un nuovo modello di consumo, il punto vendita per il consumatore consapevole

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Sono passati 4000 anni da quando nasceva il baratto: dall'economia di sussistenza si è passati alla prima forma di scambio. Con la nascita della moneta, la creazione di reti commerciali, le innovazioni tecnologiche e la crescita economica, si è arrivati oggi ad avere un modello di consumo massificato e globalizzato. Se fin dalla nascita dell’uomo mangiare era un suo bisogno primario e i modelli di consumo si evolvevano di pari passo con le nuove esigenze alimentari, oggi si è arrivati ad un punto in cui non è più l’uomo a scegliere e a condizionare il mercato, ma viceversa. Oggi alimentarsi è diventato un atto economico, dove vige la legge del prezzo e della marca; il consumatore contemporaneo ha delegato tutta la sua conoscenza alla GDO e ai media. Non è più in grado di utilizzare i propri sensi per valutare la qualità di un cibo se non attraverso la data di scadenza, non conosce la stagionalità di frutta e verdura, non sa conservare se non ha un frigorifero.

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. Indice

0. INTRODUZIONE verso un nuovo modello di consumo

1. STORIA l’evoluzione dei modelli di consumo 1.1. LE ORIGINI DEL MERCATO 1.2. DALL’AGORA’ GRECA AL FORUM ROMANO 1.3. LE FIERE 1.4. LE REALTA’ MERCANTILI NEL RINASCIMENTO 1.5. IL MERCATO DEI MERCANTI 1.6. IL MERCATO MODERNO 1.7. I MERCATI RIONALI DI ROMA 1.8. I FARMER’S MARKET DEL VENTESIMO SECOLO 1.9. LE RICADUTE SUL MERCATO DEL CIBO 1.10. CENNI STORICI SULLA GDO 1.11. IL DISCOUNT NON ALIMENTARE: L’OUTLET 1.12. LA NASCITA DELLA VENDITA A DISTANZA 1.13. IL CONSUMO VELOCE: IL FAST FOOD 1.14. UNA FORMA “SPECIALE” DI GDO: EATALY 1.15. LINEA DEL TEMPO DEI MODELLI DI CONSUMO 1.16. CARATTERISTICHE DEI MODELLI DI CONSUMO

2. AD OGGI i modelli di consumo attuali 2.1. FILIERA 2.2. CASI STUDIO 2.2.1. Grande Distribuzione Organizzata (GDO) 2.2.2. Monomarca e Franchising 2.2.3. Vendita di prossimità (food) 2.2.4. Vendita di prossimità (non food) 2.2.5. Vendita diretta (food) 2.2.6. Vendita diretta (non food)

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2.2.7. Vendita diretta a distanza 2.2.8. Sfuso 2.2.9. Scambio Diretto 2.2.10. Scambio diretto di servizi 2.2.11. Scambio diretto a distanza 2.2.12. GAS

3. PROBLEMATICHE le questioni legate allo stato attuale

3.1. IL CONTESTO AGRICOLO 3.2. IL CIBO 3.3. STILI DI VITA 3.4. FARE LA SPESA 3.5. L’ ALIMENTAZIONE

4. VALORI i principi per un nuovo modello di consumo

4.1. BUONO PULITO E GIUSTO 4.2. PRODOTTO vs UOMO 4.3. VALORI PER IL NUOVO MODELLO DI CONSUMO 4.4. UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO

5. CONSUMATORE l’inconsapevole e il consapevole

5.1. IL CONSUMATORE INCONSAPEVOLE 5.2. VERSO IL CONSUMO CONSAPEVOLE 5.3. IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE 5.4. SCENARI

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6. QUALITA’ il punto vendita per il consumatore consapevole

6.1. I BUONI PROPOSITI DEI PUNTI VENDITA 6.2. CARATTERISTICHE 6.3. IL PUNTO VENDITA PER IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE 6.3.1. IMPARARE 6.3.2. TOCCARE e ANNUSARE 6.3.3. EDUCARE e ASSAGGIARE 6.3.4. CONFRONTARE 6.3.5. SOCIALIZZARE 6.3.6. COMUNICARE 6.3.7. GUARDARE 6.4. IL CASO CRAI

0. CONCLUSIONE un nuovo modello di consumo

0. ALLEGATI ricerche e approfondimenti 1. DATA DI SCADENZA ED ETICHETTATURA 2. SENSORIALITA’ E GUSTO 3. LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI 4. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: I CEREALI 5. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: LA FRUTTA 6. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: LA VERDURA 7. QUESTIONARI SUI PUNTI DI VENDITA

0. FONTI bibliografia e sitografia

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0. INTRODUZIONEverso un nuovo modello di consumo

Sono passati 4000 anni da quando nasceva il baratto: dall’economia di sussistenza, ovvero la capacità delle persone di un luogo di vi-

vere delle proprie risorse, si è passati alla prima forma di scambio. Con la nascita della moneta, la creazione di reti commer-ciali, l’espansione dei mercati verso nuovi territori, le innovazioni tecnologiche e la crescita economica, si è arrivati oggi ad avere un modello di consumo massificato e globalizzato.Se fin dalla nascita dell’uomo mangiare era un suo bisogno primario e i modelli di consumo si evolvevano di pari passo con le nuove esigenze alimentari, oggi si è ar-rivati ad un punto in cui non è più l’uomo a scegliere e a condizionare il mercato, ma viceversa.

Oggi, “alimentarsi” è diventato un puro atto economico, dove vige la legge del prezzo e della marca; il consumatore contemporaneo ha delegato tutta la sua conoscenza alla grande distribuzione or-ganizzata (GDO) e ai media. Non è più in grado di utilizzare i propri sensi per valu-tare la qualità di un cibo se non attraverso la data di scadenza, non conosce la sta-gionalità di frutta e verdura, non si chiede se i prodotti siano locali o se provengano da oltreoceano, non sa conservare se non possiede un frigorifero.

La sua perdita di consapevolezza ha per-messo al consumismo del mondo globa-

lizzato di provocare una serie di ripercus-sioni su scala mondiale. Oltre al sistema distributivo che implica una serie di mo-vimentazioni molto costose sia a livello economico, ma soprattutto ambientale, coltivazioni intensive, uso di pesticidi, di biodiversità e delocalizzazione delle col-ture sono solo alcuni degli aspetti dovuti ai processi di produzione industrializzata.

L’analisi e gli studi compiuti sulla base degli attuali modelli di consumo hanno permesso di considerare criticamente gli aspetti positivi e negativi legati al tema del consumo e di connetterli tra loro per capire come il modello stesso sia incen-trato sul prodotto o sull’uomo. La ricerca ha portato alla definizione di un nuovo modello di consumo alimentare volto a educare il consumatore su tematiche le-gate alla sostenibilità e all’alimentazione, ad attribuire un valore fondamentale alla vita che partendo dall’alimento si allarga ad un sistema più ampio dove vengono inclusi abitudini e stili di vita, riportando l’alimentazione al suo aspetto originario: non più una merce, ma un legante fonda-mentale tra le sfere biologica, culturale e sociale.

I valori emersi dal nuovo modello di con-sumo hanno evidenziato come potenziale soggetto il consumatore consapevole: colui che cerca di riflettere i propri prin-cipi di vita nelle sue scelte d’acquisto. Lo scenario che si delinea rappresenta le

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0. INTRODUZIONE - verso un nuovo modello di consumo 8

esigenze del consumatore consapevole e pone le basi per definire le caratteristiche riguardanti le tipologie di prodotto e la modalità di acquisto, nonché il rapporto con il personale che il nuovo punto di ven-dita potrà avere.

Le linee guida portano ad un cambia-mento radicale: si accorciano le filiere av-vicinando il luogo di consumo al luogo di acquisto, di vendita e di produzione. Il consumatore può scegliere le quantità di tutti i prodotti da acquistare riducendo gli sprechi sia alimentari che di packaging.La comunicazione si rivela fondamentale per dare informazioni utili sulla provenien-za e qualità dei cibi, ma anche sui valori nutrizionali fondamentali per una dieta equilibrata. Il punto di vendita si trasforma in un luogo di aggregazione sociale, dove potersi scambiare informazioni, saperi e conoscenza.

Un nuovo modello di consumo nel quale il consumatore non si trova più di fronte al prodotto come atto economico, ma al cibo come atto agricolo.

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1. STORIAl’evoluzione dei modelli di consumo

Fin dai tempi in cui l’uomo imparò a comunicare si rese necessario un sistema economico di supporto: partendo dai piccoli gruppi primi-

tivi di nomadi in cerca di cibo per il pro-prio sostentamento, all’interno dei quali si attuavano già forme di scambio, fino a quando l’uomo diventò stanziale. Infatti, man mano che la terra si popolava, il tra-sferirsi di continuo alla ricerca di risorse non era più sufficiente in quanto qualcu-no era già passato prima di loro. L’uomo dovette quindi cambiare strategia per sopravvivere e dovette trovare un modo per avere risorse senza doversi spostare di continuo.

Questo è solo l’inizio della storia che ha portato alla nascita e all’evoluzione del mercato e dei modelli di consumo at-tuali. Una storia che per essere compresa va letta attraverso i cambiamenti storici, culturali, tecnologici, artistici e architet-tonici, …tutte variabili connesse, relazio-nate e sistematicamente influenzate l’una dall’altra. Ognuno di questi eventi e va-riabili ha permesso di arrivare, attraverso numerose trasformazioni, fino a noi senza cancellare le tracce del passato ma diversa-mente lasciando le basi per poter miglio-rare lo scenario del mercato attuale.

1.1. LE ORIGINI DEL MERCATO

Mercati e fiere sono fin dalle origini il luogo fisico deputato per eccellenza allo scam-bio di prodotti, servizi, informazioni, rap-porti sociali. Da millenni sono l’occasione della contaminazione tra ambienti di-stanti e rappresentano un formidabile col-lante sociale che ha permesso alle diverse comunità di apprendere e progettare la propria permanenza in un dato territo-rio, spesso inospitale, di ribadire confini e stabilire legami. Da sempre il mercato è il luogo dove si producono le innovazioni alimentari, gli incontri con le spezie e con i nuovi prodotti della terra, mutamenti che lo scambio porta insito e che il mer-cato permette di governare e contenere entro precisi limiti fisici di tempo e spazio; è per questo che da sempre lo spazio che ogni comunità ha destinato a queste at-tività è ben definito, rimarcato nei confini e minuziosamente codificato per utilizzo, tempi, spazi e accesso. Sumeri e Babilonesi già 4000 anni fa rego-lavano un complesso sistema di scambi con gli antenati dei nostri assegni, lettere di credito, contratti. Nel Codice promulga-to da Hammurabi1, che regnò in Babilonia

1 Il Codice di Hammurabi è una fra le più anti-che raccolte di leggi conosciute nella storia dell’umanità, stilato durante il regno del re babilonese Hammurabi . Il corpus legale è suddiviso in capitoli che riguardano varie categorie sociali e di reati, e abbraccia in pratica tutte le possibili situazioni dell’umano convivere del tempo, dai rapporti familiari a quelli commerciali ed economici, dall’edilizia all’amministrazione pubblica e della giusti-zia.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 10

dal 1792 al 1750 a.C., il termine mercante veniva usato in relazione a diversi tipi di at-tività commerciale e precise leggi discipli-navano le operazioni di credito e scambio fra mercanti, agenti di viaggio e semplici cittadini. Le fonti letterarie e figurative de-scrivono un mercato alle porte della città, composto di bancarelle ambulanti, ba-racche e posteggi, mentre l’attività ban-caria veniva svolta nei templi. Sparse nel tessuto cittadino si trovavano botteghe artigianali, a volte raggrup-pate secondo l’affinità delle materie trattate in veri e propri mercati, in parte coperti e simili agli odierni suk mediori-entali. Ed ancora nel nono secolo a.C., a Samaria in Israele, erano proprio i com-mercianti di Damasco a gestire le husoth, quartieri commerciali formati da una serie di botteghe.

In tutto il mondo islamico è da sempre il bazar di origine persiana (da baha-char, che significava “il posto dei prezzi”), in arabo suk, a riunire le funzioni del grande mercato e del negozio. Un’associazione

di negozi, laboratori artigianali e servizi a essi dedicati, rigorosamente raggrup-pati secondo l’affinità merceologica (fab-bri, tintori, sarti, tornitori, ecc.), collegati fra loro per mezzo di vie e slarghi coperti da tende, stuoie, cannicci, tetti in legno o muratura e illuminati da lucernari, occupa di solito un intero quartiere della città, non di rado a ridosso dei muri esterni delle moschee a testimonianza di un commer-cio che per tradizione veniva spesso eser-citato a profitto di ordini religiosi. In alcuni casi le botteghe si dispongono su due piani o sono dotate di un retrobot-tega o magazzino, a volte all’esterno è vi-sibile una panchina di muratura destinata alle interminabili contrattazioni del costu-me orientale, frequentemente le strette corsie di passaggio sono ingombrate dall’esposizione delle merci. Il mercante che porta le merci in città è una figura di spicco perché spesso è depositario delle ultime novità e per ragioni di sicurezza non viaggia quasi mai da solo, cercando alloggio e rifugio per la notte presso i caravanserragli che si trovano a distanze

Suk arabo ai giorni d’oggi.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 11

regolari in tutto il Medioriente. Tra i bazar più fastosi ricordiamo quello persiano di Isfahan, dalle coperture a cupola e a volte riccamente decorate e dorate, e quello di Costantinopoli fatto costruire in legno nel 1462, poi ricostruito in muratura nel 1701 e in seguito ampliato da un secondo mercato, fino a coprire at-tualmente un’area di 200.000 m2, servita da 60 strade interne, oltre 4.000 negozi, moschee, banche, centrali di polizia, risto-ranti e laboratori artigianali.

Mongoli e Persiani portarono il bazar an-che in India, dove ancora oggi i coloratis-simi e secolari mercati ospitano merci di tutti tipi: gioielli e pietre semipreziose, oro e argento, antichità, libri, tessuti, spezie, prodotti ortofrutticoli, utensili. Modeste baracche e banchi ambulanti caratterizzano il mercato della Cina antica, mentre i negozi, esternamente decorati con ricchi intagli in legno dalle sgargianti laccature, fino a quasi il tutto il secolo XIX si allineano lungo le arterie più battute e più adatte alla sosta davanti alla esposi-zione delle merci, seguendo quella sorta di distribuzione corporativa tipica del Me-dioevo con quartieri specializzati nei vari generi di botteghe.

1.2. DALL’AGORA’ GRECA AL FORUMROMANO

Fin dalle origini in Grecia il mercato si confonde con la piazza, l’agorà, pre-sentandosi come un assembramento scoperto di venditori formatosi sponta-neamente nel centro dell’accampamento, dell’agglomerato di capanne o di abitacoli o del punto di incontro delle poche strade

del villaggio arcaico. Centro di tutta la vita cittadina, inizial-mente l’agorà è solo una piazza circondata da edifici vari e variamente disposti senza una connessione urbanistica rigorosa, ma nel tempo assume una precisa definizione architettonica. Ai rivenditori sono riservati alcuni spazi fissi, che traggono il nome dalle merci vendute (le pentole, i formaggi freschi, ecc.): i più modesti sono sistemati in baracche provvisorie, i banchieri sie-dono invece davanti ai loro banchi carichi di monete, di pegni e di registri, mentre profumieri, barbieri e medici dispongono di vere e proprie botteghe negli edifici cir-costanti. Nella folla vociante, variopinta e indaffarata si aggirano i magistrati incari-cati di verificare la qualità delle merci e controllare pesi e misure.

E’ comunque già evidente l’ articolazione funzionale in settori diversi, che si protrar-rà fino alle città occidentali medioevali e rinascimentali. L’agorà di Priene si svilup-pa, per esempio, in due piazze rettango-lari contigue, che si aprono entrambe sulla via che le unisce: la maggiore, circondata da portici continui, destinata al mercato generico, la minore, delimitata da bot-teghe, riservata al mercato del pesce e della carne. Qui si trovano, inoltre, le più antiche botteghe in muratura, che pro-babilmente già prima del IV secolo aveva-no rimpiazzato le più rudimentali coper-ture mobili costruite con giunchi e tela. L’esistenza di termini specifici (macelleria, mescita calda, libreria, ...), atti ad illustrare il genere e la destinazione di queste strut-ture, testimoniano l’ampia gamma di spe-cializzazione già esistente all’epoca.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 12

Anche nel mondo romano all’inizio il mer-cato si identifica con la piazza, il forum. A Roma con la graduale trasformazione del Foro in centro politico, le botteghe vengono sostituite dai nuovi edifici mo-numentali e spostate in vari spazi della città specializzati: il forum vinarium, il fo-rum piscarium, il forum olitorium (degli er-baggi), il forum suarium (della carne suina), il forum delle ghiottonerie, dei cibi delicati, delle primizie, e così via. L’idea del merca-to come edificio appositamente costruito per concentrare tutti i mercati cittadini (il

macellum, termine passato poi ad indicare il mattatoio) è da ritenersi propriamente romana e risale al II secolo a.C. I più antichi sono di tipo quadriportico rettangolare, sotto il quale si allineano le tabernae (probabilmente dal termine ta-bula, cioè tavolo, banco di vendita) e con una piazza interna scoperta in mezzo alla quale sorge un’ara sacrificale o anche una semplice fontana. Le tabernae, che nei mercati rionali si orga-nizzano in forma associata mentre lungo le vie, al pianterreno delle case, hanno vita indipendente, sono di solito composte di un piccolo locale e un ammezzato supe-riore al quale si accede per una scala di legno, hanno un banco in legno o in mu-ratura affacciato all’esterno, fornito di spe-ciali gradini per l’esposizione delle merci e, nel caso delle cauponae (osterie) e dei thermopolii (mescite di bevande calde), anche di orci e fornelli murati. L’ambiente interno è dotato di mensole lignee e ar-madi, a volte finemente lavorati e decorati con finiture di bronzo. Gli stipiti esterni sono spesso adorni di pitture allusive, più raramente di rilievi (gli insigna).

Di tutt’altro tipo erano i mercati Traianei, costruiti tra il 100 e il 112 d.C. sulle pendici del Quirinale, caratterizzati dal sapiente uso di una grande esedra, archi laterizi e volte di conglomerato per superare i problemi posti dalla presenza di un note-volissimo numero di botteghe, ambulacri e ambienti diversi (perfino una basilica) in uno spazio relativamente ristretto e per di più scosceso. Sei erano i piani su cui si svi-luppava, con 150 tra uffici e negozi di vario genere dove si vendeva un po’ di tutto: fiori, frutta e verdura, olio, vino, grano, Rovine di un’antica agorà greca.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 13

pesce conservato vivo in vasche d’acqua dolce o di mare, pepe, cardamomo e vale-riana dell’India, cumino dall’Etiopia, zen-zero dall’Arabia, …

L’Urbe è di fatto un unico grande merca-to, dove transitano i prodotti migliori pro-venienti dalle popolazioni assoggettate e le merci che affluiscono dalle strade che vi convergono da tutta Italia e dai porti che la servono. Se nei primi secoli agricoltori e allevatori arrivavano in città per vende-re direttamente la loro mercanzia, nella Roma imperiale più di 150 corporazioni autonome, veri e propri trust economici, già gestiscono la catena dei passaggi dal produttore al grossista al dettagliante.Sono pochi, e tra questi spiccano gli orti-coltori e i pescivendoli, i mercanti contem-poraneamente produttori e rivenditori. I mercanti, che si spostano sempre in caro-vana con altri colleghi seguendo i propri depositi lungo le vie imperiali, rivestono inoltre un importate ruolo sociale fun-gendo anche da corrieri per le notizie più importanti.

Grano, olio, vino, spezie, sono conservati negli innumerevoli granai e stoccaggi flu-viali (horrea), magazzini di diversa dimen-sione sparsi in città e in periferia. I mercati all’aperto, tenuti nelle grandi piazze circondate da portici, e quelli al co-perto, brulicano di pedoni, venditori am-bulanti, lettighe, vetture a cavallo e carri trainati dai buoi, in un via vai caotico e va-riopinto e un vociare continuo amplificato dalle grida di chi vanta le proprio merci e dai rumori degli zoccoli che martellano il terreno.

1.3. LE FIERE

Durante l’alto Medioevo, con l’economia feudale l’istituzione del mercato sembrò temporaneamente tramontare, per rina-scere intorno al XIII sec. grazie al rifiorire dei nuclei cittadini. Prima dell’anno 1000, l’Europa era un immenso territorio co-perto da boschi, foreste, acquitrini, lagune e paludi, dove circa 30 milioni d’abitanti vivevano in piccoli centri a ridosso di rocche fortificate o di grandi monasteri, all’incrocio delle strade, sulle rive dei laghi e dei fiumi navigabili, sui bordi di inse-nature marine trasformate in porti o in città fantasma che erano state grandi ai tempi dell’impero romano. Con il declino dell’Impero e l’imporsi dell’economia feudale si affermò la tendenza a produrre ed elaborare autonomamente le mate-rie prime alimentari, con il conseguente decadimento della bottega. La maggior parte della ricchezza che veniva dalla coltivazione dei campi, dall’allevamento semibrado di bovini, equini, suini ed ovini e dallo sfruttamento delle risorse naturali con la caccia legale e di frodo, la pesca e la raccolta di frutti spontanei, veniva consumata nei luoghi stessi dov’era stata ottenuta e da chi aveva avuto un qualche ruolo nel produrla e di-stribuirla. Solo minime quote erano desti-nate a uscire dai circuiti economici locali sotto forma di doni, d’imposte, di decime o di spese per l’acquisto di materie prime e manufatti che i contadini non riuscivano a produrre in proprio.

Le fiere e i mercati con i quali si festeg-giavano varie ricorrenze religiose e la fine dei grandi lavori agricoli (la mietitura, la

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semina, la vendemmia) costituivano i rari momenti di svago e di ritrovo per servi e contadini impegnati a lavorare gratuita-mente per il feudatario. Con l’invasione longobarda le fiere erano diventate proprietà dei duchi che stabili-vano luogo, data e durata del mercato.Carlo Magno e Lodovico il Pio legiferarono sull’argomento, che costituiva una buona entrata fiscale: vennero proibiti i mercati domenicali e festivi e si cercò di impedire ai contadini la partecipazione alle fiere, in quanto, spostandosi anche per parecchi giorni, trascuravano il lavoro nei campi ed il bestiame. Ciononostante, il pubblico dei mercati continuava ad essere costitui-to soprattutto da contadini e servi della gleba, che portavano con i carri i loro pro-dotti ed acquistavano in cambio le merci rare e pregiate: stoffe, spezie, cani da cac-cia, qualche gioiello o piume di pavone, vino, manufatti, lavori in cuoio, ...

A partire dall’XI secolo l’aumento delle superfici destinate alle coltivazioni do-vuto alle nuove tecniche agricole (l’introduzione di aratri più pesanti, vanghe e zappe metalliche e i migliora-menti qualitativi dei raccolti di frumento, orzo, segale, fave, ceci, …), ai disbosca-menti, alle bonifiche di paludi e acquitrini, portò ad una maggiore disponibilità di risorse alimentari e quindi ad un ripopola-mento generale. Una dinamica altrettanto espansiva molti-plicò gli insediamenti urbani: un crescente numero di persone (nobili, ecclesiastici, plebei, servi della gleba) abbandonarono le campagne per trasferirsi nei nuovi centri urbani che si sviluppavano soprat-tutto nei pressi delle più importanti vie di

comunicazione. Le città di origine gallo-romana, annientate dai barbari e ridotte a rappresentare uno scarso 10% della popo-lazione complessiva, tornarono ad essere padrone del meccanismo economico. Il notevole aumento di quanti nelle città vivevano, lavoravano, consumavano e trasformavano, contribuì ad accrescere in maniera esponenziale il traffico de-gli scambi commerciali, così come la disponibilità di persone ad impiegarsi in attività diverse dall’agricoltura e la conse-guente maggiore offerta di prodotti non alimentari. Un altro elemento che contribuì a rafforzare la crescita dei commerci a breve, media e lunga distanza di un’estesa gamma di mercanzie fu l’incremento complessivo della popolazione euro-pea di due volte e mezzo circa rispetto all’anno Mille, seppure con dinamiche re-gionali assai differenziate, con una densità dell’ordine di 30/40 abitanti per Km2 che eliminò ogni precedente condizione di isolamento e rinsaldò le relazioni culturali, sociali ed economiche fra comunità con-finanti.

Nei primi decenni la città rimase profon-damente inserita nella campagna anche perché la popolazione era perlopiù cos-tituita da contadini abituati a lavorare la terra e che nei piccoli prati fangosi o nelle aree coltivate ad orto dentro le mura con-tinuavano a produrre una parte del cibo di cui avevano bisogno, piantando ortaggi e piante odorose, lasciando pascolare pe-core e mucche. Con il crescere degli inse-diamenti urbani però i piccoli mercati, che erano nati per il baratto di prodotti nel vicinato, si svilupparono per far fronte a scambi di merci sempre più preziose e alla

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circolazione del denaro. Nel XII secolo le antiche città tornate a risplendere e quelle di recente fondazione ricominciarono ad essere le naturali sedi di mercati periodi-ci e di fiere che, attraendo le eccedenze dei raccolti rispetto alle scorte per semi-nare e garantire l’approvvigionamento alimentare dei contadini e le porzioni in eccedenza rispetto ai normali fabbisogni domestici dei ricchi, beneficiavano quanti, privi di terreni e di scorte, erano costretti ad acquistare quotidianamente in piazza i generi alimentari indispensabili alla so-pravvivenza. Gli appuntamenti iniziarono a stabilizzarsi a date tradizionali: a Cesena il mercato durava tutto agosto, a Venezia una settimana, a Vicenza 11 giorni. Verona faceva da cerniera fra i prodotti del Nord (pellicce, ferro, ambra) e quelli del Sud (granaglie, stoffe di seta e di lana, sale, ve-tro, carta, ...).

Poiché durante il Medioevo non esisteva solo la distinzione tra la classe dei ricchi e quella dei poveri, ma una rigida ge-rarchia sociale assegnava alla comunità

urbana un ruolo superiore e di controllo rispetto al contado (dal latino comita-tus, con il significato di territorio affidato all’amministrazione di un comes o conte), con la nascita dei Comuni questo legame tra la città e il proprio contado si rinsaldò come tra il capo e le membra di un solo corpo. In un paese come l’Italia da sempre carat-terizzato da un forte radicamento della città nel territorio e da precoci strategie urbane da parte dei poteri istituzionali, il ceto dominante riusciva ad imporre un ordine alimentare che aveva come primo obiettivo il soddisfacimento dei propri bisogni (spesso a scapito dei con-sumi della comunità rurale) esercitando un rigoroso controllo sulle varie fasi della produzione alimentare, dal lavoro dei contadini alla distribuzione dei prodotti attraverso i mercati. La vita si svolgeva soprattutto all’aperto, data la ristrettezza delle abitazioni e delle botteghe, e le vie medioevali erano sempre piene di vita, di voci, di rumori e persino di animali che vi si aggiravano indisturbati, quali oche, gal-

Rappresentazione pittorica di una fiera medioevale.

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line, cavalli, asini e muli, e maiali, che ave-vano anche la funzione di eliminare i rifiuti dalle strade.

Le piazze, che come nell’antica Grecia erano il centro della vita sociale, politica ed economica delle città, erano di tre tipi, anche se a volte si potevano fondere insie-me: di carattere religioso come sagrato della Cattedrale, di carattere civile come largo antistante alla sede dell’autorità lo-cale e di tipo commerciale come spazio riservato al mercato ambulante. Al Medioevo italiano rimane piuttosto estranea l’idea del mercato coperto e, in genere, del mercato concepito come specifico organismo edilizio, risolvendosi nella destinazione di una piazza a sede permanente per le bancarelle dei riven-ditori e qualche impianto fisso che nor-malmente si esaurisce nella costruzione di una fontana centrale o in sistemazioni di fortuna nei portici degli edifici privati, dei palazzi comunali e perfino delle chiese.Fin dalla mattina presto le strade si ani-mavano, gli artigiani aprivano le loro bot-teghe e il mercato si affollava di venditori e acquirenti, mendicanti, ladri, truffatori e giocolieri. Al mercato si trovavano cere-ali, vino, carni, pesce, cibi cotti, dolciumi, stoffe, calzature, cuoi, ... e sempre al mer-cato si facevano gli affari, si amministrava la giustizia, si tenevano le assemblee, si ordinavano le congiure e le sommosse, si scambiavano le notizie e i pettegolezzi su quanto accadeva in città. L’affollata presenza nelle piazze di bancarelle e bot-teghe che offrivano merci meno ricche accanto a quelle più prestigiose favoriva l’incontro quotidiano di cittadini e bot-tegai, che attraverso la reciproca cono-

scenza personale riprendevano l’antica tradizione della pratica della democrazia alla maniera della polis aristotelica.

Per proteggere commercianti e acquirenti da fenomeni come il furto, la violenza o forme di protezione mafiosa, fu stabilita una sorta di “pace di mercato”, simile a quella dell’antica Grecia, per garantire la quale il luogo di vendita veniva assogget-tato a precisi regolamenti. All’epoca delle corporazioni apposite magistrature mu-nicipali sorvegliavano e regolamentavano il funzionamento del mercato dei beni di prima necessità stabilendo luogo e tempo degli scambi, divulgando e calmierando i prezzi più ricorrenti per le merci di largo consumo, controllando la regolarità degli strumenti di peso e di misura, la legalità delle monete utilizzate per i pagamenti e, per alcuni settori, il rispetto delle regole di carattere igienico predisposte. Il mercato era dunque quanto di meno spontaneo e casuale si possa immaginare, a partire dal luogo (uno solo, deputato a quel ge-nere di scambi), dai tempi (tutti i giorni non festivi, per durate diverse, secondo il levare e il tramonto del sole nei dodici mesi dell’anno) e dallo spazio (l’area era precisamente delimitata e pedonalizzata, per il tempo in cui il mercato era aperto), per finire con l’esistenza di uno speciale statuto tendente a favorire il confronto più trasparente possibile sia fra i beni messi in vendita sui banchi sia tra i parte-cipanti (venditori e compratori) intenti a trattative antagonistiche. Chi vendeva in piazza o nel luogo deputato a mercato, in una condizione garantita dal controllo sociale esercitato tacitamente dal gran numero di venditori e di compra-

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tori che vi affluivano, non poteva che at-tenersi alle regole. Chi invece vendeva nel proprio granaio, lontano da ogni verifica istituzionale, poteva facilmente avvantag-giarsi nel misurare la merce e danneggiare i compratori, per lo più gente di bassa estrazione economica e sociale e che ver-sando in una condizione di soggezione politica non poteva contrattare né i modi, né gli strumenti di misura.

Un discorso a parte va fatto per la fiera, un’istituzione che in età medioevale è diffusa quasi omogeneamente in tutta la penisola italiana, in alcune città o grosse borgate ma comunque nei principali nodi di smistamento commerciale ed econo-mico e nei centri di attrazione dei prodotti agricoli. Numerose le ragioni che deter-minarono la nascita delle fiere (concorsi di pubblico, ringraziamenti, celebrazioni di eventi), le cui origini risalgono all’antichità classica e possono essere rintracciate in determinati aspetti della vita del tempo, quali il commercio, la religione e lo spet-tacolo. La fiera era un gigantesco mercato di tutti i generi di merci, che si teneva in epoche stabilite, così attraente da richiamare moltitudini di gente proveniente anche da nazioni vicine per vendere o comprare. In genere si svolgeva in un grande spazio all’esterno della cinta murata, dove si ef-fettuava la rassegna del bestiame, dei prodotti agricoli o dei tessuti, ma a volte occupava per qualche giorno una piazza centrale o il sagrato di una chiesa. In un contesto in cui la comunicazione era precaria e frammentaria e le vie del traf-fico, i contatti e la trasmissione di notizie continuamente minacciati da interruzioni

e pericoli, la fiera si dimostra una stabile piattaforma dello scambio di merci (dai beni di uso quotidiano come tessuti, at-trezzi e vasellame, agli oggetti più mon-dani come gioielli e sete riccamente or-nati), di talenti e mano d’opera, di rimedi per qualsiasi tipo di problema (dalla cura più miracolosa per tutti i mali conosciuti comprese le pene d’amore alla lettura del futuro). Cibi conservati, dolci e bevande venivano venduti non solo come alimenti ma anche come portafortuna, per raf-freddare gli spiriti o al contrario per infi-ammare i cuori. Le esibizioni divertenti o stupefacenti di giocolieri, acrobati e buf-foni erano spesso inserite in narrazioni comico/morali che, non essendo stretta-mente legate all’uso del linguaggio, per-mettevano di comunicare in un contesto in cui tra lingue e dialetti locali le diffe-renze linguistiche erano fortemente mar-cate. Anche la musica popolare, i canti e le processioni erano un modo di raccontare storie, celebrare gli eventi fausti della vita e affrontare i momenti tristi. In un mondo, peraltro, nel quale la comunicazione era precaria e frammentaria e le vie del traf-fico e i contatti continuamente minacciati da interruzioni e pericoli, questa ricor-rente occasione di incontro era uno stabile strumento di trasmissione delle notizie.In Lombardia v’erano quelle di Milano, Bergamo, Crema, Mantova, in Piemonte quelle d’Asti, Vercelli, in Emilia e Romagna quelle di Bologna, Piacenza e Ferrara, in Alto Adige quella di Bolzano e unica nel sud, quella di Bari. Più famose, di maggiori dimensioni e più lunghe erano quelle francesi di Saint Denis, Parigi, Nimes, Gi-nevra, Lione e Troyes; Amburgo, Lubecca

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e Lipsia, in Germania; Londra, Cambridge, Chester in Inghilterra; tutte città ancora oggi assai importanti dal punto di vista commerciale. Queste grandi fiere diede-ro l’avvio a quella economia di mercato che si apprestava a sostituire il più antico sistema di commercio al dettaglio che caratterizzava i piccoli banchi di vendita, con il passaggio diretto dal produttore al consumatore. Le transazioni al minuto erano poche (i prodotti alimentari o quelli relativi a capi di vestiario erano trattati a stock interi venduti al miglior offerente) poiché più che vendere si cercava di col-tivare pubbliche relazioni finalizzate ad acquisire clienti e le categorie più povere spesso non potevano far altro che guar-dare le merci pregiate o più strane, impos-sibilitate ad acquistare partite così grandi e costose. Gli accordi commerciali iniziarono a spo-stare flussi monetari di ingenti dimensioni e questo contribuì sia all’evoluzione del sistema creditizio, sollecitando il passag-gio dal limitato pagamento in contanti all’uso di una sorta di carta di credito, sia

alla nascita dei primi sodalizi economici per far fronte ad impegni, crediti e ven-dite. Non tutte le città pur economica-mente importanti potevano vantare simili esposizioni che del resto per meglio fun-zionare dovevano in qualche modo co-stituire un crocevia tra zone che potevano fornire merci di tipo diverso provenienti da lavorazioni e culture differenti. Di solito era il duca, il principe o il conte locale a designare quali caratteristiche peculiari avrebbero dovuto avere gli inse-diamenti urbani per poter mantenere stabilmente una fiera annuale. I fondachi (edifici destinati ai mercanti forestieri come alloggio, deposito di merci e luogo di contrattazione) presenti in queste città erano sempre ben forniti e quasi al limite della loro capienza, ma i depositi di merci non diventavano quasi mai obsoleti gra-zie ad una naturale rotazione garantita dall’abilità di chi era preposto al loro go-verno. Ogni grande fiera era regolata da uno statuto, un atto giuridico che con ri-gorose misure di sicurezza ed amministra-tive evitava dispute tra città contigue.

Fondaco dei Turchi a Venezia.

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1.4. LE REALTA’ MERCANTILI NEL RINASCIMENTO

Le esperienze fieristiche dell’età medie-vale e del primo ‘500 costituirono il cuore del sistema economico europeo nel suo aspetto mercantile e finanziario. L’Italia non fu mai caratterizzata da fiere paragonabili a quelle della Champagne o di Ginevra o di Francoforte, ma le grandi fiere internazionali, di merci e di cambi, erano dominate in molti casi da mercanti toscani, genovesi, lombardi e veneziani.Il territorio era comunque costellato da fiere o sistemi di fiere di dimensioni più ristrette, legate soprattutto a festività di carattere religioso durante le quali banchi e tende occupavano le piazze antistanti alle chiese per poi disperdersi nelle vie circostanti o negli ampi prati all’esterno delle mura.

Nelle piccole realtà urbane, tali raduni sconvolgevano la vita quotidiana svolgen-dosi in maniera disordinata nonostante le disposizioni statutarie. Tra il 1200 e il 1500, in realtà, le città mercantili italiane era-no delle grandi fiere permanenti dove si poteva acquistare di tutto nelle botteghe, nei magazzini. I manufatti che uscivano dai laboratori artigianali urbani e dalle case dei contadini dell’Italia settentrionale venivano scambiati con i prodotti agricoli (olio, vino, grano, ...) dell’Italia meridio-nale, con tessuti di produzione tedesca (di qualità inferiore a quelli italiani e quindi più appetibili per i ceti umili), con mate-rie prime (cera, cuoio, lana, pelli, materie tintorie, legname, ferro, spezie, sapone) e bestiame (bovini, suini e specialmente equini) di ogni genere.

1.5. IL MERCATO DEI MERCANTI

Dalla metà del XVI secolo fino a tutto il XVII, la pittura nordeuropea aveva ospitato scene di mercato celebranti l’abbondanza, la ricchezza e la crescente fiducia nel com-mercio, fonte primaria di benessere per le nuove classi emergenti. Anche le ope-re pittoriche dall’Italia alla Fiandra del secolo successivo, oltre a rappresentare un documento di studio delle abitudini alimentari locali, rivelano nelle raffigu-razioni di banchi, merci, venditori e clienti l’illuministica sensazione di poter scon-figgere definitivamente la fame, il senso della sicurezza economica e l’ottimismo nei confronti del progresso.

Contemporaneamente un diverso e più au-dace intuito commerciale, le sollecitazio-ni di una più agguerrita concorrenza, una più larga diffusione del benessere e quindi un’aumentata domanda, il gusto della raffinatezza proprio di questo seco-lo, il mutare della società e del costume con rapporti interpersonali sempre più complessi e liberi, inducono mutamenti e ampliamenti impegnativi anche nelle at-tività connesse all’artigianato e al piccolo commercio. Ed ecco allora che la bottega, che fino a tutto il 1600 non si differenzia di molto da quella romana (ambiente pic-colo qualche volta dotato di retrobottega o di soppalco, grande apertura verso stra-da in parte chiusa dal muretto/davanzale che funge da banco di vendita, le merci su mensole di legno e armadi o cassapanche, esposte in minima parte sul muricciolo e-sterno e più spesso sospese all’architrave, all’arco o a travetti) si trasforma gradual-mente in un organismo meno pittoresco

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e un po’ più anonimo, ma più adatto alla civiltà industriale che stava nascendo in quel tempo. Compaiono botteghe da caffè splendidamente ornate, preziose farmacie rivestite di intagliate scansie af-follate da vecchie terraglie, ospedali di stile rococò come quello degli Incurabili di Napoli oppure magnificamente ar-redati come l’Ospedale Maggiore di San Giovanni di Torino. Il processo culminerà poi nel 1800 con la nascita del moderno negozio cittadino, interamente chiuso ma dotato di vetrine ampie e luminose che permettono di ammirare già dall’esterno la qualità della merce esposta dentro.

1.6. IL MERCATO MODERNO

Le nuove tensioni indotte dal fenomeno dell’urbanesimo industriale, che crean-do ponderosi problemi di approvvigiona-mento delle città in continua espansione provocano un aumento sostanziale della domanda e la possibilità di utilizzare le nuove strutture di ferro e di cemento che permettono di gettare le basi per grandi

coperture senza sostegni intermedi, ridan-no vigore nel 1800 alla struttura del mer-cato coperto, considerato ormai come un essenziale servizio pubblico.Come in tutta l’Europa, nell’Italia del Nord si confermano i due modelli architettonici messi a punto nel secolo precedente: il quadriportico e lo spazio circolare di al-cuni fori romagnoli e marchigiani, come la Piazza Maggiore di Mondaino. Ad ispi-rare gli architetti italiani furono proba-bilmente le forme dei mercati d’Oltralpe, come la ricostruzione ottocentesca in fer-ro dell’antica Foire Saint Germain di Parigi, il mercato centrale di Berlino e il Covent Garden di Londra, o i lontani bazar di Lara o di Ispahan in Persia. Con il complicarsi dei servizi e degli im-pianti il mercato coperto si articola in una differenziata gamma di tipologie in relazione all’ubicazione (mercati centra-li o rionali), alla specializzazione merceo-logica e al genere di commercio e clien-tela (mercati all’ingrosso, al minuto, misti).Le strade ben selciate per le vetture sono affiancate da viali alberati per la gente a

Mercato di Porta Palazzo a Torino.

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piedi, le insegne commerciali catturano l’attenzione del compratore. Alla fine del 1800 e sempre più nel 1900 le strutture in cemento armato soppiantano quelle in ferro: fra gli esempi più interessanti dal punto di vista funzionale del primo quar-to di secolo il grande mercato di Lipsia, coperto con tre cupole poligonali di ce-mento armato e quelli più piccoli di Fran-coforte e Reims, il bellissimo mercato dei fiori di Pescia costruito nel 1951 e quello elegantissimo costruito in Messico nella seconda metà degli anni Cinquanta.

1.7. I MERCATI RIONALI DI ROMA Negli anni della grande guerra, negozi, ristoranti e mercatini rionali sono coin-volti dal triste fenomeno del mercato nero, il commercio clandestino di prodotti di prima necessità che in qualche modo ten-tava di colmare i vuoti enormi aperti dal razionamento dei generi alimentari. Sui banchi le poche verdure di cui era con-sentita la vendita, sotto nascosti tra le cas-sette i polli, le uova, l’olio, la farina. Nelle borse della spesa la merce di contrabban-do veniva poi occultata sotto l’insalata o le cipolle.La profonda trasformazione sociale ed economica, che negli ultimi decenni in Ita-lia ha investito con particolare intensità il sistema distributivo e commerciale, spin-ge ad un ripensamento delle strutture e dei modelli gestionali per garantire una possibilità di sviluppo alla produzione ed alla distribuzione. Le strutture che ospita-no i mercati sono ormai obsolete e spesso gestite da funzionari comunali impegnati ad applicare alla lettera regolamenti rigidi e anacronistici.

A metà degli anni Ottanta si gettarono le basi per un radicale ammodernamento dei mercati all’ingrosso, fissando i criteri e stanziando le necessarie risorse finan-ziarie per la realizzazione dei nuovi Centri Agroalimentari, che oggi, nelle principali città italiane, hanno assunto la funzione di luogo d’incontro tra produttori, commer-cianti e consumatori svolta tradizional-mente dai mercati.

L’ondata di rinnovamento ha investito an-che moltissime altre città grandi e piccole che hanno, a loro volta, costruito o ristrut-turato radicalmente i propri mercati. Da una parte gli operatori hanno dovuto trasformarsi da commercianti a imprendi-tori, dall’altra il passaggio dalla gestione totalmente pubblica alle società di capi-tali, ha arricchito la funzione gestionale e di tutela degli interessi pubblici con il dinamismo, l’esperienza imprenditoriale e la capacità di fare sistema della funzio-ne commerciale. Come in altri Paesi della Comunità Europea, i mercati all’ingrosso sono visti come strumento per la promo-zione e l’incentivazione delle produzioni di qualità, come il controllo sistematico sull’applicazione delle norme di qualità e sulla salubrità delle derrate e la ricerca delle migliori soluzioni operative nel cam-po della rintracciabilità. Recentemente i mercati si sono, inoltre, impegnati in una serie di iniziative fina-lizzate ad informare quotidianamente i consumatori in merito alla miglior conve-nienza nella scelta dei loro acquisti.

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1.8. I FARMER’S MARKET DEL VENTESIMO SECOLO

Uno degli snodi principali che fanno dell’Italia un Paese all’avanguardia è pro-prio la trasformazione di quello che un tempo era l’insieme dei mercati italiani in un vero e proprio sistema, compatto ed integrato al suo interno, l’anello forte intorno a cui rinsaldare la catena di una filiera che ha fatto la storia della cultura e dell’economia della nostra penisola.Di questa catena, oltre al mondo della produzione, fanno parte le varie formule oggi presenti sul territorio del sistema del dettaglio. E’ tra queste che i mercati dei produttori agricoli locali (spazi per la vendita di prodotti ortofrutticoli gestiti direttamente dagli imprenditori agricoli) si pongono come momento di contiguità tra il modello distributivo del mercato or-tofrutticolo che fa parte della storia dei centri urbani e l’evoluzione delle esigenze della domanda e dei nuovi comporta-menti alimentari. Le indagini sociologiche degli ultimi anni su consumi e stili di vita

evidenziano come l’interesse al consu-mo alimentare di qualità, benché forte-mente condizionato dal livello di reddito o da fattori anagrafici o geografici, sia ormai presente in tutte le fasce della popolazio-ne, che prestano grande attenzione alla certificazione di origine e biologica (sia per-ché considerata più salutare sia in quanto forma di agricoltura sostenibile) e che per l’acquisto di frutta e verdura preferiscono i mercati rionali ed i piccoli negozi specializ-zati.

Dai dati, sul versante della produzione, emerge l’immagine di una azienda agri-cola moderna, che non si limita ad utiliz-zare tecniche e tecnologie all’avanguardia, ma con un sagace spirito imprenditoriale ha un atteggiamento comunicativo nei confronti del mercato, orientato a fideliz-zare i rapporti con la clientela e a trasmet-tergli i valori e i metodi aziendali che stan-no a monte del prodotto finale (legame con il territorio, genuinità, tradizione, modernità, ...). Per realizzare economie di scala e acquisire vantaggi competi-

Il consumatore sceglie direttamente il prodotto.

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tivi, percorre la strada dell’aggregazione tra produttori (consorzi, associazioni di produttori, distretti agroalimentari, socie-tà per la commercializzazione in comune dei prodotti) e ricorre, in più della metà dei casi, a forme di vendita diretta tramite uno spaccio aziendale, un agriturismo o altre forme di rapporti non mediati con il consumatore. Anche il consumatore stes-so dimostra evidente interesse nei con-fronti del rapporto diretto con il produt-tore: non è un caso, che negli ultimi anni, si siano affermate iniziative di gruppi di

acquisto (GAS) e di spese condivise, volte ad organizzare vere e proprie ordinazioni stagionali ad aziende agricole di fiducia.Le Amministrazioni comunali, d’altro canto, da sempre coinvolte sia nel pro-cesso di regolamentazione delle attività e delle modalità di vendita, che si svol-gono nei propri confini, sia nella gestione delle attività di promozione e sviluppo dell’economia locale, sono oggi più che mai impegnate nella ricerca di forme ef-ficaci di valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale, turistico ed enoga-stronomico espresso dal territorio. I farmer’s market del Ventesimo secolo, che prevedono un rapporto diretto fra produttori e consumatori, riprendono una delle caratteristiche dominanti dei mercati di ogni tempo e luogo, quella cioè di porsi quale sistema distributivo flessi-bile, capace più di ogni altro di adattarsi ai cambiamenti della domanda dei con-sumatori. Completano la gamma delle tipologie distributive moderne, offrendo alcune pe-culiarità distintive che lasciano trasparire un filo diretto con quella funzione di in-trattenimento e di divulgazione di novità, informazioni e cultura rurale (le tecniche produttive, le tradizioni locali, i piatti ti-pici, …), di edutainment2 insomma, tradi-zionalmente svolta da fiere e mercati. Offrono un’occasione di valorizzazione de-gli spazi urbani (la “piazza del mercato”), che ne escono rivitalizzati tornando ad es-sere luogo fisico di incontro e di scam-bio di idee e culture tra le persone.

2 Edutainment: si intende una forma di in-trattenimento finalizzata sia ad educare sia a divertire.

Esposizione di alcuni prodotti stagionali.

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1.9. LE RICADUTE SUL MERCATO DEL CIBO

In un contesto nel quale attuali model-li di consumo cercano di riavvicinare il produttore al consumatore è da valutare, l’aspetto nel quale la natura è diventata oggetto di dominio: se ne possono ve-dere gli effetti se si analizza ciò che è stato fatto nell’ambito dell’agricoltura e della produzione del cibo, il cosiddetto set-tore agroalimentare, che a partire dal dopoguerra per rispondere all’urgenza di un mondo affamato, è stato trasformato profondamente. L’agricoltura, fonte di cibo per l’umanità, ha dovuto assumere i colori, le caratteristiche e le misure del set-tore industriale classico, trasformandosi in ciò che si definisce comunemente agroin-dustria3. L’utilizzo del fuoco per cucinare gli ali-menti è sempre stata un’operazione che ha distinto l’uomo dagli animali: il fuoco rappresenta il primo passaggio “culturale” nel processo che rende il cibo stesso un fattore culturale. La materia si trasforma per diventare commestibile, conserva-bile, trasportabile, il più piacevole possi-bile. Il fuoco, cuoce, sviluppa il fumo per l’affumicatura che permette di sterilizzare generando temperature elevate.

Con la nascita e l’evoluzione del mer-cato anche il prodotto ha avuto una sua evoluzione, in numerosi casi quasi subita. Il mercato si è infatti per lo più rapportato a ricadute economiche che hanno portato il cibo a perdere in gusto e cultura.La cultura subalterna dei poveri e dei

3 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005.

contadini, infatti, non vanta fonti scritte e dai ricettari dei nobili si può soltanto in-tuire che i saperi del contado sono stati espropriati dalle classi dominanti insieme al diritto al piacere. Eppure le principali invenzioni della storia della gastronomia sono nate negli strati più poveri della so-cietà per rispondere a necessità urgenti: la mancanza di cibo, la deperibilità delle der-rate alimentari, l’esigenza di trasportarle4.

Con l’industrializzazione sono cambiati i bisogni alimentari di chi lavora in fabbrica e aveva poco tempo per cucinare. Allo stesso tempo con l’industrializzazione si è sviluppata anche l’industria alimentare, che proprio sull’impiego della chimica fonda le sue capacità di produrre qualsiasi cosa commestibile in serie, inscatolata, già sempre pronto all’uso. La combinazione delle nuove esigenze e delle nuove scoperte nel campo della tec-nologia alimentare ha permesso l’enorme sviluppo dell’industria che produce cibo, ma l’uso della chimica si è poi spesso rive-lato troppo disinvolto generando scan-dali alimentari, nuove malattie, impove-rimento della dieta per quanto riguarda elementi nutritivi e gusti. Il periodo d’oro della chimica in campo alimentare risale alla seconda metà dell’Ottocento: in Italia Francesco Cirio iniziò a produrre le prime conserve, poi l’invenzione della Coca Cola, la gomma da masticare e l’ananas in scatola. Pur non sapendolo, questi pre-cursori diedero il via alla produzione indu-striale del cibo in vere e proprie catene di montaggio.L’odierno comparto dell’industria alimen-

4 Ibid.

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tare sforna ogni sorta di genere com-mestibile, ripropone addirittura piatti della tradizione e fa viaggiare le culture del cibo. Al supermercato si possono ac-quistare pizze surgelate, salse messicane e preparati per i burritos, caciucco o pael-la precotti da scaldare in padella, zuppe, brodi e minestre di ogni parte del mondo. Ci sono anche i prodotti inventati come gli snack al cioccolato, le chips o le sottilette, dove i marchi variopinti sulle confezio-ni sono più importanti del contenuto e i prodotti sono difficilmente riconducibili a qualcosa di esistente in natura5.

Come risposta alle problematiche riguar-danti il mercato agricolo si è arrivati alla cosiddetta Rivoluzione Verde, partita nel secondo dopoguerra, che ha portato un barlume di speranza in molti angoli del pianeta che pativano la fame. Ferti-lizzanti, nuove varietà ibride in grado di incrementare considerevolmente la pro-duzione, generando anche più di un rac-colto all’anno, hanno permesso di risol-vere i problemi di nutrizione in alcune aree del pianeta. Si è rivelata però un disastro, tanto ecologico quanto economico: le nuove varietà ibride consumano più acqua, si sostituiscono alla biodiversità esistente cancellandola per sempre e, indiretta-mente, minano i suoli, dato che necessi-tano di quantità crescenti di fertilizzanti chimici e pesticidi. Inoltre, è sparito un patrimonio inestimabile di conoscenze legate non soltanto alla coltivazione ma anche all’impiego dei prodotti, alla loro trasformazione, alla loro preparazione.

5 Ibid.

La Green Revolution ha aperto un nuovo vasto mercato per le operazioni delle grandi multinazionali principalmente in tre settori: semi, fertilizzanti e pesticidi.

1.10. CENNI STORICI SULLA GDO

La grande distribuzione organizzata, ab-breviata in GDO, è l’evoluzione del com-mercio dal dettaglio all’ingrosso. È com-posta di grandi strutture o gruppi (in alcuni casi multinazionali) con molte strutture distribuite su tutto il territorio naziona-le, internazionale o addirittura mondiale. Nel gergo tecnico si distingue tra strutture della Grande Distribuzione (GD) e della Di-stribuzione Organizzata (DO). Le prime vedono grosse strutture centrali gestite da un unico soggetto proprietario, che gestiscono punti di vendita quasi sempre diretti. Gli attori più importanti sul mercato Italiano sono sicuramente Carre-four, Auchan, Esselunga. Le seconde vedono invece piccoli soggetti aggregarsi secondo la logica de “l’unione fa la forza”: attraverso infatti l’adesione ai gruppi d’acquisto, i piccoli e medi det-taglianti possono ottenere agevolazioni economiche in termini di approvvigiona-mento, derivanti dal maggior potere con-trattuale nei confronti dell’industria da parte delle centrali. Inoltre vi sono anche vantaggi conseguibili dallo sfruttamento del marchio e dall’ottenimento di sup-porto in termini di know-how e coordi-namento strategico. Nel nostro paese i gruppi più importanti sono sicuramente Interdis, Selex, Sisa e Despar.

Recentemente la GD ha però radicalmente cambiato le sue strategie di crescita, tanto

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da pareggiare e, solo ultimamente, scaval-care la posizione di dominanza della DO.Un aspetto determinante che ha causato il “cambio di leadership” è proprio da in-dividuare nelle caratteristiche strutturali dei due operatori. Infatti la struttura a rete classica della DO ha rivelato alcuni punti deboli riconducibili alle relazioni negoziali con i fornitori. Sovente infatti nella DO si verificano casi di “sovrapposizione nego-ziale” a causa della crescita dimensionale (e di conseguenza contrattuale ed eco-nomica) di singoli membri appartenenti

allo stesso gruppo che non tardano a reclamare maggiore indipendenza dalla centrale, anche per le problematiche di carattere strategico e di governance. I rap-porti di fornitura e le condizioni economi-che che si riescono a ottenere infatti, rap-presentano una voce di assoluta centralità nel risultato economico di un’impresa commerciale. Inoltre non va sottovalutata l’eterogeneità dei formati di vendita che spesso va a caratterizzare la DO e che pe-nalizza la capacità di controllo e di coordi-namento unitario da parte della centrale.

In generale, in Italia la GDO soffre una notevole debolezza delle catene nazionali che si trovano soverchiate dalla potenza dei colossi esteri, in particolar modo nei settori discount e ipermercati, rispetti-vamente dominati da gruppi tedeschi e francesi.Ne consegue anche una totale assenza di gruppi italiani nei mercati esteri, men-tre in Germania e Francia dominano le proprie catene nazionali. Nessun gruppo italiano ha una diffusione capillare in tutto il Paese, ad eccezione delle cooperative di consumatori e di dettaglianti. Le prime vedono nel principale attore Coop Ita-lia, mentre le seconde Conad, entrambe con sede a Bologna. Di norma i sistemi cooperativi vengono comunque inseriti all’interno dei gruppi della Grande Di-stribuzione.

Fin dal 1830 in Francia i cosiddetti Maga-sins de Nouveautés rappresentarono il pas-saggio tra il commercio tradizionale e la formula del grande magazzino. La data di nascita del grande magazzino, tuttavia, è fatta coincidere con l’apertura del rinno-Immagine pubblicitaria degli Anni ‘70.

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vato Le Bon Marché a Parigi nel 1869, seguito a ruota dall’apertura dei magazzini Louvre. Per quanto riguarda il supermer-cato, la sua nascita è fatta coincidere con l’apertura del primo punto vendita della King Kullen negli Stati Uniti nel 1930. Per quanto concerne, infine l’ipermercato, il caso più emblematico è quello del gruppo francese Leclerc che ha sempre tentato di introdurre nuove merceologie nei suoi punti vendita spesso “forzando” al ribasso l’esistenza di prezzi imposti (tabacchi, libri, benzine, profumi, ...) Il primo grande magazzino italiano è stato fondato a Milano nel 1877 da due fratelli che avevano avuto successo come vendi-tori ambulanti di tessuti: i fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi; il magazzino si chia-mava Aux villes d’Italie, poi ribattezzato Alle città d’Italia, e si rifaceva al magazzino francese Bon Marché. Il 27 novembre 1957 venne aperto il primo punto vendita (in Italia) di una catena di GDO. Si trovava a Milano in via Regina Giovanna, la società si chiamava Supermarkets Italiani che oggi è meglio nota come Esselunga.

Il discount, in maniera differente, rap-presenta una tipologia di operatore della GDO. Come indicato dal nome stesso, il discount è un punto vendita all’interno del quale è possibile trovare merci a prez-zi più bassi rispetto ad analoghi prodotti venduti in altre tipologie di negozi. Tale caratteristica viene perseguita dal punto vendita attraverso precise scelte commerciali, che possono essere: minor assortimento, vendita di marchi commer-ciali meno conosciuti, abbattimento dei costi per il personale e per l’allestimento, abbattimento delle quote di guadagno percentuale (con l’obiettivo di aumen-tare il guadagno complessivo puntando al volume di vendita), ottimizzazione dei sistemi di distribuzione e di approvvi-gionamento. Sebbene in massima parte il discount punti alla vendita di prodotti alimentari, esistono discount specializzati anche in altri settori.

Supermercato americano Anni ‘70.

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1.11. IL DISCOUNT NON ALIMENTARE:L’OUTLET

L’outlet è una tipologia di punto vendita specializzato nella vendita al dettaglio di prodotti di marche famose invenduti o usciti dal catalogo più recente del produt-tore. Comunque negli ultimi anni, data la continua crescita di domanda di pro-dotti outlet, alcune produzioni vengono espressamente dedicate a questo canale di distribuzione commerciale.Il prodotto, prevalentemente di marchi prestigiosi o di qualità o, in particolare per la moda, di celebri firme, viene destinato ai negozi dell’outlet e messo in vendita a prezzi inferiori. In questo modo il produt-tore può cedere i prodotti invenduti o difettosi e il consumatore può acquistare beni di vario genere (capi d’abbigliamento o scarpe, oggetti di design o alimentari, articoli sportivi, mobili, accessori, ...) ideati da marchi famosi ottenendo uno sconto rilevante sul prezzo originale.Talora questi prodotti sono rivenduti nello spaccio aziendale dello stesso produttore

(a volte dato in gestione in conto terzi); più frequente è appunto la formula del centro commerciale outlet, ossia una galleria di negozi, sia monomarca che multimarca, radunati entro una stessa struttura, con servizi in comune.Gli ambienti degli outlet, solitamente, non sono diversi dai normali negozi o centri commerciali; ne ricalcano l’organizzazione sia logistica che architettonica. La dispo-sizione e l’esposizione delle merci, tutta-via, risulta molto meno appariscente e il servizio è orientato al self service. Sempre volti a imitare i modelli di ven-dita dei “classici” centri commerciali, a causa del successo riscosso dagli outlet è sempre più comune la formula dei centri commerciali outlet e anche delle città outlet. Le città outlet, infatti, si presenta-no come dei piccoli “paesi” con strade, vie, piazze, ed edifici architettonici tutti però volti allo scopo commerciale.

I diritti dei consumatori, nell’ambito di acquisti effettuati presso un outlet, sono regolarmente tutelati dalla legge per

Città outlet Vicolungo (NO).

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 29

quanto concerne esposizione dei prezzi, trasparenza di sconti ed eventuali difetti della merce, resi, garanzie ecc. Il fenome-no degli outlet, in particolare nel nord Italia, sta vivendo in questi ultimi anni una fase di ampia crescita sia di richiesta sia di offerta.

1.12. LA NASCITA DELLA VENDITA A DISTANZA

La vendita a distanza su catalogo nasce nel 1872, negli Stati Uniti da un’idea di Aaron Montgomery Ward, uomo d’affari e commerciante, per ovviare alle difficoltà di approvvigionamento di merci dovuta sia alle grandi distanze del Paese, sia alle carenze del sistema distributivo stesso, che si concretava spesso in un unico em-porio al centro di una zona molto vasta della campagna rurale con una scelta limi-tata di prodotti ad un prezzo non concor-renziale6. A vantaggio dell’intuizione di Ward giocarono lo sviluppo della rete fer-roviaria e del servizio postale e l’evoluzione delle tecniche di stampa. Il primo catalogo di Montgomery Ward vantava un assortimento di 163 articoli. Nel volgere di pochi anni il catalogo di vendita a distanza crebbe in dimensioni e popolarità, tanto da essere definito “libro dei desideri”. Nell’America contadina e ru-rale della fine del XIX secolo e inizi del XX il catalogo ha costituito, insieme alla Bib-bia, l’unico libro stampato nelle case degli Americani, traguardo e origine di bisogni al tempo stesso. Negli anni l’idea di Ward fu spesso replicata da altri commercianti fra i quali Richard Warren Sears, manager 6 Sabbadin, Edoardo, Le vendite per corri-spondenza. Struttura, strategie e tendenze internaziona-li, Milano, Franco Angeli Editore, 1984

e uomo d’affari, che nel 1896 pubblicò il suo primo catalogo despecializzato (risale un catalogo di soli orologi al 1893), dando inizio ad una vicenda, non solo economica che arriva ai nostri giorni. Più o meno nello stesso periodo (1885) in Francia, Mimard e Blanchon, abilissimi uomini d’affari, acquistando la “Manifac-ture Francaise d’Armes et de Tir” gettano le fondamenta di quello che diventerà il famosissimo catalogo Manufrance.

Per quanto riguarda l’Italia, la vendita a distanza era già attiva nel 1913 quando il catalogo OMNIA pubblicizzava dalle sue pagine7 il fatto di avere già tanti clienti e di avere migliorato il suo servizio: “la società OMNIA nell’inviare alla sua numerosissima clientela il nuovo catalogo 1913 è orgo-gliosa di poter far constatare i vantaggi sempre maggiori che offre con questa nuova pubblicazione e i progressi gran-dissimi da lei fatti in breve volgere di anni.” La Società OMNIA nacque nel 1911, anno della Grande Esposizione Internazionale di Torino. Il catalogo ha una straordinaria messe di articoli, utensili, biciclette,armi ma anche macchine per cucire,giocattoli, accessori per la caccia, ecc. Nel 1960 nasce Postalmarket, nel 1962 Vestro, nel 1964 C.I.A. Compagnia Inter-nazionale Abbigliamento. Il periodo è fecondo, la ricostruzione ha portato con sé il boom economico, eppure la peculiari-tà del tessuto economico italiano, ancora molto arcaico, agricolo , in un certo senso “pre-bellico” fa sì che la nascita e lo svi-luppo della vendita a distanza in Italia non sia fondata sul bisogno, ma lo generi. 7 Catricalà, Maria, Le parole introvabili. Come è nata la vendita per corrispondenza in Italia, Firenze, Aida Editore, 2001

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Il caso Postalmarket

Anna Bonomi Bolchini appartenente alla ricca borghesia milanese, amministratrice unica della società ereditata alla morte del padre (1940), la Beni Immobili Italia, costruttrice, con la nuova società, “Im-presa costruzioni Bonomi e Comolli”, del Grattacielo Pirelli, ispirandosi alla realtà americana, fonda Postalmarket. Il primo catalogo appare nel 1958 e raccoglie una serie di articoli da regalo, seguito poi da altri 2 numeri nel 1959 con articoli di ab-bigliamento e casalinghi. Il primo catalogo Postalmarket despe-cializzato viene pubblicato nel 1960 : 48 pagine con una tiratura di 10.000 copie. Il secondo numero, della durata di 6 mesi, recitava sul frontespizio “…scegliete con comodo…comperate a casa vostra”. Le condizioni di acquisto prevedevano la

clausola “soddisfatti o rimborsati” con la sostituzione dell’articolo, ovvero la resti-tuzione dell’intera somma versata (spese di ritorno a carico del cliente)8.I marchi degli articoli sono fra i più pres-tigiosi: Bassetti, Kodak, Hoover, Reming-ton, Lanerossi, Zucchi, Bialetti, porcellana Laveno, argenteria Chirstofle, penne Au-rora, valige Valaguzza, ... Con i suoi pro-dotti, prezzi e didascalie, il catalogo si rivolgeva ad un target medio/alto, ma la diffusione sempre più capillare del mezzo e il boom economico fecero sì che le classi meno abbienti potessero avere accesso ad abitudini di consumo più generose.

In Italia il “libro dei desideri” racconta al fruitore una realtà meravigliosa, esotica e ancora poco conosciuta, fatta di tovagliet-te in plastica per servizi all’americana, ritratto della alta borghesia milanese, specchio della Fondatrice, ma fortemente avulsa dal resto del Paese. Al di là dei prez-zi, che negli anni rimangono sempre piut-tosto alti, altri sono i motivi del fallimento sostanziale della vendita a distanza in Ita-lia: le manchevolezze del servizio posta-le giocarono un ruolo di primo piano, in-sieme al rincaro sui prezzi dell’Iva9.

8 Catalogo Postalmarket n. 2, Aprile-Settem-bre 1961, Collezione “materiale minore”, Biblioteca Na-zionale Centrale Firenze9 Catricalà, Maria, Le parole introvabili. Come è nata la vendita per corrispondenza in Italia, Firenze, Aida Editore, 2001

Copertina Postal Market Primavera/Estate 1978.

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1.13. IL CONSUMO VELOCE: IL FAST FOOD

Il fast food (espressione inglese traduci-bile letteralmente come “cibo veloce”) è un tipo di ristorazione di origine e prin-cipale diffusione in paesi di cultura an-glosassone, servita in locali chiamati ap-punto “Fast Food”, veloce da preparare e da consumare. Si possono incontrare anche fast food ambulanti che forniscono cibo simile e con le medesime modalità. È un pasto veloce, un sistema rapido di ri-storazione che a partire dal 1980 ha avuto una vasta diffusione a livello mondiale.Questa cucina è costituita principalmente da hamburger, hot dog, patate fritte, pizze, sandwich anche da altri cibi derivati da cucine etniche, come la cipolla fritta, e suggerisce l’uso massiccio di diverse salse come la maionese ed il ketchup.Il fast food è in genere caratterizzato da un costo relativamente modesto, dall’uniformità del servizio offerto e dall’ampia diffusione dei punti vendita.Il modello alimentare proposto dai fast food coinvolge prevalentemente fasce più giovani, ma anche una quota crescen-te di adulti, che per motivi essenzialmente legati ai ritmi lavorativi, fa sempre mag-giore ricorso a questo tipo di ristorazione.Nei paesi latini, tradizionalmente più lega-ti a preparazioni laboriose ovvero a sapori e componenti più direttamente di origine rurale, il fast food è spesso considerato sinonimo di cattiva alimentazione, sia perché costituito da pasti consumati in fretta, anche in piedi o in auto, sia per l’insufficiente qualità e varietà degli in-gredienti e per l’abbondanza di elementi fritti, grassi, salati e zuccherati.

Sebbene mangiare al fast food non rappresenti un rischio per la salute, un’alimentazione composta così come previsto dai menu dei fast food è di nor-ma notevolmente squilibrata, perché fornisce un elevatissimo apporto calorico, un’elevata quantità di grassi (soprattutto di natura animale), di sodio e di zuccheri semplici, mentre sono insufficienti le quantità di sali minerali, amido, fibre e vitamine a causa dell’assenza di frutta e verdura fresche.Nel tentativo di dare risposta a questi squilibri nutrizionali, i gestori delle più note catene propongono nei propri menu anche pasti con minore apporto calorico come insalate e macedonie.

Il caso McDonald’s

La McDonald’s Corporation è una società statunitense attiva nei servizi di ristora-zione. Gestisce, direttamente o per mezzo del franchising, la maggiore catena di fast food al mondo10. La sede è ad Oak Brook, (Chicago). I ristoranti McDonald’s sono dif-fusi in tutto il mondo (impiegano a tempo pieno circa 438.000 persone) e sono di-ventati uno dei simboli più riconoscibili e contestati della cosiddetta globalizza-zione.Nel 1937 i fratelli McDonald Richard, detto “Dick”, e Maurice, detto “Mac”, aprirono ad Arcadia, in California, un chiosco di hot dog. Il primo ristorante denominato Mc-Donald’s verrà aperto il 15 maggio 1940 a San Bernardino, sempre in California. Tredici anni dopo, visto il successo del primo ristorante i due fratelli incomincia-10 http://www.mcdonalds.ca/en/aboutus/faq.aspx

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 32

rono a concedere in franchising il loro marchio, aprendo così un secondo ri-storante a Phoenix, in Arizona. La svolta nella storia dell’azienda si ebbe nel 1955, quando Ray Kroc, fornitore di frullatori, fondò “McDonald’s Systems, Inc.” che fa-cilitava il franchising ai nuovi ristoranti. Nel 1967 fu aperto il primo ristorante in Canada, a Richmond. Il 1971 fu l’anno del primo fast food in Europa: in Olanda, vi-cino ad Amsterdam. McDonald’s è divenuto l’emblema della globalizzazione, alcune volte definita

come la “McDonaldizzazione” della socie-tà. La rivista The Economist usa l’indice Big Mac: la comparazione tra i prezzi del Big Mac in vari paesi può essere usata per calcolare in maniera informale il po-tere d’acquisto. Dato che McDonald’s è strettamente associata con la cultura e lo stile di vita degli Stati Uniti, la sua espan-sione internazionale è stata definita parte dell’americanizzazione e dell’imperialismo culturale americano. McDonald’s è quindi un bersaglio dei contestatori anti globaliz-zazione.

Il mercato italiano apre le porte a McDo-nald’s il 4 novembre 1985 con l’apertura di un punto ristorazione a Bolzano, men-tre l’anno successivo fu la volta di Roma, a Piazza di Spagna. Nel 1993 arriva il servizio alle macchine McDrive. Il 1996 segnò una svolta per McDonald’s Italia, con l’acquisizione della principale socie-tà concorrente avente 80 ristoranti nella penisola, l’italiana Burghy, di proprietà della Cremonini S.p.A.. I clienti serviti in Italia sono, oltre 180 milioni l’anno, circa 600.000 al giorno, con 430 ristoranti in 19 regioni. Anche in Italia, come altrove nel mondo, i ristoranti McDonald’s sono al centro di nu-merose polemiche riguardo la qualità dei pasti distribuiti, il trattamento dei dipen-denti ed anche l’impatto architettonico causato dalla presenza della loro vistosa insegna.

McDrive.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 33

1.14. UNA FORMA “SPECIALE” DI GDO: EATALY

La superficie complessiva è di circa 11.000m2, di cui: 3.200 destinati ad aree didattiche, Museo Carpano e sala con-ferenze, 2.450m2 destinati alla vendita e somministrazione, 820m2 destinati a per-corso coperto aperto al pubblico e il resto destinato ad aree accessorie.

Il 26 gennaio 2007 è stata inaugurata la sede torinese di Eataly, il primo centro in cui percorrere itinerari del gusto fre-quentando corsi a pagamento di edu-cazione alimentare o corsi di cucina con i grandi chef del territorio o soffermarsi nelle aree didattiche a disposizione di tut-ti. Dal 2007 ad oggi sono stati aperti altri 10 punti vendita Eataly tra Italia, Giappone e Stati Uniti. L’ultimo è stato inaugurato a ottobre 2010 a Monticello d’Alba, in pro-vincia di Cuneo.Lo spazio per la ristorazione, articolato in otto aree tematiche più il ristorante Guido per Eataly–Casa Vicina, offre la possibilità

di degustare ogni giorno cibi di alta qua-lità direttamente sul posto oppure di por-tare a casa numerose specialità preparate direttamente dalla gastronomia.Eataly nasce con l’intento di smentire l’assunto secondo il quale i prodotti di qualità possono essere a disposizione solo di una ristretta cerchia di privilegiati, poi-ché spesso cari o difficilmente reperibili.Il marchio riunisce un gruppo di piccole aziende che operano nei diversi com-parti del settore enogastronomico: dalla celebre pasta di grano duro di Gragnano alla pasta all’uovo Langarola, dall’acqua delle Alpi Marittime piemontesi al vino piemontese e veneto, dall’olio della rivie-ra di Ponente ligure alla carne bovina pie-montese, e ancora salumi e formaggi della tradizione piemontese italiana.

Eataly propone dunque il meglio delle produzioni artigianali a prezzi assolu-tamente avvicinabili, riducendo all’osso la catena distributiva dei prodotti e crean-do un rapporto di contatto diretto tra il produttore e il distributore finale, saltan-

Ruota della stagionalità di Eataly.

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do i vari anelli intermedi della catena.L’obiettivo di Eataly è quello di incre-mentare la percentuale di coloro i quali si alimentano con consapevolezza, sce-gliendo prodotti di prima qualità e dedi-cando una particolare attenzione alla pro-venienza e alla lavorazione delle materie prime; ad oggi infatti la percentuale di popolazione che assume un atteggia-mento di questo tipo nei confronti di ciò che mangia è ancora molto bassa ed è spartita tra coloro che detengono un alto potere d’acquisto e tra pochi intenditori, che hanno già ben presente il valore dei prodotti sani e tradizionali.

La filosofia che Eataly adotta in questo senso è duplice: da un lato si trova l’offerta dei prodotti, sia sotto forma di distribu-zione che sotto forma di opportunità di ristorazione, mentre dall’altro esiste un discorso impostato sulla didattica e articolato in corsi di cucina, degustazioni, corsi sulla conservazione corretta dei cibi, didattica per i bambini (tutte attività a pa-gamento). Quest’ultimo aspetto riassume la vera originalità di Eataly e costituisce il punto di partenza per instillare nel con-sumatore una corretta percezione della qualità, in grado di muovere le sane leve del gusto e del godimento che rendono l’essere umano più appagato e felice, nella convinzione che “mangiare bene aiuti a vivere meglio”.

Dall’individuazione dei produttori di ec-cellenza, al reperimento delle migliori ma-terie prime disponibili sul territorio Eataly segue un percorso fatto di rispetto della tradizione ed educazione su un modo di alimentarsi “buono, pulito e giusto”, come

appreso da Slow Food11.Slow Food svolge nei confronti di Eataly il ruolo di consulente strategico, con il compito di controllare e verificare che la qualità dei prodotti proposti sia sempre all’altezza delle promesse e che i produt-tori, entrati a far parte del novero di Eataly, non compromettano la qualità della loro produzione per soddisfare una domanda crescente dei loro prodotti.La concezione di qualità per Slow Food possiede tre precetti sostanziali, dai quali è impossibile prescindere: un alimento deve infatti essere organoletticamente buono, sostenibile dal punto di vista eco-logico e giusto dal punto di vista sociale, all’insegna della ricerca di un piacere ali-mentare responsabile. La massima aspirazione nella promozio-ne di un simile concetto di qualità è che, tanto al consumo quanto alla produzione, queste caratteristiche vengano rispettate e condivise.Si tratta di una visione quasi utopistica e non estranea da ostacoli che costringono a prendere atto del fatto che molte pro-duzioni alimentari “buone, pulite e giuste” hanno in realtà dei limiti strutturali molto forti. Questo accade principalmente per la connaturata limitatezza delle materie prime a disposizione, perché esse non possono essere trasportate troppo lonta-no, ma soprattutto perché incrementare in maniera significativa l’attività dei piccoli produttori significherebbe al contempo comprometterne la perfetta integrazione con ambiente e umanità locali12.

11 Slow Food: Associazione no profit che difende la biodiversità e i diritti dei popoli alla sovranità alimentare, fondata in Italia da Carlo Petrini nel 1986.12 http://www.eataly.it/index.php

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Si tratta di una questione critica davanti alla quale si trova chi intende promuo-vere la “democratizzazione” della qualità alimentare e che rende tanto ambizioso quanto difficile un progetto di questo tipo. Per affrontare con successo queste problematiche Eataly tiene costante-mente presenti questi rischi, ponendosi in un atteggiamento esattamente opposto a quello adottato dalle economie di scala e dal business in generale: in sostanza la ricerca verte sempre sullo sviluppo e non sulla crescita, facendo della qualità il con-cetto alla base di ogni attività gastrono-mica dalla produzione, alla distribuzione, al consumo.

“La polpa della pesca”

Intervista a Oscar Farinetti, ideatore e presidente di Eataly :“…Eataly nasce con l’idea fondamentale di avvicinare la gente comune ai cibi di qualità … E allora abbiamo pensato di creare una sorta di mercato permanente di cibi di alta qualità che integra tre funzioni: comprare,

mangiare e imparare. Questo è un grande luogo aperto e informale: l’informalità vende, crea convivialità, fa parlare le per-sone di diverso ceto e di diversa età; il cibo unisce, mentre la formalità disunisce. Puoi girare liberamente, puoi vedere, mangiare e, se vuoi, studiare i cibi…Quando mi hanno fatto vedere alcune realtà torinesi adatte al mio progetto, mi sono innamorato subito dell’ex fabbrica Carpano, la sede più com-plessa da realizzare, perché richiedeva un restauro lungo e costoso, ma adatta a creare un clima da Old Factory…” Nell’allestimento e nell’esposizione dei pro-dotti Eataly denota un’attenzione proget-tuale per il dettaglio: già dall’ingresso si colgono in un’unica percezione visiva gli ele-menti fondamentali: grafica della didattica, comunicazione, esposizione dei prodotti. “…Creare un punto vendita è come creare una pesca: tu devi partire dal nocciolo, che è fon-damentale, per individuare i valori base del punto vendita; la buccia sono le esperienze che tu vorresti far vivere al tuo cliente dentro al punto vendita, le visioni, gli odori, i profu-

Presidio Slow Food: Castelmagno d’alpeggio piemontese.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 36

mi, che costituiscono il modo di fargli vivere quelle esperienze, il che significa mangiare la polpa. Ecco perché la scelta dell’ambiente e del suo arredamento diventa fondamen-tale… Chi determina i mercati è la doman-da e c’è molta gente disposta a produrre qualità… Eataly assolve a questo compito: creare una domanda di cibi di qualità, con un prezzo di vendita vero, che garantisca al contadino un prezzo sostenibile. Mi sembra un concetto non da poco”13.

1.15. LINEA DEL TEMPO DEI MODELLI DI CONSUMO

Per riassumere i modelli di consumo è sta-to realizzato uno schema che mettesse in relazione quattro variabili con l’evolversi dei modelli.

La variabile storica si identifica con una linea temporale che evidenzia gli avveni-menti più significativi che hanno accom-pagnato lo sviluppo dei modelli.La seconda variabile è legata a società e territorio e per tanto evidenzia le trasfor-mazioni più importanti che hanno mo-dificato gli stili di vita e il rapporto con il contesto rurale e urbano; la variabile eco-nomica invece rappresenta lo sviluppo commerciale. L’ultima variabile rappre-senta le innovazioni tecnologiche, ma non solo, che hanno mutato radicalmente i comportamenti dell’uomo.

13 Torino & Piemonte, City & Design Report 2007, Food Design, pag 34.

1.16. CARATTERISTICHE DEI MODELLI DI CONSUMO

In seguito all’analisi evolutiva dei modelli di consumo, si è resa necessaria la defini-zione di alcune caratteristiche base che delineassero genericamente il modello di consumo stesso. Il raggruppamento di alcuni modelli di consumo per caratte-ristiche simili tra loro ne è stata la diretta conseguenza.Successivamente un’ulteriore suddivi-sione ha permesso di distinguere i modelli caratterizzati da un rapporto di scambio/vendita diretto da quelli basati su un rap-porto di vendita indiretto.

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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo 37

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2. AD OGGIi modelli di consumo attuali

Dal baratto al supermercato, dal bazar al discount, dai centri com-merciali ai farmer’s market, ogni nuovo modello di consumo na-

sce sulla base di un modello preesistente. Come si è visto dalla precedente analisi, i fattori di trasformazione sono quattro: gli avvenimenti storici, i cambiamenti sociali, l’espansione economica e l’innovazione tecnologica. Non si può sempre stabilire con precisione se un determinato fattore abbia portato allo sviluppo di un nuovo modello di consumo, o se sia stato il modello di consumo stesso a modificare abitudini, tecnologie e stili di vita perché molto spesso si creano relazioni parallele non scindibili tra loro. Anche il modello di consumo attuale è basato semplicemente sulla trasformazione e sull’evoluzione di modelli precedenti. In ogni modello, il rapporto tra produzio-

ne e consumo è mediato da due canali: quello distributivo e quello di vendita.

2.1. FILIERA

La Distribuzione

Ai fini di una breve ricostruzione storica del settore distributivo, è utile pensare al processo economico come costituito da tre principali insiemi di attività: un insieme di cui fanno parte le attività di produzio-ne in senso stretto; un insieme di attività di acquisto di beni e servizi, utilizzati dai con-sumatori per soddisfare i propri bisogni; un insieme di attività intermedie tra le prime due, finalizzate al collegamento di produzione e consumo nello spazio, nel tempo e con le modalità desiderate dalla domanda. L’espansione internazionale delle imprese

Polo logistico di distribuzione merci.

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2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali 40

di distribuzione sembra essere la naturale conseguenza di un processo evolutivo in atto ormai da diversi decenni. Parallela-mente all’evoluzione dell’offerta commer-ciale, sollecitata peraltro dalle attese di consumatori sempre più esigenti e con mi-nor tempo a disposizione per gli acquisti, è cresciuta negli operatori della distribu-zione la consapevolezza delle potenzialità di sviluppo del settore, non semplice anel-lo di congiunzione fra produzione e con-sumo finale ma interlocutore autonomo in grado di arricchire il prodotto industriale con i servizi offerti e di orientare le scelte della clientela.

Il settore della distribuzione commer-ciale svolge una funzione di interfac-cia tra produzione e consumo le cui caratteristiche e il cui valore economico dipendono dal maggiore o minore gra-do di integrazione che i due insiemi di soggetti posti in contatto, (produttori e consumatori) esercitano sulla funzione distributiva. Quando avvenne il passag-gio da un’economia di sussistenza ad un’economia di mercato, con la progres-siva sostituzione dell’autoproduzione con lo scambio di beni sul mercato, nacque la figura dell’intermediario specializzato.In effetti, lo sviluppo del settore com-merciale ha seguito lo sviluppo di quello industriale poiché è frutto di un processo di specializzazione che sta alla base della Rivoluzione Industriale: la specializzazione produttiva ha fatto allontanare il singolo produttore dai suoi potenziali compratori e di conseguenza sono diventati evidenti i vantaggi di affidare ad imprese indipen-denti la vendita al consumo dei beni pro-dotti dall’industria.

Alla loro origine i servizi commerciali avevano sono una funzione logistica in quanto il vantaggio fondamentale della presenza di un intermediario specializzato stava, infatti, nel raccogliere i beni di diver-si produttori per proporli ad un universo di compratori molto più vasto di quanto sarebbe riuscito a fare il singolo produt-tore ed in modo economicamente più efficiente. Successivamente però, la fun-zione della distribuzione cessa di essere solo logistica, per assumere una dimen-sione informativa e diventare un “filtro” di informazione/conoscenza tra i due sistemi da un lato, selezionando un assortimento e proponendo proprie politiche di marke-ting dall’altro. Il distributore commerciale diviene da anello subordinato della ca-tena mercantile a soggetto imprendito-riale autonomo e con un proprio potere contrattuale.

Nel corso degli ultimi anni, è avvenuto un progressivo consolidamento della grande distribuzione alimentare a discapito del dettaglio tradizionale. Da un’analisi con-dotta sui fatti degli ultimi dieci anni rilevati dal Ministero dello Sviluppo Economico emerge un perfetto travaso di quota di mercato dall’una all’altra componente commerciale: i negozi tradizionali dal 53% del 1996 sono scesi al 34% del 2007, men-tre la distribuzione moderna è salita nello stesso periodo dal 35,8 al 53,3% di quota.Più in dettaglio i supermercati1, che rap-presentano la quota più rilevante tra i di-versi canali di vendita, dal 30,6% del fat-turato complessivo sono passati nel 2007 al 41,6%, mentre gli ipermercati2 parten-1 Supermercato: struttura con un’area di ven-dita al dettaglio che va dai 400 m² ai 2.500 m².2 Ipermercato: struttura con un’area di

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2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali 41

do dal 6,8%, hanno raggiunto il 13,1% di quota. Sostanzialmente invariato il peso relativo delle superette3, canale distribu-tivo che sta registrando da alcuni anni una riconversione in formule di soft discount4 mentre gli hard discount5 hanno rag-giunto, in poco più di dieci anni, una quota di mercato del 6,8%.Rilevante il processo inverso che ha carat-terizzato, sempre nell’ambito del compar-to alimentare, il dettaglio tradizionale, il cui peso crolla dal 40,6% di inizio periodo al 19,5% attuale6.

La Provenienza

Sul piano ambientale ogni pasto per-corre lunghi viaggi con aerei, navi o ca-mion. Le ciliegie arrivano dal Cile, i mirtilli dall’Argentina, le angurie dal Brasile, i porri dalla Germania, lo scalogno dalla Turchia, i ravanelli dai Paesi Bassi, di pere ce ne sono quattro tipi ma soltanto uno è Made in Italy, gli altri arrivano da Spagna e Sudaf-rica. Oggi s’importano anche i prodotti di stagione, non soltanto le primizie. Gli agri-coltori sostengono che questa situazione non sia più accettabile: anche i consuma-tori ci perdono, in qualità e sicurezza e ol-tretutto spendono di più, pagano anche il gasolio quando comprano frutta e verdura d’importazione.

vendita al dettaglio superiore ai 2.500 m².3 Superette: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai 200 m² ai 400 m².4 Soft discount: generalmente di superficie più grande rispetto all’hard discount (700/800 m2), ha diffusi prodotti di marca industriale e almeno 1500 refe-renze.5 Hard discount: oltre a non avere prodotti di marca ha generalmente superfici più contenute rispetto al soft discount.6 Fonte Istat

I mirtilli cileni si pagano 18 euro al Kg, quel-li italiani meno di 16; per le pere Forelle del Sudafrica si spende 4 euro al Kg e le Wil-liam spagnole erano più care delle William italiane: 2,49 euro al Kg contro 2,19. E’ stato calcolato che 1 Kg di ciliegie dal Cile per giungere sulle tavole italiane deve percorrere quasi 12.000 Km con un con-sumo di 6,9 Kg di petrolio e l’emissione di 21,6 Kg di anidride carbonica, mentre 1 Kg di mirtilli dall’Argentina deve volare per più di 11.000 Km con un consumo di 6,4 kg di petrolio che liberano 20,1 Kg di anidride carbonica e l’anguria brasiliana viaggia per oltre 9.000 Km, brucia 5,3 Kg di petrolio e libera 16,5 Kg di anidride carbonica per ogni chilo di prodotto, attraverso il tra-sporto con mezzi aerei7.Comprando prodotti locali si possono risparmiare 100 euro al mese (su 467 di spesa media per famiglia) ma anche 1.000 Kg di CO2 l’anno8.

I Prezzi della Filiera

In un paese dove l’86% dei trasporti av-viene su gomma, l’aumento dei pedaggi stradali pesa notevolmente sulla spesa alimentare con i costi della logistica che incidono per quasi un terzo nella frutta e verdura. Con ogni pasto che percorre in media quasi 2.000 Km prima di giungere sulle tavole, l’aumento dei costi determina un effetto valanga sulla spesa9. La spesa in Italia è più cara dell’8% rispet-to alla media europea per la presenza di speculazioni e distorsioni lungo la filie-ra che fanno aumentare di cinque volte i prezzi dal campo alla tavola. 7 http://www.coldiretti.it/8 Fonte Istat.9 http://www.coldiretti.it/

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2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali 42

Le piccole e medie imprese sono soggette alle stesse scorrettezze che colpiscono i consumatori per colpa dei nuovi poteri forti della filiera agroalimentare come la grande distribuzione commerciale che sfrutta il suo potere di mercato nei con-fronti degli agricoltori e dei consumatori. Il risultato è che molti agricoltori non rie-scono a coprire i costi di produzione men-tre al consumo per i cittadini la spesa è più pesante di altri Paesi dell’Unione Europea.

I prodotti alimentari hanno contribuito in maniera decisiva al rallentamento dei prezzi nella seconda metà degli anni ’90 ma negli ultimi anni un numero limitato di merceologie alimentari ed in particolare gli ortofrutticoli freschi e le consumazioni extradomestiche hanno evidenziato una crescita dei prezzi maggiore della media italiana.Per ogni euro speso dai consumatori per l’acquisto di alimenti oltre la metà (60%) va alla distribuzione commerciale, il 23% all’industria di trasformazione e solo il 17% per remunerare il prodotto agricolo.

Alcuni esempi di come il consumatore pa-ghi la filiera e non il prodotto stesso:• passata di pomodoro: costo pomodoro 8,6% - costo filiera 91,4% ;• pasta: costo grano 9% - costo filiera 91% ;• vino in bottiglia: costo uva 10% - costo filiera 90% ;• olio extravergine: costo olive 29% - costo filiera 71% ;• carne suina: costo animale 19% - costo filiera 81% ;• latte: costo latte 25% - costo filiera 75% .

La ricerca di una maggiore qualità del prodotto consente di soddisfare le esi-genze del consumatore e costruire con lui un rapporto duraturo: maggiore efficienza della filiera alimentare permette a parità di qualità di recuperare valore a vantaggio dei produttori e dei consumatori. Bisogna eliminare tutti gli intermediari possibili per avvicinare i diretti interessati (chi produce e chi mangia). C’è quindi una ragione in più per consumare prodotti locali e di sta-

Trafila in bronzo per la lavorazione della pasta.

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gione che non devono percorre lunghe distanze prima di arrivare sul banco di vendita10. Nelle prossime pagine verranno analiz-zati dodici diversi modelli di consumo e ognuno presenterà un approfondimento specifico sullo schema di filiera.

2.2. CASI STUDIO

Sono presenti ad oggi diversi modi di ac-quistare e consumare, ma se si osservano con attenzione si può notare come questi possano essere categorizzati in dodici modelli sulla base delle loro caratteristiche intrinseche.

Per semplificare la struttura dei vari mo-delli di consumo, è stata compiuta una grande suddivisione volta ad analizzare il tipo di rapporto che si può instaurare tra produttore e consumatore o tra consuma-tore e consumatore e mette in evidenza come gli stereotipi di vendita cambino radicalmente se si ha la possibilità di in-teragire direttamente con il produttore o se ci si debba interfacciare con altre figure che fungono da intermediari tra i due. Nel caso di rapporto diretto, il con-sumatore ha la possibilità di scambiare informazioni, saperi ed esperienza con chi produce e si instaura un processo di comunicazio-ne bidirezionale tra i due; ac-quistando direttamente si può scegliere in base ad esigenze specifiche, conoscere ciò che si compra e non è il mercato a decider-ne i prezzi.Quando si parla di rapporto indiretto invece il consumatore si trova di fronte a 10 http://www.coldiretti.it/

scelte che qualcun altro ha già compiuto per lui a monte; può ottenere qualche in-formazione esclusivamente leggendo le etichette ed è portato a dare fiducia a qual-cosa di immateriale con il quale non potrà mai avere un dialogo. Il prezzo dei prodotti è sempre imposto e il grande numero di passaggi che allontanano il produttore dal consumatore si riflette oltremodo sul co-sto finale che aumenta in modo esponen-ziale. La filiera dunque tiene conto della logistica e della movimentazione merci che dal luogo di produzione al consuma-tore passa attraverso i canali distributivi, i poli di smistamento merci, i magazzini di stoccaggio fino a raggiungere il punto vendita. All’interno di queste due macroa-ree, sono stati inoltre individuati i modelli di consumo basati sulla vendita e quindi sullo scambio di denaro in cambio di un prodotto, e quelli basati sullo scambio re-ciproco di prodotti di diversa natura.

Di seguito sono riportati i 12 modelli di consumo: per facilitarne la comprensione e il funzionamento, si è pensato di legare ognuno di essi ad un caso studio emble-matico che rispecchiasse il più possibile le caratteristiche principali del modello preso in considerazione. L’analisi dei casi studio si struttura median-te tre schemi: nel primo vengono delineati i flussi e le componenti più importanti che influenzano il rapporto tra consumatore e produttore; nel secondo si mette in evi-denza la logistica che movimenta le merci mentre nel terzo si analizza criticamente ogni variabile di cia-scun modello di con-sumo.

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2.2.1. Grande Distribuzione Organizzata (GDO)

La grande distribuzione organizzata è un sistema che permette di avere tutti i giorni e in tutte le stagioni prodotti altri-menti introvabili e difficilmente reperibili sul territorio, prodotti apparentemente freschi, ma in realtà confezionati da grandi marche, sinonimo di garanzia e di qualità sia del prodotto stesso sia del punto ven-dita che deve sapersi distinguere rispetto alla concorrenza. Nei supermercati di oggi, c’è la possibilità di acquistare di tutto, da frutta e verdura proveniente dall’altro

capo del mondo, a carni e prodotti parti-colari maggiormente in voga, permetten-do a tutti di gustare particolari pietanze anche fuori stagione. Per poter distribuire prodotti freschi e surgelati tutti i giorni e per tutto l’anno, le aziende devono saper gestire e controllare in maniera ottimale un elemento fondamentale per la conser-vazione della qualità: questo elemento è il freddo e tutto ciò che comporta. La GDO per offrire alla clientela un prodotto fresco e con tutti i requisiti di qualità deve garan-tire l’efficacia dell’intera “catena del freddo” che ha inizio dalla lavorazione del prodot-to stesso al suo consumo nelle case degli utenti finali.

I supermercati o gli ipermercati, come nel caso specifico Carrefour, sono solitamente collocati fuori città, date le grandi necessità di spazio, e sono di conseguenza scomodi da raggiungere a piedi o con i mezzi pub-blici; lo stile di vita odierno porta molte famiglie ad organizzare grandi spese nel fine settimana: carrelli colmi di prodotti, cartelloni pubblicitari ovunque, offerte 3x2, sconti del 10% per chi possieda la “tessera socio”, milioni di buste di plastica e confezioni colorate, macchine caricate al limite della chiusura del baule… Sembra uno scherzo, ma basta andare in un qual-siasi supermercato il sabato pomeriggio e la situazione è proprio questa. L’assortimento è ampio: le tipologie di prodotto sono molto diverse tra loro (dai beni di prima necessità ai televisori HD), ma è anche vero che provengono da tutto il mondo senza alcuna riflessione su costi e danni di filiera. La disposizione interna delle aree merceologiche e soprattutto dei prodotti sugli scaffali è regolata da Spesa in grandi quantità.

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consolidate strategie di marketing volte ad attrarre e attaccare i consumatori meno attenti.

Questo modello di consumo è basato sulla ricerca dell’offerta a discapito della qua-lità: gli ingenti quantitativi di merci gestiti dai supermercati permettono loro di ap-plicare sconti sul prezzo e influenzano il consumatore ad acquistare più del neces-sario. Le conseguenze portate da questo modello di consumo sono oggigiorno in-sostenibili: troppi gli sprechi di cibo, troppi imballaggi e confezioni usa e getta, troppi Km di viaggio con relative emissioni dan-nose nell’ambiente in cui si vive. Troppi aspetti negativi.

In termini di punti vendita la distribuzione moderna in Italia, relativamente al solo comparto alimentare, oggi rappresenta una realtà fatta di 19.500 unità (+41% ri-spetto a dieci anni fa), di cui 8.760 super-mercati (+43%), 390 ipermercati (+125%), 6.830 superette (+24%) e 3.550 hard di-scount (+76%).

Reparto ortofrutta di un supermercato.

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2.2.2. Monomarca e Franchising

Il monomarca è una tipologia di punto vendita che si distingue per la vendita di prodotti esclusivamente di un solo mar-chio. Il monomarca può essere diretto o affiliato: nel caso di monomarca diretto, il personale è alle dirette dipendenze dell’azienda che gestisce il prodotto; se il monomarca affiliato, è invece gestito da un titolare indipendente che si affida alle scelte di un’azienda già affermata nella produzione di un servizio/bene. Questa affiliazione prende il nome di franchi-sing e si tratta di una strategia di vendita particolarmente consolidata nel campo dell’abbigliamento.

In questo modello di consumo il rap-porto tra produttore e consumatore può essere definito semi-diretto in quanto il punto vendita funge le veci del produt-tore; infatti, in qualsiasi parte del mondo il monomarca ha un’identità ben precisa ed omologata rendendo riconoscibile il mar-chio di fabbrica e presentando la stessa

gamma di articoli con leggere variazioni di prezzo a seconda della nazione. Ogni ne-gozio della catena ha l’obbligo di seguire le regole imposte dalla casa madre, senza l’intervento di alcun intermediario. Da una parte questa evidente omologazione por-ta il consumatore a riconoscere in questa tipologia di negozio un certo senso di si-curezza ovunque si trovi (ci si sente para-dossalmente “a casa”), ma d’altra parte è palese il fatto che, così come il luogo di vendita, anche il prodotto di per sé sia massificato e identico ovunque.

Il caso studio, H&M, è un esempio di monomarca che ad oggi conta oltre 1.600 punti vendita in 38 paesi e più di 50.000 dipendenti; è diventata una delle marche più famose del mondo, con testimonial uf-ficiali come Madonna, improvvisata stilista di moda. In ogni parte del mondo, in ogni negozio H&M, si trovano gli stessi abiti, gli stessi al-lestimenti e gli stessi prezzi. E’ un modello di consumo che offre un’ampia scelta di capi, dai jeans ai trucchi, dalle camicie agli

H&M Svezia.

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stivali, e che offre sul mercato prodotti di qualità, garantita dal marchio, solitamente ad un prezzo molto vantaggioso.

Questo è dovuto al fatto che il produttore, l’unico con potere decisionale, ha potuto eliminare gli intermediari di troppo: la pro-duzione di H&M, infatti, pur essendo delo-calizzata in diverse aree del mondo, è stata in grado di ridurre i costi di filiera organiz-zando spedizioni di merci direttamente dal luogo produttivo ai diversi punti vendita. Questi ultimi diventano automaticamente magazzini di stoccaggio: in questo modo la filiera si accorcia, si riducono i passaggi e i trasporti merce, le decisioni sono uniche e vengono prese solamente dal produt-tore. Ovviamente ciò che si perde è il le-game con le materie prime e le produzioni del territorio, non si hanno informazioni utili sul tipo di produzione o sulle caratte-ristiche dei processi produttivi.

Catalogo H&M Autunno/Inverno 2010.

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2.2.3. Vendita di prossimità (food)

Si tratta di un modello di consumo identifi-cabile in un piccolo esercizio commerciale, generalmente collocato nei centri abitati, solitamente composto di un ambiente per la vendita e di un adiacente laboratorio artigianale dove si trasforma la materia prima.Spesso la gestione di questi piccoli punti vendita è a conduzione familiare e i clienti instaurano un immediato rapporto di fi-ducia con il venditore.

Il processo industriale che ha subito una forte accelerazione dal secondo dopo-guerra, unitamente all’imposizione della

GDO sulla vendita di prossimità, ha por-tato alla quasi totale scomparsa dei piccoli negozietti di vicinato specializzati nella produzione artigianale di beni di prima necessità. Ne sono un esempio i fornai e le piccole panetterie che, parallelamente alla propria produzione di qualità, ora si trovano costretti ad ampliare la loro gam-ma di offerta inserendo alcuni prodotti di largo consumo che provengono da tutto il mondo.

In questo modello di consumo convivono quindi due situazioni differenti: da una parte cerca di incentivare la produzione propria locale e il rapporto diretto con il consumatore, dando molto importanza alla qualità a discapito di un prezzo non sempre vantaggioso, dall’altra cerca di non essere soppiantato dalla GDO offren-do prodotti di varia natura, provenienza e marca. Così facendo però sminuisce la propria produzione di qualità con prodotti confezionati, a lunga conservazione e di cui non si hanno nozioni né sulla materia prima impiegata né tantomeno sui pro-cessi di trasformazione e di distribuzione; inoltre, il piccolo negozio non ha la pos-sibilità di acquistare in grandi quantitativi e quindi il consumatore si trova a dover strapagare anche i prodotti di massa.

La panetteria Piero & Gigliola di Rivarolo Canavese rispecchia queste caratteristiche e per tanto offre una produzione propria di pane, grissini e prodotti di pasticceria, freschi e locali, ma in più presenta scaf-fali ricchi di prodotti tipici dei supermer-cati (pasta, bevande, sughi, biscotti, …). I produttori, nonché venditori, possiedono conoscenza e risposte da offrire ai con-Produzione propria di giornata.

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sumatori per tutto ciò che riguarda la loro produzione mentre non sanno nulla degli altri prodotti in vendita. Anche le modalità di acquisto differiscono tra loro: se per il pane è necessaria la presenza di una per-sona qualificata che, oltre a vendere il pro-dotto, sa dare informazioni utili al riguardo, per le merci di largo consumo si passa ad una modalità di acquisto self-service.

Rapporto informale tra produttore e consumatore.

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2.2.4. Vendita di prossimità(non food) Il punto vendita multimarca (in questo caso di abbigliamento) è un esercizio commer-ciale di proprietà e gestione di un privato, per lo più si colloca nei centri abitati. Per quanto riguarda questi punti vendita, è il proprie-tario a dover decidere la tipologia di segmento di prodotti da vendere per poter contattare le aziende e chiedere loro la disponibilità del prodotto nella sua atti-vità commerciale. Questo perché i negozi chiedono di avere l’esclusiva sulla marca che vendono e richiedono di poter coprire una determinata area del territorio per evi-tare la concorrenza diretta. Può comunque anche capitare che invece siano i rappre-sentanti di nuovi marchi e aziende a con-tattare i proprietari dei negozi per poter inserire i prodotti che rappresentano nella gamma vendita.

L’identità del negozio è propria e unica, nel senso che è il proprietario stesso a ge-stire l’immagine, la gestione interna dello

spazio e la modalità di presentazione dei prodotti. Si può, nonostante ciò, notare come aziende e proprietari tendano a presentare sempre determinati brands affiancati l’uno all’altro perché questi s’identificano in una stessa filosofia di stile.

L’acquisto dei prodotti da parte dei riven-ditori verso le aziende avviene a scansione stagionale: primavera/estate e autunno/inverno. Sono i rappresentanti a fare le veci delle aziende nelle diverse aree geogra-fiche (province, regioni, …) e a dover pre-sentare le due collezioni annuali ai propri clienti-rivenditori.L’acquisto dei prodotti delle nuove col-lezioni avviene sempre un anno prima la stagione corrente, esempio: la collezione Primavera Estate 2011 è stata acquistata durante la Primavera Estate 2010. Questo diventa un enorme rischio per un riven-ditore che deve esporsi ed investire su prodotti sperando di prevedere le scelte che faranno i propri clienti con un anno di anticipo. C’è da considerare che ad oggi

Vetrina Metamorphosi a Rivarolo Canavese (TO).

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sta aumentando la tendenza di lavorare sul “pronto”, ovvero presentare degli shot delle collezioni a intervalli di tempo più breve, questo per facilitare la gestione dei prodotti e delle spese da parte dei clienti-rivenditori.

Inoltre il ricarico sui prodotti è ovviamente superiore rispetto ad un prodotto di un monomarca dove è l’azienda stessa a in-vestire su di sè e a farsi carico delle spese mentre un privato deve far fronte ai paga-menti anticipati dei prodotti e alle sue spedizioni (non considerando le spese di gestione del punto vendita stesso).Inoltre per un multimarca è molto più facile ritrovarsi con ingenti fondi di magazzino e invenduti, dato che la maggior parte delle aziende non seguono le modalità del “con-to-vendita”. I rappresentanti delle aziende spesso rappresentano marchi da tutta Eu-ropa e dal mondo, senza considerare che le sedi delle aziende, per la maggior parte dei casi, non corrispondono con i luoghi di produzione e confezione dei prodotti.

Il caso studio riguarda Metamorphosi, un piccolo negozio di Rivarolo Canavese, per uomo e donna, rivenditore di marche come: North Sails, Daniele Fiesoli, Die-sel (Italia) Desigual, Pepe Jeans London, Lavand (Spagna) Scotch & Soda, Wool (Olanda). La tipologia di prodotto è rivolta ad una clientela prettamente sportiva per l’uomo e più versatile per la donna. Un negozio di prossimità come Metamor-phosi garantisce un rapporto diretto tra rivenditore e cliente. Anche la fidelizza-zione è diretta perché si crea un reale rap-porto interpersonale con i clienti, che hanno la possibilità di essere aiutati nella scelta.

Interno Metamorphosi a Rivarolo Canavese (TO).

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2.2.5. Vendita diretta (food)

Il mercato del contadino, comunemente definito Farmer’s Market, è uno spazio in cui i prodotti ortofrutticoli vengono messi in vendita direttamente dal produt-tore al consumatore. Questa innova-tiva quanto antica modalità di vendita è un’occasione unica per promuovere le produzioni locali e stagionali. Il rapporto diretto che si instaura tra chi produce e chi consuma elimina il numero degli in-termediari commerciali diminuendo così il

prezzo finale: in questo caso si può parlare di “filiera corta”.

I Farmer’s Market sono spazi per la ven-dita di prodotti alimentari gestiti diretta-mente dagli imprenditori agricoli. Divenuti popolari in California negli anni ‘90, costituiscono oggi una realtà in rapida espansione in numerosi paesi europei e recentemente stanno suscitando grande interesse anche in Italia. Questa nuova modalità di distribuzione, conosciuta an-che con il nome di “produzione e vendita a Km zero” consente, infatti, di ridurre i passaggi dal produttore al consumatore fi-nale, con notevoli benefici in termini di tu-tela e miglioramento dell’ambiente, mag-giore qualità e minor costo dei prodotti.

La formula distributiva del mercato orto-frutticolo in Italia, quale luogo dove ac-quistare frutta e verdura fresca, fa parte della storia dei centri urbani e ne sono testimonianza i diversi mercati presenti sull’intero territorio che sono ancora attivi. Mentre i mercati tradizionali hanno come caratteristica venditori che acquistano i prodotti freschi presso un polo agroali-mentare che fornisce e distribuisce a livel-lo regionale, nei Farmer’s Markets la figura del produttore e del venditore coincide.

Il modello di consumo basato sulla ven-dita diretta di alimenti freschi permette al consumatore di risparmiare fino al 30% del prezzo medio oggi disponibile sugli altri canali distributivi, ma soprattutto di consumare prodotti dalle caratteristiche organolettiche e nutrizionali superiori e controllare di persona la qualità di ciò che mangia.Vendita diretta da parte dei produttori.

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Questi mercati vogliono essere una op-portunità per avvicinare la domanda e l’offerta non solo per abbattere i costi di distribuzione, ma anche per ridurre la distanza tra città e campagna e, quindi, contribuire a divulgare la cultura del ter-ritorio.

In Italia questo modello di consumo è an-cora poco consolidato e vengono organiz-zati piccoli eventi con cadenza mensile all’interno dei quali i contadini portano in città i loro prodotti mentre si verifica più

frequentemente che il consumatore vada direttamente presso le aziende agricole di interesse. Nel resto d’Europa molti pic-coli supermercati offrono la possibilità ai produttori locali di esporre la loro merce all’interno del supermercato stesso; il con-sumatore può trovare facilmente infor-mazioni sui cibi che intende acquistare e/o contattare direttamente chi li produce.

Prodotti brutti ma buoni.

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2.2.6. Vendita diretta (non food)

Nella vendita diretta s’instaura un rappor-to di collaborazione bidirezionale tra le parti. Nel caso di prodotti non legati alla sfera dell’alimentare, il consumatore ha grande libertà di scelta e può influenzare quello che sarà il prodotto finale facen-dolo realizzare in base a quelle che sono le sue esigenze specifiche. Il produttore deve poter offrire un’ampia scelta tra le possibilità e quindi deve es-

sere in prima persona flessibile e in grado di organizzare la sua produzione secondo le richieste.

In questo modello di consumo è molto importante la qualità che viene data al prodotto, a partire dalla scelta delle ma-terie prime e al processo di produzione solitamente artigianale e adatto per pic-coli numeri. Date queste caratteristiche ne consegue che il luogo di produzione e di stoccaggio spesso coincidano con il luogo di vendita riducendo notevolmente i pas-saggi di filiera e rendendo trasparente il processo di trasformazione. Il fatto di non necessitare di grandi spazi permette a questi modelli di potersi collocare nei cen-tri abitati e di rendere unici e personaliz-zati gli allestimenti di vendita.

Pur mantenendo un buon rapporto qua-lità prezzo, il consumatore non ottiene un qualsiasi prodotto nato da un processo industrializzato e omologato, bensì un prodotto realizzato appositamente per lui, su misura. In questi casi, si è però di fronte ad un processo di acquisto non immediato dovuto ai tempi di attesa per la preparazio-ne e trasformazione del prodotto ad hoc.Rispecchiano queste caratteristiche, punti vendita come le sartorie, nel caso studio specifico la Camiceria Moda Tre Re, una piccola sartoria a Ozegna Canavese. Il consumatore ha la possibilità di conoscere di persona il produttore, discu-tere con lui la trasformazione delle materie prime e magari interagire durante la realiz-zazione del prodotto stesso.

La camicia, o l’abito, su misura non è ne-cessariamente “una cosa da ricchi”, anche Creazione di prodotti su misura.

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se l’immagine del su misura rimane sem-pre qualificante e dà quel tocco di elegan-za che attrae sempre più i consumatori an-che giovani alla ricerca di distinzione unita all’emozione di provare l’acquisto di un prodotto esclusivo, ma non impossibile.La crisi sta aiutando il settore: il carovita ha contribuito a diminuire il divario economi-co tra “fatto in serie” e “fatto a mano”. Così, capita ormai sempre più spesso che i prezzi di un completo su misura non si discostino moltissimo da quelli esposti in una vetrina di un negozio specializzato in centro città. Non tutti possono permet-tersi l’abito su misura, ma vestirsi bene è un’esigenza che anche le fasce più giovani cominciano a sentire: chi compra una ca-micia su misura è consapevole del fatto che il prodotto è di qualità, unico e per-sonalizzato.

Produzione propria.

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2.2.7. Vendita diretta a distanza

Con vendita diretta a distanza s’intende l’insieme delle transazioni per il commer-cio di beni e servizi tra produttore e con-sumatore o tra consumatore e consuma-tore, realizzate tramite Internet ed è un mercato in continua espansione.

In questo modello di consumo si instau-rano rapporti diretti di compravendita in-formali dove spesso il venditore va incon-tro al consumatore contrattando il prezzo

di vendita; grazie ad uno strumento come Internet è possibile organizzare spedizioni anche dall’altra parte del mondo e ricevere direttamente a casa il prodotto, con prezzi contenuti a discapito di possibili lunghe attese. Le trattative di acquisto si svilup-pano ed evolvono in tempo reale con la possibilità di inviare e ricevere messaggi e mail per comunicare direttamente con il venditore/acquirente.

Le categorie merceologiche sono le più di-verse da prodotti nuovi ad usati, dai vestiti alle automobili, dai computer alle figurine dei calciatori; la procedura prevede, per la maggior parte delle volte, pagamento anticipato, difficile che si accettino paga-menti in contrassegno, questo però con il rischio che il prodotto disattenda le aspet-tative e diventi difficoltoso attuare la pro-cedura di reso.

Il caso ebay è una piattaforma che offre ai propri utenti la possibilità di vendere e comprare oggetti sia nuovi che usati, in qualsiasi momento, da qualunque posta-zione Internet e con diverse modalità, in-cluse le vendite a prezzo fisso e a prezzo dinamico, comunemente definite come “aste online”.La vendita consiste principalmente nella offerta di un bene o un servizio da parte di venditori professionali e non e gli ac-quirenti fanno offerte per aggiudicarsi la merce.Vengono applicate tariffe, interamente a carico dei venditori, sia per pubblicare un qualsiasi tipo di inserzione sia sul valore finale dell’oggetto venduto.

Computer: il mezzo di comunicazione.

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Qualunque acquirente può essere anche venditore , in entrambi i casi al termine di ogni transazione, l’acquirente e il venditore possono formulare un giudizio recipro-co lasciando un commento di feedback, che consiste in una valutazione positiva, negativa o neutra e un breve commento. Il “sistema dei feedback” è molto importante perché la fiducia nei confronti di un utente si basa molto sulle opinioni espresse dai sui precedenti acquirenti o venditori, e questa è proporzionale al suo profilo di feedback.

Sede ebay in California.

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2.2.8. Sfuso

Questo modello di consumo rappresenta una modalità di spesa self-service senza imballaggi e quindi più leggera sia a li-vello ambientale sia economico e pro-pone al consumatore una selezione di merci acquistabili non in dosi prestabilite, ma scelte in base alle necessità. In questo modo si evitano sprechi, oltre che di pack-aging, di cibo in quanto si presuppone che si acquisti il giusto, di volta in volta.

I prodotti vendibili sfusi possono apparte-nere a diverse categorie merceologiche, dai cereali alla pasta, dalla farina al caffè, dalle uova al riso, e devono rispettare precisi requisiti di sicurezza e igiene: per questo sono prodotti che solitamente richiedono ancora un procedimento di trasformazione in ambito domestico. Per quanto riguarda invece i prodotti liquidi sfusi è ormai di uso comune l’utilizzo di distributori self-service con funzionamen-to automatico e chiusura ermetica che evi-tano il contatto diretto con gli utenti nel

rispetto delle norme igienico sanitarie.

Il Negozio Leggero è un nuovo punto vendita in franchising, nato nella realtà to-rinese, che propone questo tipo di spesa; gli allestimenti sono predisposti ad hoc per la vendita sfusa e sono disponibili in loco diversi contenitori (dimensione, for-ma, materiale, ...) riutilizzabili.Oltre a Torino, sono stati aperti anche i Ne-gozi Leggeri di Novara, Cuneo e Brescia; da poco inaugurata la seconda sede torinese vicino a Piazza Castello e Via Garibaldi.

Il fresco non rientra al momento tra le ti-pologie merceologiche presenti nel punto vendita per problemi di logistica. Sono però in atto nuove iniziative che preve-dono l’ordinazione di cassette di frutta e verdura da agricoltura biologica per per-mettere ai consumatori di ottenere pro-dotti stagionali e soprattutto freschi.

Proprio per questo il Negozio Leggero cerca di garantire una gamma completa di prodotti di qualità, dal biologico al locale

Negozio leggero.

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fino al prodotto tradizionale per offrire ai clienti ampia possibilità di scelta. Il punto vendita in sé costituisce la prima grande novità. Questa tipologia di vendita, prima limitata solo ad alcuni prodotti, oggi trova un luogo dove far convergere tutte le sin-gole esperienze in un’unica realtà.Numerosi, ancora oggi, sono infatti i ten-tativi di inserire la vendita dello sfuso all’interno di catene di grande distribuzio-ne organizzata. Il risultato è un’incoerenza di filosofie di vendita che tendono in qual-siasi caso a far soccombere la vendita dei prodotti “alla spina”, trascurati e non ben comunicati: il consumatore non viene e-ducato a questo tipo di acquisto, ricaden-do sulla modalità da lui conosciuta.

Il marchio Negozio Leggero si propone di diventare simbolo di un vero e proprio stile di vita orientato alla sostenibilità.

Vendita di liquidi sfusi.

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Dati percentuali basati su fonti Istat.

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2.2.9. Scambio diretto

Prima dell’introduzione del denaro, l’unico modo per scambiare le merci era il ba-ratto, in altre parole lo scambio diretto di beni con altri beni. In un’economia di sus-sistenza, la produzione era determinata da certi vincoli in modo tale che essa bastasse al solo consumo che permettesse di so-pravvivere; le eccedenze venivano scam-biate con altre tipologie di prodotti.I primi scambi avvennero tra agricoltori ed allevatori e permisero ad entrambi di varia-

re la propria alimentazione introducendo cibi diversi dalle loro produzioni. Il baratto era una modalità semplice di scambio, ma soggetta a diversi problemi: uno dei quali era costituito dai vincoli di tempo. Chi avesse voluto scambiare merci di tipologie assai diverse, infatti, avrebbe potuto farlo solo quando entrambe le merci fossero state disponibili nello stesso tempo e nello stesso spazio.

Oggi in economia, il baratto viene definito come un’operazione di scambio bilaterale o multilaterale di beni o servizi fra due o più soggetti (individui, imprese, enti, ...) senza uso di moneta.Il valore dei beni oggetto dello scam-bio viene considerato sostanzialmente equivalente fra le parti, senza ricorrere esplicitamente ad un’unità di misura di valore monetario dei beni stessi; il valore di equivalenza si raggiunge attraverso la considerazione qualitativa e quantitativa delle merci scambiate.

Dato che oggi la moneta è diventata il principale mezzo commerciale, l’attività di scambio viene vista come un atto oc-casionale e alla moda. Infatti, le merci scambiate possono essere di qualsiasi tipo e quasi mai alimenti, nuove e/o usate, acquistate precedentemente o auto-prodotte da uno dei due partecipanti allo scambio. Tra le forme più particolari di ba-ratto, sono in voga scambi di appartamen-ti nei periodi estivi, di accessori e vestiti per appuntamenti importanti o di oggetti di uso comune che diventano materia di collezione.

Scambio di prodotti del proprio orto tra vicini.

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Questo modello di consumo rappresenta una modalità di scambio di prodotti tra due soggetti che interagiscono diretta-mente tra loro. Entrambi sono sia produt-tori sia consumatori in quanto offrono un proprio prodotto in cambio di un altro di loro interesse. E’ una forma di consumo molto libera, dove gli interessati non hanno legami tra di loro e lo scambio può avvenire con chiunque ed in qualsiasi mo-mento con cadenze regolari o occasional-mente. In questo modo i soggetti possono scegliere tra tante offerte ed avere più possibilità di trovare quello che stanno cercando. E’ il valore soggettivo che dà importanza allo scambio.

In particolare, lo scambio di cibo avviene solitamente tra persone di fiducia (vicino di casa, amico di famiglia, …) che possie-dono un piccolo orto e che talvolta produ-cono più di quanto necessitino; in questo caso si cerca lo scambio per evitare sprechi. Nel caso di scambio alimentare, dato che i cibi freschi si deteriorano in pochi giorni, si può parlare di prodotti a Km zero: man-

cano completamente i passaggi di filiera e di conseguenza la materia di scambio è del territorio e di stagione.Allo stesso modo, anche prodotti di altre categorie merceologiche (abbigliamento, strumenti tecnologici, attrezzature, …) vengono scambiati invece di essere but-tati via: così facendo la vita degli oggetti si allunga, chi non li vuole più se ne libera e coloro a cui servono non hanno bisogno di acquistarli.Inoltre, non esiste un luogo specifico dedi-cato a quest’attività, ma si crea volta per volta un accordo ad hoc tra le parti.

Esempio di riuso di generazione in generazione degli abiti dei bambini.

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2.2.10. Scambio diretto di servizi

Oggi viviamo costantemente alle dipen-denze dell’orologio e regna sovrana la frase “il tempo è denaro”. La diretta conseguenza di una vita così frenetica è stata la nascita d’imprese che offrono consulenze e servizi in grado di ottimizzare il “tempo”.Parallelamente a queste imprese a paga-mento, si è disegnato un nuovo modello di consumo: lo scambio diretto di beni im-materiali.

Nascono così le Banche del Tempo: as-sociazioni basate sullo scambio gratuito di tempo.Nate nei primi all’inizio del 2000, hanno conosciuto un notevole sviluppo e sono state oggetto di centinaia di articoli, in-terviste e pubblicazioni. La particolare at-tività coinvolge persone assai diverse per età, condizioni sociali e culturali. L’età me-dia si sta progressivamente abbassando in quanto l’utilizzo costante dell’informatica ha coinvolto anche le fasce giovani della società.

Ciascun partecipante versa una quota associativa annuale e mette a disposizio-ne un certo numero di ore per una data competenza da offrire ad un altro. Tutti gli scambi sono gratuiti, ma può essere previsto un rimborso spese per i mezzi di trasporto o eventuali materiali utilizzati nel lavoro svolto. Le attività sono molto diverse: lezioni di cucina, manutenzioni casalinghe, babysit-ter, cura di piante e animali, prestito di attrezzature varie, ripetizioni scolastiche e italiano per stranieri, organizzazione di eventi, riunioni o feste.

La Banca del tempo fa riferimento a fina-lità ed azioni in un certo senso già presenti nell’esperienza sociale quotidiana: pagare le nostre bollette insieme a quelle di altri; offrire un trasporto in auto ad un’altra per-sona che ne è priva; andare a prendere al nido il proprio bambino insieme a quello dei vicini; annaffiare le piante agli amici in vacanza; aiutare a preparare una cena; sistemare un orlo ad un abito, e altro an-cora. Nonostante ciò, dare visibilità, legit-timità, senso positivo e organizzazione a Il tempo è denaro.

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queste e altre attività non è semplice né alla portata di qualsiasi contesto. I bisogni e i piaceri depositati nella Banca del tempo appartengono alla sfera delle relazioni di buon vicinato. Sono cioè azioni semplici di solidarietà tra individui che abitano nello stesso palazzo, nella stessa strada o piazza, nello stesso quartiere, i cui figli frequen-tano lo stesso asilo o la stessa scuola.

Questo modello di consumo si basa sulla creazione di una rete di rapporti tra le persone e punta alla valorizzazio-ne di esperienze e competenze, oltre all’ottimizzazione del tempo. Solitamente in ogni città è presente una Banca del Tempo e per questo motivo gli aderenti tendono ad iscriversi e a scambiare le loro prestazioni all’interno del raggio cittadino. Entrare a far parte di una Banca del Tem-po non significa solamente socializzare e creare nuovi legami di amicizia, ma dare fi-ducia ai soci e allo stesso fare in modo che gli altri si possano fidare di te.

La Banca del tempo parte dall’idea che è possibile uno scambio paritario fondato sul fatto che gli individui sono portatori di bisogni ma anche di risorse.

Servizio di babysitter, uno dei più utili.

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2.2.11. Scambio diretto a distanza

In questi ultimi anni la rete Internet ha subito un boom anche in Italia sebbene in misura ugualmente minore rispetto al resto del mondo; tra i cambiamenti positi-vi, sicuramente l’opportunità di instaurare contatti da una parte all’altra del globo, di valutare numerose offerte commerciali e non e poter far parte di gruppi o social network. Grazie a questa tecnologia le distanze sono completamente annullate e tutti gli accordi sono presi stando como-damente seduti a casa.

Ultimamente si stanno affacciando su In-ternet portali o forum dedicati al baratto online che offrono un servizio di scambio tra gli utenti e si ripropongono di diffon-dere lo spirito di tale modalità economica.Anche nel caso del baratto a distanza il va-lore degli oggetti di scambio è soggettivo e per tanto gli accordi presi tra le parti pos-sono essere di volta in volta differenti. Inoltre, è necessaria reciproca fiducia tra i consumatori interessati allo scambio dato

che il prodotto lo si può vedere solamente tramite immagini fotografiche e non è detto che, una volta ricevuto il pacco, si sia sempre soddisfatti del prodotto.

Il baratto su internet è detto anche “swap-ping”, da swap, letteralmente scambio, ed è una forma sempre più popolare di barat-to, generalmente informale, in cui singoli o gruppi di persone si spediscono beni e og-getti di valore comparabile, su base fidu-ciaria. I beni scambiati possono essere i più svariati, dagli indumenti, ai DVD, ai CD mu-sicali, ad ogni tipo di oggetto e gadget.La realtà è che la rete sta cercando, e anche riuscendo, a ricreare modelli di consumo che fino a qualche hanno fa credevamo solo possibili grazie alla presenza fisica del venditore e dell’aquirente.

Esistono ampie possibilità in internet: dal sito www.zerorelativo.it, dove scambiare dalla bomboniera della zia fino al perizo-ma ricevuto come regalo a San Valentino, ad altri portali come www.suesu.it e www.swapxchange.com o www.barattiamo.net.

Rete internazionale.

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Celebre la scena tratta dal film “L’amore non va in Vacanza” dove le due protago-niste, interpretate da Kate Winslet e Ca-meron Diaz, tramite siti di “swap” arrivano a scambiarsi la casa per le vacanze di Na-tale. Questa è una “prassi” che si sarebbe potuta ritenere proprio “da film” ma ora in-vece sembra essere diventata una realtà.

Il baratto, ai giorni nostri, può rivestire un valore educativo in quanto forma di circo-lazione o riciclo sostenibile di beni e og-getti.

Corrieri: veloce mezzo di consegna del prodotto al consumatore.

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2.2.12. GAS

I Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) sono gruppi di acquisto che partono da un ap-proccio critico al consumo e che vogliono applicare il principio di equità e solidarietà ai propri acquisti.

Questi gruppi scelgono di acquistare gran-di quantità direttamente dal produt-tore, quando si può, o da un grossista eliminando gli intermediari di filiera; com-prare grossi quantitativi permette ai mem-

bri del gruppo di divedere la merce in parti eque e di risparmiare sul costo d’acquisto. Nascono da una riflessione sulla necessità di un cambiamento profondo dello stile di vita odierno. Come tutte le esperienze di consumo critico, anche questa vuole intro-durre una “domanda di eticità” nel merca-to, per indirizzarlo verso un’economia che metta al centro le persone e le relazioni. I GAS sono formati da un insieme di per-sone che decidono di incontrarsi per ac-quistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro11.

Diventa solidale nel momento in cui decide di utilizzare il concetto di solidarietà come criterio guida nella scelta dei prodotti. Le azioni dei membri del gruppo si esten-dono di conseguenza ai piccoli produt-tori che forniscono i prodotti, garantendo il rispetto dell’ambiente, dei popoli del sud del mondo e a coloro che subiscono le conseguenze inique di questo modello di sviluppo. Ogni gruppo di acquisto nasce per moti-vazioni proprie, spesso però alla base vi è una critica profonda verso il modello di consumo che ha nel profitto l’unico fine, insieme alla ricerca di una alternativa praticabile da subito. Il gruppo aiuta a non sentirsi soli nella propria critica al consu-mismo, a scambiarsi esperienze ed appog-gio e a verificare le proprie scelte12.

La scelta dei produttori a cui rivolgersi è volta in genere all’insegna della qualità del prodotto, dell’impatto ambientale to-tale, preferendo quindi prodotti locali, ali-11 Saroldi, Andrea, Gruppi d’acquisto solidale, Bologna, EMI, 200112 Gesualdi, Francesco, Sobrietà dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, 2005

Spese condivise direttamente dal produttore.

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menti da agricoltura biologica e prodotti con imballaggi a rendere. I prodotti sono i più diversi, da quelli alimentari agli oggetti tecnologici al vestiario.

Va al di là di un modello di consumo clas-sico: la sua struttura si basa infatti sulla costruzione di un network di persone che, così facendo, hanno la possibilità di socializzare, confrontarsi e condividere informazioni, di accrescere le proprie conoscenze quotidianamente, tutelando la biodiversità e la cultura alimentare del territorio.

Rapporto diretto con il produttore e rispetto dei cicli naturali della terra.

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3. PROBLEMATICHEle questioni legate allo stato attuale

Oggigiorno risultano evidenti gli effetti collaterali dell’onda lun-ga del processo di industrializ-zazione che ha investito il mon-

do negli ultimi 200 anni. Esso ha dapprima sensibilmente migliorato la qualità della vita di milioni di persone, quasi tutte resi-denti nel Nord del mondo, generando il cosiddetto “sviluppo”. Tutto ciò però non ha però tardato ad evidenziare enormi limiti, creando una serie di situazioni che in epoca di globalizzazione, ossia nel post industriale, appaiono difficilmente soste-nibili. Inoltre, si è instaurata una sorta di dittatura tecnocratica in cui il profitto prevale sulla politica, l’economia sulla cul-tura e la quantità sono il principale metro di giudizio per le attività umane. Il quadri-motore,scienza-tecnica-industria-econo-mia, è invasivo tanto da essere entrato non solo nei beni di consumo bensì come fattore culturale nella vita quotidiana degli uomini, condizionandone ogni attività.Tra queste attività è compreso l’acquisto, in particolare di beni di consumo; tra le variabili che più lo influenzano, oltre al prezzo, è il tempo. Il tempo è interamente dominato dalla ”tirannia dell’urgenza” sia sulla scena finanziaria, dove le transazioni si effettuano ormai in una frazione di se-condo, sia sulla scena mediatica, dove regna l’effimero.

In generale i consumi rappresentano una filosofia di vita, una vera e propria visione globale del nostro modo di essere, del

nostro modo di leggere il tempo, la vita, il rapporto con gli altri, …

L’influenza continua della pubblicità e dei media hanno portato a ridurre l’esperienza d’acquisto in una corsa sfrenata verso l’offerta, a un bombardamento di marche e a un generalizzato acquisto d’impulso volto a privilegiare specialmente le quan-tità. In un qualche modo anche Internet, con gli acquisti online, ha contribuito a sintetizzare il tutto in un “clic”, facendo perdere l’abitudine al rapporto diretto e al rapporto umano. Questa massificazione dell’atto di acquisto ha portato a ricadute evidenti sul bagaglio culturale e sulle tradizioni dei diversi popoli. L’impatto ambientale dei consumi odierni è preoc-cupante: generano inevitabilmente rifiuti, che a loro volta creano sempre maggior problemi di inquinamento; in agricoltura l’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi sta avvelenando le falde acquifere e sta rendendo sterili vaste quantità di terra; l’industria della carta sta provocando un pauroso impoverimento di boschi e fore-ste a livello planetario1.

Analizzando il caso dell’acquisto alimen-tare, una delle più gravi conseguenze è stata la perdita di biodiversità: “la variabi-lità fra tutti gli organismi viventi, inclusi ovviamente quelli del sottosuolo, dell’aria, gli ecosistemi acquatici e terrestri, marini 1 - Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Prin-cipi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005.

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e complessi ecologici dei quali loro sono parte”. La situazione è data principalmente dalla massiccia conversione ad uso agricolo della terra: dal 1945 a oggi ci sono state più occupazioni dei suoli che nei due secoli precedenti e oggi i coltivi occu-pano un quarto della superficie terrestre. L’aumento del prelievo dell’acqua desti-nata alla coltivazione, il raddoppio delle immissioni di nitrati negli ecosistemi, la nascita e l’utilizzo sfrenato dei fertilizzanti chimici ha ridotto notevolmente la diver-sità biologica sul pianeta. I cambiamenti più rilevanti sono avvenuti per andare in-contro ai crescenti bisogni di cibo e acqua: agricoltura, pesca e raccolta sono state le fasi principali in tutte le strategie di svilup-po. Dal 1960 al 2000 la popolazione mon-diale è raddoppiata mentre la produzione alimentare è cresciuta due volte e mezzo. Oggi nel mondo siamo sei miliardi, mentre la produzione del cibo potrebbe sfamare dodici miliardi di persone.

3.1. IL CONTESTO AGRICOLO

L’agricoltura negli ultimi cinquant’anni si è progressivamente industrializ-zata; l’introduzione di elementi esterni al sistema naturale in cui essa viene praticata, come i pesticidi e i fertilizzanti chimici, ha rapidamente compromesso la salubrità dei cibi e dell’ambiente. Siamo quindi giunti a bambini che man-giano crocchette di pollo e non hanno mai visto un pollo e non sanno come sia fatto: si è in pratica reciso quel legame che fino al secondo dopoguerra collegava gli uo-mini alla terra in fatto di cibo. Chi stava in campagna o chi si era trasferito in città da non più di due generazioni, aveva sempre potuto vedere da dove proveniva il nutri-mento e le conoscenze si trasmettevano di generazione in generazione.

Ora quel cordone ombelicale, fatto di sa-peri antichi, non esiste più e mai come a-desso produzione e consumo sono vissuti come due momenti lontani, che pagano rispettivamente un profondo e reciproco

Utilizzo di fertilizzanti e pesticidi chimici nelle monocolture in serra.

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3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale 143

gap di conoscenze. E’ questa mancanza di sapere che porta molti a nutrirsi nei fast-food senza porsi alcun problema. Agricoltura ed ecologia devono essere una cosa sola: chi coltiva e alleva lavora con la natura e non può sfruttarla e ucciderla. Le monocolture biologiche, ad esempio, non sono sostenibili: anche se non si usano pro-dotti chimici si può distruggere l’ambiente eliminando la biodiversità a scapito di una sola varietà prodotta in grandi quantità. Lo stesso avviene se si introducono varietà estranee all’ecosistema esistente: saranno anche biologiche ma sono estranee e pos-sono avere gravi ripercussioni.

A partire dagli anni ’50 la deriva industriale assunta dai metodi di produzione agricola ha profondamente mutato il quadro natu-rale delle campagne; l’immissione di pesti-cidi e fertilizzanti chimici è aumentata in modo esponenziale arrivando a uccidere la microflora batterica che rende il terreno vivo e fertile in ampie porzioni del globo. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse idriche a beneficio di varietà sem-

pre più produttive ha consumato ingenti riserve e le falde acquifere sono state in-quinate dagli stessi fertilizzanti e pesticidi.

La desertificazione e l’inaridimento dei terreni riguarda territori insospettabili fino a poco tempo fa; gli allevamenti intensivi non soltanto hanno peggiorato la qualità delle nostre carni e favorito l’estinzione di molte ottime razze animali, ma inquinano con i loro liquami carichi di antibiotici e di sostanze presenti nei mangimi che non vengono assimilate dall’organismo ani-male.

E’ necessario inoltre rifiutare gli Organismi Geneticamente Modificati perché, oltre agli aspetti etico-morali, non sono sostenibili dal punto di vista ambientale: il loro impat-to è in molti casi eccessivo, nella migliore delle ipotesi paragonabile a quello degli ibridi per le coltivazioni intensive. Alcune specie OGM sono altamente contaminanti nei confronti delle colture convenzionali, invadono altre coltivazioni e si propagano nell’ambiente; sono il prodotto perfetto

Controlli al microscopio di prodotti OGM.

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dell’agroindustria nella ricerca della varie-tà perfetta: più produttiva e più resisten-te, la monocoltura ideale2.

3.2. IL CIBO

Il cibo, in quanto elemento culturale pri-mario, si presta perfettamente allo studio delle culture e delle identità. L’antropologia è la scienza della cultura e come tale trova nel cibo una materia di studio assai fertile, la migliore rappresentazione delle società e il miglior mezzo per interpretarne le ca-ratteristiche. La sociologia studiando la vita sociale di uomini, gruppi e società, quindi le identità e gli scambi tra diverse società e culture, fornisce un ampio bagaglio di dati e strumenti di analisi utili allo studio del cibo. Entrambe le scienze aiutano a compren-dere meglio la complessità delle scelte operate dall’uomo e allo stesso tempo, in una prospettiva storica, aiutano a capire la situazione attuale attraverso gli scambi, i rimandi e i conflitti sociali che hanno definito le identità gastronomiche e i siste-mi alimentari. Consentono di conoscere i metodi che l’uomo ha applicato per so-pravvivere al meglio nei suoi ambienti e quindi rivalutano immediatamente le conoscenze e i saperi tradizionali che raccontano dell’adattamento e della sinto-nia con la natura.

D’altra parte parlano anche del perché al-cuni cibi siano preferiti ad altri e ricordano alcune leggi fondamentali che l’umanità sembra aver dimenticato: “gli stessi on-nivori non mangiano tutto ciò che sarebbe-2 - Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Prin-cipi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005.

ro in grado di digerire; alcuni cibi valgono lo sforzo di produrli e prepararli, altri possono esser sostituiti con cibi meno costosi e più nutrienti. Altri cibi di elevato valore nutri-tivo sono evitati perché richiedono tempo e sforzi eccessivi per la loro produzione oppure perché finiscono per danneggiare la terra o hanno effetti negativi sulla vita degli anima-li, sulle piante, su altri elementi ambientali” .

“Se voglio mangiare bene sono un elitario, se rispetto la tradizione sono ancorato al passato, se seguo le regole di buona ecolo-gia sono noioso, se guardo all’importanza del mondo rurale sono in cerca di bucoliche sensazioni...”3.

Il mangiare è sempre più al centro dell’attenzione e genera incertezza, in-quietudine, ansie, paure: l’atto tra i più in-dispensabili per la sopravvivenza diventa un problema. Nel mondo di oggi esistono situazioni paradossali: fame e malnutri-zione, obesità e diabete sono facce della stessa medaglia. Il cibo ha sempre avuto anche una fun-zione terapeutica; la cucina come as-sociazione di benefici dei nutrimenti e dei composti farmacologici ha una storia molto antica, potenzialmente associata all’evoluzione della specie. Il bilancia-mento dei nutrienti avveniva anche senza i tanti calcoli che oggi le scienze della nu-trizione comunicano in continuazione. Nelle società dove la dieta era povera di carne, ad esempio, l’apporto proteico era garantito dal consumo d’insetti. Così le so-cietà tradizionali sono riuscite a comporre un vero e proprio sistema di saperi che as-sociano a ogni alimento alcune proprietà

3 Ibid.

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terapeutiche. In Europa le donne erano depositarie dei saperi farmacologici legati alle piante spontanee, almeno prima che l’Inquisizione cominciasse a bollarle come streghe: un immenso patrimonio di cono-scenze è sparito con loro e soltanto oggi, grazie agli sviluppi dell’erboristeria, si può tentare di ricostruirlo.

Si pretende la qualità, ci si lamenta che costi cara, ma poi si spendono gli stessi soldi per banali prodotti di consumo; si seguono programmi televisivi che propi-nano ricette tutto il giorno, ma non si è più capaci di cucinare. Si ha a disposizione tut-ta la quantità di cibo che si vuole, ma poi si deve sudare duramente per dimagrire, mentre chi lotta per salvaguardare razze e varietà in via d’estinzione, per promuovere il buono che c’è ancora nelle campagne e per educare il piacere del cibo è bollato come un elitario. Sembra che sia diven-tato impossibile coniugare il piacere con l’impegno: per ragioni culturali ed econo-miche.

Il cibo è il legame più profondo con il mondo esterno, con la Natura: mangiare rende l’uomo parte di un sistema com-plesso che gli antichi descrivevano come il “respiro della Terra”. E’ il metabolismo ciò che distingue gli esseri viventi da quelli inanimati e tutti i processi vitali sono pro-fondamente collegati tra loro. Forse le radici del problema stanno in un modello di consumo che ha preso il sopravvento in tutte le attività umane, rispetto al quale anche il cibo non è sfuggito alle regole: con l’industrializzazione ha trionfato il consumismo.

Mangiare oggi genera incertezza, ansie e paure perché pretendendo di tenere la Natura fuori dalla sfera umana, si è finito con l’estromettere anche il cibo, dimen-ticandosi il significato di un’azione che si compie almeno tre volte al giorno, tutti i giorni. La produzione e trasformazione de-gli alimenti è uscita dalle case per essere demandata a soggetti terzi, non se ne pos-siedono più i segreti e, non conoscendoli più, bisogna comprarli con il denaro, come

Ortaggi appena raccolti.

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si acquista tutto ciò che serve. Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere man-giato. Ridurre il rapporto con ciò che mangiamo,quasi esclusivamente ad una serie di operazioni di mercato è sia la causa sia l’effetto di un sistema che ha tolto va-lore al cibo e ha tolto significato alla vita.

L’industrializzazione molto spinta del set-tore agro-alimentare, pone la qualità in secondo piano rispetto a quantità, produt-tività, omogeneizzazione dei prodotti e se-rialità. La natura è però il contrario di tutto questo: la natura è complessità, indeter-minatezza, diversità, multifunzionalità. L’agricoltura industriale, la trasformazione industriale del cibo, la distribuzione at-traverso i cinque continenti di derrate col-tivabili in loco, l’egemonia del prezzo e le leggi del libero mercato hanno reso quello del cibo uno dei comparti più insostenibili tra tutte le attività umane.

Negli ultimi cento anni c’è stata una gra-vissima riduzione della biodiversità: l’esigenza di avere estese monocolture per rifornire l’industria con grandi quantità di cibo a basso costo ha orientato la scelta su poche varietà adatte a questo modello produttivo, a discapito di altre. Il risultato è che, per esempio, nei soli Stati Uniti, ca-pofila mondiali dell’agricoltura industriale, nell’80,6% delle varietà dei pomodori si è estinto tra il 1903 e il 1983; e così il 92,8% della varietà di insalata. Delle 5.000 varie-tà di patate esistenti, soltanto quattro costituiscono la stragrande maggioranza di quelle coltivate a fini commerciali negli USA; due tipi di piselli occupano il 96% delle coltivazioni americane e sei tipi di

mais il 71% del totale.Inoltre, anche i terreni stessi vengono “mangiati” dal cibo a causa della sua pro-duzione su scala industriale.

Crediamo di pagare poco il cibo, ma pa-ghiamo un prezzo caro e occulto, sia in ter-mini ecologici, per la capacità futura della Terra di produrre cibo, sia per la qualità della nostra vita e della nostra salute e an-che nei confronti delle generazioni future, alle quali non possiamo negare il diritto di godere di benessere e felicità. Il basso costo del cibo non soltanto impoverisce il suo valore, ma nasconde dentro di sé tutto ciò che si sta facendo alla Terra.Quando il prezzo è basso e il valore è sminuito, diventa naturale che un prodotto si possa sprecare con leggerezza. In Italia, secondo una ricerca condotta nel 2007 dal Banco Alimentare, si sprecano ogni giorno 4.000 tonnellate di cibo edibile. Vale a dire 1,46 milioni di tonnellate l’anno. Nel Re-gno Unito, si sprecano invece 6,7 milioni di tonnellate l’anno, circa un terzo del to-tale disponibile; gli americani sprecano un quarto del loro cibo: 25,9 milioni di tonnel-late l’anno4.

3.3. STILI DI VITA

Viviamo nella società dello spreco, e lo si coglie subito dal settore alimentare che genera enormi quantità di rifiuti: il 40% dei rifiuti è composto da imballaggi e il 10% da prodotti usa e getta. Se si pensa a che cosa ci sia nei nostri frigoriferi non sarà difficile trovare pezzi di formaggio inutiliz-zati e ammuffiti, avanzi di porzioni troppo

4 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009.

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3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale 147

grandi comprate al supermercato già im-ballate e mille altri cibi dimenticati. Il retro dei supermercati è il paradiso dello scarto. Ogni giorno in Italia sono gettate nei rifiuti 4.000 tonnellate di cibo edibile.

Quella di vivere nell’abbondanza è un’altra grande illusione della società dei consumi: il “tanto” non significa necessariamente “qualità” e soprattutto non ha niente a che vedere con l’umanità.

La natura del consumismo è di creare bi-sogni indotti: fa comprare ciò di cui abbia-mo bisogno e vende false promesse e falsi valori. La comunicazione pubblicitaria dell’industria alimentare è scandalosa nello spacciare illusorie verità, nello svendere la sacralità del cibo, nello snaturare il piacere con l’eccesso. Un bambino europeo sta davanti alla TV in media tre ore al giorno e viene sottoposto ad un vero bombarda-mento, in cui il cibo diventa tutto, meno ciò che è in realtà. La pubblicità con il suo raccontare di bi-sogni che la gente non si sarebbe neanche sognata di avere, è la dimostrazione più lampante che non siamo più noi i padroni del nostro cibo e del nostro futuro.

Mai prima d’ora s’è visto un fiorire di for-nelli, guide, stellette e cappelli; quotidiani e magazine con l’immancabile rubrica del mangiare e del bere; programmi tv che vivisezionano manicaretti in diretta; cuochi acclamati come star e gastronomi più o meno sapienti che decidono le sorti di chef pronti a firmare nuovi menu e sommelier che si dilettano con gli abbina-menti cibo-bevanda. Il tutto sostenuto da una ricca letteratura di genere che esalta ora questo o quel prodotto, questo o quel piatto, questa o quella ricetta. Un vero e proprio boom per la divulgazione della cultura gastronomica: 50 programmi tele-visivi, 200 periodici, 1.000 siti internet de-dicati a cibo, vino e turismo gastronomico5. La domanda ricorrente è se si potranno gustare ancora le minestre fumanti della nonna, o i fusilli pomodoro e basilico, i tim-balli di riso, patate e cozze o gli sformati di

5 Comunicato stampa, Accademia Italiana della Cucina, 2008

Ogni bambino passa davanti alla TV tre ore al giorno.

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verdure fresche dell’orto. Domanda che infrange l’invadenza di proposte e modelli culinari innovativi, che taluni presentano come la naturale evoluzione della tavola della tradizione, mentre altri non esitano a definire alternativi alla logica della tipicità. Gli uni e gli altri convinti di proporre quali-tà assoluta e che l’innovazione in cucina sia una virtù che apre le strade al futuro.

Non è un mistero. Il rapporto degli ita-liani con la tavola sta cambiando, e an-che velocemente. Di certo non è lo stesso di trenta e nemmeno di venti anni fa. Il Paese è cambiato, socialmente, economi-camente e strutturalmente, con nuovi stili di vita che si sono affermati, modificando o sostituendo del tutto anche espressioni, tradizioni e consuetudini. Con l’arrivo di nuove etnie la popolazione ha vissuto (e continua a vivere) un incredibile muta-mento. Lo stesso nucleo familiare, il classi-co mattone della società formato da padre - madre - figli, ha dovuto lasciare spazio a una nuova figura comunemente definita con il termine inglese di single. Tutto ciò non poteva non provocare ricadute sui comportamenti alimentari di consuma-tori, distributori e produttori: i primi han-no evidenziato una diversa propensione all’acquisto, e gli altri due hanno adeguato in un caso i modelli di spesa e, nell’altro, hanno rivisto i loro indirizzi produttivi6.

L’elasticità del fenomeno in campo ali-mentare è stata accompagnata da un comportamento di segno opposto, che però non ha favorito in egual misura tutti gli altri capitoli di spesa, ma solo una parte 6 Basile, Nicola D., New menu Italia. La rivo-luzione che ha cambiato la tavola degli italiani, Milano, B.C. Dalai Editore, 2009

di essi. In particolare ne hanno tratto beneficio i trasporti e le comunicazioni e, in misura minore, le abitazioni. Per con-tro, l’abbigliamento e le calzature hanno ricalcato l’andamento discendente del food&beverage, subendo in misura mode-rata ma costante un ridimensionamento di quota.Ad ogni modo, i principali cambiamenti socio-demografici avvenuti nella penisola che hanno avuto un ruolo di una certa rile-vanza nelle modifiche del costume alimen-tare nazionale sono diversi: l’innalzamento dell’età media della popolazione, quale effetto dell’invecchiamento della gente, il crescente numero di famiglie con un solo componente e l’affermarsi di nuovi stili di vita e il prorompere del fenomeno multi-etnico, correlato a crescenti flussi migra-tori in entrata.

Quest’ultimo elemento, da considerarsi come variabile socio-demografica, ha re-centemente assunto una dimensione di rilievo in Italia ed è connesso ai crescenti flussi immigratori. Un fenomeno destinato ad espandersi ulteriormente nei prossimi anni, cui sono correlati l’introduzione e il progressivo radicamento nel mercato di prodotti che non appartengono alla tradizione alimentare italiana. Si tratta tut-tavia di prodotti che stimolano anche nella popolazione nativa una differenziazione negli acquisti e un approccio culinario ex-tra nazionale e multietnico. L’introduzione di questi nuovi cibi, e talvolta stili alimen-tari completamente avulsi dagli schemi tradizionali, comporta mutamenti di rotta nelle dinamiche di acquisto.

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3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale 149

I consumatori stanno riscoprendo il piacere della prima colazione (+11,7 % nel periodo 1995-2005) e amano sempre più la cena (il 21,9% degli italiani la considera il pasto principale, + 3,4% rispetto al 1995). Cresce l’abitudine dei fuori pasto (il 40 % degli italiani è solito fare uno spuntino mattutino e/o pomeridiano) e aumenta il consumo di cibi pronti. Mentre il 22% dei consumatori europei dichiara di aver cam-biato di recente il proprio stile alimentare, gli italiani risultano essere i più “tradizio-nalisti” d’Europa, collocandosi all’ultimo posto con un valore del 15% (in testa la Svezia con il 43%). Si può notare un pro-gressivo cambiamento di consolidate abi-tudini alimentari: si pensi, ad esempio, alla diminuzione del consumo giornaliero di pasta o all’introduzione di nuovi alimenti proteici (prodotti ittici). Si registra un au-mento dell’11,7% nel periodo 1995-2005 sull’abitudine degli italiani di fare una pri-ma colazione adeguata, in cui, cioè, non si assumono solo tè o caffè ma si beve latte e si mangia qualcosa. Aumenta l’abitudine dei fuori pasto (il 40% degli italiani dichiara

di fare abitualmente uno spuntino a metà mattina e/o a metà pomeriggio), come significativa testimonianza della trasfor-mazione subita dalla tradizionale “gior-nata alimentare”. Per il 70% degli italiani il pranzo rimane il pasto principale della giornata ma diminuisce il suo potere di ag-gregazione in favore della cura di interessi personali (shopping, fitness, frequenta-zione della rete internet, ...). Aumenta inol-tre la percentuale degli italiani (21,9%) che considera la cena il pasto principale della giornata7.

3.4. FARE LA SPESA

Le variazioni intervenute nella composi-zione degli acquisti di alimenti e bevande delle famiglie italiane, associate alle nuove istanze dei consumatori e ai mutamenti socio-demografici e degli stili di vita, han-no sollecitato, sul fronte dell’offerta, una continua risposta da parte dell’industria alimentare. Risposta che si è concretizzata in un forte incremento del numero delle referenze presenti sul mercato, in una pro-

7 Fonte IstatAumenta la pausa pranzo fuori casa.

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fonda e costante quota degli investimenti destinati all’attività di ricerca e sviluppo, per il lancio di prodotti innovativi e in grado di intercettare i “fittizzi” fabbisogni esistenti.Negli ultimi vent’anni le referenze a di-sposizione dei consumatori italiani sono, secondo l’ufficio studi della Federazione delle Industrie Alimentari, più che tripli-cate. Si stima che in alcuni ipermercati il loro numero sia superiore ai 3.000 articoli. La stessa analisi evidenzia che, dal 1980 a oggi, in un supermercato di medie dimen-sioni ubicato in un centro urbano, le ref-erenze siano aumentate mediamente da 800 a 2.700. Con un buon 60% dei prodotti trattati che presenta più di una referenza per porzione misura o quantità.

Tutto ciò ha concorso a determinare in pochi anni profonde modifiche nella composizione degli acquisti di cibo e bevande, sollecitando da un lato la pro-duzione a ripensare l’offerta e, dall’altro, la catena commerciale a ripensare le poli-tiche adeguate alle mutate esigenze del

mercato. E’ un fatto che a metà degli anni ’70 gli italiani, culturalmente e socialmente ancora molto legati al modello di vita in famiglia, destinavano al solo mangiare e bere il 34% della spesa totale, destinando il restante 64% alla casa, all’abbigliamento, al tempo libero, ai viaggi e a tutti gli altri aspetti della vita. Secondo i dati del 1985 questo rapporto aveva subito un forte scossone, con l’incidenza della spesa alimentare scesa al 28,1%. Passano dieci anni ancora, il reddito degli italiani cresce ma la spesa per la tavola affonda sotto il 22%. Tendenza che continua la sua corsa nell’ultima parte del XX secolo e prosegue senza sosta anche con l’ingresso nel terzo millennio, per fermarsi al 18% dei nostri giorni. I mutamenti socio-demografici, caratte-rizzati in Italia da un calo strutturale delle nascite e da un contestuale e progressivo innalzamento dell’età media della popo-lazione (secondo le proiezioni Istat, nel 2051 un terzo dei residenti italiani avrà un’età superiore ai 65 anni, rispetto al 20% attuale), spiegano solo una parte delle

GDO: simbolo di consumismo e sovrabbondanza.

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modifiche nei comportamenti di spesa8.Per quanto riguarda la variabile econo-mica, l’indagine ha documentato la forte sensibilità del consumatore italiano al fattore prezzo, conseguente alla crescita dei prezzi finali dei beni; fattori che han-no ridimensionato il potere di acquisto delle famiglie, a seguito dell’introduzione dell’euro. Tutto ciò ha congelato il budget di spesa dei consumatori, con ricadute an-che nel settore alimentare.

Dalla ricerca emerge che il 24% del fattu-rato complessivo dell’industria alimentare proviene da prodotti innovativi, in parti-colare cibi pronti (verdure in busta, sughi pronti, oli aromatizzati, condimenti freschi, surgelati, …). In generale, il consumatore dimostra di aver sviluppato un atteggia-mento di equilibrio tra la qualità minima richiesta e le risorse familiari destinabili all’alimentazione. Ma se qualità e prezzo dei beni corrispondono ai primi due fattori di scelta dei consumatori, un ruolo non secondario è giocato dall’impressione di freschezza di ciò che si acquista e dalla si-curezza alimentare dei prodotti. Il sapore viene collocato al 5° posto seguito dalla salubrità del cibo.

L’aumento dei single e l’andamento dei loro consumi alimentari dell’ultimo quin-quennio evidenzia il fatto che, tra le re-ferenze con le migliori performance di crescita presso la grande distribuzione organizzata (GDO), a farla da padrone sono le specialità surgelate, le verdure confezionate e pronte per l’uso (definite di 4° e 5° gamma), merendine, dessert, gelati, piatti pronti, yogurt, prodotti

8 Fonte Istat

dietetici. Tra gli esempi più recenti di prodotti in-novativi di successo rientrano gli stir fry, piatti pronti preparati sulla base di ricette “tradizionali”, precotti o surgelati da sal-tare in padella, che hanno già superato il centinaio di referenze tra primi, secondi e contorni. Un palese esempio di surrogato della tradizione che cerca di essere comu-nicata, al contrario, come rispettosa di tutti i veri criteri della cultura culinaria del pas-sato. Poi ci sono anche sughi e condimenti pronti, pasta ripiena, salumi in busta e alimenti esotici. La conoscenza di nuove culture e tradizioni si va però a scontrare con l’inserimento di prodotti nel mercato italiano che spesso risultano importati da paesi molto lontani, essendo fuori sta-gione, o ancor più con il soppiantarsi di prodotti della tradizione locale9.

Per riassumere le abitudini del consuma-tore nel fare la spesa, è stato realizzato uno schema che mettesse in relazione cinque variabili con il suo comportamento. Il consumatore modifica le sue abitudini a seconda del modello di consumo preso in considerazione di volta in volta.Ad esempio, se decide di fare la spesa all’ipermercato deve raggiungerlo con l’automobile dato che si trova fuori città, va una volta a settimana e acquista in grandi quantità e dedica quasi un’ora alla spesa senza contare il tempo di viaggio. Se invece il consumatore decide di fare la spesa vicino casa sicuramente non prende la macchina, può andarci più volte duran-te la settimana per cui i suoi acquisti sono sempre ridotti e ci impiega poco tempo.9 Basile, Nicola D., New menu Italia. La ri-voluzione che ha cambiato la tavola degli italiani, Mila-no, B.C. Dalai Editore, 2009

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Dati percentuali basati su fonti Istat.

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3.5. L’ALIMENTAZIONE

Sai cosa mangi?

La ricerca della qualità dei prodotti alimen-tari rimane una priorità anche in periodi di crisi, per effetto della necessità di garantirsi cibi sicuri di fronte al ripetersi degli scandali alimentari. L’ultimo esempio è quello della mozzarella blu contaminata, prodotta in Germania e venduta in tutta Europa con nomi italiani a prezzi bassi nei discount alimentari. Si specula sulla gente che in una situazione di difficoltà economica si rivolge a prodotti anonimi di basso costo che non offrono garanzie di sicurezza. In-fatti, circa la metà della spesa è anonima con l’acquisto di prodotti per i quali non è obbligatorio indicare in etichetta la prove-nienza e quindi con la possibilità concreta che vengano spacciati come Made in Italy prodotti importati. L’importazione di mozzarella blu dalla Germania è solo la punta di un iceberg di traffici alle frontiere spesso fondati sulla

mancanza di trasparenza che favoriscono anche le contraffazioni. L’inganno del fal-so riguarda due prosciutti su tre venduti come italiani e provenienti da maiali al-levati all’estero, ma anche un terzo della pasta che è ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori oltre che tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta.Negli ultimi anni con la mobilitazione a fa-vore della trasparenza dell’informazione, si è riusciti ad ottenere l’obbligo di indicare la provenienza per carne bovina, ortofrut-ta fresca, uova, miele, latte, pollo, passata di pomodoro, olio extravergine di oliva ma ancora molto resta da fare con l’etichetta anonima per circa la metà della spesa: dai formaggi ai salumi, dalla pasta ai succhi di frutta10.

Qualità dell’alimentazione = qualitàdella vita

Fino a non troppi decenni fa, la fonte dei guai era la scarsezza delle risorse: si man-

10 http://www.coldiretti.it/Caso di “mozzarella blu” importata dalla Germania.

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giava poco o si mangiavano sempre le stesse cose, con il risultato che i bambini avevano problemi legati all’insufficienza di cibo (malnutrizione) o alla carenza di co-stituenti essenziali (vitamine, sali, oligoele-menti). Oggi, in tempi di abbondanza, si è trovato il sistema per continuare a compli-care la vita, mangiando troppo e soprat-tutto male. Inoltre, la qualità complessiva degli alimenti è certamente inferiore ri-spetto a quella delle generazioni passate. Il problema non è da identificarsi negli oc-casionali fast-food del sabato: il nemico è nelle nostre case, tutti i giorni. Cibi pronti, conservati, dolci di zucchero colorato ar-tificialmente, merendine confezionate da mesi o anni, patatine fritte in sacchetto, cioccolato industriale, bibite zuccherate e colorate, salumi e affettati nella plastica, formaggi scadenti in contenitori sintetici, precotti, surgelati confezionati un anno prima, wurstel e insaccati con dentro di tutto, scatolette di tonno con contorno già pronto da mesi e via così…la qualità è sempre più lontana.

In un’epoca di attenzione all’ambiente, è necessario considerare che il primo “ambiente” da proteggere diventi il nostro organismo e che questo genere di cibi costituisce un inquinamento delle nostre cellule. Sono tanti i fattori che han-no portato a questo punto: la mancanza di tempo in primis oppure la pigrizia mentale che fa compiere scelte più comode.Purtroppo l’esperienza e fantasia delle nostre nonne si sta perdendo a causa delle raccomandazioni della pubblicità; si pos-sono però recuperare alcuni comporta-menti utili prima che sia troppo tardi. Prima di tutto si deve definire un orario regolare

dei pasti, eliminando spuntini, dolci e bi-bite fra un pasto e l’altro. Poi ovviamente bisogna puntare sulla qualità: cercare il formaggio buono, l’olio profumato, il sugo fatto al momento, la frutta fresca (di sta-gione), il gelato artigianale, il pesce ancora da pulire, il pane del fornaio. Per i più pic-coli invece è molto importante imparare qualcosa sul cibo provando a cucinare in casa: preparare una pastasciutta o un risotto, impastare una torta o dei biscotti, trasformare la frutta in una macedonia o in un frullato o in una marmellata, pre-parare insieme l’impasto delle polpette, scegliere gli aromi per un bel sugo sono esperienze personali che difficilmente si dimenticano. La magia del creare qualcosa di buono partendo da pochi ingredienti, la pazienza e il rispetto dei tempi, il ciclo della natura e dei suoi prodotti, la curiosità dell’apprendere e la fantasia dello speri-mentare, sono valori che non vanno persi nel rispetto di una salute alimentare sana di cui andare fieri11.

Che cos’è la qualità

Il consumatore è oggi sempre più attento ai diversi aspetti della qualità: oltre a quelli intrinseci del prodotto, anche e soprat-tutto ad altri che possono essere definiti “valori aggiunti culturali”, come la tipicità, la denominazione d’origine, le etichet-tature ecologiche, ossia le garanzie che le tecniche utilizzate nella filiera produttiva siano a ridotto impatto ambientale. Per ga-rantire tutto ciò è necessario mettere sotto controllo l’intero processo di produzione degli alimenti dal campo al piatto. La qua-

11 http://www.mammaepapa.it/salute/p.asp?nfile=pv_alimentazione

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lità pertanto non va controllata soltanto alla fine del processo, ma va gestita in ogni sua fase, in modo trasparente e riconosci-bile dal consumatore.Da questo punto di vista è essenziale rag-giungere due obiettivi: la rintracciabilità dei prodotti e la percezione della qualità da parte del consumatore. Prima di assaggiare il prodotto il consuma-tore di oggi legge l’etichetta o ne valuta la bellezza estetica: le etichette non sono sempre chiare e comprensibili né tantome-no esaustive, non sempre ciò che è bello e/o di grandi dimensioni è anche migliore e più buono. Sempre maggiore favore in-contrano i prodotti tipici e quelli dotati di marchi di qualità e certificati, ivi com-presi quelli provenienti dall’agricoltura biologica. Il consumatore si sente, infatti, maggior-mente “sicuro” quando sa da dove pro-viene il prodotto e quando sa che questo è stato sottoposto ad un controllo in tutte le fasi della sua produzione, e, sentendosi garantito, è disposto a riconoscerne il va-lore aggiunto anche in termini di rapporto

qualità/prezzo. La nuova frontiera della sicurezza alimentare, dopo aver garantito una giusta quantità di cibo a tutti, e che questo sia sano e sicuro, sta quindi nella valorizzazione della qualità, tipicità e di-versità degli alimenti.

Norme di qualità

Le materie prime provenienti dall’agri-coltura e dall’allevamento sono alla base per la produzione di alimenti finiti. Gli ali-menti di origine vegetale (frutta e verdura) o animale (latte, formaggi, uova, carne, pesce), contengono tutte quelle sostanze che forniscono i principi alimentari come i glucidi, i lipidi, le proteine, i sali minerali, le vitamine. Fino a pochi decenni fa, le filiere di produzione di molti prodotti ali-mentari erano filiere corte, le piante colti-vate o gli animali allevati erano consumati nell’ambito di territori ristretti, in tempi molto brevi o addirittura nella stesso grup-po familiare. Oggi invece la filiera produttiva di un alimento vegetale o animale è molto più

Pomodori confezionati importati dall’Argentina.

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lunga e complessa. Prima di arrivare sulla tavola del consumatore, gli alimenti subi-scono una serie di trattamenti e di pro-cessi tecnologici che ne consentono una maggiore conservazione, una migliore tra-sportabilità, un più facile e conveniente utilizzo. Gli alimenti finiti inoltre sono sem-pre più spesso composti di materie prime di diversa natura (piatti pronti, precucinati, surgelati) e sono prodotti tramite processi tecnologici sempre più complessi e sofisti-cati. Per questo motivo si è reso neces-sario studiare le caratteristiche di ciascun alimento e di ciascun processo di produ-zione e trasporto dell’alimento stesso12.

Il concetto di qualità di un prodotto ali-mentare si estende a diversi aspetti quali: la sicurezza igienico-sanitaria, le caratter-istiche organolettiche e sensoriali, le pro-prietà nutrizionali, le caratteristiche tecno-logiche, ... La qualità igienico-sanitaria ad esempio prende in considerazione la salu-brità di un alimento ed è un prerequisito indispensabile di sicurezza. Il prodotto ali-mentare non deve contenere microorgani-smi patogeni, elementi tossici, sostanze o corpi estranei che possono arrecare danno alla salute di chi lo consuma o manipola.La qualità nutrizionale invece dipende dalle caratteristiche di ciascun alimento e si identifica con il contenuto dei principi alimentari quali i lipidi, le proteine, le fibre, le vitamine, per cui è possibile parlare di alimenti ad elevata o scarsa qualità nutri-zionale. La qualità organolettica-sensoriale di un alimento riguarda le caratteristiche di gusto di aroma, di colore, di aspetto, di consistenza e sono quelle che si possono

12 ACU - Associazione Consumatori Utenti - Ministero delle Attività produttive

controllare di persona ed immediata-mente danno un indice di gradevolezza. La qualità tecnologica dell’alimento infine include una serie di requisiti spesso di natura estremamente diversi tra loro quali il processo di trasformazione delle mate-rie prime, le caratteristiche di comodità d’uso e di conservabilità dell’alimento, le caratteristiche ed i materiali di confezio-namento. Può influenzare positivamente o negativamente le caratteristiche igieni-co-sanitarie, le proprietà nutrizionali e le caratteristiche organolettico-sensoriali di un alimento. Se il latte subisce un processo di pastorizzazione a temperature inferiori rispetto a quelle previste, può rappresen-tare un rischio di tipo igienico sanitario. Se un impianto di sterilizzazione di alimenti liquidi viene utilizzato per sterilizzare un succo di frutta e successivamente il latte senza che sia avvenuta una efficace fase di lavaggio, il latte avrà proprietà organolet-tiche diverse, … Nella società attuale, i consumatori rivol-gono un’attenzione sempre maggiore nei riguardi degli alimenti prodotti con siste-mi che salvaguardino l’ambiente e che garantiscano il benessere degli animali da allevamento. Come tutti gli esseri viventi, anche i vegetali si ammalano o possono venire attaccati da parassiti: per diminuire le perdite economiche e per rendere più appetibile i prodotti vengono utilizzate sostanze chimiche come pesticidi e fito-farmaci. Per garantire un’elevata qualità ambientale e diminuire il rischio di riscontrare presen-za di residui di pesticidi e fitofarmaci negli alimenti si ricorre a sistemi quali la lotta in-tegrata o lotta biologica. La lotta integrata si basa sull’utilizzo di minori quantità di

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fitofarmaci rispetto a quella usata con trat-tamenti con metodi antiquati e standard. La lotta biologica si basa sul concetto che in natura ogni parassita di una pianta ha uno o più nemici. Quindi l’agricoltore non utilizza sostanze chimiche, ma insetti o al-tri organismi.

Le piramidi alimentari

La piramide alimentare è un modello usa-to per descrivere un regime alimentare e viene attualmente indicato come fon-damento di alcune diete; questo modello usa infatti il solido geometrico della pi-ramide per indicare quali alimenti e in che proporzione fra di essi debbano essere assunti nel corso della settimana. Usare la piramide per descrivere una serie di regole nutrizionali non necessariamente implica indicazioni quantitative anzi spesso sono solo indicazioni qualitative (il privilegiare un tipo di alimento rispetto a un altro). Esistono molte piramidi alimentari pro-poste in letteratura, come la piramide mediterranea e quella asiatica, per citare le più note. La piramide mediterranea è un modello usato per descrivere il regime alimentare di molte popolazioni dell’area geografica che gravita attorno al Mediter-raneo. Essa si basa su uno studio scientifico riguardante le popolazioni di sette paesi: Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Yugosla-via, Paesi Bassi e Giappone. Lo studio, docu-mentato nella letteratura scientifica da uno dei suoi principali coordinatori, Ancel Keys , va sotto il nome di Seven Countries Study, tra le altre cose esso prende in ana-lisi le abitudini alimentari di oltre 12.000 abitanti, di media età, scelti in modo cau-sale, dei sette paesi in questione.

La piramide mediterranea è molto simile a quella asiatica, in quanto privilegia i carboidrati e penalizza proteine animali e grassi. La carne occupa infatti l’apice della piramide, seguita, procedendo dall’alto verso il basso, dai livelli dei dolci, di uova, di pollame, di pesci, formaggi e yogurt, e olio di oliva. Sotto questo livello se ne trova uno composito, popolato da frutta, legumi, noci e legumi e verdura. La base della piramide è costituita da pane, pasta, riso, polenta, cereali e patate. Inoltre, la pi-ramide si appoggia su una base di esercizio fisico giornaliero, anche se tale indicazione non compare in tutte le descrizioni della piramide mediterranea. Fino al livello di formaggi e yogurt gli alimenti si possono consumare giornalmente (senza indica-zioni di quantità, anche approssimative). Dal livello del pesce ai dolci il consumo consigliato è quello settimanale (ovvero poche volte la settimana), mentre la carne ha un consumo mensile.

La piramide è una raffigurazione intuiti-va e semplice da comprendere: alla base ci sono i cibi da preferire, dato che sono il fondamento dell’intero piano alimentare, man mano che si sale i cibi perdono im-portanza nutritiva e salutare. Leggendo la piramide e identificando l’ordine con cui gli alimenti sono stati impilati al suo interno, si identificano dei livelli della pi-ramide e si capisce immediatamente quali siano gli alimenti da preferire e quali siano quelli da limitare. Raffigurare il tutto visi-vamente con la piramide aiuta a far capire questa idea. In base a quanto detto nel punto prece-dente, tutti modelli nutrizionali basati sul concetto di piramide alimentare presen-

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tano alcuni difetti. Il primo è senza dubbio quello di classificare arbitrariamente i cibi in “buoni” (quelli dei livelli bassi) e “meno buoni” (verso la punta); inoltre, i piani ali-mentari presenti nelle piramidi non dipen-dono dalle condizioni iniziali del soggetto specifico (il suo fabbisogno quotidiano, il tipo di attività, ...) ma sono dei valori pura-mente indicativi: le proposte non sono personalizzabili.

Nonostante la piramide alimentare sia un modo di raffigurare le regole che dovreb-bero governare l’assunzione abituale di cibo, sono a volte propagandate come le soluzioni per assicurare una vita ottimale anche sotto il profilo della salute. Questo messaggio è però troppo semplicistico, in quanto un corretto stile di vita non coin-volge solo l’alimentazione, ma anche al-tri aspetti, primo fra tutti l’attività fisica.

L’esercizio fisico regolare è presente in alcuni modelli alimentari più recenti (ma dovremmo chiamarli a questo punto mod-elli di stile di vita) ove compare a fianco della piramide come indicazione aggiun-tiva. In realtà, se volessimo proporre un modello per migliorare la qualità della vita e gestirla al meglio, non potremmo pre-scindere da un terzo aspetto (la psiche), proponendo quindi una visione integrata dello stile di vita (alimentazione + sport + psicologia).

Si può quindi affermare che i modelli ali-mentari basati sulle piramidi s’ispirano a una visione dell’alimentazione obsoleta e poco rigorosa. I cibi di uno stesso livello della piramide sono considerati equiva-lenti, ma spesso le piramidi accorpano gli alimenti in modo troppo approssimativo (carne e pesce, tutti i tipi di frutta, ...). Ep-pure è ben diverso consumare un trancio di salmone piuttosto che una bistecca di pollo o scambiare una macedonia di fragole con un casco di banane. In altri ter-mini, chi propone la piramide cerca di sem-plificare troppo le direttive e vuole evitare che le persone facciano lo sforzo di crearsi una vera coscienza alimentare. Si tratta di scorciatoia, facile da capire e applicare ma che non porta a una reale crescita delle conoscenze alimentari di chi la segue. E chi sceglie di non capire e di non appren-dere su una materia così importante come l’alimentazione limita da sé le possibilità di migliorare la propria vita.

Rappresentazione della piramide alimentare.

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3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale 160

Problemi

Nelle società moderne, l’ossessione per un’alimentazione sana ha raggiunto i suoi massimi livelli contando sempre più patologie alimentari e intolleranze do-vute soprattutto agli stili di vita sedentari e l’invadenza dell’industria alimentare che ha ridotto notevolmente la varietà e la qualità della nostra dieta. Gli obesi stanno diventando un problema na-zionale negli Stati Uniti e anche in Europa i bambini sovrappeso sin dalla più giovane età sono più numerosi di quanto lo siano mai stati in passato; una recente indagine dell’Istituto di Statistica ha evidenziato l’esistenza di 4,7 milioni di italiani obesi so-pra i 18 anni, in aumento del 9% rispetto al 2000. Un dato che va letto alla luce del 34,2% di italiani adulti in sovrappeso e del 3,4% di persone sottopeso.

In un contesto davvero problematico, dove dilagano da un lato la malnutrizione e dall’altro l’obesità e in cui la cucina par-rebbe destinata a morire, le scienze della

nutrizione sembrano invece votate a un grande successo di pubblico, ossessio-nato dalla voglia di dimagrire. Le varie die-te ipocaloriche sono risultate tutte prive di valore, ma il pubblico vuole le diete: negli Stati Uniti la spesa per consulti dai medici nutrizionisti e prodotti dietetici è ormai dell’ordine di grandezza di quella alimen-tare. Si rende necessario un articolato stu-dio della nutrizione, non soltanto scientifi-co ma supportato da materie umanistiche, dalla storia e dall’antropologia, unito alla rivalutazione dei saperi tradizionali.

Le reazioni avverse a un alimento possono essere tossiche o non tossiche. Quelle tos-siche sono scatenate da tossine e avven-gono in tutte le persone che assumano un determinato alimento (botulismo, avvele-namenti), mentre fra quelle non tossiche rientrano le allergie (che sono reazioni del sistema immunitario) e le intolleranze (non mediate direttamente dal sistema immunitario) che si manifestano solo in alcune delle persone che assumano quel particolare alimento. Queste reazioni si

Tasso di obesità infantile in crescita.

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3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale 161

caratterizzano per il fatto di avvenire solo in presenza di un ben definito alimento, e si verificano sistematicamente, seppure con qualche eccezione, tutte le volte che lo si ingerisce. Le intolleranze non pro-ducono shock anafilattico e non rispon-dono ai test allergici cutanei, non provo-cano mai reazioni violente ed immediate nell’organismo e non sono direttamente correlabili all’assunzione del cibo che le determina a causa degli anticorpi coin-volti.

Le maggiori cause sono l’errato stile di vita e la scorretta alimentazione che altera l’integrità della mucosa intestinale facendo venir meno la sua capacità di bar-riera selettiva: è così che si crea il presup-posto per l’insorgenza di un’intolleranza.

Le intolleranze alimentari sono un pro-blema clinico in continuo aumento negli ultimi anni a causa del cambiamento dello stile di vita alimentare, dall’assunzione di cibi sempre più ricchi di additivi chimici e pesticidi, per la presenza di metalli pesanti, lo stress e l’abuso di farmaci. E’ importante capire quale cibo è corretto assumere e quale è giusto evitare grazie ai test che oggi sono disponibili.

Abuso di farmaci e di integratori alimentari.

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4. VALORIi principi per un nuovo modello di consumo

L’abitudine consumistica condi-ziona quasi naturalmente tutte le scelte che vengono operate nella vita quotidiana, senza che ci si

renda conto di esserne vittime. Pertanto il sentimento ecologico, pur essendo molto diffuso, risulta quasi impotente di fronte a comportamenti, fortemente radi-cati nel vivere quotidiano, che nei fatti lo negano totalmente. Il che significa che non si riescono a valutare le ricadute che i comportamenti generano, a causa di una cultura condivisa che non abitua a con-siderare le scelte quotidiane come gene-ratrici di flussi di materia e di energia che coinvolgono anche gli altri componenti del nostro sistema socio-economico1.Si ragiona sempre sulle qualità che sono connesse ai prodotti e la nostra stessa vita viene misurata sul possesso o sulla scelta di determinati oggetti, per cui “l’avere” è la visualizzazione dei valori che il nostro sistema culturale, economico e sociale mette in primo piano, considerando il pro-dotto come perno attorno al quale fanno leva tutte le altre considerazioni. Per poter intraprendere un nuovo cammino bisogna mettere al centro della riflessione altri valori collegati “all’essere”; questa visione mette al centro dell’attenzione le relazioni nelle quali siamo quotidianamente con-nessi nel nostro contesto di vita, in un rinnovato umanesimo reale e culturale.

1 Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Proget-tare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009

I bisogni che il consumismo ci promette di soddisfare sono in realtà disattesi dal sistema stesso. I bisogni indotti non de-vono essere soddisfatti per permettere al sistema di auto generarsi e sopravvivere. E’ quindi su una mancata promessa che si fonda la società dei consumi: l’idea che si acquista, o che si crede di acquistare con un prodotto, è in realtà una bugia. Il sistema consumistico è stato generato da un modo di pensare lineare, tipico della produzione industriale, che ha influenzato tutta l’epoca moderna.

4.1. BUONO PULITO E GIUSTO

Il cibo è il principale fattore di defini-zione dell’identità umana poiché ciò che mangiamo è sempre un prodotto cul-turale. Se si accetta una contrapposizione concettuale tra Natura e Cultura, il cibo è la risultante di una serie di processi che lo trasformano da base completamente naturale a prodotto di una cultura.L’uomo raccoglie, coltiva, addomestica, sfrutta, trasforma e reinterpreta la Natura ogni volta che si nutre; quando produce, mette mano ai processi naturali e li in-fluenza per creare il proprio cibo. Quando l’uomo prepara i suoi pasti poi, a differen-za degli animali, mette in atto tecnologie più o meno sofisticate che trasformano la materia: il fuoco, la fermentazione, la con-servazione, la cucina. Il cibo è il prodotto di un territorio e delle sue vicissitudini, dell’umanità che lo popola, della sua storia

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 164

e delle relazioni che ha instaurato. Si può parlare di ogni luogo del mondo parlando del cibo che vi si produce e vi si consuma; il cibo è il mezzo principale per interpretare la realtà perché rispecchia la complessità dell’esistente e della storia passata, l’intreccio di culture, il sovrapporsi di diverse filosofie produttive.

Il termine qualità, insieme a “gusto”, a “ti-pico” e a “tradizionale” è oggi uno dei più abusati nella comunicazione relativa al cibo. Quest’ascesa di popolarità del ter-mine è un fenomeno piuttosto recente e possiamo dire che ciò sia avvenuto in gran parte grazie agli scandali alimentari come la mucca pazza, i polli alla diossina e i tanti altri pericoli dovuti al sistema agroindu-striale a partire dalla fine degli anni ’80.Questi scandali hanno aperto gli occhi del consumatore medio, andando a colpire la sensibilità comune perché sono entrati nelle abitazioni, hanno coinvolto i conta-dini vicino casa, hanno introdotto la paura e l’incertezza nel momento di fare la spesa.

Sul finire del secolo però le esigenze di de-mocratizzazione del termine, in seguito agli scandali, hanno presto fatto emergere una connotazione che in sostanza assimila la qualità alla sicurezza igienico-sanitaria. Le tre condizioni per cui un prodotto può essere definito di qualità riguardano le nozioni di buono, pulito e giusto.

BUONO

Un prodotto è buono se è riconducibile ad una certa naturalità che ne rispetti il più possibile le caratteristiche originarie e se dà sensazioni riconoscibili che per-mettono di giudicarlo in un determinato momento, in un determinato luogo e all’interno di una determinata cultura. Nel definire il buono sono determinanti due tipi di fattori soggettivo: il sapore, per-sonale, legato alla sfera sensoriale di cia-scuno di noi, e il sapere, culturale, legato all’ambiente, alla storia delle comunità, del savoir faire e dei luoghi. La degusta-zione seria di un prodotto alimentare,

Illustrazione Slow Food: buono.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 165

prima di esprimere un giudizio di merito su di esso, passa attraverso la più metico-losa descrizione delle sue caratteristiche organolettiche: analisi visiva, olfattiva, tattile e gustativa. E’ necessario rieducare alla sensorialità perché senza la possibilità di individuare il sapore a partire da dati oggettivi non si giunge nemmeno al sa-pere e in questo modo si perde il piacere, il proprio arbitrio e ogni possibilità di in-fluenzare direttamente o indirettamente le scelte produttive. Così facendo si rinun-cia in partenza alla qualità e si è costretti a fidarsi di chi la vende come tale. Riappro-priarsi dei propri sensi è il primo passo per poter pensare un sistema diverso in grado di rispettare l’uomo: come lavoratore della terra, come produttore, come consuma-tore del cibo e delle risorse. Significa riap-propriarsi della propria vita e cooperare insieme agl’altri per un mondo migliore, dove tutti hanno diritto al piacere e al sa-pere.

Proprio perché soggettivo, il buono può essere usato come strumento di divisione tra classi sociali e tra popoli ed è questa di-versità per le altre culture che deve essere rispettata. Nessuno può permettersi di giudicare il cibo di qualcun altro in base al proprio gusto “culturale” e questo rispetto è difficile da praticare quando si tratta di interventi internazionali di salvaguardia o di supporto a prodotti, agricolture o gruppi umani legati al cibo. Lo stesso Slow Food, che tramite i Presidi internazionali si impegna a difendere piccole produzioni in tutto il globo, fa molta fatica e profonde molto impegno nella conoscenza delle culture in cui intende operare. Se si lavora per promuovere la sostenibilità, la natu-ralità e la tradizione locale, al contempo si lavora anche per promuovere la qualità.

Il buono come obiettivo ha una connota-zione politica: il recupero della sensoria-lità come atto fondante di un nuovo modo di pensare, di agire o di reagire; il rispetto delle altre culture inteso come compren-

Illustrazione Slow Food: pulito.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 166

sione delle categorie altrui in grado di far comunicare, di far lavorare insieme per il riscatto delle comunità produttrici del cibo, sono altrettanti passi di fondamen-tale importanza per riappropriarsi della realtà, percependola attraverso i sensi come una grande rete di sapori e saperi.

PULITO

Pulito è un concetto che risponde a un criterio di naturalità intesa in un’altra ac-cezione. La naturalità in questo caso è relativa in particolare ai metodi di produzione e di trasporto: il prodotto è pulito se rispetta la Terra e l’ambiente, se non inquina, se non sperpera o sovrauti-lizza risorse naturali durante il suo per-corso dal campo alla tavola, cioè se la sua filiera è sostenibile. Per valutare tutte le conseguenze della sua produzione e tra-sformazione sull’ambiente è dunque ne-cessario un bagaglio di conoscenze note-vole e diversificato: bisogna sapere se le tecniche di allevamento o di coltivazione

non impoveriscono i suoli con pesticidi o i liquami di animali “pompati” da mangimi e medicine; se la trasformazione è avvenuta in stabilimenti o in laboratori artigianali che non inquinano e che non utilizzano prodotti inquinanti; se i vari trasporti che ha subito il prodotto sono troppo lunghi o tramite mezzi ad alto tasso di emissione nell’atmosfera; se noi stessi danneggiamo l’ambiente per procurarceli o acquistarli.E’ giunto il tempo in cui tutti, produttori, commercianti, governi, istituzioni, asso-ciazioni, singoli cittadini, si domandino se il loro stile di vita è sostenibile. Nessuno è contrario alla sostenibilità, ma modificare il proprio stile di vita in funzione di essa è difficoltoso.

Per trasformazione si intende ogni tipo di intervento dell’uomo tra la materia prima e il prodotto finale, compreso il suo savoir faire, il suo ingegno, la sua tradizione o l’innovazione. Non è detto che il modello industriale debba essere cancellato, ma i costi ambientali devono essere introdotti

Illustrazione Slow Food: giusto.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 167

nei bilanci, in qualche modo quantificati e fatti pagare. Si è tutti responsabili: è suf-ficiente l’acquisto di un prodotto che non rispetti l’ambiente nelle sue fasi di produ-zione; si rende necessario porre la massima attenzione e il massimo impegno verso la conoscenza dei metodi di trasformazione e bisogna pretendere di avere queste in-formazioni2.

L’ideale sarebbe locale e biologico; la scelta dei consumatori tra biologico e convenzionale, tra locale e globale, ha importanti ripercussioni sull’ambiente e sui sistemi agricoli che possono essere calcolate anche in relazione alle cosid-dette “food miles”(le miglia alimentari) os-sia le distanze che percorre il cibo prima di giungere sulle tavole. La diffusione dei dati sulle food miles influenzerebbe di si-curo il comportamento dei consumatori e l’etichettatura dovrebbe fare un ulteriore passo in questa direzione. Oggi per frutta, verdura, pesce e carne è obbligatorio indi-care il luogo d’origine, ma in molti casi è ancora troppo generico; per molti prodotti trasformati poi è praticamente impossibile rintracciare la provenienza delle materie prime. Se invece tutto fosse dichiarato in etichetta e la sensibilità dei consumatori fosse istruita su quanto può costare far viaggiare il cibo, una lenta rilocalizza-zione dei sistemi produttivi non sarebbe molto lontana. Includere il prezzo in food miles in etichetta sarebbe una mossa di marketing geniale nonché un servizio alla comunità che chiede di poter esercitare il suo po-tere di spesa, scegliendo cibi il più possibile puliti e locali3. 2 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 20053 Ibid.

GIUSTO

Nell’ambito della produzione alimentare giusto indica giustizia sociale, di rispetto per i lavoratori ed il loro savoir faire, di ru-ralità e vita di campagna, di retribuzione adeguate al lavoro, di gratificazione nel produrre bene, del riscatto definitivo di una figura, il contadino, che storicamente nella società è sempre stato considerato come “l’ultima ruota del carro”. Non si deve dimenticare che non si può fare a meno dei contadini o delle comunità produttrici; è su questo concetto di comunità, di destino che si deve rifondare il sistema. A partire dalle comunità produttrici è necessario costruire una rete mondiale per rimettere al centro l’uomo, la terra, il cibo: una rete del cibo umana che, in armonia con la natura e nel rispetto della biodiversità, promuova la qualità.

Sostenibile dal punto di vista sociale si-gnifica promuovere la qualità della vita, posti di lavoro dignitosi, che assicurino sostentamento e la giusta remunerazione; significa garantire equità e democrazia in tutto il mondo e dare diritto di decidere il proprio futuro. Oggi le campagne dove trionfa l’agribusiness sono luoghi in cui non sembra esserci vita, dove non sono più offerti i servizi essenziali (il piccolo commercio, luoghi di aggregazione) dove c’è un abbruttimento generalizzato. Rie-quilibrare un mondo è la cosa più difficile che si possa immaginare, ma ormai sono stati individuati i percorsi che possono lentamente invertire la rotta senza smen-tire o approssimare per difetto la ricerca della qualità: produzione di piccola scala, auto-sussistenza, diversificazione delle

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 168

colture, recupero e approfondimento delle tecniche tradizionali, pieno rispetto per un’interazione proficua con la biodiversità locale, agro ecologica. Il giusto è rispetto degli altri.4

4.2. PRODOTTO vs UOMO

Pensando al prodotto come focus princi-pale si fa riferimento ad una serie di valori ad esso correlati, come le materie prime e l’aspetto economico. I loro significati risiedono nel fatto che i prodotti rendano concreta una funzione simbolica. Gli ac-quirenti sono fortemente attirati da un prodotto che possa loro fornire l’occasione di sentirsi parte di un gruppo sociale, uno status symbol certifica infatti una posizio-ne ben precisa all’interno di una società, trasmette e significa sicurezza.La reale possibilità evolutiva sembra risie-dere nel ribaltamento dei valori che sono attualmente radicati: porre l’essere, e non l’avere, al centro delle nostre azioni future ci fa subito notare che il valore più impor-tante è la vita. La consapevolezza di questo valore è legata ai bisogni primari; essa in-fatti non avviene tramite mezzi esterni, ma solo attraverso la percezione individuale delle necessità legate alla preservazione dell’esistenza di ciascuno, che può essere mantenuta solo relazionandosi armonica-mente con “l’intorno”.

E’ necessario prendere atto delle diversità in base alle quali la vita di milioni di per-sone si svolge; il fatto di poter produrre per mercati differenziati consente, infatti, la creazione di sistemi economici che non 4 Ibid.

siano globalizzati e indistinti, ma specifici e contestualizzati.

La soluzione, è quindi quella di una ri-loca-lizzazione delle produzioni su scala locale, facendo tesoro di tradizioni produttive, innovazione tecnologica applicata su pic-cola scala e risorse del territorio in termini sia di sapere umano sia di materie prime. Si vengono così a creare degli insiemi di sistemi locali, rispettosi tanto della biodi-versità quanto della diversità culturale.

I due schemi di Prodotto (avere) e di Uomo (essere) evidenziano con chiarezza i valori e gli scenari che nascono e si sviluppano in conseguenza alle scelte operate da ciascu-no di noi. Le due visioni, pur essendo con-trapposte, possono integrarsi e convivere armonicamente trovando il corretto equi-librio tra le parti. Lo schema Uomo ha al proprio interno il prodotto collocato non in centro, ma in periferia. Il Prodotto e i valori a esso connessi devono quindi rapportarsi sistemicamente agli altri rispettandone le priorità. Anche in ambito economico si sta facendo sempre più strada la convinzione che la misurazione dello sviluppo di una società non possa basarsi semplicemente su parametri economici, ma che sia ne-cessario adottare altri fattori qualitativi e non quantitativi come la qualità della vita, dell’ambiente, del grado di istruzione, dei servizi, cioè di indici che manifestino il gra-do di benessere non materiale ma vissuto e percepito dalle persone5.

5 Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Proget-tare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 169

Schema UOMO al centro del progetto.

Schema PRODOTTO al centro del progetto.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 170

Prendendo in esame i modelli di consu-mo analizzati precedentemente, si è de-ciso di considerarli criticamente rispetto all’approccio che vede l’uomo al centro del progetto.

Ne consegue una prima sostanziale sud-divisione tra i modelli di consumo incen-trati sul prodotto e quelli invece incen-trati sull’uomo per l’appunto. I primi sono basati su una mera economia monetaria; trattano il cibo come una qualsiasi merce, puntano sulla quantità di vendita e sulla produzione di massa, oltre che deloca-lizzata. Il consumatore si trova ad essere schiavo dell’offerta, ad acquistare più del necessario e di conseguenza a sprecare parte della sua spesa. Rispondono a queste caratteristiche tutti i modelli di consumo racchiusi nella GDO e che hanno un rap-porto indiretto con il consumatore.

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I modelli che invece sono maggiormente orientati verso l’uomo puntano alla qua-lità, alla cultura e al valore del cibo senza tralasciare i legami con il territorio e sele-zionando prodotti unici e della tradizione locale. Spesso sono caratterizzati da una produzione propria e tendono a voler instaurare un rapporto diretto con il con-sumatore: è il caso delle piccole panet-terie, dei Farmer’s Market o della camiceria di fiducia.Altri modelli di consumo danno impor-tanza alla socializzazione e allo scambio di informazioni tra le persone, abbattendo le distanze sfruttando la rete Internet.

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4.3. VALORI PER UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO

Il processo industriale di produzione del cibo non rispecchia in nessun modo la ma-teria prima e le sue caratteristiche origi-narie, perché è in grado di ricostruire in laboratorio la consistenza, l’aspetto e il gusto. Le etichette dei cibi diventano incomprensibili e tanti composti sono spesso celati sotto la dicitura aromi natu-rali che in realtà sono ottenuti da una base naturale ma sono spesso trattati con pro-cedimenti chimici più o meno sofisticati e non sempre del tutto salutari per l’uomo. Ingerire questi prodotti, anche se in quan-tità microscopiche ma in modo continua-tivo per tutta la vita, sottopone l’uomo a un’altra forma di inquinamento i cui effetti rimangono ancora non del tutto chiari. Si parla di aumento delle allergie, piccoli e grandi avvelenamenti, anche se di rado mortali, di sostanze cancerogene scoperte dopo anni che venivano consumate tran-quillamente.

Quel che è certo è che questi composti rischiano di assuefare il senso del gusto; alzando la soglia della percezione dei nostri sensi fanno sembrare i prodotti na-turali poveri dal punto di vista organolet-tico e omologano i sapori privando della gioia di assaporare la diversità naturale, varia, ricca e molto gratificante per il pala-to. A livello culturale poi, gli additivi nel piatto hanno trasformato il sapore in uno strumento di marketing, tanto che si può parlare di vero e proprio design alimen-tare, che costruisce il gusto di un prodotto e il prodotto stesso a partire dalle ricerche di mercato, vi adatta un processo produt-tivo industriale e poi sceglie la materia prima che più conviene economicamente. In pratica si ribalta il processo secondo cui l’uomo per nutrirsi parte da ciò che trova in natura e cerca di migliorarne il sapore.

Le culture tradizionali hanno inventato i più disparati metodi di trasformazione e conservazione del cibo, ingegnandosi con il poco o tanto che avevano a dispo-sizione. Con l’industrializzazione, trasferire

Alimenti surgelati.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 175

questi saperi antichi in luoghi di produ-zione sempre più centralizzati, demand-are la produzione del cibo a chi lo sa fare in serie sfruttando nuove tecniche molto sofisticate ha privato l’uomo della cono-scenza e della capacità di trasformare il cibo6. Si è progressivamente affermato un predominio della tecnologia alimentare di stampo industriale sui metodi tradizionali; così oggi per molti cucinare è diventato soprattutto l’atto di scaldare qualcosa di già pronto e surgelato.In realtà il bagaglio dei saperi tradizio-nali in fatto di trasformazione del cibo, l’insieme dei semplici atti di preparazione quotidiana, molto presenti in ogni società prevalentemente agricola, e ancora pre-senti anche nelle città, prima che i modelli standardizzati dell’industria alimentare si imponessero del tutto, rappresentano un patrimonio ricchissimo e prezioso. Gli strumenti e la manualità necessaria a com-piere questi gesti stanno scomparendo dopo secoli di pratica, ma in molti casi si rivelano insostituibili.

Oggi resta la questione della materia pri-ma e del suo rispetto: l’integrità naturale della materia serve a coltivare e percepire il buono. Per naturale non si intende “bio-logico” perché non sempre i concetti si equivalgono; naturale significa non utiliz-zare troppi elementi estranei e artificiali rispetto al sistema ambiente/uomo/mate-ria prima/trasformazione: no agli additivi e ai conservanti chimici, agli aromi artificiali o cosiddetti naturali, no alle tecnologie che stravolgono la naturalità del processo di lavorazione, allevamento, coltivazione,

6 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005

cucina, … Le materie prime devono es-sere sane, integre, il più possibile esenti da trattamenti chimici e procedure intensive, dopodiché devono essere trattate con procedimenti molto rispettosi delle loro caratteristiche originarie. La qualità di un formaggio, ad esem-pio, è strettamente collegata alla quali-tà del latte che si impiega e questo sarà buono nella misura in cui sarà stata buo-na l’alimentazione dell’alimentazione dell’animale che lo ha prodotto. Lo stesso discorso vale per la carne, che sarà buona se l’allevamento dell’animale avrà rispet-tato i criteri di naturalità senza acceleratori di crescita o mangimi ipercalorici o con antibiotici. In realtà ogni tecnica agricola introduce un elemento di artificio in natura, così come per la trasformazione; in questi casi dovrebbe prevalere il buonsenso: una tec-nica rientra nella naturalità se rispetta la natura, non la prevarica, non la consuma in modo sbilanciato, non ne altera gli equi-libri in maniera irreparabile. Per questo un prodotto deve corrispondere a criteri di naturalità in tutta la filiera che lo porta dal campo alla nostra tavola. La percezione dell’importanza della vita umana, o della sostenibilità ambientale, avviene sempre quando qualcosa entra in crisi, quando si avvicina l’inevitabile. E’ da vent’anni che si parla di catastrofi am-bientali, surriscaldamento della crosta terrestre, effetto serra e buco dell’ozono, ma se in passato se ne parlava sempre al futuro oggi se ne parla al presente perché il punto di non ritorno è vicino7.

7 Politecnico di Torino, Uomo al centro del progetto. Design per un nuovo umanesimo, Torino, Um-berto Allemandi & C., 2008

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I valori da recuperare

Nell’ambito del dialogo tra i saperi non e-siste scienza più multidisciplinare di quella gastronomica, intesa come lo studio del cibo in tutti i suoi aspetti. Fondamentale da questo punto di vista è riuscire a realiz-zare un’operazione di recupero e rivaluta-zione dei saperi agricoli e gastronomici tradizionali, messi in secondo piano dalla scienza moderna e bollati come antiquati, poco produttivi o non adatti alla produzio-ne seriale. In realtà proprio perché emer-si in contesti specifici di territorio, in una dimensione locale, questi saperi e cono-scenze sono un ottimo esempio di design sistemico, perché considerano il territorio

e le esigenze degli uomini che lo abitano come un tutt’uno, uomo e natura facenti parte dello stesso insieme. Il sapere da dif-fondere non deve riguardare la semplice messa in scena di un prodotto in cui si valorizzi la sola componente estetica, ma si deve porre l’accento sulla consapevolez-za di operare in un sistema di valori sociali, culturali ed etici. Una tavola rotonda dove banchettare con saperi e sapori tradizio-nali, dove si salvaguarda la biodiversità locale e si rispettano le ciclicità naturali, dove l’informazione e l’educazione si tra-sformano in “cibo per la mente.” E’ necessario riacquisire la capacità cul-turale e pratica di saper delineare e pro-grammare il flusso di materia che scorre da un sistema ad un altro.

Si rende necessario riavvicinare la pro-duzione alla domanda del mercato, cer-cando di sviluppare le produzioni regionali specifiche e permettendo al contempo la diversificazione della produzione agricola. Bisogna contribuire allo sviluppo delle zone rurali, sostenere le azioni commer-ciali dei produttori che cercano di differen-ziare i loro prodotti ma anche di protegger-li da abusi e usurpazioni. Ai consumatori bisogna fornire un’informazione affida-bile circa i prodotti che acquistano.Quando si parla di attività produttive, non s’intendono unicamente quelle in-dustriali, ma anche quelle agricole e non si deve fare l’errore di considerare il sistema naturale coincidente con quello agricolo. L’agricoltura è un’attività produt-tiva che si affianca a quella industriale ed entrambe coesistono nel sistema natu-rale. La compresenza armonica di agricol-tura, industria e collettività con il sistema Recupero della sensorialità.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 177

naturale è la chiave fondamentale di un modello produttivo di sviluppo sosteni-bile. L’agricoltura si deve de-industria-lizzare, bisogna ridare priorità alla terra e all’ambiente naturale agricolo. La terra è il luogo della vita e non è possibile che mu-oia; un suolo stressato non produce bene e si trasforma solamente in una macchina produttiva di alimenti. I metodi di produ-zione intensivi, tanto per i vegetali che per gli animali, vanno rifiutati; non si può chie-dere ogni anno di più a un terreno, a una vacca da latte, o pretendere che un pollo cresca in metà del tempo rispetto a quanto è naturale: non sono macchine, sono vivi e il meccanismo naturale se si rompe non si può riparare come una fresa industria-le. Bisogna preferire le varietà e le razze autoctone perché la loro sopravvivenza garantisce la biodiversità che permette al sistema naturale di auto regolarsi al me-glio. Sono inserite nell’ecosistema che le ha viste nascere ed evolvere, sono la garanzia di mantenimento di quell’ecosistema, ga-rantiscono una maggiore varietà di gusti e il loro patrimonio genetico è patrimonio di tutta l’umanità.

Nel nostro Paese la diffusione degli orti troverebbe il consenso di quasi quattro italiani su dieci che già si dedicano alla cura del verde in giardini, orti o terrazzi8. Darsi al giardinaggio è un importante im-pegno a tutela della salute sia per la garan-zia del consumo di cibi genuini, ma anche perché è dimostrato scientificamente che “zappare” mette in moto un’attività fisica positiva per la salute. Sulla base dello stu-dio dell’Università di Uppsala in Svezia du-rato 35 anni e pubblicato sul British Medi-

8 http://www.coldiretti.it/

cal Journal, chi fa giardinaggio o un’attività sportiva di modesta intensità guadagna circa un anno di vita rispetto chi rimane inattivo9. I mercati degli agricoltori, i cosid-detti Farmer’s Market, aperti in Italia sono già quasi mille, cui si aggiungono a 63.600 tra frantoi, cantine, malghe e cascine dove è possibile comperare direttamente dal produttore10.Latte, carne, frutta, verdura e salumi del territorio possono essere ora acquistati direttamente in un piccolo punto vendita vicino a casa. Si tratta di rendere più acces-sibili i prodotti locali per i quali si sta verifi-cando un crescente interesse da parte dei consumatori. Una grande opportunità per favorire il consumo di cibi freschi e ge-nuini che non hanno dovuto subire lunghi trasporti con mezzi inquinanti e per questo riducono l’emissione di gas ad effetto serra a vantaggio dell’ambiente.

Per definire quello che sarà un nuovo mo-dello di consumo, si è reso necessario dichiarare esplicitamente i valori positivi riscontrati dall’analisi dell’orientamento dei modelli. Si evince che alcuni valori pos-sono essere identificati come portatori di saperi e conoscenze mentre altri possono essere collocati intorno all’area della rete e della socializzazione. Nell’area dei saperi e della conoscenza assumono importanza tutti quelle virtù come la stagionalità, la biodiversità, la provenienza, la riduzione di sprechi e scarti e la trasparenza di in-formazione; per quanto concerne la sfera della rete e della socializzazione si cerca di valorizzare il rapporto diretto tra con-sumatori e la creazione di un network.

9 http://www.coldiretti.it/10 http://www.coldiretti.it/

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4.4. UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO

E’ necessario volgere le riflessioni sul nuovo modello di consumo verso alcuni principi fondamentali come la centralità dell’uomo e delle sue reali esigenze. Il valore più importante da attribuire all’intero processo è la vita. La vita biologica, intesa come esistenza, è legata ai bisogni primari e viene percepita solo attraverso la cognizione individuale delle necessità legate alla preservazione dell’esistenza di ciascuno che può essere mantenuta solo ponendosi in relazione ar-monica con l’intorno. L’uomo ha però per sua natura bisogno di entrare in relazione col prossimo e di creare rapporti espri-mibili attraverso una vita sociale.

La mancanza odierna di valori comporta-mentali fa capire quanto sia importante la riscoperta e la conseguente promozione di un tipo di vita etica, più consona ad una società che vuole considerarsi matura; ritrovare certe valenze relazionali con-

sentirebbe un sicuro miglioramento dei rapporti fra gli individui. L’intreccio equili-brato delle tre vite porta alla vera qualità della vita.

I prodotti dovrebbero semplicemente es-sere i mezzi essenziali attraverso i quali l’essere umano esprime le azioni che ne consentono l’esistenza. La specificità cul-turale del contesto è ciò che sta alla base della percezione e delle funzionalità dei prodotti. Poter produrre per mercati dif-ferenziati non porta alla creazione di siste-mi economici globalizzati e indistinti, ma specifici e contestualizzati. Creare nuovi mercati vuol dire produrre prodotti cor-retti, funzionalmente e percettivamente recepibili in maniera positiva dalla società per la quale sono stati progettati.I parametri dello sviluppo di una società devono essere qualitativi e non quantitati-vi, come la qualità della vita, dell’ambiente, del grado di istruzione, dei servizi, cioè de-gli indici che manifestano il grado di be-nessere morale delle persone.Individuare il consumatore come un sog-

Scelte volte al miglioramento della qualità della vita.

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 181

getto specifico, significa concretizzare correttamente le sue aspettative. La crea-zione della conoscenza è naturale ed è fonte di soddisfazione il condividere o il discutere con gli altri ciò che si è appreso.

Vita Biologica

Attraverso la conoscenza dei limiti fisici e della capacità di carico dell’ecosistema ter-restre, è indispensabile modificare il pro-prio comportamento di consumo.E’ necessario ridurre il prelievo di risorse non rinnovabili, contribuire alla riduzione degli output inquinanti negli ecosistemi (rifiuti, scarichi, emissioni), favorire e valo-rizzare socialmente e culturalmente il riuso e il riciclaggio. Ogni consumatore dovreb-be contribuire attivamente alla nascita di sistemi di produzione/distribuzione/con-sumo realmente alternativi, che facciano riferimento a stili di vita basati su un cor-retto modo di rapportarsi alle risorse natu-rali e fondati su una diversa concezione del benessere.Riducendo il peso ambientale comples-sivo dell’attuale sistema, si deve stimolare soprattutto il radicamento di una cultura ecologica e di comportamenti più respon-sabili.

I saperi tradizionali contengono saggez-za popolare, sono la rappresentazione identitaria delle comunità, sono motivo di orgoglio ma anche chiave di compren-sione per chi dall’estero voglia entrare in contatto con essa. Conoscerli è una forma di rispetto ma anche un modo per comu-nicare, e sono parte del contesto. Potranno garantire un’adeguata storiogra-fia delle comunità produttrici e dei sog-

getti in rete, evidenziando nel corso degli anni i modelli di scambio più proficui, le soluzioni a problemi comuni e analoghi, rafforzando al contempo il carattere iden-titario di questi saperi.Va da sé che senza contesto questi saperi perdono forza, significati e possibilità di applicazione. In un’ottica di salvaguardia, i saperi tradizionali sono una risorsa pre-ziosissima ed il loro mantenimento, il loro studio, la loro riorganizzazione aiutano a creare le condizioni per uno sviluppo so-stenibile.

Dovrebbe far parte dei saperi e della cono-scenza intrinseca di ognuno l’importanza di salvaguardare il territorio in cui si vive sia sotto il profilo ambientale e morfolo-gico; solo conoscendo la propria terra ci si rende conto di come questa sia una mate-ria viva, da valorizzare piuttosto che sfrut-tare. Di conseguenza si coglie l’importanza di avere coltivazioni e colture diversificate che seguono i cicli naturali delle stagioni e che sono in simbiosi con l’ambiente in cui crescono, tutelando la conservazione della biodiversità.Nel nuovo modello di consumo si dovreb-bero quindi privilegiare le piccole produ-zioni locali, di cui si può conoscere l’intero processo produttivo, con evidenti vantag-gi economici e ambientali.

Vita Sociale

Se si accetta l’importanza del contesto am-bientale, non si può non accettare anche quella del contesto sociale. Quegli stessi saperi che consentono di coltivare e produrre sono altrettanto con-nessi ad un sistema di riti, credenze, abitu-

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 182

dini, costumi e forme di espressione orale, artistica e tecnica. Il nuovo modello di consumo si basa sulla valorizzazione della cooperazione e della reciprocità, mettendo in primo pia-no le relazioni che si creano tra consuma-tori. E’ necessario che il consumo possa consolidarsi come frutto di un processo di innovazione sociale, in grado di generare nuovi comportamenti, che possono dif-fondersi e consolidarsi di pari passo con il cambiamento della cultura e degli altri ambiti che condizionano la sfera sociale.

Il cibo è una rete di uomini e donne, di saperi, di mezzi, di ambienti, di rela-zioni. Chi si occupa di promuovere la rete, deve porsi come soggetto che svolge un servizio: fornendo strumenti e stimolando dibattiti, scambi, circolazione dei saperi, dei prodotti e delle persone al suo inter-no. Una rete deve essere in grado di garantire al suo interno la circolazione di infor-mazioni a tutti i livelli, più o meno virtuali, servendosi tanto dei computer quanto dei mezzi di espressione orali e implementan-do strategie educative; i prodotti dovreb-bero rispondere all’idea nuova di qualità e quindi essere buoni per il palato e per la mente, sostenibili per la Terra e giusti per-ché ad ognuno sia garantita la giusta di-gnità. E’ necessario apprendere quello che non si può imparare sui libri sui saperi vec-chi e nuovi, conoscere e confrontarsi con gli altri e rendere possibile fare esperienze dirette da soli o insieme partecipando co-operativamente11.

11 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005

Le esperienze di consumo condiviso rappresentano esperienze non solo di consumo, ma anche di socialità e condivi-sione di nuovi modelli culturali, nelle quali trova risposta un diffuso bisogno di rige-nerazione della dimensione comunitaria, di riappropriazione di autonomia culturale e decisionale, di recupero di una base di valori e principi.

Vita Etica

Cambiare il punto di vista in un modello di consumo significa passare da quella che è una visione macro, a quella che invece potrebbe essere una visione micro.Se infatti ad oggi le intere produzioni sono globalizzate, omologate e diffuse omoge-neamente in tutto il mondo, bisognereb-be invece agire localmente in modo tale da rendere le tante piccole realtà una forza mondiale. Ogni realtà dovrebbe pertanto recuperare i vecchi valori della tradizione agricola nel rispetto delle sta-gioni, del benessere e soprattutto della vera qualità del cibo. L’obiettivo è quindi quello di rafforzare le economie locali e fa-vorire la costituzione di un’alleanza tra chi produce chi consuma.

E’ necessaria una formazione culturale che promuova, tuteli ed educhi il con-sumatore attraverso un libero, semplice e trasparente accesso alle informazioni. L’alimentazione, non essendo materia di studio, viene appresa soltanto attraverso superficiali consigli sulla nutrizione che ot-tengono spesso l’effetto di essere contro-producenti. I materiali didattici utilizzati di solito sono poco coerenti e hanno il limite di essere ripetitivi, noiosi e vissuti come

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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo 183

un’imposizione male accettata da bambini e ragazzi. Generalmente ci si limita a tabelle nutri-zionali, a video su ciò che fa bene o male, consigli puramente teorici. In un mondo in cui il sapore si perde tra omologazioni e sparizioni, in cui il rapporto diretto con il cibo è sempre più una mediazione artifi-ciosa, bisogna ridare centralità allo studio del cibo e alla sua sperimentazione.

Capire da dove proviene la materia prima, toccarla, manipolarla, cucinarla e mangiarla è il modo più efficace per edu-care al cibo e al gusto, ma anche orientare la sensorialità, conoscerla, avvicinarsi alle produzioni del proprio territorio, alle ri-cette della propria tradizione aiuta il con-sumatore ad essere più consapevole.

Tramandare saperi e conoscenza.

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5. CONSUMATOREl’inconsapevole e il consapevole

Come si è visto precedentemente, il cibo ha subito a partire dal se-condo dopoguerra un processo che ne ha sottratto tutte le con-

notazioni, le funzioni e i valori che lo di-stinguevano da una qualsiasi altra merce. Il cibo come prodotto di consumo, acquista-bile in un supermercato già impacchettato o addirittura cucinato, è svuotato della sua storia, della sua provenienza e di tutto ciò che implica la sua produzione, con il risul-tato finale che ormai non si conosce più ciò che si mangia. E’ un elemento perfet-tamente integrato e funzionale alla società dei consumi, è un prodotto assimilabile a tutti gli altri beni di consumo moderni. Il cibo è però per l’uomo qualcosa di in-sostituibile, un valore che va molto al di là della sua semplice funzione di carburante per il corpo; il cibo è vita e per questo va tutelato e rispettato.Il consumatore di oggi ha demandato del tutto l’approvvigionamento e la tra-sformazione dei cibi alle industrie, allon-tanandosi ed estraniandosi sempre più da un processo di consumo responsabile. L’industrializzazione ha permesso di au-mentare le distanze tra produttori e con-sumatori e mentre risolveva un problema come il guadagno di tempo o la comodità di un certo tipo di packaging, si è peggio-rata sempre più la qualità intrinseca degli alimenti, distruggendo intere società agri-cole e con esse tutti i valori e le conoscenza di cui erano portatrici.1

1 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009

5.1. IL CONSUMATORE INCONSAPEVOLE

La totale estraneità tra la figura del produttore e quella del consumatore, tra il momento della produzione e quello del consumo alimentare sono fenomeni in espansione. I metodi di produzione del cibo di stampo industriale ne sono i prin-cipali, diretti e indiretti, responsabili. Questi stili produttivi hanno fatto sì che la conoscenza sulla produzione si specializ-zasse e si tecnicizzasse fino a diventare incomprensibile per chiunque ne sia diret-tamente responsabile. Hanno allontanato e centralizzato i luoghi di produzione, togliendoli alla vista e cancellandoli dalla realtà comune; hanno artefatto la mate-ria naturale fino a renderne irriconoscibili le caratteristiche originarie; hanno mer-cificato ogni fase, dalla coltivazione alla distribuzione, arrogandosi tutte le cono-scenze (agricole, di trasformazione, di com-mercio) fino a presentare al consumatore un prodotto finito, incartato, trasformato con tecniche sconosciute e non spiegate, da comprare come un qualsiasi altro bene di consumo.Un tempo l’arte per conservare il cibo era una questione vitale, oggi l’aver delegato questo compito alla tecnologia ha trasfor-mato tutti in sfrenati produttori di rifiuti. La vecchia saggia scuola dell’economia domestica è diventata un optional nella cultura usa e getta e non a caso l’economia domestica non si insegna più. Si adducono motivi di discriminazione sessuale, visto

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che si impartiva in prevalenza nelle scuole femminili, così è sembrato più semplice eliminarla piuttosto che insegnarla anche ai maschi. Invece si potrebbe fare molto per creare meno rifiuti, già a monte del processo produttivo attraverso un ritorno alla sana economia domestica con la collaborazione tra produttori, distributori e consumatori (non necessariamente in quest’ordine).Per capire cosa è lo spreco si provi a guar-dare il retro di un supermercato. Quello che sul palcoscenico sembra il Paese di Bengodi, nel backstage è una pre-disca-rica: imballaggi, prodotti appena scaduti, frutta e verdura che hanno appena finito di “resistere” sugli scaffali e sono più pre-sentabili secondo i loro canoni estetici: tutta merce invenduta che viene buttata. Senza andare a scomodare la grande di-stribuzione, si pensi ai frigoriferi domesti-ci. Nati per conservare, per fare in modo di tenere un po’ di avanzi e riutilizzarli, oggi sono invece l’anticamera del sacchetto della spazzatura: vasetti con una prima pa-tina di muffa, moncherini di formaggi am-

muffiti, prodotti scaduti, confezioni aperte e mai finite, inutilizzabili. I congelatori, poi, sono la manifestazione più plateale della paura di restare senza cibo che fa seppel-lire nel ghiaccio carni che restano a volte lì per anni.La vita frenetica di oggi ha portato il con-sumatore a dimenticare la saggezza popo-lare, una saggezza che insegna a produrre meglio, a immettere meno anidride car-bonica nell’atmosfera, a rispettare la biodi-versità e anche a non sprecare2. Il consumatore “inconsapevole” è colui che consuma distrattamente tutto ciò che il mercato gli offre senza porsi domande su quello che sta a monte del prodotto. Non avendo molto tempo da dedicare alla spesa, cerca un punto vendita che gli per-metta di trovare tutto, dal pane ai deter-sivi, dalla pasta alle mutande, dalla carne ai videogiochi e quindi quasi sempre si affida ai supermercati. E’ condizionato dall’offerta che lo porta ad acquistare pro-dotti che altrimenti non avrebbe comprato e spesso e volentieri eccede nelle quantità; le sue scelte ricadono sovente su quei pro-

2 Ibid.Reparto prodotti confezionati.

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dotti dalla preparazione rapida come i cibi surgelati o addirittura pre-cotti. Difficil-mente prima di mettere nel carrello gira la confezione per leggere le informazioni, ma si fida dell’immagine pubblicitaria e della marca; l’unico dato che ricerca è la data di scadenza su cui fa affidamento in maniera assoluta, trovandosi poi a buttare tassati-vamente entro quella data grandi quantità di cibi confezionati e neanche aperti. Ormai si è creato un circolo vizioso tra la domanda del consumatore e l’offerta della GDO che ha portato a fare in modo che il consumatore inconsapevole si aspetti di trovare le fragole anche a dicembre, per-dendo sempre più la consapevolezza della stagionalità dei prodotti ortofrutticoli. Non si rende conto che per avere le fragole in inverno, il supermercato deve farle arri-vare dall’altra parte del mondo: devono partire di là ancora acerbe, maturare du-rante il viaggio e arrivare sugli scaffali più che mature ad un prezzo spropositato.Questo comportamento influisce nega-tivamente sia sull’ambiente sia sulla per-sona: se da una parte si creano produzio- ni e allevamenti intensivi, rinforzati da additivi e sostanze chimiche, dall’altra au-mentano intolleranze alimentari, obesità e disturbi dovuti al cibo. Così facendo il con-sumatore inconsapevole crede di rispar-miare soldi grazie alle offerte e tempo gra-zie al microonde, ma quegli stessi soldi li spenderà per visite mediche specialistiche e il tempo guadagnato in sale d’attesa. Non va dimenticato anche l’abuso di far-maci e di integratori alimentari dovuto ai ritmi di vita che portano sempre più ad un conseguente aumento di stress e depres-sione.E’ necessario ridefinire il ruolo del con-

sumatore. Il termine consumatore nasce con la società dei consumi; il consumatore consuma non solo ciò che acquista, ma consuma la terra, l’aria, l’acqua, le risorse del pianeta. L’attività stessa di produzione comporta un consumo, l’approccio di spe-sa è sbagliato; la parola stessa “consumo” entrato nel linguaggio comune non riesce più a celare il suo vero significato cioè usu-ra, distruzione, esaurimento progressivo. Il consumo perciò è l’atto finale del proces-so produttivo; il consumatore deve pertan-to iniziare a sentirsi in qualche modo parte del processo produttivo, conoscendolo, influenzandolo con le sue preferenze, sup-portandolo se in difficoltà, rifiutandolo se sbagliato o insostenibile3. Per avere un quadro generale del con-sumatore inconsapevole sono state rea-lizzate due schematizzazioni sul proprio comportamento. Da una parte viene evidenziata la vita etica caratterizzata dai comportamenti osservati durante l’acquisto, la conservazione, il consumo e lo smaltimento. Dall’altra vengono consi-derate la vita biologica, che comprende gli effetti dovuti alla produzione e alla con-seguente alimentazione, e la vita sociale, che analizza i costi dello stile di vita.I comportamenti e le abitudini del con-sumatore inconsapevole provocano ri-percussioni sia sul territorio sia sulla vita sociale. In particolare i comportamenti di acquisto e consumo sono strettamente relazionati alle modalità di produzione del cibo, nonché alle distanze che questi devono percorrere, e ai costi sociali che si devono sostenere per mantenere un certo stile di vita.

3 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005

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Dati percentuali basati su fonti Istat.

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5.2. VERSO IL CONSUMO CONSAPEVOLE

Per raggiungere uno sviluppo mondiale sostenibile sono indispensabili dei cambia-menti fondamentali nei modi in cui le so-cietà producono e consumano. I governi, le istituzioni internazionali, il settore priva-to e tutti i gruppi coinvolti dovrebbero svolgere un ruolo attivo nell’incoraggiare e promuovere lo sviluppo di un quadro decennale di programmi a sostegno di ini-ziative regionali e nazionali per accelerare il passaggio a modelli di produzione e di consumo sostenibili, per promuovere lo sviluppo economico e sociale entro la ca-pacità di carico degli ecosistemi, svinco-lando la crescita economica dal degrado ambientale attraverso il miglioramento dell’efficienza, la sostenibilità nell’uso delle risorse e nei processi produttivi, dell’inquinamento e dei rifiuti. La società dei consumi e i suoi effetti sui sistemi naturali e sui sistemi sociali rappre-sentano un tema centrale per il presente e il futuro del nostro pianeta. Nel contesto economico globale degli ultimi decenni, il

fenomeno del consumismo ha subito una trasformazione esponenziale, correlata alla globalizzazione del commercio mon-diale e all’assunzione del consumo quale nuovo modello culturale di riferimento che trapassa i confini nazionali. Ciò può rappresentare una minaccia non solo per l’equilibrio ambientale mondiale ma anche per la varietà e la ricchezza di conoscenze e tradizioni locali, da tutelare quale patri-monio su cui investire e costruire possibili modelli di riferimento culturali alternativi.

Consumo Consapevole

Le attuali modalità di consumo condizio-nano fortemente la dimensione ambien-tale, economica, culturale e sociale della presenza umana sul pianeta, determinan-do esaurimento delle risorse, inquinamen-to, disuguaglianze, disagi e tensioni sociali. E’ necessario cambiare il corrente approc-cio alla tematica dei consumi, consideran-done la complessità ed agendo sia sulla sfera privata sia su quella pubblica.

Spesa consapevole.

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5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole 197

Per quanto attiene la sfera privata, emerge il valore dell’educazione al consumo, che, realizzata con carattere permanente e in ambito formale e non formale, favorisce un cambiamento di approccio culturale, di abitudini e di stili di vita. Attraverso pro-cessi di apprendimento e la presa di co-scienza della responsabilità e del potere dei consumatori, l’individuo diviene in pri-mis consapevole delle dinamiche che in-teragiscono nei consumi poi responsabile compiendo scelte sostenibili sulla base delle conoscenze e delle motivazioni ma-turate, e quindi attivo, arrivando a influire dal basso sul cambiamento della società e dell’economia. Per quanto riguarda la sfera pubblica, è necessario creare sinergie atte a promuo-vere politiche integrate per il consumo consapevole, tali cioè da creare condizioni favorevoli ai suddetti processi di respon-sabilizzazione, nonché ai processi di cam-biamento che si rendono necessari nei contesti in cui gli individui sono inseriti. E’ opportuno, nella loro definizione e at-tuazione, dare adeguato riconoscimento ai bisogni e alle volontà di cambiamento emergenti dalla società, rendere evidenti e dare sostegno alle potenzialità di cam-biamento, creare spazio per la loro espres-sione e diffusione sul territorio.

Le buone pratiche di consumo che si stanno affermando, a livello nazionale ed internazionale, sono espressione di un’innovazione sociale di grande valore e di elevato potenziale in termini di incre-mento della sostenibilità. Le politiche per il consumo consapevole, se interiorizzate nelle pratiche sociali, possono rappresen-tare una delle modalità più efficaci per

declinare e articolare gli obiettivi delle politiche ambientali, sociali ed energe-tiche nazionali ed internazionali4.

Oggi l’umanità è chiamata a decidere ver-so quale direzione proseguire il cammino della propria storia, una scelta obbligata da fare con estrema urgenza, prima di ol-trepassare il punto critico di non ritorno. Continuare nella direzione dell’attuale modello di consumo che sta sfinendo il capitale naturale a ritmi frenetici, che modifica profondamente le caratteristiche fisiche e biologiche della Terra vuol dire andare incontro ad una sicura catastrofe. Se queste sono le prospettive, allora bi-sogna cambiare direzione percorrendo con decisione la strada della sostenibilità verso un nuovo modello di consumo e quindi di sviluppo qualitativo per ridurre la pressione e l’impatto sul territorio, le emis-sioni in atmosfera, lo spreco di risorse, per costruire un nuovo sistema energetico da fonti rinnovabili calibrato e centrato sulle diverse specificità territoriali, per promuo-vere la sicurezza, la salute, la qualità della vita, il dialogo interculturale, la coesione sociale, la riqualificazione del patrimonio urbano secondo i criteri dell’edilizia so-stenibile, nel rispetto del territorio e di tutte le forme di vita che lo abitano.

Questo percorso presuppone profondi cambiamenti anche negli attuali stili di vita, nei comportamenti individuali e so-ciali; si deve necessariamente imparare a vivere e a consumare cercando di soddi-sfare i propri bisogni inquinando di meno, riducendo i rifiuti, sprecando meno risorse,

4 Elaborato dal Gruppo di lavoro nazionale “Consumo sostenibile”.

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risparmiando energia. La sostenibilità deve essere la nuova frontiera dell’agire quotidiano, l’educazione ad un consumo consapevole e responsabile, una priorità della vita. Più che le parole in questa direzione ser-vono fatti concreti: i consumatori, cam-biando i propri stili di vita, possono realiz-zare e consolidare nei territori esperienze concrete, buone pratiche virtuose, capaci con la forza dell’esempio di indicare un modo diverso e responsabile di vivere, di abitare, di produrre, di consumare.

5.3. IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE

Nasce oggi quindi un sentire comune che porta ad essere “attivi” nella ricerca di un’idea di qualità della vita che si con-fronti non soltanto con il bene proprio e personale ma anche con quello degli altri e della terra. Un sentire comune che porti a ridefinire i comportamenti e gli obiettivi quotidiani e a dare il giusto senso al cibo, centrale nelle attività dell’uomo. Grazie al cibo deve sorgere la volontà di comuni-care il più possibile, deve sorgere la pro-gettualità, la voglia di fare e di realizzare idee concrete. Il consumatore deve recuperare la sua saggezza e liberarsi dalla velocità che può ridurlo ad una specie in via d’estinzione; invitando a rallentare ci si chiama al ri-spetto della natura e non della sua appro-priazione privata contro il bene comune. Ci si invita al rispetto dell’altro, contrap-ponendo la qualità degli scopi utilitaristici alla passione e comprensione, la concor-renza economica all’amicizia e all’unione di forze. Ci si accorge che i “saperi lenti” sono il sapere che può riequilibrare il

mondo, che produce il buono, che non in-quina, che salva le culture e le identità, che consente di continuare a intrattenere uno scambio tra le diversità. Poiché se è vero che chi è lento rischia di restare troppo indietro è anche vero che chi è lento può vedere chiaro il limite, sa conviverci e lo comprende. I saperi lenti sono intessuti in una rete di altre conoscenze tradizionali e popolari che vanno urgentemente salvate e rivalutate, prima di smarrire completa-mente il gusto di vivere in un mondo che sia ancora a misura d’uomo.

La conoscenza basilare sul cibo la sua provenienza, la sua trasformazione, la cucina, un tempo venivano tramandate di generazione in generazione in maniera fisiologica; la vita in campagna ma anche la prossimità dei cittadini alle materie prime, tramite il rapporto instaurato con i produttori al mercato o con il negoziante di quartiere, favorivano un naturale pro-cesso di apprendimento. Non era solo una prerogativa del mondo contadino perché in città il contatto diretto, la conoscenza, l’informazione tra produttore e cittadino si palesavano nelle botteghe e nei mercati5.

L’educazione e la formazione rappre-sentano uno strumento essenziale con il quale fare leva per favorire il necessario cambiamento di comportamenti, lo svi-luppo di conoscenze e di nuovi approcci e la definizione di soluzioni individuali e di gruppo. Affrontare efficacemente i mo-delli di consumo attuali prevede interventi che considerano simultaneamente diversi livelli: culturali, sociali, ambientali ed eco-

5 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005

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nomici. Il cambiamento verso nuovi modelli di produzione e consumo richiede, pertanto, un approccio multi-livello che integra le iniziative esistenti mirate al concetto di consumo consapevole (uso sostenibile delle risorse naturali, eco-efficienza nel comparto produttivo e dei trasporti, ri-duzione dei rifiuti attraverso il riciclo e il riutilizzo dei materiali, politiche integrate di prodotto, …) in una prospettiva più am-pia che conduce non solo ad una gestione sostenibile delle risorse naturali ma ad una vera e propria tutela delle risorse stesse perseguibile solamente attraverso una significativa riduzione dei consumi.

Vi è la necessità di conferire maggiore po-tere alle persone, e quindi i consumatori, fornendo accesso a informazioni e cono-scenze appropriate, una maggiore con-sapevolezza e capacità critica, promuo-vendo un cambiamento nella mentalità degli individui e dei gruppi sociali, per permettere loro di essere gli attori princi-pali del cambiamento verso la sostenibi-

lità. Per consumo consapevole si intende la pratica di organizzare le proprie abitu-dini di acquisto e di consumo in modo da accordare la propria preferenza ai prodotti che possiedono determinati requisiti di qualità, differenti da quelli comunemente riconosciuti dal consumatore inconsape-vole.E’ necessario riuscire a costruire, in un mercato che assomiglia sempre di più ad una giungla, una nuova figura di con-sumatore dotato di spirito critico, capa-cità e autonomia di scelta. Non è facile perché oggi tutti vivono immersi in un mercato globale aggressivo, onnipresen-te che propina sistematiche campagne pubblicitarie, sempre più pressanti e op-pressive che induce e istiga a stili di vita, a comportamenti individuali, sociali e ad un modello di consumo insostenibile. Un consumatore consapevole, capace di sce-gliere in piena autonomia, può rappresen-tare l’antidoto all’omologazione dei com-portamenti, all’annullamento del senso critico e all’appiattimento culturale. Ovvio che se questo rimane un comportamento

Ritorno alla manualità.

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individuale nemmeno lo si nota e non pro-duce nulla, se invece cresce, coinvolge e re-sponsabilizza, diventa un comportamento diffuso: solo così si può davvero cambiare, qualificare la domanda e di conseguenza condizionare l’offerta, responsabilizzare i produttori e il sistema distributivo.In particolare il consumatore consapevole riconoscerà come componenti essenziali della qualità di un prodotto alcune carat-teristiche delle sue modalità di produzione, ad esempio la sostenibilità ambientale del processo produttivo o le tecniche naturali adottate durante la coltivazione agricola. La possibilità di utilizzare la propria po-sizione di consumatore per perseguire fini etici presuppone il poter scegliere tra diversi prodotti nonché la conoscenza di tutte le informazioni necessarie a com-piere una scelta consapevole. Il termine in genere non fa riferimento solo agli acquisti di beni materiali: il consumo critico può anche riguardare le scelte ine-renti al risparmio e all’uso di servizi come ad esempio i trasporti pubblici o le teleco-municazioni.

In generale i consumi rappresentano una filosofia di vita, una vera e propria visione globale del nostro modo di essere, del nostro modo di leggere il tempo, il lavoro, il rapporto con gli altri: consumare è un modo di vivere nostra la vita. La sensibiliz-zazione dei consumatori verso il consumo consapevole non riguarda solamente le tematiche ambientali in generale, ma è legata ad obiettivi specifici come ad esem-pio la diffusione di beni di largo consumo contrassegnati da etichette ecologiche o da marchi che ne indicano la classe di ef-ficienza energetica.

Tali cambiamenti sociali e culturali pos-sono essere stimolati e sostenuti mo-strando i rischi degli scenari attuali con le prospettive che possono scaturire da nuovi modelli di produzione e consumo sostenibili.

Attività fisica nel parco.

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Ricerche e Numeri

Quando i beni che si consumano quo-tidianamente vengono prodotti e usati nel pieno rispetto dell’ambiente e delle risorse, senza rinunciare al comfort, è possibile modificare il proprio stile di vita. Tante sono le iniziative oggi in atto: si può approfittare degli incentivi statali per l’acquisto di nuove macchine a basso consumo (si può passare da un consumo di 10 litri di benzina ogni 100 km a 5, con proporzionale riduzione di emissioni di CO2) e si può ovviamente integrare il suo uso con mezzi di trasporto pubblici, qua-li gli autobus, la metropolitana o il treno. O meglio ancora ci si può spostare in bici o a piedi per andare a fare la spesa vicino a casa e non per forza nel centro commer-ciale fuori città.

Molti sono i vantaggi di una salutare at-tività fisica: una passeggiata giornaliera di 30 minuti a piedi o in bicicletta può ridurre fino al 50% il rischio di contrarre malattie cardiocircolatorie, fino al 50% il rischio di

sviluppare diabete ed obesità e del 30% di sviluppare ipertensione. In 30 minuti di camminata si percorrono circa 3 km di strada, che è la distanza entro cui rientrano il 30-40% degli spostamenti giornalieri6.

Quasi nove italiani su dieci (87%) non hanno rinunciato alla qualità della spesa alimentare nonostante le difficoltà eco-nomiche. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti sui dati Istat sui consumi dei cittadini nel 2009, che evidenziano una spesa media alimentare per famiglia pari a 460 euro al mese, in calo del 3% rispetto all’anno precedente.

Oggi per legge sulle confezioni deve es-sere riportata un’etichetta che indichi la provenienza del prodotto, in futuro si potrebbero trovare informazioni aggiun-tive che indichino ad esempio la distanza percorsa, i Kg di petrolio consumati e le emissioni di CO2, e magari anche il logo di un aereo sulle confezioni che hanno volato da un Paese all’altro.

6 fonte Istat.Cassonetti per la raccolta difefrenziata.

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I rifiuti possono essere una preziosa fonte di energia e di materie prime che potrebbero essere in gran parte riutiliz-zati, riducendo così i costi di smaltimento e il degrado dell’ambiente. In Italia me-diamente si producono oltre 29 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, di cui il 50-60% direttamente dalle famiglie. Questo significa che una famiglia di 4 per-sone produce ogni giorno, in media, quasi 6 kg di rifiuti.La produzione di rifiuti pro-capite media italiana è di 492 Kg/anno, quella europea di 545 Kg/anno. Il contributo che i consumatori possono dare è quello di cercare di produrre una minore quantità di rifiuti, soprattutto di imballaggi. Nel 2008, gli imballaggi con-sumati in Italia hanno abbondantemente superato 11milioni di tonnellate, pari al 35% del totale dei rifiuti solidi urbani prodotti. Conviene inoltre contribuire ad effettuare la raccolta differenziata: la separazione dei rifiuti è la condizione es-senziale per poter recuperare materiali di buona qualità, riutilizzabili e vendibili nel mercato del riciclaggio, e per far sì che i rifiuti destinati alla produzione di energia siano privi di materiali tossici e pericolosi.7

Risparmio

Più di 3 miliardi di euro sono stati spesi dagli italiani in un anno per gli acquisti di prodotti a chilometri zero che possono contare su una rete di oltre 63.000 imprese agricole, 18.000 agriturismi, 500 mercati degli agricoltori, quasi 1.200 distributori di latte fresco oltre a decine di ristoranti,

7 fonte Unioncamere, Statistiche.

mense, osterie, botteghe, consorzi agrari, cooperative, vinerie, pescherie, pizzerie e gelaterie dove si servono prodotti locali e di stagioni operativi nel 2009. E’ quanto è emerso dalla prima indagine sulla “Spesa a km 0 in Italia” presentata dalla Coldiret-ti in occasione della giornata mondiale dell’Onu dedicata all’ambiente nell’ambito del Festival Internazionale dell’Ambiente. La spesa a Km zero facilita l’accesso dei consumatori alla produzione agricola ta-gliando le intermediazioni e riducendo le distanze che deve percorrere il cibo con mezzi spesso inquinanti prima di giun-gere a tavola, con effetti positivi sul piano economico, salutistico e ambientale. Si stima che oltre a garantire un risparmio medio del 30% nel prezzo di acquisto a parità di qualità, i prodotti alimentari fre-schi come la frutta e verdura a chilometri zero, acquistati al mercato degli agricoltori o direttamente presso le aziende agricole, durano fino a una settimana in più rispetto a quelli dei canali di vendita tradizionali perché provengono direttamente dalle aziende limitrofe, non devono subire in-termediazioni commerciali, conservazioni intermedie in magazzino e lunghi traspor-ti che compromettono la freschezza degli altri prodotti prima di arrivare sul banco di vendita8.

8 http://www.coldiretti.it/

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Filiera

La filiera corta, con l’eliminazione degli intermediari, evita il moltiplicarsi dei prez-zi (anche del 200%) dalla produzione al consumo. Filiera corta significa poi sostenibilità delle produzioni, perché si consuma (e si inquina) molto meno a portare il pro-dotto dall’orto alla tavola e per imballarlo. Questo si traduce anche in minori costi per la collettività: come si è visto minori costi di smaltimento, ma anche minori costi so-ciali, visto quanto spende lo stato italiano per garantire adeguate cure alle malattie derivate dallo smog e dall’inquinamento.

Di seguito alcuni esempi di acquisti con-sapevoli e in cui si possa risparmiare.

1. Latte. Grazie alla distribuzione alla spina si risparmia in media il 30%; il costo del latte è di 1.00 euro/litro (1.20 euro per quello alla spina): sugli scaffali il latte vie-ne venduto ad un prezzo medio di 1.60 euro/litro. I distributori automatici di latte

sono localizzati presso le aziende agricole, presso i mercati contadini o anche presso alcuni supermercati. Il latte è crudo per cui è prodotto direttamente dalla mucca e non trattato termicamente: le qualità nu-trizionali sono migliori. L’azienda agricola che carica il distributore, ritira il prodotto invenduto in giornata.

2. Orto. In USA è diffuso il pick your own: i consumatori acquistano direttamente i prodotti nell’orto del contadino racco-gliendo loro stessi i prodotti dalla pianta. In alternativa molti sono coloro che appog-giano l’orto fai da te: con un piccolo orto in terrazzo e con pochi euro per l’acquisto dei semi è possibile coltivare basilico, prez- zemolo, zucchine, cetrioli, pomodori, ... con un risparmio fino a 300 euro.

3. Aziende agricole. L’acquisto presso le aziende agricole è la soluzione ideale per chi vuole acquistare prodotti genuini, sani, di qualità ad un prezzo conveniente. I gruppi di acquisto (GAS) solitamente si organizzano per approvvigionarsi da

Prodotti del territorio.

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5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole 204

produttori agricoli o da piccole industrie locali, creando vere e proprie ordinazioni, in grandi quantità, di stagione in stagione. In questo caso, l’unione crea risparmio: sommando la lista della spesa di ogni as-sociato, si arrivano a fare ordinativi sostan-ziosi e così si compra al 10-30% in meno. Ipotizzando un paniere di frutta e verdura composto di cipolle, patate, radicchio tondo, mele Fuji, pere Abate, kiwi Italia, carote e cavolfiore (un chilogrammo per tipo), secondo le rilevazioni di Coldiretti Emilia Romagna la spesa dal contadino ammonterebbe a 8,8 euro, quasi la metà rispetto ai 17,35 euro che si pagherebbero in negozio.

4. Mercati contadini. L’alternativa a pren-dere l’auto per andare in campagna sono i Farmer’s market in cui i contadini vendono direttamente i prodotti delle loro aziende agricole in città. Si ha un risparmio dal 30 al 60%. La possibilità di conoscere diretta-mente il produttore permette al consuma-tore di imparare molto sul tipo di produ-zione e sulla qualità dei cibi che mangia.

Per avere un quadro generale del con-sumatore consapevole sono state realiz-zate due schematizzazioni sul proprio comportamento. Da una parte viene evidenziata la “vita etica” caratterizzata dai comportamenti osservati durante l’acquisto, la conservazione, il consumo e lo smaltimento. Dall’altra vengono consi-derate la “vita biologica”, che comprende gli effetti dovuti alla produzione e alla con-seguente alimentazione, e la “vita sociale”, che analizza i costi dello stile di vita.

I comportamenti e le abitudini del con-sumatore consapevole provocano riper-cussioni sia sul territorio sia sulla vita so-ciale. In particolare, i comportamenti di acquisto e consumo sono strettamente relazionati alle modalità di produzione del cibo, nonché alle distanze che questi devono percorrere, e ai costi sociali che si devono sostenere per mantenere un certo stile di vita.

5.4. SCENARI Come si è visto, le basi su cui si costruisce l’intorno del consumatore consapevole sono semplici concetti ritrovabili nella tradizione che oggi purtroppo si è persa.Lo scenario del consumatore consapevole definisce un nuovo modello di consumo che non è quindi basato su concetti nuovi o astratti, ma è una trasposizione e una ri-lettura in chiave contemporanea dei valori del passato. Osservando parallelamente le caratte-ristiche della GDO in cui si ritrova il con-sumatore inconsapevole e le esigenze del consumatore consapevole, si sono potuti delineare due scenari. In ognuno di essi si evidenziano sei concetti: dalla qualità alla quantità, dalla provenienza alla conserva-zione, dalla disposizione al servizio offerto.Confrontandoli emergono i diversi valori interpretati dai consumatori inconsape-voli e dai consumatori consapevoli. Se ad esempio per il consumatore inconsape-vole “qualità” significa marca e processo produttivo, per il consumatore consape-vole la “qualità” è data dal sapore e dalla materia prima.

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Dati percentuali basati su fonti Istat.

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6. QUALITA’il punto vendita per il consumatore consapevole

Il supermercato, nodo fondamen-tale nel processo di consumo della società contemporanea, è parallela-mente il luogo dove ci si approvvi-

giona delle merci, che spesso sono con-temporaneamente fonte di sussistenza e alimentazione e fonte di spreco e disper-sione nell’ambiente di materiali e sostanze incontrollate, oltre che essere un luogo a elevato consumo di energia e di risorse in generale.Il supermercato è però anche luogo di contatto quotidiano e periodico con il pubblico, un luogo che possiede un legame molto forte tra la produzione e il consumo per il tramite dello scambio di mercato che in esso si sviluppa e si ali-menta. Le scelte dei consumatori, interfac-ciandosi con la grande offerta di prodotti che sono a disposizione, sono in grado di premiare o penalizzare le politiche che ogni produttore persegue nella realizzazione delle proprie merci. Questa possibilità di influenza però la si utilizza semplicemente per incrementare il successo economico e commerciale, tendendo a incrementare politiche di seduzione e di marketing nei confronti del consumatore. Se invece si educa il consumatore a mani-festare una consapevolezza proprio nella sua scelta di acquisto, il punto vendita può diventare luogo di formazione e con-solidamento di responsabilità e sensibilità sociale ai temi dell’ambiente per tutta la società1.1 Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Proget-tare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009

6.1. I BUONI PROPOSITI DEI PUNTI VENDITA

Esistono oggi alcune soluzioni per fare la spesa mettendo d’accordo qualità e prez-zo, richiedendo un approccio diverso ver-so il consumo.In forte e costante diffusione sono i punti vendita, innovativi o tradizionali, che o-spitano particolari allestimenti dotati di erogatori da cui si possono prendere molti alimenti da acquistare sfusi, nella quan-tità voluta. Li propongono catene come Auchan, Crai, Coop, Conad, Selex e Sigma. Si può risparmiare dal 20% acquistando pasta e riso, al 30% per detersivi, fino al 70% per le spezie. La spesa alla spina ha il vantaggio di essere flessibile: di tutti gli alimenti si può comprarne la quantità de-siderata.In questo caso, la logica è completamente all’opposto rispetto alle offerte “3x2” o alle maxi-confezioni dai prezzi mini: è impos-sibile fare scorta e si deve comprare una quantità di prodotti commisurata ai reali bisogni del consumatore.

Altri supermercati si sono invece specia-lizzati nella vendita di prodotti biologici, quelli nati cioè da produzioni che tutelano l’ambiente, utilizzando concimi naturali e rispettando i cicli naturali della terra e la stagionalità dei cibi. Ne è un esempio, la catena di supermercati Natura Sì.Coop, che cerca da sempre di dimostrarsi attenta alle esigenze dei propri con-

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sumatori, ha da poco dato vita ad alcune iniziative di educazione verso il consumo consapevole: ad oggi conta numerosi in-segnanti, lezioni e conferenze atte alla formazione alimentare dei suoi Soci. In questo modo cerca di prevenire e rendersi flessibile in direzione dei nuovi bisogni dei consumatori che negli ultimi anni hanno dimostrato sempre più interesse verso prodotti sostenibili e/o del territorio. Molte sono le linee merceologiche che vanno incontro ai nuovi interessi: dagli alimenti biologici, ai prodotti senza glutine, a quelli compatibili con l’ambiente.

Esistono poi altri casi definiti di super-mercati eco-sostenibili: in questi punti vendita vengono presi accorgimenti su diversi aspetti, dal risparmio energetico alla più limitata e consapevole selezione di prodotti. Ad esempio il Simply Sma di Botticino, in provincia di Brescia, utilizza il calore generato dalle celle frigorifere per il riscaldamento dell’acqua dei sani-tari e i banchi surgelati usano coperture in vetro che mantengono le temperature

costanti senza dispersioni; l’intero edifi-cio è stato realizzato con un isolamento termico a cappotto, ampie vetrate fa-voriscono l’irradiazione di luce naturale e l’illuminazione interna è comandata da fotocellule sensibili. Una vasca sotterra-nea è adibita al recupero delle acque e un impianto fotovoltaico ricopre e alimenta energeticamente l’edificio. La scelta merceologica inoltre è ricaduta sul valore di prodotti biologici, equo-solidali, a Km zero e prodotti sfusi che rispettano territorio, risorse e produzioni agricole non industrializzate.

Il concetto di far viaggiare i prodotti non va escluso a priori perché alcuni viaggi sono poco inquinanti e potrebbero anche rappresentare importanti opportunità per le piccole comunità produttrici nel mondo2.Un’idea interessante è quella di introdurre sulle etichette di ogni prodotto, le food miles o miglia alimentari. Esse rappresen-tano il calcolo dei costi ambientali e di tutti gli aspetti negativi relativi al viaggio com-

2 www.mark-up.it, Art: Simply Sma, un super-mercato sostenibile, Anna Bertolini

Allestimento con materiali naturali.

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merciale che affronta il prodotto. Sono un indice importante per rendersi conto della sostenibilità e per pagare il giusto anche in relazione all’impatto ambientale negativo che i prodotti possono causare. Con la li-mitazione delle intermediazioni e un con-sumo connotato da nuove responsabilità, le food miles renderebbero i prezzi più trasparenti e l’eventuale acquisto di un pro-dotto insostenibile sarebbe decisamente più ponderato di quanto non sia oggi. La filiera produttiva potrebbe espandersi dal globale al locale, soddisfacendo in primis i

bisogni delle comunità locali e poi quelle di altre comunità. Il consumatore consape-vole deve impegnarsi a cercare i prodotti di qualità più vicini, ma anche promuovere il lavoro delle comunità seppur lontane ma bisognose di sostegno.

6.2. CARATTERISTICHE

Non si tratta di rifiutare del tutto l’attuale sistema della GDO: si tratta invece di sfrut-tarne le potenzialità sempre consci dei limiti con cui esso si confronta e intro-ducendo concetti nuovi di qualità e con-sapevolezza nel fare la spesa.Bisogna limitare il più possibile l‘intermediazione e di conseguenza ac-corciare la filiera: è necessario ripartire da un sano localismo per tutti quei tipi di ali-menti che possono essere coltivati, allevati e trasformati in aree geografiche limitate. Il cibo locale ha il vantaggio della freschez-za e di una conservazione maggiormente sana: con piccole produzioni l’impiego di agenti chimici può essere molto limitato o addirittura evitato; i prodotti non viag-giano e dunque non inquinano, si man-tengono vive le zone rurali con una pro-duzione autoctona e variegata. I bisogni di ogni piccola realtà cittadina potrebbero essere soddisfatti dalle produzioni delle campagne limitrofe che permettono di avere prodotti come grano, legumi, carne, latte, farine, …

La biodiversità è la garanzia evolutiva che attraverso un principio di adattamento permette alle comunità di trarre beneficio dalle risorse naturali. Attraverso la biodi-versità e le caratteristiche del territorio si Rispetto della biodiversità.

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evolvono l’agricoltura e le sue tecniche, i modi e i tempi di raccolta e di consumo dei prodotti, i modi di cucinare e i riti convi-viali. In questo modo si formano l’identità dei popoli e la loro cultura: non c’è identità senza scambio, non c’è identità se non a partire dalle differenze.

Lo stesso avviene in Natura che per prima insegna il valore delle differenze e la ric-chezza della varietà. L’analogia con la biodiversità è evidente: senza diversità di specie, varietà e razze, incroci e selezioni, la Natura sarebbe in pericolo perché altri-menti non saprebbe affrontare i problemi che le si presentano lungo il cammino, come le malattie o i cambiamenti repen-tini delle condizioni ambientali.

Lo spirito individualistico del commer-ciante, che gli ha consentito per secoli di svolgere il proprio lavoro con profit-to, va corretto in senso più altruistico. L’affinamento delle tecniche per comprare al miglior prezzo possibile e per vendere il più convenientemente ha portato l’intero settore alimentare a un vero e proprio do-minio del commercio: così anche il ruolo stesso del commerciante ha perso dignità svilendo il valore del cibo al semplice va-lore monetario. Inoltre, questa concezio-ne del commercio esclude dal circuito i produttori di qualità, che si trovano emar-ginati e ridotti a dover fare i conti con un mercato di nicchia, elitario e incapace di generare ricchezza e sviluppo3. Anche il commerciante deve sapersi tra-sformare in un veicolo di informazioni oltre che di prodotti e denaro, deve garan-

3 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009

tire trasparenza della filiera, limitandosi nella speculazione e applicando i principi di qualità. Deve condividere valori con i consumatori.

I cuochi, i personaggi più attivi nella ri-cerca di prodotti buoni, possono rivelarsi molto importanti per la ri-acquisizione di saperi: la loro esperienza può essere un ot-timo punto di partenza per comunicare ai consumatori una conoscenza e un savoir faire con il cibo, che non ha mai perso il legame con la tradizione. Ad esempio va recuperata la cultura dimenticata sui tagli animali: la perdita di artigianalità nella ma-cellazione, ormai ridotta ad una catena di smontaggio in grande scala, fa sì che una consistente parte della carne consumabile vada perduta perché i tagli più richiesti sono i meno nobili. La stessa mancanza di cultura gastronomica la si ritrova anche nel pesce: basti pensare a quelle specie che sono pescate e ributtate in mare perché non hanno mercato: tutti vogliono l’orata o il branzino solamente perché si è persa la capacità di cucinare le altre specie, come il pesce azzurro, per esempio4.

Bisogna però liberarli dallo spettacolo mediatico, dalla rincorsa ai punteggi nelle guide, e dovranno responsabilizzarsi, consapevoli del loro ruolo di veri e propri custodi dei saperi culinari e dei migliori impieghi dei prodotti. Dovrebbero con-tribuire alla formazione dei consumatori proponendo loro percorsi degustativi fi-nalizzati al recupero della sensorialità, unico vero strumento di gradimento dei cibi; dovrebbero insegnare loro i metodi

4 Ibid.

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di conservazione naturali per poter così poi comprare la materia prima, imparare a trasformarla e a mantenerne inalterate le proprietà organolettiche anche per perio-di di tempo prolungati. Le lezioni potreb-bero comunicare in modo chiaro e sem-plice i passaggi che aiutano a manipolare i cibi freschi e a legarli tra loro per dare vita a prodotti semilavorati in modo del tutto naturale.

Il punto vendita è un canale in cui devono viaggiare le informazioni sul cibo: basti pensare a cos’erano le botteghe di paese o le contrattazioni al mercato rionale, dove il commerciante descriveva il prodotto, ne raccontava la provenienza, le caratteri-stiche, i fattori umani e produttivi d’origine. In primo piano deve esserci la conoscenza, comunicata ed appresa, il rispetto dei valori e dei saperi tradizionali, il giusto riguardo per i produttori, per l’ambiente e per il territorio in cui si vive, la possibilità di potersi confrontare. Per rendere più facile il reperimento delle informazioni utili al consumatore,

all’interno dei punti vendita si potrebbero offrire schede informative contenenti le caratteristiche e provenienza dei prodotti, i nomi e contatti dei produttori e le av-vertenze per un acquisto sostenibile. Si potrebbe trattare di un normale data-base ipertestuale, con molteplici possibi-lità di ricerca al suo interno, da indicazioni sulla produzione, alla stagionalità dei cibi, alla realizzazione in casa di ricette e me-todi di conservazione.

Al suo interno devono circolare informa-zioni, saperi, prodotti ma anche e soprat-tutto persone: ci si deve avvicinare, ab-bandonando valori di globalizzazione e individualismo, per cercare di re-instaurare modelli di vita maggiormente basati sulla collettività. Ogni comunità va responsabilizzata nella cura del proprio habitat (tanto rurale, quan-to urbano) e ciò deve immancabilmente partire dal cibo. Questo non significa chiu-sura ma consapevolezza, responsabilità e partecipazione. Nel mondo globalizzato le possibilità che si aprono, sono tantissime,

Toccare la materia prima.

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a partire dall’idea di mettere in relazione i diversi sistemi di economia locale. Si pos-sono creare delle reti al cui interno viag-giano beni materiali e immateriali: dai pro-dotti stessi, in maniera sostenibile e dove ce n’è effettivo bisogno, all’informazione, alla condivisione delle conoscenze e delle tecnologie utili, nonché a tutti gli aspetti conviviali collegati all’immateriale, ma fon-damentale, qualità della vita5.

6.3. IL PUNTO VENDITA PER IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE

Il progetto di un punto vendita non può avvenire per compartimenti stagni ma deve essere visto come un sistema che vive e si relaziona con il contesto nel quale è inserito. Le linee guida espresse prece-dentemente devono essere considerate come buone indicazioni da tener sempre presenti.

6.3.1. IMPARARE ad essere un consuma-tore consapevole

L’orto: è un contatto diretto con la terra, i suoi frutti e i cicli naturali.

Scegliere innanzitutto di coltivare varietà vegetali il più possibile del territotio vuol dire ottenere prodotti naturali più resistenti per via della loro storia di adatta-mento, che non avranno bisogno del sup-porto di sostanze o elementi esterni come fitofarmaci, fertilizzanti chimici, antiparas-sitari o antibiotici. Avere la possibilità di veder personalmente crescere i frutti della terra significa per il consumatore acquisire

5 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009

conoscenze sulle produzioni, sui periodi di semina e sui cicli naturali. Inoltre, poter parlare e conoscere i veri produttori di cibo può essere utile per ampliare le pro-prie conoscenze in merito alla stagionalità e ai metodi di coltura naturali.Facendo suoi questi saperi, può trasfor-marsi da consumatore a produttore e avere la possibilità di ricostruirsi un pic-colo orto domestico.

6.3.2. TOCCARE e ANNUSARE per per-cepire la qualità locale e stagionale

L’ortofrutta: è uno spazio che parla di ali-menti locali e di stagione.

Le produzioni locali consentono di sal-tare agevolmente la maggior parte delle intermediazioni distributive e di costruire un’agricoltura di prossimità in ogni città. I metodi di distribuzione che limitano l’intermediazione e fanno percorrere mi-nori distanze al cibo portano all’evidente limitazione delle emissioni di CO2 e di tutti gli inquinamenti dovuti ai trasporti. Con la produzione localizzata sul terri-torio, i cibi necessitano di minor prodotti chimici, dai fertilizzanti ai pesticidi, che ne aumentino le sue proprietà conservanti e inoltre, coltivazioni meno intense o del tutto non intensive hanno bisogno di meno acqua. Recuperando la biodiversità di un territo-rio, le ricadute possono essere molteplici, salvaguardandone ad esempio il paesag-gio e l’identità estetica e funzionale.

La stagionalità dei prodotti non è soltan-to un piacere e una fonte di educazione, ma un’esigenza per rendere più efficiente

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la produzione, a tutto vantaggio dei cicli naturali. Il recupero della sensorialità per il con-sumatore lo porta ad accorgersi della dif-ferenza di sapore di un prodotto locale piuttosto di uno di importazione. Le infor-mazioni relative ai prodotti ortofrutticoli devono essere ben visibili, con un linguag-gio chiaro e immediato: riguardano indi-cazioni sulla provenienza, sulle tecniche produttive adottate e sull’impatto am-bientale.

6.3.3. EDUCARE e ASSAGGIARE per ap-prendere e riconoscere il gusto

Le lezioni del cuoco: sono un appuntamento quotidiano dove imparare a conoscere e trasformare la materia prima.

Le tradizioni culinarie appoggiano la pro-duzione locale, naturalmente predisposta per i migliori risultati nella trasformazio-ne dei prodotti del territorio secondo le usanze locali. Con le lezioni del cuoco il consumatore impara direttamente da chi sa cucinare e trasformare le mate-rie prime; partecipando attivamente può apprendere gli insegnamenti e farne tesoro per ripeterli a casa. Il vantaggio di assistere attivamente alle lezioni, permette al consumatore di con-frontarsi e far domande agli esperti; la tra-smissione di saperi è diretta.Il consumatore diventa trasformatore manipolando prodotti freschi e allenando l’uso della propria sensorialità.

6.3.4. CONFRONTARE per riconoscere un prodotto “fatto in casa”

La dispensa del cuoco: contiene cibi freschi, sani e semilavorati attraverso metodi natu-rali.

La materia prima trasformata durante le lezioni del cuoco viene confezionata me-diante metodi di conservazione naturali e preparata per essere disposta e messa in vendita in un’area predefinita del punto vendita. Così facendo il cuoco amplia i pro-pri insegnamenti mostrando ai consuma-tori anche come conservare utilizzando le tecniche tradizionali.Imparare a trasformare gli alimenti.

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E’ inoltre di grande importanza la zona informativa presente nell’area della di-spensa in quanto permette di comunicare sinteticamente il processo di lavorazione, attuato dal cuoco durante le lezioni, per poterlo rifare a casa. I contenitori entro i quali vengono confe-zionati i prodotti del cuoco sono riutiliz-zabili sia in ambito domestico sia come dosatori per spese successive.

6.3.5. SOCIALIZZARE per confrontarsi con gli altri

L’agorà: è un’area multimediale per la ricerca e lo scambio di saperi. E’ la possibilità di far parte di un gruppo.

Un punto vendita che promuove la pro-duzione locale può trasformare l’atto del consumo in una scelta attiva, grazie alla quale il consumatore diventa co-produt-tore. La vicinanza con gli uomini e i luoghi della produzione aiuta a sentirsi partecipi del processo che porta il cibo sulla tavola, favorisce la circolazione delle informazioni

e insegna ad apprezzare un cibo diverso rispetto a quello che arriva attraverso i canali del sistema mondiale dell’industria agroalimentare. Ogni processo legato al sistema territoriale coinvolge e respon-sabilizza gli abitanti: questa responsabil-ità non è imposta, è sinceramente sentita, perché la popolazione ha la consapevolez-za di gestire il proprio territorio e di esserne dunque parte attiva, anche con il semplice gesto del nutrirsi. Il localismo restituisce i luoghi, l’identità e l’esistenza. Ciò che si crea è quindi una rete di rap-porti sociali volta ad attivare la condivi-sione e il confronto di saperi e conoscenze tra persone consapevoli. Non è solo uno strumento per socializzare ma diventa altresì un mezzo per organizzare spese condivise (gruppi di acquisto), pubblicare annunci di vendita e/o scambio diretti.Inoltre, è un’area interattiva che permette ai consumatori di apprendere ulteriori informazioni dalle lezioni del cuoco alla stagionalità e valori nutrizionali dei propri acquisti attraverso una piattaforma multi-mediale.

Informazioni specifiche sui prodotti.

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6.3.6. COMUNICARE per informare cor-rettamente il consumatore

Le botteghe alimentari: sono punti di dia-logo e di condivisione di informazioni per l’acquisto con personale qualificato.

Nascono dall’esigenza del consumatore di potersi confrontare con figure esperte e qualificate nel loro ambito di vendita. Il panettiere deve conoscere i propri prodot-ti da forno (dalla qualità della farina utiliz-zata, al tempo di cottura e lievitazione) e consigliare a seconda del menù che tipolo-gia di pane prediligere. Così, il formaggiere conosce la provenienza, la zona d’alpeggio e i trattamenti che subisce il latte; il macel-laio consiglia come trasformare la carne e preparare deliziose polpette, …Questo rapporto diretto e informale con il personale, offre al consumatore la possi-bilità di assaggiare e degustare il prodotto prima di scegliere cosa acquistare.

6.3.7. GUARDARE direttamente il pro-dotto

Lo sfuso: è un contenitore di esperienza e di tradizione locale.

Bisognerebbe fare come una volta e tornare alle vecchie tradizioni. Un tempo si comprava tutto sfuso e solo il necessario, a vantaggio della freschezza e della qua-lità; non esisteva lo spreco, non c’erano problemi di smaltimento degli imballaggi e la merce non doveva compiere viaggi in-terminabili per arrivare sulla tavola.Con questa modalità di vendita, il con-sumatore ha una visione altra rispetto alla percezione del cibo; se prima la scelta di

un prodotto era condizionata dalla con-fezione (colore, forma, dimensione) e dalla notorietà della marca, in questo modo ciò che si vede è la materia prima.Le informazioni ad essa relativa non sono celate sul retro della scatola, ma ben visibi-li e con un linguaggio chiaro e immediato; esse riguardano indicazioni sulla prove-nienza, sulle tecniche produttive adottate, sull’impatto ambientale, sulle proprietà organolettiche, …Il packaging passa di conseguenza in se-condo piano e diventa un semplice con-tenitore, di dimensione variabile, riutiliz-zabile sia in ambito casalingo sia durante la spesa.Comprare prodotti sfusi significa ac-quistare nelle giuste dosi in base alle proprie esigenze, riducendo così anche gli sprechi alimentari oltre a quelli di im-ballaggio.In quest’ area si trovano alimenti di pro-duzione locale come pasta, cereali, legumi, latte, yogurt, birra, vino, …

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6.4. il caso CRAI

Crai è una società cooperativa di detta-glianti, specializzata soprattutto nelle pic-cole superfici di vendita e negozi alimen-tari di vicinato presenti su tutto il territorio nazionale. Il caso studio fa riferimento al punto vendita:CRAI di Bianchetta Luciana e Marina & C.S - Via L. Chiaventone, 10 - 10080 - Salassa (TO).

Si tratta in particolare di una superette, ossia una tipologia di operatore della grande distribuzione organizzata (GDO) con una superficie compresa tra i 200 ed i 400 metri quadrati. Nel caso specifico questo punto vendita alimentare al det-taglio ha una superficie intorno ai 350 m2. Per le sue caratteristiche si colloca tra il negozio di vicinato affiliato a catena ed il piccolo supermercato di prossimità. Offre un assortimento essenziale ma completo ed offerte promozionali similari a quelle dei supermercati, puntando però di più sui servizi e sul rapporto di familiarità con la

clientela.Rappresenta un modo di fare la spesa moderno ma al tempo stesso ancorato alle tradizioni, in quanto “su misura”, sia nei rapporti con la clientela che nella qua-lità e varietà dei prodotti offerti. Il libero servizio, con proprietario, permette ai gestori di poter scegliere i prodotti tra gli oltre 10.000 a disposizione, sia alimentari che non alimentari. Gli unici vincoli sono strettamente legati ai prodotti marchio Crai che devono essere presenti obbli-gatoriamente e hanno prezzi e/o offerte prestabilite. Di questi esiste un ampio assortimento per qualsiasi esigenza del consumatore: dalla cura della casa e della persona, alla dispensa dolce e salata, alle bevande, ai freschi, fino ai surgelati. I forni-tori seguono precisi controlli sulle materie prime e sul prodotto finito che vengono integrati da prelievi e analisi a cura di labo-ratori specializzati.

La disposizione dei reparti è a libera di-screzione dei proprietari. In questo punto vendita il percorso configurato è simile a

Servizio personalizzato di prenotazione pane.

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molti altri piccoli supermercati di pros-simità, con la differenza di possedere un’ampia zona dedicata alla panetteria, alla gastronomia, ai salumi e ai formaggi e al reparto carne.

Reparto ORTOFRUTTAOgni prodotto deve obbligatoriamente presentare:- provenienza (Italia o Estero)- categoria (solitamente I° o II°)- calibratura (per produzioni industrializ-zate)

- cassetta originale con recapiti del produt-tore.

Il rifornimento merci avviene:- 2/3 volte a settimana autonomamente presso il CAAT di Torino.

I prodotti si possono acquistare da:- coltivatori diretti (consorzi di contadini o aziende agricole)- import/export.

Reparto PRODOTTI CONFEZIONATIIl catalogo del supermercato offre:- oltre 10.000 prodotti confezionati- i prodotti a marchio Crai e le relative of-ferte sono obbligatori.

Il rifornimento merci avviene:- con ordini mensili direttamente alla CODE’ di Leinì attraverso la lettura auto-matica del codice EAN6.

Alcuni prodotti si possono acquistare:- con contatto diretto (Centrale del Latte, Abit, Ferrero..)- da aziende artigianali locali.

Reparto FRESCO e SURGELATIIl catalogo del fresco e dei surgelati offre:- prodotti freschi a lunga conservazione.

Il reparto freddo ha temperature energi-vore:- banco frigo 4/5°C- reparto freezer -20°C.

6 I codici a barre sono un insieme di elementi grafici a contrasto elevato disposti in modo da poter es-sere letti da un sensore a scansione e decodificati per re-stituire l’informazione contenuta.

Pere di produzione propria e locale.

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Reparto BANCHI SERVITI- Panetteria: qualità garantita da 5 fornitori locali (prodotti di produzione locale)- Gastronomia: qualità garantita da 1 for-nitore locale (Gastronomia Bianchetta di Belmonte)- Formaggi: qualità garantita da 1 fornitore locale (Formaggi e Latticini Feira di Favria)- Salumi: contatti diretti (Vismara, Fiorucci, Rovagnati..) e qualità garantita da 1 for-nitore locale (Salumificio Nadia di Arè di Caluso).

Reparto MACELLERIACarne: qualità garantita da 1 fornitore lo-cale (MAB Carni di Ozegna Torinese).

E’ obbligatorio avere:- la dichiarazione di provenienza delle carni- un dossier con gli ingredienti contenuti nei prodotti preparati dal macellaio.

Il rifornimento merci avviene:- con ordini settimanali al MAB di Ozegna.

Reparto PULIZIA e IGIENEIl catalogo del supermercato offre:- numerosi detersivi da pubblicità- i detersivi a marchio Crai e le relative of-ferte sono obbligatori.

Il rifornimento merci avviene:- con ordini mensili direttamente alla CODE’ di Leinì attraverso la lettura auto-matica del codice EAN.

Prodotti INVENDUTI e/o in SCADENZASia per i prodotti freschi sia per quelli sec-chi giunti a scadenza non viene effettuato il reso e quindi vengono buttati. I proprie-tari hanno però la tendenza di consumare personalmente il secco per evitare sprechi. I prodotti freschi in prossimità di scadenza presentano bollini rossi con sconto del 50%; anche i prezzi dei prodotti secchi vengono abbassati. In entrambi i casi viene dedicata loro un’area specifica del reparto. A volte si raccolgono prodotti in scadenza da destinare a banchi alimentari e asso-ciazioni umanitarie in aiuto di famiglie bisognose, ma i proprietari sono diffidenti dal fornire sia prodotti freschi sia secchi con queste caratteristiche.Carni di provenienza locale .

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Reparto CASSELe gondole per l’acquisto di impulso of-frono gli stessi prodotti presenti in tutti i supermercati vicino alle casse.

CONSIDERAZIONI

Le qualità individuate come possibili linee guida da seguire per la progettazione di un nuovo punto di vendita per il con-sumatore consapevole sono indicazioni molto generali e adattabili a molti modelli di consumo già esistenti oggi. Tra questi, si è potuto notare come il negozio di pros-simità possa tornare ad essere la chiave di volta per il consumo consapevole.Dalle analisi svolte presso diversi punti vendita di media metratura, è emerso, infatti, che nelle piccole realtà commer-ciali il ruolo del proprietario/gestore sia di fondamentale importanza per adattare l’offerta ai nuovi modelli di consumo. I proprietari deI Crai di Salassa (TO) hanno avuto il coraggio di portare avanti i propri valori, nonostante l’influenza del marchio e della grande distribuzione organizzata.

Devono obbligatoriamente rispettare i vincoli dati dal contratto con il marchio Crai, ma cercano in maniera autonoma la qualità dei prodotti ortofrutticoli, incen-tivano le produzioni locali per tutto ciò che riguarda il fresco, prestano attenzione per il biologico piuttosto che per i deter-sivi “eco”, oltre ad offrire parte della propria produzione domestica di frutta e verdura. Questi elementi aprono nuove speranze verso quello che dovrebbe essere il punto vendita per il consumatore consapevole.

Se si osserva in modo superficiale la pla-nimetria del punto vendita, si può notare come questo non si differenzi dalle altre superette: la suddivisione delle aree mer-ceologiche con i beni di prima necessità sempre al fondo dello spazio, infiniti scaf-fali di prodotti confezionati e scatole co-lorate e diverse aree dedicate ai prodotti surgelati e dalla preparazione veloce. Solo guardando con attenzione tra i pro-dotti, si può notare invece come l’offerta punti alla qualità e non alla quantità. In ogni reparto si nascondono scelte ragiona-

Biscotti di produzione locale.

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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole 244

te del proprietario, che dialoga costante-mente con i propri clienti, ma chi ci entra per la prima volta purtroppo non nota queste differenze.Ad esempio, il responsabile del reparto or-tofrutta è informato sui prodotti che vende (scegliendoli lui stesso ai mercati generali) e sa sempre consigliare quale pesca sce-gliere per preparare la marmellata e quale per le “pesche pine”.

Nel reparto confezionati, sono presenti nu-merosi prodotti di aziende locali anche se questo recuperato valore di localismo non viene espresso né comunicato; an-che i prodotti con l’etichetta di agricoltura biologica non hanno una precisa colloca-zione, ma sono posizionati in un’area di recupero.

Il reparto macelleria è il più indipendente dal marchio Crai, in quanto i proprietari del punto vendita acquistano la carne esclusi-vamente presso un loro fornitore di fiducia che fa da garante sulla qualità degli alle-vamenti di bovini e suini. Assicura inoltre

che questi siano sempre di provenienza piemontese. Proprio per questo motivo, sul banco è ben visibile un cartello che comunica al cliente la scelta da parte del punto vendita di non seguire le offerte set-timanali riportate sui volantini pubblicitari del marchio Crai.

Uno dei problemi maggiormente riscon-trato nel sopralluogo in questo punto ven-dita è la completa mancanza di comuni-cazione che potrebbe mettere in mostra i già tanti aspetti positivi ritrovati in ogni reparto. L’allestimento omologato e im-personale dei punti vendita facenti parte della grande distribuzione organizzata non aiuta in questo intento: forse è per questo motivo che il consumatore non si accorge che anche solo in questo piccolo supermercato qualcosa di diverso è già presente.

Definite le caratteristiche del punto ven-dita per il consumatore consapevole e visti i buoni propositi di quello preceden-temente analizzato, si è potuto ragionare

Formaggio di produzione locale.

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sulla sua conseguente trasformazione seguendo le linee guida individuate. La planimetria viene rivista eliminando le corsie lunghe e strette e creando un per-corso del tutto libero tra gli scaffali che vengono abbassati per permettere al con-sumatore di vedere l’insieme dello spazio di vendita.Gli unici prodotti confezionati rimangono quelli con marchio Crai, dato che sono lega-ti a inscindibili vincoli di contratto, men-tre tutte le altre tipologie merceologiche sono vendibili sfuse (dalla pasta al vino, dai fagioli al detersivo, dal latte alla birra). La possibilità di guardare direttamente il prodotto, poterlo apprezzare usando la propria sensorialità, vederlo preparare sul momento dal cuoco, dovrebbe portare il consumatore a ragionare sulle proprie scelte di acquisto.

Il concetto alla base del nuovo punto di vendita, non sta però tanto nel rivedere l’allestimento interno, quanto si propone di cambiare radicalmente l’approccio nei confronti del consumatore, sosti- tuendo il termine acquistare con altri valori molto più importanti. Acquistare prodotti locali e di stagione, conoscere i produttori perché sono della zona, rispettare la biodiversità e la lentez-za dei cicli naturali sono principi da ripor-tare all’interno delle abitudini quotidiane. Non va dimenticata l’importanza di condi-videre questi saperi con gli altri in un ritro-vato senso di collettività sociale.

Diventa obiettivo primario educare il con-sumatore inconsapevole, offrendogli la cultura e la conoscenza necessaria per consumare consapevolmente. In questo

modo il nuovo consumatore può com-prendere perché non ci siano le fragole an-che a dicembre e perché le mele non siano tutte perfette e tutte grandi uguali.

E’ importante sottolineare quindi che il punto vendita per il consumatore con-sapevole non è rivolto esclusivamente ad una nicchia di persone che già sanno ac-quistare in maniera critica, ma crede fer-mamente nella formazione di ogni singo-lo: tanti piccoli gesti per un unico grande obiettivo. Migliorare la qualità della vita e della Terra.

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0. CONCLUSIONEun nuovo modello di consumo

Il consumo, come si è visto, è un fatto complesso influenzato da molte variabili: infatti, si relazio-nano tra loro aspetti storici e

antropologici, biologici e economici, agricoli e industriali, sociali, oltre a presentare, nel contemporaneo, ricadute su tematiche come la so-stenibilità in tutte le declinazioni che questo concetto include.Lo sforzo che si è compiuto è stato di considerare gli aspetti ad esso legati, organizzarli secondo argomentazioni utili a definire valori per un nuovo modello di consumo e connetterli tra loro in modo tale che il risultato finale della ricerca portasse a definire le linee guida del punto vendita per il consumatore consapevole.

È stato necessario, in prima istanza, stabilire un metodo di analisi critica per categorizzare i diversi modelli di consumo, estrapolarne le caratteri-stiche di base alla ricerca di dati sensi-bili da raccogliere, organizzare e sche-matizzare. L’industrializzazione ha portato all’aumento della distanza tra produttori e consumatori, svalutando sia la qualità degli alimenti sia tutti quei valori e conoscenze di cui erano portatori.Studiati i diversi canali di vendita at-traverso i quali il prodotto raggiunge il consumatore, si sono definite le problematiche attuali che connet-

tono il tema del consumo al tema del cibo. Partendo dal concetto di “uomo al centro del progetto” è stata realiz-zata una sostanziale suddivisione tra quei modelli che sminuivano il valore del cibo rendendolo una merce e quelli invece che valorizzavano sia le proprietà qualitative del prodotto sia la scelta attiva del consumatore.

Si è poi pensato quindi di analizzare i modelli di consumo rapportandoli con un valore fondamentale: la qualità della vita. Inserendo questa variabile nel contesto sociale, etico e biologico del consumatore si sono delineati i principi base per un nuovo modello di consumo. La ricerca svol-ta, condotta mettendo la qualità della vita al centro del problema, ha por-tato a risultati interessanti. Se il con-sumatore di oggi continuerà a fare af-fidamento sull’approvvigionamento e sulla trasformazione industrializzata dei cibi, allontanandosi ed estranian-dosi sempre più da un processo di consumo responsabile, si arriverà al temuto collasso del pianeta.

Nasce quindi l’esigenza di un sentire comune che porta ad essere con-sumatori consapevoli di un’idea di qualità della vita che si confronti non soltanto con il bene proprio e perso-nale ma anche con quello degli altri e della terra. Un sentire comune che

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. CONCLUSIONE - il nuovo modello di consumo 252

porti a ridefinire i comportamenti e gli o-biettivi quotidiani e a dare il giusto senso al cibo, centrale nelle attività dell’uomo.

Raccolti e rielaborati i dati fondamentali, legati al tema del consumo, si è reso in-dispensabile stilare alcune linee guida da seguire per la progettazione di un nuovo punto vendita per il consumatore con-sapevole. L’organizzazione cambia radical-mente: si accorcia la filiera, incentivando dunque le produzioni locali, si instaura un rapporto diretto tra produttore e con-sumatore e si interviene su tutti gli aspetti legati alla cultura del cibo.La ricerca, così impostata, ha portato alla definizione di un nuovo modello di con-sumo volto a rispondere alle esigenze del consumatore consapevole che attribuisce un valore fondamentale alla vita, intesa come un insieme che parte dall’alimento e si estende al sistema biologico, culturale e sociale.

In conclusione, si deve auspicare che siano sempre di più coloro che decideranno di comportarsi da veri consumatori consape-voli. Coloro cioè che vorranno ricercare solo cibi buoni, sani e freschi; coloro che avranno piacere di conoscere la storia di un alimento, del luogo da cui proviene, delle persone che lo hanno coltivato; coloro che si renderanno conto che acquistare il giusto significa mangiare correttamente e non sprecare; coloro che riconosceranno un cibo locale dal sapore e dalle qualità organolettiche dovute al rispetto della stagionalità e della biodiversità; coloro che sapranno educare i propri figli nel rispetto delle generazioni future e del mondo in cui si vive.

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0. ALLEGATIricerche e approfondimenti

1. DATA DI SCADENZA ED ETICHETTATURA

La data di scadenza

Rappresenta la data fino alla quale un alimento è igienicamente idoneo al consumo, se mante-nuto nelle corrette condizioni di

conservazione. Viene riportata obbliga-toriamente sugli imballaggi alimentari dei prodotti preconfezionati rapidamente deperibili (latte e prodotti lattieri freschi, formaggi freschi, pasta fresca, carni fre-sche, pesci freschi, ...) con la dicitura “da consumarsi entro” seguita dal luogo sulla confezione dove la data viene stampiglia-ta. La data deve riportare, nell’ordine, il giorno, il mese ed eventualmente l’anno. Sulla confezione devono essere inoltre ri-portate le condizioni di conservazione ed eventualmente la temperatura in funzione della quale è stato determinato il periodo di validità.Superata la data di scadenza, l’alimento può costituire un pericolo per la salute a causa della proliferazione batterica. Per legge è vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione.

Supermercati e commercianti restitui-scono i prodotti scaduti invenduti ai for-nitori delle relative marche, sottoforma di resi. Per ogni articolo reso, ricevono gra-

tuitamente in cambio dai fornitori un altro prodotto dello stesso genere, da rivendere al cliente finale. In questo modo, commer-cianti e supermercati eliminano il rischio di mancata vendita, legato ai prodotti alimentari. Trattandosi di un bene deperi-bile, l’accumulo di scorte invendute rap-presenta un rischio più alto per i venditori, rispetto ad altre categorie merceologiche, poiché le scorte di alimenti dopo la data di scadenza non hanno più valore. Talora, le forze dell’ordine verificano casi di rigene-razione delle date di scadenza, sostituite da nuove etichette in validità. In Italia la data di scadenza può essere de-terminata con decreto dei Ministri delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali e della salute. Sui prodotti non rapidamente deperibili la data di scadenza é sostituita dal termine minimo di conser-vazione, espresso dalla dicitura “da con-sumarsi preferibilmente entro (data)”, che rappresenta la data fino alla quale un alimento conserva le sue proprietà speci-fiche in adeguate condizioni di conserva-zione.

La data si compone dell’indicazione, nell’ordine, del giorno, del mese, e dell’anno, con le seguenti modalità: per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi, è sufficiente l’indicazione del giorno e del mese; per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma non ol-tre diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione del mese e dell’anno; per i prodotti alimen-

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tari conservabili per più di diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione dell’anno. Il termine minimo di conservazione non é obbligatorio per frutta e verdura fresche (a meno che non siano sbucciate o taglia-te), il vino, l’aceto, il sale e lo zucchero allo stato solido, i prodotti da forno come pane e focaccia e prodotti di pasticceria freschi, bevande alcoliche con percentuale di alcool superiore al 10%, gomma da ma-sticare e prodotti simili. Stessa regola vale per i prodotti da banco (salumi e formaggi venduti in supermercati e ipermercati che

devono solo indicare la temperatura di conservazione dell’alimento1.

Seguono le date di scadenza di alcuni alimenti: latte fresco 5 giorni , latte a lunga conservazione 90 giorni, uova 28 giorni, pasta fresca confezionata 30 giorni, pesce 3 giorni, biscotti secchi 1 anno, burro 2 mesi, farina 12/18 mesi, formaggi molli da 2 giorni a 2 mesi, grissini 9/12 mesi, legumi, fagioli, ortaggi in vetro 4 anni, marmellate e con-fetture 4 anni, merendine industriali 9 mesi, mortadelle affettate in busta o intere pic-cole 8 settimane, olio d’oliva 18 mesi, panna fresca da montare 7 giorni mentre panna conservata 5 mesi,riso 12/18 mesi, surgelati 12/30 mesi, thè 3 anni, etc2…

Le date di scadenza e di durabilità sono valide finché la confezione è integra e il prodotto è stato conservato come indicato in etichetta. Per tutti gli alimenti freschi o sfusi che non riportano alcuna data di sca-denza ovviamente, è necessario informarsi sulle modalità di conservazione e imparare a riconoscere i tempi e le durate dei cibi.

L’etichettatura

Le etichette sono come un libro da leg-gere attentamente, ma tra i vari generi somigliano sempre più ai “gialli”: alcune notizie sono scritte chiaramente, altre sono un po’ nascoste e altre ancora sono indizi da interpretare. Mettendo insieme tutti i tasselli si possono trarre conclusioni molto interessanti: facendo attenzione al peso netto e alla qualità del prodotto (ad 1 http://it.wikipedia.org/wiki/Data_di_sca-denza2 http://w w w.alimentazione -salute. it/alimentazione/164/le-date-di-scadenze-degli-alimenti/

Data di scadenza sulla confezione di latte fresco.

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esempio, controllando in etichetta la pre-senza di ingredienti freschi o pregiati), si può capire se il prezzo è davvero conve-niente. Per etichettatura s’intende l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta apposta o sul dispositivo di chiusura o su cartelli,

anelli o fascette legati al prodotto mede-simo. Inoltre, secondo le indicazioni di una Direttiva Europea, le etichette possono riportare una tabella nella quale è indi-cato (in kilocalorie) il valore energetico dell’alimento: informazione molto utile per conoscere esattamente quante calorie forniscono 100 grammi del prodotto; nella stessa tabella è indicata anche la quantità dei principali nutrienti contenuti nel pro-dotto, ad esempio: proteine, carboidrati, grassi, fibre, vitamine e sali minerali.

Nell’elenco degli ingredienti deve com-parire qualsiasi sostanza, compresi gli ad-ditivi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata. Sull’etichetta sono elencati obbligatoriamente tutti gli ingre-dienti che compongono il prodotto, che devono essere ben individuabili e devono essere elencati in ordine decrescente: al primo posto quello presente in quantità maggiore e via via fino a quello presente in quantità minore, in modo da dare un’idea chiara della composizione del prodotto.Se si tratta, però, di alimenti composti da un solo ingrediente non è necessario specificarlo, perché risulta comprensibile già dalla denominazione del prodotto: tut-ti sappiamo, ad esempio, che il latte è latte e basta. Anche gli additivi sono considerati ingredienti e, vista la loro minima quantità, sono segnalati per ultimi.

Nelle etichette possono inoltre essere ri-portate le seguenti informazioni:tabella nutrizionale; data di produzione; tipo di lavorazione; marchi di qualità (DOC, DOP, IGP, STG, DOCG).Difficile lettura delle etichette alimentari.

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0. ALLEGATI - ricerche e approfondimenti 256

Mentre la normale etichetta deve indicare obbligatoriamente l’elenco degli ingre-dienti, la tabella nutrizionale, che salvo particolari eccezioni è facoltativa, riporta una dichiarazione relativa al valore ener-getico ed ai seguenti nutrienti: proteine; carboidrati; grassi; fibre alimentari; sodio; vitamine e sali minerali. E’ utile sapere, per esempio, che un alimento è fatto con fa-rina, burro e zucchero, ma l’etichetta nor-male non dichiara le quantità dei singoli ingredienti, mentre con l’etichetta nutri-zionale il consumatore può sapere anche quanto mangia e ciò è anche più utile in caso di diete o situazioni particolari.

Per vederci più chiaro sarebbe però oppor-tuno conoscere, oltre al termine di conser-vazione, anche la data di produzione o di confezionamento. Solo su pochi prodotti è riportata la data di produzione, la legge infatti non la richiede, anche se sarebbe utile per valutare meglio la freschezza.Anche il tipo di lavorazione è importante: ad esempio l’olio di oliva extravergine se è ottenuto dalla premitura a freddo, allora conserva le migliori caratteristiche.I marchi di qualità sono questi:- DOC (Denominazione d’Origine Control-lata): ogni prodotto DOC deve rispettare le regole di produzione tradizionale, spe-cificate in dettagliati disciplinari. - DOP (Denominazione d’Origine Protetta): si tratta di produzioni agricole e alimen-tari le cui caratteristiche sono dovute es-senzialmente (se non esclusivamente) all’ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani. - IGP (Indicazione Geografica Protetta): in-dica il legame con la zona geografica in almeno uno degli stadi della produzione,

della trasformazione o dell’elaborazione. - STG (Specialità Tradizionale Garantita): il marchio non fa riferimento all’origine del prodotto ma ha per oggetto la valorizza-zione di una composizione tradizionale o di un metodo di produzione. - DOCG (Denominazione di Origine Control-lata e Garantita): sono alcune produzioni che si caratterizzano per avere particolari pregi qualitativi. Sono sottoposti a con-trolli disciplinari di produzione particolar-mente rigidi3.

3 AA. VV., Alimentazione e salute. Guida all’alimentazione per attività , età e stili di vita. Progetto sicurezza e qualità degli alimenti, Consumatore informato Consumatore sano, 2001 2002 - Federcon-sumatori Ferrara, ADICONSUM Ferrara, Editrice Il Globo.

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2. SENSORIALITA’ E GUSTO

Bisogna ridare prima di tutto centralità al cibo, dotando ogni essere umano di tutti gli strumenti necessari per riacquistare il diritto al proprio cibo, alla propria scelta, in armonia con la sua cultura e con la natura in cui vive. La consapevolezza della complessità del sistema cibo si acquisisce con l’educazione, con lo studio e l’esercizio dei propri sensi. Sono necessari sistemi di educa-zione permanente, per tutte le età e per

tutti: per i bambini che hanno diritto a im-parare come si usano i sensi, come è pro-dotto il cibo, da dove proviene; per i geni-tori e gli insegnanti, che non sono più in grado di educare al cibo; per i consumatori che chiedono di poter scegliere il meglio, di poter trovare la qualità; per i produttori e gli operatori del mondo del cibo che vo-gliono migliorare e definire la loro profes-sionalità; per gli anziani che non si trovano in una realtà che è cambiata troppo in fretta. Si devono dare gli strumenti, veico-lare le informazioni, insegnare a percepire, sensibilizzare e formare valori e con-sapevolezza, avere a disposizione chiavi di lettura, metodi, attrezzature mentali e operative. Sensorialità e sensibilità; espe-rienza e informazione: sono questi i passi per impadronirsi della realtà, per vivere il proprio diritto al piacere, la ricerca della felicità tramite l’unica risorsa insostituibile per l’uomo, il cibo.

Analisi sensoriale, caratteristiche della produzione, degustazioni comparate sono i fondamenti di un’educazione alimen-tare che manca nella società odierna. Il consumatore, per effettuare le sue scelte di qualità, deve avere a disposizione tutte le informazioni che gli permettano di riconoscerla. I sistemi di etichettatura spesso sono insufficienti, la tracciabilità di filiera di un prodotto spesso si interrompe o nasconde angoli bui. Il consumatore può migliorare il suo quotidiano rapporto con la spesa e richiedere un maggior flusso di informazioni su tutto ciò che riguarda il cibo. La nuova ricerca della qualità si basa sulla riappropriazione della propria sensorialità, sull’esperienza acquisita a contatto con i produttori, le loro tecniche Educare alla sensorialità per dare valore al cibo.

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e le caratteristiche dei territori e degli eco-sistemi. I modelli di cucina tradizionale oggi quasi spariscono per l’emergere di un modello in cui, in seguito alla massiccia industrializzazione, prevale il consumismo e un distacco dal mondo agricolo. La sto-ria dell’uomo si può ricostruire attraverso una geostoria del gusto, all’interno della quale modelli generali di cucina si impon-gono per caratterizzare le varie aree del pianeta; questi modelli sono la risultante dell’impiego delle risorse locali, degli in-contri o scontri tra civiltà, del dominio delle une sulle altre in seguito a conflitti e di diverse forme di colonizzazione.

Proprio come i modelli di consumo allo stesso modo il gusto muta e si evolve sulla base della storia, della società e della cul-tura. Il gusto è un insieme di sapore e sapere: il gusto cambia a seconda che si sia ricchi o poveri, che ci sia abbondanza o che si abbia fame, che si viva in una foresta o in una metropoli. Per tutti il gusto è il diritto a trasformare in piacere il proprio sostentamento quotidiano. La sua forma-

zione dipende dalla cultura e dalla situa-zione economica ed è necessario definire ciò che è buono per il mondo di oggi. Per far questo non è però facile arrivare ad una definizione di buono adatta a tutti: la varietà di fattori che intervengono difficil-mente consente generalizzazioni e il riferi-mento ad un singolo gruppo sociale pone troppi limiti. La complessità e la diversità culturale devono quindi consentire di ri-cercare quegli elementi trasversali a tutte le culture, una sorta di base di partenza co-mune: uno di questi elementi può essere ad esempio la preferenza per l’artificioso o per il naturale. Risalendo le fonti storiche a disposizione, è stato dimostrato come ciclicamente nella nostra storia abbia prevalso uno dei due punti che si muovono lungo l’asse della di-cotomia artificiale/naturale. L’artificio era preferito nelle cucine romana antica, me-dievale e rinascimentale, quando la cucina era percepita come un’arte combinatoria volta a modificare il più possibile il gusto naturale dei cibi; inoltre l’alternarsi della prevalenza dell’artificioso o del naturale, si

Apprendere e riconoscere il gusto.

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riscontra anche nelle più recenti evoluzio-ni dell’alta cucina: dalla metà degli anni ’70 prese piede e diventò di tendenza la nouvelle cuisine, che metteva prima di ogni altra considerazione l’abilità tecnica dello chef come elemento chiave nella riuscita di un grandissimo piatto. In questa fase storica, la materia prima è stata svilita nella sua importanza rispetto al buono: secon-do i fautori della nouvelle cuisine, anche la base di partenza peggiore poteva essere trasformata in qualcosa di eccezionale dall’abilità tecnica e creativa del cuoco. Dopo solo un decennio, l’imporsi di nuovi chef ispirò la ricerca di materie prime ec-cellenti, ritenute il fattore unico su cui si può a buon titolo inserire l’abilità dello chef per restituire l’originalità dei sapori in tutta la loro magnificenza. E’ sempre più ovvio che ogni movimento verso una determinata direzione in una so-cietà come la nostra dia immediatamente origine a un movimento opposto: nel mo-mento in cui il fast-food è diventato uni-versale, ha trovato la sua ragione d’essere anche lo Slow Food; quando la globaliz-zazione ha palesato la sua forza omolo-gante nei confronti del gusto, sono imme-diatamente nate le reazioni che guardano al localismo e alla diversità come valore. In questa situazione molto caotica e in veloce mutamento, urge prendere una posizione a favore del gusto “naturale”: il gusto deve prima di tutto essere chiaramente identifi-cabile, sia come sapore che come sapere.

Dopo aver ripreso coscienza del percepire non si può fare a meno di notare le ca-ratteristiche organolettiche di qualsiasi prodotto. I sensi restituiscono i gusti e quindi la voglia di sapere e di conoscere la

materia cresce fino a desiderare di incon-trare direttamente i produttori di cibo, i campi, le tecniche, le storie. Piccole diver-sità di tecnica possono tradursi in diver-sità di sapore. In più chi coltiva non deve dimenticare il gusto: se un prodotto non è buono, non serve a nulla che sia biologico; se è estraneo alla cultura locale potrà ri-spondere ad un’emergenza, ma non risol-verà per sempre il problema della fame e di certi inquinamenti.

Il gusto, termine oggi altamente inflazio-nato, utilizzato per titolare libri, eventi, tra-smissioni, sagre paesane perché di grande appeal mediatico, è prima di tutto un fat-tore fisiologico. Se infatti “gusto” indica non soltanto ciò che è buono da mangiare, ma anche ciò che è buono da pensare e spes-so viene utilizzato nella sua accezione più culturale, ovvero come la risultante delle preferenze di un gruppo sociale, prima di tutto esso è uno dei nostri cinque sensi. Insieme agli altri, permette di degustare e valutare in maniera pressoché obiettiva un prodotto alimentare. Il gusto è la cono-scenza dei sapori estesa a tutto il patrimo-nio di una civiltà, artistica ed intellettuale.

L’universo sensoriale dell’uomo di questi tempi è svilito come non mai: gli aromi chimici confondono, atrofizzano i sensi alzando continuamente le soglie della no-stra percezione con gusti e aromi che non esistono in natura. I sensi hanno subito una profonda regressione a causa dei ritmi di vita cui siamo costretti, ma possono es-sere rieducati; se l’analisi delle percezioni è più ricca, aumentano la soddisfazione e il piacere.

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3. LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

Per alimento conservato si intende qual-siasi prodotto sottoposto a processi fina-lizzati a preservarne le caratteristiche nutritive e sensoriali, mettendolo al ri-paro, per un periodo più o meno lungo, da ogni alterazione che ne comprometta l’edibilità.Tale definizione include una vasta serie di azioni che l’uomo ha fino ad oggi affinato per controllare l’attività microbica, a volte bloccandola completamente altre ral-lentandone lo sviluppo. Il tema della con-servazione alimentare si lega a trattamenti di origine chimica, fisica e biologica legati indissolubilmente al confezionamento che ha lo scopo di mantenere le condizioni di igiene e salubrità fino al consumo. Se si guarda alle origini, è possibile affer-mare che l’uomo già in età antichissima abbia sviluppato tecniche più o meno effi-caci nella conservazione degli alimenti. Se il passaggio di civiltà dal cibo crudo al cibo cotto è un fatto innegabile e un fondamen-tale punto di partenza per l’antropologia, possiamo affermare che la conservazione rappresenti un ulteriore salto evolutivo nella storia dell’umanità. La cottura può essere considerata la prima tecnica di conservazione. Passando al con-temporaneo, grazie ai progressi in campo scientifico, il mondo della conservazione alimentare si è diversificato e numerosi trattamenti si sono sviluppati rendendo necessaria una classificazione:- conserve: prodotti confezionati in con-tenitori più o meno ermetici che si man-tengono a lungo a temperatura ambiente o a basse temperature (sterilizzati, conge-

lati, liofilizzati, essiccati, concentrati e/o addizionati con sostanze chimiche);- semiconserve: prodotti stabilizzati per un tempo limitato attraverso trattamenti meno drastici (pastorizzati, refrigerati, conservati in atmosfera controllata o mo-dificata);- prodotti trasformati: che hanno subito, attraverso vari trattamenti, profonde modifiche della struttura originale e dei caratteri organolettici (alimenti fermenta-ti, salati, prosciugati, stabilizzati attraverso un periodo più o meno lungo di stagio-natura).

Il freddo

Refrigerazione: questa tecnica consiste nel raffreddare gli alimenti a tempera-tura tale da consentire all’acqua in essi contenuta di rimanere allo stato liquido. La temperatura è determinata dal tipo di alimento e varia da –1 a +8°C e dai tempi di conservazione, che non possono essere troppo lunghi. A livello domestico i pro-dotti refrigerati possono essere conservati per un periodo non superiore ad una setti-mana, a livello industriale si possono oltre-passare per alcuni alimenti anche 3 mesi.

Congelamento: questo trattamento che consiste nel sottoporre l’alimento a tem-perature basse, comprese tra –0,5 e –4°C, per permettere al prodotto di solidificare, era già in uso dai cacciatori del paleolitico. Tale tecnica oggi si può eseguire anche a livello domestico, lavando e sistemando i prodotti dentro dei sacchetti di plastica per alimenti e riponendoli nello scompar-to freezer. A livello industriale il congela-mento può essere lento o rapido.

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Congelamento lento: la temperatura non è molto bassa, oscilla tra –8 e –12°C e si formano dei cristalli molto grandi che van-no a distruggere la struttura cellulare del prodotto incidendo sul sapore che non è gradevole come il prodotto fresco.

Congelamento rapido: nel congelamen-to rapido l’alimento viene sottoposto a temperature di almeno –30 fino a -50°C. In queste condizioni si formano cristalli di ghiaccio piccoli che non rompono le pa-reti cellulari, abbassandosi rapidamente

la temperatura all’interno del prodotto vengono inoltre bloccate le reazioni de-gradative con relativo aumento del tempo di conservazione.

Surgelazione: è un trattamento che ha cambiato radicalmente gli usi e costumi alimentari, le cucine, gli elettrodomestici e ha permesso a chiunque di avere scorte di prodotti annuali senza dover conoscere tecniche particolari o rischiose. I surgelati sono alimenti in confezioni chiuse sotto-posti a trattamento al freddo tale da por-tare la temperatura al di sotto dei –18°C per favorire la formazione di microcristalli all’interno dell’alimento e non sconvolgere la struttura cellulare. Inoltre devono essere mantenuti a tale temperatura fino alla vendita al consumatore. Questo processo implica 3 condizioni: rapidità del tempo di congelazione, continuità della catena del freddo e confezionamento sigillato.

Problemi: i grassi vanno incontro a idrolisi ed ossidazione che ne diminuiscono il va-lore nutritivo. I sali minerali e le vitamine vengono perse solo se si scottano i pro-dotti nella fase di preparazione. A carico delle caratteristiche organolettiche si ha perdita di aroma che col prolungarsi della conservazione, tende a scomparire del tutto. Inoltre si può avere sapore amaro, odore di pesce, indurimento dello strato superficiale e nelle verdure cambio del colore.

Il calore

Pastorizzazione: teorizzata da Pasteur, che fece lo stesso per la sterilizzazione degli alimenti , attraverso la formulazione Piselli surgelati.

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della teoria delle spore, questo trattamento nasce nel 1809 a Parigi grazie all’intuizione di un pasticcere francese conosciuto come Nicolas Appert. Il trattamento di pastoriz-zazione ha lo scopo di uccidere tutti i bat-teri, con limitate alterazioni delle caratteri-stiche chimiche, fisiche ed organolettiche. La temperatura varia da 60 a 80°C circa, pertanto l’alimento pastorizzato deve es-sere conservato in condizioni tali da limi-tare lo sviluppo di microrganismi. Di solito si conservano gli alimenti per pochi giorni alla temperatura di 4°C, oppure alla pa-storizzazione si abbina un altro sistema di conservazione come la refrigerazione, il confezionamento sotto vuoto o l’aggiunta di sostanze chimiche.

Sterilizzazione: questo sistema di con-servazione ha lo scopo di distruggere tutti gli organismi patogeni e non e tutte le spore, comunque non si ha la sterilità assoluta perché tutte le spore non ven-gono distrutte alle temperature normali di sterilizzazione che sono comprese tra 115 e 140°C per brevi istanti. Gli alimenti

da trattare devono essere preparati pre-cedentemente; il trattamento può avve-nire su alimenti solidi o liquidi già chiusi in un contenitore metallico o di vetro (ste-rilizzazione classica) oppure sull’alimento liquido sfuso che viene poi raccolto in un contenitore sterile (UHT)4.

Problemi: l’azione del calore determina variazione a carico dei caratteri chimici, fi-sici ed organolettici. Le proteine vengono denaturate con perdita di attività biologi-ca e aumento della digeribilità. Per effetto della denaturazione si liberano gruppi sulfidrici che conferiscono all’alimento il sapore di cotto. Gli zuccheri caramelliz-zano e possono reagire con le proteine. Le vitamine termolabili B1, B12, C si perdono completamente e in presenza di ossigeno anche le liposolubili si ossidano. I caratteri organolettici quali il sapore, la consistenza e il colore dell’alimento, con le alte tem-perature vengono modificati profonda-mente.

4 J. L. Flandrin, M.Montanari, Storia dell’alimentazione, Roma, Laterza Editore,1997

Processo di pastorizzazione del latte.

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Le radiazioni

La conservazione mediante radiazioni con-siste nel sottoporre gli alimenti all’azione di radiazioni elettromagnetiche come raggi X, raggi gamma e ultravioletti, ed è la tecnica più discussa perché si teme che renda gli alimenti radioattivi: in realtà le radiazioni ionizzanti non vengono trat-tenute. La dose utilizzata è generalmente da bassa a media e comunque tale da non determinare la formazione di residui ra-dioattivi nei prodotti trattati.I trattamenti permettono di ridurre la carica microbica di alcuni alimenti au-mentandone i tempi di conservazione, distruggere i parassiti e gli insetti infe-stanti in alternativa ai disinfestanti chimici e inibire la germinazione dei tuberi e dei bulbi.A dosaggi bassi e medi gli effetti sulle ca-ratteristiche nutrizionali degli alimenti sono modesti e comunque non tali da compromettere la qualità del prodotto; dosaggi elevati di radiazioni ionizzanti eseguono una vera e propria sterilizzazio-ne. In molti casi gli alimenti irradiati sono indistinguibili alla vista e al gusto da quelli freschi non trattati, ad ogni modo vi è l’obbligo di dichiarare se gli alimenti sono stati irradiati5.

Problemi: alcuni alimenti non possono essere irradiati perché il procedimento provoca uno sgradevole cambiamento nell’aspetto, nel gusto o nell’odore dei prodotti: l’irradiazione infatti può scurire alcuni tipi di carne e peggiorarne il sapore e la consistenza, ossidare i grassi insaturi

5 G. De Felip , Recenti sviluppi di igiene e mi-crobiologia degli alimenti, Milano, Tecniche nuove, 2001

rendendoli rancidi o annerire il pesce.La disidratazione

Lo scopo è quello di ridurre il volume ed il peso dei prodotti alimentari; l’eliminazione dell’acqua inoltre permette la conservazio-ne dell’alimento, ma non sempre da sola è sufficiente, molte volte è abbinata ad altri trattamenti come l’aggiunta di sale, zuc-chero, pastorizzazione o sterilizzazione.

Concentrazione per evaporazione: è il sistema più tradizionale, che può essere applicato anche a livello domestico, riscal-dando l’alimento o lasciandolo asciugare in un ambiente ventilato, in modo che per-da acqua sotto forma di vapore, ed even-tualmente si aggiunge qualche additivo naturale per poterlo conservare. A livello industriale questa tecnica è la più usata, viene eseguita sotto vuoto e il riscalda-mento avviene con delle piastre.Il risultato finale è quello di evitare o con-tenere al minimo le trasformazioni chimi-che, di non superare la temperatura massi-ma che può raggiungere l’alimento senza subire alterazioni irreversibili e di impedire la formazione di schiuma che incide sulla buona riuscita del prodotto.

Essiccamento: i processi di essiccamento hanno come scopo la rimozione quasi totale dell’acqua contenuta nelle cellule degli alimenti. Infatti da valori del 65-95% si passa ad un contenuto idrico max del 10-15%.

Essiccamento naturale: conosciuto fin dall’antichità, consiste nell’esporre al sole e all’aria per un periodo molto variabile di settimane o mesi, gli alimenti per lo più

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vegetali, fino ad un loro totale prosciuga-mento. Questo tipo di disidratazione viene praticato attualmente a livello domestico e artigianale nei paesi con clima caldo a-sciutto.

Essiccamento artificiale: il metodo più diffuso per disidratare gli alimenti è l’essiccamento con aria calda. Con questo metodo l’aria calda ha una duplice funzione, quella di trasmettere calore all’alimento e quella di asportare i vapori che si liberano. L’essiccamento sarà tanto

più veloce quanto più alta sarà la tempera-tura e la velocità di circolazione dell’aria che permette il ricambio di quella umida con quella secca.L’essiccamento tuttavia non deve avve-nire in maniera troppo rapida, per evitare l’indurimento degli strati superficiali che farebbero da barriera per la completa di-sidratazione di tutto il prodotto.

Liofilizzazione: questa tecnica consiste nella disidratazione per sublimazione di prodotti precedentemente conge-lati. Il prodotto congelato viene messo in autoclave su dei vassoi e si crea il vuoto a temperatura T<= -20°C. Il ghiaccio su-blima (passa dallo stato solido a quello aeriforme) si allontana come vapore e viene aspirato da una pompa e inviato a un condensatore. E’ indispensabile man-tenere sempre la temperatura intorno ai –20°C. L’essiccamento secondario consiste nell’eliminare l’acqua legata che non è stato possibile eliminare con il congela-mento. Si opera sotto vuoto con tempera-ture non superiori ai 30°C; si ha una grande riduzione dell’umidità che scende al di sotto del 5%. Terminato l’essiccamento nell’autoclave si ripristina gradualmente una pressione pari a quella atmosferica.

Problemi: modificazione del colore, perdita di costituenti volatili e di aroma (le perdite possono essere limitate lavorando a tem-perature più basse e su prodotti di piccola taglia).

L’atmosfera modificata

Il confezionamento degli alimenti, in at-mosfera controllata è uno dei moderni Essicamento naturale.

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metodi di confezionamento industriale che assicura il mantenimento delle carat-teristiche fisiche del prodotto. I normali metodi di confezionamento, lo realizzano in ambienti non inerti con grossi problemi di conservazione degli alimenti dopo il confezionamento. Il confezionamento in ambienti controllati (di seguito definito MAP = modified atmosphere packaging ) è una delle tecniche più utilizzate nel set-tore alimentare. La sostituzione dell’aria ambiente con un gas inerte consente di migliorare la conservazione degli ali-menti, ottimizzando le tecniche di con-fezionamento, riducendone gli scarti e aumentandone la qualità.

Problemi: uno dei principale che le aziende di confezionamento di generi alimentari devono risolvere è il deterioramento degli alimenti che è diretta conseguenza della “ossidazione” derivante dalla presenza di ossigeno nell’aria ambiente. L’utilizzo di un gas inerte, assicura l’ottima conservazione dei cibi mantenendone inalterate le carat-teristiche proteiche e organolettiche.

I metodi chimici

I metodi chimici di conservazione rappre-sentano un’alternativa a quelli fisici, che risultano più costosi anche se più sicuri. I conservanti naturali sono rappresentati da sostanze come il cloruro di sodio, il sac-carosio, l’olio, l’aceto che possiedono un buon potere batteriostatico, sono attivi a basse concentrazioni e innocui per il con-sumatore.

Conservazione con cloruro di sodio: la salagione è un metodo di conservazione

molto antico, che ancora oggi si usa per conservare carni, pesce e verdure, ab-binando all’azione conservativa anche quella di conferire al prodotto un sapore caratteristico. Gli antichi egiziani forse sono stati i primi a trattare la carne e il pesce con il sale. L’azione esplicata dal sale è principalmente batteriostatica e non dà garanzie di un’azione battericida. Per questo motivo la salagione viene spesso abbinata ad altri sistemi di conservazione come le basse temperature o l’aggiunta di nitrati e di aromi. La salagione può essere a secco o ad umido.

- Salagione a secco: l’alimento viene pos-to a contatto con il sale a cui possono es-sere mescolati spezie e nitrati. L’acqua comincia ad uscire dalle cellule diluendo la soluzione, che comunque ri-spetto ai liquidi cellulari sarà più concen-trata. La salagione a secco conferisce al prodotto una conservabilità più lunga, è da preferire il sale grosso rispetto a quello finemente triturato, perché quest’ultimo penetra rapidamente all’interno delle cellule e può disidratare eccessivamente gli strati superficiali del prodotto, coagu-lando le proteine ed impedendo la pene-trazione del sale nelle parti più profonde dell’alimento. La coagulazione delle pro-teine può avvenire anche attuando una salagione a temperature elevate, ecco per-ché è preferibile eseguire un trattamento a freddo (4-5°C) in modo che il sale pene-tri lentamente ed omogeneamente in tutto il prodotto. La salagione a secco può essere fatta per sfregamento o per sovrap-posizione a strati.

- Salagione ad umido: si attua con solu-

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zioni di acqua e sale (salamoia) a varie concentrazioni: debole (10% di NaCl); mediamente deboli (18% di NaCl); forti (25–30% di NaCl). E’ un metodo molto rapido ed usato nelle industrie per grandi quantità di prodotto. La rapidità del trat-tamento comunque limita l’efficacia, di conseguenza i prodotti necessitano di ulteriori processi di conservazione come l’affumicamento o la cottura. La salagione ad umido può avvenire per immersione diretta del prodotto nella salamoia per un periodo di tempo variabile in funzione della concentrazione e delle dimensioni del prodotto da trattare.

Problemi salagione: variazione del colore; abbassamento del pH; denaturazione delle proteine; ossidazione dei lipidi; di-minuzione del valore nutrizionale perché con l’acqua dalle cellule escono sali mi-nerali, vitamine, proteine, composti azota-ti e lipidi.

Conservazione con saccarosio: il sacca-rosio viene usato per preparare marmel-late, gelatine di frutta, canditi ecc. In con-centrazione del 65-70%. Il sistema si basa sull’aumento della pressione osmotica, spesso il saccarosio è sostituito da gluco-sio o fruttosio che avendo dimensioni più piccole, possono essere usati in quantità minore con la stessa efficacia. Lo zucchero può essere addizionato allo stato solido o sotto forma di sciroppo.

Problemi trattamenti con saccarosio: l’elevato tenore di zucchero non ostacola l’attività dei microrganismi detti osmofili che possono alterare gli alimenti e pertan-to si ritiene opportuno utilizzare zucchero

batteriologicamente puro ed abbinare un altro sistema di conservazione.

Conservanti: limitano, ritardano o arresta-no la crescita dei microrganismi (es. bat-teri, lieviti, muffe) che sono presenti o che si introducono nel cibo, prevenendone il deperimento o la tossicità. Sono utilizzati, per esempio, nei prodotti da forno, nel vino, nel formaggio, nelle carni salate, nei succhi di frutta e nella margarina. Tra i più comuni: Diossido di zolfo e solfiti (E220-228); Calcio propionato (E282); Nitrati e ni-triti (sali di sodio e di potassio) (E249-252).

Antiossidanti: acido citrico, acido ascor-bico; sono sostanze che “catturano” l’ossigeno atmosferico e quindi impedi-scono le ossidazioni dei componenti; sono usati anche come correttori di acidità e non sono tossici.

Conservazione con l’aceto: l’aceto è usato come conservante per gli ortaggi in relazione al suo contenuto in acido acetico che deve essere in quantità non inferiore al 6%. L’azione conservativa degli acidi è dovuta sia all’abbassamento del pH, sia alla tossicità della molecola nei confronti dei microrganismi. L’alimento può essere messo direttamente sotto l’aceto in cui verrà conservato, oppure può macerare per alcuni giorni con l’aceto e dopo viene scolato e ritrattato con aceto. L’aggiunta può essere fatta a freddo o a caldo ( circa 80°C ) e con prodotti che hanno preceden-temente subito la scottatura o la salagione. All’aceto si possono addizionare erbe aro-matiche e spezie oppure dello zucchero nei classici sottaceti dolci.

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Conservazione sott’olio: l’olio di oliva o di semi viene usato come liquido di coper-tura di numerosi alimenti vegetali. Esso non svolge direttamente un’azione batte-riostatica o battericida, ma isola l’alimento dal contatto diretto con l’aria bloccando l’attività dei microrganismi aerobi. Questo metodo usato soprattutto per la conser-vazione di ortaggi e pesce viene sempre abbinato ad altri trattamenti come la pas-torizzazione, la sterilizzazione o l’azione del sale e dell’aceto.

Problemi conservazione sott’olio: è inef-ficace con i microrganismi anaerobi e se l’alimento non viene asciugato bene prima di metterlo sott’olio, nello strato acquoso si possono sviluppare molti microrganismi.

Affumicamento: l’affumicamento degli alimenti è autorizzata soltanto con il fumo di legna o di vegetali legnosi o parti di essi allo stato naturale, ad esclusione di legna o di vegetali impregnati, colorati, incollati, dipinti in modo analogo, e a condizione che l’affumicatura stessa non determini alcun rischio per la salute umana. Il fumo è ottenuto dalla combustione del legno (faggio, quercia, castagno, ecc.) a cui si possono aggiungere piante aromatiche (ginepro, lauro, rosmarino, maggiorana, ecc.). All’effetto antisettico concorrono va-rie sostanze che si depositano con il fumo (aldeide formica, acido acetico, acetone, ammoniaca, derivati del guaicolo, pirogal-lo) coadiuvate da altre sostanze contenute in piccole concentrazioni (acido acetico, formico, alcol metilico). L’azione antisettica è dovuta anche all’ambiente riducente che si crea effetto disidratante del calore sulla parte superficiale dell’alimento.

Metodi di affumicamento: - lento o a freddo (25° - 35°C) il trattamen-to dura alcuni giorni ed anche qualche set-timana, a seconda dell’alimento da trattare e della pezzatura. L’azione batteriostatica risulta leggera e quasi sempre viene asso-ciato ad altri trattamenti quali salagione o essiccamento.- caldo o rapido: 60° - 100°C si ottiene una parziale cottura, maggiore perdita di ac-qua con intensa attività antibatterica.

Zucchine sott’olio.

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I metodi meccanici

Si sono sviluppati maggiormente nel set-tore del latte e dei succhi.

Filtrazione: consiste nel filtrare il prodotto allo stato fisico di liquido attraverso filtri con pori di diametro inferiore a quello dei microrganismi, permettendo in questo modo la sterilizzazione. Serve per la con-servazione in recipienti sterili di succhi di frutta e per la potabilizzazione dell’acqua.

Bactofugazione: è un processo fisico in cui una apparecchiatura che utilizza la forza centrifuga è appositamente proget-tata per separare parte dei microrganismi, e soprattutto le spore, significativamente più pesanti del latte. Trattasi quindi di una debatterizzazione centrifuga più o meno spinta. Può essere utilizzata per ottenere una significativa ri-duzione del contenuto microbico e di cel-lule somatiche del latte da destinare a uso alimentare, al pari di quello utilizzato per le produzioni casearie dove agisce in modo

particolarmente efficace per la separazio-ne delle spore responsabili di fenomeni di gonfiore dei formaggi.

Omogeneizzazione: ad alta pressione per prodotti lattiero/caseari è nata alla fine del XIX secolo nell’industria del latte, per ot-tenere una qualità di prodotto costante e ripetibile nel tempo. Da allora è stata appli-cata ampiamente per i prodotti caseari,per migliorare la stabilità e la durata nel tem-po. Lo scopo dell’omogeneizzazione ad alta pressione è quello di rompere la fase primaria dispersa di grossi globuli di gras-so o olio di una sospensione inizialmente disomogenea e produrre una dispersione di globuli molto piccoli e simili per dimen-sione, utilizzando l’energia fluidodinami-ca generata dalla pressione. Nel caso di un’emulsione come il latte, la parte grassa o oleosa disponibile in globuli microniz-zati per mezzo dell’omogeneizzazione ad alta pressione è quindi stabilizzata per evitare possibili fenomeni di coalescenza delle particelle e separazione per gravità.

Confezioni di latte sterilizzato ed omogeneizzato.

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4. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA:I CEREALI6

Il consumatore oggigiorno ha la necessità di apprendere il reale significato di una corretta alimentazione e di riconoscere e valorizzare i prodotti di qualità della propria regione di appartenenza. Una tra le linee guida emerse dalla ricerca, ripor-tava l’attenzione del consumatore verso quei cibi, di produzione locale, facilmente acquistabili sfusi: ne sono un esempio la pasta, i cereali e i prodotti ortofrutticoli. Di seguito alcune indicazioni utili per fornire gli strumenti necessari a valutare il cibo, promuovendo un consumo sano, naturale e soprattutto consapevole.

In età preistorica, gli uomini iniziarono a coltivare i primi cereali, dei quali si servi-vano per integrare una dieta principal-mente costituita da prodotti della caccia e della raccolta di frutti spontanei. Dai re-perti archeologici è emerso l’uso di pietre per la macinatura: si otteneva una sorta di farina, dall’aspetto scuro e granuloso, poi la si mescolava con l’acqua e si consumava l’impasto crudo. Probabilmente il caso volle che questo impasto, lasciato inav-vertitamente vicino al fuoco, si indurisse e dalla cottura su superfici roventi nacque il primo pane senza lievito. All’antica civiltà egizia, in cui il pane rappresentò la base dell’alimentazione, si deve la fortunata scoperta dello lievito e la realizzazione dei primi forni in argilla. I Greci, pur utilizzando cereali di importazione, si specializzarono invece nelle tecniche di preparazione di focacce, i cui impasti venivano arricchiti

6 Contenuti estratti da “Sai quel che mangi” – Regione Piemonte per il Salone del Gusto 2010

con olio, latte, vino o miele. Furono anche i primi a far passare la panificazione dalle mani delle donne a quella degli uomini: i fornai, infatti, lavoravano di notte per as-sicurare pane fresco per la mattina. Dalla Grecia l’arte del pane arrivò in Italia tramite gli schiavi; i Romani perfezionarono le tec-niche di macinazione, istituirono forni pubblici e variegarono i tipi di pane con l’aggiunta di ingredienti diversi, diventan-do l’alimento per tutti. Parallelamente, pro-cedette l’evoluzione dell’antenata della pasta: ripreso dai Greci, poi dagli Etruschi, il laganum latino definiva un foglio sottile di pasta, che veniva arrostita e tagliata a strisce per essere insaporita in pentola con legumi o verdure. Tra le tecniche di produzione che mag-giormente hanno influito sulla creazione di farine, pane e pasta non sono da di-menticare gli aratri per dissodare i ter-reni agricoli, il mulino azionato dalla forza dell’acqua, poi integrata con il vento che andò a sostituire la forza umana o ani-male. E’ rinascimentale l’inserimento dello lievito di birra. Intanto la pasta divenne un alimento importante e pratico, data l’essicazione che si conservava a lungo nel tempo; l’industrializzazione delle produ-zione di pasta e pane consolidò i procedi-menti produttivi portandoli fino ai giorni nostri.

Sono cereali, ossia vegetali facenti parte delle graminacee: il frumento, il grano-turco (mais), il riso, l’orzo, l’avena, il se-gale, il sorgo, il miglio, il panico. In Italia la cerealicoltura produce preva-lentemente frumento (grano duro e tene-ro), mais, orzo e riso; in Piemonte la colti-vazione di grano e granoturco avviene in

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moderne aziende mentre peculiarità del territorio è la coltura di riso specie a Ver-celli e Novara, resa possibile da un sistema di irrigazione vastissimo e capillare.

Tipologie di farine

- Farine di grano tenero: è ricavata dalla macinazione del frumento tenero, cereale tra i più diffusi data la grande capacità di tollerare climi piuttosto rigidi. Rappresenta la farina convenzionale, quella di tipo 00 o fior di farina, utilizzata per produrre pane, pizza, prodotti di pasticceria e da forno. E’ priva di crusca e man mano che questa au-menta in percentuale si hanno le farine 0, 1, 2 e integrale, via via meno bianche.

- Farine di grano duro o semola: con semola, caratterizzata dal color giallo, si indica il derivato del frumento duro, dopo la macinazione e l’abburattamento (sepa-razione dalla crusca). E’ una tra le specie di cereali più antica, frutto di un’ibridazione che risale addirittura al Neolitico; è base per pane e pasta. Dal grano duro si ottiene il semolato, una farina di alta qualità arti-gianale, pulita dalle impurità della semola.

- Farina di granoturco: originario dell’America centro-meridionale, il mais dal 1500 ha conquistato le coltivazioni italiane. La farina è diventata fondamen-tale per tutte le popolazione della Pianura Padana, ormai sinonimo di polenta; altro prodotto è l’amido di mais che assieme a quello di patate (fecola) viene invece utiliz-zato in cucina come addensante per salse.

- Farina di segale: è un cereale antichissi-mo, cresce in zone temperate, seminato in

autunno e raccolto al principio dell’estate. Tradizionalmente è impiegata nei Paesi dell’Europa centrale e orientale per pro-durre il pane nero, caratteristico anche dell’Alto Adige.

- Farina di riso: si ottiene dalla maci-nazione del chicco di riso bianco ed ha un’elevata percentuale di amido; si utilizza per pasta e dolci ed è molto usata nella cucina orientale.

- Kamut: prodotta in America, probabil-mente da un antico cereale egizio, raffina-ta si usa per torte e pane, quella integrale per biscotti.

- Manitoba: questa farina proviene da un grano originario del Canada e si tratta di un grano tenero e resistente al freddo, ricco di glutine e ideale per i dolci.

PANE

- Pane di farina di grano tenero: è il pane “bianco”, il più diffuso e che può assumere le forme più disparate; può essere misce-lato con altre farine prendendo il nome di pane di segale o di riso o di granoturco…

- Pane di farina di grano duro o semola: dal colore tendente al giallo si conserva a lungo ed è tipico delle regioni del Sud. Il pane di semolato è adatto invece per ta-ralli e friselle.

- Pane integrale: è prodotto con farina ric-ca di crusca, proveniente dal rivestimento del chicco di grano; è più scuro del pane bianco e ha un alto contenuto di fibre.

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- Pani speciali: si basano sul tipo di ingre-diente che viene loro aggiunto; tra gli ele-menti consentiti: burro, olio di oliva, latte, strutto, zibibbo, uva passa, fichi, olive, noci, origano…

Tecniche di preparazione

- Impasto: è la fase in cui si assemblano gli ingredienti di base (farina, acqua, lievito e sale) e attraverso l’energia meccanica ap-plicata per mescolarli si avvia il processo chimico-fisico in cui le proteine del cerea-le, gliadina glutenina, idratandosi formano il glutine che conferisce all’impasto elasti-cità. E’ in questo complesso che resteranno intrappolate le bolle di anidride carbonica durante la lievitazione durante la lievita-zione.

- Puntatura: a seconda della forza delle farine, ossia al contenuto di proteine, l’impasto viene lasciato a risposare più o meno a lungo ad una temperatura com-presa tra i 22° e i 25° C.

- Spezzatura: l’impasto viene proporzio-nato e gli viene data una forma; la dimen-sione e il peso dei pezzi variano a seconda del gusto e della tradizione. Si può arrivare ai 3-4Kg delle pagnotte e dei filoni del sud fino a scendere ai 20g delle rosette mi-lanesi.

- Lievitazione: lievito naturale, o pasta acida, o biga, o di birra, o secco, svolgono tutti la stessa funzione di trasformare at-traverso i loro enzimi e batteri gli zuccheri della farina in anidride carbonica e alcool etilico, in un processo di fermentazione che genera un gas all’interno dell’impasto che fa crescere il volume.

- Cottura: l’azione del calore, a una tem-peratura solitamente compresa tra i 180° e i 200°C, serve a irrigidire la rete glutinica fermando così il volume e la forma data dall’impasto. In cottura gli lieviti svilup-pano ancora fino ai 50°C poi muoiono, acqua e gas evaporano lasciano la mollica porosa, mentre gli zuccheri in superficie caramellano colorando la crosta.

Pane di farina di grano duro.

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Pani e focacce locali/regionali

- Valle d’Aosta: il pan ner è composto di fa-rina di segale e di frumento, a volte arric-chito con noci, uvetta o semi di finocchio.

- Piemonte: la biova è diffusissima in tutta la regione, in pezzatura sia grande sia pic-cola, ha una mollica molto soffice e bianca. La focaccia di Novi, bassa e dorata, si lavo-ra premendo i polpastrelli sulla superficie della pasta stesa e si condisce con olio.

- Liguria: la focaccia classica di Genova, alta un paio di centimetri, presenta ester-no croccante e interno morbidissimo. La galletta sottile tonda e bucherellata era il pane a lunga conservazione dei marinai.

- Lombardia: rosetta, michetta o stellina bergamasca si prepara con farina 00 e una lunga lievitazione; dopo aver praticato ai panetti la caratteristica incisione a stella, rotonda e vuota all’interno. Il pane di riso deriva dall’antica tradizione delle mon-dine.

Consumo e conservazione

Per pane si intende un prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta lievitata, preparata esclusivamente con gli sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza l’aggiunta di sale. Sempre meglio scegliere un prodotto fresco rispetto ad uno precotto o surgelato. Il pane si conser-va fragante per circa 12 ore anche se può variare a seconda del tipo di lievitazione; i lunghi periodi di lievitazione consentono conservazione più lunga e maggiore di-geribilità. Il pane a lievitazione naturale di può conservare per alcuni giorni in un sacchetto di carta all’interno di uno di tela o altrimenti lo si deve riporre in freezer. La lievitazione industriale, comparsa a metà Ottocento, con l’uso dello lievito di birra, è molto breve e per tanto implica una ve-loce perdita di qualità del prodotto.

Diverse tipologie di pane.

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PASTA

- Pasta di farina di semolato di grano duro o semola: è il prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e successivo essiccamento di impasti.

- Pasta fresca all’uovo: è un prodotto tradizionale che conserva molta della sua artigianalità; a 1Kg di semola devono corri-spondere almeno 4 uova intere di gallina.

- Pasta fresca: rientra l’uso di diverse

farine e l’umidità consentita sale fino al 30%; data la deperibilità del prodotto, la disciplina in merito alla conservazione è piuttosto rigida: si compra e si mangia.

- Pasta integrale: è arricchita di crusca per apportare fibre alimentari.

- Paste speciali: si basano sul tipo di ingre-diente che viene loro aggiunto; tra gli ele-menti consentiti: spinaci, pomodoro, noce moscata, ripieni di vari ortaggi, formaggi, carne, pesce, uova.

Tecniche di produzione

- Macinazione: il grano raccolto e sele-zionato viene setacciato, poi macinato per separare il chicco dal germe e dalla crusca nel mulino.

- Impasto e gramolatura: si mescola la semola con l’acqua e si sottopone a lavora-zione meccanica per la creazione del glu-tine; con la gramolatura l’impasto viene reso omogeneo, elastico e lavorabile.

- Trafilazione: la trafila è lo stampo per la produzione dei vari formati; l’impasto vie-ne compresso in fori di varia foggia, che possono essere di rivestiti in bronzo (che rende le superfici ruvide e adatte ai sughi) o in teflon ( che rende le superfici perfet-tamente lisce).

- Laminazione: alternativa alla trafilazio-ne, utilizza cilindri che riducono la pasta in sfoglia.

- Essiccamento: è una fase molto deli-cata perché la pasta deve essere portata Pasta fresca all’uovo.

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dal 30% di umidità al 12,5% previsto dalla legge; ad aria calda dura dalle 5 alle 40 ore. Segue il raffreddamento a temperatura ambiente.

Forme di pasta

- Pasta lunga: a sezione tonda (bigoli, spa-ghetti, vermicelli, capellini, fidelini), con il buco al centro ( bucatini, perciatelli, ziti), a sezione quadrata (spaghetti alla chitarra, tonnarelli), a sezione rettangolare o a lente (bavette, fettuccine, linguine, reginette, pappardelle).

- Pasta corta: cavatelli, conchiglie, farfalle, fusilli, gnocchetti, maltagliati, maniche e mezze maniche, orecchiette, penne e pen-nette, sedani, strozzapreti, tortiglioni.

- Pasta in nidi o matasse: fettuccine, pa-glia e fieno, lasagne, pappardelle, taglia-telle, taglioni.

- Pasta minuta: alfabeto, anelli, conchi-gliette, ditali, filini, puntine, stelline.

- Pasta ripiena: agnolotti, anolini, cannel-loni, tortellini, cappelletti.

Lavorazione dei tortellini ripieni.

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5. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: LA FRUTTA7

L’agricoltura nasce nel Neolitico, con il pas-saggio dalla vita nomade alla fissa dimora; la poca disponibilità di cacciagione e frutti selvatici, condusse probabilmente l’uomo a intraprendere l’attività agricola. I popoli della Mesopotamia avevano a disposi-zione una grande varietà di frutti: mele, prugne, noci, cocomeri, datteri e fichi; gli orti di Babilonia erano famosi per i limoni, le arance, i pistacchi, le albicocche e altri frutti poi giunti in Occidente molti secoli più tardi. Sulle tavole dei Romani a frutta si offriva a fine pasto ed era considerata mol-to importante e anche in quei tempi non veniva consumata solo fresca ma anche per la produzione di marmellate e dolci. Nel Rinascimento la frutta venne utilizzata per raffinate composizioni poi narrate e descritte artisticamente da numerosi pit-tori. Già nell’Ottocento i prodotti frutticoli italiani erano famosi oltreconfine e parec-chi esemplari come pere e mele viag-giavano verso mercati come l’Egitto o la Germania. La più accentuata industrializzazione dell’agricoltura nella storia è avvenuta negli anni Ottanta ma parallelamente già cominciava ad emergere una nuova do-manda di prodotti biologici o di impronta regionale. Oggi l’agricoltura biologica e lo-cale come abbiamo visto è un valore da re-cuperare e da elevare al primo posto nelle scelte di consumo.

7 Contenuti estratti da “Sai quel che mangi” – Regione Piemonte per il Salone del Gusto 2010

Classificazione

La frutta costituisce uno degli alimenti più preziosi che la natura abbia regalato all’uomo: ricca di vitamine, sali minerali, zuccheri, ma preziosa anche per il sapore, la bellezza delle forme e dei colori. Esiste innanzitutto una classificazione che si riferisce alle colture frutticole (pomacee, drupacee e rutacee), ma da queste catego-rie sono esclusi i frutti provenienti da col-ture orticole (fragola, cocomero, melone) o da altre piane (uva, mora, ribes). La classificazione più conosciuta divide la frutta dal punto di vista nutrizionale in: polposa, farinosa e oleosa. La categoria polposa comprende la maggior parte dei prodotti (pesche, fragole, mele, pere, lam-poni, agrumi) ed è quella con il più alto contenuto di acqua, variante dall’80% di mandarini e melograni al 95% di anguria e melone, povera di grassi e di proteine. In Italia la frutta farinosa comprende solo le castagne mentre per frutta oleosa si inten-dono arachidi, noci, nocciole, mandorle e pinoli; è molto energica e calorica per cui bisogna controllarne il consumo.

Tecniche di produzione

Le tecniche colturali utilizzate per la gestione di colture frutticole sono l’irrigazione, la concimazione, la pota-tura e la difesa da agenti atmosferici che potrebbero comprometterne la crescita. Trascurare gli alberi da frutto significa con-dannarli a un precoce deperimento ed è necessario effettuare potature periodiche. Le pratiche colturali sono comunque mol-to diverse a seconda dei frutti, del tipo di terreno, del clima e della fertilizzazione.

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Consumo e conservazione

“Una mela al giorno toglie il medico di torno” rappresenta il benessere dovuto al consumo di frutta. Ogni frutto contiene proprietà nutritive da soddisfare il biso-gno quotidiano di vitamine, sali minerali e molti altri elementi utili al corpo umano per mantenersi in forma, in salute. E’ neces-sario però consumare sempre frutta fresca: dal momento della raccolta, la frutta perde gradualmente il contenuto di vitamina C e i prodotti consumati fuori stagione a

volte sono meno ricchi di proprietà nutri-tive dato che percorrono distanze troppo lunghe o in condizioni di temperatura non idonee. Inoltre, molti di questi prodotti vengono coltivati in serra e sottoposti a concimazione abbondante o addirittura in coltivazioni senza terreno dove le piante vengono alimentate con soluzioni dirette di sostanza nutritive. L’aspetto visivo, le dimensioni, la consistenza, il colore ed il profumo sono elementi fondamentali per la buona scelta della frutta fresca.

La temperatura giusta per una corretta conservazione è di 4/5°C, ma si deve ri-cordare che a mano a mano che trascorro i giorni si vanno a perdere le proprietà nu-tritive ed è quindi bene proporzionare gli acquisti ai consumi, di giorno in giorno.Per godere appieno delle qualità organo-lettiche della frutta bisogna quindi prefe-rire i prodotti locali e seguire il percorso della stagionalità.

Fragole nei mesi estivi.

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6. QUALITA’ E BENESSERE IN TAVOLA:LA VERDURA8

Le prime verdure comparvero sulle ta-vole 5000 anni fa, a partire dall’economia stanziale dell’uomo che porto le donne a coltivare nei piccoli orti intorno ai villaggi mentre gli uomini erano a caccia. Basata dapprima sulla manipolazione di piante selvatiche, si passò poi alla coltivazione voluta dei prodotti della terra. I popoli del-la Mesopotamia sperimentarono per primi la cottura delle verdure, non sapendo ov-viamente che così facendo enzimi, vita-mine e sali minerali andavano perdendosi nell’acqua di bollitura. Furono però i Greci ad addomesticare maggiormente la natura per produrre i frutti dell’agricoltura e così i Romani che si ritrovarono a mangiare nu-merosissimi e diversi tipi di ortaggi. Con il procedere dei tempi e la diffusione dei mercati, si attivarono gli scambi e di con-seguenza la convenienza dei proprietari di far fruttare le proprie terre. I navigatori portarono in Europa varietà sconosciute come le zucchine, il mais, il pomodoro, gli spinaci e le patate e nel giro di due secoli entrarono a far parte delle coltivazioni nostrane. In questi ultimi anni si sono viste sugli scaffali primizie e tardizie di ogni ge-nere, spesso provenienti da luoghi lontani, ma oggi vi è la tendenza opposta a prefe-rire cibi locali e stagionali, prodotti diret-tamente dagli agricoltori di zona.

Classificazione

Ogni varietà di verdura presenta aspetti specifici e complementari che possono es-

8 Contenuti estratti da “Sai quel che mangi” – Regione Piemonte per il Salone del Gusto 2010

sere classificati in diversi modi; tra questi la classificazione per colore:- Giallo/arancio: contengono il betacaro-tene che diventa vitamina A, le vitamine del gruppo B, C, E nonché sali minerali e amidi. Peperoni, carote e zucche vi ap-partengono.- Bianco: è dovuto a composti come la quercetina, sono alimenti ricchi di vita-mine, sali e fibre. Ne sono un esempio l’aglio, l’asparago, la barbabietola, il cardo, la cipolla, i legumi, la patata, il porro e il sedano.- Blu/viola: appartengono a questa ca-tegoria le melanzane e il radicchio che hanno proprietà antiossidanti, dovuto al contenuto di antocianine.- Rosso: non può non far pensare al po-modoro.- Verde: ne fanno parte le zucchine, i broc-coli, i cavoli, gli spinaci, i carciofi, i fagiolini e l’insalata che hanno un basso contenuto energetico e sono ricchi di fibre e caro-teni.

Consumo e conservazione

Allo scopo di incrementare in quantità e in qualità la produzione vegetale, l’uomo ha individuato nei secoli processi come la fertilizzazione, l’irrigazione, l’ibridazione, capaci di modificare le condizioni di un terreno e migliorare la qualità del pro-dotto e quindi la produzione. Cura e at-tenzione nel lasciar riposare il suolo sono fondamentali per migliorare la resa di un terreno, come lo è anche il variare le col-ture sullo steso appezzamento coltivato per parecchi anni.Le verdure nascono utilissime proprietà: 100g di cetrioli forniscono il 10% del fab-

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bisogno giornaliero di vitamine dei gruppi B e C; 130g di piselli coprono il fabbisogno di vitamina C; le zucchine è una fonte di potassio (10%), vitamina A (10%) e acido folico. Sono tutte vitamine utili al nostro orga-nismo per rigenerarsi e produrre nuove cellule. Gli ortaggi sono alimenti fondamentali per tutte le diete; la cottura al vapore è uno dei modi migliori per cuocerli perché tratten-gono tutti i sali minerali e gli altri fattori indissolubili come le vitamine B e C. Ideale

sarebbe consumare verdura cruda o al li-mite in umido.Anche scegliere la verdura di stagione è un comportamento utile a non perdere le caratteristiche nutrizionali dei cibi; è più genuina perché non ha subito maltratta-menti e soprattutto è stata raccolta a ma-turazione compiuta.

Carciofi nei mesi invernali.

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7. QUESTIONARI SUI PUNTI DI VENDITA

Per analizzare meglio lo scenario di ap-partenenza del consumatore consapevole con l’obiettivo di delineare le linee guida per un punto vendita adatto alle sue par-ticolari esigenze, si è reso necessario stu-diare da vicino alcuni casi che potessero avvicinarsi maggiormente ai suoi reali bi-sogni. Il voler riportare la spesa su scala più pic-cola e su quantitativi ridotti, nonché più giusti, e ad un rapporto più diretto con il personale addetto alla vendita o con le produzioni locali, si è pensato di orientare le proprie analisi verso quei punti vendita della grande distribuzione organizzata (GDO) più simili ai negozietti di vicinato.Ne sono risultati utili alle ricerche sostan-zialmente quattro: - Carrefour Express- Compro Qui- Conad- Crai

Seguono le considerazioni effettuate sui casi di interesse, ognuno dei quali descrit-to e completato con veri e propri report su otto concetti principali.

CARREFOUR EXPRESSCarrefour è una società francese operante nella grande distribuzione organizzata a livello internazionale. Il suo marchio rap-presenta il secondo più grande gruppo al dettaglio nel mondo in termini di reddito e vendite dopo l’americana Wal-Mart ed il primo a livello europeo. Il nuovo Car-refour Express ha preso da poco il posto dei DìperDì: pensato apposta per la spesa

sotto casa, si è cercato di rendere il punto vendita alla pari di un qualsiasi negozietto di fiducia in cui trovare personale fidato, quello che si conosce per nome, ma allo stesso modo tutti gli stessi servizi della grande catena.

Carrefour Express - Via Mazzini 1 - 10087 Valperga (TO)1. Libertà nella scelta dei prodotti: i prodotti imposti dalla catena Carrefour sono oltre il 70%; questo significa che la possibilità di scelta di prodotti diversi dal catalogo, come quelli locali, pane o latte, per questi punti vendita è notevolmente limitata.2. Luoghi di rifornimento merce: per i pro-dotti confezionati e scatolame si rivolge a Rivalta (TO); per i prodotti freschi a Venaria (TO); per i surgelati a Massalengo (LO). I restanti prodotti sono reperibili in zona ma non è detto che siano di produzione locale.3. Reparto ortofrutta, provenienza e riforni-mento merce: l’intero rifornimento di frutta e verdura viene ordinato e spedito a nome Carrefour da CAAT di Torino.4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: per tutti i reparti di prodotti freschi la filiera è imposta con fornitori regionali prestabiliti; una piccola parte di prodotti può essere scelti da produzioni della zona.5. Informazioni, etichette, ingredienti: rispet-tano le normative alimentari di base ma è difficile trovare prodotti con etichette di filiera o marchi biologici nello stesso scaf-fale.6. Produzione propria: non viene presa in considerazione.7. Prodotti locali, provenienza e comunica-zione: sono presenti pochi prodotti locali

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nel reparto panetteria e manca del tutto la comunicazione.8. Invenduto, prodotti scaduti: 20 giorni prima della data di scadenza viene ef-fettuato un ribasso sui prezzi e visualiz-zato tramite un cartellino apposta; il ritiro dell’invenduto avviene da parte di forni-tori diretti.

COMPRO QUICompro Qui è un’iniziativa di Docks Mar-ket9: rappresenta la possibilità per i piccoli imprenditori di appoggiarsi ad un grande gruppo internazionale. In un panorama commerciale sempre più dominato dalla grande distribuzione, rappresenta una buona soluzione per i commercianti per poter mantenere il proprio negozio in città, sfruttando gli stessi mezzi di comu-nicazione e di promozione dei super e i-permercati. In questi punti vendita infatti è possibile mantenere piena indipendenza, mantenendo la conoscenza della zona e delle persone, la vicinanza ai propri clienti di sempre, il rapporto cordiale e perso-nale. Il semplice negozio di paese diventa di conseguenza più assortito e soprattutto più frequentato: un piccolo supermarket, con tutta l’atmosfera e la cordialità del ne-gozio tradizionale.

Compro Qui - Via Martin Peretto - 10083 - Favria (TO)1. Libertà nella scelta dei prodotti: si ha il 100% di libertà sulla scelta dei prodotti, nessun vincolo di vendita con nessun mar-chio.

9 Grande specialista dell’ingrosso con 50 anni di tradizione, professionalità ed esperienza nel settore del cash and carry, punto di riferimento per tutti gli operatori commerciali del Nord Italia . Il marchio Docks-Market è stato istituito nel 1992. (www.docksmarket.it)

2. Luoghi di rifornimento merce: i riforni-menti avvengono presso il Docks Market di Torino.3. Reparto ortofrutta, provenienza e riforni-mento merce: presso il Docks Market di Torino.4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: per i prodotti da forno come pane e grissini si rifornisce presso aziende della zona; per i vini da un fornitore di Asti.5. Informazioni, etichette, ingredienti: tutti i prodotti di largo consumo in vendita presentano la stessa tipologia di etichetta (tipica dei prodotti confezionati da super-mercato); non sono presenti prodotti bio-logici o senza glutine e la comunicazione è molto scarsa.6. Produzione propria: non viene presa in considerazione.7. Prodotti locali, provenienza e comunica-zione: non viene presa in considerazione.8. Invenduto, prodotti scaduti: viene but-tato via tutto.

CONADConad è la sigla del Consorzio Nazionale Dettaglianti. Ha sede centrale a Bologna ed è formato attualmente da 8 coopera-tive di dettaglianti operanti in tutte le re-gioni italiane: è la più grande organizza-zione cooperativa italiana di imprenditori indipendenti. Etica d’impresa e responsabilità sociale sono nel patrimonio genetico di Conad, in quanto principi fondanti della realtà cooperativa. Da oltre quarant’anni mette in pratica valori come solidarietà, parte-cipazione e dialogo con la comunità. Le ragioni sono evidenti: un grande sistema cooperativo è un buon interlocutore per la

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collettività.I punti vendita Conad, dai supermercati ai piccoli negozi, sono gestiti solitamente da imprenditori indipendenti a cui per tanto viene data molta libertà sulle politiche di vendita.

Conad - Via Caporal Cattaneo -10083 - Favria (TO)1. Libertà nella scelta dei prodotti: c’è piena autonomia su tutti i prodotti anche quelli a marchio Conad; si hanno però dei premi fedeltà se si mantengono le offerte di mar-chio e di conseguenza vengono presen-tate tutte.2. Luoghi di rifornimento merce: il riforni-mento avviene su ordinazione dal centro distributivo (CEDI) di Vercelli.3. Reparto ortofrutta, provenienza e ri-fornimento merce: i prodotti ortofrutticoli provengono da tutt’Italia, basta scegliere dai tabulati di listino.4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: si affida a 4/5 panettieri scelti dal gestore, il reparto gastronomia pre-senta prodotti della regione e un partico-lare marchio Conad, Sapori&Dintorni. Le carni derivano da allevamenti francesi poi cresciuti e macellati a Cuneo.5. Informazioni, etichette, ingredienti: non si riscontrano etichette o informazioni di-verse dagli standard industriali.6. Produzione propria: non viene presa in considerazione.7. Prodotti locali, provenienza e comu-nicazione: a parte i prodotti a marchio Sapori&Dintorni che puntano sulla qua-lità e sulla tradizione regionale italiana, la comunicazione è standardizzata come in tutti i punti vendita della GDO.8. Invenduto, prodotti scaduti: 10 giorni

prima della data di scadenza viene appli-cato un cartellino con scritto “che prezzi!!” ma non ne viene comunicato il motivo. I restanti prodotti invenduti vengono ritirati ed eliminati da imprese apposite.

CRAIAnche Crai (Commissionarie Riunite Ali-mentaristi Italiani) rappresenta una socie-tà cooperativa di dettaglianti. E’ una rete di supermercati e negozi alimentari che si distinguono per l’atmosfera familiare, per l’assistenza del personale, per un modo di fare la spesa moderno ma al tempo stesso ancorato alle tradizioni, in quanto su misu-ra, sia nei rapporti con la clientela che nella qualità e varietà dei prodotti offerti. Per ogni esigenza c’è un Crai corrispondente: dal supermercato alla superette, fino al piccolo negozio, tutti uniti dall’attenzione al servizio e dall’offerta di prodotti genuini e di qualità.I proprietari dei punti vendita Crai hanno infatti pieno potere sulla scelta dei prodot-ti da offrire ai consumatori, potere che per-mette loro di innalzare il livello qualitativo dei prodotti in vendita e di assecondare le nuove esigenze in crescita.

Crai - Via Chiaventone, 10 - 10080 - Salassa (TO).1. Libertà nella scelta dei prodotti: i proprie-tari hanno libertà assoluta su tutti i pro-dotti tranne su quelli a marchio Crai; unico obbligo è infatti quello di presentare pe-riodicamente le offerte del marchio.2. Luoghi di rifornimento merce: avviene mensilmente presso il CODE’ di Leinì at-traverso la lettura elettronica dei codici dei prodotti da un catalogo di oltre 20.000 articoli.

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0. ALLEGATI - ricerche e approfondimenti 284

3. Reparto ortofrutta, provenienza e riforni-mento merce: il rifornimento orto-fruttico-lo avviene più volte durante la settimana autonomamente presso il CAAT di Torino; questa autonomia permette al gestore di scegliere i produttori in base alla quali-tà e per questo spesso i prodotti sono di aziende agricole della zona. Ogni prodotto ha indicazioni sia sulla provenienza che sulle sostanza contenute in esso ma non sono comunicati chiaramente.4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: il pane è garantito da 5 forni-tori locali, la gastronomia e i formaggi da aziende nei dintorni. Il reparto macelleria offre carni, salumi e semilavorati da un produttore in provincia, non molto di-stante dal punto vendita (15Km).5. Informazioni, etichette, ingredienti: ci sono molti prodotti con un etichettatura particolare (biologici, senza glutine, eco, regionali, etc..) ma sono un po’ sparsi per gli scaffali.6. Produzione propria: esiste una produzio-ne propria di frutta e verdura, di loro pro-prietà, ma non viene messa in evidenza. Viene consigliata solo ai clienti di fiducia che non danno importanza all’aspetto e-stetico dei prodotti ma preferiscono com-prare la qualità.7. Prodotti locali, provenienza e comunica-zione: molti sono i prodotti locali e re-gionali offerti ai consumatori, ma troppo spesso non sono comunicati o mescolati ai classici prodotti confezionati. Ne sono un esempio le brioches, i biscotti, i prodotti freschi e la pasta.8. Invenduto, prodotti scaduti: viene appli-cato un bollino rosso sui prodotti in sca-denza, ma spesso sono i proprietari stessi a consumare i prodotti pur di non sprecarli.

Conclusioni

Dai riscontri nei vari sopralluoghi presso i punti vendita di interesse, è emerso come nelle piccole realtà commerciali il ruolo del proprietario/gestore sia di fondamentale importanza per adattare l’offerta secondo i nuovi modelli di consumo. Confrontan-do i casi precedenti, si mette in evidenza come l’influenza dalla grande distribuzio-ne organizzata sia in taluni casi a dir poco irrilevante: tra tutti, il caso Crai è forse il più eclatante dato che, oltre al solo ob-bligo di presentare le offerte di marchio, su tutto il resto ha avuto il coraggio di por-tare avanti i propri valori. Ricerca autono-ma della qualità nei prodotti ortofrutticoli, incentivi alle produzioni locali per tutto ciò che riguarda il fresco, umile presenta-zione della propria produzione famigliare, attenzione per il biologico piuttosto che per i detersivi eco sono tutti elementi che aprono nuove speranze verso quello che dovrebbe essere il punto vendita per il consumatore consapevole.

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0. FONTIbibliografia e sitografia

Libri

• Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005 • Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009 • Politecnico di Torino, Uomo al centro del progetto. Design per un nuovo umanesimo, Torino, Umberto Allemandi & C., 2008 • Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009 • Shelton, Herbet M., La facile combinazione degli alimenti, Genova, Igiene Alimentare Editore, 2002 • Gallucci, Francesco, Marketing emozionale, Milano, Egea Editore, 2005 • Morace, Francesco, La strategia del colibrì. La globalizzazione e il suo articolo, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2001 • Ferraro, Guido, La pubblicità nell’era di Internet, Roma, Maltemi Editore, 2002 • Fava, Franco e Garosci, Riccardo, C’era una volta il SuperMarket…e c’è ancora, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2008 • Basile, Nicola D., New menu Italia. La rivoluzione che ha cambiato la tavola degli italiani, Milano, B.C. Dalai Editore, 2009

Siti web (citazione in ordine cronologico di consultazione)

• http://www.wikipedia.it • http://www.coldiretti.it • http://www.eataly.it/index.php • http://www.slowfood.it • http://www.mcdonalds.ca/en/aboutus/faq.aspx • http://www.retegas.org • http://www.economia-solidale.org • http://www.consumoconsapevole.org • http://www.saicosamangi.info • http://www.alimentazionesostenibile.org • http://www.eco blog.it • http://www.istat.it

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0. FONTI - bibliografia e sitografia288

• http://www.nonsprecare.it • http://www.terranauta.it • http://www.terra-multimedialeagricoltura.it • http://www.notecologiche.blogspot.com • http://www.madreterra.wordpress.com • http://www.ecoalfabeta.blogosfere.it • http://www.terramadre.info/ • http://www.ecologiae.com • http://www.riducimballi.it • http://www.newsfood.com • http://www.legambiente.eu • http://www.genitrosviluppo.com • http://www.ecowiki.it • http://www.campagnamica.it • http://www.altroconsumo.it • http://www.sicurezzalimentare.it • http://www.catconfesercenti.it • http://www.freshdirect.com • http://www.abelandcole.co.uk • http://www.tempomat.it • http://www.retegas.org • http://www.helpconsumatori.it • http://www.informacibo.it • http://www.mangiaresano.net

Siti web Casi studio (citazione in ordine cronologico di consultazione)

• http://www.carrefour.it • http://www.hm.com/it • http://www.mercatidelcontadino.it • http://www.camicietrere.com • http://www.ebay.it • http://www.negozioleggero.it

Image bank (citazione secondo frequenza di consultazione)

• http://www.superstock.com • http://it.inmagine.com • http://www.flickr.com • http://www.sxc.hu

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0. FONTI - bibliografia e sitografia 289

• http://pro.corbis.com • http://italiano.istockphoto.com • http://www.gettyimages.com • http://www.stockfood.it • http://www.fotosearch.it • http://www.glowimages.com • http://www.windoweb.it • http://www.imagesource.com • http://www.thoughtequity.com • http://www.e-incucina.com

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POLITECNICO DI TORINOFACOLTA’ DI ARCHITETTURA I

Corso di Laurea Magistrale in ECODESIGN

Tesi di Laurea

UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO:il punto vendita per il consumatore consapevole

Relatore: Luigi Bistagnino Candidate: Silvia Capuano Annachiara Guerra Sara Munulli

Dicembre 2010

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...dove sono andati a finire i giorni in cui

tutto quello che facevamo era giocare?

e lo stress a cui eravamo sottoposti

non era per niente stress

una semplice corsa e un salto in una

caduta innocua mentre scendevamo da

un palazzo molto alto ad una piazza che

era un punto di riferimento

vedi milioni di persone con

milioni di interessi ed io lotto con

il treno per tornare a casa

guardo le persone mentre siedono lì da sole...

These Streets - These Streets (2006), Paolo Nutini

Siamo arrivate, abbiamo tagliato questo traguardo che apre il via ad un nuovo ancor più lungo tragitto: ci tocca crescere. Rimpiangeremo questi momenti, queste aule e i do-centi... tutto quello che abbiamo spesso anche criticato ma che tanto ci ha dato.Questa tesi è dedicata all’amicizia... alla nostra amicizia che tra queste mura è nata e sempre tra queste mura ci ha permesso di avere tantissime cose da ricordare e di cui ridere insieme. Grazie ad ognuna di noi per aver sopportato l’altra nei momenti di scon-forto, grazie di aver avuto sempre il rispetto e la correttezza durante i lavori fatti insieme e la voglia di tirarsi vicendevolmente quando la retta via era smarrita.Grazie a questa amicizia che ci dà modo di credere l’una nell’altra e di sapere che “noi ci siamo sempre”.Grazie alle nostre famiglie: mamma, papà e fratelli (per chi ne ha)... nonni “ufficiali” e nonni “acquisiti”, morosi (Umberto e Patrizio) e amanti (non di chi ha i morosi), zie e cuginette, amici cari che han sopportato le nostre continue lamentele e crisi di nervi (E-lena, Sabrina, Lolli, Pacicca, Pulpetta, Silvia & Dave, Paola, Fatima e tutto l’ufficio tecnico ILTI ... e a chi tante parole e anche lacrime si è sorbito). Un ringraziamento speciale a Leandro, al Crai di Salassa, ai compagni di corso e ai no-stri dottorandi di fiducia nonchè angeli custodi Veronica & Andrea: ci avete illuminate nei momenti più bui.Ora rimbocchiamoci le maniche e asciughiamoci gli occhi lucidi perchè adesso arriva il bello! Con affetto infinito

Silvia, Anna e Sara