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UN RICORDO DI FRANCESCO ZAMBALDI Francesco Zambaldi nacque a Venezia il 26 gennaio 1837. Con altri sei, tre fratelli e tre sorelle, è il figlio dell'avvocato Carlo Zambaldi, un patriota che è vicino a Manin nella difesa di Venezia. Mentre egli cresce, a Venezia, dove ha sede ancora una fiorente colonia di Greci, si seguono con trepidazione le vicende del rinato stato ellenico, nelle sue prime difficoltà economiche e politiche, ed è ancora vivo il ricordo dei lunghi secoli in cui Venezia dominava sui mari e amministrava territori greci dalle Isole Ionie a Creta sino alla lontana Cipro. Così accade che il giovane Francesco durante gli anni dell'adolescenza si senta viva- mente attratto verso la civiltà greca e lo studio del greco; forse avrà avuto per condiscepolo qualche greco e occasione di apprendere parole greche. Fatto è che dopo aver conseguito la maturità (1854), e seguito a Padova per due anni studi letterari e giuridici, si perfeziona, grazie a una borsa di studio, a Vienna nel 1856- 57 alla scuola di Valentin Rose, noto cultore di studi aristotelici '; ed ecco che al compimento dei suoi venti anni egli ha aggiunto alla sua naturale vocazione di grammatico una prima iniziazione filologica, e insieme ha perfezionato il suo possesso della lingua tedesca. E dunque pronto per l'insegnamento, e per quattro anni insegna nelle scuole private a Venezia. Successivamente lo troviamo professore ordinario di Latino, Greco e Tedesco al Ginnasio di Treviso dove nel 1865 ha occasione di commemorare il sesto centenario della nascita di Dante. Dopo l'esito della guerra del 1866, nella quale l'Italia si trova a fianco della Questo scritto su Francesco Zambaldi oltreché sui miei ricordi di antico allievo si basa sulla valutazione dei dati e delle indicazioni diligentemente raccolti da una mia allieva, la dott. Maria Rosa Ridolfo, laureatasi a Palermo nell'anno accademico 1970-71, alla quale avevo affidato una tesi sulla vita e l'opera di Francesco Zambaldi. La tesi, in due volumi di com- plessive 500 pagine, appare particolarmente ricca di dati, perché la Ridolfo, grazie alla nipote dello studioso, prof. Amalia Zambaldi, potè avere accesso all'archivio da lei meticolosamente custodito nella villa Zambaldi a Meati presso Lucca. Dall'immagine qui delineata di Francesco Zambaldi studioso e maestro non è discorde il ritratto che di Lui ebbe a disegnare Augusto Mancini, discepolo anch'egli e suo successore nella cattedra di Greco, nella commemorazione solenne che ne tenne nell'Aula Magna del- l'Università di Pisa il 14 febbraio 1929 (Pisa 1929). ' Valentin Rose, nato a Berlino nel 1825, dopo gli studi universitari a Bonn fu nominato bibliotecario a Berlino nel 1855; raccolse fra l'altro frammenti delle opere perdute di Aristotele: De Aristotelis librorum ordine et auctoritate (1854); Aristoteles pseudepigraphus (1863); Aristotelis qui ferebantur librorum fragmenta (1867).

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UN RICORDO DI FRANCESCO ZAMBALDI

Francesco Zambaldi nacque a Venezia il 26 gennaio 1837. Con altri sei, tre fratelli e tre sorelle, è il figlio dell'avvocato Carlo Zambaldi, un patriota che è vicino a Manin nella difesa di Venezia. Mentre egli cresce, a Venezia, dove ha sede ancora una fiorente colonia di Greci, si seguono con trepidazione le vicende del rinato stato ellenico, nelle sue prime difficoltà economiche e politiche, ed è ancora vivo il ricordo dei lunghi secoli in cui Venezia dominava sui mari e amministrava territori greci dalle Isole Ionie a Creta sino alla lontana Cipro. Così accade che il giovane Francesco durante gli anni dell'adolescenza si senta viva­mente attratto verso la civiltà greca e lo studio del greco; forse avrà avuto per condiscepolo qualche greco e occasione di apprendere parole greche. Fatto è che dopo aver conseguito la maturità (1854), e seguito a Padova per due anni studi letterari e giuridici, si perfeziona, grazie a una borsa di studio, a Vienna nel 1856-57 alla scuola di Valentin Rose, noto cultore di studi aristotelici '; ed ecco che al compimento dei suoi venti anni egli ha aggiunto alla sua naturale vocazione di grammatico una prima iniziazione filologica, e insieme ha perfezionato il suo possesso della lingua tedesca. E dunque pronto per l'insegnamento, e per quattro anni insegna nelle scuole private a Venezia. Successivamente lo troviamo professore ordinario di Latino, Greco e Tedesco al Ginnasio di Treviso dove nel 1865 ha occasione di commemorare il sesto centenario della nascita di Dante.

Dopo l'esito della guerra del 1866, nella quale l'Italia si trova a fianco della

Questo scritto su Francesco Zambaldi oltreché sui miei ricordi di antico allievo si basa sulla valutazione dei dati e delle indicazioni diligentemente raccolti da una mia allieva, la dott. Maria Rosa Ridolfo, laureatasi a Palermo nell'anno accademico 1970-71, alla quale avevo affidato una tesi sulla vita e l'opera di Francesco Zambaldi. La tesi, in due volumi di com­plessive 500 pagine, appare particolarmente ricca di dati, perché la Ridolfo, grazie alla nipote dello studioso, prof. Amalia Zambaldi, potè avere accesso all'archivio da lei meticolosamente custodito nella villa Zambaldi a Meati presso Lucca.

Dall'immagine qui delineata di Francesco Zambaldi studioso e maestro non è discorde il ritratto che di Lui ebbe a disegnare Augusto Mancini, discepolo anch'egli e suo successore nella cattedra di Greco, nella commemorazione solenne che ne tenne nell'Aula Magna del­l'Università di Pisa il 14 febbraio 1929 (Pisa 1929).

' Valentin Rose, nato a Berlino nel 1825, dopo gli studi universitari a Bonn fu nominato bibliotecario a Berlino nel 1855; raccolse fra l'altro frammenti delle opere perdute di Aristotele: De Aristotelis librorum ordine et auctoritate (1854); Aristoteles pseudepigraphus (1863); Aristotelis qui ferebantur librorum fragmenta (1867).

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Germania contro l'impero austriaco, troviamo lo Zambaldi a Venezia come pro­fessore di Latino e Greco nel liceo Foscarini.

Nel corso del 1871 gli fu data l'occasione di un viaggio in Oriente, e fu anche a Costantinopoli. Di là, a motivo di un incendio che aveva distrutto a Pera la sede del noto OIAOAOYIKÒC IÒA.Aoyoc dei Greci di Costantinopoli, poteva scrivere a un giornale di Verona e dare notizie dell'ultimo volume del periodico che non era andato, come si poteva temere, perduto ".

Nel suo viaggio potè avvertire la penosa impressione causata negli ambienti greci dalla ipotesi del Fallmerayer circa la slavizzazione della Grecia medievale, in quanto essa feriva non soltanto l'orgoglio nazionale, ma sembrava compromet­tere l'interesse per la Grecia stessa delle nazioni europee, costituiva insomma una sorta di denigrazione. E poiché, di ritorno a Venezia, potè appurare che il VI volume della enciclopedia di Ersch e Griiber nell'articolo Hellas, nella sezione destinata alla storia medievale, recava, redatta dallo storico Karl Hopf, una netta confutazione della teoria del Fallmerayer, si affrettò a tradurla in un neogreco alquanto arcaizzante \ Essa fu accolta con sollievo dalle comunità greche e gli procurò anche da parte greca la nomina a cavaliere dell'Ordine del S. Salvatore. In questo stesso anno lo vediamo curare per la collezione di scrittori latini tradotti dell'editore Antonelli di Pesaro una traduzione di un opuscolo senechiano, la Consolatio ad Polybium .

Il lungo tirocinio dell'insegnamento secondario nel Veneto lo aveva reso particolarmente sensibile alle esigenze e ai problemi della scuola nazionale, e fu così che lo vediamo pubblicare a Treviso gli Esercizi elementari di grammatica latina (1866) e nel 1868 a Padova degli Esercizi di sintassi latina.

Trasferitosi a Roma nel 1872 come insegnante di Greco e Latino presso il Liceo Visconti, gli fu affidato dalla Facoltà romana, per l'anno 1873/74, l'inca­rico d'insegnamento di letteratura greca nella cattedra universitaria, nella quale egli così succedeva al siciliano Gregorio Ugdulena \ ed esercitò ininterrottamente

Scritti della Società filologica dei Greci di Costantinopoli salvati dall 'incendio, in «Rivista Filologico-letteraria», 11/1 (1872), 36-42.

K. Xo7t(J>, Oi XÀdpoi èv 'EAAd5i. 'AvaoKeuiì xeov Getopiwv OaAApepaup, p£xa<|>pao6£ìaa ÈK TOÓ reppaviKod urtò <t>payKÌGKou ZapPdA5r|, 'Ev Beveria 1872. L'opuscolo ha avuto l'onore di una ristampa anastatica da parte di un libraio ateniese.

4 Della Consolazione a Polibio, traduzione di Fr. Zambaldi in Operette Morali di L.A. Seneca, Venezia, Antonelli, 1872.

5 Gregorio Ugdulena (1815-1872), sacerdote e studioso, nato a Termini Imerese, si di­stinse per la sua conoscenza del greco e dell'ebraico che gli permise di pubblicare nel 1859 una traduzione dei testi biblici in due volumi. Subì anche persecuzioni per i suoi sentimenti patriottici e per la sua partecipazione all'insurrezione palermitana del 1848. Nel 1860 fu ministro dell'Istruzione nel governo provvisorio di Sicilia. Insegnò ebraico nell'Università di Palermo (1843-1848), greco a Firenze (1865-1870) e greco ed ebraico nella Università di Roma (1870-1872).

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tale incarico sino al 1888, quando fu chiamato come ordinario a coprire la cattedra pisana permettendo così al Piccolomini di trasferirsi a Roma come palesemente desiderava 6.

Durante il soggiorno romano gli fu affidato anche l'alto incarico di impartire lezioni di greco e latino all'allora principe di Napoli, il futuro Vittorio Emanuele III (1881-1886).

Di questo periodo è notevole lo scritto sulla filosofia di Euripide (De Euripidis sapientia commentano) pubblicato a Roma presso Paravia nel 1875, del quale dava anche notizia nell'Annuario del Liceo Visconti dello stesso anno. Un suo articolo su / partiti politici nella poesia greca vedeva la luce nella «Nuova An­tologia» del 15 maggio 1878, pp. 218-248. Dello stesso anno sono anche le sue riflessioni su L'Ellenismo nella nostra educazione civile pubblicate sulla «Rivista Romana di Scienze e Lettere», anno I fase. 3. Per uso della sua scuola sembra essere stata una scelta commentata delle Filippiche di Demostene, con ampia introduzione storica (Firenze, Le Monnier, 1880) e una scelta di passi della Etica Nicomachea di Aristotele (Torino, Paravia, 1882). Così pure una scelta di poesie e frammenti dei lirici con sobrie annotazioni, che ebbe diverse edizioni (Lyricorum Graecorum reliquiae selectae, Torino, Paravia, 1883). Dell'anno 1879-80 è la sua ricerca su Le parole greche dell'uso italiano, pubblicata prima nell'annuario del Liceo Visconti, e poi in seconda edizione interamente rifatta presso Paravia nel 1883. Destinate all'uso della scuola secondaria sembrano invece la sua Grammatica italiana (Roma 1878) e gli Elementi di prosodia e metrica latina (Roma 1885). Ma l'opera di maggiore impegno, e frutto di attento studio, è il suo manuale di Metrica Greca e Latina (Torino, Loescher, 1882), volume favorevolmente accolto dalla critica e al quale ha in qualche modo legato il suo nome 7. L'attività di ri­cerca e di studio dello Zambaldi in questo periodo non può essere sottovalutata, se si riflette che egli era nel contempo gravato dall'insegnamento delle lingue classiche nel liceo, del cui peso egli potè successivamente liberarsi col passaggio all'università di Pisa nella quale, prima del Piccolomini, lo aveva preceduto Domenico Comparetti (1859-1872)8.

Dalla cattedra di Pisa egli fu eccellente maestro di greco a più generazioni di discepoli (1888-1923). Il suo contributo agli studi di greco non fu tuttavia notevole in questo periodo, se si prescinde dalle traduzioni di autori; sembra piuttosto che

6 Così ebbe una volta a confidarmi lo stesso Zambaldi. Da menzionare in particolare il giudizio di Ettore Romagnoli, che lo definiva «opera

eccellente in linea assoluta e in molti punti definitiva». Cf. il suo volume Musica e poesia nell'antica Grecia.

8 Prima di raggiungere Pisa, egli transitò per un anno dalla Università di Messina, dove proluse al corso parlando Del concetto e dei limiti della filologia classica. A Messina gli fu anche affidato l'incarico di Regio Commissario presso il locale Liceo Maurolico, turbato da imprecisate «influenze e maneggi».

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tornando alla sua primitiva vocazione di grammatico abbia applicato il rigore del metodo a studi sulla lingua italiana. E dell'anno 1889 la prima edizione del Vo­cabolario etimologico italiano sul quale egli continuò a lavorare fino alla edizio­ne definitiva del 1913. In essa le voci vennero esposte in ordine alfabetico e il volume delle pagine fu ridotto ad un terzo ma furono aggiunti in compenso anche i nomi di persona 9.

Prese poi parte ad un concorso internazionale bandito nel 1903 dalla Casa editrice Sonzogno per la redazione di una grammatica della lingua italiana per le scuole l0, e ne uscì vincitore n . Alla scuola aveva dato in precedenza anche il suo utile compendio di Metrica greca e latina (1893).

D'altra parte i problemi della grammatica erano familiari nella sua mente, come ci mostra la sua precedente memoria Delle teorie ortografiche in Italia n.

Nello stesso 1905 gli fu data anche occasione di un viaggio in Grecia, durante il quale egli potè assistere, nella curva dell'antico stadio di Atene, ad una rap­presentazione dell'Antigone di Sofocle 13. Egli ricordava «l'impressione di grande naturalezza e di semplicità primitiva» da lui avuta «assistendo alla rappresenta­zione dell"Antigone' nel magnifico stadio di Atene, data senza palcoscenico, quella comunione fra attori e coro, che si toccavano senza confondersi» 14.

Del suo costante interesse per la Grecia moderna egli aveva in precedenza dato prova non solo con la già citata traduzione dello scritto di Karl Hopf ma anche con una recensione dell'anno 1885 a uno scritto di Kleon Rangavis sulla vita domestica dei Greci presso Omero 15.

Al periodico «Atene e Roma» egli diede dapprima un suo scritto in difesa del greco, che allora si insegnava in tutti i licei italiani (Per la scuola classica, 1901). Alla stessa rivista aveva dato qualche anno prima il suo noto articolo su // tele-

Dei nomi di persona egli aveva in precedenza fatto oggetto di una ricerca particolare, i cui risultati aveva pubblicato negli «Atti del R. Istituto Veneto», LXI/2, 247-272.

10 Della Commissione giudicatrice, composta di italianisti, era presidente l'illustre stu­dioso Graziadio Isaia Ascoli.

" Grammatica della lingua italiana, Milano 1905. Il premio di 3.000 lire, non esiguo se si considera che la lira a quel tempo corrispondeva al suo valore in oro, gli fu utile per l'acquisto e il restauro di quell'antica villa in provincia di Lucca, presso Meati, che lo acco­glieva nei suoi periodici riposi estivi e che egli scherzosamente usava designare col nome di «Villa grammatica».

12 Pubblicata negli «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti», S. VII, tomo III (1892), 323-368.

13 Si trattava di uno spettacolo dato in onore dei partecipanti al Congresso internazionale di Archeologia che fu inaugurato il 25 marzo 1905.

14 Cf. la recensione dello Zambaldi alla traduzione in versi del Franchetti delle Tesmoforiazuse di Aristofane, pubblicata in «Rassegna bibliografica della letteratura italiana» XIII (1905) 243s.

15 Pubblicata in «La Cultura» di R. Bonghi, IV (1885) 8-10.

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UN RICORDO DI FRANCESCO ZAMBALDI ^ S

grafo nella Grecia Antica (1899) e più tardi quello su L'analisi logica che fu uno dei suoi ultimi scritti (1923). Del 1915 è la sua edizione, con un utile commento, dello scritto sul Sublime dello Pseudo-Longino, che gli fu forse suggerita dal gran parlare che allora si faceva dell'estetica crociana.

Dalla sua scuola uscirono negli anni di Pisa fra gli altri suoi discepoli anche il livornese Augusto Mancini (1875-1957) di brillante e versatile ingegno, che fu dapprima insegnante a Messina per essere chiamato più tardi a Pisa come insegnante di Grammatica Greca e Latina, per succedergli poi come titolare di Letteratura Greca. Suo discepolo illustre fu anche l'insigne filologo Luigi Castiglioni (1882-1965).

Anche chi scrive e potè seguire per tre anni i suoi corsi e discutere con lui nel giugno 1920 la sua tesi di laurea sulle Origini del romanzo greco, può riferire come testimone della sua profonda conoscenza della lingua greca e della sua lunga consuetudine con gli autori classici. Delle sue lezioni erano protagonisti gli au­tori, che egli ci leggeva colla sua voce grave e profonda 16 e ci interpretava con piena evidenza e chiarezza, di rado interrompendosi per qualche osservazione sul testo o per dare informazioni sulla metrica dei cori.

Negli ultimi anni del suo insegnamento attendeva a tradurre, a richiesta del Gentile già suo antico discepolo, per una collana di traduzioni di antichi filosofi, due tetradi dei dialoghi platonici (Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone, Ippia Maggiore, Ippia Minore, Ione, Menesseno) (Bari, Laterza, 1917).

Attese anche, qualche anno più tardi, a tradurre da Plutarco due coppie delle sue Vite parallele, e più esattamente quelle dedicate a figure di riformatori, quelle cioè di Agide e Cleomene contrapposte a Tiberio e Caio Gracchi ' . Queste sue traduzioni si distinguono per fedeltà e chiarezza. Ma giunse poco dopo per lui, in seguito alla legge Gentile che introduceva i limiti di età per i professori univer­sitari il momento di lasciare la scuola, alla quale aveva dato, anche negli anni pisani, il meglio di se stesso.

Egli cessò dall'insegnamento 1' 11 ottobre del 1923 e trascorse gli ultimi anni della sua serena vecchiezza a Lucca presso il figlio Giorgio, colonnello in pen­sione, recandosi spesso nella sua villa di Meati, dove si spense il 4 settembre 1928.

16 Quando io ero iscritto al primo anno di corso, durante l'anno 1916-17, egli stava entrando nell'ottantesimo anno, perché allora i professori universitari non avevano limiti di età, ma insegnavano vita naturai durante. Ricordo anche che ci lesse in quegli anni l'Edipo a Colono e l'Ifigenia in Aulide, e infine il Fedone e frammenti dei lirici. Se mi è lecito, posso qui riportare le parole colle quali egli salutò allora la mia tesi, non peraltro da lui suggerita né prima discussa: «È uno di quei rari lavori che vengono ogni tanto a consolare l'insegnante di greco e gli fanno vedere che la sua fatica non è del tutto vana».

17 Pubblicate nel 1924 nella collana di traduzioni delle Vite plutarchee diretta da Arturo Solari presso l'editrice Zanichelli di Bologna.

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Non sorprenda il fatto che, nell'Italia rinata a indipendenza, sia pervenuto nel nostro paese dall'impero austriaco il nuovo indirizzo della filologia scientifica che si era affermata in Germania come scienza dell'antichità. Infatti se lo Zambaldi aveva fatto il suo perfezionamento a Vienna, fu per il tramite di uno studioso austriaco, Giuseppe Muller, che fu diffuso più largamente nel nostro paese il rigore del metodo filologico. Giuseppe Muller, che era impiegato nella Biblioteca imperiale di Vienna, e stava collaborando col Miklosich alla trascrizione e pub­blicazione degli atti e diplomi del Patriarcato di Costantinopoli dal manoscritto custodito nella stessa biblioteca, era stato poi distaccato a Milano col compito di insegnante di Tedesco e di Greco nel Ginnasio liceale. Così accadde che fosse utilizzato come insegnante di Greco anche nella Università di Pavia e, successi­vamente, in quella di Padova. Dopo la guerra del 1866 accettò l'offerta che gli veniva dall'Università di Torino presso la quale lavorò ininterrottamente fino alla sua morte nel 1895. Fu grazie alle sue iniziative e al suo insegnamento e grazie anche ai libri scolastici da lui adattati alla scuola italiana e alla edizione di autori classici greci e latini, con puntuali commenti pubblicati dalla casa editrice Loescher, insieme colla «Rivista di Filologia e di Istruzione Classica», che i rigori del nuovo metodo si diffusero nelle università italiane l8. Altri bevvero per così dire alla fonte recandosi direttamente in Germania. Così il piemontese Alessandro Tartara, che insegnava accanto allo Zambaldi Letteratura Latina, aveva studiato a Berlino col Mommsen, ma ne era uscito latinista invece che storico, grazie alle molte pagine lette di storici latini. Si ricordavano di lui due monografie sulle campagne di Annibale in Italia.

Palermo BRUNO LAVAGNINI

18 Più ampie notizie sulla figura del Muller si possono attingere negli scritti di O. Kresten-K. Sturm-Schnabl, Aktenstucke und Briefe zur Entstehung der Ausgabe der Ada Patriarchatus Constantinopolitani MCCCXV-MCCCCII, «Ròmische Historische Mitteilungen» XXV (1983) 339-402 e E. Degani, in La filologia greca e latina nel secolo XX, II, Pisa 1989, 1171-1173.