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N. 4 DICEMBRE 2006 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE La salute del pianeta è la base del nostro benessere: gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) al servizio dell’ambiente Sudan: guerra, petrodollari e povertà Sviluppo rurale: approcci innovativi per sottrarre la popolazione rurale alla spirale della povertà Un seul monde Eine Welt Un solo mondo www.dsc.admin.ch

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N. 4DICEMBRE 2006LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

La salute del pianeta è la base del nostrobenessere: gli Obiettivi di Sviluppo del

Millennio (OSM) al servizio dell’ambiente

Sudan: guerra, petrodollari e povertà

Sviluppo rurale: approcci innovativi per sottrarre lapopolazione rurale alla spirale della povertà

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Sommario

DOSSIER

DSC

FORUM

2 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2006

AMBIENTE E OSM Sviluppo e ambiente, un binomio indissolubile La salute del nostro pianeta è, e continuerà a essere, la base di ogni benessere

6«Le conseguenze del degrado ambientale minacciano noi tutti» Intervista a Achim Steiner, direttore esecutivo del Programmadell’ONU per l’ambiente UNEP

12L’ecologia come fattore di mercato Il denaro fa girare il mondo. Infatti, solo quando la protezionedell’ambiente sarà finanziariamente pagante, si potrà sperare in un comportamento maggiormente eco-sostenibile

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SUDANNonostante i petrodollari resta poco spazio per i sogni Il Sudan emerge lentamente dall’isolamento internazionalecausato dal suo sostegno al fondamentalismo islamico

16Diversi eppure tutti uguali La sudanese Eiman Kheir ci rende partecipi del suo rientro in patria

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Partenariati – e non «padrinati»Walter Fust, direttore della DSC, sulla necessità di stabilirepartenariati improntati allo spirito di «advocacy»

21Bombe nella risaia Nel Laos ordigni inesplosi si celano ovunque nel terreno erendono la coltivazione del riso un’impresa pericolosissima

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Il cambiamento inizia dalle campagne Con pratiche innovative di sviluppo per le zone dicampagna si punta ad aiutare le popolazioni rurali asottrarsi alla spirale della povertà

26L’inferno dei politici Lo scrittore ucraino Jurij Andruchovyc a proposito di Dio e della casta dei politici

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Non basta suscitare stuporeJacques Hainard, direttore del Museo etnografico diGinevra, a proposito del prorompente mercato delle«arti primitive» e di musei virtuali

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Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cos’è... la sicurezza alimentare? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), èl’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficialein senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articolipertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delleautorità federali.

Soccorrere i propri vicini e parenti In Turchia, paese ad alto rischio sismico, con il sostegnodell’Aiuto umanitario della DSC, sono stati formati eattrezzati dei gruppi volontari di soccorso

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ORIZZONTI CULTURA

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La sola cooperazione allo sviluppo non può risolvere su sca-la mondiale tutti i problemi inerenti allo sviluppo. Ma ipotiz-zare il contrario equivarrebbe a estendere nel campo del-l’impossibile il mandato della cooperazione internazionale,e aumenterebbe il rischio che si scarichino le responsabili-tà, si chiudano gli occhi di fronte alla palese necessità di ri-solvere i problemi nel mondo nell’ambito di una collabora-zione fra i più diversi attori.

Achim Steiner, direttore del programma dell’ONU per l’am-biente UNEP, sintetizza questo stato di cose a pagina 12,nel dossier «Ambiente e Obiettivi di Sviluppo del Millennio»,affermando che: «In futuro abbandoneremo quest’otticanord-sud, perché le conseguenze del degrado ambientaleminacciano noi tutti». Detto in altri termini, Steiner chiede diagire con coerenza - senza contraddizioni e in modo coor-dinato - la mano destra deve sapere cosa fa quella sinistra.Per capire cosa ciò significhi in riferimento alla situazionesvizzera, vi proponiamo le seguenti considerazioni.

La prevista costruzione dello sbarramento idroelettrico di Ili-su fa parte del cosiddetto progetto per l’Anatolia del sud-est sui fiumi Eufrate e Tigri che richiederà il trasferimento di40 mila persone e che causerà la riduzione del 60 per cen-to della portata d’acqua dei fiumi in Siria e in Iraq. Perciò, infuturo, detto in termini diplomatici, il potenziale di conflittofra questi tre Stati non diminuirà. Considerata una tale si-tuazione, pone qualche problema il fatto che ben quattro im-prese elvetiche partecipino alla realizzazione di questo pro-getto, e ciò anche se la motivazione addotta è quella di sal-vaguardare posti di lavoro in Svizzera.

A settembre, nel corso della Conferenza dell’ONU sulla mi-grazione tenntasi a New York, la Svizzera ufficiale ha evi-

denziato esplicitamente il particolare bisogno di protezionedei rifugiati. Solo alcuni giorno dopo, noi cittadine e cittadi-ni svizzeri abbiamo accettato a netta maggioranza la nuovalegge sull’asilo. Sul piano internazionale ciò è stato inter-pretato da alcuni quale gesto di incoerenza.

A seguito dell’allargamento a est, l’aumento annuale del pro-dotto interno lordo (PIL) svizzero è stimato a 2 miliardi di fran-chi. A 1,67 miliardi di franchi ammontava nel 2005 il saldopositivo delle esportazioni svizzere verso i paesi in transi-zione. La Svizzera compie un gesto di coerenza se versa unmiliardo come contributo alla riduzione delle disparità in senoall’UE allargata – pari a circa 0,5 per cento della spesa del-l’UE per i nuovi Stati membri? Oppure si tratta di un contri-buto troppo modesto considerato che, grazie all’allarga-mento a est, nel nostro vicinato lo sviluppo economico e lastabilità politica sono aumentati e aumenteranno ulterior-mente?

Jurij Andruchovyc, autore per quest’anno della nostra «Car-ta bianca», ha redatto il suo quarto e ultimo contributo – in-titolato «L’inferno dei politici» – animato dalla rabbia. La rab-bia non è certo la miglior consigliera quando occorrerebbeavere la mente lucida; ciononostante, laddove la situazioneè diventata insoddisfacente, anche la rabbia può essereespressione di coerenza.

Harry Sivec Capo Media e comunicazione DSC

(Tradotto dal tedesco)

Agire con coerenza

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2006

Editoriale

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Meno poveri grazie alle ma-terie prime?(bf ) Dall’ultimo rapporto dellaConferenza ONU per il Com-mercio e lo Sviluppo (Unctad)riguardante i 50 paesi più poverial mondo risulta che, tra il 2001ed il 2004, le loro performanceeconomiche sono aumentatemediamente di un confortantecinque per cento, ed in alcunicasi anche di più. In tal modo, ipaesi più poveri sono riusciti asuperare la maggior parte deglialtri paesi in via di sviluppo.Fattore determinante è statol’aumento del prezzo delle ma-terie prime. Il punto dolente ditutto ciò: le materie prime atti-rano i grandi capitali stranieri,e ciò favorisce tramite l’export,anche la crescita economica.Tuttavia, come afferma il rap-porto dell’Unctad, gli investi-menti mirati nel settore dellematerie prime, anche se finan-ziariamente molto elevati, noncontribuiscono a migliorare lasituazione dei poveri. Ciò checostoro desiderano è un «postodi lavoro sicuro ed un salario regolare», come afferma il segre-tario generale dell’UnctadSupachai Panitchpakdi. Ma nesiamo ancora lontani: mentre ipaesi più poveri negli ultimi 25anni sono rimasti lontani daogni possibile benessere, gli altriStati hanno segnato notevoli mi-

glioramenti. Non è solo il diva-rio tra ricchi e poveri ad au-mentare, bensì anche il fossatoche separa i poveri dai più po-veri.

«Rivoluzione bio» all’ombradei templi ( jls) Nella regione cambogianadei templi di Angkor, molto tu-ristica, alcuni contadini hannoiniziato a coltivare legumi biolo-gici. Si sono così aperti a unmercato nuovo: quello degli al-berghi e dei ristoranti del capo-luogo Siem Reap, particolar-mente esigenti in fatto di qualitàdei prodotti per i turisti. Questeaziende importano ogni giorno20 tonnellate di legumi freschidal Vietnam e da altre provincedella Cambogia. «Eppure, non èche manchino le terre coltiva-bili», esclama Un Youri, diret-trice dell’ONG Agri Khmer.Fino ad oggi, la manna del turi-smo non è andata a beneficiodelle comunità rurali della pro-vincia, fra le più povere delpaese. Certi contadini hanno de-ciso di prendere parte alla pic-cola «rivoluzione bio» ispirata daAgri Khmer. Questa ONG ac-quista la loro produzione e lasmercia presso una decina di al-berghi. «La domanda è effettiva,ma l’offerta, troppo irregolare,non sempre rispondente alle ne-cessità».Tuttavia, anche se i le-gumi bio locali come prezzo

non sono ancora concorrenzialicon quelli vietnamiti, la loroqualità è sempre più apprezzata.

Oro bianco(bf ) La fibra tessile preferita almondo è il cotone: quasi la metàdi tutti i capi di abbigliamento èin cotone. La pianta, sensibile alfreddo, appartiene alla famigliadelle malvacee ed è coltivatanelle zone subtropicali di Africa,Asia,America ed Australia. Neisoli paesi in via di sviluppo, circa180 milioni di persone vivonodi questa coltivazione, che com-porta però spiacevoli conse-guenze. In effetti, questi arbusti,alti sino a due metri, richiedonomolta acqua: per ogni chilo dicotone occorrono 8 mila litrid’acqua. La pioggia non è suffi-ciente e dunque le piantagionivanno irrigate artificialmente.Inoltre, per accrescere i raccolti,si usano enormi quantità di fer-tilizzanti artificiali, erbicidi e pe-sticidi. Nonostante che i campidi cotone occupino nel mondoil 4 per cento della terra coltiva-bile, ad essi è riservato l’11 percento degli erbicidi ed insetti-cidi usati complessivamente. Leconseguenze: secondo l’Orga-nizzazione mondiale della salute(OMS), ogni anno nel mondo si registrano da 300 mila a 500mila casi di avvelenamento dovuto a pesticidi usati neicampi di cotone. I morti sono

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almeno 20 mila, molti di lorobambini.

Lotta per la terra(bf ) Milon Char è un’isola delFiume Gomani, nella regionecentro-occidentale del Bangla-desh. Un territorio inospitale, alungo disabitato. Da qualchetempo, quest’isola offre a mi-gliaia di famiglie senza terra lapossibilità di disporre di un proprio pezzo di terra e di unfuturo. I nuovi arrivati, con il supporto della locale organizza-zione Samata (letteralmente«Eguaglianza»), si sono organiz-zati e lottano per i loro dirittifondiari. «Da quando siamo qui,molte cose vanno meglio: ab-biamo finalmente un tetto equalcosa da mangiare», affermaBilkis Khatun, che è arrivata quicon suo marito e si dedica allavendita di volatili, uova e latte dicapra, oltre a guidare il gruppodi donne che si battono con il

governo per legittimare i lorodiritti di proprietà. In tutto ilBangladesh esistono circa 3,3milioni di ettari di terra noncoltivati, mentre il 57 per centodella popolazione è senza terra.I 93 mila ettari di terra governa-tiva che Samata ha sino ad oggicontribuito a distribuire rappre-sentano solo il 3 per cento deiterreni coltivabili.

Bambù, pianta miracolosa (bf ) Alcune specie di bambùcrescono fino a un metro algiorno, e il bambù gigante rag-giunge in una stagione oltre 30metri. Di recente, un gruppo diricercatori anglo-kenioti, ha at-tribuito a questa pianta un’altrapotenzialità, quella di alleviarel’inquinamento ambientale e lapovertà delle popolazioni afri-cane. Colin Black, biologo pressol’Università di Nottingham, haesaminato, con dei colleghi ke-nioti, i vantaggi della reintrodu-

zione in Africa del bambù origi-nario. In campo agricolo, questapianta – che ha rischiato l’estin-zione a causa del disboscamentoe dell’urbanizzazione del paese –potrebbe tuttavia essere nuova-mente coltivata senza problemi.Il bambù assorbe dal terreno so-stanze tossiche quali il metallopesante cadmio e le ripone al si-curo nei suoi germogli. In tal

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Paesaggio svizzero

modo il carico di sostanze tossi-che contenuto nell’acqua pota-bile e nei prodotti agricoli ver-rebbe notevolmente ridotto.«Inoltre – afferma Colin Black –i contadini potranno utilizzare il legno per costruire mobili o souvenir per i turisti. In talmodo, il valore di questo mate-riale si moltiplicherebbe perventi».

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Sviluppo e ambiente, un binomio indissolubile

In Cina - nell’immagine la città di Guangzhou – il boom economico va di pari passo con l’inquinamento atmosferico e la povertà

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Ambiente e OSM

Elemento centrale degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM)formulati dall’ONU è il benessere degli individui. Non va per-tanto dimenticato che la base di ogni sviluppo è, e continueràa essere, la salute del nostro pianeta. Di Gabriela Neuhaus.

Gli Obiettivi di Sviluppodel Millennio (OSM)Nel settembre del 2000l’ONU ha approvato una lista con otto Obiettivi diSviluppo per il Millennio. La comunità degli Stati èchiamata a soddisfare en-tro il 2015 le seguenti ri-vendicazioni per migliorarela situazione dei più poveri: 1. Dimezzare la povertàestrema e la fame2. Assicurare l'istruzioneelementare universale3. Promuovere le donne e la parità fra i sessi4. Diminuire la mortalità infantile5. Migliorare la salute materna6. Combattere l’HIV/AIDS,la malaria e le altre malattie7. Assicurare la sostenibi-lità ambientale8. Sviluppare un’alleanzaglobale per lo sviluppo

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8 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2006

Dong Guan è una ridente città industriale dellaCina meridionale. Qui, negli ultimi 15 anni, sonospuntate come funghi innumerevoli ditte di espor-tazione. Architettura e parchi pubblici moderni caratterizzano il centro urbano. Da tempo nellestrade non prevalgono più le biciclette,bensì le au-tomobili di lusso. Gli impiegati lavorano in ufficiclimatizzati; nei capannoni delle fabbriche ronza-no macchine e ventilatori. Malgrado settimane lavorative di 60 ore e dure condizioni di lavoro per un’esigua paga, i posti di lavoro in centri comeDong Guan sono ricercati: in Cina, grazie al boomeconomico, 300 milioni di persone hanno potutosottrarsi alla povertà.In occasione del Vertice dell’ONU sugli Obiettividi Sviluppo del Millennio, svoltosi nel settembre2005, il coordinatore dell’ONU per gli OSM inCina,Khalid Malik, ha evidenziato come lo svilup-po del paese infonda speranze: «La Cina ha conse-guito successi inaspettati in merito agli obiettiviprefissi.In taluni settori,essi sono stati raggiunti conben 13 anni di anticipo,ci attendiamo pertanto chela Cina raggiunga la maggior parte degli obiettivientro il 2015».Anche in India, con qualche limi-tazione, la situazione è simile.

Svendita delle risorse Con circa 2,3 miliardi di persone, i due paesi asia-

tici contano un terzo della popolazione mondiale.Se qui è possibile raggiungere in ampia misura gliobiettivi prefissati sussiste un motivo di speranza.Altrove, in particolare nell’Africa australe, la ten-denza va tuttavia in direzione opposta. E poi nonva dimenticato che la rapidissima crescita econo-mica esige anche un tributo: un mostruoso inqui-namento atmosferico, l’inquinamento dei fiumi edei campi, lo sfruttamento a rapina dei suoli e unasequela di incidenti chimici pregiudicano interiecosistemi e la salute di milioni di persone. Nellasola provincia cinese di Shanxi,dove vivono 33 mi-lioni di persone,secondo dati ufficiali 58 dei 99 fiu-mi sono gravemente inquinati e, secondo la Ban-ca mondiale, l’inquinamento dell’acqua e dell’ariain Cina causa già oggi danni pari all’8 per centodel prodotto interno lordo.A ciò si aggiunge un’immensa e crescente domandadi materie prime, come il petrolio o il legname,consumati e distrutti in grandi quantità.I costi eco-logici del boom economico superano addirittura itassi di crescita: a fronte di una crescita economicadel 8-10 per cento, il consumo di risorse è au-mentato in Cina negli ultimi anni del 13-15 percento.Un terzo di queste risorse sono irrimediabilmen-te perse. In un futuro nemmeno tanto lontano ciòdeterminerà delle crisi esistenziali. «In molti luo-

AlimentazioneDopo una fase di crescitaprotrattasi per decenni siconstata nel mondo unadiminuzione della produ-zione di derrate alimentaridi base, quali il riso o il fru-mento. Da un lato, la pro-duttività dei suoli diminui-sce rapidamente in seguitoallo sfruttamento intensivo,dall’altro si stanno abban-donando superfici agricolein favore dell’industrializza-zione in paesi tradizional-mente dediti alla risicoltura(quali la Cina o il Vietnam).Il trend mondiale di colti-vare varietà ad alta resa sugrandi superfici ha inoltrecontribuito a una perico-losa perdita della biodiver-sità che a lungo terminepotrebbe ripercuotersi ne-gativamente sulla qualitàdella produzione agricola.Qualora i suoli disponibili siriducano, è alquanto im-probabile che la selezionedelle varietà effettuata conmetodi biotecnologici ri-esca a soddisfare la cre-scente domanda di derratealimentari.

Che si tratti di fertilizzanti chimici (India) o di agricoltura intensiva (Canada), gli ecosistemi sono estremamentesensibili agli sfruttamenti eccessivi che possono accelerare il processo di desertificazione (Senegal) o fare accre-scere il livello del mare (India)

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Ambiente e OSM

ghi – e non solo in Cina – le risorse naturali ven-gono sfruttate senza che nessuno si preoccupi direinvestire gli introiti in modo sostenibile.Consta-tiamo, infatti, che i paesi in via di sviluppo e intransizione, invece di utilizzare i guadagni genera-ti dalle scarse risorse naturali nella formazione onella creazione di strutture economiche, svendo-no le loro risorse», afferma Martin Sommer, capodella Sezione risorse naturali e ambiente dellaDSC.

L’ambiente come basePer lo meno a livello teorico,nessuno contesta chelo sviluppo perseguito mediante gli OSM sia stret-tamente legato allo stato del nostro pianeta. Men-tre il punto 7 della Dichiarazione esige che lo svi-luppo sostenibile sia integrato nelle politiche deipaesi e che si arresti la perdita delle risorse natura-li, Martin Sommer concepisce la portata della te-matica ambientale in maniera assai più vasta: «Laquestione di una gestione sostenibile dell’ambien-te rappresenta la base di tutti gli OSM:a lungo ter-mine, la fame e la povertà estrema potranno esse-re superate solo in armonia con la natura. La mor-talità infantile e materna sono strettamente legatealla situazione ecologica nella quale vivono le per-sone, cosicché l’importanza data a una miglioreistruzione scolastica ha senso solo quando saranno

soddisfatti i bisogni vitali degli allievi».Secondo Sommer, senza sistemi ecologici funzio-nanti non vi è sviluppo. Questo credo sottendevagià l’Agenda 21, approvata nel 1992 al Vertice del-la Terra di Rio de Janeiro. Benché in seguito sianostati stipulati numerosi accordi internazionali neipiù diversi settori (quali clima, montagne, acqua orifiuti), l’ambiente sta peggio che mai. «A livellomultilaterale siamo oggi iper regolamentati: esisteinfatti un migliaio di convenzioni internazionalisull’ambiente, ma la loro attuazione resta carente»,constata Martin Sommer.Negli ultimi anni i temi ambientali ed ecologicisono quasi completamente scomparsi dalla politi-ca internazionale. Nella lotta alla povertà la prio-rità è data alla crescita economica e alla globaliz-zazione,anche se queste si pongono spesso in con-traddizione con lo sviluppo sostenibile.Ciò spiegaper esempio perché, nella corsa globale alla ricer-ca di sedi di produzione più convenienti, a vince-re siano spesso i paesi in via di sviluppo: ossia Sta-ti con pochi vincoli e controlli ambientali. Ciò fasì che, nelle fabbriche tessili o chimiche asiaticheo africane,si produca per l’Occidente in condizioniche qui sono da tempo bandite. Se, da un lato, sicreano così dei posti di lavoro, dall’altro, si distrug-gono la salute e le basi vitali di chi vive in quei paesi.

ClimaLa concentrazione di ani-dride carbonica nell’atmo-sfera è aumentata dal1750 del 32 per cento.Circa il 60 per cento diquesto aumento si è regi-strato a partire dal 1959.L’International Panel onClimate Change IPCC, unrinomato consesso scienti-fico, presume che i gasserra rilasciati dall’uomonell’atmosfera siano laprincipale causa del riscal-damento globale che pos-siamo osservare oggi eche, negli ultimi cento anni,ha determinato un au-mento della temperatura di2 a 5 gradi Celsius. Fra leconseguenze vi sono, inparticolare, lo scioglimentodei ghiacciai, uno sposta-mento delle zone di vege-tazione e delle zone delleprecipitazioni, un aumentodel livello dei mari, nonchéla crescente forza distrut-tiva del maltempo. Senzacontromisure rapide e dra-coniane, interi ecosistemicorrono il rischio di crol-lare. Ne potrebbero conse-guire delle carestie e unacarenza d’acqua senzaprecedenti, soprattutto neipaesi in via di sviluppo.

Lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali nuoce tanto all’uomo quanto all’ambiente – a causa delle emis-sioni di sostanze tossiche delle industrie (Cina), del traffico automobilistico (Messico), delle montagne di rifiuti edell’inquinamento delle acque (Filippine)

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Un bilancio globaleLa distruzione dell’ambiente da parte dell’uomo èdrasticamente aumentata nella seconda metà delXX secolo e ha prodotto effetti globali di dimen-sioni mai viste prima. Per meglio capire i proble-mi, prima che venissero formulati gli OSM fucommissionato un progetto di ricerca unico nel suogenere: con un lavoro durato 5 anni,oltre 2000 ri-cercatori di tutto il mondo hanno riunito dati perillustrare i nessi fra ambiente e benessere umano.Ne è nato un compiuto rapporto, il MillenniumEcosystem Assessment, che tratteggia un’impressio-nante panoramica dello stato attuale del pianeta,mostrando nel contempo i possibili scenari futuri.Per concretizzare meglio le molteplici sfaccettatu-re degli influssi ambientali sulla vita umana, i ri-cercatori hanno creato il concetto di «ecosystemservices» (prestazioni ambientali). Con questo ter-mine esprimono ciò che lega l’uomo alla natura.Per esempio le prestazioni degli ecosistemi per for-nire all’uomo aria salubre,acqua pulita,materie pri-me quali il legno o i minerali; ma anche l’impor-tanza della natura per le esperienze culturali o spi-rituali. Il cambiamento climatico, l’inquinamentodell’aria o la fertilizzazione eccessiva dei suoli pre-giudicano la qualità di simili prestazioni.Il rapportosi fonda sul fatto che la sopravvivenza dell’umani-tà continua pur sempre a dipendere dalle risorsenaturali anche se, grazie alla cultura e alla tecnolo-gia,questa stessa umanità ha predisposto misure ef-ficaci contro i cambiamenti ambientali.

Drastiche conseguenze Il Millennium Ecosystem Assessment dimostra per laprima volta in modo compiuto che, negli ultimi50 anni, gli ecosistemi del mondo si sono drastica-mente modificati sotto l’influsso dell’attività uma-na. E ciò, in parte, con ripercussioni irreversibili,non da ultimo sull’ecologia globale. Un esempio

ne è il drammatico aumento dell’anidride carbo-nica nell’atmosfera, il gas reputato responsabile deicambiamenti climatici, con conseguenze drasti-che, le cui prime avvisaglie, a detta dei ricercatori,si percepiscono già oggi.Altri esempi sono l’utilizzo eccessivo delle acque,lo sfruttamento a rapina dei mari, la perdita dellabiodiversità e il forte aumento degli ossidi d’azo-to e dei fosfati nei sistemi ecologici. Gran parte diquesti cambiamenti sono strettamente collegati almiglioramento del tenore di vita della popolazio-ne,registratosi finora prevalentemente nei paesi in-dustrializzati grazie a un intenso utilizzo di risor-se e di energia. Questi paesi sono i principali im-putati sul banco degli accusati di ecocidio. Unostatunitense, per esempio, consuma in media tantaenergia quanta 31 indiani o 370 etiopi. Il consu-mo d’acqua in Svizzera è di 400 litri pro capite algiorno, mentre in India è di soli 25 litri.Tuttavia, il miglioramento del tenore di vita neipaesi emergenti (quali l’India, il Brasile o la Cina)modificherà decisamente anche i loro bilanci eco-logici. Seguendo i modelli di benessere dell’occi-dente e di pari passo con l’aumento dei redditi,consumeranno per esempio più prodotti animali.Dal profilo ecologico, ciò comporta un’enormeperdita di risorse: mentre circa 180 chili di cerealibastano per assicurare l’alimentazione vegetarianadi una persona per un anno, per una dieta a basedi carne ne occorrerebbero 930 chili. Per la pro-duzione di 100 grammi di frumento sono neces-sari circa 25 litri d’acqua, per 100 grammi di car-ne di manzo ne occorrono mille volte di più.

Sfide e opportunità I due terzi delle prestazioni ambientali esaminatedal Millennium Ecosystem Assessment sono oggi for-temente pregiudicate oppure non se ne fruisce inmodo sostenibile. Una situazione, questa, che nei

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2006

Risorse itticheLa pesca a rapina praticatanei mari del mondo conmetodi industriali ha cau-sato un drammatico impo-verimento delle risorse itti-che. I pesci di grandetaglia – come il pescespada, il tonno, la razza ola passera di mare – hannoperso fino al 90 per centodei propri effettivi. Laddovele grandi navi peschereccehanno iniziato a operare innuovi fondi pescosi, la bio-massa delle comunità itti-che è scesa di anno inanno di quasi un sesto, ossia dell’80 per cento in15 anni. Ciò ha anche delleconseguenze economiche:il crollo della popolazione di merluzzi davanti aTerranova ha determinatola perdita di migliaia di po-sti di lavoro, con conse-guenti costi economici dialmeno due miliardi didollari US. La diminuzionedelle popolazioni ittichecolpisce però anche e so-prattutto i paesi poveri: lascomparsa dei pesci nelleacque superficiali e co-stiere priva la gente delluogo di una fonte pococostosa di proteine. Neipaesi in via di sviluppo ilconsumo pro capite di pe-sce è d’altronde costante-mente diminuito a partiredal 1985.

Il riciclaggio non è solo utile dal punto di vista ecologico. Con il passare del tempo è divenuto anche un’attività lu-crativa a livello mondiale

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Con il sostegno svizzero, l’India ha per esempiorealizzato rapidi cambiamenti nel settore energe-tico.Nell’ambito di un progetto di sviluppo ha te-stato una tecnologia ecologica per la produzionedi mattoni, la quale è oggi richiesta in tutta l’Asia.A Delhi, l’intera flotta degli autobus urbani e deitaxi è stata convertita all’utilizzo di gas.In seguito alla crescente pressione ambientale, an-che la Cina punta all’innovazione: nel campo del-lo sviluppo tecnologico dell’energia solare è oggila seconda in classifica dopo la Germania. Un si-stema di incentivi varato dal governo per i conta-dini dovrebbe servire a preservare la biodiversità ead aumentare la produttività cerealicola. Per pro-teggere l’acqua potabile,già scarsa e sempre più in-quinata, sono state emanate misure draconiane.Ciononostante la pressione sull’ambiente conti-nuerà ad aumentare. Solo lentamente ci si sta ren-dendo conto che ai limiti impostici dall’ecologiasono legati dei limiti per la crescita economica. Èla limitatezza delle risorse naturali a dettare le con-dizioni su questo pianeta.Occorre tenerlo presen-te in particolare anche per l’attuazione degli Obiet-tivi di Sviluppo del Millennio.In futuro,questa pre-messa dovrebbe essere il criterio base di ognisviluppo. Infatti, se per favorire la crescita econo-mica si provocano squilibri nei sistemi del suolo,dell’acqua o del clima, si verificheranno ripercus-sioni globali che interesseranno ognuno di noi. ■

(Tradotto dal tedesco)

prossimi anni minaccia di inasprirsi. Le conse-guenze del degrado ambientale sono avvertite inmaniera particolarmente dura dai piccoli contadi-ni nei paesi in via di sviluppo: erosione, siccità oinquinamento industriale minacciano le loro basiesistenziali.Secondo il Millennium Ecosystem Assessment, la sfi-da sarà quella di rendere gli sforzi di sviluppo piùecologici e efficienti quanto all’impiego delle ri-sorse, perseguendo nel contempo un rapido mi-glioramento delle condizioni di vita nei paesi in viadi sviluppo. Illustrando diversi scenari, il rapportomostra che ciò sarebbe possibile a lungo termine.Ma già oggi non è più possibile tamponare o ar-restare completamente molte delle conseguenzenegative.

La pressione ambientale favorisce l’inno-vazioneLe premesse perché sia possibile in futuro uno sviluppo veramente sostenibile, del quale possanobeneficiare anche i poveri, sono un drastico cam-biamento di mentalità e del modo di agire.Le pre-stazioni ecologiche, tale è la rivendicazione dei ricercatori, dovranno in futuro essere sistematica-mente considerate sia in ambito economico chepolitico quali elementi centrali. Ovviamente, esi-stono numerosi esempi di azioni ecologiche. Ne-gli ultimi decenni si sono create oltre 100 mila areeprotette che coprono quasi il 12 per cento della su-perficie terrestre. Si tratta di un importante con-tributo alla conservazione della biodiversità e del-le prestazioni ambientali.Un accordo internazionale vieta l’impiego di fluo-roclorocarburi (CFC) allo scopo di proteggere lostrato di ozono, mentre l’accordo di Kyoto sul cli-ma punta a ridurre il carico di anidride carbonicanell’atmosfera. Almeno altrettanto efficienti sono le misure prese a livello regionale e locale.

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2006

Ossidi d’azoto e fosfatiLa quantità di ossidi d’a-zoto introdotti dall’uomonei sistemi ecologici si èmoltiplicata per nove dal1890 al 1990. Oltre la metàdi tutti i fertilizzanti chimiciimpiegati nel mondo èstata utilizzata a partire dal1985. Gli studi indicanoche entro il 2050 si registre-rà un ulteriore aumento del 64 per cento degli os-sidi d’azoto provenientidall’agricoltura e dall’indu-stria. L’apporto di azotoconsente anzitutto di otte-nere delle maggiori rese;ma una concimazione ec-cessiva comporta pericoliper il suolo e le acque.L’azoto contribuisce inoltrealla formazione dell’ozonoche, a sua volta, causa unaperdita di produttività agri-cola e può pregiudicareanche la salute umana. L’apporto di fosforo è tripli-cato dal 1960 al 1990.Come per l’azoto, ancheun eccessivo impiego difosforo provoca un’ecces-siva fertilizzazione dei si-stemi ecologici: un fattoche nei laghi e nei fiumi favorisce la formazione dialghe, contribuendo cosìalla moria di intere popola-zioni di pesci.

Le tecnologie rispettose dell’ambiente, come l’energia eolica (Mongolia) o l’energia solare (Burkina Faso), si stannodiffondendo anche nei paesi in via di sviluppo e nei paesi di transizione

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Un solo mondo: Quale direttore esecutivodell’UNEP in che misura deve occuparsi an-che di politica di sviluppo?Achim Steiner:Vede, la politica di sviluppo è tal-volta soprattutto anche politica ambientale e poli-tica delle risorse.Per me è dunque sempre stato im-portante collegare i due ambiti. In ultima analisi,quando ci si occupa di sviluppo, si tratta di pren-dere delle decisioni che siano sostenibili nell’am-bito delle risorse disponibili su questo pianeta.

Quali sono gli argomenti addotti dagli esper-ti ambientali in questo contesto?Dobbiamo far confluire le conoscenze in materiadi ecologia nei processi decisionali economici. Èun mito pensare che la nostra economia possa svi-lupparsi in modo sostenibile senza dover conside-rare le basi ecologiche fondamentali. In ultimaanalisi, la responsabilità in materia di sostenibilitànon compete al ministro dell’ambiente,bensì ai mi-

nistri dell’energia, della pianificazione,delle finan-ze. Il ministro dell’ambiente deve mettere a dispo-sizione le sue conoscenze specialistiche affinchénon distruggiamo la nostra base vitale e si possa ave-re una crescita economica anche in futuro.

Che significa tutto ciò concretamente?Oggi, disponiamo di possibilità scientifiche e co-noscenze ambientali che vent’anni fa non c’eranosu così vasta scala. Conosciamo i beni e le presta-zioni che i sistemi ecologici mettono a nostra di-sposizione, conosciamo il loro valore e il loro costoqualora si debbano ricreare o sostituire. Questo ciconsente di far confluire nella politica di sviluppodelle modalità ottimizzate di sfruttamento delle risorse naturali. In passato eravamo costretti a sce-gliere tra la conservazione dell’ecosistema di un fiu-me, la costruzione di uno sbarramento per la pro-duzione di energia elettrica o l’irrigazione. Oggipossiamo calcolare in modo assai preciso di quan-

Achim Steiner, direttore esecutivo del Programma dell’ONU perl’ambiente UNEP, rivendica più solidarietà con il Sud da partedei paesi industrializzati per incentivare lo sviluppo sostenibi-le. Un’intervista di Gabriela Neuhaus.

«Le conseguenze del degrado ambientale minacciano noi tutti»

Achim Steiner, cittadino tedesco, è nato nel 1961in Brasile, dove ha vissutoper i primi dieci anni. Hapoi studiato filosofia, poli-tologia, economia e pianifi-cazione regionale negli atenei di Oxford, Londra,Berlino e Harvard. Dopo glistudi ha lavorato dapprimasul terreno per vari progettidi sviluppo. La sua carrieraprofessionale è segnatadall’impegno per lo svi-luppo e l’ambiente: ha la-vorato a Washington e inAsia sud-orientale per l’or-ganizzazione ecologistaWorld Conservation UnionIUCN; nel 1998 è stato no-minato segretario generaledella World Commissionon Dams (WCD) a Città delCapo; nel 2001 è divenutodirettore generale all’IUCN;da giugno 2006 è direttoreesecutivo del Programmadell’ONU per l’ambienteUNEP, con sede a Nairobi.

Ennetmoss (Nidvaldo), Svizzera 2005

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ta acqua necessita un fiume per poter conservarele proprie funzioni ecologiche fondamentali. Inmolti casi possiamo così costruire degli sbarramentipur continuando a preservare e sfruttare le funzio-ni vitali dell’ecosistema.

Lo spreco di risorse è enorme, soprattuttonelle società industrializzate, e sta rapida-mente aumentando con la crescita econo-mica di paesi come la Cina e l’India.Dal pro-filo ecologico,che tenore di vita e quanto be-nessere possiamo concederci su questa Terra?Attualmente, su questo pianeta, è possibile avereuna vita degna di essere vissuta anche con 7 o 8miliardi di individui.La questione è piuttosto quel-la di sapere come evitare in futuro sprechi e, so-prattutto, l’inutile distruzione dell’ambiente, ecome ripristinare gli ecosistemi distrutti. Il mon-do ricco crede tuttora di potersi concedere il ri-schio del cambiamento climatico. Ma proprio inquesti ultimi anni – dopo due gravi inondazioniin Europa, gli uragani in America e lo tsunami – siè verificata una rapida presa di coscienza sul fattoche l’uomo non può far astrazione delle leggi del-la natura.Anche se, come esperto di ecologia po-trei essere frustrato,continuo a essere ottimista.Or-mai disponiamo delle informazioni necessarie e,cosa che non tutti hanno capito: le azioni che pro-poniamo in un’ottica di politica ambientale si ri-percuotono in modo positivo anche sull’economia,creando posti di lavoro o nuovi mercati. Il movi-mento ecologista è stato troppo a lungo restio adaffrontare le questioni economiche.Dobbiamo ri-uscire ad attuare la politica ambientale a livello ma-croeconomico.Così facendo aumenteremo le pos-sibilità di condurre azioni ad ampio raggio.

Di che azioni si tratta?Le possibilità sono infinite: imposte ambientali, tas-se di riciclaggio anticipate già comprese nel prez-zo del prodotto oppure certificati di sostenibilità,come per esempio quello del Forest StewardshipCouncil (v.pag.15).Tutti questi sono esempi di stru-menti che consentono sia ai produttori che ai con-sumatori di contribuire attivamente ad assicurarela sostenibilità.Vent’anni fa, le prime ipotesi scien-tifiche sul clima venivano ancora derise. Oggi ab-biamo un mercato del tutto nuovo per il com-mercio dei cosiddetti «certificati d’emissioni» perla riduzione del CO2 (v. pag. 15). Il mondo è ingrado di reagire. Deve solo essere convinto che lasituazione sia veramente urgente. E poi arrivere-mo sempre più in fretta al punto in cui questa ur-genza definirà anche le misure da attuare,visto chenon potremmo più permetterci le conseguenze deldegrado ambientale.

In che misura è interessata la gente nei pae-si poveri?In futuro abbandoneremo quest’ottica nord-sud,perché le conseguenze del degrado ambientale mi-nacciano noi tutti.Perciò dobbiamo rassegnarci al-l’idea che i paesi del Nord hanno una responsabi-lità storica e il dovere di contribuire:gran parte deldegrado ambientale globale non è stato causato daipaesi in via di sviluppo. Per avanzare dobbiamoperò dotarci di un’agenda comune. Importante –

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AcquaDa ormai 100 anni il con-sumo d’acqua aumentadel doppio rispetto allacrescita della popolazionemondiale. Oggi, 1,1 miliardidi persone non hanno ac-cesso all’acqua potabile.Ogni anno muoiono circa1,7 milioni di persone acausa dell’acqua inquinatae della mancanza di im-pianti sanitari. Nei paesi invia di sviluppo l’80 percento delle malattie sonoriconducibili a questi ultimidue fattori. Il 70 per centodel consumo globale di ac-qua è imputabile all’agri-coltura, la metà è usata inmodo scriteriato ed è in-quinata da pesticidi e ferti-lizzanti. La quantità dell’ac-qua ritenuta nei baciniartificiali è quadruplicatadal 1960: oggi essi ne ri-tengono da tre a sei voltetanta quanta ne scorre neifiumi naturali – e circa il 30per cento di essa evapora.L’eccessivo sfruttamentodelle riserve idriche causauna crescente carenzad’acqua, in particolarenelle aree aride in Africa ein Asia. L’Egitto, per esem-pio, consuma oltre cinquevolte tanta acqua fresca,di quanta se ne rigenera.Acqua e impianti sanitarigiocano un ruolo impor-tante nell’ambito degliObiettivi di Sviluppo delMillennio (OSM). I progressiraggiunti in questi duecampi sono illustrati in unrapporto dell’Organizza-zione mondiale della sanità.Il rapporto è pubblicato sulsito:www.who.int/water_sanita-tion_health/monitoring/jmp2006/en/index.html

soprattutto nei paesi in via di sviluppo – è che, difronte a decisioni concernenti le infrastrutture,non si scelga la variante a minor costo, bensì la so-luzione più sostenibile.A questo proposito mi ap-pello alla comunità internazionale, ricordandoleche la gente del Sud ha bisogno della nostra soli-darietà e del nostro sostegno ogniqualvolta si trat-ta di favorire lo sviluppo sostenibile. ■

(Tradotto dal tedesco)

Senegal 2004

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(gn) La Costa Rica è uno dei pionieri in materiadi sviluppo sostenibile e protezione degli ecosiste-mi.Nel 1996,quando il sostegno internazionale perla conservazione delle sue preziose foreste era pra-ticamente esaurito, il paese ha introdotto a livellonazionale un sistema di pagamenti di compensa-zione ecologica.Per ogni ettaro boschivo posto sot-to tutela, il proprietario percepisce ogni anno unacerta somma.Il tutto è finanziato tramite tasse per l’utilizzo del-l’acqua, proventi dell’ecoturismo o pagamenti diuniversità e ditte che si avvalgono della biodiver-sità delle foreste costaricane per i propri scopi. Lerisorse e le prestazioni ecologiche – tale è l’ideaportante di questo modello – hanno un valore, e

chi se ne avvale deve pagare, mentre chi le mettea disposizione deve poterne profittare.

L’ambiente come fattore economicoApprocci analoghi sono oggi sperimentati nel-l’ambito di numerosi programmi di cooperazioneallo sviluppo. Nel quadro di un progetto pilotatriennale, la DSC sostiene per esempio in Pakistanuna riforma fiscale di cui dovrebbero beneficiaresia i poveri che l’ambiente: di regola, le conse-guenze negative del disboscamento o dell’inqui-namento ambientale non colpiscono in primis chili ha causati, bensì i contadini poveri in loco.Con delle tasse mirate su benzina, elettricità esmaltimento dei rifiuti, nonché con le licenze per

Il denaro fa girare il mondo. Infatti, solo quando la protezionedell’ambiente sarà finanziariamente pagante si potrà sperarein un comportamento maggiormente eco-sostenibile. Il ven-taglio degli strumenti atti a rendere l’ecologia idonea al mer-cato è molto ampio.

L’ecologia come fattore di mercato

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L’impronta ecologicaL’impronta ecologica servea misurare le «orme», il segno che una persona o una società lasciano sul pianeta a causa del lorocomportamento. Il metodoscientifico, elaborato allafine degli anni 1990 dall’e-cologo svizzero MathisWackernagel insieme aWilliam Rees, si proponecome unità di misura. Ciòconsente di effettuare pre-cisi confronti che possonosuscitare non poco di-sagio: essi palesano lamancanza di senso di re-sponsabilità di taluni paesiper il benessere globale eillustrano la necessità dipredisporre delle misure.

L’umanità vive fintroppo alla grandeLo dimostrano i calcoli delGlobal Footprint Network,che si basano sulle statisti-che ufficiali dell’ONU, non-ché su migliaia di insiemi di dati provenienti da circa150 paesi. Secondo questicalcoli, l’umanità sta attual-mente sfruttando a rapinala biosfera del pianeta: glieccessi si attestano sul 23per cento e avvengono aspese delle risorse naturalidelle generazioni future. Homepage del GlobalFootprint Network:www.footprintnetwork.org/

Per uno svizzero occor-rono 2,6 TerreL’impronta ecologica diuno svizzero medio è tantogrande che, se tutti gli indi-vidui al mondo dovesseroconsumare altrettante ri-sorse, si renderebbero ne-cessarie 2,6 Terre. Se in-vece si prende comeparametro l’attuale livello di vita in Cina, la Terra sa-rebbe sufficiente per ospi-tare tutti gli esseri umani.L’obiettivo del GlobalFootprint Network è di rea-lizzare, con l’aiuto di stan-dard validi a livello mon-diale, degli studi compa-rativi che consentano aivari partecipanti di cono-scere l’impatto ecologicodel loro comportamentoper poterlo, nel caso, otti-mizzare. Chi vuol calcolare la pro-pria impronta ecologicaveda: www.footprint.ch

il taglio del legname si vuole ora presentare il con-to a chi grava maggiormente sugli ecosistemi. Nelcontempo, con questi introiti, le amministrazioniregionali generano risorse finanziarie che possonoimpiegare in favore dei meno abbienti, per pro-teggere l’ambiente e creare una futura economiache dia lavoro e reddito anche con minori risorse.Con l’attribuzione di un valore economico si apro-no nuove prospettive nella gestione della «merce

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Si è così creato un mercato assolutamente nuovo:oggi i diritti di emissione sono negoziati in borsa.Di attualità sono anche le cosiddette prestazioni di compensazione volontarie: la ditta zurighese«Myclimate» propaga, per esempio, dei «bigliettid’aereo neutri dal profilo climatico»: un sovrap-prezzo di 55 franchi ci libera dalla coscienza spor-ca che ci procurerebbe il volo per le Maldive.Il sov-rapprezzo del biglietto viene investito in progetti

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ecologia»: il ventaglio spazia dal commercio in di-ritti d’emissione all’imposizione di tasse ecologi-che o ai marchi ecologici.Tutti questi approcci mi-rano a incentivare la protezione dell’ambiente e lagestione delle risorse ecologiche attraverso il prez-zo. La premessa è che sussista un consenso sulmodo di valutare le diverse risorse in questione.

Vantaggi economici grazie ai marchi eco-logiciIn vari settori,come per esempio nel caso delle tas-se di riciclaggio anticipate sugli apparecchi elet-tronici o in quello della tassa sul traffico pesante,sussistono già buone soluzioni. Anche il lancio –avvenuto finora principalmente in Europa – dimarchi ecologici ha prodotto storie di successo:oggi, per esempio, oltre 25 miliardi di ettari di bo-sco vengono gestiti nel mondo in modo ecologi-co e socialmente sostenibile secondo le regole delForest Stewardship Council (FSC). I proprietari deiboschi hanno interesse a una certificazione FSCperché, grazie a una crescente domanda di legna-me ecologico, questo marchio procura loro van-taggi economici.Con il protocollo di Kyoto per la riduzione dei gasa effetto serra si è raggiunto un ulteriore grandetraguardo in termini di «commercializzazione del-l’ambiente». Il protocollo di Kyoto impegna infat-ti gli Stati firmatari a congelare le loro emissionidi anidride carbonica (CO2) al livello del 1990.Chiemette troppa anidride carbonica è chiamato allacassa, allo scopo di compensare il proprio maggiorconsumo energetico, e deve o acquistare dei cosid-detti «certificati di emissione» oppure sostenere pro-getti mirati alla riduzione del CO2 in altri paesi.

di protezione climatica, come per esempio la co-struzione di serre solari sull’Himalaya o la promo-zione dell’energia idrica in Indonesia. Secondo laditta zurighese, in tal modo, compenseremmo i1469 chili di CO2 che il nostro viaggio alle Mal-dive rilascia nell’atmosfera.

Moderne indulgenze? In questo modo si incentivano indubbiamenteprogetti meritevoli dal profilo ecologico, ma è piùche lecito dubitare che simili compensazioni con-tribuiscano effettivamente a ridurre a lungo ter-mine i gas serra nell’atmosfera. Le organizzazioniambientaliste, quali Greenpeace, ne parlano comedi un moderno commercio di indulgenze.«Gli sforzi promossi per includere le risorse natu-rali nel ciclo economico sono sensati a breve ter-mine perché rappresentano importanti incentiviper cambiare il comportamento», afferma MartinSommer.A lungo termine occorre tuttavia fare dipiù che non solo creare nuovi mercati. «Dobbia-mo cambiare mentalità e assicurare a livello stata-le l’accesso alle limitate risorse non solo a chi di-spone di un sufficiente potere d’acquisto nel libe-ro mercato, ma a tutti. Ciò ci costringe a trovare, alungo termine, nuovi modi di migliorare le con-dizioni di vita dei poveri, senza ricorrere tuttaviaad una crescita economica fondata sull’utilizzo in-tensivo di energia e risorse». ■

(Tradotto dal tedesco)

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Dall’indipendenza, il Sudan ha conosciuto un susseguirsi diguerre che hanno paralizzato il suo sviluppo. La scoperta di gia-cimenti petroliferi ha prodotto un afflusso di capitali, ma la po-polazione è sempre rimasta povera. Il paese emerge lentamentedall’isolamento internazionale causato dal suo sostegno al fon-damentalismo islamico. Di Alain Navarro*.

Dinanzi al punto dove, a Khartoum, il Nilo blu sisposa con il Nilo bianco, un enorme complesso dicalcestruzzo,vetro e acciaio vedrà presto la luce.Hagià un nome:cittadella di Al-Mogran.Hotel di lus-so, gallerie commerciali, campi da golf e ville conpiscina prenderanno il posto di vaste discariche.Quattro miliardi di dollari sono investiti in questoprogetto,che vuole fare concorrenza a Dubai,mo-dello di modernità e di lusso bollato «petrodolla-ri». Lungo le grandi arterie della capitale sudanesee sugli argini dei due Nili, le pubblicità per telefo-ni mobili hanno soppiantato i cartelli che elogia-

no la «rivoluzione della salvezza» garantita dall’is-lam.La tecnologia WiFi ha anche fatto la sua com-parsa negli internet cafè di moda nei quartieri diKhartoum II ed Amarat, frequentati dai giovani su-danesi più ricchi e dai cooperatori internazionali.Siamo lontani dai sobborghi impolverati che for-mano una cintura di miseria attorno alla città,dovesi accumulano i senzatetto e i profughi delle guer-re civili.Gli uni guidano fuoristrada 4x4 da 40 miladollari; gli altri si stipano in minibus da 40 cente-simi di dollaro il biglietto, chiamati comunemen-te amgat (vittoriosi, in arabo).

Nonostante i petrodollari resta poco spazio per i sogni

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il sud africano, animista o cristiano.Leggere l’attuale conflitto del Darfur soltanto sot-to l’aspetto razziale di uno scontro tra arabi e nerimusulmani sarebbe troppo semplicistico e non ter-rebbe conto dei molteplici intrecci. Ma è innega-bile che attraverso i regimi susseguitisi nel tempo,derivati soprattutto da colpi di Stato militari, i di-rigenti nordisti hanno tentato di imporre con learmi la loro sovranità sul resto del paese. In Sudanrisiedono quasi 600 gruppi etnici parlanti 177 lin-gue o dialetti, fra cui l’arabo e l’inglese.

Al bando della comunità internazionale Mancando i dati di un vero e proprio censimen-to, la popolazione è stimata a circa 30 milioni diabitanti, di cui il 60 per cento musulmani, il 25 percento animisti e il 10 per cento cristiani.Alla lucedi un simile mosaico, con tutto il peso della storia,le pesanti protezioni dell’Egitto o della Gran Bre-tagna, la tratta dei neri di cui furono vittime le po-polazioni africane del sud,viene da chiedersi comefare del Sudan una nazione unita? Attribuirne il fallimento all’eredità coloniale èsempre stata una buona scusa addotta dal potere diKhartoum. Quando il regime di Gaafar El-Ni-meiry si impegna, nel 1983, in una politica di isla-mizzazione forzata ed impone la sharia in tutto ilpaese, la guerra contro il sud è rilanciata su ampiascala.

Un assaggio di modernità e la persistenza di un’im-mensa povertà.A Khartoum, la vita potrebbe sem-brare un lungo fiume tranquillo. Capitali arabi af-fluiscono dal Golfo. I cinesi sono tanto discretiquanto onnipresenti, soprattutto nel settore strate-gico del petrolio;sono,si dice, i più importanti ven-ditori di armi.«Fare affari in Sudan è stimolante, il paese abbon-da di petrolio e dispone di un immenso potenzia-le. Ma affinché le cose cambino davvero, la gentedeve poter sognare», fa notare Nadim Ghantous,direttore generale della banca libanese Byblos.

Mezzo secolo di guerre Ma il conflitto del Darfur, all’ovest, pare non volermai finire. Stremato, il sud stenta a sollevarsi da 21anni di guerra civile.All’est vi sono ancora spora-dici combattimenti. I morti si contano a centinaiadi migliaia, gli sfollati e i profughi a milioni.Il Sudan, il più vasto paese africano e uno dei piùpoveri del pianeta,è ancora preda di sanguinose la-cerazioni e di tragedie umanitarie.In un simile con-testo, il sogno dipende da una sola parola: la pace.Il mezzo secolo trascorso dall’indipendenza del1956, che segnò la fine della presenza britannica, èsoltanto una cronaca di guerre susseguitesi l’una all’altra.Sarebbe tuttavia erroneo ridurre il conflittoprincipale della nazione sudanese ad un inestrica-bile antagonismo tra il nord arabo musulmano ed

Sudan

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paese esporta 500 mila barili al giorno. La Cina,molto utile al Sudan con il suo veto anti-sanzionipresso il Consiglio di sicurezza, ne trae il 10 percento delle sue importazioni di greggio.Cosa dire dell’agricoltura? Il paese, attraversato dasud a nord dal Nilo,possiede uno dei maggiori po-tenziali dell’Africa:84 milioni di ettari di terre col-tivabili, ai quali si aggiungono 80 milioni di ettaridi pascoli. Gezirah, a sud di Khartoum, tra il Nilobianco e il Nilo blu, è la più vasta zona irrigata almondo.Il sottosuolo cela giacimenti di oro, argento, ura-nio e zinco. Eppure il Sudan è molto povero, conun reddito medio inferiore a 2 dollari pro capiteal giorno. È in questo paese che il Programma ali-mentare mondiale realizza la più importante ope-razione attuata a livello mondiale.Quando il pittore Rachid Diab ritorna nel suo pae-se, nel 2000, dopo 20 anni trascorsi a Madrid, lasemplice parola «arte» è tabù.Non vi sono più cor-si di arti plastiche, i musei sono all’abbandono.De-cide allora di allestire, su un terreno incolto diKhartoum,un centro culturale di 3200 m2. I bam-bini vi apprendono a disegnare, artisti vi risiedonoo espongono le loro opere. «La gente del potere sache non sono dei loro, ma mi lasciano sognare». ■

(Tradotto dal francese)

* Alain Navarro è direttore dell’Agenzia France Presse(AFP) per l’Egitto e il Sudan

Il colpo di Stato del generale Omar El-Béchir,spal-leggiato dal capo islamista Hassan El-Turabi, af-fonda ancor più il paese nella tormenta. «Anchequesto nuovo gruppo trae origine da tre tribù delnord e della valle del Nilo, le stesse che monopo-lizzano il potere dall’indipendenza», osserva il ri-cercatore François Ireton. È nel nome del djihad,la guerra santa,che si combatte.Tra il 1991 e il 1996il paese ospita Osama Bin Laden e la sua guardiapretoriana, da cui nasceranno le prime cellule diAl-Qaida.L’isolamento internazionale del Sudan diventacompleto.Tanto più che nel 1993 gli Stati Uniti loinseriscono nella lista degli Stati ritenuti «terrori-sti». Il regime si rende conto di aver oltrepassato illimite. Il generale Béchir è pronto a fare conces-sioni e invita Bin Laden a lasciare il paese, conse-gna il terrorista Carlos ai francesi ed arriva addi-rittura a far fare alcuni soggiorni in prigione al suovecchio mentore islamista El-Turabi.

Rivolta repressa nel sangue La pace con il sud arriva finalmente nel 2005. Maaltre atrocità si amplificano all’ovest,nel Darfur,unaregione grande come la Francia,per il 100 per cen-to musulmana.Anche questo conflitto sorge da unarivolta contro il potere centrale, per una miglioredivisione delle ricchezze.Le milizie pro governative arabe, le djandjawid,si adoperano per soffocarla: secondo le stime, treanni e mezzo di combattimenti e di crisi umani-taria avrebbero causato tra i 180 mila ed i 300 mila morti e 2,4 milioni di sfollati – senza contare glistupri e i saccheggi.Nel mese di maggio è stato concluso un accordodi pace, ma soltanto una minoranza di ribelli lo hafirmato. E il presidente Béchir rifiuta che i Caschiblu delle Nazioni Unite sostituiscano un contin-gente impotente dell’Unione africana. «Siamo de-terminati a sconfiggere qualsiasi forza straniera cheentrerà nel paese, come l’hezbollah ha sconfitto letruppe israeliane»,ha perfino proferito il presiden-te-generale Omar El-Béchir.

Potenziale agricolo e giacimenti petroliferiMolto ricco, il Sudan dispone di riserve sicure chesuperano il mezzo miliardo di barili di petrolio. Il

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2006

L’oggetto della vitaquotidiana La alluhahNon vi è piccolo sudaneseche, fin dall’età di cinqueanni, non possegga la suaalluhah, l’assicella di legnocon cui da secoli in questopaese si apprende a leg-gere l’alfabeto e a recitare il Corano. Utilizzata a mo’ dilavagna, viene intagliataquindi levigata in un pezzodi legno chiaro. Prima discrivervi, la sua superficieviene ricoperta con unostrato di argilla umida.Dotate di un’impugnaturache permette di mantenereinclinata la alluhah, le tavolehanno un’altezza variabile,ma tutte si allargano versola base. L’apprendimentoavviene in una piccola salaattigua alla moschea, ilkhalwa, o all’ombra di unalbero. Attorno al taleb (l’in-segnante), i bambini fissanola alluhah sulle loro ginoc-chia. Il dettato è tratto dalCorano. Se l’allievo hascritto e letto bene, può lavare la sua tavola. Taluniaffermano che la risciac-quatura d’acqua, argilla einchiostro debba essere be-vuta – «per aprire la mentealla conoscenza».

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(bf) È dal 1994 che l’Aiuto umanitario e il CSAsostengono istituzioni dell’Onu e ONG nel Sudanmeridionale e nella regione dei monti Nuba. Nel2003, il supporto è stato esteso alla provincia delDarfur. Oltre all’aiuto d’urgenza per gli sfollati interni, esso contempla un sostegno umanitario dilungo periodo teso a rafforzare i meccanismi diauto-approvvigionamento ed è coordinato daKhartoum (per il Sudan settentrionale) nonché, apartire da settembre 2006, dall’ufficio di coope-razione di Juba (per il Sudan meridionale). Nel2006, l’impegno svizzero ammonta a 34 milioni difranchi, dei quali 16 milioni nell’ambito dell’Aiu-to umanitario e 17 milioni per la promozione del-la pace (in particolare, il contributo per le truppedi pace dell’Onu UNMIS). L’Aiuto umanitario èattivo nei seguenti settori:Sudan meridionale e monti Nuba: circa il 30per cento dei pozzi d’acqua non funzionano.In col-laborazione con l’UNICEF, la DSC è impegnata amantenere efficienza e continuità nell’approvvi-gionamento dell’acqua. Parallelamente, si sosten-gono progetti sanitari e di sminamento.Darfur: priorità assoluta all’aiuto alimentare d’ur-genza e alla protezione degli sfollati (tramite CICR).

Ciad: le persone rifugiate nel vicino Ciad ricevo-no aiuto alimentare e sostegno tramite progetti inambito ambientale, della desertificazione e dell’ac-qua.Khartoum: 2 milioni di sfollati provenienti dal Sudan meridionale vivono in campi e baraccopoli.L’aiuto mira a fornire l’accesso ai servizi sanitari dibase.

Dal 1994 la Svizzera sostiene i diversi processi dipace.A gennaio del 2002, sul Bürgenstock (Nid-valdo), sono stati firmati gli accordi per l’armistizioriguardanti la regione dei monti Nuba, fra il go-verno sudanese ed il Movimento di liberazione delpopolo del Sudan dei monti Nuba (SPLM/Nuba).Ciò ha spianato la strada a ulteriori trattative.La Di-visione Politica IV del DFAE sostiene, nel Sudanmeridionale, il progetto «House of Nationalities»,che opera a livello istituzionale nell’ambito delle po-litiche di pace,così come il progetto «Gurtong» chemira a porre in contatto la diaspora del Sudan me-ridionale, dispersa nel mondo, ed a mettere a di-sposizione informazioni affidabili ed indipendenti.

Cifre e fatti

Nome Sudan («il paese dei neri»)

CapitaleKhartoum (3 milioni di abitanti)

Popolazione 32 milioni di abitanti, 13 abitanti per km2

Lingue 177 lingue o dialetti, fra cuil’arabo (lingua ufficiale), l’inglese e, nel sud, il dinka,il nuer e il shilluk.

Valuta Dinaro sudanese

Superficie2,6 milioni di km2. Il Sudan èil più grande Stato del conti-nente africano, di cui oc-cupa l’8 per cento della su-perficie.

Vegetazione Deserto a nord, nord-est edovest; savana, paludi e fore-sta tropicale al sud; steppaal centro; idrocolture nellavallata del Nilo.

Gruppi etnici 597 gruppi etnici, in preva-lenza popolazioni di originearaba al nord, e il 90 percento di africani neri al sude all’ovest.

Religioni Musulmani: 60 per cento Animisti: 25 per centoCristiani: 10 per cento

Prodotti d’esportazione Petrolio: riserve stimate a900 milioni di barili (600 mi-lioni accertati); 500 mila ba-rili esportati ogni giorno. Cotone, gomma arabica,arachidi.

La Svizzera e il Sudan Priorità all’aiuto d’urgenza per gli sfollati interni

Sudan

Cenni storici

1820-21 L’Egitto conquista e annette il nord delSudan, mentre il sud rimane preda dei trafficantidi schiavi.

1877 Gli inglesi nominano Charles Gordon go-vernatore generale del Sudan.

1885 Una rivolta lanciata da un capo religioso,Mahdi, sconfigge l’esercito britannico e culminacon la presa di Khartoum.

1899 Il Sudan diviene un condominio anglo-egi-ziano, ma sotto il controllo britannico.

1955 Inizio di una rivolta nel sud tesa ad ottenereun sistema federale.

1956 Proclamazione d’indipendenza.

1969 Colpo di Stato militare di Gaafar El-Nimeiry.

1972 Un accordo di pace tra il potere centrale e iribelli del sud garantisce al sud una sorta di auto-nomia.

1983 Il generale Nimeiry instaura la legge islami-ca (sharia) e sopprime l’autonomia del sud.Ripre-sa del conflitto nel sud, dove un nuovo leader –John Garang – fonda l’APLS.

1985 Nimeiry viene rovesciato. Ritorno alla de-mocrazia e congelamento della sharia.

1989 Colpo di Stato militare di Omar El-Béchirappoggiato dal capo islamista Hassan El-Turabi.Dissoluzione dei partiti, ristabilimento della sharia

nel nord, guerra ad oltranza nel sud.

1991-96 Bin Laden risiede in Sudan.

1993 Washington inscrive il Sudan nella lista deipaesi accusati di sostenere il terrorismo interna-zionale.

1998 Nuova costituzione, ritorno al pluralismo.Raid americano su un’industria farmaceutica diKhartoum,sospettata di essere una fabbrica di armichimiche, tesi smentita dal governo.

2001 Hassan El-Turabi viene arrestato dopo averstipulato un «memorandum d’intesa» con l’APLS.Liberato nel 2003, verrà nuovamente incarcerato(marzo 2004 - giugno 2005) dopo l’annuncio diun tentativo di colpo di Stato.

2003 Una rivolta scoppia nel Darfur (ovest).

2005 Un accordo di pace tra Khartoum ed i ribellisudisti mette fine a 21 anni di guerra civile. Oltrealla divisione del potere e delle ricchezze, l’accor-do prevede un periodo di autonomia di sei anni altermine del quale il sud sceglierà, tramite referen-dum, l’unità con il Sudan o l’indipendenza.

2006 Il governo e una parte dei ribelli sottoscri-vono un accordo di pace sul Darfur.Vi sono an-cora combattimenti. Khartoum rifiuta il dispiega-mento di una forza di pace delle Nazioni Unite.

Repubblica demo-cratica del Congo

Etiopia

KenyaUganda

Eritrea

Ciad

Libia

MarRosso

Egitto

Khartoum

RepubblicaCentrafricana

Sudan

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Eiman Kheir, 25 anni,vive a Khartoum. Si è lau-reata nel 2003 ottenendoun Bachelor in Elettronicae Scienze della Comuni-cazione negli Emirati ArabiUniti e ha successiva-mente lavorato in varie funzioni: promotrice di mostre, agente di vendita,dirigente di un call centerdi una banca ed infine, «il mio preferito», inse-gnante di lingua ingleseper un ente di formazionecon sede negli Emirati.Al momento lavora per laMissione delle NazioniUnite in Sudan (UNMIS)con l’incarico di Assistentedel Capo del personale.

Diversi eppure tutti uguali

Una voce dal Sudan

«Sabah al Kheir» – buongiorno in arabo – esclamaiad alta voce salendo sul bus per raggiungere il mioposto vicino al finestrino.Le solite conversazioni disottofondo cominciano a levarsi. E, come sempre,l’argomento principale è quello del tempo previstoper la giornata.Mentre quel brusio si attenua, mi chiedo se oggi,come nei giorni scorsi, farà altrettanto caldo.

L’intensità della calura, insieme alle piogge occasio-nali ed ai nostri Haboubs (tempeste di sabbia), checi accompagnano per tutto l’anno, sono i soli visi-tatori che riceviamo, come se tentassero di persua-derci, pur non riuscendo a convincere nessuno, chein Sudan oltre all’estate esistono altre stagioni.Una volta ho letto che il mattino è il momento piùpropizio per capire una nazione. Chiaramente ciòvale solo per certe nazioni e non per altre, ma misembra che vada a pennello per il Sudan.Sareste sor-presi dall’enorme numero di persone che, fin dalleprime luci dell’alba, sono in giro per guadagnarsi davivere o per andare a scuola,a seconda di ciò che ri-tengono più opportuno per il loro futuro.

La cosa che più mi affascina, di questa moltitudinedi persone, è la sua varietà. Ogni giorno faccio lastessa strada per andare a lavorare, e ogni giorno ri-mango ipnotizzata dalla varietà dei nostri linea-menti e del nostro colorito,che va dal bianco al cioc-colato scuro, una miscela tra sangue africano e ara-bo,in verità molto naturale.Ma purtroppo è proprioquesta varietà la causa della guerra civile che atta-naglia il nostro Paese da più di vent’anni, un con-flitto che non siamo ancora riusciti a sedare.

Nel 1983 la mia famiglia è emigrata negli EmiratiArabi Uniti (EAU).Là sono andata a scuola e ho fre-quentato l’università ottenendo un Bachelor. Suc-cessivamente ho lavorato per qualche anno primadi ritornare in Sudan, nel novembre del 2005, perricongiungermi alla mia famiglia che aveva lasciato

gli Emirati nel luglio del 2000. Ho ritrovato un Sudan fiorente e pieno di opportunità di lavoro.Mail dubbio di non essere capace di adattarmi alla miagente o di potermi riabituare ad una nazione cheavrebbe dovuto essere «casa mia», i primi tempi miterrorizzava.Sono passati nove mesi dal mio ritorno in Sudan esento ancora una grande nostalgia degli Emirati,dove spero di ritornare in futuro,magari solo per unavisita, perché è chiaro che resterò in Sudan.

Non so cosa abbia di speciale questo Paese, anchese non regge il paragone con gli altri luoghi che hogià visto, io ci sono molto attaccata.Non ha le con-dizioni meteorologiche migliori,non ha un bel pae-saggio e non possiede nemmeno delle buone stra-de, ma - a parte lo sbalorditivo spettacolo del pos-sente Nilo - sono l’amicizia, la gentilezza e lagenerosità delle persone che vi colpiscono istanta-neamente, per poi rimanere per sempre nel vostrocuore.Non importa dove andiate o chi incontriate in Su-dan,qui infatti,indipendentemente dall’età,dalla tri-bù o dal retroterra culturale, il fatto che più sor-prende è che noi sudanesi – al di là delle nostre dif-ferenze – in fondo siamo tutti uguali.

Il bus fa una curva, entrando su una strada sterrata;i miei pensieri si dissolvono mentre ritornano a sen-tirsi le voci dei passeggeri.Le loro conversazioni sononel frattempo giunte alle notizie politiche: oggi siparla del Libano.

Appena l’autobus si ferma, scendo, e il mio sguardos’innalza verso il cielo. Il sole scotta di più del nor-male per quest’ora.«Spero che piova»,dico alla guar-dia di sicurezza, mentre oltrepasso il cancello, sullavia che porta al lavoro. ■

(Tradotto dall’inglese)

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Per quanto riguarda interessi comuni, iniziative eapprocci per la ricerca di soluzioni, fra i paesi ami-ci o confinanti dell’emisfero Sud si è sensibilmen-te intensificato lo scambio.Vistosamente aumenta-to negli ultimi anni è pure il commercio fra i pae-si in via di sviluppo. Un terzo delle rimesseeffettuate grazie ai salari guadagnati all’estero vie-ne trasferito fra gli stessi paesi del Sud, benché i li-velli salariali siano decisamente inferiori a quelli deipaesi dell’OCSE.

Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo assi-stiamo all’entrata in scena di nuovi attori statali –i cosiddetti «emerging donors»: Cina, Corea delSud,Singapore,Malaysia,India,Russia,Turchia,Tai-landia, Sudafrica, Brasile. Nei «vecchi» paesi del-l’OCSE ci si interroga con crescente preoccupa-zione se questi nuovi attori si diano abbastanza dafare per contribuire a ridurre la povertà oppure seperseguano solo i loro propri interessi. Questapreoccupazione deriva dal desiderio di non ripe-tere gli errori del passato. Per non girare indietrola ruota della cooperazione bilaterale è necessarioun nuovo dialogo sulla forma e l’entità dei vinco-li dettati da interessi.Solo così nasceranno soluzionipropizie a tutti, in particolare a coloro che con ipropri sforzi vogliono liberarsi dalla povertà.

Fra i 192 paesi aderenti all’ONU,64 sono più pic-coli della Svizzera sia per superficie, sia per popo-lazione o per entrambe le cose. Molti di essi sonomembri del Gruppo 77+Cina che, nelle confe-renze internazionali, si presenta in modo semprepiù assertivo,denotando una crescente compattez-za politica.Tuttavia, molti dei «piccoli partner» diquesto gruppo hanno perso la capacità di artico-lare la difesa dei propri interessi: sono infatti in ba-lia degli interessi dei grandi (Cina, India, Brasile).Esistono anche altre iniziative o raggruppamenti,ma questi lottano per trovare ascolto e risorse che

consentirebbero loro di far valere il proprio pun-to di vista nei dibattiti e nelle conferenze. Hannobisogno di stabilire partenariati improntati allo spi-rito di «advocacy»,una forma che per i paesi comela Svizzera è spesso meno attrattiva dal profilo po-litico e diplomatico rispetto a sedere al tavolo deigrandi.A prima vista,questo atteggiamento è com-prensibile;ma è anche saggio? Sta di fatto che, a li-vello internazionale, gli «small players» non sonopresi abbastanza sul serio – il che non è una buo-na premessa per i partenariati.

E come si comporta la Svizzera? La Svizzera è unpiccolo grande paese (forza economica, piazza fi-nanziaria, ricerca, scienza, turismo). Per mantene-re il posto e l’influenza conquistati a livello inter-nazionale deve coltivare l’universalità e i buoni rap-porti con tutti i paesi.A questo scopo ha bisognoanche dei piccoli partner. Deve dunque impe-gnarsi maggiormente per la loro causa in un’otti-ca di «advocacy», investendo in partenariati e nonin «padrinati». Per la Svizzera, paese senza accessoal mare, quello di rimanere «land locked» (rin-chiusa) non è affatto un approccio promettente alpartenariato; essere «land linked» (collegata) è digran lunga preferibile.Questo cambiamento di ot-tica dovrà prodursi anzitutto nelle menti. In segui-to sarà più facile trovare idee innovative e partnerdagli interessi comuni! ■

(Tradotto dal tedesco)

Walter FustDirettore della DSC

Partenariati – e non «padrinati»!

Opinione DSC

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È una tiepida serata, in quel di Vientiane. Nel cie-lo della capitale del Laos tramonta il sole di un ros-so brillante sopra le acque del Mekong.Mentre sul-la riva sabbiosa i bambini giocano a palla e gli adul-ti passeggiano con lo sguardo diretto verso l’altrasponda,quella thailandese,si accendono le luci del-la sera sulla Fa Ngoum Road che costeggia la spon-da del Mekong: negozi e cibarie aspettano i clien-ti, e si spande un profumo che mette appetito, conil sentore di pesce e carne alla griglia,mentre la bir-ra è già in fresco.Chi si aggira per Vientiane e visita il mercato vici-no al fiume finisce per sentire il fascino di una se-rata quasi idilliaca come potrebbe essere in una pic-cola città thailandese o in luoghi altrettanto piace-voli dell’Asia sudorientale.Tuttavia, l’impressioneinganna: il 12 per cento degli abitanti della capita-le è povero. E se anche la percentuale non sembraelevata, grandi sono per contro le differenze re-gionali,quelle fra una città e l’altra,quelle fra le re-gioni di valle e di montagna. Nella provincia diHuaphan ad esempio,nella regione montana nord-

orientale, il 75 per cento della gente vive in po-vertà.

Migliaia di ordigni inesplosi nei terreniagricoli Le province ed i distretti che il governo locale e leorganizzazioni internazionali, come il Programmadi sviluppo dell’Onu (UNDP),definiscono «pove-ri» o «molto poveri» si trovano nel nord e nelle re-gioni orientali del paese, sul confine con il Viet-nam, lungo oltre 2 mila chilometri.Da queste par-ti alla povertà si aggiunge un altro dramma, quellodi ordigni non esplosi dei tempi della guerra delVietnam. Sul Laos, fra il 1964 ed il 1973, furonosganciate due milioni di tonnellate di bombe, piùdi quante ne furono usate in tutta la seconda guer-ra mondiale! Secondo annotazioni storico-milita-ri,gli americani effettuarono in quei nove anni 580mila bombardamenti sul territorio del Laos, allacaccia degli alleati laotiani dei Vietcong. Conside-rato che fino al 30 per cento delle bombe sgan-ciate non esplodevano all’impatto,si calcola che al-

Bombe nella risaia

La guerra del Vietnam è storia vecchia ormai. Le sue tracce sonoperò ancora di attualità. Anche in Laos, che si è visto piovereaddosso due milioni di tonnellate di bombe: ordigni inesplosi sicelano ovunque nel terreno e rendono la coltivazione del risoun’impresa pericolosissima. Di Joachim Ahrens*.

Migliorare il dialogo L’impegno della DSC inLaos costituisce una parteprevalente del Programmaregionale del Mekong. Perla sua gestione sul postoesiste, dal 1995, un ufficiodi cooperazione nella capi-tale vietnamita di Hanoi.Mentre il partenariato di svi-luppo con il Vietnam è con-solidato, la DSC ha ora di-slocato una parte delle suerisorse nel Laos. Nel mesedi luglio 2006 è stato, infatti,inaugurato un ufficio di collegamento a Vientiane, al fine di migliorare il dialogoriguardante le politiche disviluppo con il governo lao-tiano e con altri donatori.Nel 2006 il budget DSC peril Laos ammonta a 3 milionidi franchi. I programmi siconcentrano sulla lotta allapovertà, negli specifici am-biti della consulenza in agri-coltura, del miglioramentodella Governance e della ri-forma dell’amministrazionepubblica. Intanto, è il soste-gno fornito all’Istituto inter-nazionale per la ricerca sulriso (IRRI) ad essere positi-vamente evidenziato, consi-derato che la produzione diriso, e dunque la garanziaalimentare del paese, hapotuto essere incrementatain maniera notevole. LaDSC sta inoltre valutando di sostenere il Programma«Uxo Lao» anche con uncontributo bilaterale cheverrebbe ad aggiungersi alsostegno già erogato dalpartenariato con l’UNDP(vedi l’articolo principale).

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Laos: cifre e fattiIl Laos è una repubblicapopolare socialista. Il pas-saggio da un’economia diStato ad una orientata al libero mercato è ancora infase di realizzazione. Gli in-dici di sviluppo umano sta-biliti dall’UNDP pongono ilLaos, nella rilevazione2005, al 133° posto (il vi-cino Vietnam è invece108°) su un totale di 177paesi. L’aiuto internazionaleallo sviluppo ammonta inLaos al 16 per cento del bi-lancio pubblico, mentre inVietnam è solo del 2 percento. Il territorio internodel sudest asiatico sulMekong comprende unasuperficie di 237 mila chilo-metri quadrati, con circa 6milioni di abitanti, apparte-nenti ad una cinquantina dietnie differenti. Circa l’80per cento degli abitanti la-vora in agricoltura e pro-duce con il suo lavoro piùdel 50 per cento del pro-dotto interno lordo lao-tiano. Il reddito annualemedio pro capite ammontaa 390 dollari. Nelle zone ur-bane, il tasso di povertàammonta al 29 per centodella popolazione, mentrenelle regioni rurali sfiora il41 per cento.

ti brillare in sicurezza con cariche di TNT russo.Là dove i visitatori occidentali seguono, in fila in-diana, gli esperti artificieri lungo sentieri chiara-mente contrassegnati, i contadini mettono da annia dimora le loro piantine di riso. «Intentional risktaking»,confrontarsi consapevolmente con i rischi,come dice John Dingley, consulente tecnico in-glese, nel definire il comportamento dei contadi-ni laotiani. «In questo paese sono sempre i più po-veri ad essere esposti ai maggiori rischi», affermaDingley. È non è soltanto nelle risaie che succe-dono incidenti; ce ne sono anche, con morti e fe-riti, nelle zone a bassa vegetazione,dove incompe-tenti – e fra costoro molti ragazzini – vanno allaricerca di rottami metallici usando vecchi «detec-tor»:gli involucri delle bombe sono usati come so-prammobili, ed anche come semplici rottami frut-tano 17 dollari al quintale. L’agricoltore Van Pent,38 anni, ha moglie e tre figli.Alla sua famiglia ap-partengono due ettari di terreno che il team Uxoha appena provveduto a bonificare. «Fino ad oggi,abbiamo convissuto con la paura, ma malgrado ilpericolo abbiamo lavorato il campo, perché il risoci serve - dice Van Pent che guarda al futuro conottimismo - quando tutte le bombies saranno sta-te allontanate, sarà un gran giorno,ed avremo mo-tivo per festeggiare, insieme al team che ci ha aiu-tato». ■

Joachim Ahrens è portavoce della DSC per la coopera-zione allo sviluppo bilaterale e multilaterale. Si è recatoin Laos nell’ambito di una missione ufficiale della DSC.

(Tradotto dal tedesco)

meno un quarto di tutti i villaggi laotiani lamen-tino la presenza di ordigni inesplosi. Un enormeproblema, per un paese agricolo come il Laos, chesi vede così di molto ridotta la capacità produttivadei terreni. La grande bonifica iniziò nel 1996. Fi-nanziato da un gruppo di paesi donatori e orga-nizzazioni umanitarie, fra le quali l’UNDP,una del-le organizzazioni partner più importanti della DSC,prese le mosse l’«Uxo Lao» (Laos National Unex-ploded Ordnance Programme), il programma na-zionale laotiano per lo smaltimento di ordigni nonesplosi.Con un budget annuo di circa 4 milioni didollari, Uxo opera nelle nove province maggior-mente colpite. Uxo svolge inoltre un importantecompito informativo presso la popolazione, comeafferma Kingphet Phimmavong, coordinatore diUxo per la provincia Xieng Khouang.Questa pro-vincia, segnata da un tasso di povertà notevole, èanche fra quelle maggiormente toccate dal pro-blema.Nel centro «Uxo Lao» del capoluogo di pro-vincia Phonsavanh il coordinatore Kingphet mo-stra ai visitatori una carta topografica e spiega: «Lamassima priorità è data allo smaltimento degli or-digni nei terreni agricoli. Altrimenti come po-trebbe vivere la gente senza coltivare i campi?»

Si coltiva il riso, nonostante il rischio diesplosioniQuanto sia grave il pericolo lo si capisce nel vil-laggio di Ban Ven, dove ci si imbatte in una deci-na di ettari di risaie terrazzate, asciutte, dove dapoco c’è stato il raccolto.Ciononostante,per la de-cina di persone del locale team Uxo non manca illavoro. Con diversi metal-detector cercano gli or-digni inesplosi.Gli apparecchi lanciano un inquie-tante ticchettio quando scoprono oggetti metalli-ci: si trovano soprattutto «bombies», come le chia-mano i laotiani, ordigni grandi come palle datennis, contenuti da bombe vettrici e che all’im-patto si disseminavano. Oggi, questi ordigni ven-gono localizzati, ricoperti da sacchi di sabbia e fat-

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(mr) «Ho dovuto guardare le persone morire in-castrate tra le macerie senza poterli aiutare», rac-conta Sevil Kutan. La ragazza è una delle supersti-ti del grave terremoto che nel 1999 causò più di20 mila vittime nella città di Izmit sul Mar di Mar-mara. Oggi, la trentenne fa parte degli oltre 2500volontari e volontarie del servizio di soccorso«Mahalle Afet Gönüllüleri (MAG)» creato con ilsostegno della DSC.«Se si dovesse ripetere una talecatastrofe, ora sarei pronta a soccorrere le vittime»,ci spiega la giovane volontaria.Le prime 72 ore dopo un terremoto sono deter-minanti per il soccorso delle vittime. Non a casosono spesso i vicini di casa sopravvissuti a occu-parsi per primi di loro. «Sappiamo per esperienzache il 90 per cento delle vittime è tratto in salvodai famigliari e dai vicini di casa ancor prima del-l’arrivo delle squadre di soccorso», spiega BarbaraDätwyler, capo della sezione Medio Oriente eAfrica del Nord del settore Aiuto umanitario del-la DSC.In una zona ad alto rischio sismico, qual è la Tur-chia, nuove catastrofi non possono essere escluse.

Per questo motivo,a partire dal 1999 dopo aver pre-stato aiuti urgenti e aver partecipato alla fase di ri-costruzione, l’Aiuto umanitario della DSC in Tur-chia si è concentrato sulla prevenzione e la gestio-ne di catastrofi naturali.In ben 50 quartieri cittadinidelle province di Kocaeli,Istanbul e Yalova sono sta-ti istruiti e attrezzati 2500 volontari,divisi in grup-pi di soccorso di quartiere.«Abbiamo constatato che le soccorritrici e i soc-corritori volontari sono molto motivati e questa èuna premessa importante per la riuscita dei soc-corsi.Alcuni volontari e alcune volontarie hannogià affiancato le truppe di soccorso ufficiali in oc-casione di alcuni grandi incendi e nel caso dell’e-splosione di una cisterna di gas in una raffineria»,spiega ancora Barbara Dätwyler. Il progetto ri-scuote grande attenzione in Turchia e dovrebbe es-sere prossimamente implementato anche in Iran. ■

(Tradotto dal tedesco)

Formazione e attrezza-tureLe soccorritrici e i soccorri-tori volontari che compon-gono i vari gruppi di soc-corso sono reclutati neiquartieri in cui vivono e neiquali intendo restare anchein futuro. I responsabili delprogetto «NeighbourhoodDisaster Support Project»hanno puntato dall’iniziosulla partecipazione disoccorritrici donne. Infatti,si sa per esperienza che ledonne tendono ad abban-donare meno il progetto econferiscono al gruppouna certa coesione. I mo-duli di formazione, tra iquali il recupero delle vit-time e l’assistenza sanita-ria, sono generalmente fre-quentati dai volontari informa di corsi serali e pre-vedono accanto alla teoriaanche esercitazioni e testpratici. Le volontarie e i volontari ricevono inoltreun’attrezzatura personaleche viene conservata in-sieme all’attrezzatura delteam (martello pneuma-tico, generatore, pale,corde ecc.) in un containerin un luogo sicuro nelquartiere. Il progetto dellaDSC è sostenuto in locoda protezione civile, gover-natorati, Mezzaluna rossae dall’autorità di quartiere.

Soccorrere i propri vicini e parentiQuando gravi catastrofi sismiche colpiscono centri urbani, lesquadre di soccorso a volte impiegano giorni prima di riuscire afarsi strada tra le macerie e raggiungere le vittime. Così è statoper esempio nel 1999 nel nord-ovest della Turchia. Di seguito, conil sostegno dell’Aiuto umanitario della DSC, in alcuni quartierisono stati formati e attrezzati dei gruppi volontari di soccorso.

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Seminario di coordinatori aThun ( juj) Sul modello degli amba-sciatori che si riuniscono inSvizzera una volta all’anno, lecoordinatrici ed i coordinatoridella DSC si ritrovano ogni dueanni nel quadro di un seminario.L’incontro di quest’anno si è te-nuto a Thun, dal 13 al 18 agosto,ed ha riunito una sessantina dicapi degli uffici della coopera-zione che hanno dibattuto su«L’efficacia degli strumenti dellaDSC». Relazioni di ospiti, pre-sentazioni di esperienze vissutesul campo, seminari: le discus-sioni sono state dense, vive.Come migliorare l’efficacia dellacooperazione allo sviluppo edelle strategie che attua nei paesipartner? Una domanda di ampiaportata alla quale sono state for-nite numerose risposte – a ri-prova che non esiste una ricettamiracolosa applicabile universal-mente. Un punto invece ha fatto

l’unanimità: la necessità di ri-unirsi regolarmente per scam-biare le proprie esperienze e raf-forzare i legami con la centrale.

Politica di collaborazionecon le ONG (sia) La DSC ha stabilito unapolitica di collaborazione con leorganizzazioni di sviluppo pri-vate (ONG) svizzere ed interna-zionali. Si conclude così un pro-cesso avviato nel 2004. Svariateforme di collaborazione tra laDSC e le ONG hanno già datoprova di efficacia e si collocanoora stabilmente nella nuova poli-tica. Per prima cosa la DSC so-stiene le ONG con contributi ailoro programmi di sviluppo, ele-menti complementari alle strate-gie di cooperazione della DSC.Questi contributi permettono divalorizzare le competenze speci-fiche delle ONG. Le ONG pos-sono essere successivamente in-caricate dalla DSC di attuare

un’azione di sviluppo o rispon-dere ad una domanda partico-lare. Infine, la DSC attua con leONG un dialogo differenziatosulle numerose questioni chetoccano le problematiche dellacooperazione internazionale.Per raggiungere il suo obiettivodi lotta contro la povertà, laDSC collabora con una densarete di partner. Da tempo leONG costituiscono un ele-mento essenziale, in particolareper le competenze di cui hannofatto prova nella cooperazioneinternazionale, per la loro vici-nanza alla popolazione, per ilruolo che giocano nella politicadi sviluppo e per la loro capacitàd’innovazione.

Le collettività pubbliche lo-cali e la cooperazione inter-nazionale (sia) I cantoni ed i comuni sviz-zeri mostrano crescente interesseper le questioni di solidarietà in-

ternazionale, di difesa dei dirittiumani e di promozione dellapace. Molti di loro hanno dato aquest’interesse una portata poli-tica permanente, iscrivendole sianella loro costituzione, sia in unalegge cantonale o in un regola-mento comunale. Benché l’im-pegno dei cantoni e dei comunisia indipendente dalle azioni disviluppo della DSC e venga at-tuato secondo i loro ideali edobiettivi specifici, la DSC haelaborato un documento d’o-rientamento che ha lo scopo dichiarire la sua posizione e defi-nire le possibili forme di colla-borazione con le collettivitàpubbliche locali.

Dietro le quinte della DSC

(bf) La comunità internazionale riconosce da una decina di anni– e cioè dal Vertice mondiale del 1996 sull’alimentazione, la se-guente definizione di sicurezza alimentare: «La sicurezza ali-mentare è data nel caso in cui una popolazione abbia in ognimomento accesso materiale, sociale ed economico agli alimen-ti, e quando tali alimenti corrispondano, per quantità, varietà equalità, ai criteri stabiliti dalla scienza dell’alimentazione e sianoaccettati dalla cultura della popolazione in oggetto». In tutto ilmondo sono attualmente 852 milioni di persone a soffrire de-gli effetti della denutrizione; la maggior parte di essi risiede inAsia.Nella sola India sono 200 milioni, ai quali si aggiunge il 30per cento delle popolazioni africane. Uno dei cosiddetti Obiet-tivi di Sviluppo del Millennio (OSM) prevede – proprio per ri-spettare il diritto umano all’alimentazione – che il numero del-le persone sottoalimentate si riduca della metà entro il 2015. Lafame non è oggi da considerarsi una problematica di tipo tecni-co e non può essere attribuita alla carenza di alimenti,che in tut-to il mondo vengono prodotti in quantità capace di nutrire al-meno 12 miliardi di persone,e dunque almeno il doppio del ne-cessario. La carente sicurezza alimentare e la sottoalimentazionepresentano molteplici motivi: scarsa produttività dell’agricoltu-ra e carenti politiche agricole (circa il 50 per cento dei paesi piùpoveri al mondo sono costretti ad importare i loro alimenti dibase), povertà e disoccupazione, malattie (Aids, malaria), discri-minazione sessuale (in seno a molte culture sono gli uomini a

Che cos’è… la sicurezza alimentare?ricevere dapprima il cibo, poi le donne, quindi i ragazzi e, perultime, le ragazze).Tutti questi elementi sono ovviamente lega-ti a aspetti di governance.Nel mondo, la metà delle persone sot-toalimentate fa parte di piccole famiglie contadine, il 20 per cen-to non possiede terra, un altro 20 per cento abita in città, men-tre un 10 per cento è composto da nomadi, pescatori o abitantidelle foreste.

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costituisce un elemento centrale.Il lavoro delle agenzie di sviluppo si concentra dun-que sempre più sullo sviluppo rurale e le intera-zioni tra campagna e città. Così è anche in Mo-zambico.Lo Stato costiero, situato nell’Africa sud-orientale, ha un passato sanguinoso. Dopo ildominio coloniale portoghese, durato ben 500anni, e un decennio di guerra di liberazione si rag-giunse l’indipendenza che fu però sovrastata da unulteriore decennio di guerra civile fino al 1992.Unmilione di persone vi trovarono la morte, sei mi-lioni sono stati costretti alla fuga.Il Mozambico di-venne uno dei paesi più poveri al mondo. Ma conil trattato di pace del 1992, almeno per una partedella popolazione, è iniziato un periodo di pro-sperità: Il paese da allora è stabile e marcia in dire-zione di democrazia e economia di mercato. L’e-conomia cresce in media di 8-10 punti percentuali

Perché mai nei paesi in via di sviluppo le cose do-vrebbero essere diverse che in Svizzera? Anche qui,un tempo, erano soprattutto le zone rurali ad es-sere colpite dalla povertà.Così è anche nei paesi invia di sviluppo, dove il 70-80 per cento dei pove-ri vive in campagna.Gli esperti, pertanto, concordano nell’affermareche uno sviluppo economico generale non garan-tisce a questa fetta di popolazione, che per defini-zione vive con meno di un dollaro al giorno, dipoter automaticamente approfittare della crescitaeconomica. Per aiutare le popolazioni più povereoccorre infatti uno sviluppo economico mirato allariduzione della povertà.In altre parole occorre unosviluppo che faccia crescere in modo soprapro-porzionale il reddito dei meno abbienti. Certo, ilsolo potenziamento del settore rurale non basteràper una riduzione sostenibile della povertà, ma ne

Il cambiamento inizia dalle campagneÈ nelle zone rurali che dovrebbe concentrarsi maggiormente lalotta alla povertà, perché nei paesi in via di sviluppo è proprioin campagna che vive la maggior parte dei meno abbienti. Conpratiche innovative di sviluppo per le zone di campagna si pun-ta ora ad aiutare le popolazioni rurali a sottrarsi alla spirale del-la povertà. Per esempio in Mozambico. Di Maria Roselli.

Piattaforma sullo svi-luppo rurale Gli esperti definiscono conil termine «sviluppo rurale»un’attività di sviluppo im-prontata alla lotta contro lapovertà e al miglioramentodelle basi esistenziali nellezone rurali. Attività di svi-luppo che sorge per altrodall’interazione tra fattoriecologici, economici e so-ciali. La DSC gestisce unapiattaforma sul tema dellosviluppo rurale che offreuna grande scelta di arti-coli e la possibilità di unoscambio tra attori e inte-ressati.www.sdc-ruraldevelop-ment.ch

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strutture devastate dalla guerra nel nord del paesesono state ripristinate, il potere d’acquisto della po-polazione è aumentato.Abbiamo dunque adegua-to il nostro programma a questa nuova situazionee alle mutate esigenze della popolazione», spiegaAndrea Stauffer, responsabile di programma per ilMozambico della DSC.Infatti, nel 2004 la DSC ha elaborato una nuovastrategia per il Mozambico che si basa su tre pila-stri: microcrediti, incremento della produttività rurale e rafforzamento delle comunità rurali. In futuro si finanzieranno sempre meno singoli pro-getti e si porranno invece in primo piano il raffor-

annui. Ma la crescita di questo Stato africano scar-samente popolato è limitata soprattutto alla capi-tale Maputo e alle zone nel sud del paese. Il restodel paese,e soprattutto il nord,è tuttora stretto nel-la morsa della povertà.

Superare gli errori del passatoNegli ultimi 25, le pratiche usate per incentivarelo sviluppo rurale sono profondamente mutate.«Negli anni Ottanta si puntava a creare struttureper sviluppare contemporaneamente tutti i setto-ri di una zona rurale. Non si mirava dunque soloa fare accrescere la produttività rurale, ma ci si oc-

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Microcrediti per iniziareun’attivitàLa nuova strategia dellaDSC per lo sviluppo ruralein Mozambico contemplaquale terzo pilastro d’atti-vità il microcredito. Affinchéil microcredito possa fun-zionare, occorre un certo livello di potere d’acquistonella popolazione, livelloche per molti anni nelleprovince del nord delMozambico non era statoraggiunto. A quattordicianni dalla fine della guerra,la situazione è ora miglio-rata anche nelle zone dicampagna. In alcuni villagginelle province di CaboDelgado e Nampula sonostate costruite delle piccolebanche, alimentate su basevolontaria da parte dellapopolazione locale. Un co-mitato si occupa della dire-zione della banca e dell’as-sunzione di un «tesoriere»che gode della fiducia dellacomunità. Grazie a finan-ziamenti di partenza e acrediti di breve scadenzamolte famiglie riescono adaprire piccole attività o su-perare momenti difficilecome per esempio in casodi un cattivo raccolto.

cupava anche di scuole, strade e ospedali. Con ilpassare del tempo, abbiamo però dovuto constata-re che questo modo di procedere non era sosteni-bile, perché creava una certa dipendenza nei con-fronti del paese donatore. Non appena il donatoresi ritirava, le strutture si dimostravano spesso trop-po deboli e non reggevano», spiega Andreas Ger-rits della sezione Lavoro e Reddito della DSC.Pro-prio per questo motivo, oggi al centro dello svi-luppo rurale sono posti soprattutto la crescitaeconomica e la creazione di servizi di base, spessoabbinati a decentramento e rafforzamento delle co-munità di villaggio.

Potenziare nel contempo comitati e am-ministrazioni locali«Nel corso degli ultimi quindici anni, la situazio-ne in Mozambico è fortemente mutata. Le infra-

zamento delle strutture, come per esempio le am-ministrazioni distrettuali di Cabo Delgado e Nam-pula, due province nel nord del paese.Finora le amministrazione distrettuali del Mozam-bico gestivano un bilancio alimentato da introiti fi-scali e da finanziamenti di agenzie di sviluppo.Dal2006 i distretti ricevono in gestione direttamentedal governo centrale 300 mila dollari. Una condi-zione imposta dai paesi donatori in cambio del loroaiuto al bilancio centrale. «Volevamo essere sicuriche il decentramento non rimanesse lettera mor-ta, ma fosse realmente applicato e apportasse deimiglioramenti nelle regioni. Per questo motivoabbiamo sostenuto il processo di decentramento,di modo che i soldi arrivassero effettivamente allapopolazione rurale. Ora lavoriamo su due livelli.Da un lato si tenta di rafforzare i comitati creatidalle comunità dei villaggi di modo che questi sia-

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no in grado di presentare le proprie rivendicazio-ni nei confronti delle autorità locali.Dall’altro lato,le amministrazioni distrettuali imparano a gestireun processo partecipativo che coinvolga la popo-lazione dei villaggi. Si punta così a investire il de-naro a piena soddisfazione sia dei comitati di vil-laggio sia delle autorità distrettuali», spiega ancoraAndrea Studer.

Nuovi standard e labelPer creare reddito e plusvalore nelle zone rurali,oggi nell’ambito dello sviluppo rurale si lavora conil cosiddetto metodo delle catene di creazione divalore aggiunto.Le domande di fondo che si pon-gono sono le seguenti:quali sono i potenziali di uncerto prodotto agricolo e come si possono pro-durre delle eccedenze dei raccolti che non sianosolo idonee ai mercati locali o regionali bensì anche all’esportazione? «L’obiettivo - come ci spie-ga Andrea Gerrits – è quello di abbandonare l’a-gricoltura di sussistenza per approdare ad un’agri-coltura commerciale orientata alle esportazioni».Nelle province nel nord del Mozambico, le nocidi acagiù sono un tipico esempio di prodotto agri-colo ad alto potenziale di commercializzazione.Con il sostegno della DSC, in alcuni paesi delleprovince di Nampula e Cabo Delgado, sono orastate create piccole «fabbriche» per la lavorazionedelle noci. Infatti, la lavorazione richiede molto la-voro: dopo il raccolto deve essere asportato il gu-scio esterno che si presenta molto duro, poi va le-

vata la pellicina interna e i noccioli vanno tostati.Per queste varie fasi di lavorazione occorrono di-versi utensili di lavoro che ora sono stati messi adisposizione di tutta la gente del villaggio.Una buona qualità e un imballaggio ineccepibilesono elementi sempre più indispensabili per lacommercializzazione. Infatti, anche nei paesi in viadi sviluppo – soprattutto in America latina,ma an-che in Africa – si sta lentamente formando un «cetomedio» più abbiente che non acquista soltanto neimercati locali, ma si rifornisce anche in centricommerciali regionali. Se si vuole reggere l’enor-me concorrenza dei prodotti importati, la qualitàe la presentazione dei prodotti agricoli devonodunque adeguarsi a questi nuovi tipi di commer-cializzazione.Occorrono dunque nuovi standard e nuovi label,non solo per i prodotti destinati al commercio in-ternazionale, dove già si lavora da anni in questadirezione, bensì anche per il commercio naziona-le destinato ai supermercati.Andrea Studer guardaal futuro con fiducia: «L’effetto combinato dei trepilastri della nuova strategia della DSC per il Mo-zambico potrà creare nuove dinamiche e impulsiper lo sviluppo delle zone rurali». ■

(Tradotto dal tedesco)

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Sostenere iniziative proprieAttraverso la creazione dicomitati di villaggio, lagente nelle zone rurali im-para a auto-organizzare ilproprio futuro. Tra l’altro sidota di nuove competenzeper gestire rapporti e riven-dicazioni nei confronti delleautorità locali. La forma-zione dei membri del comi-tato e le loro riunioni sonoseguite e sostenute da unaONG locale. Così gli abi-tanti di Minuheuene, unpiccolo villaggio nella pro-vincia di Nampula, nel norddel Mozambico, si sonoper esempio accorti di nonsfruttare in modo ottimalela produzione di miele. Ilproblema è divenuto og-getto di discussione nel co-mitato e di seguito gli abi-tanti del villaggio si sonoprocurati un finanziamentodi partenza da una ONG. In poco tempo il prodottoha trovato una sua nicchiadi mercato e ora gran partedegli abitanti del villaggioproduce miele per il mer-cato locale.

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Ivan Franko, una delle mentiucraine più acute e critiche tra ilXIX e il XX secolo, pubblicista,poeta, prosatore, critico, autoredel disperato appello «Anche noiin Europa!», morendo di unsacco di malattie tipicamentedecadenti nel 1916, in unaLeopoli distrutta dalla guerra, ri-nunciò alla confessione e all’ul-tima comunione. Per tutta la suavita, finché in grado di intenderee di volere, si dichiarò un anti-clericale e un dotto ateo, e pro-babilmente non poteva compor-tarsi diversamente. Un sacerdotesuo conoscente (in verità ungrande ammiratore della suaopera) per tre volte venne a proporglielo. Ma Franko per tre volte rifiutò. E direi chel’Onnipotente ebbe in granconto questa fedeltà e fermezzadel carattere.All’inizio di marzo di quest’annohanno sepolto a CracoviaStanislao Lem, un grande pensa-tore polacco, scrittore di fanta-scienza e filosofo.Visse a lungo e scrisse molti meravigliosi libri,e la somma delle sue tirature intutte le lingue del mondo rag-giunge diversi milioni di esem-plari. Sembra che un sacerdoteal suo funerale si sia espressocosì: «Signore, per tutta la suavita lui sostenne che Tu non esi-sti, fu vinto dai dubbi, si presegioco e parodiò tutto ciò che èlegato a Te. Ma non prendere ciòa male, Signore. Perdonalo e ac-coglilo in Te, fosse solo per labellezza della sua opera, che èstata il riflesso e la glorificazionedella Tua bellezza». Sono certoche Colui al quale si era rivoltoil sacerdote avesse sentito tutto ecertamente perdonato.Ma se c’è qualcuno che nonperdonerà mai, questi sono gliattuali politici ucraini.Almenonon quando dimostrano difronte alle telecamere tutta laloro devozione medievale, nonquando si compreranno a caroprezzo la protezione dei loro

oscuri e grassi sacerdoti.E’ passata una primavera e un’e-state che hanno visto la politicain Ucraina sotto il segno dellaguerra totale, di tutti controtutti, e tutti contro il presidente.Le calunnie, la mancanza di pa-rola e il tradimento sono statitalmente abusati che la societàha smesso di reagire. E così i po-litici hanno creduto nella pro-pria impunibilità. Il culmine diquest’orribile teatro si è consu-mato il 6 luglio con l’inattesovoltafaccia in parlamento, cau-sato dalla rottura dell’accordo digoverno. Per quanto ha potutoquesta guerra lampo ha creatouna coalizione di governo com-pletamente diversa, antieuropeae antipresidenziale. Il ruolo delperfetto traditore in questo tra-dimento lo ha interpretato lapiccola frazione - ma purtroppoimportante dal punto di vistaaritmetico - dei socialisti con acapo il «politico esperto e uomodi Stato dall’alta moralità» (inrealtà vecchio membro della no-menclatura post-comunista eletterato-grafomane estrema-mente arrogante) AleksanderMoroz. Nella notte tra il 6 e il 7luglio non sono riuscito a chiu-

dere occhio e pensavo «Ma èpossibile? È possibile che unpiccolo gruppo di farabutti cona capo un raffinato farabutto nelcorso di un solo giorno di lavoriparlamentari è stato in grado didistruggere ciò che la società ci-vile aveva fatto con grande faticanel corso di anni e che la societàcivile stessa, con un suo grandesacrificio, era riuscita a salvarecon la rivoluzione in piazza? È possibile che quelli hanno di nuovo distrutto con il lorosterco tutti i passi verso l’Europae verso la normalità?»Vorrei credere che non fossevero. Che noi sconfiggeremo perforza la vecchia opposizionegrafomane. E poi li ributteremoper sempre nel loro vergognosopassato, dove loro comunque faranno a gara tra loro nel tradi-mento. ■

(Tradotto dall’ucraino)

L’inferno dei politici

Jurij Andruchovyc, scrittoree saggista, nato nel 1960 aStanislav (230 mila abitanti,oggi Ivano-Frankiwsk), pittore-sca cittadina dell’Ucrania oc-cidentale ai piedi dei Carpazi.Studia giornalismo a Leopoli eletteratura a Mosca. Nel 1985debutta con la sua prima rac-colta di liriche «Nebo i plosci»(Cielo e piazze). I suoi primi tre romanzi «Rekreacij» (1992),«Moskoviada» (1993) e«Perverzija» (1996) lo portanoalla ribalta della scena lettera-ria ucraina. Nel marzo 2006 gli è stato conferito il premioletterario di Lipsia. In italiano sono stati finora tra-dotti unicamente il romanzo«Moskoviade», Besa, Lecce2003, e il poema «India» nellarivista «Pagine» di Enzo Anania.

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Oggi i musei stentano a capireche cosa conservare e qualesenso dare alle loro collezioni.Devono dunque ridefinirsi.Questo rinnovo passa per primacosa attraverso la denomina-zione. Per sbarazzarsi di un pas-sato non sempre glorioso, alcunisi ribattezzano «museo delle ci-vilizzazioni» o «delle culture».Personalmente, rivendico il rife-rimento all’etnografia. La nostra

disciplina indubbiamente ha lesue zone d’ombra. Ma raccon-tiamo questa storia, anziché can-cellarla, facciamo l’etnografiadell’etnografia! Una lettura cri-tica del passato non potrà che il-luminare la nostra attuale vi-sione del mondo.

La raccolta sul campo ap-partiene oramai al passato?Si pratica ancora, ma in modo

Un solo mondo: L’etnografiasi è sviluppata in un conte-sto coloniale. Com’è evolutafino ai nostri giorni? Jacques Hainard: È nata versoil 1850 allorché appare, sottol’influenza delle teorie evoluzio-niste, il concetto di «popoli pri-mitivi». Per comprendere questesocietà, ritenute il grado zerodella civilizzazione, gli etnologisi mettono a studiare la loro cul-

tura materiale. Organizzandodelle spedizioni raccolgono si-stematicamente oggetti sulcampo, perpetrando talvolta verie propri saccheggi. Di ritorno inpatria depositano questo mate-riale in musei, che hanno ilcompito di far conoscere i po-poli esotici. Dopo la decoloniz-zazione, gli etnologi iniziano adanalizzare anche le società euro-pee. Diventano mondialisti.

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Non basta suscitare stupore

Mentre il mercato delle «arti primitive» prorompe, l’etnografia si interroga sul ruo-lo degli oggetti accumulati nei suoi musei e sul modo di esporli. Jacques Hai-nard, direttore del Museo etnografico di Ginevra, spiega nell’intervista di Jane-Lise Schneeberger perché queste opere extra europee non vadano ridotte allaloro pura dimensione estetica.

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Jacques Hainard, nato nel 1943,studia etnologia all’Università diNeuchâtel. Inizia la carriera pressoil Museo etnografico di Basilea,prima di partire per il Congo/Zaire,dove conduce ricerche sul terrenodal 1971 al 1973. Rientrato inSvizzera, diventa capoprogettopresso l’Istituto di etnologia diNeuchâtel. Nel 1980 è nominatoconservatore del Museo etnogra-fico di Neuchâtel (MEN). Sotto lasua direzione, questa istituzioneorganizza ogni anno esposizionipregnanti basate su una modernaconcezione della museologia. È ri-conosciuto a livello internazionale.A due anni dal pensionamento,Jacques Hainard accetta unanuova sfida: nel febbraio del 2006assume la direzione del Museo et-nografico di Ginevra (MEG), cheha appena attraversato un periododifficile. Il suo mandato scadrà nel2009.

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meno sistematico. La questioneè al centro della riflessione at-tuale: l’etnologo deve continuarea raccogliere oggetti, e se sì,quali? Gli oggetti hanno ten-denza a diventare più o menoidentici sul pianeta. È davveroopportuno conservare la radio atransistor che un pastore peulascolta accudendo le sue muc-che? O il recipiente in plastica,di fabbricazione cinese, utiliz-zato dalla gente in Mali per lesue abluzioni? Non ne ho la piùpallida idea. Quando dirigevo ilMuseo etnografico di Neuchâtel(MEN), avevamo iniziato a rac-cogliere utensili banali della vitaquotidiana. Non è stato facile. Ilpubblico è sorpreso di vedereesposti in un museo dei cotton

fioc o dei barattoli di conserva.Per quanto attiene alle collezioniclassiche, costituite tra il XIX egli inizi del XX secolo, in teoriapotrebbero essere completateacquisendo alcuni pezzi nellevendite all’asta. Ma pochi con-servatori ne hanno i mezzi.Negli ultimi anni, sul mercatodell’arte etnografica i prezzisono aumentati vertiginosa-mente. Il record è stato rag-giunto lo scorso mese di giugnoa Parigi, durante la vendita diuna collezione privata: una ma-schera fang del Gabon è statabattuta per 5,9 milioni di euro!

Gallerie e musei moltipli-cano le esposizioni di arteprimitiva. Cosa ne pensa

della tendenza attuale, benrappresentata dal Musée duquai Branly di Parigi, di pri-vilegiare l’aspetto esteticodegli oggetti etnografici?Questo approccio costituisceuna negazione dell’etnologia, ilcui intento è sempre stato quellodi spiegare il significato di questioggetti e di ricollocarli nel lorocontesto culturale. Il Musée duquai Branly pretende di renderegiustizia alle civilizzazioni extraeuropee mettendo la loro pro-duzione sullo stesso piano del-l’arte moderna occidentale. Hascelto di esporre soltanto 3500pezzi, i più belli di una raccoltache ne conta circa 300 mila.Tuttavia questi oggetti non sonopari alle nostre opere d’arte.

Ognuno di loro ha una funzioneprecisa nella società che lo haprodotto. È stato fabbricato peressere utilizzato ogni giorno, oin occasione di cerimonie o ri-tuali religiosi. Un’opera d’arte èconcepita per essere contem-plata. Facendo slittare gli oggettietnografici nella sfera delle bellearti, si cancella il loro aspettoutilitario. Inoltre, la scelta dei«capolavori» è una forma dineocolonialismo culturale per-ché questo privilegio è accor-dato ad alcuni conservatori,commercianti d’arte e collezio-nisti europei che applicano iloro criteri estetici personali.

Paradossalmente, le popola-zione del Sud non hanno

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accesso a queste collezioni,che fanno parte del loro pa-trimonio. Lei è favorevole allarestituzione degli oggetti?Si tratta di un problema spinoso.Il museo è una concezione pret-tamente occidentale. Gli africaninon hanno la stessa relazione alpatrimonio degli europei. Seuna maschera si rompe, la ripa-rano. Se diventa inutilizzabile, lagettano nella natura e ne scolpi-scono una nuova.Ma ecco dei bianchi disposti adacquistare maschere, statue egioielli. Questi oggetti appaionoallora come una preziosa fontedi reddito. I loro proprietari,spesso molto poveri, tenterannonaturalmente di venderne il piùpossibile. È complesso costruiremusei in Africa per trasferire le collezioni, poiché queste ri-schiano di essere trafugate o ri-vendute. Sono invece favorevolealla creazione di musei virtualisu internet. Nel quadro di parte-nariati, il Nord potrebbe fornireai paesi interessati del Sud le at-trezzature informatiche necessa-

rie per accedere alla conoscenzadel loro patrimonio.

In un’epoca di mondializza-zione, le collezioni etnogra-fiche hanno perso la lorovocazione pedagogica.Acosa servono, allora?Possono essere utilizzate in moltimodi.A parte l’approccio este-tico, ci si può mettere in unaprospettiva storica o esplicativa.Gli oggetti esposti aiutano alloraa comprendere una societàumana, un periodo o un evento.Ma ciò che preferisco, è metterlial servizio di un discorso. Il mu-seo è l’equivalente di un dizio-nario i cui oggetti rappresentanoi lemmi.Il lavoro dell’etnologo consistenel costruire una sintassi, rac-contare una storia con questomateriale. Gli oggetti prove-nienti da culture lontane oscomparse possono perfetta-mente inserirsi in esposizioni suproblematiche contemporanee,come il razzismo, l’immigra-zione o l’uguaglianza dei sessi.

Secondo me, oggi l’etnografiadeve analizzare prioritariamentele realtà della società in cui vi-viamo.

Le esposizioni del Museo et-nografico di Neuchâtel, con-sacrate a temi d’attualità, sibasano sulla «museologiadella rottura». In che cosaconsiste questo approccio,ed è stato emulato?Il nostro movimento voleva ta-gliare questo cordone che ci legaalla tradizione dello stupore.L’ospite non deve consumarepassivamente oggetti giustappo-sti ammirando la loro bellezza. Ilruolo di un’esposizione non èquello di trasmettere informa-zioni premasticate. Deve al con-trario suscitare una riflessionecritica, destabilizzare, decostruirei nostri stereotipi e la nostraideologia.Occorre che l’ospite riparta condegli interrogativi sulle sue con-vinzioni. Detto ciò, la museolo-gia della rottura è stata relativa-mente poco seguita.Tali esposi-

zioni veicolano punti di vista divergenti, raramente condivisidal potere politico che finanzia i musei. Il Museo etnografico diNeuchâtel ha beneficiato di unagrande libertà a questo propo-sito, ma sono pochi i conserva-tori ad avere quest’opportunità.Quasi ovunque, lo Stato esercitauna censura su ciò che è detto e mostrato nei musei. ■

(Tradotto dal francese)

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Inebriamento balcanico(er) Il Village du Monde al PaléoFestival di Nyon esiste dal 2003,non da ultimo grazie al sostegnodella DSC. Dal 2004 i «suonid’altrove» sono documentati an-che da una compilation.Quest’anno è stata in pro-gramma una «tournée» musicaleattraverso l’Europa orientale:dall’Ungheria, ai Balcani e alMar Nero, e poi fino all’Ucrainae alla Polonia. L’accurata sele-zione dei 14 brani illustra uncosmo sonoro ricco di contrasti,spesso inebriante e talvolta caco-fonico, nel quale convergonotradizione e modi urbani, malin-conia e allegria, sonorità punk e gypsy. Fra queste ultime rien-trano i pulsanti squilli di tromba,i veloci passaggi di clarinetto, ilfebbrile vibrare delle corde diviolino, i lievi passaggi di fisar-monica, i ritmi metallici dellepercussioni e, soprattutto, l’affa-scinante canto delle voci ma-schili e femminili.Tutto ciò èdovuto a molti artisti, fra i quali menzioniamo Taraf deHaïdouks, Kocani Orkestar,Esma Redzepova, GogolBordello, Romano Drom,Motion Trio e Goran Bregovic.Artisti vari: «Paléo Festival Nyon,Village du Monde 2006; EastEuropa - Métissage balkaniques»(Paléo Festival Nyon/DisquesOffice)

Musica estasiante(er) Ha un suono misterioso, vi-brante che ricorda vagamentequello dei carillon. Nella tradi-zione shona dell’Africa sud-orientale serve a entrare in con-

tatto con le anime degli ante-nati. I signori coloniali e i mis-sionari lo avevano bandito.Alungo poterono produrlo solo ipollici degli uomini. Stiamo par-lando del piccolo pianoforteafricano – la mbira – un lamel-lofono dotato di un risonatoredi zucca. Il suo sound è nel frat-tempo giunto alle orecchie dinumerosi ascoltatori grazie aStella Chiweshe, la sessantenne«Queen of Mbira» delloZimbabwe. Nel 1987 aveva regi-strato il primissimo album diPiranha Musik. L’intraprendenteetichetta berlinese festeggia orala sua 100a pubblicazione conun doppio CD di Chiweshe,composto dell’album «TranceHits», del 2005, e della colle-zione «Classic Hits». Questo«Double Check» avvince: nobile

sound delle «gocce di pioggiaaccordate» prodotto dalla mbira,glissandi alla chitarra ispirati alblues, accenni di inni o di rock e poi la voce espressiva di Stella,in breve: una musica (anche daballo) davvero estasiante.Stella Chiweshe: «Double Check»(Piranha/Musikvertrieb)

Miscellanea solare(er) Si muove da decenni negliambienti della world music, fre-quenta concerti e festival, spulcianegozi di dischi e di CD intutto il mondo. Chi è? La gior-nalista radiofonica e DJMarianne Berna, responsabile suDRS 3 del World Music Specialche va in onda di giovedì (ore20–22). Il suo entusiasmo perquesto genere musicale traspare

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nella competente selezione ditormentoni riuniti in un sam-pler: «Dallo hit bachata prove-niente dalla Repubblica domini-cana al reggae orientale distampo marocchino fino allaversione cover di Rolling Stonesmongoli». Questo sound, poten-zialmente capace di indurre di-pendenza, è presentato da Los deAbajo,The Scrucialists, FrankReyes, Lila Downs, Salif Keita,Susheela Raman, Samir Essahbi(con Endo Anaconda). E quandola straordinaria voce della can-tante cubana Leyanis López siappresta a chiudere gloriosa-mente questo CD la conclu-sione è: un seducente regalo checi trascina nel mondo delle so-norità aperte, una miscellaneasolare per rischiarare le buienotti invernali.Artisti vari: «World Music Special,DRS 3,Vol. 2» (EMI Music)

Paesaggi desertici nei film (bf ) Nel 2006 ricorre l’anno in-ternazionale dei deserti.Vari filmdella collana di DVD della tri-gon-film sono incentrati sullavita e i sogni in paesaggi deser-tici. Fiabesco è il modo in cui si avvicinano al deserto i filmdel tunisino Nacer Khemir(«Bab’Aziz», «Les baliseurs dudésert»), nostalgico quello delmauritano AbderrahmaneSissako («En attendant le bon-heur»). Nelle steppe kirghise sisvolge l’azione di «Beshkempir»,mentre nella vastità dellaPatagonia, segnatamente in«Bombón», un uomo scopre l’amore per il cane. Nel desertoindiano Le Corbusier aveva co-struito «Una città a Chandigarh»

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zione e governance locale nelprocesso di sviluppo29.5-1.6.07 Introduzione allagestione finanziaria di progettidi sviluppo4.6.- 8.6.07 OE I: sviluppo or-ganizzativo nella cooperazioneallo sviluppo 11.6.-15.6.07 Assessing Impactsof Development Projects andProgrammes Termine delle iscrizioni: 1 meseprima dell’inizio del corso pre-scelto.Informazione e documentazione per l’iscrizione: ETH Zürich,Nadel-Sekretariat,VOB B 12,8092 Zurigo,tel. 044 632 42 40;www.nadel.ethz.ch;e-mail: [email protected]

Annuario 2006(bf ) Da oltre un quarto di secolol’«Annuaire suisse de politiquede développement – Faits et sta-tistiques» informa anno dopoanno sull’andamento delle rela-zioni nord-sud. In particolare suquelle della Svizzera con i paesid’Asia,Africa e America latina,nonché, dall’inizio degli anni1990, con gli Stati dell’Europaorientale. Il lavoro di grupposvolto con precisione, cura eperspicacia consente di pubbli-care uno strumento di lavoro edi ricerca per tutti coloro che,professionalmente o personal-mente a causa del loro impegnopolitico, si interessano alle que-stioni legate alla relazioni inter-nazionali. Oltre a fatti e statisti-che, l’Annuario 2006 contienein particolare una valutazionedegli sviluppi registrati negli ul-timi anni (lotta alla povertà, sde-bitamento, commercio mon-diale, aiuto pubblico svizzeroallo sviluppo ecc.), pone glieventi nella giusta prospettiva ecerca di oltrepassare i limiti diun’informazione troppo effi-mera.«Annuaire suisse de politique de dé-veloppement – Faits et statistiques»,

reperibile presso l’Institut universi-taire d’études du développement(IUED), Ginevra,tel. 022 906 59 50;www.iued.unige.ch,e-mail: [email protected]

Don McCullin in Africa(bf ) In via eccezionale, per il suo volume «Don McCullin inAfrika», il rinomato fotografo di guerra britannico DonMcCullin non ha fotografatoconflitti bellici, bensì ha docu-mentato dieci tribù africane – i Surma, i Gheleb, i Dassanech, iBume, i Erbore, i Bene, i Bodi,i Karo, gli Hamar e i Mursi. Nel2003 e 2004 si è recato da AddisAbeba, in Etiopia, al fiumeOmo, che scorre verso sud finoalla frontiera con il Sudan. La re-gione è impervia, poco popo-lata, segnata da sanguinosi con-flitti fra le tribù parzialmentenomadi, in prevalenza isolate dalmondo esterno e ancor pococondizionate dalle influenze oc-cidentali. Durante il viaggio neiterritori tribali ha imparato aconoscere i rituali e le tradizionidei vari gruppi, per taluni versiassai diversi tra loro. Se a questeimmagini in bianco e nero, ric-che di contrasti e anche distan-ziate concediamo il tempo e lospazio necessari perché possanosuscitare in noi il loro effettonon mancheremo di apprez-zarne la straordinaria suggesti-vità.«Don McCullin in Afrika» di DonMcCullin;in lingua tedesca, edizioniKnesebeck, 2006

L’India da vicino(bf ) In India, il giorno della na-scita di Gandhi è un giorno fe-stivo. Ma il padre fondatore dellanazione, l’icona della non vio-lenza di tutto il mondo è ancorauna figura importante nell’Indiadi oggi? In che direzione si svi-lupperà l’India? Il vallesanoBernard Imhasly vive dal 1984in India. Un tempo era attivonel servizio diplomatico e da 15anni scrive come corrispondentedall’Asia meridionale per varietestate, così pure per «Un solomondo». Nella ricerca di rispo-ste ha viaggiato in quel grandepaese e racconta ora nel suo li-bro «Abschied von Gandhi?» af-fascinanti storie di maragià, con-ducenti di autobus, attivisti per idiritti civili, donne politiche, di-rigenti di ditte informatiche, pu-litori di latrine, ribelli, contadini,teatranti, e degli abbiatici diGandhi. Storie di rinascita e distasi, speranza, paura e coraggio,sull’attualità di Gandhi per chivive oggi, e sul commiato da lui.Chi vuole capire il futuro devecapire l’India. Questo viaggioattraverso l’India di ieri e di oggirende un’immagine colorita esfaccettata di un paese alle presecon la propria muta.«Abschied von Gandhi?» diBernard Imhasly, in lingua tedesca,edizioni Herder, 2006

Morte nella finca diHemingway (bf ) Con gialli del ciclo delle«Quattro Stagioni» lo scrittorecubano Leonardo Padura nonsolo è assurto a notorietà inter-nazionale, ma ha pure ottenutovari premi, in particolare ilPremio Café de Gijón e ilPremio Hammett, quest’ultimoassegnatogli in Spagna. Ora èuscito anche nelle nostre altrelingue nazionali un’ulteriorestoria deliziosamente scurrile e originale sull’ex poliziottoMario Conde. Questi indaga inun caso nel quale svolge un

– Alain Tanner osserva la genteche vi vive. E come può esseredolce e rimandare al blues lamusica del deserto ce lo insegnaBoubakar Traoré in «Je chanteraipour toi», mentre in «L’enfantendormi» Jasmine Kassari parladelle donne rimaste al paese nel-l’arido paesaggio marocchino.Eliane Caffé inscena invece gliartifici predisposti per far scom-parire sott’acqua un paese nellapampa brasiliana («Narradoresde Jave»). E da ultimo, il desertocome scenario di un’intensa storia d’amore: questo è il tema del capolavoro giapponese«Woman in the Dunes».Ordinazioni e informazioni:056 430 12 30 o www.trigon-film.org

Post-diplomaIl programma Nadel (studiopost-diploma per i paesi in viadi sviluppo) dell’ETH di Zurigooffre fino a giugno 2007 i se-guenti corsi di perfezionamento:19.3.- 23.3.07 Introduzione allapianificazione di progetti e pro-grammi26.3.- 30.3.07 Training per mo-deratrici e moderatori 17.4.- 20.4.07 Corruzione econtrollo della corruzione neipaesi in via di sviluppo2.5.- 4.5.07 Seminario di con-solidamento per partecipanti alcorso di certificato in sviluppo e cooperazione7.5.-11.5.07 Promoting moreSustainable Livelihood:Approaches and Practices14.5.- 18.5.07 Monitoraggionella gestione di progetti e pro-grammi di cooperazione allosviluppo21.5.- 25.5.07 Decentralizza-

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ruolo cruciale la finca diHemingway nei pressi dell’Ava-na: proprio lì, a 40 anni dallamorte del grande scrittore, vienetrovato un cadavere, ucciso condue proiettili sparati da un mitradella sua leggendaria collezioned’armi. «Addio Hemingway» ènon solo un divertente gioco fraleggenda e realtà, ma anche uncommiato agrodolce dal premioNobel verso il quale LeonardoPadura nutre sentimenti con-traddittori, che nel romanzo attribuisce a Mario Conde.«Addio Hemingway» di LeonardoPadura, edizioni Saggiatore, 2002

Un ponte verso il futuro(bf ) Chi vuole trarre ispirazionee conoscere quali possibilità of-fra la musica di superare confininazionali, linguistici, culturali e, non da ultimo, conflittuali dispone ora di «Bridges for theFuture – Ein Jugend-Sinfonie-Orchester überschreitetGrenzen», un’opera piccola maraffinata. Il libro documenta unprogetto orchestrale con accade-mie estive e tournées, cui hannopartecipato nel 2004 e 2005 ben120 giovani musicisti e musicistedi Svizzera, Bosnia ed Erzego-vina, Croazia, Macedonia, Serbiae Montenegro. La pubblicazioneillustra il progetto, mentre i testidei giovani, nonché delle autricie degli autori le conferiscono uncarattere durevole.L’accompagna un DVD con leregistrazioni dei concerti tenutiin Svizzera, a Mostar e Pristina.«Bridges for the Future – EinJugend-Sinfonie-Orchester über-

schreitet Grenzen», edizioni Müller& Schade, Berna (ottenibile anchein inglese)

Inchieste interattive sul clima ( jls) Dallo scorso settembre lescuole svizzere partecipano a unprogetto didattico incentrato suicambiamenti ambientali e lo svi-luppo sostenibile, il quale integrale tecnologie dell’informazionee della comunicazione (TIC).Nell’ambito di questo progettointitolato «climaTIC-suisse.ch»,gli allievi familiarizzano conl’approccio scientifico, renden-dosi conto della complessità diun fenomeno che deve essere affrontato su scala planetaria.Con l’appoggio della DSC,l’Università di Ginevra ha svi-luppato la componente equato-riale di climaTIC-suisse.ch.Un’équipe si recherà nellaRepubblica democratica delCongo per condurre un’inda-gine sul disboscamento. Gli al-lievi parteciperanno a distanza al lavoro dei ricercatori, poichéuna piattaforma in internet con-sentirà loro di analizzare i datiraccolti sul terreno e di confron-tarli con quelli di altre regionidel mondo. ClimaTIC-suisse.chprevede anche una componentepolare: inchieste interattive sa-ranno realizzate nell’Artico enell’Antartide dalla Fondazionepolare internazionale.www.climatic-suisse.ch

Il coraggio di viveredell’America latina (dg) La selezione di DVD diffusidal servizio «Films pour un seul

monde» consente di conoscerele varie culture che permeano lavita quotidiana, il coraggio divivere e la resistenza in Brasile,Perù, Honduras e Colombia.Nel contempo tematizza le sfideche le società latinoamericanesono chiamate ad affrontare. Ifilm trattano delle grandi dispa-rità sociali, dell’iniqua riparti-zione della terra, dei problemidelle minoranze, della violenza e del lavoro minorile.Al centrodell’attenzione troviamo personeammirevoli, capaci di reggere insituazioni difficili, di lottare per iloro diritti, che suscitano simpa-tia per il loro atteggiamento po-sitivo e la loro gioia di vivere.

seul monde, Svizzera, 2006; produ-zione: BAOBAB (A); 5 film,DVD-video/DVD-Rom;francese/tedesco, circa 180 minuti,dai 12 anni. Distribuzione/vendita:Éducation et Développement,tel. 021 612 00 81,[email protected]: Films pour un seulmonde, tel. 031 398 20 88,www.filmeeinewelt.ch

Specialisti del DFAE a vostradisposizioneVolete informarvi di primamano sulla politica estera dellaSvizzera? Le relatrici e i relatoridel Dipartimento federale degliaffari esteri (DFAE) sono a disposizione di scolaresche, asso-ciazioni e istituzioni per confe-renze e dibattiti su numerositemi di politica estera. Il Serviziodelle conferenze del DFAE ègratuito, può tuttavia offrire leproprie prestazioni solo inSvizzera e chiede che agli in-contri partecipino almeno 30persone.Ulteriori informazioni: Serviziodelle conferenze DFAE,Informazione, Palazzo federaleOvest, 3003 Berna;tel. 031 322 31 53 o 322 35 80;fax 031 324 90 47/48;e-mail: [email protected]

Il corredo didattico offre moltispunti per l’insegnamento.Inoltre, ogni film è accompa-gnato da una scheda di lavoro eda una scheda in «fotolinguag-gio» in formato pdf. I film e ilcorredo didattico sono disponi-bili in tedesco e francese: ciò lirende utili anche per l’insegna-mento delle lingue seconde.«América Latina», Films pour un

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Joachim Ahrens (ahj) Antonella Simonetti (sia)Jean Philippe Jutzi (juj)

Thomas Jenatsch (jtm)Beat Felber (bf)Andreas Stauffer (sfx)

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: Mermod SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione della redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DSC, Media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031322 44 12Fax 031324 13 48E-mail: [email protected]

860148187

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 57’500

Copertina: Gansu, Cina; Sinopix / laif

ISSN 1661-1683

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Nella prossima edizione:

La regione dei Grandi Laghi, in Africa, ha alle spalle tempidifficili. Tuttavia, lo sviluppo della Repubblica democraticadel Congo dà particolarmente adito a speranze. Il nostrodossier analizza la situazione attuale e futura della regione,con particolare attenzione ai conflitti transfrontalieri e alledipendenze.