be ad incidere su diritti soggettivi del genitore, con la conseguenza che a detto provvedimento sa-rebbero riconducibili i requisiti della decisorietà e definitività indispensabili per il ricorso in Cassa-zione ai sensi dell’art. 111, settimo comma Cost. e quindi si può ritenere che avverso detto prov-vedimento sia proponibile il ricorso straordinario per Cassazione.Ben potendo darsi il caso di una pronuncia di un decreto che al termine di un procedimento ca-merale disponga un risarcimento in favore dell’altro genitore o del figlio sarà possibile, all’esito delreclamo, proporre un ricorso ex art. 111, settimo comma Cost. dato che la tutela camerale dei di-ritti viene ricondotta nell’ambito applicativo dell’art. 111, n. 7 Cost.Nel corso del tempo la giurisprudenza (Tribunale di Reggio Emilia ordinanza 30 aprile 2007) hautilizzato la norma in esame anche sotto ulteriori profili quali ad esempio quello del mancato oinesatto pagamento delle spese straordinarie per i figli e quello relativo ai contrasti sulla misura esulle modalità di ripartizione delle spese affermando il principio che: “tra le controversie prese inconsiderazione dall’art. 709 ter c.p.c. rientrano anche quelle inerenti al mantenimento del minoree alla ripartizione del contributo tra i genitori: l’esercizio della potestà comporta l’assunzione di de-cisioni che possono avere riflessi economici; il nuovo art. 155 c.c. considera come strettamente con-nessi il profilo dell’affidamento e quello del mantenimento del minore, anche il contrasto su que-stioni economiche può comportare un pregiudizio per il minore (Nella specie, il giudice del merito,in applicazione del riferito principio di diritto, ha sostenuto che la controversia tra le parti in ordi-ne alla misura ed alle modalità di ripartizione delle spese straordinarie sostenute nell’interesse delfiglio minore rientrava nella previsione dell’art. 709 ter c.p.c.)”. Nello stesso senso si è pronuncia-to il Tribunale di Modena 29 gennaio 2007, nonché Tribunale di Modena 21 luglio 2006, inwww.giuraemilia.it, secondo cui: “In tema di gravi inadempienze commesse da uno dei genitori,l’omessa corresponsione del contributo di mantenimento in favore dei minori determina un vero eproprio danno non patrimoniale a carico degli stessi, da ritenersi presuntivamente esistente, stantela gravità dell’inadempienza e l’attentato che essa comporta ai diritti costituzionali della prole. Nediscende che l’obiettivo inadempimento posto in essere da uno dei genitori giustifica l’adozione del-la sanzione del risarcimento del danno in favore dei minori, da quantificarsi secondo il principiodi gradualità. (Nella specie, il giudice del merito, in applicazione del riferito principio di diritto, hacondannato il padre al risarcimento del danno in favore del minore in misura corrispondente adue mensilità dell’assegno di mantenimento)”.

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3. Reclamabilità dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c.

La novella rispetto al problema dell’impugnazione dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. è estre-mamente vaga e imprecisa posto che si limita ad affermare che “i provvedimenti assunti dal giudi-ce del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”, senza darsi cura di chiarire quale sia ilprocedimento applicabile ai casi di impugnazione. In presenza di una norma tanto generica nonrimarrà, agli interpreti, che fare riferimento all’art. 12, primo comma delle disposizioni sulla leggein generale, e quindi sarà opportuno fare riferimento alle disposizioni che regolano casi simili omaterie analoghe; e nell’ipotesi in cui il caso rimanga ancora dubbio, si dovrà fare ricorso ai prin-cìpi generali dell’ordinamento.Le fattispecie che l’interprete potrà incontrare sono:1) l’ipotesi in cui il provvedimento ex art. 709 ter c.p.c. sia assunto nel corso di un giudizio di se-

parazione o divorzio dal giudice istruttore con la forma dell’ordinanza, nel qual caso la suddet-ta ordinanza potrà essere revocata o modificata dal medesimo giudice istruttore nel corso di tut-to il procedimento principale. Detto provvedimento del g.i. sarà reclamabile ex art. 669 terde-cies c.p.c., cioè nelle forme previste per il reclamo avverso il processo cautelare uniforme, da-to che la norma specifica che deve essere impugnato nei modi ordinari. È utile richiamare i precedenti giurisprudenziali a riguardo: Tribunale di Genova, 16 marzo 2001,in Foro it., 2001, 1, c. 2356; Tribunale di Genova, 22 novembre 2004, in Foro it., 2005, 1, c. 1591;Tribunale di Rovereto, 18 febbraio 2005, in Foro it., 2005, 1, c. 1591; Tribunale di Trani ordinan-za 18 aprile 2006, in www.affidamentocondiviso.it, ordinanza emessa dopo l’entrata in vigoredella legge 54/2006, in cui, in relazione alle ordinanze emesse dal giudice istruttore, si afferma:“la loro autonoma reclamabilità dinanzi al collegio, così come previsto in via generale dalla di-sciplina del processo cautelare uniforme, onde impedire che conseguenze rilevanti nell’ambitodei rapporti familiari abbiano a cristallizzarsi nel tempo, senza un adeguato controllo dell’ope-rato del giudice istruttore”.

2) L’ipotesi in cui il provvedimento ex art. 709 ter c.p.c. proposto come domanda incidentale nelcorso del giudizio di separazione, divorzio..., venga deciso dal collegio nell’ambito della sen-tenza che definisce il procedimento principale, il modo di impugnazione sarà l’appello. Se la ri-chiesta dovesse essere proposta al giudice d’appello alla luce dell’ultimo comma dell’art. 709 terc.p.c. “i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordina-ri” consente di affermare che la sentenza d’appello sarà ricorribile in Cassazione anche relati-vamente al capo in cui dirime il conflitto sulle modalità di esercizio della potestà.

3) L’ipotesi in cui il provvedimento ex art. 709 ter c.p.c. sia stato emesso a conclusione di un pro-cedimento ex art. 710 c.p.c. o ex art. 9, l. 898/70 e successive modificazioni saranno applicabi-li le norme generali con la conseguenza che detto provvedimento sarà reclamabile in Corted’Appello.

4) L’ipotesi in cui l’istanza sia proposta da una delle parti nel corso di un reclamo in Corte d’Ap-pello avverso una sentenza di separazione o di divorzio, e la stessa venga accolta, sarà recla-mabile in Cassazione ex art. 111 lettera 7), Cost.

5) L’ipotesi in cui il provvedimento ex art. 709 ter c.p.c. sia stato adottato di ufficio dalla Corted’Appello lo stesso sarà ricorribile per Cassazione ex art. 360 c.p.c.

4. Problematiche poste dall’art. 709 ter c.p.c. n. 2 e 3 in ordine alla natura del danno risarcibile

Infine per quel che attiene la problematica processuale alcuni commentatori, tra cui Greco, hannoposto l’accento sulla discrasia costituita dalla previsione normativa di un risarcimento del danno ri-conosciuto in favore di un figlio minore che non è parte del procedimento processuale che si con-cluderebbe, in tal caso, con un provvedimento in favore di un terzo che non è stato parte del pro-cedimento. Tutto ciò sarebbe inattuabile in considerazione del divieto di estensione soggettiva delgiudicato, principio affermato dalla Cassazione a sezioni unite del 5 novembre 1996, n. 9631, in

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Giust. civ., 1997, 1, 55. Greco ritiene di poter superare la difficoltà osservando che il genitore ri-chiedente il risarcimento agirebbe nella qualità di esercente la potestà genitoriale (rectius: respon-sabilità genitoriale) sul figlio minore, con il quale verosimilmente dovrebbe convivere e nei con-fronti del quale l’altro genitore dovrebbe aver posto in essere la condotta pregiudizievole ovverosi sarebbe reso inadempiente. Va detto che ciò non appare convincente dal momento che il com-portamento pregiudizievole potrebbe essere posto in essere proprio dal genitore convivente; con-seguentemente per evitare tutti gli ostacoli di ordine processuale conseguenti a questa interpreta-zione, si potrebbe ipotizzare che la differenziazione in forza della quale si tratti di un risarcimen-to ex n. 2 o 3 sia costituita dalla destinazione e dall’impiego della somma riconosciuta a titolo dirisarcimento. Conseguentemente il giudice, laddove ritenga di dover riconoscere una somma a ti-tolo di risarcimento, potrà stabilire l’importo della stessa e disporre come la parte, che ritiene spet-tante al minore, debba essere impiegata dal genitore richiedente fino alla maggiore età del figlio. Come si vede il riconoscere che il minore possa avere diritto a vedersi riconosciuto un risarcimen-to per i danni subiti in conseguenza del comportamento genitoriale, sta a significare che oramainella coscienza del legislatore è compiuto il passaggio dal vecchio concetto della potestà genito-riale a quello della responsabilità, ma ancora questo passo non è stato formalizzato e chiarito a pie-no. A questo proposito tanto la dottrina10 che la giurisprudenza11 hanno appuntato la loro attenzio-ne sull’illecito endofamiliare, figura che ha dato un sostegno importante ai diritti della persona, equindi anche la persona minore di età, alla luce di una diversa lettura del dettato dell’art. 2 dellaCostituzione. I primi passi in tal senso nella giurisprudenza hanno preso le mosse dalla sentenzan. 7713 del 7 giugno 2000, nella quale la Cassazione, applicando l’art. 2043 c.c. (norma relativa al-l’illecito extracontrattuale) alla luce degli artt. 2 e 30 della Costituzione, ai rapporti parentali, ave-va affermato la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dai figli in dipendenza del compor-tamento di un genitore che aveva violato i diritti fondamentali dei figli, così provvedendo: “tratta-si di violazione (...) di sottesi e pregnanti diritti fondamentali della persona, in quanto figlio e inquanto minore (...) poi del pari innegabile che la lesione di diritti siffatti, collocati al vertice dellagerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione risarcitoria per il fat-to in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali chela stessa possa comportare (danno conseguenza)”.La giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale hanno proceduto successivamentead una ulteriore riflessione sulle caratteristiche del danno non patrimoniale, giungendo all’afferma-zione che lo stesso non rientra nella fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., ma in quella di cui all’art.2059 c.c. (danni non patrimoniali). Questa giurisprudenza è giunta a ricomprendere nella fattispe-cie astrattamente prevista dall’art. 2059 c.c. qualsiasi danno di natura non patrimoniale che discen-da dalla violazione dei diritti della persona, facendovi così rientrare anche il danno esistenziale. Intal modo sarà possibile ottenere il risarcimento del danno derivante dagli illeciti compiuti, all’inter-no della famiglia, a danno dei diritti, costituzionalmente tutelati, dei singoli componenti, violazio-ni che comporteranno il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale subito e valutabile aisensi appunto dell’art. 2059 c.c. Le decisioni che costituiscono la pietra miliare in questa ottica so-no: Cassazione 3a sezione civile n. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 e Corte Costituzionale n. 233dell’11 luglio 2003. La sentenza Cass. n. 8827 del 31 maggio 2003 contiene le indicazioni generali e complessive cheriassumono le caratteristiche del danno biologico e morale da un canto e dall’altro le indicazioninecessarie a determinare l’ammontare del danno da liquidare. Il primo principio affermato dallaCassazione sancisce che: “unica possibile forma di liquidazione di ogni danno privo delle caratte-

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10 Cfr. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006; Facci, I nuovi danni nella famiglia che cam-bia, in Nuovi percorsi di diritto di famiglia, Milano, 2004, 1-429; De Marzo, Responsabilità civile e rapporti familiari, in Danno eresp., 2001, 185; Cendon, Trattato della responsabilità civile e penale in famiglia, Padova, 2004.11 Trib. di Milano, 10 febbraio 1999, in Fam. dir., 2001, 185; Trib. di Firenze, 13 giugno 2000, in Danno e resp., 2001, 741; Trib.di Milano, 4 giugno 2002, in Giur. it., 2002, 2290; Trib. di Savona, 5 dicembre 2002, in Fam. dir., 2003, 248.

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ristiche della patrimonialità è quella equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insitanella natura del danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di unasomma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa diun pregiudizio non economico. È dunque escluso che si possa far carico al giudice di non aver in-dicato le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare – costi-tuente la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa di cui all’articolo 1226 c.c. – giacchéin tanto una precisa quantificazione pecuniaria sarebbe possibile in quanto esistessero dei parame-tri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può mai es-sere provato nel suo preciso ammontare”. Altra affermazione rilevante della sentenza in esame èquella in forza della quale laddove sia assai difficile se non impossibile provare il preciso ammon-tare del danno, soccorrono i presupposti di cui all’articolo 1226 c.c. (cfr. Cassazione, 1474/96,11202/94, 4609/95). La sentenza continua poi delineando la natura del danno morale come quelloconsistente nel più totale sconvolgimento delle abitudini e delle normali aspettative di colui che hasubito il danno (nel caso di specie il minore o l’altro genitore), cui si deve aggiungere l’esigenzadi fare fronte alle conseguenze che ne derivano: “danno, quindi, di natura esistenziale, che si ag-giunge e sovrappone a quello morale, nella sua accezione tradizionale di sofferenza acuta, ma ri-stretta esclusivamente al campo interiore: danno esistenziale che certamente trova ingresso e tutelanell’ambito del danno morale”. La previsione dell’art. 2059 c.c., attiene alla fattispecie del “dannomorale” non impedisce il riconoscimento e l’applicabilità di ulteriori fattispecie di danno quali adesempio i cosiddetti “danni riflessi” (o “di rimbalzo”, secondo la definizione della giurisprudenzad’oltralpe, costituiti dalle lesioni di diritti di cui siano portatori soggetti diversi dalla vittima inizia-le del fatto ingiusto ma in significativo rapporto con la vittima stessa), che avevano già consentitodi ravvisare la risarcibilità del danno biologico a favore degli stretti congiunti del soggetto leso12.Per evitare un allargamento a dismisura del risarcimento del danno morale la Cassazione con lasentenza n. 4186/98 ha, tra l’altro, stabilito che è necessaria la prova rigorosa del danno stesso,principio confermato anche dalle sezioni unite13 che, componendo il contrasto che si andava dinuovo profilando, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “ai prossimi congiunti della per-sona che abbia subito, a causa del fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche ilrisarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazio-ne affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto anchetale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione delcongiunto ad agire iure proprio contro il responsabile”. Va ricordato che la Suprema Corte ha am-messo la risarcibilità del danno non patrimoniale, sotto il profilo esistenziale, pur in difetto di pro-va di una patologia che potesse fare affermare la lesione del diritto alla salute intesa come integri-tà fisica e psichica, consistente nella perdita del rapporto parentale. La Cassazione, quindi, in unalettura costituzionalmente orientata (art. 2 Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviola-bili dell’uomo), ha ritenuto di superare la precedente interpretazione restrittiva dell’articolo 2059,in relazione all’articolo 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale sogget-tivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo determinati da fatto illecito integrantereato. Pertanto alla luce delle richiamate decisioni ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarci-mento, in riferimento all’articolo 2059, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dalquale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. La Cassazione ha quindi affermato il principio che dalla lesione dell’interesse scaturiscono, o me-glio possono scaturire, conseguenze, che, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in ter-mini di intensità e protrazione nel tempo. Il danno in questione deve quindi essere dedotto e pro-vato; trattandosi tuttavia di pregiudizio che si proietta nel futuro, sarà possibile ricorrere a valuta-zioni prognostiche e a presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi che sarà onere del danneg-giato fornire. Per quanto attiene il problema della liquidazione di detto danno, poiché si tratta di

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12 Cfr., tra le altre, Cassazione, 8305/96 e 12195/98.13 Cassazione sezioni unite, 9556/02.

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lesione di valori inerenti alla persona, privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in ba-se a valutazione equitativa (articoli 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell’intensità del vincolo fami-liare, della situazione di convivenza, e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza piùo meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età di colui che ha patito il danno. La ri-chiamata sentenza contiene un’ulteriore affermazione di princìpi assai rilevanti: il riconoscimentodei “diritti della famiglia” (articolo 29, comma 1, Costituzione) deve essere inteso in modo non re-strittivo, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quel nucleo, manel senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell’individuo alla stregua dei valori e deisentimenti che il rapporto parentale ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luo-go a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati14.Sempre in tema di risarcimento del danno va sottolineato come la Corte di Cassazione a sezioniunite in data 24 marzo 2006 con la sentenza n. 6572, reperibile in internet, sia stata chiamata a com-porre il contrasto all’interno della sezione lavoro della Corte in tema di risarcimento del danno dademansionamento e dequalificazione del lavoratore. La materia come si vede è diversa, ma ciò cheinteressa è l’individuazione di quelli che sono i criteri e le prove da offrire per riuscire ad ottene-re una pronuncia che riconosca il risarcimento del danno esistenziale nella materia che ci riguar-da: il danno biologico, inteso quale lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile (co-me definito dalla sentenza 233/2003 della Consulta dianzi riportata). Le sezioni unite, sottolineanocome non si riesca a pervenire al risarcimento di detto danno per il tramite della prova testimonia-le, documentale o presuntiva, ma solo tramite l’accertamento medico-legale, mentre la sua quanti-ficazione, stante l’uniformità dei criteri medico-legali applicabili alla lesione dell’integrità psico-fisi-ca, è effettuata attraverso il sistema tabellare, senza necessità alcuna di precise indicazioni ed alle-gazioni ad opera del danneggiato. In questa occasione le sezioni unite definiscono il danno esi-stenziale come: “pregiudizio provocato al fare a-reddituale del soggetto, alterando le sue abitudinidi vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità”. Di conse-guenza i comportamenti dei genitori, consistenti in ingiurie continue e ripetute, nella sistematicadelusione delle attese dei minori, nei comportamenti reiterati di violenza psicologica, che inevita-bilmente comportano una alterazione della qualità della vita del figlio minore, costituiscono un il-lecito in grado di far sorgere in capo al figlio il diritto al risarcimento del danno che dovrà esserequantificato a seconda della gravità del comportamento posto in essere dal genitore e delle conse-guenze che detto comportamento ha provocato nel minore.

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14 Per completezza di informazione si ricorda la sentenza n. 233 del 30 giugno-11 luglio 2003 della Corte Costituzionale che,nel dichiarare non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 del Codice civile sollevata, in riferimento all’art.3 Cost., dal Tribunale di Roma, afferma che: “l’art. 2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale, inquanto riferito alla astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto ri-sulti da una presunzione di legge. Resta in tal modo superato il dubbio di legittimità costituzionale originato da una contraria let-tura della norma, mentre la concreta possibilità di una tutela risarcitoria dei danneggiati nel giudizio principale rende evidente-mente priva di rilevanza e, pertanto, inammissibile l’ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c., prospetta-ta dal medesimo rimettente in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. e diretta a censurare la limitazione della risarcibilità del dannonon patrimoniale ai soli casi stabiliti dalla legge”.

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L’introduzione della norma sul reclamo avverso i provvedimenti presidenziali ad opera della legge54/2006 ha suscitato tante perplessità a causa delle molte incongruenze che questa innovazione por-ta con sé e nel cercare di individuare un sistema operativo organico. È proficuo, in premessa, fareun passo indietro, prendere le mosse da quando il processo familiare è stato codificato nel nostro or-dinamento e verificare l’evoluzione che ha avuto sin tanto che non è stata introdotta questa norma.Il processo di separazione, sul quale poi si è modellato il processo del divorzio, è stato pensato dallegislatore del 1942 come un processo nel quale l’attività giurisdizionale entra con grande impeto, asottolineare la rilevante importanza, per l’ordinamento, dei diritti soggettivi di cui si tratta in conse-guenza della separazione e del divorzio, quali diritti soggettivi pieni, degni delle massime forme ditutela processuale e delle più ampie garanzie giurisdizionali; un processo ordinario a cognizione pie-na, al quale il legislatore del ’42 ha agganciato anche una fase preliminare sommaria e necessaria, nonopzionale per le parti, volta a disciplinare l’urgenza, a dare tutela anticipatoria e tempestiva, in vistadella sentenza di merito, a tutti i diritti personali e patrimoniali scaturenti dalla crisi della famiglia. Non si può non evidenziare, tuttavia, che questo modello di procedimento, sia pur così “rafforzato”,vedeva di fatto affermare la prevalenza della fase presidenziale, caratterizzata dall’estrema somma-rietà, sulla successiva fase a cognizione piena, laddove il provvedimento presidenziale non potevaessere impugnato dinanzi ad un diverso organo giudicante, né poteva essere modificato o revocatodal g.i., se non in presenza di circostanze nuove e sopravvenute. Conseguentemente, se nel complesso, il processo familiare in questa struttura bifasica si presentavarafforzato (procedimento ordinario a cognizione piena, preceduto da questo procedimento somma-rio volto a disciplinare l’urgenza che la crisi familiare impone), di fatto la fase presidenziale, in quan-to necessaria e ineludibile, insindacabile e difficilmente modificabile, andava a caratterizzare tutto ilprocedimento della separazione, dominato in realtà dalla decisione presidenziale. Tant’è, infatti, cheil procedimento della separazione era inserito a pieno titolo nel codice tra i riti speciali, cioè tra quel-le procedure definite strumenti di imperio del giudice più che luoghi di attuazione della giurisdizio-ne (Satta), in contrapposizione al rito ordinario, quale unico insieme di regole processuali struttura-te a garantire l’attuazione della giustizia, dei diritti delle difesa e del corretto contraddittorio. Nel tempo la rilevanza della fase presidenziale si è via via venuta attenuando; in virtù del combina-to disposto dell’art. 4, n. 8 e dell’art. 23 della legge sul divorzio si è scardinato il principio della im-modificabilità della decisione presidenziale con ampliamento conseguente dei poteri del giudiceistruttore, sicché la fase presidenziale è divenuta meno immanente e determinante per la fase di me-rito, e anche se per lungo tempo si è dibattuto sull’ammissibilità o meno della impugnazione delprovvedimento presidenziale, certamente l’intervenuta ammissibilità della sua modifica, anche a pre-scindere da fattori sopravvenuti, ha pesantemente modificato il procedimento familiare che si è ritro-vato ad essere molto meno determinato dall’espressione iniziale del potere d’imperio del Presidente.

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1 Intervento tenuto al Seminario di aggiornamento Il reclamo ex art. 708 c.p.c. avverso i Provvedimenti presidenziali, organizza-to da AIAF Lazio, Velletri, 26 marzo 2009.

IL RECLAMO DEL PROVVEDIMENTO PRESIDENZIALE 1

Giulia SarnariAvvocato, Foro di Roma

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È noto a tutti, poi, il vivace dibattito che si è sviluppato circa l’opportunità del cosiddetto rito am-brosiano: coloro che ritengono che il diritto di famiglia sia la materia che necessita più di ogni altradi avere la certezza della giurisdizione, ritenevano anche che solo con un processo con atti introdut-tivi del giudizio ben postulati sin dall’inizio (alla stregua del processo ordinario riformato nel ’90, conla definizione di precise preclusioni e di precisi momenti processuali) si potesse dare effettiva tute-la ai diritti che scaturiscono dalla crisi coniugale, sia patrimoniali che personali, senza nulla toglieread altre forme di risoluzione del conflitto che tuttavia, devono essere altro rispetto al processo. Le leggi 80/2005 e 54/2006, unitariamente considerate come riforma del rito della separazione e deldivorzio (visto anche il brevissimo lasso di tempo che le ha separate nella loro entrata in vigore),hanno pesantemente modificato il rito della separazione e del divorzio e sono andate ad incidere inmaniera disorganica sul procedimento, raccogliendo le diverse istanze e le diverse culture giuridicherispetto al diritto processuale familiare. Da un lato, il legislatore ha introdotto delle norme che hanno dato nuovo spazio e maggiore auto-nomia alla fase d’imperio dinanzi al Presidente, ha ampliato i suoi poteri di ufficio (art. 155 sexiesc.c. e 708 c.p.c.) e ha di fatto “degiurisdizionalizzato” la fase presidenziale, prevedendo che non viè alcun obbligo di costituzione per il convenuto e rendendo il ricorso introduttivo del giudizio unatto incompiuto e fluido, che necessita di una successiva memoria integrativa2, spazzando via così ladiscussione sulla vigenza o meno del cosiddetto rito ambrosiano. Al tempo stesso, tuttavia, il legisla-tore ha voluto rafforzare e definire il ruolo del difensore nella fase presidenziale (artt. 707 c.p.c, 1° com-ma e 708 c.p.c. 3°comma) e ha introdotto il rimedio del reclamo avverso il provvedimento presiden-ziale dinanzi alla Corte d’Appello (art. 708 c.p.c.). Ecco, così ragionando, il rimedio del reclamo al provvedimento Presidenziale non può che esserevisto con favore, inteso quale espressione normativa dell’esigenza di tenere ferma la giurisdizione,in una fase processuale che rischia seriamente di perderla.Nella pratica giudiziaria, si registra estrema cautela e diffidenza nell’utilizzare questo mezzo di impu-gnazione nuovo e la scelta dell’eventuale impugnazione del provvedimento presidenziale è semprecaratterizzata da un certo senso di smarrimento e ciò perché più che una garanzia ulteriore il recla-mo ex art. 708 c.p.c. rischia di rivelarsi un vero e proprio boomerang, che spesso mortifica e addi-rittura snatura il procedimento di primo grado e, di fatto, contrae i tradizionali due gradi di giudizio,quando ancora si è nella fase iniziale.Si deve tuttavia continuare a studiare con caparbietà questo nuovo istituto processuale, sollecitaremagari un ulteriore intervento del legislatore per eliminare incongruenze davvero insanabili, poichéuno strumento di impugnazione (latu sensu) in più, non può che essere un fatto positivo, per chilavora nel processo, una chance difensiva ulteriore che non deve e non può pregiudicare chi la usae chi vi si oppone, tanto più che è stato offerto per la revisione di una fase, nella quale contestual-mente sono stati ampliati i poteri del giudicante e che è stata deprivata del limite dell’impulso delleparti.L’art. 708, 4° comma c.p.c., così recita: “Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può recla-mare con ricorso alla Corte d’Appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essereproposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento”.Procediamo con ordine.La fase presidenziale è una fase cosiddetta a cognizione sommaria-conciliativa e il legislatore primadell’introduzione del reclamo ad opera della legge 54/2006, con la precedente l. 80/2005, come ap-pena accennato, l’aveva già pesantemente modificata; si tratta di una fase processuale iniziale, in cuituttavia, non è affatto detto che vi sia la completa postulazione delle domande; l’atto introduttivo delgiudizio, come detto, potrebbe non contenere la precisa e completa affermazione della domanda; ilconvenuto, d’altro canto, non ha alcun onere di costituzione in senso tecnico, ma la potestà, senzaalcuna preclusione e o decadenza, di redigere delle semplice memorie difensive.

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2 È noto che si sta affermando il convincimento che l’atto introduttivo del giudizio è un atto a formazione progressiva che iniziacon il ricorso, ma che si può perfezionare con la memoria integrativa, con la quale, ben potrebbe essere avanzata una domandanon avanzata con il ricorso, ad esempio, la domanda di addebito o di attribuzione dell’assegno di mantenimento.

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Il provvedimento che emette il Presidente, può essere estremamente sommario e a fronte della pos-sibile mancanza di esaurienti prospettazioni e allegazioni di parte, i suoi poteri di ufficio (decisori eistruttori) sono ampi e ciò in base a quanto disposto dall’art. 708, 3° comma, c.p.c., ma anche in ra-gione dell’introduzione, ad opera della legge 54/2006, dell’art. 155 sexies c.c.Dunque, se non ci sono preclusioni nell’emettere il provvedimento presidenziale e la norma nonprevede preclusioni nella fase successiva del suo reclamo, viene subito da affermare, in base ad unrigoroso ragionamento strettamente processuale, che laddove non vi sono preclusioni, non le si pos-sono introdurre e che quindi, sotto il profilo del contenuto, già ad una prima disamina, questo re-clamo, di fatto, dovrebbe essere considerato un reclamo ampio con il quale tutto quanto rappresen-tato ed esaminato dal Presidente passa alla Corte d’Appello: una sorta di continuazione di questa fa-se sommaria e urgente dinanzi alla Corte d’Appello.Così argomentando, sotto il profilo strettamente tecnico-processuale, questo reclamo ex art. 708, 4°comma c.p.c., altro non è che un reclamo in senso stretto, cioè un reclamo assimilabile a quello cau-telare ex art. 669 terdecies c.p.c. 3° comma, come riformato dalla legge 80/2005, e cioè, per l’appun-to, un proseguimento di una cognizione sommaria superficiale che giunge dal primo al secondo giu-dice. Vi sarebbe così la garanzia che una fase sommaria, che come tale assicura celerità e immedia-tezza della tutela, abbia anche una seconda ed immediata chance di riesame, nella quale, peraltronon si è blindati dall’attività svolta nel I grado, nel senso che si possono introdurre circostanze e mo-tivi sopravvenuti e nella quale il giudicante può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi do-cumenti.Questo ad una prima lettura delle norme della fase presidenziale e in assenza totale di spiegazionida parte del legislatore. Tuttavia, dovendo individuare un sistema di regole del procedimento che abbia una sua coerenza eche come tale individui un sistema valido per tutti, si devono necessariamente fare ulteriori verificheper capire se, in via strettamente interpretativa, nel silenzio della legge e nella mancanza di raccor-di tra la legge 54/2006 che ha introdotto il reclamo e la precedente legge 80/2005 che già prima ave-va modificato i procedimenti cautelari, si può effettivamente applicare al reclamo ex art. 708, 4° com-ma c.p.c., la disciplina del reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c.La disciplina del procedimento cautelare (art. 669 octies, 6° comma c.p.c.) prevede che i provvedi-menti emessi ai sensi dell’art. 700 c.p.c., quelli anticipatori degli effetti della decisione di merito equelli di denunzia di nuova opera e di danno temuto, mantengano la loro efficacia anche se nonviene instaurato il giudizio, ciò al pari dei provvedimenti presidenziali che, ex art. 189 disp. att. c.p.c.,mantengono la loro efficacia anche nel caso in cui il giudizio si estingue. Conseguentemente, il pun-to fondamentale che aveva indotto la giurisprudenza precedente alla riforma a ritenere i provvedi-menti presidenziali non cautelari (e quindi non reclamabili al pari dei provvedimenti cautelari) è ve-nuto meno. Tuttavia, anche così argomentando e attenuandosi le differenze ontologiche tra il reclamo al prov-vedimento cautelare e il reclamo al provvedimento presidenziale, com’è noto, c’è chi nega che il re-clamo ex art. 708 c.p.c. possa essere visto come il reclamo ex art. 669 terdecies in quanto l’articolo669 quaterdecies c.p.c., restringerebbe l’ambito di applicabilità delle norme sul procedimento caute-lare, oltre che alle misure del codice di rito espressamente richiamate dalla stessa norma, ai “prov-vedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali”, con implicita esclusione, quindi,dei provvedimenti previsti dal codice di procedura civile. Peraltro, i due istituti prevedono due or-gani giudicanti diversi (Corte d’Appello, l’uno, Collegio del Tribunale, l’altro) e termini di impugna-zione diversi, sicuramente molto più rigorosi quelli del reclamo avverso i provvedimenti cautelari, ri-spetto a quelli del reclamo avverso il provvedimento presidenziale. A tale obiezione, tuttavia, autorevole dottrina (Mazzei, Tommaseo, Andolina, Costantino), ha oppo-sto l’applicabilità in materia, dell’art. 12, 1° comma e capoverso, delle disposizioni sulla legge in ge-nerale, in tema di interpretazione estensiva e, specialmente, l’applicazione analogica di norme giu-ridiche, non assimilabili a quelle eccezionali ex art. 14 delle stesse preleggi, quali devono ritenersile disposizioni sui procedimenti cautelari in generale, di cui all’art. 669 bis fino all’art. 669 quaterde-cies c.p.c. A riguardo, infatti, è stato osservato che non può negarsi che il provvedimento presiden-

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ziale ex art. 708 c.p.c., non soltanto si fonda su una cognizione sommaria dai caratteri pressochéidentici a quella cautelare, basata sul reciproco bilanciamento del periculum in mora e del fumusboni iuris, ma anche risponde alla medesima funzione propria delle misure cautelari, cioè di prov-vedere in via sommaria ed urgente alle necessità delle parti in causa, nonché della prole, in funzio-ne anticipatoria della disciplina che sarà dettata dalla sentenza che chiude il procedimento. Entram-bi sono provvedimenti ultra attivi che non perdono di efficacia se il procedimento a cognizione pie-na non prosegue e le due differenze formali tra i due mezzi, date dalla diversa individuazione del-l’organo giudicante e del termine di impugnazione, non costituiscono ostacolo a questa operazioneermeneutica.

I poteri della Corte d’Appello

Attraverso questa chiave di lettura si risolve in maniera coerente il primo problema, che è quello cheriguarda i poteri del giudice del reclamo, laddove la norma richiama all’art. 738, ultimo comma, c.p.c,che a sua volta si limita a statuire che “il giudice può assumere informazioni”.L’art. 669 terdecies c.p.c., ove se ne riconosca l’applicabilità in via analogica, stabilisce che il giudi-ce investito del reclamo “può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti” ed è an-che prevista e disciplinata la proponibilità, nel rispetto del principio del contraddittorio, di circostan-ze e motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo (art. 669 terdecies 4° comma,c.p.c.).Peraltro, si è già evidenziato e non si può dimenticare, che l’art. 155 sexies c.c. introdotto dalla leg-ge 54/2006 stabilisce un principio fondamentale in materia di provvedimenti che riguardano i figli ecioè che il giudice (qualsiasi) prima della loro emanazione, “anche in via provvisoria”, può assume-re, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova, e disporre l’audizione del figlio minore che abbiacompiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, con facoltà dello stes-so giudice, previa audizione delle parti e con il loro consenso, di rinviare addirittura l’adozione deiprovvedimenti di cui allo stesso articolo 155 c.p.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esper-ti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’in-teresse morale e materiale dei figli.Tenuto conto di tutto ciò, la Corte d’Appello non solo ha dinanzi a sé tutto il materiale decisorio del-la fase presidenziale, ma può “assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova”, e anche di-sporre l’“audizione del figlio minore”.La Corte d’Appello, dunque oltre, a riesaminare la fase presidenziale, la continua, entro il solo limi-te della necessità cautelare e dell’urgenza. La Giurisprudenza è di diverso avviso: le Corti d’Appello svolgono un’attività di mero controllo del-l’attività presidenziale, provvedendo ad eliminare solo quelle situazioni che ictu oculi, ad un som-mario esame appaiono macroscopicamente ingiuste e avulse dalla prime prospettazioni delle parti,senza darsi alcuna possibilità di approfondimento, sostenendo che a far ciò è deputato il g.i. e nonappaiono affatto inclini a fare attività di proseguimento di istruttoria, sia pur sommaria, ritenendo didoversi limitare al controllo della manifesta inadeguatezza del provvedimento del Presidente sottoli-neando che la sede opportuna per fare ulteriori approfondimenti è quella istruttoria, in Tribunale,dinanzi al g.i. A riguardo si osserva che sebbene questa notazione sia per un verso condivisibile, in quanto nonbisogna mai dimenticare che nonostante i poteri del Presidente si siano ampliati, il limite della suacognizione è sempre dato dall’urgenza e dalla natura cautelare della fase che presiede, è altrettantovero che contenendosi in un ambito di cautela e di urgenza, la Corte d’Appello può senz’altro an-dare oltre il mero controllo della fase presidenziale, ben potendo, in assenza di preclusioni e in vir-tù di quanto dispone l’art. 669 terdecies c.p.c. e l’art.155 sexies c.c., fare di più.È necessario che si acquisisca la consapevolezza che la fase presidenziale si è ampliata, nel sensoche si può articolare, se le parti lo vogliono, in due fasi, quella dinanzi al Presidente di Tribunale equella dinanzi alla Corte d’Appello, nel senso che il potere superficiale di conoscenza sommaria del-

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la vertenza dal Presidente si travasa alla Corte d’Appello, la quale, dunque non si deve limitare acontrollare il Presidente, ma diversamente, ben può esercitare tutti i poteri che ha il Presidente, siaistruttori che decisori.Si dovrebbe cioè, condividere il convincimento in base al quale la riforma dei procedimenti di se-parazione, operata dalla legge 80/2005 e poi dalla legge 56/2006, ha ampliato i poteri dell’organogiudicante della fase presidenziale, ma ha anche ampliato le garanzie processuali che le parti han-no di fronte a questo ampliamento di potere, che la fase iniziale, sommaria e urgente si può svilup-pare anche dinanzi alla Corte d’Appello.Si deve sollecitare questo modo di procedere e non frenarsi, in assenza di preclusioni normative.

Il rapporto tra reclamo ex art. 708, 4°comma e art. 709, 4° comma

La giurisprudenza ha così semplificato: se la parte si duole del provvedimento presidenziale, deveimmediatamente rivolgersi in Corte d’Appello, diversamente mostra di averlo accettato, nel senso chele due norme, (il 709, 4° comma e il 708, 4° comma) non offrono due opzioni per la doglianza, equesto ragionamento è condivisibile sotto un profilo logico normativo, dal momento che la normasul reclamo è stata introdotta successivamente, ma una vera e propria indicazione normativa, a benvedere non c’è e tra l’altro se il provvedimento presidenziale non è stato notificato, il termine per lasua impugnazione è quello ordinario.Da tale ragionamento, peraltro, è disceso immediatamente un altro corollario e cioè che la mancataimpugnazione del provvedimento presidenziale dinanzi alla Corte d’Appello comporta di fatto ac-quiescenza al medesimo e dunque, si può chiedere la sua modifica o la sua revoca al g.i. solo inforza di fatti sopravvenuti, come prevede l’art. 669 decies, in materia cautelare, ma cosi attuando perle vie di fatto una preclusione che l’art. 709, 4° al contrario, aveva voluto definitivamente eliminare.È evidente che vi è una grave lacuna nella tecnica legislativa, ma non è il caso di sdegnarsi di fron-te a questa interpretazione che, gioco forza, ha dovuto individuare la giurisprudenza, laddove la por-tata innovativa dell’art. 709, 4° comma sussisteva perché non c’era la norma sul reclamo, ma succes-sivamente all’introduzione della norma sul reclamo, è evidente che questa è venuta meno.L’incongruenza, tuttavia, è insanabile se non con un intervento del legislatore, perché allo stato del-le norme, si potrebbe sostenere, con motivazione legittima, l’ammissibilità di un’impugnazione di unprovvedimento presidenziale, senza allegazione di fatti nuovi, dinanzi al g.i. in base all’art. 709, 4°comma, avendo snobbato o dimenticato l’opzione del reclamo in Corte d’Appello.

Modificabilità del provvedimento della Corte d’Appello ex art. 709, 4° comma

Il provvedimento della Corte d’Appello che ha modificato, revocato o confermato il provvedimentopresidenziale, è modificabile ex art. 709, 4° comma, cioè melius re perpensa o anche in tal caso ta-le norma è di fatto venuta meno ed è necessaria la sopravvenienza di fatti nuovi?In questo caso a differenza della situazione precedentemente esaminata, l’art. 709, 4° comma non èin contrasto con l’art. 669 decies, in quanto la revoca e la modifica che prevede e ammette è avver-so il provvedimento presidenziale e non avverso il provvedimento della Corte d’Appello.Come si vede questa impostazione, che del resto è la più seguita dalla giurisprudenza, va a modifi-care profondamente il processo della separazione e del divorzio, come si era delineato prima dellariforma del 2006; il potere del g.i. di modificare i provvedimenti presidenziali melius re perpensa, difatto non sussiste e non può sussistere, ma se la Corte d’Appello non si limita a fare attività di me-ro controllo, ed esercita tutti gli ampli poteri che gli sono devoluti, questa nuova procedura che sista delineando non comporta una perdita di garanzie processuali quanto una maggiore stabilità ecompletezza nella gestione dell’urgenza, fatte salve sempre le circostanze sopravvenute.Un ritorno, dunque, al passato, all’immanenza della fase presidenziale sulla fase a cognizione piena,ma con l’intervento di un organo giudicante ulteriore, la Corte d’Appello, la quale se il Presidente ha

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CONTRIBUTI

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sbagliato nel decidere o nell’istruire, può ribaltare la situazione; dopo di che il merito della vicenda,nelle forme ordinarie del procedimento contenzioso e con la possibilità di modifica urgente da par-te del g.i. solo per fatti sopravvenuti.

Problemi applicativi

1. Questi ragionamenti che con difficoltà cercano di ricomporre un sistema che appare nei dettaminormativi davvero poco coerente, trovano un grande freno nella previsione normativa del termineper il gravame (dieci giorni dalla notifica), termine assolutamente incoerente con la natura cautela-re e urgente del provvedimento da reclamare e in contrasto con quanto diversamente previsto o dal-l’art. 669 terdecies. Se infatti il provvedimento presidenziale non è notificato a cura di parte, normativamente questo puòessere impugnato nel termine ordinario e quindi salta il sistema poc’anzi descritto in via teorica, percui la Corte d’Appello non va a chiudere la fase cautelare e urgente preliminare alla fase di cogni-zione piena, ma si sovrappone ad essa e si può verificare, e si verifica (!) che mentre dinanzi al g.i.il tema decidendum è cambiato o comunque si è perfezionato, perché le parti hanno espletato gliincombenti di cui agli art. 709, 3° comma e magari anche quelli di cui all’art. 163 c.p.c., la fase cau-telare torna indietro, peraltro con la possibilità di portare in Corte d’Appello, gli atti e il materialeprobatorio che nel frattempo si è introdotto nel giudizio di cognizione.Allo stato, se si vuole acquisire una minima certezza dell’azione processuale e della strategia difen-siva, la parte che si ritiene soddisfatta ha l’onere di notificare alla controparte il provvedimento pre-sidenziale, mentre la parte insoddisfatta ha l’onere di rivolgersi subito in Corte d’Appello ai sensi eper gli effetti di cui all’art. 708 c.p.c. 4° comma, senza tergiversare. Non è da sottovalutare, che se si ritiene che il provvedimento presidenziale è un cautelare, i termi-ni per la sua impugnazione non si sospenderanno nel periodo estivo e pertanto massima allerta de-ve essere osservata alla eventuale notifica del provvedimento nel periodo feriale. 2. Lo stesso ragionamento deve essere affrontato qualora il reclamo sia stato proposto, ma il proce-dimento di I grado è già giunto dinanzi al g.i. Se in questa situazione subentrano fatti nuovi che giustificano un istanza di revoca o modifica da chidebbono essere valutati, dalla Corte d’Appello o dal g.i.? La soluzione più coerente dovrebbe essere quella che tali doglianze siano fatte valere dinanzi allaCorte d’Appello, la quale in virtù degli ampi poteri che ha ex art. 669 terdecies c.p.c. e 738 c.p.c.,ben dovrebbe definire la fase cautelare e urgente, anche con l’ulteriore acquisizione di nuove situa-zioni, anche se non si può non tenere conto del fatto che il g.i., dinanzi al quale nel frattempo so-no state depositate la memoria integrativa e la comparsa di costituzione e risposta, ha dinanzi a séil thema decidendum completato e quindi maggiori elementi di giudizio.3. Si è posto anche un problema tecnico: gli atti acquisiti nella fase della Corte d’Appello debbonoconfluire nel fascicolo del Tribunale? La risposta deve ritenersi affermativa e ciò perché la fase pre-sidenziale, con questa “coda” del prolungamento dinanzi alla Corte d’Appello non è staccata dal giu-dizio di cognizione ordinaria, per cui tutto deve passare al g.i. e ciò anche se gli atti della fase delreclamo dinanzi alla Corte d’Appello giungono dopo il termine delle preclusioni di cui all’art. 183c.p.c. dinanzi al g.i.Ovviamente queste sono tutte incongruenze insanabili che si ingigantiscono dinanzi alle tante pato-logie che affliggono lo svolgimento regolare del processo (nessuno di questi tre problemi si porreb-be se ci fosse tempestività e celerità dinanzi alla Corte d’Appello) e che non si riescono ad appiana-re in sede interpretativa con alcuna opera di attività ermeneutica.È evidente che il legislatore, oltre a intervenire in materia poco organica si è dimenticato di consi-derare che purtroppo il nostro sistema giudiziario non è veloce e la sovrapposizione delle due fasinon è un rischio, ma un dato ricorrente.

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1. Premessa

La riforma introdotta dalla legge n. 151/75 sul diritto di famiglia – con l’introduzione della comunio-ne dei beni quale regime ordinario – nulla ha previsto circa la annotazione in calce all’atto di matri-monio della separazione consensuale e della sentenza dichiarativa di fallimento di uno dei coniugi,che, come è noto, comportano la modifica del regime patrimoniale ordinario. La legge del codice civile del ’42 e della riforma hanno solamente regolamentato l’annotazione del-le convenzioni (e, quindi, del mutamento del regime patrimoniale che da tali atti deriva) stipulate exartt. 162 e 163 c.c., nonché la trascrizione ex artt. 2645 c.c. e 2647 c.c. (quest’ultimo per la costitu-zione di fondo patrimoniale e la convenzione di separazione dei beni), laddove oggetto della comu-nione (e, quindi, delle relative convenzioni) siano uno o più beni immobili, fermo il più ampio det-tato di cui al n. 4 1° comma dell’art. 2653 c.c. Al di là delle statuizioni normative, la questione diviene più delicata allorché si sia di fronte ad unpatrimonio coniugale – più volte cospicuo – composto da soli beni mobili, con riguardo alla oppo-nibilità della – omologata – separazione consensuale e della sentenza di fallimento al/ai creditori cheagiscano sui beni mobili comuni o – sussidiariamente – su quelli “personali” di ciascun coniuge perobbligazione assunta nell’interesse della famiglia, anche se posteriore allo scioglimento (rectius, all’op-ponibilità dello scioglimento) della comunione. Per quel che concerne la separazione consensuale omologata, solo di recente l’art. 69 del d.p.r. n.396/2000 ne ha disposto l’annotazione in calce all’atto di matrimonio (seppur con la dizione “sen-tenza di omologazione”) colmando la deficitaria normativa sopra considerata.Prima di quest’ultimo intervento legislativo, dottrina e giurisprudenza hanno più volte auspicato, siaper la separazione consensuale che per la sentenza di fallimento di uno dei coniugi, una pubblicità“parallela” a quello dettato per le convenzioni tipiche prima ricordate, tale da consentire l’opponibi-lità ai terzi del nuovo regime patrimoniale tra i coniugi (per lo più, permanente, rispettivamente fi-no alla riconciliazione o alla riabilitazione).La presente indagine è stata altresì rivolta a quelli che potrebbero essere gli esiti dell’azione da par-te del creditore su beni (già) comuni costituenti, per esso, garanzia patrimoniale generica (art. 2740c.c.) con precipuo riferimento ai beni mobili, non soggetti ad alcun regime pubblicitario.Oggetto di disamina sono stati altresì i cosiddetti diritti equiparati ai beni mobili, circa la possibilitàche gli stessi diritti possano essere ritenuti “comuni” ai sensi della lettera a) dell’art. 177 c.c. e pos-sano, conseguentemente, risultare o meno aggredibili da parte del creditore esecutante.Le questioni di maggiore rilievo hanno riguardato quelle obbligazioni, per così dire, “ai margini” del-la comunione in quanto assunte, “anche separatamente” dai coniugi (cfr. art. 186 lett. c) c.c.) e, sep-pur fuori dalla comunione (perché scioltasi), nel palese e certo interesse della famiglia, ambito, que-sto, non necessariamente determinante il coinvolgimento del patrimonio comune anche per il credi-tore esecutante di buona fede. Si sono, quindi, evidenziati gli effetti dello scioglimento della comunione per la delimitazione del

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CONTRIBUTI

L’OMOLOGAZIONE DELLA SEPARAZIONE CONSENSUALE ALLA LUCE DEL D.P.R.396/2000 E DELLA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO: IL REGIME DEGLI ACQUISTI DI BENI MOBILI (E DIRITTI EQUIPARATI) NELLA COMUNIONE TRA CONIUGIE L’OPPONIBILITÀ AI CREDITORI ESECUTANTI IN SEDE MOBILIARE

Renato CulmoneAvvocato, Foro di Palermo

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“campo di esecuzione” da parte del creditore, che, circa i beni (già) comuni, non appare non pote-re tenere conto:a) degli effetti dello scioglimento e della eventuale divisione dei beni ex art. 190 c.c.;b) in ottica esattamente speculare, delle proponibili opposizioni alla esecuzione da parte del coniu-

ge non direttamente contraente l’obbligazione (nell’interesse della famiglia).In ultimo, con riferimento al fallimento di uno dei coniugi, il sistema legislativo ha costituito ogget-to di analisi alla luce della “pubblicità” prevista per la relativa sentenza dal II e III comma dell’art.17 del r.d. 16.03.1942 n. 267, per i diritti dei creditori e dei terzi in genere.Infine, il fallimento è altresì venuto in considerazione come causa di scioglimento della comunionecon specifico riferimento a quei beni che, in generale, compongono la massa fallimentare attiva, conspecifico riferimento agli effetti sui beni comuni in forza delle eventuali revoca della sentenza e chiu-sura del fallimento.

2. Brevi cenni sugli atti modificativi del regime patrimoniale tra coniugi e relativi regimi pubblicita-ri. Le convenzioni matrimoniali - Gli atti negoziali volontari

Come è noto, i negozi che hanno, tra gli altri, effetti modificativi del regime patrimoniale tra i coniu-gi sono regolati dagli artt. 162 e 163 del codice civile. L’ultimo comma dello stesso art. 162 c.c. pre-vede che gli ivi indicati estremi di dette convenzioni siano annotati a margine dell’atto di matrimo-nio, ai fini dell’opponibilità ai terzi della convenzione medesima.In estensione alla sentenza di omologazione della separazione giudiziale o del divorzio, uguale regi-me di pubblicità è previsto dal successivo art. 163 c.c. che dispone la trascrizione della convenutamodifica, da effettuarsi a norma dell’art. 2643 c.c. per gli atti ivi indicati (e negli articoli seguenti), ri-guardanti beni immobili o diritti reali immobiliari. Altro regime di “doppia” pubblicità è quello previsto per la pronuncia della separazione dei beni peruna delle cause di cui all’art. 193 c.c., che deve essere annotata a margine dell’atto di matrimonio esull’originale delle convenzioni matrimoniali (art .193 ult. co. c.c.).Con riferimento alla comunione convenzionale – artt. 210-211 c.c. – è parere diffuso in dottrina chela natura di atto modificativo della comunione dei beni comporta l’integrale applicabilità alla stessadella normativa sul regime pubblicitario in materia fin ora delineato.Esame specifico merita il fondo patrimoniale, per il quale, a prescindere dalla natura di convenzio-ne matrimoniale, liberalità o atto di conferimento (nelle ultime due ipotesi con trasferimento dellaproprietà di beni), sono ritenute applicabili le regole sulle convenzioni matrimoniali con l’annota-zione a margine dell’atto di matrimonio e la trascrizione nei registri immobiliari, oltre alla pubblici-tà del vincolo sui titoli di credito eventualmente costituiti in fondo, ai sensi dell’ultimo comma del-l’art. 167 c.c. Limitata alla presenza di immobili, nella comunione, è la trascrizione, pur necessaria ai fini dell’op-ponibilità ai terzi delle vicende che hanno ad oggetto i beni immobili dopo la divisione del patrimo-nio comune, nonché1, con l’applicazione di quanto al n. 4 del I comma dell’art. 2653 c.c. circa “ledomande di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili”.

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1 Gabrielli, voce Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982; Carresi, Sub artt. 167-171, in Com-mentario alla riforma del diritto di famiglia, 1977, e in Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Galasso-Tam-burello, Regime patrimoniale della famiglia; Scialoja e Branca (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna-Roma, 1999; A.e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, Milano, 1975; Finocchiaro, Diritto di famiglia, Milano, 1984-1988; Auletta, Il fondopatrimoniale, Milano, 1990 e Il fondo patrimoniale Artt. 167-171 in Il Codice civile. Commentario, diretto da Schilesinger, Milano,1992; Pino, Il diritto di famiglia, Padova, 1984; De Paola-Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978; contraFerrara Jr. e Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato Cicu-Messineo, tomo I, 1976 e tomo II, 1980, i quali non riten-gono applicabile l’annotazione nei registri di matrimonio.

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2.1. Trascrizioni e annotazioni delle (modifiche del) regime della comunione legale e del-le vicende relative ai singoli beni

Il delineato quadro legislativo soffre, certamente, i limiti del sistema di appartenenza e trasferimen-to di mobili non registrati, ad esclusione delle convenzioni o modifiche delle convenzioni matrimo-niali per le quali è espressamente prevista la pubblicità del mutamento del “connotato generale”, cioèdell’intero regime – ivi inclusa, dal 2000, la annotazione della separazione consensuale – nel qualei coniugi, dopo la convenzione, vengono a trovarsi,. Ai fini che qui interessano, non possono essere evitate alcune brevi considerazioni sull’intero siste-ma delle trascrizioni e delle annotazioni previsto dal codice civile, precipuamente circa la natura, lefunzioni e la tipicità degli strumenti pubblicitari in questione. Nel nostro ordinamento, la trascrizio-ne ha natura puramente dichiarativa e adempie alla primaria funzione dell’opponibilità ai terzi degliatti o convenzioni tra vivi intervenuti tra le parti, soggetti, per disposizione di legge, a detta formadi pubblicità, costituendo, in secundis, strumento per dirimere eventuali controversie tra più aventicausa dal comune autore del trasferimento di specifici beni o diritti; funzione ultima, infine, è quel-la di “pubblicità-notizia”.Aspetto imprescindibile è costituito dalla “tipicità” della trascrizione e delle annotazioni, consentitesolo nei casi tassativamente indicati dalla legge, esclusa l’applicazione analogica di altra norma nonammettendo la trascrizione deroghe e non potendo, in alcun senso, trovare equipollenti.La tipicità del sistema della trascrizione trova conferma in tutte quelle disposizioni che ne impongo-no forma, natura e contenuto degli atti che devono essere trascritti – artt. 2657-2660 c.c. –, costituen-do vincolo per i soggetti che devono eseguirne le relative formalità (cfr. art. 2674 c.c., nella parte incui consente al Conservatore dei registri immobiliari di ricusare la ricezione di atti se non contenen-ti i requisiti di cui al I co. della stessa norma e agli ivi richiamati articoli del c.c.). Le delineate e insuperabili barriere della trascrizione si estendono alle annotazioni, la cui tipicità siricava dagli artt. 2654 e 2655 c.c. e, riguardo alle forme, dal successivo art. 2656 c.c. Fino all’introduzione del d.p.r. n. 396/2000, la lacuna riguardante l’annotazione della separazioneconsensuale tra i coniugi privi di beni immobili in comunione, è attribuibile al legislatore del 1975,che non si è preoccupato, da un lato, dell’indicata carenza e, d’altro lato, degli effetti e delle impre-scindibili refluenze che gli istituti introdotti con la legge n. 151 avrebbero avuto sull’inderogabile si-stema delle trascrizioni e delle annotazioni del codice civile del 1942.Circa le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anche la giurisprudenza ritiene che l’annotazionea margine dell’atto di matrimonio sia indispensabile per opporre ai terzi tanto il regime patrimonia-le prescelto quanto gli effetti che la convenzione produce sui beni immobili comuni, ritenendo lasola trascrizione dell’atto modificativo insufficiente forma di pubblicità.Pur con ristretto riferimento ai titoli di credito (categoria specifica di beni mobili), breve considera-zione merita l’istituto del fondo patrimoniale e, particolarmente, l’art. 167 c.c., che dispone che i ti-toli di credito nominativi possono far parte del fondo patrimoniale, ricevendo speciale regime pub-blicitario consistente nell’annotazione del vincolo sul titolo e nel registro dell’emittente.I titoli non nominativi dovranno essere convertiti in nominativi per far parte del fondo; per i titolidel debito pubblico, l’annotazione dovrà essere fatta nelle forme di cui all’art. 40 del d.p.r. 14.02.1963n. 1343 e all’art. 58 del r.d. 19.02.1911 n. 298, mentre per i titoli nominativi sarà sufficiente una qual-siasi forma riconosciuta dalla legge e dai regolamenti bancari approvati, che sia in grado di dare ido-nea pubblicità allo speciale vincolo di destinazione impresso sui titoli stessi. Le forme di cui si è detto attengono sostanzialmente alla natura del titolo di credito che, pur rappre-sentando una somma di denaro (bene mobile fungibile per eccellenza), consente di riferire a talebene più di un documento (il titolo stesso e il registro di emissione) in grado di soddisfare le esi-genze pubblicitarie che non si attagliano, invece, agli altri beni mobili.

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CONTRIBUTI

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2.2. La pubblicità dei ricorsi per separazione giudiziale e per separazione consensuale: op-ponibilità ai terzi del decreto di omologazione della separazione dopo il d.p.r. n. 396/2000

Prima che alle questioni attinenti alla pubblicità degli atti e di tutto il procedimento che definisce laseparazione consensuale – oggi “annotabile” ex art. 69 lett. d) d.p.r. 396/2000 – occorre volgere l’at-tenzione al procedimento di separazione personale giudiziale.Se, infatti, molte delle lacune in evidenza riguardano tutto il corso del procedimento di separazioneconsensuale – dal deposito del ricorso congiunto fino all’emanazione del decreto di omologazione,che è il solo a poter essere annotato, in forza della nuova normativa – esse sono presenti anche nelprocedimento di separazione contenziosa.In particolare, si fa riferimento all’annotazione di cui all’art. 193 c.c. (contenente cause che determi-nano la separazione dei beni tra i coniugi), norma che prevede la retroattività degli effetti della sen-tenza che pronuncia la separazione al giorno della domanda (“fatti salvi i diritti dei terzi”).Tale locuzione significa – ad unanime giudizio di dottrina e giurisprudenza – che la retroattività “pu-ra” opera solo nei rapporti tra i coniugi, subordinando l’opponibilità della sentenza ai creditori del-la comunione all’annotazione della stessa a margine dell’atto di matrimonio.Lo stesso art. 193 c.c., inoltre, non reca riferimento a beni immobili e, conseguentemente, alla tra-scrizione né del ricorso che introduce il procedimento né della sentenza che lo definisce.Prima dell’emanazione del d.p.r. in esame, a colmare la lacuna legislativa circa la separazione giudi-ziale dei coniugi è intervenuto l’art. 23 co. 1° della legge 06.03.1987 n. 74, che ha reso applicabileanche al relativo ricorso il nuovo testo dell’art. 4 legge 1.12.70 n. 898 sul divorzio, disponendone latrasmissione dalla cancelleria del Tribunale all’Ufficiale dello stato civile per essere annotato a mar-gine dell’atto di matrimonio.Il richiamo di legge concerne, come detto, solo l’ipotesi di separazione giudiziale, lasciando priva diogni forma di pubblicità la proposizione di ricorso per separazione consensuale tra i coniugi fino al-la fase di omologazione del procedimento, per la quale solo dal d.p.r. n. 396/2000 è stata previstal’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. La “disattenzione” del legislatore del ’75 non è apparsa, né appare, invero, giustificabile con l’inizialeprospettiva della brevità (oltre alla temporaneità) del procedimento di separazione consensuale, stanteche ormai, in molti Tribunali, decorrono anche lunghi periodi tra la data di deposito del ricorso e quel-la dell’udienza presidenziale, senza che si prevedano altri ostacoli per la definizione del procedimento.Anche la – remota – possibilità che la separazione consensuale poteva e può venire meno in virtùdi una riconciliazione non giustificava, ante d.p.r. 396/2000, l’estensione della pubblicità prevista peril ricorso per divorzio (n. 3 art. 4 l. n. 898 del 1.12.1970) alla sola ipotesi di separazione giudiziale,non configurandosi in testa ai coniugi – e “in favore” degli stessi – una sorta di obbligo di “pubbli-cità inversa” di quanto accaduto, cui il legislatore ha finalmente supplito con la previsione dell’an-notazione della riconciliazione ex lett. f) art. 69 d.p.r. 396/2000.Per quanto riguarda il sistema precedente al d.p.r. n. 396/2000, non senza critiche e feconde per-plessità, l’unanime dottrina riteneva che, in assenza di possibilità di annotazione in calce all’atto dimatrimonio della (omologazione della) separazione consensuale, tale “pubblicità” potesse essere di-sposta dal Tribunale su istanza di entrambi o di uno dei coniugi, diretta ad ottenere un ordine di an-notazione – precisamente, di rettifica – ai sensi dell’art. 454 c.c.Tale ultima disposizione è stata abrogata dall’art. 110 3° co. dello stesso d.p.r. n. 396/2000, che haregolamentato le procedure giudiziali di “rettificazione relative agli atti dello stato civile e delle cor-rezioni” con le norme di cui agli artt. 95-101 del titolo IX, d.p.r. citato.[Quale nota “storica”, si rileva che anche prima dell’abrogazione, il testo dell’art. 454 c.c. – concer-nente, a ministero dell’ufficiale di stato civile, la detta “rettificazione... in forza di sentenze passatein giudicato” – indicava la natura e la tipologia dei provvedimenti (sentenze definitive) che, soli, le-gittimavano l’instaurazione del procedimento in esame, ostando il fatto che la separazione consen-suale era (ed è tutt’oggi) definita con decreto, non compreso nella norma e che riveste natura e for-ma in tutto dissimile da una sentenza (arg. ex artt. 2908 e 2909 c.c.)].

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3. Obbligazioni contratte dai coniugi consensualmente separati e garanzia patrimoniale dei beni (giàcomuni) mobili non registrati e diritti equiparati verso i creditori: a) della famiglia (ex-comunione);b) dei singoli coniugi

La disciplina vigente della pubblicità dei mutamenti di “regime” consente, quindi, a favore dell’inte-ressato coniuge istante, l’annotazione dell’intervenuta e definita separazione consensuale in calce al-l’atto di matrimonio.Rimane tuttavia necessario stabilire le conseguenti responsabilità dei coniugi (e del patrimonio mo-biliare degli stessi), verso i creditori della comunione (con i beni comuni e, sussidiariamente, con ibeni personali) per le obbligazioni contratte dai coniugi, anche separatamente – cfr. art. 186 lett. c),c.c. – dopo l’annotazione della separazione consensuale. L’esigenza che occorre soddisfare è quella di mantenere la responsabilità di entrambi i coniugi perquelle obbligazioni che, seppure contratte separatamente da uno di essi, risultino chiaramente lega-te al soddisfacimento di un interesse “familiare” (cfr. art. 186 c.c. lett. c). La distinzione cui si è attenuto il legislatore è quella, da un lato, delle obbligazioni facenti capo adun interesse comune dei coniugi e, dall’altro lato, agli interessi particolari perseguiti da ciascuno diessi, così esponendo, in via preferenziale, all’azione dei creditori i beni comuni nel primo caso e ibeni personali, nel secondo.In concreto, manente la comunione, il regime patrimoniale si articola come segue:a) l’art. 186 c.c. individua positivamente le obbligazioni che gravano sui beni della comunione e che

quindi “producono” debiti comuni, nonché, a contrario, le obbligazioni gravanti sui coniugi se-paratamente;

b) l’art. 189 c.c. afferma la “esposizione” dei beni della comunione per le obbligazioni contratte daiconiugi “per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (compiuti) senza il ne-cessario consenso” (secondo la previsione di cui all’art. 184 c.c.);

c) l’art. 190 c.c. determina la responsabilità (sussidiaria) dei beni personali per debiti “comuni” finoalla metà del credito, nel caso di incapienza dei beni della comunione.

Considerando estranea alla presente ogni ulteriore indagine circa il sopra descritto sistema di obbli-ghi e responsabilità, i riferiti artt. 189 e 190 c.c. devono essere applicati alla luce di due specificazio-ni proposte dalla dottrina2:• quando il creditore personale intenda rivalersi sui beni comuni, è ovvio che potrà farlo solo “fi-

no al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”;• laddove un creditore “comune” voglia esecutare anche i beni personali di uno dei coniugi, potrà

farlo “nella misura della metà del credito”. La prima delle norme considerate (art. 189 c.c.) limita l’esecuzione del creditore personale al valoredella quota dei beni comuni di appartenenza del coniuge debitore e, opportunamente, consente dievitare di far gravare sull’altro coniuge le conseguenze negative degli obblighi contratti nell’esclusi-vo interesse del primo.L’altra norma (art. 190 c.c.) esclude la solidarietà tra i coniugi per i debiti “comuni” e fa sostanzial-mente ricadere sul creditore le conseguenze negative discendenti dagli obblighi assunti nell’interes-se di entrambi i coniugi [che, pertanto, ben potrebbero essere fatti gravare per intero su ciascuno deiconiugi, conducendo a quell’interpretazione restrittiva dell’art. 186 c.c. fino alla disapplicazione del-la norma alla fattispecie di cui alla lett. d)].

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CONTRIBUTI

2 Per tutti, Corsi-Ferrara jr., op. cit.

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3.1. La esposizione del patrimonio dei coniugi per le obbligazioni contratte dopo lo scio-glimento della comunione

Come fatto cenno, l’art. 186 c.c. è di sostanziale rilievo circa nascita e determinazione delle respon-sabilità e degli obblighi gravanti sui beni della comunione e, per quanto qui di interesse, sui benimobili non registrati che di essa fanno parte, per “le obbligazioni contratte dai coniugi per i bisognidella famiglia”, anche in seguito a separazione consensuale.L’individuazione del sistema di responsabilità “passa”, per così dire, attraverso la dizione di cui allalettera c), II parte, e lettera d) del citato art. 186 c.c., che sono tali da comprendere almeno tre gran-di insiemi di atti e precisamente:• “ogni obbligazione contratta congiuntamente nell’interesse della famiglia”;• “ogni obbligazione contratta separatamente nell’interesse della famiglia”;• “ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi”. È apparso pacifico, in dottrina, che gli atti e le conseguenti responsabilità riconducibili alle primedue categorie costituiscono applicazione del cosiddetto “obbligo contributivo” tra i coniugi ex art.144 co. 2° c.c., con la prevalenza dei princìpi di questo sulle norme della comunione.È stato notato3 come dopo lo scioglimento della comunione a causa della separazione consensuale(o del fallimento di uno dei coniugi) appaia difficile affermare la persistenza sui medesimi dell’ob-bligo contributivo suddetto, venendo assolutamente meno l’assunzione di obbligazioni nell’interessedella famiglia inteso come interesse dei coniugi, che può non essere coincidente con quello dellacomunione.Questo mutamento di regime, per quanto opponibile (con l’annotazione in calce all’atto di matrimo-nio) ai terzi, non appare atto a consentire limitazioni e “incroci” di responsabilità riguardo a singolibeni mobili non registrati, rendendo altresì necessaria l’opposizione all’esecuzione da giudicarsi e ri-solversi alla luce dell’assenza, già nella normativa generale, di princìpi formali che di detti beni re-golano la proprietà e i trasferimenti, senza nessun onere pubblicitario. Altro problema scaturisce dall’applicazione dell’art. 190 c.c. alle “obbligazioni contratte da entrambii coniugi” e, quindi, del principio della “divisione del debito” allorché i creditori (comuni) agiscano,in via sussidiaria, sui beni personali di ciascuno dei coniugi.Si tratta, allora, di stabilire se la norma di cui alla lettera d) del citato art. 186 c.c. (diversa dalla pre-visione di cui alla lett. c per l’assenza della dizione “interesse della famiglia”) si aggiunge alla nor-ma di cui all’art. 1294 c.c. – che sancisce la responsabilità solidale tra condebitori – o se a questa sisostituisce, nonché se il regime di cui agli artt. 189 e 190 c.c.4 resti applicabile anche alle obbligazio-ni contratte dopo lo scioglimento della comunione separatamente dai coniugi.La soluzione più aderente alla normativa non può prescindere dalla considerazione secondo la qua-le l’“interesse della famiglia” sia da intendersi essenzialmente legato alla “comunione” o se (comepiù concretamente appare) l’obiettivo del legislatore sia stato il superamento dell’eventuale sciogli-mento, sulla duplice considerazione della permanenza, in sede di separazione, del vincolo matrimo-niale e della ricorrente presenza di figli, nell’interesse dei quali le obbligazioni possono essere e ven-gono molto spesso assunte.

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3 In tal senso, in dottrina, per tutti Corsi-Ferrara, op. cit.4 Conformi in dottrina Schlesinger, Commentario al codice civile, cit.; Oppo, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di fami-glia, in Scritti giuridici, Padova, 1992, e Comunione legale e pregiudizio dei creditori personali, in Riv. dir. civ. 1989; Costi, Lavoroe impresa nel nuovo diritto di famiglia, Milano, 1976.

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3.2. Classificazione e regime dei beni mobili (e diritti equiparati) comuni durante e dopola comunione tra i coniugi e verso i terzi

La normativa concernente i beni mobili non registrati offre pochi argomenti per l’opponibilità al cre-ditore da parte del coniuge che, separato consensualmente, vorrebbe non essere chiamato a rispon-dere delle obbligazioni contratte dall’altro, anche se dirette a soddisfare un cosiddetto bisogno “fa-miliare” (ad esempio, a beneficio dei figli).Riguardo ai beni mobili propriamente considerati, è noto il citato art. 1153 c.c., affermando il princi-pio “possesso vale titolo”, ha inteso tutelare l’apparenza del diritto onde consentire una rapida circo-lazione degli stessi, nonché costituire strumento immediato per dirimere (in senso lato) eventualicontroversie tra più soggetti circa la loro appartenenza. In subjecta materia, gli artt. 195, 196 e 197 c.c. regolano i prelevamenti dalla comunione da partedei coniugi allo scioglimento della stessa, con le peculiarità e i limiti in tali norme presenti, sia neirapporti tra gli stessi coniugi, sia nei confronti dei terzi. Invero, tutta la normativa risulta “preoccuparsi” più della tutela dei terzi acquirenti che degli effettidi una eventuale esecuzione su beni mobili, dei quali si debba dimostrare – per l’opponibilità o perdifetto di legittimazione passiva alla esecuzione – la reale appartenenza.Conseguentemente, la normativa in materia di circolazione e di legittimazione a compiere atti dispo-sitivi aventi ad oggetto beni mobili, appare investire la responsabilità per gli acquisti del terzo da po-tere di un coniuge che, anche personalmente separato, trasferisca o disponga di un bene mobile nonregistrato parzialmente o interamente di proprietà dell’altro. Nell’ipotesi di alienazione di tali beni, il III comma dell’art. 184 c.c. prevede l’obbligo a carico delconiuge disponente di ricostituire la comunione nello stato quo ante al compimento dell’atto o, nel-l’impossibilità di farlo, di pagare l’equivalente secondo il valore del o dei beni alienato/i al tempodella ricostituzione della comunione.Il rimedio apprestato dalla norma de qua – che offre tutela al coniuge non disponente – è circoscrit-to agli atti di straordinaria amministrazione (cfr. “... compiuti senza il necessario consenso...”) ritenu-to che nessun accordo tra i coniugi è necessario per gli atti di amministrazione ordinaria) ed espli-ca i propri effetti solo nei rapporti tra i coniugi e non appare in nulla applicabile ai terzi, dovendoessere considerata quale norma “interna” della comunione, anticipatoria degli obblighi di restituzio-ne e rimborso gravanti sui coniugi allo scioglimento della comunione. Il compendio normativo è completato dagli artt. 195 e 196 c.c. cit., che esauriscono la loro operati-vità nei rapporti di “dare/avere” tra i coniugi, relativi ai beni mobili personali di ciascuno dei coniu-gi, allo scioglimento della comunione legale. Il successivo art. 197 c.c. prende in considerazione la posizione dei terzi rispetto al pregiudizio essiarrecato dal prelevamento di un bene mobile per il soddisfacimento di credito sorto anteriormenteallo scioglimento della comunione. La norma non sembra offrire al coniuge non contraente alcunmezzo di tutela nel caso di obbligazione contratta dopo lo scioglimento della comunione, per la qua-le il terzo agisca sussidiariamente con esecuzione sul bene personale.Vale notare, infine, che resta escluso dalla tracciata disamina il fondo patrimoniale, del quale (ex art.167 c.c.) non possono far parte i beni mobili (non iscritti in pubblici registri) e gli altri diritti a que-sti equiparati, dei quali non sia possibile rendere “pubblica” la destinazione a far fronte ai bisognidella famiglia di cui al vincolo di inalienabilità e inespropriabilità (cfr. il “difficile” dettato dell’art. 169c.c.), che vale a caratterizzare la funzione pratica assolta dall’istituto. Viene qui in rilievo la funzione deterrente che il vincolo di destinazione del fondo riveste, per i cre-ditori che debbano valutare l’utilità di un giudizio teso a far dichiarare il fondo stesso come strumen-to di elusione dalla garanzia del credito di quei beni che di questo fanno parte, a fronte della rinun-cia al soddisfacimento delle proprie ragioni.[Si pensi, per tutti, alle numerosissime e proliferanti Società cessionarie di crediti – ad esempio ban-cari – che, avendo acquistato il “pacchetto” creditizio ad una percentuale di molto inferiore al valo-re del credito stesso e alle garanzie che lo assistono, nessun vantaggio né interesse trarrebbero adimpiantare due giudizi: il primo, avente ad oggetto la revoca del fondo quale vincolo di destinazio-

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CONTRIBUTI

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ne “in frode” alle ragioni creditizie; il secondo, successivo, teso al soddisfacimento del credito su queibeni ormai privi del(lo strumentale) vincolo di destinazione.Nella maggior parte dei casi, la Società cessionaria rivolgerà la propria azione verso quei beni – mo-bili o immobili che siano – liberi da vincoli e, quindi, immediatamente aggredibili, sulla precipuaconsiderazione che la prospettiva di ricavo e la comparazione costi-benefici abbia a presumersi disegno positivo anche rispetto alla percentuale di acquisto del credito da esigere].Nel patrimonio “mobiliare” dei coniugi, deve darsi precisa configurazione ai cosiddetti diritti equipa-rati – così genericamente ma acutamente definiti da De Paola5 – come oggetto di comunione, non-ché del di essi regime di appartenenza (proprietà e possesso) e di circolazione. Circa l’appartenenza o meno di un diritto alla comunione – tralasciando classificazioni sistematiche,estranee alla problematica che occupa – non può prescindersi dal definire la nozione di acquisti dicui all’art. 177 lett. a) c.c., nel senso di ricomprendervi quei “diritti”, aggredibili dai creditori della co-munione, anche allo scioglimento di essa, in ossequio al regime ad essi proprio. Se sono da annoverarsi nella comunione i diritti reali6 (arg. ex art. 177 lett. a) c.c.) che risultano op-ponibili ai terzi (almeno nell’ambito della tipicità degli stessi e del conseguente previsto regime pub-blicitario), altrettanto non è a dirsi per le situazioni giuridiche cosiddette “di vantaggio”, quali i dirit-ti di natura strettamente personale di ciascun coniuge, che risultano difficili da valutare e giuridica-mente impossibili da aggiungersi, per così dire, al patrimonio comune. Quanto ai diritti di credito “strictu sensu”, profonde e sostanziali divergenze esistono in dottrina e ingiurisprudenza circa la loro caduta in comunione, tanto alla luce del singolare meccanismo acquisi-tivo disposto dall’art. 177 lett. a) c.c., quanto per l’assenza nell’ordinamento di una cosiddetta comu-nione di diritti relativi nonché per il carattere strumentale e personale di detti diritti, che, molto spes-so, hanno ad oggetto non un bene ma, più ampiamente, una “entità economicamente rilevante” nonacquisibile alla comunione. Capitolo a sé è costituito dalle cosiddette creazioni intellettuali o beni immateriali (opere dell’inge-gno, invenzioni industriali eccetera) che non entrano a far parte della comunione –attribuzione, uti-lizzazione e trasmissione spettano all’autore mentre i proventi (art. 177 lett. c) cadono in comunio-ne de residuo – e dalle partecipazioni a società, per le quali è necessario distinguere se consegua re-sponsabilità illimitata (cfr. artt. 2267 co I; 2291; 2313; 2362; 2479 co II c.c.) o limitata alla quota con-ferita (cfr. artt. 2267 co II; 2313) o sottoscritta (artt. 2325; 2462; 2474 c.c.).In linea di massima, le prime sembrano doversi ritenere escluse dalla comunione immediata e og-getto di comunione de residuo in ossequio alla tutela della piena libertà d’azione del coniuge “im-prenditore” (art. 41 Costituzione) e non senza le eccezioni di cui appresso; le seconde, quali “com-plesso di diritti e doveri incorporati nello status di socio”7 costituiscono entità giuridica a sé stante esuscettibile, per questo, di valutazione economica, sicché il loro acquisto è oggetto di comunioneimmediata ex art. 177 c.c., fatta eccezione per le partecipazioni che debbano considerarsi personali(assunzione di responsabilità illimitata o rientranti in una delle fattispecie previste dall’art. 179 c.c.).Circa l’analisi, non esaustiva, dell’incidenza sulla comunione dei modi di acquisto della proprietà, oc-corre avere riguardo al tempo nel quale gli acquisti si perfezionano e, quindi, entrano a far parte del-la comunione, nonché del possesso e dell’usucapione, che possono offrirsi ai creditori della comu-nione quali uniche “entità patrimonialmente rilevanti” da aggredire in sede esecutiva.In ordine all’istituto del possesso, si discute in dottrina se tale potere di fatto (secondo la definizio-ne di cui all’art. 1140 c.c.) possa formare oggetto di comunione ed essere ricompresso nella fattispe-cie acquisitiva descritta dalla lettera a) dell’art. 177 c.c.

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5 De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato, tomo secondo, Milano, 2002.6 Cass., 23 luglio 1987, n. 6424, in Giust. civ., 1988, I, 459; Nuova giur. civ. comm. 1988, I, 456 (con nota di De Falco, Comunio-ne legale e diritti di credito) secondo cui nella comunione legale dei beni tra coniugi rientrano, ai sensi dell’art. 177 lett. a) c.c., so-lo i diritti reali essendo solo per questi prevista, nell’ordinamento giuridico italiano, la comunione (conf. Cass., 11 settembre 1991,n. 9513 in Giust. mass. civ. 1991, fasc. 9).7 De Paola, Il regime patrimoniale della famiglia, cit.

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Affermata, in ogni caso, l’impossibilità giuridica di annoverare nella comunione situazioni di vantag-gio o diritti relativi di ciascuno dei coniugi, è da ritenere che il possesso realizzato separatamentedai coniugi in comunione dei beni, possa annettersi al patrimonio coniugale all’unica condizione diconsiderare la comunione come soggetto di diritto8, cioè autonomo centro di imputazione di situa-zioni giuridiche.Quanto, infine, all’usucapione, ritenendosi il momento perfezionativo dell’acquisto quello del com-pletamento della fattispecie (senza alcun effetto retroattivo all’inizio del possesso cosiddetto “quali-ficato”), è in tale frangente che il bene entra a far parte del patrimonio comune, sia che il possessosia iniziato prima del matrimonio sia in costanza dello stesso.

4. Gli effetti dello scioglimento della comunione dei beni. Le vicende del patrimonio dei coniugi do-po la cessazione della comunione. L’azione del creditore “comune” sui beni mobili per credito poste-riore alla separazione consensuale

Appare necessario, a questo punto, delineare l’ambito nel quale l’azione contro il patrimonio coniu-gale – al sorgere di un’obbligazione ad esso afferente – può essere positivamente esperita da partedel creditore che ne abbia acquisito titolo. Fondamentale rilievo assumono i due ordini di effetti che discendono dallo scioglimento della co-munione, rispettivamente relativi alle:1. situazioni costituite dal pregresso patrimonio comune dei coniugi, che, tra l’altro, si incrementa

anche dei beni oggetto di “comunione differita” risultando, come tale, assoggettato all’effettiva di-visione dei beni;

2. nuove situazioni giuridiche conseguentemente determinatesi.Con riferimento al primo gruppo di effetti, assumono rilevanza gli atti dispositivi di beni (comuni)acquistati durante la permanenza del regime di comunione legale, che fanno ancora parte del patri-monio comune che attende di essere definito per effetto della procedura di liquidazione.Rispetto a questi beni i coniugi, uti singuli, vantano soltanto un’aspettativa di diritto (sia pure giuri-dicamente tutelata) che si attualizzerà con il divenire diritto pieno per effetto della successiva divi-sione ex art. 194 c.c.9. Ne consegue che qualsiasi atto di disposizione di beni facenti parte del patri-monio comune richiede il consenso di entrambi i coniugi, anche se all’atto dispositivo compiuto daun solo coniuge senza il necessario consenso dell’altro non può più applicarsi il regime di impugna-tiva di cui all’art. 184 c.c.Ciò deriva necessariamente dal fatto che l’effetto dispositivo-traslativo del negozio compiuto dal co-niuge sarà subordinato (e differito) all’effettiva inclusione del bene nella porzione assegnata al co-niuge alienante, mentre nella situazione di pendenza i rapporti tra alienante e acquirente saranno re-golati dalle norme sulla condizione del contratto (artt. 1353 e ss. c.c.).Sembra doversi escludere la possibilità della libera alienazione da parte di ciascun coniuge della quo-ta sul patrimonio comune, così come, invece, è disposto per la comunione ordinaria dall’art. 1103c.c.10 e, del pari, da parte del coerede sulla quota di patrimonio ereditario a lui spettante prima del-l’attribuzione allo stesso della quota divisa e, quindi, dei singoli beni che la comporranno. Prima ditale momento, infatti, il patrimonio comune non è costituito solo da una massa di beni, ma com-prende anche una serie di rapporti attivi e passivi dei coniugi verso e contro la comunione, sottra-endo, per così dire, agli stessi coniugi ogni potere circa i beni da dividere.Con riferimento al secondo gruppo di effetti, assumono rilevanza:

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CONTRIBUTI

8 Isolati in dottrina De Paola-Macrì, op. cit.9 Così De Paola, Il regime patrimoniale... cit., 772.10 Contra Ingino, Gli effetti dello scioglimento della comunione legale sui rapporti patrimoniali tra coniugi anteriormente alla di-visione, in Quadrimestre, 1989.

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• gli acquisti di beni eventualmente compiuti in comune dai due coniugi, che saranno regolati dal-le norme della comunione in generale (artt. 1110 e ss. c.c.);

• l’azienda gestita in comune dai coniugi e costituita durante la vigenza del regime di comunione,che sarà assoggettata alle norme di cui agli artt. 2555 e ss. c.c.;

• l’assunzione delle obbligazioni per far fronte ai bisogni della famiglia e la conseguente responsa-bilità dei coniugi che saranno regolate dalle norme di diritto comune.

[Uguale principio vale per le obbligazioni assunte per l’amministrazione dei beni acquistati in regi-me di comunione legale, circa i quali cessano i poteri di amministrazione disciplinati dagli artt. 180-183 c.c.11 e continua, invece, a trovare applicazione il regime di responsabilità patrimoniale delinea-to negli artt. 186-190 c.c.12 almeno fino alla divisione di cui all’art. 194 c.c.].

4.1. Il recupero del credito. Profili sostanziali e processuali dell’opposizione dei coniugi

Il creditore della comunione che intenda soddisfarsi sui beni mobili può agire giudizialmente controuno o contro entrambi i coniugi, in quest’ultimo caso allorché l’obbligazione (cfr. “contratta ancheseparatamente”) sia ricompresa tra quelle ex lett. c), II parte, dell’art. 186 c.c.I soli atti che possono essere considerati “utili” nel senso dalla norma indicato, sono quelli disposi-tivi di un diritto o diretti all’assunzione di un’obbligazione, da parte di un coniuge o di entrambi, coni già illustrati effetti conseguenti allo scioglimento della comunione, se i coniugi dovessero risultaregià separati al sorgere dell’obbligazione. Orbene, in seno al giudizio (cognitivo o esecutivo) promosso dal creditore, è facile che il coniugeseparato non contraente (regolarmente citato o precettato, o altresì chiamato dall’altro coniuge o in-tervenuto spontaneamente) opponga all’attore o all’esecutante lo status di consensualmente o giudi-zialmente separato da epoca precedente all’obbligazione per cui è causa, allorché, nel primo casol’omologazione della separazione e, nel secondo il ricorso o la sentenza, risultino rispettivamente an-notata o trascritti in epoca anteriore al sorgere del diritto quesito. Un’eventuale difesa di tale fatta, tuttavia, non appare cogliere nel segno. Nel delineato contesto, infatti, è fortemente dubbio – e la disciplina della responsabilità della comu-nione legale appare escluderne segnatamente la possibilità – che il coniuge convenuto non contra-ente possa assumere posizione di non di obbligato e, quindi, di “terzo” (con i diritti e gli oneri pro-batori a tale ruolo inerenti), al contrario ricorrendo, sul piano processuale, un litisconsorzio necessa-rio ex art. 102 c.p.c., laddove “il rapporto dedotto in giudizio implichi una situazione sostanziale ditipo plurisoggettivo, tanto sul piano genetico (il sorgere dell’obbligazione) quanto su quello funzio-nale (l’inadempimento e la conseguente azione cognitiva o esecutiva) il cui accertamento (o modi-ficazione o estinzione) non può che operare nei confronti di tutti i soggetti partecipanti” (così Cass.sez. un. n. 5895 dell’1.07.1997). In buona sostanza, il coniuge convenuto e non contraente, a prescindere dalla possibilità di oppor-re il proprio status di “separato” al creditore, si ritrova essere parte del rapporto obbligatorio, sullascorta dell’ampia responsabilità di cui al citato art. 186 lett. c) c.c., non potendo opporre alcun difet-to di legittimazione passiva, né, tantomeno, proporre alcuna azione “di terzo”.Esclude in radice la configurazione di terzo del coniuge non contraente il dato relativo al semplicepossesso dei beni – già – comuni in testa allo stesso, che fornisce presunzione in favore del credi-

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11 De Paola-Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, cit., 210; Macrì, Scioglimento della comunione legale e suoi effetti,in Quaderni riv. not., Milano, 1988.12 Gionfrida Daino, La posizione dei creditori nella comunione dei beni tra coniugi, Padova, 1986, evidenzia che l’impossibilità diapplicare l’art. 184 c.c. agli atti compiuti, sciolta la comunione, da un coniuge senza il (necessario) consenso dell’altro, ha riscontronella formulazione letterale della norma che dispone che “l’azione di annullamento può essere proposta entro un anno dalla cono-scenza dell’atto e in ogni caso dalla trascrizione e, comunque, in mancanza di trascrizione e di conoscenza, non oltre l’anno dal-lo scioglimento della comunione” con costante riferimento alla vigenza (o cessazione) del regime della comunione dei beni.

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tore procedente a proporre contro il medesimo esecuzione diretta, lasciando eventualmente spazioall’esecutato per l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. Ed infatti, se prima facie appare rispettato il principio che permea le opposizioni di terzi all’esecu-zione (che è quello di dimostrare, da parte del terzo, l’appartenenza del bene assoggettatovi a per-sona diversa dal debitore contro il quale si procede) l’ipotesi prospettata non appare in nulla con-forme al regime di responsabilità dei beni comuni, che è regime speciale e, quindi, prevalente e di-stinto da ogni altro, su cui si fonda la responsabilità diretta del coniuge, ancorché separato. [Resta netta la differenza con le controversie che abbiano ad oggetto la validità o efficacia del titolodell’acquisto di un bene compiuto “separatamente” da uno dei coniugi manente la comunione deibeni, nelle quali l’altro coniuge, rimasto estraneo alla formazione dell’atto e non intestatario del be-ne, non è litisconsorte necessario, giacché l’inclusione del bene nella comunione costituisce un ef-fetto ope legis dell’acquisto compiuto in “quel” regime patrimoniale13. Una situazione siffatta è altro che la risultante del sistema di appartenenza alla comunione dei beni,circa la pubblicità cosiddetta “di regime” generale esistente tra i coniugi ed opponibile, se annotata,ai creditori comuni e personali, fatta eccezione per quella relativa ai singoli beni mobili comuni (ogià tali), di contro inopponibile al creditore procedente].

4.2. Effetti sostanziali della prova: la speciale tutela dei crediti della PA

Si è detto come il regime di opponibilità ai terzi dell’appartenenza dei beni mobili all’uno o all’altroconiuge non consente al coniuge separato, che non ha partecipato al sorgere dell’obbligazione, digodere di efficace tutela contro l’azione del creditore procedente.Nell’evidente possibilità che tale normativa possa essere, per così dire, subìta dal coniuge opponen-te (o potenzialmente tale), può essere utile porre l’accento su quanto previsto, per la prova dellaproprietà dei beni mobili, dall’art. 58 del d.p.r. n. 602/1973, novellato dal d.lgs. 18.XII.97 n. 472; d.lgs.24.VI.98 n. 213; d.lgs. 26.II.99 n. 46 e d.lgs. 13.IV.99 n. 112, in materia di esecuzione da parte delloStato o di Enti riscossori, normativa secondo cui il terzo che proponga opposizione all’esecuzione dibeni mobili asseritamente propri e siti nella casa di abitazione o nell’azienda del debitore o del co-obbligato, deve dimostrarne la proprietà esclusivamente con atto/i pubblico/i (!!) o scrittura/e priva-ta/e di data certa, anteriore/i non solo all’iscrizione a ruolo del tributo bensì anche al presuppostoche ne ha dato origine. La norma appare in palese violazione, prima, con l’illustrato regime previsto per i beni mobili e, poi,con il dettato dell’art. 1350 c.c. che non prevede neppure la semplice forma scritta per atti – e, con-seguentemente, per la prova dell’appartenenza – che abbiano ad oggetto beni mobili, in esso arti-colo non menzionati (a tacere del fatto che l’atto pubblico o la scrittura privata costituiscono formespeciali neppure previste per parte degli atti aventi ad oggetto beni immobili).La Corte Costituzionale, investita della relativa questione, si è pronunciata in favore della legittimitàcostituzionale della norma imputata, ritenendo prevalente, nel contrasto di leggi, la ratio che la giu-stifica, tesa ad evitare facili aggiramenti e agevoli frodi con prove semplici di – apparente – appar-tenenza dei beni esecutati a terzi estranei (quali contratti di comodato e negozi equipollenti, benchéregolarmente registrati anteriormente anche alla nascita titolo esecutivo). Solo con riferimento ai titoli che possono formare oggetto del fondo patrimoniale e alla pubblicitàper gli stessi prevista, sembra doversi ritenere opponibile anche alla PA procedente l’annotazionedelle modifica o cessazione del fondo stesso ex art. 69 d.p.r. 396/2000, al pari dell’opponibilità del-la iscrizione sul titolo e sul registro dell’emittente al creditore procedente, per la prevalenza del re-gime speciale dei titoli di credito su quello generale dei beni mobili.

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CONTRIBUTI

13 Da ultimo, Cass. 13.12.1999 n. 13941; conformi: Cass. 29.10.1992 n. 11773; Cass. 17.10.1992 n. 11428.

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4.3. La presunzione di appartenenza dei beni dei coniugi alla comunione e la operativitàdegli artt. 180 e 184 c.c.

Circa la responsabilità comune tra i coniugi e con riferimento alla preponderante esigenza di tuteladei beni mobili di ciascuno dopo la separazione, un breve cenno va rivolto al crollo della presun-zione di comunione sugli stessi beni – appunto, dopo lo scioglimento della comunione – che deter-mina l’illustrata inapplicabilità degli artt. 180 e 184 c.c.Va ricordato che l’operatività delle citate norme è limitata al regime degli atti – dispositivi o di acqui-sto – che richiedano il necessario consenso di entrambi i coniugi, ed è da riferirsi ai negozi di stra-ordinaria amministrazione riguardanti beni (comuni) immobili o mobili registrati. Alcuna dottrina14 ha sottolineato che, escludendo l’operatività della pubblicità della comunione per ibeni mobili e i diritti “equiparati”, ogni atto dispositivo o di assunzione di obbligazioni relative ai be-ni (già) comuni, dopo lo scioglimento, posto in essere da uno dei coniugi, ricadrebbe sotto la “se-vera” disciplina dell’art 1480 c.c. (vendita di cosa parzialmente altrui) e come tale sarebbe, in casodi inadempimento, azionabile.Appare più corretto ritenere che, sulla scorta dell’insuperabile principio “possesso vale titolo”, in se-de di opposizione (diretta o di terzo) in sede cognitiva o esecutiva, ogni pregiudizio potrebbe esse-re evitato per il coniuge non contraente attraverso il prelievo dei beni mobili comuni da quella cheè stata, fino alla separazione consensuale, la residenza della famiglia – luogo utile per l’esecutante–, fermo restando che gli effetti che il prelievo assicura potrebbero non essere opponibili, costituen-do il mezzo per restituire ai coniugi i beni (mobili) di rispettiva appartenenza. Anzi, proprio riguar-do a questi beni – che possono essere “prelevati” solo sul presupposto di cui all’art. 197 c.c. –, inassenza di credito di data certa precedente allo scioglimento della comunione, può configurarsi an-che un’ulteriore azione a carico del coniuge che opponga tale “appartenenza”, quale soggetto re-sponsabile di pregiudizio alla garanzia patrimoniale del credito.

5. Il regime speciale del fallimento: la pubblicità della sentenza dichiarativa e suoi effetti

Con riferimento alla pubblicità relativa alla pronuncia di fallimento di uno dei coniugi in comunio-ne, la norma che innanzi tutto viene in rilievo è l’art. 17 del r.d. 16.03.1942 n. 267 (cosiddetta “leg-ge fallimentare”), che prescrive che un estratto della sentenza venga “affisso alla porta esterna delTribunale e comunicato... al Registro delle imprese. L’estratto... è inoltre pubblicato nel Foglio degliannunci legali della Provincia...”. Tale norma non ha subìto variazioni in seguito alla riforma dellalegge fallimentare, di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, entrato in vigore il 16.07.2006. A parere dell’unanime dottrina e della giurisprudenza di legittimità (per tutte, Cassazione 4.04.1979n. 1940 in Fall. 1980, 233) l’affissione crea una presunzione legale di conoscenza della sentenza pertutti gli interessati, indipendentemente dalla messa in atto di formalità particolari e/o ulteriori, poten-dosi la presunzione de qua provare con ogni mezzo.Pur nel silenzio del legislatore della riforma del 1975 e, fino ad oggi, della legislazione successiva(ivi compreso il d.p.r. 396/2000, che nessuna annotazione dispone in caso di fallimento di uno deiconiugi in comunione) l’or ora menzionato sistema pubblicitario sembra non concedere alcun van-taggio al singolo creditore.Tuttavia (come è stato notato da De Paola15) l’efficacia erga omnes dello scioglimento della comunio-ne non sembra potersi subordinare alla semplice formalità dell’iscrizione della sentenza di fallimen-to nei termini sopra enunciati, in quanto – argomentando dagli artt. 44 e 45 l.f., anch’essi intoccatidal d.lgs. n. 5/06 – detta efficacia riguarda solo gli atti compiuti dal fallito e non incide affatto suglieffetti degli atti estranei al fallimento, quali quelli, in particolare, compiuti dal coniuge del fallito.

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14 Ferrara Jr.-Corsi, op. cit.15 De Paola, Il regime patrimoniale..., cit., tomo II, 745 e ss.

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Nessun effetto, invece – e, quindi, nessun conseguente problema di pubblicità – può ritenersi cheabbiano sull’instaurazione del (nuovo) regime patrimoniale tra i coniugi (cioè la separazione dei be-ni, conseguente alla pronuncia di fallimento) la chiusura del fallimento (art. 118 e ss. l.f.) – e, ovvia-mente, la oggi abrogata revoca del fallimento (già ex art. 21 l.f.) – correttamente ritenendosi16 che ibeni della comunione che, per effetto della chiusura del fallimento (nonché, fino al 16.7.2006, an-che per la revoca del fallimento), sono stati restituiti dal curatore ai coniugi, continueranno ad esse-re soggetti agli effetti che la legge ricollega all’avvenuto scioglimento della comunione legale.Una tesi discorde – foriera di molte perplessità – in dottrina17 ha ritenuto che, con riferimento ai be-ni (già) comuni ancora indivisi, si possa prospettare l’ipotesi della retroattività, potendosi parlare di“ricostituzione” della comunione riguardo a detti beni; non mancando chi18 ha sostenuto come in ta-le ipotesi si verifichi il fenomeno inverso a quello che avviene al momento della dichiarazione di fal-limento, cioè che una comunione ordinaria – quella sui beni ancora indivisi – si trasformi in una co-munione legale. Ed ancora, è stato sostenuto19 che l’esigenza di dare completezza al sistema di pubblicità del regimepatrimoniale della famiglia, rispetto alla sopravvenienza della dichiarazione di fallimento, imporreb-be di ritenere che ogni interessato sia legittimato, attraverso un’interpretazione estensiva dell’art. 69d.p.r. 396/2000, a richiedere la relativa annotazione della sentenza stessa a margine dell’atto di ma-trimonio20.A fronte delle superiori notazioni, tuttavia, deve essere tenuto da conto un unico e generale argo-mento a contrario, quello secondo il quale anche ammettendosi il “rientro” dei beni (da divisi a co-muni) nella comunione, è facile ipotizzare le enormi difficoltà di applicazione della normativa pub-blicitaria relativa sia alla comunione sia al fallimento, non fosse altro che per l’impossibilità di con-ciliare la pubblicità di situazioni affatto definite con l’inderogabile sistema della trascrizione.

6. Considerazioni conclusive

Si è finora ampiamente evidenziato come, all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia,l’annotazione non fosse prevista né per la sentenza di fallimento di uno dei coniugi, né per il decre-to di omologazione della separazione consensuale. Questo primo periodo di vigore della normativa di cui al d.p.r. 396/2000 ha condotto parte della dot-trina a ritenere, almeno de jure condendo, superata la carenza normativa di cui sopra, grazie all’in-terpretazione integrativa dell’art. 69 del decreto presidenziale detto.Peraltro, alcune delle notate lacune erano state, prima dello stesso decreto, parzialmente colmate daquella interpretazione, più analogica che estensiva, dell’art. 10 legge n. 898/70 sul divorzio (osteg-giata dagli interpreti più rigorosi), che prevede testualmente “la annotazione (e le ulteriori incom-benze di cui al r.d. 09.07.1939 n. 1238; ma vedasi ora l’art. 69 citato d.p.r.) della sentenza che pro-nuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio”.E, ancora, l’espressa previsione di cui all’art. 23 della l. 6 marzo 1987 n. 74 (dichiarando applicabili,se compatibili, (solo) al giudizio di separazione personale dei coniugi le norme processuali della di-

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CONTRIBUTI

16 De Paola, Il regime patrimoniale..., cit.17 Rossi Carneo, Cause di scioglimento della comunione, in Bianca (a cura di), La comunione legale, vol. II, Milano, 1989, 913 ss.18 Colussi, Azienda coniugale e disciplina dell’impresa, in Riv. dir. civ. 1976.19 De Paola, Il regime patrimoniale..., cit.20 Schlesinger, Sub art. 191 c.c., in Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992, 440; De Paola-Macrì, Il nuovo re-gime patrimoniale della famiglia, cit., 333; Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., Vol. I, 187; Toneatti, Regime patrimo-niale della famiglia e provvedimenti dell’autorità giudiziaria, in Stato civ. It., 1983, 567; Di Benedetto, In tema di comunione lega-le dei beni, azienda coniugale e fallimento, in Riv. not., 1989, 794; Dogliotti, Lo scioglimento della comunione legale dei beni tra co-niugi: presupposti e caratteri, in Dir. fam. pers. 1990, 267 e ss.; Mastropaolo e Pitter, Sub art. 191 c.c., in Commentario al diritto ita-liano della famiglia, cit., 325 e ss.

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sciplina del divorzio) ha consentito di affermare21 che sia la sentenza di separazione personale deiconiugi sia il decreto di omologazione della separazione consensuale dovevano essere annotati incalce all’atto di matrimonio, ad essi pacificamente estendendo il predetto art. 10 legge divorzio. Tale linea di pensiero (condivisa anche da De Paola22) dissipa in toto ogni dubbio circa l’applicabi-lità dal d.p.r. 396/2000 (con un “salto temporale” a ritroso per il decreto di omologazione della se-parazione consensuale, la cui annotazione è stata prevista ben tredici anni prima con la legge n. 7del 1987) che, quale normativa speciale, non è suscettibile di interpretazione analogica a fattispeciein essa non prevista.A tali considerazioni si aggiunga che alcune delle innovazioni introdotte con il d.p.r. n. 396 appaio-no tali da suscitare non lievi perplessità, con riferimento, ad esempio, alla previsione ex art. 69 lett.f) circa l’annotazione della riconciliazione tra i coniugi separati, esattamente “delle dichiarazioni conle quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione”.

Pur concordando sul dato della necessità che i terzi siano posti a conoscenza dell’avvenuta riconcilia-zione tra i coniugi, viene da chiedersi che incidenza abbia l’annotazione di una dichiarazione (cfr. testodi legge) su atti come sentenze, decreti (di omologazione) e trascrizioni o annotazioni che mantengo-no fermi i loro effetti fino ad annullamento o revoca nelle forme di legge.Altresì, anche restringendo l’operatività dell’annotazione della riconciliazione al giudizio di separazio-ne ancora in corso (così eliminando gli effetti della annotazione del ricorso introduttivo della separa-zione stessa, prevista dall’art. 23 l. 6.3.87 n. 74), l’annotazione in parola appare avere scarsa rilevanza,potendo i coniugi semplicemente abbandonare il giudizio e procedere alla cancellazione della annota-zione del ricorso in seguito alla estinzione del giudizio medesimo.

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21 Zaccaria, La pubblicità della sentenza di separazione personale nella legge di riforma del divorzio”, in Riv. dir. civ. 1989, 659 e ss.22 De Paola, Il regime patrimoniale della famiglia..., cit.

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Premessa

Nell’ultimo decennio, nell’ambito degli ordinamenti giuridici europei, si è assistito ad un accreditarsidi taluni princìpi comuni, che ormai da tempo rappresentano l’inevitabile conseguenza di un’esigen-za di sostanziale omogeneità, che involge le più recenti modifiche legislative in materia di diritto difamiglia.Pur nella diversità dei sistemi giuridici che connotano i Paesi a noi più vicini, l’impegno giurispru-denziale e legislativo è stato incentrato nella ricerca di un equilibrio tra la valorizzazione della liber-tà di ciascuno, e le doverose esigenze di tutela della parte più debole, ineliminabile espressione deldovere di solidarietà che identifica l’essenza stessa del matrimonio.Nel sistema inglese, dove il giudice ha il potere di “ridistribuire virtualmente” ogni elemento econo-micamente rilevante delle parti, è stato valorizzato il parametro relativo al contributo offerto al be-nessere della famiglia fornito dal coniuge debole, attraverso la cura della casa e dei figli.Nella valutazione dei giudici tedeschi è emersa la tendenza a conferire un’importanza assai maggio-re che in passato all’attività domestica e alla cura dei figli.Il legislatore francese, nella recente riforma del 2004, ha espressamente previsto alcuni precisi crite-ri di quantificazione che devono essere presi in considerazione ai fini del riconoscimento della “pre-station compensatoire”.Anche il nostro Paese, con l’entrata in vigore della legge n. 54/2006 si è omologato alla tendenza diuniformare, su scala quantomeno europea, le previsioni normative, al fine di consentire la realizza-zione di una piena e sostanziale parità dei coniugi anche sul piano economico, specie nel momen-to della crisi coniugale.Il presente questionario ha la finalità di verificare quali siano i criteri di applicazione dei parametri nor-mativi di determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole e dei figli minori,nonché le modalità con le quali viene data attuazione ai più recenti interventi legislativi e giurispru-denziali, tendenti ad una sempre maggiore uniformazione nell’obiettivo di fornire una soluzione ilpiù possibile equa e garantista della disciplina degli aspetti economici nel caso di cessazione dellaconvivenza familiare.

Criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge

Dott. Pierluigi Crestani (Presidente Tribunale di Padova)Dott. Michele Bordon (Giudice, Tribunale di Rovigo, Sezione Famiglia)Dott. Giuseppe Iannetti (Presidente Tribunale di Verona)

1) La conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è criterio imprescindibile dideterminazione dell’assegno di mantenimento, o costituisce un obiettivo solo tendenziale?

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DALLE REGIONI

I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO IN FAVORE DELCONIUGE ADOTTATI DA ALCUNI TRIBUNALI DEL VENETO

a cura di

Lorenza CraccoAvvocato, Foro di Padova

Gabriella de StrobelAvvocato, Foro di Verona

Damiana StoccoAvvocato, Foro di Rovigo

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• In sede presidenziale non si è quasi mai in grado di conoscere esattamente il tenore di vitamatrimoniale, sicché, in via d’urgenza, risulta pressoché impossibile parametrare l’assegno atale criterio. In ogni caso, non condivido l’orientamento giurisprudenziale maggioritario secon-do cui dev’essere mantenuto lo stesso tenore di vita, in quanto, a seguito della separazione, ledisponibilità complessive della famiglia vengono ripartite in due nuclei familiari e quindi di-minuiscono. (Presidente Tribunale di Padova)

• Costituisce un obiettivo tendenziale. (Tribunale di Rovigo)• Il tenore di vita è un criterio tendenziale ai fini della determinazione dell’assegno ma si ten-

gono in considerazione anche i redditi delle parti. (Presidente Tribunale di Verona)

2) Quali sono i principali indici del livello di vita matrimoniale tenuti in considerazione ai fini dellaquantificazione dell’assegno?• Come ho già risposto, in sede presidenziale, solo in pochi casi è stato possibile accertare il te-

nore di vita matrimoniale. In genere, tale accertamento è avvenuto sulla base della produzio-ne documentale della parte richiedente l’assegno (ad esempio viaggi, frequenti soggiorni, fo-tografie di immobili e beni di proprietà). (Presidente Tribunale di Padova)

• I principali indici di livello di vita matrimoniale tenuti in considerazione sono i consumi. (Tri-bunale di Rovigo)

• Gli indici del livello di vita matrimoniale sono i consumi, gli investimenti, la proprietà di vei-coli, cavalli, barche, il tipo di vacanze e di viaggi che la famiglia ha effettuato durante la vitamatrimoniale. (Presidente Tribunale di Verona)

3) In quale misura la disparità di reddito tra due coniugi che svolgono entrambi un’attività lavorativaretribuita, legittima la determinazione di un assegno di mantenimento in favore del coniuge conreddito inferiore?• Ai fini della determinazione di un assegno di mantenimento in favore del richiedente, è ne-

cessario che il reddito di un coniuge sia almeno il doppio rispetto a quello dell’altro.Nel caso in cui si tratti di redditi di importo modesto, ad esempio € 1.000 la moglie ed € 2.000il marito, che lascia la casa, non viene disposto alcun contributo di mantenimento. Qualora in-vece la disparità del reddito sia più cospicua, per esempio € 5.000 il marito e € 1.000 la mo-glie, in tal caso viene riconosciuto un contributo di mantenimento in favore della moglie no-nostante abbia un reddito proprio. (Presidente Tribunale di Padova)

• La differenza tra i redditi di coniugi che svolgono entrambi attività lavorativa retribuita, deveessere rilevante, almeno 40-50% ai fini della determinazione di un assegno a favore del coniu-ge più debole, specie se i coniugi sono entrambi giovani. (Tribunale di Rovigo)

4) In quale misura rileva la sussistenza di una capacità lavorativa in capo al coniuge privo di reddito?• La giovane età del coniuge richiedente indubbiamente rileva, e spesso informo l’interessato

dell’importanza e della necessità che si attivi per reperire un’occupazione lavorativa. In più oc-casioni ho riconosciuto un assegno di mantenimento a termine, di un anno o sei mesi, anchein relazione alle informazioni ricevute dal coniuge richiedente in ordine allo stato della ricer-ca di occupazione. (Presidente Tribunale di Padova)

• La mancanza di un lavoro in capo al coniuge privo di reddito rileva nella misura in cui tale si-tuazione sia stata accettata dall’altro coniuge. (Tribunale di Rovigo)

• La mancanza di lavoro in capo al coniuge privo di reddito rileva in relazione all’età, alle pre-cedenti esperienze lavorative, alla capacità lavorativa già espletata e al titolo di studio. (Presi-dente Tribunale di Verona)

5) Quali sono la fascia di età e i criteri in base ai quali è plausibile che il coniuge privo di reddito deb-ba attivarsi per reperire un’occupazione che lo renda economicamente autosufficiente?• Ritengo che se il coniuge richiedente è la moglie, in ipotesi casalinga di cinquant’anni, non sia

pensabile che ella sia obbligata ad attivarsi per reperire un’attività lavorativa retribuita. Se si

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tratta di una persona di trenta o quarant’anni, invece, sì. (Presidente Tribunale di Padova)• Il coniuge privo di redditi potrà trovare un’occupazione che lo renda economicamente auto-

sufficiente, ma ciò dipenderà dalle condizioni sociali, dal titolo di studio e dall’esperienza la-vorativa, in media ritengo che la fascia di età per trovare un’occupazione come limite massi-mo sia fino a 40-45 anni. (Tribunale di Rovigo)

• Attualmente, tenendo conto anche della crisi economica in atto, l’età entro la quale è possibi-le reperire un’occupazione è circa 35 anni. (Presidente Tribunale di Verona)

6) In quali casi l’inoccupazione del coniuge richiedente l’assegno legittima in ogni caso la determina-zione dell’obbligo di assegno?• Se il richiedente non lavora e ha provato delle reali condizioni di difficoltà nel reperimento di

un’occupazione lavorativa. (Presidente Tribunale di Padova)• L’inoccupazione del coniuge richiedente l’assegno rileva se tale situazione è stata voluta o ac-

cettata dall’altro coniuge. (Tribunale di Rovigo)• La mancanza di occupazione legittima la richiesta dell’assegno ma ciò viene comunque valu-

tato in relazione al reddito dell’obbligato. (Presidente Tribunale di Verona)

7) Il godimento gratuito, da parte del coniuge richiedente l’assegno, dell’abitazione coniugale di pro-prietà dell’altro in tutto o pro quota, quale percentuale rappresenta rispetto al quantum comples-sivo dell’assegno determinato in suo favore?• Se ne tiene conto cercando di tradurre il godimento gratuito dell’immobile o di una sua quo-

ta parte, nell’importo di un canone locatizio. Talvolta, nel caso di assenza dei presupposti perl’assegnazione dell’abitazione in comproprietà, ho negato l’assegno di mantenimento in viad’urgenza, rimettendo la decisione al g.i. nel momento in cui risultasse che uno dei due co-niugi si era allontanato definitivamente da casa. (Presidente Tribunale di Padova)

• Il godimento gratuito della casa coniugale da parte del coniuge richiedente l’assegno è impor-tante in proporzione al risparmio realizzato dal coniuge che usufruisce della casa. (Tribunaledi Rovigo)

• Nella determinazione del quantum dell’assegno si tiene conto della fruibilità per il coniuge ri-chiedente l’assegno della casa coniugale, specialmente se il coniuge che ha lasciato l’abitazio-ne non ha altri immobili di cui poter usufruire e se è pertanto obbligato a pagare un canonedi locazione. (Presidente Tribunale di Verona)

8) In quale misura incide sulla determinazione dell’assegno, la sussistenza, in capo al coniuge onera-to, dell’obbligo di rimborso per intero o pro quota della rata del mutuo gravante sull’immobile co-niugale in cui è rimasto ad abitare l’altro coniuge?• Se ne tiene indubbiamente conto e anzi, nella motivazione dell’ordinanza presidenziale, spes-

so viene espressamente indicato quale criterio di quantificazione dell’assegno. Nel caso in cuiil coniuge non assegnatario dell’abitazione interrompa il pagamento della propria quota partedelle rate di mutuo, si potrà chiedere un’elevazione dell’assegno di mantenimento, di modoche l’importo determinato possa risultare comprensivo anche della rata di mutuo mensile.(Presidente Tribunale di Padova)

• La sussistenza di un obbligo di rimborso del mutuo gravante sulla casa coniugale in capo la co-niuge onerato incide in misura pari ad un ordinario canone di locazione. (Tribunale di Rovigo)

• L’obbligo del rimborso pro quota della rata del mutuo sulla casa coniugale incide in rapportoal reddito delle parti. (Presidente Tribunale di Verona)

9) La titolarità, in capo al coniuge istante, di un patrimonio mobiliare e/o immobiliare, può rappre-sentare, e se sì in quali limiti, una circostanza ostativa al riconoscimento di un assegno di mante-nimento?• Dipende dal reddito che deriva da tali beni, in quanto, ai fini dell’esclusione del mantenimen-

to in favore dell’istante, è necessario un reddito effettivo. Se il reddito derivante da tali beni è

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limitato o inesistente, ritengo che non se debba tener conto, quantomeno in questa prima fa-se di adozione dei provvedimenti presidenziali. (Presidente Tribunale di Padova)

• La sussistenza in capo al richiedente l’assegno di un patrimonio mobiliare e/o immobiliare ri-leva se tale patrimonio produce reddito. (Tribunale di Rovigo)

• Solo nella misura in cui il patrimonio mobiliare e immobiliare sia produttivo di reddito ovve-ro in casi in cui il patrimonio sia così rilevante che anche la vendita di qualche immobile nonlo intacchi nella sostanza. (Presidente Tribunale di Verona)

10) In presenza di quali indicatori esterni i redditi risultanti dalla documentazione fiscale non rappre-sentano un parametro di riferimento della reale capacità economica delle parti?• Molto spesso capita che le dichiarazioni dei redditi siano palesemente inattendibili, specie nel

caso di imprenditori autonomi. In tali casi, ho spesso attribuito un reddito presunto, eviden-ziando l’assoluta inattendibilità della documentazione fiscale. (Presidente Tribunale di Padova)

• I redditi risultanti dalla documentazione fiscale sono presi quale indicatore del reddito se vi ècoerenza fra i redditi dichiarati e il tenore di vita goduto. (Tribunale di Rovigo)

• Gli indicatori esterni che vengono valutati come parametro di riferimento della capacità eco-nomica delle parti sono ad esempio: acquisto di immobili negli ultimi anni, tipo di autovettu-re utilizzate e numero, incidenza delle spese mensili che superano il reddito dichiarato. (Pre-sidente Tribunale di Verona)

11) In base a quali criteri vengono valutate le potenzialità dell’attività di impresa esercitata dal coniu-ge obbligato?• Avendo maturato esperienza professionale solo con riferimento ad udienze presidenziali di

separazione o divorzio, non sono in grado di rispondere a questa domanda, atteso che il re-lativo accertamento implica necessariamente un’attività istruttoria. (Presidente Tribunale diPadova)

• Ad esempio vengono valutati, in questo periodo di crisi, gli incentivi che il governo ha rico-nosciuto per alcuni tipi di aziende che evidentemente favoriscono l’attività. Si pensi ad esem-pio all’incentivo del 55% per il cambio degli infissi degli immobili che evidentemente aumen-terà il potenziale dell’attività dell’impresa. (Presidente Tribunale di Verona)

12) Quali sono i parametri di riferimento per la valutazione della redditività delle società di cui uno oentrambi i coniugi siano soci o detentori di quote di partecipazione, oltre ai bilanci aziendali?• Dipende dalla tipologia della società. Per le società di capitali è rischioso presumere la falsità

dei bilanci societari, sicché, generalmente, si tiene conto della documentazione contabile deibilanci prodotta. Nel caso, invece, di società di persone, ci sono maggiori margini di discre-zionalità nel valutare l’effettiva sussistenza reddituale. (Presidente Tribunale di Padova)

• Indice per valutare la redditività delle società è dato dal tenore di vita dei coniugi. (Tribuna-le di Rovigo)

• Si tiene conto del bilancio, del numero degli occupati, del fatturato e dei dividenti non distri-buiti, che sono chiaro sintomo di reddito che non viene attribuito al coniuge obbligato. In ognicaso la valutazione della redditività di una società viene demandata ad una consulenza tecni-ca d’ufficio. (Presidente Tribunale di Verona)

13) Che rilievo viene attribuito ai premi aziendali, ai premi di produzioni, nonché ai benefit aziendalidi cui può godere il coniuge obbligato?• Se i benefit sono regolari e costanti costituiscono reddito, l’importante è la loro continuità e in

questo caso se ne tiene conto. (Presidente Tribunale di Padova)• Tali indici rilevano in quanto si traducano in risparmi di spesa. (Tribunale di Rovigo)• I benefit e i premi aziendali vengono considerati ai fini della determinazione dell’assegno per

il coniuge obbligato, ma ovviamente in relazione al numero e alla qualità. (Presidente Tribu-nale di Verona)

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14) In che modo e con quali limiti, la particolare capienza economica della famiglia d’origine di unodei due coniugi e la sussistenza di elargizioni costanti in suo favore, può influire sulla determina-zione e quantificazione dell’assegno di mantenimento dallo stesso richiesto?• Ritengo che la capienza economica della famiglia d’origine abbia un’importanza molto ri-

dotta. Può rilevare forse in via d’urgenza, eventualmente per escludere un assegno, ma insede di sentenza occorrerà avere riguardo solo al reddito delle parti. (Presidente Tribuna-le di Padova)

• Non sussistono criteri generali, quindi viene valutato di volta in volta. (Tribunale di Rovigo)• In generale, le elargizioni costanti in favore della famiglia che si separa, effettuate dai genito-

ri dei coniugi non vengono tenute in considerazione per l’assegno di mantenimento, essendo,casomai, esperibile, un ricorso ex art. 148 c.c. (Presidente Tribunale di Verona)

15) Nel caso di esistenza di un’impresa familiare, in base a quali criteri viene valutata la partecipazio-ne del coniuge che invoca l’assegno?• Se rileva che un coniuge, benché formalmente socio al 50%, di fatto non percepisce utili, e

l’altro non prova il contrario, può essere comunque determinato un assegno in favore del ri-chiedente. (Presidente Tribunale di Padova)

• La partecipazione del coniuge all’impresa famigliare è valutata in rapporto al suo lavoro an-che casalingo. (Tribunale di Rovigo)

• In base al reddito che produce l’azienda. (Presidente Tribunale di Verona)

16) In che misura incide sulla quantificazione dell’assegno di mantenimento, il prezzo che risulti esse-re stato percepito da uno dei due coniugi dalla recente vendita di immobili di sua proprietà?• In nessuna misura, perché il patrimonio risulta inalterato. Potrebbe eventualmente rilevare in

via d’urgenza, per escludere la determinazione di un assegno in favore del richiedente, ma insede di sentenza, ritengo che non abbia alcuna rilevanza, in quanto l’entità del patrimonio ri-mane la stessa. (Presidente Tribunale di Padova)

• Il prezzo percepito da un coniuge dalla recente vendita di immobile di sua proprietà è valu-tato nella quantificazione dell’assegno se risulta produttivo di reddito. (Tribunale di Rovigo)

• In relazione a quanto incassato dalla vendita. (Presidente Tribunale di Verona)

17) L’ammontare del canone locatizio in capo al coniuge obbligato può rappresentare un indice dellasua capacità economica?• Certamente, è un indice della sua capacità economica. (Presidente Tribunale di Padova)• L’ammontare del canone locatizio in capo al coniuge obbligato rappresenta un indice della

sua capacità economica se l’ammontare di detto canone è superiore alla media. (Tribunaledi Rovigo)

• Certamente soprattutto se si tratta di un canone elevato ad esempio 2.000,00 euro mensili (Pre-sidente Tribunale di Verona)

18) Con quali criteri viene valutata la sussistenza, in capo al coniuge “forte”, dell’onere di rimborso dimolteplici finanziamenti?• La tendenza dei coniugi onerati di un assegno di mantenimento è quella di considerare il pro-

prio obbligo nei confronti del coniuge di importanza inferiore rispetto a quello del rimborsodi eventuali finanziamenti contratti, mentre dovrebbe essere il contrario. Anzi, pur di onorar-lo, i coniugi dovrebbero estinguere alcuni finanziamenti e non chiedere di ridurre l’assegno dimantenimento. Quindi, alcuna rilevanza viene data a posizioni debitorie del coniuge obbliga-to non strettamente connesse agli obblighi di mantenimento della famiglia. (Presidente Tribu-nale di Padova)

• Se i finanziamenti effettuati dal coniuge forte sono stati accesi durante la vita matrimoniale econ l’accordo del coniuge, vengono presi in considerazione ai fini dell’ammontare dell’asse-gno dovuto, se invece tali finanziamenti sono recenti cioè vicini alla domanda di separazione

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e appaiono come espedienti per abbassare l’assegno, evidentemente non se ne terrà conto.(Presidente Tribunale di Verona)

19) Rileva e in quali limiti la convivenza del coniuge richiedente l’assegno con un nuovo compagno?• Rileva, quantomeno in via urgente, per escludere l’assegno di mantenimento in favore del ri-

chiedente, purché si tratti di una convivenza stabile e l’altro convivente abbia capacità econo-mica. (Presidente Tribunale di Padova)

• La convivenza del coniuge richiedente l’assegno rileva se ha la caratteristica della stabilità cheè data ovviamente in specie se vi sono dei figli. (Tribunale di Rovigo)

• Sì, se ne tiene conto. (Presidente Tribunale di Verona)

20) Se e in quale misura rileva la costituzione, da parte del coniuge onerato dell’assegno, di una nuovafamiglia e la nascita di nuovi figli?• Rileva, indubbiamente, anche perché il coniuge che ha avuto un nuovo figlio è ugualmente

obbligato al mantenimento anche nei suoi confronti. Occorre quindi contemperare le esigen-ze della famiglia e dei figli nati dal matrimonio, con quelle dei figli naturali. (Presidente Tribu-nale di Padova)

• La nuova famiglia costituita dal coniuge onerato non può essere un alibi per sottrarsi agli ob-blighi precedenti verso la famiglia originaria, specie se si è in presenza di un coniuge econo-micamente debole. (Tribunale di Rovigo)

• Sì, si tiene conto dell’eventuale nuova famiglia ma soprattutto dei nuovi figli, ma ciò semprein relazione al reddito, per cui se il reddito è capiente è possibile che gli assegni determinatiin base alla precedente situazione vengano confermati. (Presidente Tribunale di Verona)

21) Ai fini del riconoscimento e quantificazione di un assegno di mantenimento in sede di separazio-ne, che rilievo viene dato alla durata del matrimonio?• Non ricordo di aver mai negato un assegno di mantenimento in ragione della brevità del ma-

trimonio. Quantomeno in via d’urgenza, in ogni caso, ai fini della determinazione dell’assegnodi mantenimento, non ho mai tenuto in considerazione la durata del matrimonio. (PresidenteTribunale di Padova)

• La durata del matrimonio è importante specie se si tratta di coniugi giovani o coniugi già eco-nomicamente autosufficienti. (Tribunale di Rovigo)

• La durata del matrimonio viene valutata, ma in relazione all’età, alla capacità ed esperienza la-vorativa di chi chiede l’assegno. Ad esempio in un matrimonio di breve durata in cui, la mo-glie richiedente l’assegno non abbia potuto lavorare per problemi di salute e/o di gravidanze,la breve durata del matrimonio non può essere un criterio per escludere l’assegno (Presiden-te Tribunale di Verona)

22) In quali casi le particolari ragioni della separazione incidono sulla determinazione dell’assegno infavore del coniuge richiedente?• In via d’urgenza non ne ho mai tenuto in considerazione, anche perché, diversamente, avrei an-

ticipato un giudizio in ordine all’addebito della separazione. (Presidente Tribunale di Padova)• Le ragioni della separazione possono incidere sulla determinazione dell’assegno se le violazio-

ni degli obblighi derivanti dal matrimonio hanno influito sulla capacità di produrre reddito.(Tribunale di Rovigo)

• Le ragioni della separazione vengono prese in considerazione per la determinazione dell’asse-gno ma non da sole, in relazione a tutti gli altri elementi del reddito. (Presidente Tribunale diVerona)

23) In che modo rileva la cessazione volontaria dell’attività lavorativa da parte del coniuge obbligato?• Se la cessazione dell’attività lavorativa non è giustificata e volontaria, le condizioni relative al-

l’assegno rimangono invariate. (Presidente Tribunale di Padova)

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• La cessazione volontaria dell’attività lavorativa del coniuge obbligato rileva sia per attenuarel’ammontare l’assegno sia per escluderlo. (Tribunale di Rovigo)

• La cessazione volontaria dell’attività lavorativa viene considerata se si tratta di una scelta esi-stenziale motivata. Se però chi ha effettuato tale scelta ha comunque accumulato un patrimo-nio rilevante l’assegno verrà mantenuto. (Presidente Tribunale di Verona)

24) Ritiene possibile, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, l’applicazione di siste-mi statistico-scientifici di determinazione (Mo.Cam. o altri programmi di calcolo)?• L’unica cosa che posso rispondere in merito a questa domanda, attesa la mia esperienza in

materia solo in qualità di Presidente, è che a volte ho attribuito un reddito presunto con rife-rimento ai redditi approssimativi della categoria lavorativa di appartenenza dell’onerato. (Pre-sidente Tribunale di Padova)

• Ritengo che sia un sistema utile. (Tribunale di Rovigo)• No, non li ritengo adeguati perché è molto importante durante l’udienza presidenziale cerca-

re di proporre delle soluzioni, parlandone direttamente con le parti, vedendo le loro reazionie valutando tutto il complesso della situazione. Tale situazione è estranea a metodi matemati-ci e/o statistico-scientifici. (Presidente Tribunale di Verona)

25) Nel caso in cui vi sia una disparità di reddito tra due coniugi tale per cui è la moglie ad avere unreddito superiore al marito, se e in base a quali parametri viene riconosciuto un assegno in favoredel marito? • I criteri sono identici. (Presidente Tribunale di Padova)• Si applicano gli stessi criteri indicati a favore della moglie. (Tribunale di Rovigo)• Sì certamente, utilizzando i medesimi parametri di riferimento per determinare l’assegno per

la moglie. (Presidente Tribunale di Verona)

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CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, ordinanza 17.03.2008Separazione - Assegno - Durata

In sede di provvedimenti presidenziali di separazione, il Presidente aveva riconosciuto alla moglie invia provvisoria, un assegno di mantenimento, che doveva cessare dopo un certo periodo di tempo.Il presupposto di tale temporaneo provvedimento, era dato dal fatto che la richiedente l’assegno, “no-nostante fossero trascorsi alcuni mesi dal deposito del ricorso non aveva ancora un lavoro il che face-va presumere che non aveva intenzione di cercarlo”.La moglie reclamava tale provvedimento avanti la Corte d’Appello di Venezia, la quale, revocava la fis-sazione di una scadenza temporale dell’assegno di mantenimento e aumentava il quantum dell’asse-gno nel merito argomentando che poiché l’obbligato al versamento dell’assegno era un libero profes-sionista si presumeva che le dichiarazioni dei redditi non fossero fedeli.

TRIBUNALE DI VERONA, ordinanza presidenziale, 16.12.2008 Divorzio - Assegno - Criteri - Nuova convivenza - Sussistenza

In sede di divorzio la moglie già titolare di assegno di separazione, ne chiedeva la conferma sul pre-supposto della mancanza di mezzi adeguati per mantenere un analogo tenore di vita goduto in co-stanza di matrimonio, trovandosi altresì nell’impossibilità di procurarsi i mezzi di sostentamento essen-do impegnata nell’accudimento di una figlia in tenera età.Il marito si costituiva eccependo l’infondatezza della domanda di assegno di divorzio perché la mo-glie aveva iniziato una stabile convivenza.Il Tribunale ha, invece, accolto la domanda di assegno divorzile affermando che la richiedente era pri-va di redditi e non poteva procurarseli e attribuendo rilevanza alla nuova convivenza solo in relazio-ne alla quantificazione dell’assegno.L’ammontare dell’assegno di divorzio, subiva, quindi, una decurtazione rispetto all’assegno di separa-zione, pari all’ammontare del canone di locazione, sul presupposto che la signora “condivida”, quan-to meno, con il convivente more uxorio, le spese di gestione del nuovo nucleo familiare, ivi compre-se quelle relative al canone di locazione dell’abitazione.

TRIBUNALE DI VERONA, ordinanza presidenziale, 12.12.2008 Divorzio - Assegno - Criteri

In sede di separazione le parti avevano trasformato la separazione da giudiziale in consensuale rego-lando gli assetti economici delle parti in maniera pressoché definitiva e prevedendo la corresponsio-ne di un assegno consistente sotto forma di “una tantum” e ad integrazione di tale elargizione inun’unica soluzione veniva altresì stabilito che il marito versasse alla moglie un assegno mensile persoli 3 anni e cioè fino alla data in cui si sarebbe potuto chiedere il divorzio.In sede di udienza presidenziale di divorzio il marito faceva rilevare che i rapporti tra le parti eranogià stati regolati nella separazione ed infatti la moglie aveva ricevuto un consistente contributo econo-mico con il quale si era comperata anche una casa, che egli per oltre tre anni dalla separazione ave-va anche corrisposto un assegno integrativo, che il matrimonio era durato solo due anni e che la mo-glie non aveva contribuito al patrimonio della coppia poiché essi si erano sposati in tarda età ed ave-vano già costituito propri patrimoni al di fuori del matrimonio. Lamentava inoltre il marito di atteggia-menti persecutori da parte della ex moglie, tanto che la stessa era anche stata condanna per tali fattiin sede penale.Ciò nonostante il Tribunale di Verona in sede di provvedimenti provvisori pur riconoscendo che il ma-trimonio ha avuto una durata di soli due anni, motivando però che la ex moglie aveva “scarsissimimezzi per sopravvivere”, determinava comunque un assegno pari ad euro 200,00 mensili.

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VENETO.RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA RELATIVA ALL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO

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TRIBUNALE DI VERONA, ordinanza presidenziale, 22.02.2008 Separazione - Assegno per il coniuge - Criteri

In sede di separazione giudiziale la moglie affermava che il marito, pur essendo dipendente comuna-le e percependo un reddito mensile di circa 1.500,00 euro, era proprietario di un cospicuo patrimo-nio immobiliare che aveva venduto negli ultimi due anni (due immobili) nonché di un consistente sal-do di conto corrente (circa 100.000,00 euro).Il marito affermava di aver ricomprato un immobile, su cui gravava un mutuo e un’auto, con ciò for-nendo una spiegazione su come era stato impiegato il capitale ricavato dalla vendita degli immobili.Il Presidente del Tribunale sul presupposto che la moglie era casalinga fissava in via provvisoria uncontributo per la stessa di euro 200,00, oltre ad un consistente contributo per i figli pari ad euro 800,00mensili ed il 50% delle spese straordinarie.

TRIBUNALE DI VERONA, ordinanza G.I., 06.11.2006 Separazione - Assegno per il coniuge - Modifica provvedimenti presidenziali in corso di causa - Ctu

All’udienza presidenziale, il Giudice non riconosceva alcun assegno in favore della moglie rinviandoalla fase istruttoria tale provvedimento.In sede istruttoria veniva espletata una perizia sul reddito e sul patrimonio delle parti che accertavaun reddito da dipendente della moglie, non dichiarato all’udienza tenutasi davanti al Presidente delTribunale, oltre alla partecipazione all’impresa agricola della propria famiglia.Il Giudice Istruttore quindi rigettava la richiesta di assegno avanzata dalla stessa, ritenendo che fosseeconomicamente autosufficiente.

GIURISPRUDENZA TRIBUNALE DI PADOVA - Casistica

Provvedimento n. 1) - Separazione giudiziale di due coniugi con tre figli minori.

La moglie, casalinga, agiva in giudizio chiedendo l’affido esclusivo dei figli, l’assegnazione della casaconiugale in comproprietà tra i coniugi e la determinazione in capo al marito di un assegno di man-tenimento per i figli e per sé, atteso il sensibile divario tra le condizioni economiche dei due coniugi.Il marito, agente di commercio, in particolare, contestava la quantificazione dell’assegno di manteni-mento in favore dei figli prospettata dalla moglie e la debenza stessa di un contributo per la consorte.Il provvedimento presidenziale ha ancorato l’importo dell’assegno di mantenimento in favore dei figlie della moglie al godimento gratuito da parte loro dell’abitazione coniugale in comproprietà con il ma-rito, alla sensibile disparità reddituale tra i coniugi, atteso che la moglie risultava godere di un unicoreddito percepito dalla locazione di un negozio di sua proprietà, alla redditività “davvero apprezzabi-le” del marito, agente di commercio che risultava godere dell’intero reddito dell’impresa familiare co-stituita con la moglie la quale, di fatto, non percepiva alcunché, nonché al tenore di vita goduto dal-la famiglia in costanza di matrimonio.

Provvedimento n. 2) - Separazione giudiziale relativa a due coniugi di giovane età senza figli, con-titolari del diritto di abitazione della casa coniugale di proprietà della madre del marito, con onere acarico di entrambi del rimborso del mutuo contratto per la ristrutturazione dell’abitazione.

Il marito invocava l’assegnazione della casa coniugale e nessuna statuizione patrimoniale tra i coniu-gi, attesa l’autosufficienza economica di entrambi. La moglie eccepiva l’inammissibilità della domanda di assegnazione della casa coniugale e chiedevala determinazione di un assegno in suo favore, attesa la sproporzione esistente tra i redditi dei dueconiugi.Il provvedimento presidenziale ha confermato l’inammissibilità della domanda di assegnazione dellacasa coniugale in assenza di figli minori o maggiori non autosufficienti conviventi, ed ha ancorato laquantificazione dell’importo di mantenimento in favore della moglie, oltre che alla disparità dei red-diti tra i coniugi, al godimento gratuito, da parte sua, dell’abitazione coniugale.

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Provvedimento n. 3) - Separazione giudiziale di due coniugi con una figlia minore ed un figlio mag-giorenne prossimo all’inizio di un’attività lavorativa retribuita.

La moglie agiva in giudizio chiedendo l’affido esclusivo della figlia minore, l’assegnazione della casaconiugale in comproprietà tra i coniugi, onerati ciascuno al 50% del rimborso del relativo mutuo, e ladeterminazione di un assegno di mantenimento in favore dei due figli, posto che anche il maggiorerisultava non economicamente autosufficiente. Attesa la parità dei redditi lavorativi tra i coniugi, la mo-glie nulla chiedeva per sé a titolo di mantenimento.Il marito chiedeva l’affido condiviso della figlia minore, e si rendeva disponibile a concorrere diretta-mente al suo mantenimento, rilevando che il figlio maggiore già svolgeva attività lavorativa.Il provvedimento presidenziale ha ancorato l’importo dell’assegno di mantenimento in favore della fi-glia minore, al godimento gratuito da parte della moglie e dei figli, dell’abitazione coniugale, all’one-re gravante su entrambi i coniugi di rimborso della rata di mutuo mensile gravante sulla casa familia-re ed alla necessità del marito di reperire una nuova abitazione in cui recarsi a vivere.

Provvedimento n. 4) - Separazione giudiziale di due coniugi con due figlie minori di 11 e 7 anni.

La moglie, medico cardiologo, agiva in giudizio chiedendo l’affido condiviso delle figlie, l’assegnazio-ne della casa coniugale in comproprietà tra i coniugi, onerati ciascuno al 50% del rimborso del relati-vo mutuo, e la determinazione di un assegno di mantenimento in favore delle due minori. Attesa lapropria autosufficienza economica, la moglie nulla chiedeva per sé a titolo di mantenimento.Il marito, medico estetico, si costituiva in giudizio chiedendo l’affido esclusivo delle figlie per presun-ta inidoneità della madre, l’assegnazione della casa coniugale, la determinazione di un assegno in fa-vore delle figlie e per sé, attesa l’asserita sproporzione della situazione economica dei coniugi risul-tante dalle dichiarazioni dei redditi.Il provvedimento presidenziale, quanto alla determinazione dell’assegno di mantenimento, evidenzia-va che i redditi del marito non erano esattamente determinabili, con ciò non riconoscendo valore al-le dichiarazioni fiscali dallo stesso presentate, e che comunque poteva fondatamente presumersi cheEgli avesse una capacità economica apprezzabile. Venivano inoltre considerati l’uso gratuito dell’abi-tazione coniugale da parte di moglie e figlie, l’obbligo a carico di entrambi i coniugi di rimborso men-sile della rata di mutuo, e l’uguale onere, in capo alla madre, di contribuzione in favore delle figlie.

Provvedimento n. 5)

Il provvedimento n. 4) veniva reclamato dal marito in Corte d’Appello.Il marito, censurando l’ordinanza impugnata, reiterava le domande formulate in primo grado soprat-tutto alla luce di argomentazioni e documentazione successiva all’udienza presidenziale.La moglie si costituiva invocando l’inammissibilità dell’avverso reclamo in quanto fondato esclusiva-mente su circostanze sopravvenute all’udienza presidenziale e comunque, nel merito, chiedeva la con-ferma del provvedimento impugnato.La Corte riteneva, in particolare, di ridurre l’assegno di mantenimento paterno ritenendo l’importo de-terminato in primo grado “obiettivamente eccessivo in relazione alle necessità ordinarie delle bambinee tenuto conto che identico contributo deve ritenersi gravare sulla madre”.

Provvedimento n. 6) - Separazione giudiziale promossa dalla moglie, tra due coniugi con due figlidi cui uno minore ed uno maggiore di età ma non economicamente autosufficiente.

La moglie, casalinga, chiedeva l’assegnazione dell’abitazione coniugale, l’affido condiviso del figlio mi-nore e la determinazione di un assegno di mantenimento per i figli e per sé, atteso che la stessa si erasempre e solo dedicata alla cura della casa e dei figli.Si costituiva il marito, agente di commercio e proprietario di immobili, chiedendo l’assegnazione proquota dell’immobile coniugale, in una cui porzione separata ed indipendente egli si era di fatto daqualche tempo ritirato a vivere.Egli inoltre contestava le quantificazioni proposte dalla moglie a titolo di assegno di mantenimento,ritenendo di non dovere alcunché a tale titolo alla moglie.

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L’ordinanza presidenziale, nella determinazione dell’assegno di mantenimento in favore della mogliee dei figli, teneva conto delle dichiarazioni reddituali, della titolarità da parte del marito di altri immo-bili, nonché della contrazione da parte sua di due mutui, indice di buona redditività.

Provvedimento n. 7)

Il provvedimento n. 6) veniva reclamato dal marito in Corte d’Appello.Il marito, censurando l’ordinanza impugnata, reiterava le domande formulate in primo grado.La moglie riproponeva, di fatto, le argomentazioni già dedotte in primo grado.L’ordinanza presidenziale veniva confermata sulla base delle stesse circostanze esposte dal Presiden-te Delegato in primo grado.

Provvedimento n. 8) - Separazione giudiziale di due coniugi con una bimba in tenera età.

La moglie agiva in giudizio chiedendo l’affido esclusivo della minore, ovvero il regime condiviso, altempo da poco divenuto legge, l’assegnazione della casa coniugale di proprietà del marito e la deter-minazione di un assegno di mantenimento per la bimba e per sé, atteso il modestissimo e saltuarioreddito percepito come cameriera.Il marito chiedeva l’affido condiviso della figlia, rilevava le proprie difficoltà economiche, e contesta-va il diritto della moglie ad un assegno di mantenimento per sé.All’udienza presidenziale il marito contestava l’idoneità genitoriale della madre, sicché venivano inca-ricati i Servizi sociali di relazionare al Tribunale in ordine al migliore regime di affido e visita della mi-nore.All’esito, il Presidente statuiva l’affido condiviso della figlia ad entrambi i genitori con collocazione abi-tativa presso la madre, l’assegnazione in favore di quest’ultima dell’abitazione coniugale, il cui valoreveniva assunto a criterio di determinazione dell’assegno di mantenimento a carico del padre.

Provvedimento n. 9) - Ordinanza resa all’esito del reclamo di un provvedimento di primo grado concui era stato quantificato un assegno periodico a carico del padre per il mantenimento dei tre figli mi-nori naturali.

L’ordinanza risulta significativa, laddove fa riferimento al valore delle dichiarazioni dei redditi.Nella specie il marito svolgeva l’attività di avvocato e la moglie era figlia di una nota famiglia di im-prenditori padovani, e le rispettive dichiarazioni dei redditi sembravano non rappresentare la reale si-tuazione economica di entrambi.

Provvedimento n. 10) - Separazione giudiziale relativa a due coniugi, separati di fatto da qualcheanno, con una figlia maggiore di età non più convivente né con la madre né con il padre, in cui lamoglie svolgente attività di lavoro part time, era rimasta ad abitare nella casa coniugale di proprietàdel marito, della suocera e della cognata.

Il marito invocava l’assegnazione della casa coniugale qualora la figlia avesse deciso di rimanere adabitare con lui, e nessuna statuizione patrimoniale in favore della moglie, attesa la sussistenza in ca-po alla consorte di una capacità lavorativa specifica. La moglie eccepiva l’inammissibilità della domanda di assegnazione della casa coniugale e chiedevala determinazione di un assegno in suo favore, attesa la sproporzione esistente tra i redditi dei dueconiugi.Il provvedimento presidenziale ha confermato l’inammissibilità della domanda di assegnazione dellacasa coniugale in assenza di figli minori o maggiori non autosufficienti conviventi ed ha ancorato laquantificazione dell’importo di mantenimento in favore della moglie, al godimento gratuito, da partesua, dell’abitazione coniugale.

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DALLE REGIONI

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AbruzzoMaria Carla Serafini (presidente)Federica Di Benedetto

CalabriaStefania Mendicino (presidente)Gianfranco Barbieri

CampaniaRosanna Dama (presidente)Maria Giuseppina ChefErminia Del Cogliano

Emilia Romagna Ada Valeria Fabj (presidente)Daniela AbramLorenza BondIsabella Trebbi Giordani

LazioMarina Marino (presidente)Nicoletta MorandiCostanza PomariciGiulia Sarnari

LiguriaAlberto Figone (presidente)Enrico BetCristina BorileIlaria FelicettiElisabetta FerreroAnna Grazia GuaitaLiana Maggiano

LombardiaMilena Pini (presidente)Franca AlessioMaurizio BanderaMarisa BedottiCinzia CalabreseMaria Tullia CastelliCinzia ColomboAntonella De PeriMirella Quattrone

MarcheAnna Pelamatti Cagnoni (presidente)Marina Guzzini

PiemonteAntonina Scolaro (presidente)Antonio DionisioMaria Cristina OttavisMarina Torresini

PugliaAda Marseglia (presidente)Giambattista Mola

SardegnaLuisella Fanni (presidente)Vittorio CampusAnna MarinucciFrancesco Pisano

SiciliaRemigia D’Agata (presidente)Antonio LeonardiCaterina MirtoCorrado Garofalo

ToscanaManuela Cecchi (presidente)Alfonsa BriniMarina LupoCarla MarcucciGigliola Montano

UmbriaMaria Rita Tiburzi (presidente)Anita Giuseppina Pia GrossiAnna Maria Pacciarini

VenetoAlessandro Sartori (presidente)Roberta BettioloPaola CaccoLorenza CraccoGabriella de StrobelCaterina EvangelistiRita MondoloDamiana Stocco

AIAF - Organi statutari

Presidente: Marina Marino (Roma)

Giunta Esecutiva: Manuela Cecchi (Firenze), Remigia D’Agata (Catania), Luisella Fanni (Cagliari), Alberto Figone (Genova), Milena Pini (Milano), Alessandro Sartori (Verona)

Comitato Direttivo Nazionalecomposto “di diritto dai Presidenti delle Associazioni Regionali/Distrettuali e da un rappresentante per ciascuna regione, nonché da un rappresentante per Regione ogni 40 iscritti, compresi i soci del Distretto,ed un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a venti”.

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