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Un solo mondo N. 3 / SETTEMBRE 2011 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Innovazione Con la forza della creatività contro la povertà Mali, tanto cotone ma pochi tessuti Perché la miseria del mondo ci riguarda tutti? La risposta di una filosofa

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Un solo mondoN. 3/ SETTEMBRE 2011LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

InnovazioneCon la forza dellacreatività contro la povertàMali, tanto cotone mapochi tessuti

Perché la miseria delmondo ci riguardatutti? La risposta diuna filosofa

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Sommario

3 Editoriale4 Periscopio

26 Dietro le quinte della DSC33 Servizio 35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

6 InnovazioneLa creatività, motore dello sviluppoLa cooperazione allo sviluppo sostiene attivamente la diffusione di innovazioni finalizzate alla lotta contro la povertà

12 Tecnologie che cambiano la vita Un’intervista con Charles D. Konseibo, responsabile del Dipartimento delle tecnologie appropriate del Centro ecologico Albert Schweitzer del Burkina Faso

14 Gli strumenti del risicoltore modernoFinanziato dalla DSC, un consorzio di ricerca mette a punto innovazioni semplici che consentono di migliorare la resa e preservare l’ambiente

16 Le nanotecnologie al servizio dei più poveri Diversi imprenditori sociali svizzeri intendono migliorare l’accesso all’acqua potabile per le popolazioni del Sud. In particolare attraverso un raffinato sistema di filtraggio

17 Cifre e fatti

18 Tessuti europei per le bellezze maliane È il terzo produttore di cotone in Africa, eppure il Mali importa quasi il totale dei suoi tessuti. Un’importante perdita di entrate per questo paese povero

21 Una giornata tipica di... Geneviève Federspiel, responsabile dell’ufficio di cooperazione a Bamako

22 «I bianchi hanno ucciso Mopti» L’antropologo e giornalista maliano Adam Thiam riflette sulle cause della crisi nel suo paese

23 Addio colline brulle Nella Corea del Nord, grazie a un progetto della DSC, nudi pendii ricoperti in passato da rari cespugli si stanno trasformando in fertili colline

24 Acqua potabile a volontà Dopo l’inondazione epocale che ha colpito il Pakistan nel 2010, depurare l’acqua era una delle misure più urgenti

27 «Non c’è soluzione senza un cambio di mentalità» Secondo la filosofa Barbara Bleisch abbiamo una responsabilità ben precisa nei confronti dei poveri del pianeta

30 L’università di Oscar Carta bianca: Rafael Alberto Sagárnaga López, giornalista e linguista boliviano, evoca il suo incontro con Oscar, detenuto e studente esemplare

31 «Nessuno è solo buono»Un’intervista con il cineasta georgiano George Ovashvili

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R

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Ancora all’inizio di quest’anno era impossibile immagi-nare una «Primavera araba», la Rivoluzione dei gelso-mini e del loto. Eppure, quasi dall’oggi al domani, ilvento del cambiamento ha coinvolto tutti i paesi delMedio Oriente e del Nord Africa. Sono oramai passativari mesi, ma resta difficile azzardare ipotesi su comecontinuerà ad evolvere la storia. L’Occidente è pertantochiamato a ripensare la propria politica perseguita neiconfronti di questi paesi.

Le cause che hanno innescato il cambiamento sono in-contestate: mancanza di prospettive economiche e sociali e di libertà nella politica e nella società, anche e soprattutto delle donne. Sono fattori strettamenteconnessi fra loro. Chi ha seguito gli avvenimenti suFacebook e Twitter in primavera, ha notato l’ira del popolo verso le élite corrotte, ma anche contro i governi occidentali che le sostenevano.

La maggior parte degli osservatori è convinta che siascattato un processo di trasformazione, simile a quelloche ha interessato l’Europa dell’Est venti anni fa. Maquesti nostri vicini hanno uno sfondo culturale non-europeo e la loro storia testimonia di relazioni in partecariche di conflitti con l’Europa e con l’America del Nord.Manca inoltre una prospettiva di adesione all’Unioneeuropea, che potrebbe fungere da stimolo e forza mo-trice delle riforme. Sono numerosi gli indicatori secondocui gli sviluppi saranno molto meno coerenti e continuirispetto ai processi di trasformazione che si sono pro-dotti nell’Europa dell’Est.

E la DSC? L’aiuto umanitario ha agito senza indugio.Subito dopo l’inizio dei combattimenti in Libia, decinedi migliaia di persone si sono rifugiate oltre confine, inEgitto e in Tunisia. E i nostri si sono fatti trovare sul po-sto, immediatamente, garantendo aiuti umanitari inloco: in parte con programmi propri in collaborazionecon attori locali, in parte assistendo organizzazioni in-ternazionali, che in Nord Africa hanno fornito un ottimolavoro ben coordinato sin dall’inizio.

Il Consiglio federale si è occupato dei cambiamenti in

Nord Africa e in Medio Oriente all’inizio di marzo. Haanalizzato gli interessi della Svizzera nella regione, hacongelato valori patrimoniali e ha definito la strategiadella Svizzera nell’erogazione del suo aiuto.

Oltre all’aiuto umanitario, la Svizzera offre sostegno ecollaborazione in tre settori: transizione democratica,misure di sviluppo per l’economia e l’occupazione, non-ché contributi nell’ambito della migrazione.

Negli ultimi mesi e nelle ultime settimane ci siamo lan-ciati con determinazione nella messa in atto di pro-grammi che vanno anche al di là dell’aiuto umanitario.Nel frattempo queste iniziative sono avviate e funzio-nanti. Il loro successo è importante per la Svizzera. Glisviluppi nella regione mediterranea interessano noi el’Europa non certo soltanto perché i profughi e le per-sone in cerca di lavoro si avventurano verso Nord nel-l’intento di trovare una vita migliore.

I cambiamenti che hanno travolto il Nord Africa avrannoun impatto sui programmi della DSC. Me ne sono resoconto in occasione di una visita in uno dei campi profu-ghi al confine fra Libia e Tunisia. Nessuno nella tendo-poli aveva la più pallida idea di dove andare. La mag-gior parte veniva dall’Africa subsahariana, ma c’eraanche chi era arrivato dall’Iraq e dalla Palestina. Il ri-torno in patria è impossibile. Fra i profughi non pochisono donne, lasciate sole con i loro bambini.

Sono persone ancora animate da speranza che hannodiritto ad una prospettiva per il loro futuro. Al contempoè importante che i paesi del Nord Africa e del MedioOriente ricevano il nostro aiuto nella transizione versouna società libera e un’economia funzionante. Nessunosi abbandona alle illusioni: la strada è irta di ostacoli. Mavale la pena percorrerla.

Martin DahindenDirettore DSC

(Tradotto dal tedesco)

Editoriale

Nord Africa e Medio Oriente: aiuto celere, programmi importanti

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PeriscopioChip elettronici realizzati in carta (gn) Le diagnosi mediche,che finora potevano essereeffettuate solo con proce-dure complesse e costose,ben presto potranno essererealizzate anche a basso costo e nei villaggi più re-moti. Come? Grazie ad una

nuova generazione di microchip di carta. George Whitesidesdell’Università di Harvard è l’«inventore» di questa scopertae ha presentato recentemente un misuratore di accelera-zione pronto per essere lanciato sul mercato. La base disupporto dello strumento è realizzata in uno spesso fogliodi carta cromatografica, come quella utilizzata per le speri-mentazioni chimiche. Sul supporto viene fissato un ele-mento di carbonio che si modifica non appena subiscel’impatto di forze meccaniche che agiscono sulla carta. I sensori di carta forse non hanno la stessa sensibilità diquelli realizzati in silicone, ma in compenso sono leggeri ela loro produzione è estremamente facile e poco costosa.Nell’ambito di un progetto pilota, l’organizzazione ameri-cana non profit «Diagnostics for All» ora impiega questisensori di carta per la misurazione dei valori epatici nei pazienti affetti da HIV/Aids in Kenya.www.dfa.org

Parità: un’arma contro lafame( jls) Nei paesi in via di sviluppo,le donne rappresentano in mediail 43 per cento della forza lavoroimpiegata nell’agricoltura.Questa proporzione raggiungeaddirittura il 50 per centonell’Africa subsahariana e in alcuni paesi dell’Asia.Ciononostante solo il 2-3 percento delle donne sono proprie-tarie di terreni agricoli. E la di-scriminazione non finisce qui: le donne contadine hanno menoaccesso a crediti, incentivi, at-trezzi, servizi di divulgazione,istruzione e mercati rispetto ailoro colleghi maschi. Di conse-guenza producono meno. In unrapporto pubblicato nel marzoscorso, la FAO esorta l’abolizionedi queste disparità. Le donnenelle zone rurali, evidenzia, rap-presentano un vantaggio pre-zioso nella lotta contro la fame.Se avessero gli stessi diritti degliuomini, la produzione agricolapotrebbe essere aumentata, di

Sogni d’oro grazie all’alberoJatata (bf ) Per il suo straordinario im-pegno a favore della protezionedella natura e per la lotta allapovertà in 22 dei loro comuni, lapopolazione indigena Tsimane-Mosetene del bassopiano boli-viano quest’anno è stata insi-gnita del premio «IniciativaEcuatorial». Questo riconosci-mento, un premio di 5000 dol-lari, viene attribuito ogni dueanni a comunità locali e indi-gene dell’Africa, Asia, AmericaLatina, Caraibi e dello spazio pacifico che si sono adoperateper la protezione ambientale elo sviluppo sostenibile nellazona detta torrida, che si estendesullo spazio equatoriale com-preso tra il 23,5° meridianonord e sud. La comunità degliindigeni Tsimane-Mosetene haricevuto il premio soprattuttoper l’uso sostenibile dell’albero

Jatata (geonoma deversa), una tipologia di palma che cresce nei dipartimenti bolivianidell’Amazzonia. La foglia delJatata può raggiungere una lun-ghezza di 2 metri e viene moltostimata, anche all’estero. Ha in-fatti caratteristiche antincendio,è impermeabile all’acqua, lon-geva e viene utilizzata per questomotivo anche per la costruzionedi tetti – per esempio per un alloggio ecoturistico in uno deicomuni indigeni. www.equatorinitiative.org

L’acqua: un diritto umano (bf ) Secondo i dati della FAO,l’organizzazione dell’Onu perl’alimentazione e l’agricoltura,in America latina e nei Caraibicirca 120 milioni di persone soffrono di mancanza di acquapotabile, e questo in una delleregioni maggiormente urbaniz-zate del mondo. Infatti, il 78 per

cento dei 590 milioni di abitantivive in zone urbane. Le due metropoli Città del Messico eSan Paolo da sole oggi contanopiù di 15 milioni di abitanti ciascuna. Alcuni paesi hanno riconosciuto l’importanza del-l’approvvigionamento idrico:Ecuador e Uruguay hanno defi-nito l’acqua un diritto umanofondamentale, iscrivendolo nelleloro costituzioni e reagendo intal modo all’ondata di privatiz-zazione che si è abbattuta sulsettore. Visto che le economiedomestiche con reddito bassonon sono allacciate alla reteidrica, devono acquistare l’acquaad un prezzo più alto rispetto aquanto pagherebbero se fosseroservite dalla rete. Una spesa sup-plementare che grava ancora di più sul budget delle famiglie.La forte crescita delle città e le conseguenze del cambiamentoclimatico con periodi di siccità e inondazioni aggravano il pro-blema ancora di più. www.fao.org

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modo che nel mondo il numerodi persone che soffrono la famesi ridurrebbe di 100-150 mi-lioni. «La parità fra uomo edonna non è soltanto un nobileideale, bensì una necessità ancheeconomica», ha dichiaratoJacques Diouf, all’epoca diret-tore della FAO.

Chi vigila sulle foreste?(bf ) Stando ai dati del ministeroperuviano dell’ambiente, dal1985 in Perù ogni anno vienedisboscata una superficie pari a150 000 ettari. Circa 11 milionidi ettari di terreno nel bacinoperuviano amazzonico sonoclassificati in quanto superficieboschiva. Pertanto, il paese occupa l’ottavo posto fra i paesicon foresta pluviale vergine, eaddirittura il secondo posto fra i paesi latinoamericani. Ora ilpaese ha messo in atto un pro-

gramma destinato alla prote-zione dei suoi boschi. Secondoil progetto, la popolazione indi-gena vigilerà sulla foresta, pro-teggendola. Inoltre verrannostanziate borse di studio per igiovani, affinché possano stu-diare e sviluppare attività inno-vative e redditizie finalizzate allaprotezione dei boschi. Viste tut-

tavia le difficoltà del paese aconcedere diritti validi a livellointernazionale relativi ai territoriindigeni, le ONG locali oraesprimono dubbi sull’attuabilitàdel progetto. Ancora all’inizio di quest’anno, la ONG SurvivalInternational aveva infatti de-nunciato che i taglialegna pene-travano alla grande nei territoridegli indigeni, che hanno sceltodi vivere nell’isolamento.

Avanzano gli OGM(bf ) La coltivazione di piantegeneticamente modificate nel2010 ha continuato a registrareun notevole incremento. La crescita più importante si è pro-dotta nei paesi in via di sviluppoe nei paesi emergenti.Secondol’agenzia di agro-bio-tecnologia ISAAA risulta chenel 2010 sono state coltivatepiante geneticamente modificate

in 29 paesi su una superficie diquasi 148 milioni di ettari. Ciòcorrisponde ad una crescita del14 per cento rispetto all’annoprecedente. Di questi 29 paesi,19 sono paesi emergenti o in viadi sviluppo. Secondo lo studiodell’ISAAA, una organizzazionefinanziata dalle multinazionalidelle sementi, il 90 per centodei 15,4 milioni di contadini nel mondo che coltivano piantegeneticamente modificate ap-partiene alla popolazione ruralepovera dei paesi in via di svi-luppo. I dieci paesi coltivatoripiù importanti attualmente sonogli USA (66,8 milioni di ettari),il Brasile (25,4), l’Argentina(22,9), l’India (9,4), il Canada(8,8), la Cina (3,5), il Paraguay(2,6), il Pakistan (2,4), il Sud-africa (2,2) e l’Uruguay (1,1). www.isaaa.org

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Ogni anno nei paesi del Sud milioni di tonnellatedi cereali vanno persi dopo i raccolti perché con-servati in condizioni inappropriate. Uccelli, rodi-tori, insetti, funghi e muffe possono distruggere finoal 30 per cento della produzione. La DSC ha preso in mano il problema fin dagli anni ’80, lan-ciando in quattro paesi dell’America centrale il programma Postcosecha (post-raccolto) con il qua-

La creatività, motoredello sviluppoLa cooperazione allo sviluppo sostiene da tempo la diffusionedi innovazioni finalizzate alla lotta contro la povertà. In passa-to ha soprattutto investito in tecnologie confacenti alle esi-genze delle popolazioni. Oggi la soluzione dei problemi del Sud passa anche per approcci, metodi o processi innovativi. Di Jane-Lise Schneeberger.

le sostiene la realizzazione e la diffusione di silosdestinati al magazzinaggio dei fagioli e del grano-turco, le due derrate di base. Circa 900 lattonierihanno imparato a fabbricare questi container er-metici in lamiera d’acciaio galvanizzato. Oggi nel-le campagne dell’America centrale i silos ammon-tano ad oltre 560 000 e sono parte integrante delpaesaggio. Quest’innovazione ha fornito agli arti-

In un mercato nel Nepal un esperto esamina una pianta per suggerire ai contadini locali il trattamento adeguato

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Innovazione

giani una fonte di reddito supplementare e ha mi-gliorato considerevolmente la sicurezza alimenta-re dei piccoli contadini. Oggi migliaia di famiglierurali possono conservare i raccolti per almeno unanno senza rischi, disponendo così di una riservapermanente di cibo. Inoltre, sono libere di vende-re le eccedenze in qualsiasi momento dell’anno,mentre prima dovevano necessariamente smaltirlesubito dopo il raccolto, quando i prezzi erano piùbassi.

Le premesse del successo Forte del successo in America centrale la DSC statrasferendo i silos in tre paesi africani. «Quando unatecnologia si dimostra in qualche modo valida, cer-chiamo di diffonderla quanto più possibile affin-ché vada a vantaggio di altri paesi. Non è necessa-rio reinventare la ruota ogni volta», osserva RetoWieser, capo della divisione DSC Conoscenze eprocessi di apprendimento. L’oggetto non viene re-plicato tale e quale, ma adattato alle particolaritàdell’agricoltura africana. L’adattamento al contesto locale è infatti un crite-rio essenziale di messa in opera delle innovazioni,che devono inserirsi nella vita economica, socialee culturale della popolazione in maniera sosteni-bile e durevole. Occorre anche fare in modo chenon abbiano impatti negativi sull’ambiente. Altraesigenza fondamentale: la nuova dotazione deve ri-

In diversi Stati dell’America centrale, dagli anni ’80, migliaia di famiglie sono riuscite a migliorare i loro introiti e la propriasicurezza alimentare grazie allo sviluppo di appositi silos per la conservazione del raccolto

spondere a una necessità espressa dalla popolazio-ne. «Se paracadutata dall’esterno, un’innovazione èvotata al fallimento. Occorre immaginarla, elabo-rarla e attuarla con la comunità che la utilizzerà»,spiega Peter Messerli, direttore del Centro per losviluppo e l’ambiente (CDE) dell’Università di

Berna. Anche gli aspetti inerenti alla gestione han-no un ruolo chiave, in particolare se si tratta di at-trezzature collettive. Occorre definire chi ne ga-rantirà la manutenzione, chi le riparerà e, se ne-cessario, come saranno riscosse le tasse d’uso.

Innovazioni inadeguateSin dall’inizio, nell’intento di ridurre la povertà lacooperazione allo sviluppo ha cercato di promuo-vere qualunque tipo di innovazione. Ma questi sfor-

Tecnologie stagnanti I ricercatori africani lavo-rano alla messa a punto di prodotti in grado dicombattere i mali che col-piscono il continente,come la povertà o le ma-lattie infettive. Fannospesso scoperte molto in-teressanti, ma purtroppomolti di questi lavori purpotendo salvare molte vitenon varcano la soglia deilaboratori. Un istituto di ricerca canadese, ilMcLaughlin-RotmanCentre for Global Health,ha catalogato 25 inven-zioni africane molto pro-mettenti in ambito medico– come strumenti econo-mici di diagnosi, medicinea base di piante locali o at-trezzature. Ad esempio, unlaboratorio ugandese haconcepito un inceneritoreportatile di rifiuti medici.Ma la mancanza di finan-ziamenti impedisce diomologare, fabbricare ecommercializzare questiprodotti.

«Se paracadutatadall’esterno,

un’innovazione è votata al

fallimento».

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zi non hanno sempre rispettato i criteri di uno svi-luppo sostenibile. Negli anni ’70 e ’80 alcuni pae-si europei hanno consegnato all’Africa migliaia ditrattori che non hanno tardato ad arrugginire aimargini dei campi: danneggiavano il suolo, il car-burante costava troppo ed era difficile ripararli sulposto. In altri casi l’innovazione è risultata effica-ce sul piano tecnologico, ma con effetti perversi inaltri settori. Le sementi migliorate della Rivolu-zione verde, ad esempio, hanno permesso di au-mentare la resa, ma richiedevano un uso elevato diconcimi e pesticidi. Molti contadini poveri del Sudsi sono indebitati per acquistare questi prodotti co-stosi – che tra l’altro hanno anche avuto un im-patto molto negativo sull’ambiente. Un’innovazione può fallire anche laddove urta lecredenze o le abitudini della popolazione. Le zan-zariere impregnate di insetticida costituiscono unenorme progresso nella lotta contro la malaria. Main taluni paesi africani la gente aveva paura di dor-mire sotto un telo bianco, associato ai drappi fu-nebri. La prevenzione si è accelerata quando si èiniziato a distribuire zanzariere colorate. Anche se è stata correttamente concepita e prepa-rata, ogni innovazione comporta una parte di ri-schio. È il risultato di un processo che richiede mol-to tempo e mobilita risorse importanti senza cheil risultato sia garantito. Per la DSC, questo rischiova assunto – traendo i dovuti insegnamenti daglieventuali insuccessi.

Attrezzature semplici e poco costose Le innovazioni non nascono soltanto in laborato-ri di ricerca. Molte sono messe a punto da artigia-ni, contadini e imprenditori. «L’essere umano nonè mai tanto inventivo come quando è con le spal-le al muro. Di fronte a un problema concreto, purdi migliorare la sua situazione si spreme le menin-gi e supera se stesso», osserva Patrick Kohler, co-autore di Guide des innovations pour lutter contre lapauvreté. È la crescente penuria d’acqua, ad esem-pio, che ha condotto ad elaborare sistemi di mi-croirrigazione per sgocciolamento.

In Africa occidentale l’Istituto tropicale svizzero ha lan-ciato campagne di vaccinazione congiunte per le famiglienomadi e le loro greggi

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Innovazione

Concetti da non confondere Si ha tendenza a confon-dere scoperta, invenzionee innovazione. Pur basan-dosi tutti sulla cono-scenza, questi concettisono distinti. La scopertaresta generalmente nel-l’ambito puramente teo-rico, ma può alimentarealtre ricerche. L’invenzioneindica il metodo, la proce-dura o il prodotto messi apunto, basandosi su unascoperta, per soddisfareuna necessità precisa –ma non valica la fase delprototipo. Per essere utilenella pratica un’invenzionedeve essere convalidata,poi prodotta su scala in-dustriale e commercializ-zata. È soltanto allora chesi trasforma in innovazione.

Patrick Kohler ha recensito cento innovazioni chehanno aumentato il reddito o migliorato le condi-zioni di vita delle popolazioni. Una settantina sonotecnologie dette appropriate: a buon mercato e fa-cili da utilizzare, sono realizzate da artigiani del Sudcon materiali locali. Il libro cita in particolare mol-ti apparecchi che sfruttano l’energia solare (forni,frigoriferi, scaldaacqua ecc.), pompe, latrine, siste-mi di filtraggio dell’acqua, un apparecchio per re-cuperare l’acqua piovana, strumenti medici, attrez-

zi ecc. L’altra trentina di innovazioni citate provie-ne dal Nord ed è un po’ più sofisticata. Vi si trovanofra l’altro una mini centrale idroelettrica e un ge-

neratore solare. «Queste tecnologie offrono una so-luzione temporanea a necessità impellenti del Sud.Ma si può immaginare che a lungo termine i pae-si poveri non siano più tributari del Nord», notaPatrick Kohler. Per il momento, questi Stati dedi-cano alla ricerca e all’innovazione una parte anco-ra infima dei loro bilanci.

Oltre la tecnologiaSe il termine di innovazione fa inevitabilmentepensare a delle tecnologie è perché queste ultimehanno un impatto visibile e immediato. Ma la real-tà è molto più ampia, come spiega Albrecht Eh-rensperger, ricercatore presso il CDE: «L’innova-zione offre una soluzione nuova a un problema.Questa soluzione può essere tanto un prodotto te-cnico quanto un approccio, un processo, una strut-tura o anche una norma istituzionale». La messa a punto del concetto «One Health», adesempio, è un’innovazione istituzionale che hapermesso di migliorare la salute delle famiglie no-madi in Africa occidentale. In precedenza i gover-ni locali si limitavano a inviare veterinari presso inomadi, con il risultato che le greggi erano vacci-nate, ma non i bambini. I ricercatori dell’Istitutotropicale svizzero hanno proposto di togliere la di-visione tradizionale tra medici e veterinari e orga-nizzare campagne di vaccinazione congiunte. Que-

«La soluzione può essere tanto un prodot-to tecnico quanto un

approccio, un processo,una struttura o una

norma istituzionale».

In taluni paesi africani le zanzariere bianche incutevano paura perché evocavano drappi funebri. La prevenzione si è accelerata, quando si è iniziato a distribuire zanzariere colorate

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Nuovamente in vogaIl movimento delleTecnologie Appropriate(TA) è nato agli inizi deglianni ’70. Denunciando il fallimento dei transferNord-Sud di tecnologie industriali, l’economista tedesco Ernst FriedrichSchumacher ha propostodi elaborare strumenti confacenti alle esigenze dei paesi poveri: semplici,poco costosi, rispettosidell’ambiente e realizzabilisul posto con materiali lo-cali. Le agenzie di sviluppohanno aderito a questa filosofia finanziando lamessa a punto di nume-rose TA. Verso la metà degli anni ’90 se ne sonotuttavia discoste, privile-giando approcci meno te-cnici. Da allora il movimentoha subito un netto rallenta-mento. Ma oggi pare vi sianuovamente interesse perle TA. La rarefazione dellerisorse conferisce un sensoa questo tipo di tecnologiarispettosa dell’ambiente.

sto principio si è poi diffuso in altre regioni delmondo. A fronte di 925 milioni di affamati nel mondo, l’a-gricoltura è uno dei settori con la necessità d’in-novazione più acuta. Con il sostegno della DSC, ilCentro internazionale per l’agricoltura e le scien-ze biologiche (CAB International) ha lanciato un’i-niziativa originale: creare in quaranta paesi in viadi sviluppo una rete di «fitocliniche» collegate a unabanca dati centrale. Una volta alla settimana, dei«medici» si recano ai mercati per visite di consul-tazione. Se un contadino vede che le sue piantesono malate o devastate, preleva un campione e losottopone all’esperto, che esprime una diagnosi esuggerisce la cura.

Partenariati indispensabili Le grandi sfide attuali – come la crisi alimentare, imutamenti climatici e le pandemie – sono estre-mamente complesse. Per trovare delle soluzioni oc-corre combinare competenze diverse. «Sono pas-sati i tempi in cui uno specialista lavorava da solonel suo ufficio», assicura Reto Wieser. «Oggi l’in-novazione emerge nel quadro di progetti di colla-borazione. Il ruolo di un’agenzia di cooperazioneè riunire gli specialisti di varie discipline e gestirein modo ottimale quest’alleanza». In Bolivia, ad esempio, la DSC sta elaborando un

sistema innovativo di microassicurazione per pic-coli contadini. A tale scopo collabora con alcunecompagnie private, le organizzazioni contadine e

le autorità regionali che sovvenzioneranno partedei premi. Finora i contadini non avevano la ben-ché minima copertura e si ritrovavano sprovvisti di tutto in caso di malattia prolungata o se una sic-cità distruggeva il raccolto.

Coabitazione tra uomo ed elefante Anche gli ambienti accademici dovranno cambia-re. «I ricercatori devono uscire dalle loro torri d’a-vorio e aprirsi al dialogo con tutte le parti coin-volte», insiste Peter Messerli. Il CDE, di cui la DSCfinanzia alcune attività, lavora già secondo questa

In Kenia, dove gli elefanti saccheggiano le colture e arrivano anche ad uccidere gli abitanti – i pachidermi sono stati forniti di collari GPS che segnalano il loro arrivo nelle zone agricole

«Non ci sono soluzionimiracolose ai problemiattuali dello sviluppo.La tecnologia da sola

non basta più».

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Innovazione

logica. Collabora con le popolazioni per definirele necessità, testare approcci innovativi e concre-tizzarli. Nella maggior parte dei casi le ricerchesono interdisciplinari. «Non ci sono soluzioni mi-racolose ai problemi attuali dello sviluppo. La te-cnologia, da sola, non basta più. Occorre conside-rare anche aspetti istituzionali, economici, socialied ecologici». Numerosi progetti del CDE illustrano la necessitàdi combinare queste varie dimensioni. Uno di

questi è realizzato nella zona di Laikipia, nel Ke-nia, dove gli elefanti saccheggiano le colture e ar-rivano anche ad uccidere gli abitanti. I contadini sivendicano abbattendo i pachidermi e rischiandocosì una multa. Per lenire questo conflitto i ricer-

catori hanno combinato diversi metodi tradizio-nali, fra cui delle siepi di peperoncino, con tecno-logie più moderne: gli elefanti sono forniti di col-lari GPS che segnalano il loro arrivo nelle zoneagricole. Il progetto ha anche organizzato un si-stema di comunicazione tra agricoltori, polizia eautorità responsabili della fauna. Parallelamente la-vora alla spinosa questione dei diritti fondiari e aun sistema di indennizzo dei contadini. ■

(Tradotto dal francese)

«I ricercatori devonouscire dalle loro torri

d’avorio e aprirsi al dialogo con tutte le parti coinvolte».

Un metodo tradizionale per tenere lontani gli elefanti con-siste nell’ungere le siepi con il peperoncino

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Quante innovazioni ha diffuso il Centro dal-la sua creazione avvenuta nel 1982?Una cinquantina. Una delle prime è stata la crea-zione di un nuovo tipo di focolare. Negli anni Ot-tanta tutte le donne cucinavano ancora accenden-do un fuoco tra tre pietre su cui appoggiavano iltegame – un metodo tradizionale che causa una for-te dispersione di calore e consuma molta legna. Perlimitare la deforestazione, il Centro ha concepito unfocolare meno avido di energia. Oggi oltre il 70 percento delle famiglie del Burkina Faso ne possiedeuno. Nello stesso intento abbiamo anche messo apunto degli scaldaacqua solari. Oggi se ne trovanosia nelle case private che negli alberghi, nelle ma-ternità e negli ospedali.

Quali delle vostre tecnologie sono in gradodi ridurre la povertà?Sviluppiamo molti strumenti professionali che per-

«Un solo mondo»: In che cosa consiste la mis-sione del CEAS Burkina?Charles D. Konseibo: Il nostro obiettivo è dasempre la lotta contro la povertà, coniugando eco-logia ed economia. A questo proposito sviluppia-mo innovazioni a basso costo e adatte al contestolocale allo scopo di risolvere un problema di svi-luppo o procurare un reddito al maggior numeropossibile di persone. Le attrezzature devono esseredi concezione sufficientemente semplice da con-sentire agli artigiani locali di poterle produrre. Ul-timati i test, invitiamo carpentieri, lattonieri edelettricisti a seguire un corso di due o tre settima-ne per imparare a costruire queste macchine o ap-parecchi. Gli artigiani sono i nostri partner privile-giati e i nostri agenti moltiplicatori. Sono loro chegarantiscono la promozione, la divulgazione e lacommercializzazione delle tecnologie messe a pun-to dal CEAS.

Tecnologie che cambiano la vita Da quasi trent’anni il Centro ecologico Albert Schweitzer delBurkina (CEAS Burkina) mette a punto e diffonde innovazionidestinate alla popolazione rurale. La fabbricazione e l’utilizzodi questi strumenti generano ricchezza in tutto il paese. Il re-sponsabile del Dipartimento delle tecnologie appropriate Char-les D. Konseibo a colloquio con Jane-Lise Schneeberger.

Charles DidaceKonseibo è specialista inenergie ed elettromecca-nica. Burkinabé, 47 anni,ha studiato presso l’Istitutopolitecnico di Krasnodar, inRussia, dove ha ottenutoun master of science in ingegneria industriale. Pertre anni ha insegnato elet-trotecnica ed elettronica al Politecnico di Bobo-Dioulasso, nel BurkinaFaso. Dal 1997 dirige ilDipartimento delle tecnolo-gie appropriate del CEASBurkina.

Le innovazioni – nell’immagine un pannello solare mobile – vengono dapprima testate e solo successivamente gli artigiani apprendono le tecniche di costruzione

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Innovazione

mettono ai contadini, alle piccole e medie impre-se (PMI) dell’agro-trasformazione e agli artigiani diaumentare la loro produzione, dunque il loro red-dito. L’elenco è lungo: dall’incubatrice per pulciniagli aratri, dal pastorizzatore di latte alla macchinaper la produzione di sapone. Su richiesta delle as-sociazioni femminili abbiamo concepito una zan-gola, ovvero un recipiente atto per la produzionedel burro di karité: centinaia di donne che eranoprive di un’attività lucrativa possono ora guadagnaredenaro producendo burro o sapone di karité. Ma ad avere il successo più eclatante è stato l’essic-

L’asse Neuchâtel-OuagadougouIl Centro ecologico AlbertSchweitzer (CEAS) delBurkina è stato creato nel1982. Fino all’anno scorsoquesto istituto di ricerca edi formazione rappresen-tava a Ouagadougou ilCEAS che ha sede aNeuchâtel. Oggi è un’as-sociazione indipendente di diritto burkinabé. Fra isuoi 35 collaboratori visono una quindicina di ingegneri e tecnici. Ognianno il CEAS Burkina ac-coglie quasi 600 tiro-cinanti. La vecchia «casamadre» rimane un pre-zioso partner tecnico e fi-nanziario e si occupa an-che di commercializzare inEuropa prodotti fabbricatisul posto, come i manghiessiccati, l’aceto di mangoo il burro di karité. www.ceas-ong.net

catoio per la frutta. Negli anni Ottanta i manghimarcivano ai piedi degli alberi perché non c’eranosbocchi commerciali. Scoraggiati i proprietari deifrutteti estirpavano i manghi per coltivare grano-turco. Il CEAS ha realizzato un essiccatoio solare,poi uno a gas. Delle imprese hanno iniziato ad es-siccare il mango. In pochissimo tempo la domandainternazionale è esplosa. Oggi nel Burkina 580 es-siccatoi lavorano a pieno regime, e ogni anno espor-tiamo quasi 500 tonnellate di manghi essiccati.Questa innovazione ha creato impieghi e ricchez-za lungo l’intera filiera: gli agricoltori vendono lafrutta a buon prezzo, mentre prima non guadagna-vano nulla; i carpentieri hanno un buon marginedi guadagno sulla fabbricazione degli essiccatoi; eogni unità di essiccazione impiega almeno quindi-ci dipendenti, soprattutto donne.

Tutte le vostre innovazioni sono di natura te-cnologica?Sono per lo più basate sulla tecnologia, ma natu-ralmente non si limitano alle macchine. Per esem-pio, l’essiccazione di frutta e verdura è un pacchet-to tecnologico completo che comprende ancheistruzioni sulla durata dell’operazione e il grado d’u-midità ecc. I futuri essiccatori seguono dei corsi

presso il nostro istituto. Il CEAS sostiene anche icontadini, gli orticoltori e i cotonieri desiderosi dilanciarsi nella produzione biologica. Abbiamo ela-borato un pacchetto che comprende differenti pra-tiche di coltura, un metodo di fertilizzazione tra-mite compostaggio e un insetticida naturale.

Come si sono evoluti i bisogni? L’allevamento ad esempio è diventato intensivo. Glianimali non brucano più l’erba dei pascoli, ma re-stano per lo più nelle aziende agricole. Occorredunque stoccare una gran quantità di foraggio. Il

CEAS ha inoltre accompagnato l’emergenza delsettore agroalimentare. I fabbricanti avevano biso-gno di serbatoi d’acciaio inossidabile, una lega an-cora poco conosciuta in Burkina. Uno dei nostrigruppi ha lavorato in modo specifico sull’inox.Oggi i supermercati propongono marmellate, ace-to e vini del Burkina, mentre trent’anni fa si con-sumavano soltanto prodotti importati.

La vostra associazione è finanziata per l’85per cento da donatori europei. L’Africa è ingrado di sviluppare le sue innovazioni?Sul piano del potenziale umano, senza dubbio. L’A-frica conta molti ricercatori estremamente compe-tenti. Credo anche che disponga dei mezzi finan-ziari. Ma quando si tratta di investire nella ricerca,e soprattutto nella divulgazione dei risultati, ci di-cono che i soldi non ci sono. A mancare, però, è so-prattutto la volontà politica. Se i governi sbloccas-sero i fondi necessari, l’Africa potrebbe elaboraretutte le tecnologie di cui ha bisogno. Nel frattem-po resta ampiamente tributaria delle innovazioni delNord, che non sono sempre adattate al suo livellodi sviluppo. ■

(Tradotto dal francese)

Lo sviluppo di strumenti professionali e macchinari nuovi, per esempio per la produzione del burro di karaté o per il pom-paggio dell’acqua, serve a creare posti di lavoro e introiti supplementari

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( jls) Negli anni ’50 e ’60 l’Asia ha attraversato pe-riodi di grave penuria alimentare. Per aumentare ilrendimento della produzione agricola ha dunquefatto appello alla scienza e alla tecnologia. L’Istitu-to internazionale di ricerche sul riso (IRRI), crea-to nelle Filippine nel 1960, ha messo a punto nuo-ve varietà di riso ad alto rendimento che si sono poiampiamente diffuse. Per essere efficaci queste se-menti richiedevano lo spargimento intensivo diconcime e di pesticidi, l’estensione dell’irrigazionee la meccanizzazione del materiale agricolo. I ri-sultati sono stati spettacolari: il rendimento all’etta-ro del riso irrigato è quasi raddoppiato in tre de-cenni. Ma se da un lato ha ristabilito la sicurezzaalimentare, questa «Rivoluzione verde» ha ancheavuto effetti molto negativi sul piano sociale e am-bientale.

Una rivoluzione davvero verde Dall’inizio degli anni 2000 la resa sta nuovamente

Gli strumenti del risicoltoremodernoLa crescita demografica costringe l’Asia a produrre quantitàsempre maggiori di riso. Un’impresa ardua, infatti l’acqua si farara, le superfici coltivabili diminuiscono e la manodopera co-sta cara. Finanziato dalla DSC, un consorzio di ricerca mette apunto innovazioni semplici ed economiche che consentono aicontadini di migliorare la resa preservando l’ambiente.

calando e per rimanere al passo con la crescita de-mografica la produzione di riso dovrebbe nuova-mente aumentare di molti milioni di tonnellate ognianno. Ma la risicoltura è sempre più sotto pressio-ne: l’acqua si fa rara, le zone urbane intaccano i ter-reni agricoli, l’esodo rurale riduce la manodoperae i prodotti fitosanitari sono sempre più costosi. Oggi l’Asia ha bisogno di una nuova rivoluzioneverde, ma questa volta deve essere più sostenibile.«La ricerca agronomica deve fornire ai contadinitecnologie che non danneggiano l’ecosistema eche migliorano le loro condizioni di vita», spiegaCarmen Thönnissen, consulente per il programmaglobale Sicurezza alimentare della DSC. È con que-sta convinzione che è nato nel 1997 il Consorziodi ricerca sul riso irrigato (IRRC). Sostenuto dal-la DSC fin dalla sua creazione, il Consorzio riuni-sce l’IRRI e undici paesi asiatici. Questo partena-riato mette a punto innovazioni molto semplici chepermettono di aumentare la produzione utilizzan-

Il continente del riso Grazie a un clima caldo eumido l’Asia garantisce il90 per cento della produ-zione di riso nel mondo.Conta oltre 200 milioni diaziende risicole, la maggiorparte delle quali con unasuperficie inferiore all’et-taro. La risicoltura dà da vi-vere a diverse centinaia dimilioni di lavoratori poveri.Solo una piccola partedella produzione è espor-tata, il resto è consumatosul posto. Gli asiatici man-giano in media 80 kg diriso pro capite all’anno. Il record è detenuto dalMyanmar, con oltre 200 kgper abitante. A titolo di pa-ragone, la media si situatra 40 e 60 kg pro capite in Africa subsahariana e inAmerica latina ed è inferiorea 10 kg nei paesi industria-lizzati.

Confrontando le gradazioni cromatiche con il colore delle pianticelle di riso, al contadino basta un’occhiata per deter-minare l’eventuale fabbisogno di sostanze nutritive

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Innovazione

I piedi nell’acqua La risicoltura irrigata è il metodo di coltivazionepiù diffuso sul pianeta:occupa il 55 per centodelle superfici e garan-tisce il 75 per centodella produzione mon-diale. In questo procedi-mento le parcelle sonocircondate da piccoledighe in terra che trat-tengono l’acqua addottada condutture. Il conta-dino coltiva i piantoni invivaio, li trapianta nelsuolo umido, poi inondail terreno e aggiunge re-golarmente acqua permantenerla a un certo livello. Il rendimentoall’ettaro è quasi quattrovolte superiore a quellodelle risaie alimentatesoltanto con acqua pio-vana, ma i volumi d’ac-qua utilizzata sonoenormi: per produrre unchilo di riso ne occor-rono più di 2000 litri. Ma questa risorsa si staesaurendo. Secondo le stime, entro il 2025 20 milioni di ettari di risaie irrigate soffrirannodella penuria d’acqua.

do meno acqua, concimi e manodopera. Svariatemigliaia di risicoltori le utilizzano già.

Evitare gli sprechi d’acqua e di concime Una di queste tecnologie alterna fasi secche e fasid’inondazione delle risaie. Le ricerche hanno di-mostrato che il riso ha bisogno di essere immersoin modo permanente soltanto durante la fioritura.Il resto del tempo, basta irrigare il campo quandol’acqua scende oltre 15 cm sotto il livello del suo-lo. Per misurare il livello dell’acqua sotterranea ilcontadino pianta nel suolo un tubo graduato svi-luppato dai ricercatori per questo scopo. Utilizzan-do questo metodo si produce la stessa quantità diriso risparmiando dal 15 al 30 per cento d’acqua. Il consorzio studia anche la fertilità del suolo. In par-ticolare, ha messo a punto uno strumento che per-mette di dosare meglio l’uso di concimi. Si tratta diun nastro di plastica con molteplici sfumature di ver-de corrispondenti al tasso d’azoto nella pianta. Con-frontando queste gradazioni cromatiche con il co-lore delle pianticelle di riso, al contadino bastaun’occhiata per determinare l’eventuale fabbisognodi sostanze nutrienti. «Generalmente i risicoltorispargono troppi concimi. Con questo strumento neutilizzano esattamente la quantità necessaria – conun evidente vantaggio in termini economici e am-bientali», spiega Carmen Thönnissen. La paletta dicolori costa 1 dollaro.

Ridurre le perdite prima e dopo i raccolti L’IRRC propone anche soluzioni ecologiche perpreservare le risaie dai ratti che divorano le pianti-ne. Ad esempio, un metodo consiste nel coltivareuna piccola parcella prima delle altre recintandolacon una barriera dotata di botole. Attirati da que-sto festino i roditori rimangono intrappolati, e icontadini possono eliminarli.

Anche per ridurre le importanti perdite dopo i rac-colti sono state elaborate diverse tecnologie. Un ap-parecchio essicca il riso in modo più uniforme cheesponendolo al sole. Vari sistemi di stoccaggio er-metici lo proteggono dall’umidità, dai roditori e da-gli insetti. Uno di loro è il «superbag», un sacco ven-duto a 1,50 dollari che può contenere fino a 50 chi-li di riso. Il consorzio propone anche la semina diretta: inve-ce di trapiantare uno dopo l’altro i piantoni, il con-tadino semina direttamente il suolo bagnato utiliz-zando una seminatrice a tamburo. Questo metodorichiede meno manodopera, acqua e sementi ri-spetto al trapianto.

L’ultimo miglio L’elaborazione di queste tecnologie tanto sempliciquanto perspicaci ha richiesto spesso decine d’an-ni di ricerca. Per la DSC era essenziale che il consorzio producesse soluzioni concrete a prezzi accessibili. «Non basta che i ricercatori trovinoun’idea brillante», osserva Carmen Thönnissen. «Bi-sogna avvalorare la scoperta sul campo e renderlaun’innovazione utilizzabile nella pratica. Sovente ifinanziatori sostengono la ricerca di base e applica-ta, ma ‘dimenticano’ di finanziare questa tappa cru-ciale tra il ricercatore e l’utilizzatore finale». Per que-sto motivo l’IRRC ha il mandato di portare a buonfine l’intero processo. Dopo aver messo a punto unatecnologia, i ricercatori la testano e l’adattano alleesigenze locali. Servizi di divulgazione agricola dif-fondono in seguito queste innovazioni. Oltre alleclassiche istruzioni per l’uso, il consorzio elabora si-stemi di supporto che i contadini e i divulgatoripossono consultare da un computer o un telefonocellulare. ■

(Tradotto dal francese)

Soluzioni ecologiche per preservare le risaie dai ratti, ma anche sistemi di supporto consultabili da un telefono cellulareaiutano i contadini a ottimizzare il raccolto

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( jls) Le cifre sono sconcertanti: nei paesi in via disviluppo il consumo di acqua sporca uccide unbambino ogni venti secondi. Per di più, gli abitan-ti di molte regioni costiere non possono bere l’ac-qua proveniente dalle falde sotterranee poiché l’ec-cessivo sfruttamento delle risorse idriche favoriscel’infiltrazione d’acqua salina. Eppure esistono te-cnologie molto efficaci derivate dalle nanoscienzeche permetterebbero di migliorare l’accesso all’ac-qua potabile per le popolazioni povere: una di esseè la filtrazione per membrana. Da molti anni que-sto metodo è utilizzato a livello industriale sia perdesalinizzare l’acqua di mare o salmastra, sia per pu-rificare acque inquinate. Dato il costo elevato, ini-zialmente questa tecnica era appannaggio esclusi-vo dei paesi industrializzati.

L’anello mancanteIn Svizzera una decina di start-up ha però realiz-zato sistemi a membrana che dovrebbero essereadeguati alle capacità finanziarie delle popolazio-ni rurali povere. Svariati prototipi sono già statimessi a punto – il meno caro potrebbe avere uncosto di produzione di circa mille franchi. Arriva-te a questo punto le imprese si trovano però con-frontate alla carenza di finanziamenti, come spiega

Le nanotecnologie al servizio dei più poveri

François Münger, direttore della sezione DSC Ini-ziative acqua: «In Svizzera l’amministrazione pub-blica finanzia la ricerca, e fondi privati etici posso-no assumere la produzione industriale di simili in-novazioni. Ma gli ideatori non hanno i mezzi peravvalorare le potenzialità dei loro modelli nellezone rurali dei paesi in via di sviluppo».In collaborazione con istituti specializzati la DSCintende ora colmare questa lacuna finanziaria. Ognianno cofinanzierà l’implementazione delle due otre iniziative più promettenti. «Vogliamo metterel’alta tecnologia e le capacità d’innovazione dellaSvizzera al servizio dei poveri», spiega FrançoisMünger. Il processo di convalida non interesserà soltanto gliaspetti tecnici, ma anche la fattibilità socioecono-mica. Le imprese devono infatti determinare chi ac-quisterà o affitterà le apparecchiature, chi le ripa-rerà, chi venderà l’acqua nei villaggi, e soprattuttoa quale prezzo. «È la sfida più ardua. Ogni anellodella catena deve coprire le proprie spese, altrimentiil sistema non funziona. Inoltre, occorre conside-rare il bassissimo potere d’acquisto dei consuma-tori». ■

(Tradotto dal francese)

Diversi imprenditori sociali svizzeri intendono migliorare l’ac-cesso all’acqua potabile per le popolazioni rurali del Sud. In par-ticolare hanno messo a punto sistemi di filtraggio basati sullenanotecnologie. La DSC darà loro la possibilità di testare que-sti modelli sul campo e dimostrare che possono fornire acquapura a un costo accessibile.

Filtro totale La filtrazione per mem-brana non richiede alcunaaggiunta di prodotti chimici.Le sostanze inquinantisono estratte dall’acquamediante una membranadotata di microscopici pori.Esistono svariati sistemi,che si distinguono soprat-tutto per le dimensioni deipori. La microfiltrazionetrattiene le particelle delledimensioni dei batteri.L’ultrafiltrazione va più lontano ed elimina anche i virus. La nanofiltrazioneblocca in particolare i ni-trati, i pesticidi e i prodottichimici. La filtrazione perosmosi inversa è quella piùefficace: la sua membranaè capace di far barriera al99 per cento dei solidi di-sciolti e in sospensionenell’acqua, compreso ilsale, il che la rende il siste-ma ideale per la desaliniz-zazione dell’acqua di mare.La maggior parte dei pic-coli sistemi come quelliche saranno sostenutidalla DSC funziona adenergia solare.

Nel Senegal si testa sul campo un sistema di filtrazione a membrana sviluppato in Svizzera

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Innovazione

Cifre e fattiAlcune cifre chiave

Mediamente i paesi dell’Africa subsahariana (Sudafrica escluso) investono nella ricerca e nello sviluppo (R&S) soltantolo 0,3 per cento del prodotto interno lordo contro il 2,3 percento dei paesi industrializzati.

La quota della spesa R&S mondiale dei paesi in via di sviluppoè passata dal 2 per cento nel 1970 al 24 per cento nel 2007, maquesto aumento è dovuto soprattutto industrializzati a pochipaesi emergenti.

I paesi industrializzati concentrano il 62 per cento degli effettivimondiali di ricercatori e la Cina il 20 per cento. Per contro,l’India non rappresenta che il 2,2 per cento del totale mondiale,l’America latina il 3,5 per cento e l’Africa il 2,2 per cento.

La fuga di cervelli riduce le capacità d’innovazione di numerosipaesi in via di sviluppo. Nel 2009, almeno un terzo dei ricerca-tori africani lavorava fuori dal proprio paese.

Fonti d’informazione

Patrick Kohler e Daniel Schneider, Guide des innovations pourlutter contre la pauvreté, 2010, ed. Favre, Losanna, non è disponibile in italiano

Calestous Juma, The New Harvest - Agricultural Innovation inAfrica, 2010, Oxford University Press, non è disponibile in italiano

Erika Kraemer-Mbula e Watu Wamae, Innovation and theDevelopment Agenda, 2010, OCDE/CRDI, non è disponibile in italiano

La Revue durable, «Des technologies appropriées pour laconstruction, l’eau et la santé», n. 19, febbraio-marzo 2006, non è disponibile in italiano

UNESCO, Rapporto sulla scienza 2010, www.unesco.org,«Sciences naturelles», «Publications»

Innovation, durabilité, développement: un nouveau manifeste,2010, centro STEPS, Università del Sussex: www.anewmanifesto.org/manifesto_2010/

Rete Scienze e sviluppo di Londra, www.scidev.net

Densità di ricercatori nel mondoIl grafico illustra il numero di ricercatori per milione di abitanti nei principali paesi del mondo nel 2007(o ultimo anno disponibile). Fonte: Istituto di statistica dell’UNESCO, Montreal, 2010.

0 -100 per milione

101-300 per milione

301-1000 per milione

1001-2000 per milione

2001 per milione e oltre

dati non disponibili

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«Ho aperto il mio laboratorio di sartoria nel 1991.Con il nuovo regime, i giovani diplomati nei pri-mi tre anni di attività erano esonerati dall’imposta.Prima a casa avevo una macchina da cucire», rac-conta Afou Dembélé, proprietaria di una piccolabottega a Bamako, nella capitale. «Ho due diplomi,uno in tecnica bancaria e uno in medicina veteri-naria. Ma a quell’epoca, gli stipendi dei quadri era-no veramente minimi».Il «nuovo regime» è stato istituito a seguito del col-po di Stato del 26 marzo 1991, che ha portato allacaduta del generale Moussa Traoré e ha introdottola democrazia multipartitica. Nell’obiettivo di ri-lanciare l’economia martoriata da 23 anni di ditta-tura militare, il nuovo governo ha attuato diversemisure per promuovere l’impiego.

Macchine cinesi per le sarte maliane «Prima guadagnavo molti soldi», ricorda la sarta. «Lemacchine da ricamo venivano dall’Europa ed era-no molto care – costavano circa un milione diFCFA (CHF 1930) –, e dunque la concorrenza eraquasi inesistente». Con l’arrivo delle macchine ci-nesi da 300 000 FCFA (CHF 580), numerosi sartisono stati incoraggiati a lanciarsi sul mercato, so-prattutto a Bamako. Nella capitale i laboratori di sar-toria si susseguono uno dopo l’altro, su tutte le prin-cipali strade di transito e fin nelle piccole stradineche attraversano i quartieri. «Mio marito, rientrando da un corso di formazio-ne in Italia, è tornato a casa con una macchina daricamo», precisa l’imprenditrice. Afou Dembélé hainiziato la sua attività venti anni fa con una mac-

Tessuti europei per le bellezzemaliane

È il terzo produttore di cotone in Africa, eppure il Mali importaquasi il totale dei suoi tessuti. Il basino, un tessuto molto ap-prezzato nonostante il prezzo elevato, è fabbricato in Europaappositamente per l’Africa occidentale. Un’importante perditadi entrate per questo paese povero. Solo i commercianti e i sar-ti riescono a guadagnarci, ma la crisi oramai ha ridotto anchei loro margini. Di Katja Remane*.

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Mali

china e quattro apprendisti. Oggi possiede duemacchine da cucire e due da ricamo – tutte cine-si. Impiega quattro sarti e un apprendista. Suo ma-rito è deceduto nel 2003. Grazie al suo laboratoriodi sartoria, la vedova 55enne è riuscita a finanziaregli studi delle sue tre figlie di 29, 22 e 13 anni. Tut-tavia, a causa del rincaro generalizzato dilagante inquesti ultimi anni, è stata costretta a ridurre i mar-gini, visto che le sue vecchie clienti non erano di-sposte a pagare di più. Ma «ci si rifà con il ricamo».Anche in tempi di crisi, il suo commercio le fruttapiù di quanto guadagnerebbe esercitando una fun-zione pubblica.

Basso livello d’istruzione Figlia di agricoltori, Afou Dembélé è venuta a Ba-mako per studiare. La capitale maliana è l’unica cit-tà universitaria del paese. È cresciuta «fuori dal cen-tro», a Sikasso, una città a 375 km da Bamako. Que-sta regione straordinariamente fertile situata nelsud del Mali, è il cuore della produzione agricola edel cotone. Il padre di Afou, agricoltore e tessitore,aveva quattro mogli e 30 figli. In questo paese pre-valentemente musulmano la poligamia è all’ordinedel giorno. «A Sikasso si facevano tanti figli per ave-

re abbastanza manodopera. Durante l’inverno, dagiugno a settembre, tutta la famiglia lavorava neicampi. Papà coltivava il miglio e il fonio, mentremamma si dedicava al riso e all’orto», racconta AfouDembélé. Dalla madre ha appreso le basi del pic-colo commercio e dal padre ha imparato come la-vorare i tessuti. «Papà mandava a scuola solo i ra-gazzi. Ho pianto per poterci andare anch’io. Finchéalla fine mio padre ha ceduto», ricorda, mentre sirammarica del fatto che il livello scolastico nel Malisia deteriorato. Prima in una classe vi erano 30 al-lievi, oggi sono da 100 a 150. Le scuole sono spes-so chiuse, per via degli scioperi incessanti degli in-segnanti che rivendicano salari più alti. Inoltre, perarrotondare, i maestri pretendono una «mancia» daigenitori per promuovere i loro figli.

La passione dell’eleganza «La gente nel Mali ha pochi soldi, ma la passionedei bei vestiti. Vi sono delle madri che preparano ilbiberon per i loro bambini senza zucchero e senzalatte, ma escono di casa sempre vestite di tutto pun-to. Qui quel che conta è l’apparenza». La sarta at-tribuisce la causa di questo fenomeno alla mancan-za d’istruzione della popolazione. Alcune delle sue

Il Mali in cifre Superficie:1,24 milioni di km2

(30 volte la Svizzera)

Popolazione (nel 2009):14,5 milioni

Lingua ufficiale:francese

Lingue nazionali:bambara, bobo, bozo, dogon, peul, soninké, songhaï, sénoufo-minianka,tamasheq, hassanya,khassonké, madenkan etmaninkakan

Tasso di alfabetizza-zione degli adulti:26,2 per cento

Tasso di scolarizza-zione:46,9 per cento

Durata media della scolarizzazione:1,4 anno

Tasso di mortalità infantile:194 decessi su 1000 nascite

Aspettativa di vita:49,2 anni

Popolazione che vive al di sotto del livello dipovertà:51,43 per cento

Indice di sviluppo umano:al 160° posto su 169 paesi

La gente del Mali ama i tessuti colorati, ma meno di un per cento del cotone prodotto nel Mali viene lavorato e tinto in loco

Bamako

MaliMauritania

Guinea

Algeria

Niger

OceanoAtlantico

Burkina

Costad’Avorio

Senegal

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clienti le raccontano, colmi di soddisfazione, che illoro nuovo vestito ha attirato gli sguardi di tutti. Du-rante le feste religiose, i matrimoni e i battesimi, gliabitanti di Bamako si misurano in eleganza, sfog-giando i loro grandi «boubou» in basino tinto e ri-camato. Per ogni occasione ci vuole un abito nuo-vo. Prima della Tabaski, la festa del montone, i sar-ti triplicano o quadruplicano il loro reddito, madevono anche lavorare giorno e notte. Il laboratorio di sartoria della signora Dembélé èubicato all’entrata del mercato di Boulkassoum-bougou. «Questa posizione è importantissima, per-ché attira i clienti. In linea di massima, cucio su mi-sura, ma vendo anche vestiti già confezionati. Que-sto mi permette di occupare i miei sarti anchedurante i periodi morti», ci spiega. Una giovane ma-dre con il bambino sulla schiena entra nel labora-torio per provare uno dei modelli esposti all’entra-ta. Sceglie un vestito di basino riccamente ricama-to con un filo dorato e paga un acconto. Dice divoler essere più bella dell’altra moglie del marito.Fuori il mercato è animato, ma nella bottega leclienti sono rare: la festa del montone è solo all’i-nizio di novembre.

Concorrenza americana In campagna la situazione è diversa. Nei paesini lepersone non hanno tempo per mettersi in ghin-gheri. Indossano i loro vestiti più belli soltanto allefeste e portano lo stesso vestito anche più volte. Gliabitanti dei villaggi lavorano così tanto che nonhanno neanche il tempo di riposarsi, ricorda la sar-ta originaria di Sikasso. «Si fa il malocchio a chi amatroppo mettersi in mostra. È questa la ragione percui i giovani che s’istallano nella capitale non vo-gliono tornare in paese». L’Islam del Mali, pratica-to in maniera tollerante, ha integrato numerose pra-tiche animiste, in città come in campagna. Più di tre quarti della popolazione del Mali vive del-l’agricoltura. Nelle stagioni intermedie la gente sidedica al piccolo commercio e all’artigianato. Il co-tone è il primo prodotto di esportazione del Mali,seguito dall’oro e dal bestiame. Raccolto a mano, ilcotone dà lavoro a più di 3 milioni di persone. Laconcorrenza del cotone sovvenzionato dagli StatiUniti e le fluttuazioni dei prezzi mondiali hannoduramente colpito i produttori maliani, costretti adindebitarsi sempre più. Una minima parte del co-tone viene tessuta nel Mali secondo tecniche arti-gianali e tinta con i colori naturali come da tradi-zione centenaria.

Tessuti importati dall’Europa«Meno dell’un per cento del cotone prodotto inMali viene lavorato nel paese», precisa AmadouCoulibaly, direttore commerciale della Comatex, la

principale unità di trasformazione del cotone. Que-sta fabbrica produce filo da tessuto, cotone greggio,tinto o stampato, nonché cotone idrofilo e garze perle farmacie. I suoi prodotti in cotone sono vendu-ti nel Mali e nei paesi vicini. Tuttavia il 99 per cen-to dei tessuti commercializzati nel Mali è importa-to, il ché rappresenta un’importante perdita di gua-dagno per questo paese classificato fra i 10 paesi piùpoveri del mondo. Le stoffe più pregiate utilizzatedagli eleganti abitanti di Bamako sono i basini, ov-vero dei tessuti di cotone lavorati a effetto di spina,importati dalla Germania, dall’Austria o dalla Re-pubblica Ceca, venduti a 5000 - 5500 FCFA al me-tro (circa CHF 10). Per confezionare un abito perle feste ci vogliono circa 5 metri di tessuto per ledonne e 10 metri per gli uomini. Un ricamo sofi-sticato può raddoppiare il prezzo. Un abito festivoricamato per gli uomini equivale al salario mensi-le di base di un funzionario pubblico a Bamako.«In passato, anche la nostra fabbrica produceva il ba-sino, ma abbiamo dovuto smettere per via della con-correnza del pregiato basino proveniente dalla Ger-mania», si rammarica Amadou Coulibaly. AfouDembélé non ha mai cucito il basino maliano. «Eraancora prima di aprire il mio laboratorio, e ricor-do che il prodotto non era di buona qualità». ■

(Tradotto dal francese)

*Katja Remane, giornalista freelance, vive in Mali dal2006. È corrispondente di ATS, swissinfo.ch e vari altrimedia svizzeri.

L’oro bianco del MaliDopo numerosi anni dicrisi, nel 2010 il prezzomondiale del cotone haraggiunto un nuovo re-cord. Durante l’ultimacampagna agricola, il Maliha raccolto quasi 244 000 tdi semi di cotone, unaproduzione che equivalead un valore di 86 milionidi franchi svizzeri. Sullascia di questa ripresa, il governo ha deciso di rilanciare la produzione,malgrado l’importantefluttuazione dei corsimondiali e l’indebitamentoelevato dei produttori.Creata nel 1974 per ge-stire la filiera del cotone, la Compagnia maliana per lo sviluppo del tessile(CMDT) ora sta per essereprivatizzata. Per il 60 percento di proprietà delloStato maliano è per il 40per cento del gruppo fran-cese Dagris, la CMDT assicura la sgranatura dei semi di cotone, non-ché la commercializza-zione e l’esportazioni dellafibra di cotone. La CMDTfornisce ai produttori se-menti, concimi e pesticidi,anche a credito, ma an-che consigli in materia diagricoltura.

Nel Mali, il settore della produzione del cotone fornisce lavoro a tre milioni di persone

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Mali

«Oggi ho in programma un importante viaggio dilavoro a Timbuktu. Qui, nel Mali, la DSC è attivasoprattutto nell’ambito dello sviluppo rurale, maanche dell’urbanizzazione. I viaggi di lavoro sonoimportanti, perché ci permettono di conoscere larealtà del paese, così come si presenta fuori dallemura dell’ufficio di cooperazione. Per me signifi-ca che oggi devo alzarmi davvero di buon’ora – lasveglia suona alle cinque. Prendo un caffè e doun’occhiata su Internet. Alle 5.45 l’autista è già fermo davanti a casa peraccompagnarmi all’aeroporto. Dopo tre ore divolo lungo il corso del Niger atterriamo a Tim-buktu. Uscendo dall’aeroporto mi soffia in facciaun vento caldo e carico di sabbia. Due dei mieicollaboratori hanno fatto il viaggio in auto e ven-gono a prendermi all’aeroporto. Io non sono ve-nuta in macchina, perché il viaggio è molto lun-go. Da Bamako ci si mette un giorno e mezzo, per-ché le strade sono in pessimo stato. L’obiettivo dellagiornata odierna è quello di lanciare il nuovo pro-gramma per proteggere Timbuktu dalle inonda-zioni. Le inondazioni rappresentano un grosso proble-

ma in tutto il paese. Durante il periodo delle piog-ge, le precipitazioni sono violente, e il suolo sab-bioso non riesce ad assorbirle. Inoltre, qui le per-sone costruiscono le loro case anche nei posti piùimpensabili e più esposti al rischio di inondazio-ne. Ci rechiamo in città, e alle undici incontria-mo il governatore in un’atmosfera distesa e piace-vole. Riceviamo tutte le informazioni necessarie,e in cambio lo informiamo sugli obiettivi della no-stra visita. Dopo la pausa di mezzogiorno, in cui ci sottraia-mo al caldo micidiale – la colonnina di mercuriosupera i 40° –, alle due incontriamo il sindaco,

33 anni di partenariato L’inizio della collaborazionefra la Svizzera e il Mali ri-sale al periodo dellagrande siccità negli anni1973/74 (vedi anche Unsolo mondo 1/2011). I risultati più importanti: Approvvigionamentoidrico: nelle zone rurali laDSC ha contribuito alla co-pertura del fabbisogno diacqua potabile per circa600 000 persone in 869 località. Promozione dell’econo-mia: la DSC fornisce uncontributo allo sviluppo ealla promozione di nuovirami economici, all’amplia-mento e alla promozionedell’infrastruttura e della ricerca agricola. Settore sanitario: grazieal contributo della DSC, la regione di Sikasso oggidispone del miglior serviziomedico di base di tutto ilpaese. Formazione professio-nale: su mandato dellaDSC, Swisscontact rea-lizza un programma di sostegno nel settore dellaformazione degli apprendi-sti. Grazie a questo pro-gramma, ogni anno oltre2000 apprendisti hannoaccesso ad una forma-zione professionale. Inoltre,centinaia di formatori degliapprendisti acquisisconocompetenze in ambito finanziario. www.dsc.admin.ch (paesi; Mali)

Una giornata tipica di… Geneviève Federspiel, responsabile dell’ufficio di cooperazione a Bamako

nonché alcuni rappresentanti del consiglio comu-nale, dei quartieri della città e delle organizzazio-ni non governative. Tutti insieme ci avviamo perun sopralluogo in questa leggendaria città, e an-diamo a visionare i 13 bacini naturali di raccoltadell’acqua, che devono essere risanati. Gli interventi vanno iniziati al più presto, perchéi bacini sono indispensabili per proteggere la cit-tà nelle stagioni delle piogge. In macchina e a pie-di – la medina in parte può essere percorsa solo apiedi – ci spostiamo da un bacino all’altro. Tuttele vasche sono ricoperte di sabbia e di rifiuti, re-sidui delle ultime inondazioni. In parte conten-gono anche dell’argilla, che può essere utilizzataper i lavori di edificazione. Nel tardo pomeriggio, sotto la direzione del sin-daco, discutiamo degli ulteriori passi da compie-re e delle responsabilità che comporta il risana-mento dei bacini di raccolta – per la protezionedelle persone, ma anche come contributo allo svi-luppo urbano. Deve essere attuato un risanamen-to che dà lavoro ad un alto numero di persone.Quest’ultimo fattore per noi riveste un’importanzaparticolare, visto che il paese sta attraversando unapesante crisi economica. Dopo intensi dibattiti ela-boriamo una convenzione che permette di lan-ciare la cooperazione. Alle 18 e 30, durante la cenacon i miei collaboratori, passiamo in rassegna glieventi del giorno e prepariamo le riunioni per l’in-domani». ■

(Trascritto da Maria Roselli)

«L’obiettivo della giornata odierna èquello di lanciare

il nuovo programmaper proteggere Timbuktu dalleinondazioni».

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Una voce dal Mali

«È un anno maledetto, i bianchi vogliono la no-stra morte», brontola Beidari. Guarda l’orologio emonta in bici. Destinazione: il quartiere di Toguel,nel cuore di Mopti, la «Venezia maliana» situata a600 km di distanza da Bamako. Venditore di tap-peti e figlio di venditori di tappeti, Beidari per-corre lo stesso tragitto da ormai piùdi trent’anni. Esce di casa alle otto, ar-riva al mercato, porta fuori i suoi tap-peti e li stende sul muro. La sera fa ilpercorso a ritroso e rientra a casa, lebraccia cariche di regali per la sua fa-miglia. Sua moglie Mariam adora lacarne di manzo grigliata, soprattuttoquella venduta da una rosticceria lo-cale dal nome pittoresco «Pharmaciede la bonne santé». Da buon maritoattento e premuroso Beidari glienecompra sempre volentieri. I bambini,invece, sono ghiotti di dolci, mentrela vecchia madre di Beidari, ama lenoci di cola e le carpe appena pescate.

Normalmente, per il venditore di tap-peti soddisfare i desideri della sua pic-cola famiglia è una questione di ono-re. Ma siamo in gennaio del 2011,dunque in piena stagione turistica, èfinora ha venduto solo due tappeti.«Con questi soldi non riesco neanchea comprare da mangiare per i prossimi dieci gior-ni», si lamenta. «Tutta la famiglia ce l’ha con i tu-risti». Infatti, da quando le autorità occidentalisconsigliano ai loro connazionali di recarsi a Mop-ti, Gao, Kidal e Timbuktu, i turisti evitano la re-gione. Il motivo? Il nord del Mali si trova nel «san-tuario del salafismo» controllato dagli islamisti ar-

«I bianchi hanno ucciso Mopti» mati, che dal 2003 ad oggi hanno sequestrato unaquarantina di turisti e collaboratori umanitari.Mentre due degli ostaggi sono stati uccisi, gli al-tri sono stati liberati, probabilmente dietro paga-mento del riscatto. Fra l’altro, dal maggio del 2011,quattro francesi rapiti nel Niger sono ancora nel-

le mani di questi islamisti oramai af-filiati a Al Qaeda. «Sono solo fesserie»,protesta Beidari. Ai suoi occhi è aber-rante pensare «che Al Qaeda si faccia1000 km di strada dal Sahara per ve-nire a rapire turisti a Mopti».

E poi, «anche se così fosse, saremmoin misura di neutralizzare i rapitori»,assicura il commerciante. Mostra gliamuletti che porta al bicipite e chedovrebbero renderlo invulnerabile aiproiettili di fucile. L’argomento tutta-via non sembra troppo convincente.I turisti, che normalmente si conta-vano a migliaia, quest’anno sono rari.Finora arrivavano con i voli charterprovenienti da Marsiglia, Lione o Pa-rigi. Sui mercati questi visitatori eu-ropei di solito facevano piazza pulita.Facendo lievitare anche la cifra d’af-fari di alberghi e ristoranti. «Vendevouna trentina di tappeti kerka all’an-no», ricorda Beidari. Il tappeto kerka

è tipico della regione di Mopti. Non lo si produ-ce in nessun altro posto al mondo. È caratterizza-to da un magnifico accostamento di colori e dauna tessitura che è fra le più fini al mondo. La pro-duzione di un solo pezzo necessita la lana di undecina di montoni. Tre persone vi lavorano per 15giorni. Il tappeto kerka si vende caro: il prezzo puòarrivare a 500 Euro, sempre che si trovi un clien-te venuto dal Nord. Gli autoctoni comprano il tap-peto solo occasionalmente e lo pagano moltomeno del «prezzo turistico».

Beidari è convinto che non è Al Qaeda la causadella sua sfortuna. E neanche il governo del Mali.Il solo colpevole è l’Occidente: «I bianchi mi han-no ucciso. Hanno ucciso l’intermediario che midava credito e mi forniva i tappeti. Hanno uccisoi tessitori nei villaggi che rifornivano gli inter-mediari a credito ». Beidari, da quando i turisti tra-scurano la città, si lancia spesso in discorsi di que-sto tipo, li ripete anche oggi rientrando a casa sen-za carne arrostita per la signora, senza noce di colaper la nonna e senza dolci per i bambini. ■

(Tradotto dal francese)

Adam Thiam è antropo-

logo e giornalista maliano.

Dopo aver lavorato per

Save the Children, Oxfam

e la Federazione interna-

zionale della pianificazione

familiare (IPPF), è stato

portavoce dell’Unione afri-

cana. Oggi fa parte della

redazione del quotidiano

«Le Républicain» a

Bamako, per cui firma edi-

toriali politici nonché arti-

coli sulle questioni di sicu-

rezza e d’interesse per

l’Africa.

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teriore erosione e consentire lo sfruttamento soste-nibile del suolo. Il know-how che trasmettono agliabitanti dei villaggi gli esperti l’hanno acquisitopresso l’Università di Kunming in Cina, dove nelquadro del programma oltre una dozzina di spe-cialisti nordcoreani ha seguito una formazione agro-forestale. La varietà di prodotti agricoli diffusi con l’introdu-zione sui piccoli campi delle cosiddette fasce di ve-getazione è impressionante. Se in passato il venta-glio della produzione alimentare si limitava a mais,patate e soia, sulle colline un tempo brulle ora sicoltivano anche cereali come il riso di montagna,il miglio o il grano, ed anche ortaggi, bacche e al-beri che producono non soltanto frutta, ma anchelegna da ardere. «La biodiversità dei loro campi pri-vati offre ai produttori enormi vantaggi», spiega Ka-tharina Zellweger. «Grazie alla diversificazione deiraccolti molti sono in grado di scambiare i prodot-ti desiderati sui mercati locali, addirittura di ven-derli – una grande novità per un paese rigorosa-mente comunista come la Corea del Nord». ■

(Tradotto dal tedesco)

(gn) L’introduzione e lo sviluppo di forme innova-tive di coltivazione dei pendii in Corea del Nord èavvenuta a più livelli: se l’intento iniziale era quel-lo di bloccare in primo luogo l’erosione degli ste-rili terreni collinari, con l’andare del tempo si è cer-cato anche di migliorare l’approvvigionamento del-la popolazione rurale, spesso vittima di fame emalnutrizione.Il progetto è stato avviato dalla DSC nel 2003 nel-la provincia settentrionale di Hwanghae con la co-stituzione di tre gruppi agricoli. Oggi in otto di-stretti ci sono oltre novanta associazioni di questotipo che coltivano in maniera sostenibile i pendiidei loro villaggi. «Il progetto sta avendo un enor-me successo – il nostro modello viene copiato dapiù parti, nascono gruppi anche senza il nostro so-stegno», si rallegra Katharina Zellweger, direttricedell’ufficio di cooperazione della DSC a Pyongyang.

Una grande novità per un paese comunistaOgni famiglia dispone di un ettaro di terreno. I socidelle cooperative di produttori, per l’80 per centodonne, si aiutano a vicenda nell’onerosa coltivazio-ne di questi difficili terreni. Sotto la guida di esper-ti rimboscano i pendii circostanti per evitare l’ul-

Addio colline brulleGrazie alle misure mirate attuate in alcune zone rurali della Corea del Nord, un progetto agricolo avviato dalla DSC sta dando ottimi risultati: i nudi pendii ricoperti in passato da rari cespugli, alberi e giardini sono ora fonte di colture e prodottialimentari vari, e non più di fame ed erosione.

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Sui pendii un tempo brulli della Corea del Nord, oggi crescono cereali, verdure, alberi e bacche

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(gn) Un anno dopo le terribili inondazioni chehanno messo in ginocchio il Pakistan, oggi c’è lasperanza che al paese la catastrofe non abbia por-tato soltanto distruzione, ma addirittura un mi-glioramento durevole della situazione sul frontedell’acqua potabile. Il tutto è iniziato con l’inter-vento urgente della DSC nell’agosto 2010: grazieall’impegno pluriennale e alle ottime relazioni conorganizzazioni partner e governative, dinanzi allacrisi la Svizzera ha potuto reagire in modo rapidoe mirato ai bisogni più impellenti – come la mes-sa a disposizione di acqua potabile in svariate re-gioni del paese duramente colpite dalle inonda-zioni.

Oltre 2000 pozzi puliti Con la prima fornitura di aiuti, dalla Svizzera sonoarrivati anche i regolari kit di primo intervento –ma in breve tempo gli esperti di acqua potabile delCorpo svizzero di aiuto umanitario CSA, in col-

Acqua potabile a volontàNell’estate 2010 in Pakistan un’inondazione epocale ha interrottol’approvvigionamento d’acqua potabile per milioni di persone.Per evitare l’insorgere di malattie e la diffusione di epidemie inquesto clima caldo e umido, una delle misure più urgenti eraquella di fornire alla popolazione acqua depurata.

laborazione con l’ONG locale Integrated Regio-nal Support Programme (IRSP), hanno potuto av-viare misure più efficaci e meno costose. «In Paki-stan si era preparati a un’inondazione – e si è rea-gito di conseguenza. Insieme ai nostri interlocutoriabbiamo potuto passare rapidamente alla fase suc-cessiva: l’acquisto di materiale in loco», spiegaMarc-André Bünzli, specialista in materia d’acquae responsabile del gruppo tecnico WES (Water andEnvironmental Sanitation) del CSA. Dal momento che l’acqua sporca aveva notevol-mente inquinato e danneggiato sorgenti e pozzi dicaptazione, uno degli interventi più urgenti con-sisteva nel renderli nuovamente agibili. Durante uncorso di otto giorni il CSA ha dunque formato nel-la provincia del Punjab 42 specialisti locali – e insei mesi oltre 100 volontari diretti da tre tecnici an-ch’essi formati dal CSA hanno pulito 2000 pozzinella provincia del Khyber Pakthunkhwa. In talmodo è stato possibile ristabilire, in modo molto

Dopo la devastante inondazione: case e pozzi distrutti, qualche oggetto recuperato, tra i quali un televisore, e le scorte ali-mentari dell’aiuto umanitario

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CSA punta su WATADopo il successo inPakistan degli apparecchia elettrolisi WATA, in futuroquesti strumenti dovrannoessere disponibili per ogniintervento del CSA in am-bito idrico. Un enormepasso avanti: pur consen-tendo di determinare lacontaminazione biologica, ivecchi laboratori da camponon sono in grado di elimi-narla. Con WATA si di-spone di un metodo sem-plice per uccidere i germidell’acqua e produrre lo-calmente acqua potabile. Sulla base dell’esperienzaaccumulata, in stretta col-laborazione tra gli svilup-patori della fondazioneAntenna Technologies,l’impresa neocastellana di tecnologie solari IlandGreen e la DSC è statocreato un apparecchio ro-busto, adatto agli interventid’urgenza. Estesi test sulcampo sono attualmentein corso ad Haiti, nelMadagascar, in Afghanistan,Sri Lanka e Sud Sudan.

tempestivo, l’approvvigionamento in acqua pota-bile per 100 000 persone. In una prima fase le sorgenti e i pozzi hanno do-vuto essere puliti e gli eventuali danni al sistema dicaptazione riparati. Poi, tramite una lista di con-trollo si è stabilito il potenziale di inquinamento –questo per definire il dosaggio di cloro necessarioa depurare l’acqua e a renderla potabile: se una fon-

tana è vicina a una latrina o si trova in un avvalla-mento, il rischio d’inquinamento è maggiore ri-spetto a un pozzo situato in alto e a distanza da pos-sibili fonti di contaminazione, e l’aggiunta di clo-ro sarà pertanto maggiore.

Produzione locale di cloro Il cloro necessario a rendere potabile l’acqua è sta-to prodotto localmente utilizzando un apposito ap-parecchio a elettrolisi. Il maneggevole apparecchioWATA è stato realizzato dalla fondazione ginevri-na Antenna Technologies appositamente per l’im-piego in zone in via di sviluppo e di crisi. Per ilCSA, era la prima volta che si procedeva all’utiliz-zo di apparecchi WATA – in Pakistan ne eranogiunti 70. La tecnologia è tanto semplice quanto raffinata: conl’ausilio di corrente continua, l’apparecchio a elet-trolisi produce da acqua e sale una soluzione di clo-ro (candeggina). Con questo sistema si evita l’o-neroso nonché pericoloso trasporto e stoccaggiodel cloro sotto forma di polvere. Il cloro, indi-spensabile per la produzione di acqua potabile si-cura, può così essere prodotto in situazioni diffici-li e in villaggi discosti mediante mezzi semplici einnocui. L’efficacia è impressionante: con 25 grammi di saleper litro d’acqua è possibile produrre sei grammidi cloro l’ora – sufficienti per disinfettare 3000 li-tri d’acqua. Sui settanta apparecchi WATA forniti

dalla DSC, calcolando un fabbisogno limitato a 5litri d’acqua potabile per persona in situazione dicrisi, è stato possibile produrre ogni giorno acquasicura per un milione di persone. «A darci inizial-mente problemi è stato solo l’approvvigionamen-to elettrico, poiché l’elettrolisi funziona solamen-te se la tensione è stabile», afferma Marc-AndréBünzli.

Alimentazione elettrica con pellicola solare Un anno fa i primi risultati dei test su celle solarierano ancora insoddisfacenti, motivo per cui gli ap-parecchi utilizzati in Pakistan per gli aiuti urgentierano ancora alimentati con comuni gruppi elet-trogeni. Nel frattempo l’apparecchio è stato perfe-zionato, e l’ultima generazione di WATA può es-sere alimentata con energia solare. Il metodo ha convinto gli esperti pakistani. Il go-verno dello Stato federale del Punjab ha intenzio-ne di fornire apparecchi WATA a tutti i villaggi del-la provincia. «L’impiego durante la catastrofe haaperto gli occhi a tutte le autorità», spiega Marc-André Bünzli. «Hanno capito quanto sia impor-tante l’acqua potabile sicura per la salute della po-polazione, e che con una tecnologia come questa– poco costosa e semplice da utilizzare – si posso-no ottenere risultati sorprendenti». Per tale moti-vo, con il sostegno della Banca Mondiale, il Paki-stan vuole diffondere la tecnologia WATA in tut-to il paese e ancorare nella legislazione la garanziadi disporre di acqua potabile di qualità. ■

(Tradotto dal tedesco)

Grazie a delle pompe mobili, nel giro di sei mesi, sono stati ripuliti dal fango ben 2000 pozzi

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Dietro le quinte della DSCNuovo capo del Corpo svizzerodi aiuto umanitario e vice-direttore della DSC Lo scorso maggio, il Consiglio federale ha nominato ManuelBessler nuovo Delegato perl’aiuto umanitario e capo delCorpo svizzero di aiuto umanita-rio (CSA). Bessler diventa al con-tempo anche vicedirettore dellaDSC. Il successore di Toni Frischassumerà le sue nuove funzioni il 1° ottobre. Fino a questa data,Manuel Bessler resta a capo

dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affariumanitari in Pakistan (OCHA). Nato nel 1958 a Zurigo, ManuelBessler ha studiato giurisprudenza all’Università di Zurigo e allaHarvard Law School. Dopo aver svolto attività di avvocato aZurigo, nel 1991 Bessler inizia a lavorare per il Comitato interna-zionale della Croce Rossa (CICR). Ricopre fra l’altro la carica di consulente legale per la delegazione del CICR in Israele e neiterritori palestinesi occupati, è capo della sottodelegazione delCICR a Gerusalemme, delegato all’informazione e alle relazionead Haiti, nonché capo della missione del CICR in Cecenia edella delegazione del CICR in Iraq. Nel 1994 è collaboratore militare dell’ispettore generale dell’esercito di protezione delleNazioni Unite nell’ex Jugoslavia (UNPROFOR). Dal 2000 ManuelBessler collabora con l’ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), prima nel dipartimento di politica umanitaria a New York, poi come capo dell’ufficio OCHA diGerusalemme. Dall’aprile del 2009 è direttore dell’ufficio OCHAin Pakistan.

Più boschi per l’Africa (mqs) Il cambiamento clima-tico rappresenta una grossaminaccia per lo sviluppodell’Africa. Lunghi periodi disiccità e piogge inaspettate eviolente causano incendi atappeto e inondazioni che pre-giudicano l’agricoltura locale,la sicurezza umana e la salute.Per questo motivo, nell’ambitodel programma globale per ilcambiamento climatico, laDSC sostiene il forum delle fo-reste africane, una piattaformadi interscambio per scienziatie decisori impegnati a favoredi una selvicoltura sostenibilenei diversi paesaggidell’Africa. Si tratta di rilevare

come reagiscono i boschi,nonché le persone e gli ani-mali che da loro dipendono, di fronte ai cambiamenti climatici, e di diffondere le conoscenze acquisite. Peresempio su come riforestarele zone distrutte. www.afforum.orgDurata del progetto: 2010-2014Volume: 4,5 milioni di CHF

Promuovere gli investimentiin Nicaragua (bm) Malgrado la crescita eco-nomica sostenuta, il mercatodel lavoro nicaraguegno non èin grado di assorbire le 80 000persone che ogni anno si ag-

giungono alla popolazione at-tiva. Per incoraggiare la crea-zione di impiego, il governo haora deciso di promuovere gliinvestimenti diretti – a livellolocale e estero – e di iscriverequesto obiettivo nella strate-gia nazionale di sviluppo eco-nomico. La DSC contribuiscea stabilire un clima favorevoleagli investimenti con un pro-getto finalizzato a rafforzare ildialogo fra settore pubblico eprivato attraverso una piatta-forma Internet. Un approccioinnovativo che dovrebbe com-portare un maggior coinvolgi-mento delle piccole e medieimprese. Ad approfittare deinuovi posti dovrebbero esserele popolazioni più povere. Ilprogetto è incentrato sull’agri-coltura e il turismo, settori adalta richiesta di manodopera. Durata del progetto: 2011-2014Volume: 1,2 milioni di CHF

Un programma sanitario perla Lituania (lrf) Nell’ambito del suo contri-buto all’allargamento, laSvizzera finanzia in Lituania unprogramma volto a migliorarel’accesso a servizi medico-sanitari per madri e bambini. Lemisure correlate si riallaccianoall’aiuto di transizione fornitodalla Svizzera negli anni 1990,già allora incentrato sulla pro-mozione del settore sanitario.Il programma punta nel set-tore ospedaliero al migliora-mento dell’infrastruttura e del-l’equipaggiamento disponibile,nonché ad un aumento dell’ef-ficienza energetica. La DSCcontribuisce al perfeziona-mento professionale di 1300collaboratori del settore me-dico-sanitario della Lituania,stanziando 16,6 milioni difranchi e partecipa all’ammo-dernamento delle attrezzature

in 22 ospedali che gestisconol’80 per cento delle nascite nel paese. In 16 di questiospedali, la Seco finanzia inoltre misure volte ad aumen-tare l’efficienza energetica con un contributo di 19 milionidi franchi. Durata del progetto: 2011-2017Volume: 45,6 milioni di CHF

Più diritti per i lavoratori migranti (mqs) Sono quasi 9 milioni i migranti provenienti dall’Asiadel sud e dalle Filippine chelavorano nei paesi del MedioOriente, di cui le donne costi-tuiscono il gruppo più vulnera-bile. Infatti, le donne spessonon hanno nessuna forma-zione e sono costrette a lavo-rare in condizioni precarie esenza protezione legale, nellamaggior parte dei casi comecollaboratrici familiari. Più èbasso il loro stipendio e piùgravano su di loro i costi chedevono sostenere per pagareil visto, il viaggio e l’agenzia di collocamento.L’indebitamento che ne risultaannienta ogni tentativo ditrarre beneficio dalla migra-zione per migliorare le propriecondizioni di vita e quelle dellaloro famiglia. Il Programmaglobale migrazione della DSCvuole promuovere condizionieque al momento dell’emigra-zione e anche a livello di oc-cupazione nei paesi di desti-nazione. In alcuni paesi delMedio Oriente, il programmaprevede l’elaborazione di unalegislazione sul lavoro, affin-ché sia garantita maggior protezione alle donne e agliuomini migranti. Durata del progetto: 2011-2015Volume: 5 milioni di CHF

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«Un solo mondo»: Esiste un dovere etico di aiutare i poveri e di prestare aiuto allo svi-luppo? Barbara Bleisch: Credo di sì – e con ciò assumouna posizione chiara. Ci sono anche voci che si ba-sano non su un dovere, ma su un concetto di fi-lantropia, in altri termini la libera volontà di aiu-tare. Chi aiuta è allora una «persona buona», un«eroe morale». Io, invece, intendo l’aiuto allo svi-luppo come un dovere.

Per quale motivo?Nel discorso etico ci sono due posizioni tradizio-nali: gli uni motivano il dovere di aiutare con il fat-to che sia moralmente inammissibile che vi sianopersone condannate a morte dalla fame alle qualipotremmo evitare una simile sofferenza. L’eticaesige pertanto che si promuova il bene nel mon-do. Gli altri interpretano la questione servendosidella giustizia. Che delle persone muoiano di fame,

lo considerano ingiusto. Anche in questo caso leposizioni sono due: gli uni esigono la ridistribu-zione dei beni, ossia una giustizia sociale globale;gli altri dicono: dimenticate tutta la questione de-gli aiuti e della ridistribuzione. Ad essere ingiustoè piuttosto il fatto che noi più ricchi contribuia-mo a questa miseria. Ed essendone complici, an-che noi abbiamo la nostra parte di responsabilità.Il cambiamento di paradigma «Justice not Charity»è un’evoluzione degli ultimi dieci anni.

Oggi al Nord l’aiuto allo sviluppo viene sovente giustificato con il fatto che è di gio-vamento sia per noi che per la nostra eco-nomia. Ai suoi occhi, è un argomento pocoetico?Sì e no. In linea di massima gli aiuti a favore di al-tri possono avere l’effetto secondario positivo di re-care beneficio anche a noi – dal profilo etico, ciònon rappresenta un problema. Ma se la giustifi-

«Non c’è soluzione senza uncambio di mentalità» Le domande se e in quale misura l’aiuto allo sviluppo debba es-sere erogato, per quali ragioni e in quale contesto, sono ogget-to di vivaci controversie e di un ampio dibattito politico. Secon-do la filosofa Barbara Bleisch abbiamo una responsabilità benprecisa nei confronti dei poveri del pianeta. Intervista di Gabri-ela Neuhaus.

Vi è un nesso ben preciso tra le nostre abitudini di consumatori e il cambiamento climatico

Barbara Bleisch studiadal 1994 al 2001 Filosofia,Scienze delle religioni eGermanistica a Zurigo,Tübingen e Basilea. Lavoracome redattrice soprat-tutto per l’ONG svizzeraSolidarmed nel Lesotho eassolve uno stage pressol’ONU a New York. Nel2007 presenta la tesi didottorato «Povertà nelmondo e responsabilità individuale» all’Università di Zurigo, dove è attiva trail 2005 e il 2009 come am-ministratrice per gli Advan-ced Studies in AppliedEthics. Attualmente ècollaboratrice scientificapresso il Centro di eticadell’Università di Zurigo emoderatrice della trasmis-sione Sternstunde Philo-sophie presso la radio etelevisione svizzera di lin-gua tedesca SRF. BarbaraBleisch è autrice e co-autrice di svariati libri sullapovertà del mondo, la giu-stizia e l’etica.

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chiamo e la orientiamo unicamente ai nostri inte-ressi, allora la cooperazione allo sviluppo divieneimmediatamente non equa: forniamo aiuti sola-mente dove ci conviene, tralasciando molte regio-ni colpite dalla povertà estrema. Inoltre, orientan-dosi in primo luogo al proprio tornaconto si spac-cia per aiuto ciò che in effetti aiuto non è. Moltiritengono anche che attraverso l’aiuto allo svilup-po si potrebbe limitare la migrazione, ecco perchéva prestato. Ma sappiamo che le rimesse fatte con-fluire dai migranti nei paesi di origine superano diparecchio l’aiuto allo sviluppo. Significa che que-ste persone continueranno a venire qui per lavo-rare. Se volessimo arginare efficacemente i movi-menti migratori, non avremmo altra soluzione cheerigere un’Europa fortezza e chiudere fuori tuttigli altri. Ma non vedo assolutamente cosa giustifi-cherebbe un tale atto.

Lei esige che, beneficiando del villaggio glo-bale, noi ci assumiamo le nostre responsabi-lità. Che cosa significa, concretamente?Faccio distinzione fra tre tipi di doveri. Primo: ildovere di prestare aiuto, dunque cedere parte del-la nostra ricchezza – ad esempio sotto forma di do-nazioni a organizzazioni umanitarie di nostra fi-ducia, ma anche attraverso le tasse. Secondo: il do-vere di cittadino; abbiamo la fortuna di vivere inuna democrazia, e lo considero un dovere far sen-tire la nostra voce per imporre maggiore giustizia

globale. In fin dei conti, siamo noi a decidere qua-le posizione la Svizzera assume nelle trattative del-l’OMC. Il terzo, e più difficile dovere, è quello diconsumatore, che esige da noi che ripensiamo lenostre decisioni d’acquisto. Come per le donazioni,anche qui dobbiamo prestare fiducia al lavoro d’in-formazione delle organizzazioni preposte. Ci di-cono che cosa possiamo acquistare in tutta co-scienza e che cosa invece dovremmo evitare per ra-

gioni di etica sociale. Possiamo però fare pressionesulle imprese anche individualmente. Per esempio,sul mercato non si trovano computer provenientidal commercio equo. Ma quando acquisto un com-puter posso scrivere una lettera al fabbricante echiedere chiarimenti sulla produzione dell’appa-recchio. Anche se non è enorme, lo ammetto, dob-biamo sfruttare la nostra forza di consumatori.

Acquistando prodotti equi e solidali, per esempio rose keniane, i consumatori possono sostenere in modo diretto la gentedei paesi in via di sviluppo

«La povertà è uno deiproblemi in assolutopiù complessi, perciònon ci sono ricette

semplici».

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29Un solo mondo n.3 / Settembre 2011

Non è esagerato – ritenere ognuno di noi re-sponsabile della miseria nel mondo?Certo, è scomodo. Ma prendiamo ad esempio unpaese come la Repubblica democratica del Con-go. Un paese di per sé ricco di risorse con una sto-ria terribile, a cominciare dal colonialismo. Oggi èuna dittatura responsabile di orribili violazioni deidiritti umani. È vero, non siamo responsabili in pri-ma persona di questa situazione. Ma ne siamocomplici, poiché i nostri cellulari contengono mol-to probabilmente materie prime ricavate nel Con-go, la cui vendita consente alla dittatura di rima-nere al potere. Finché non daremo importanza aquesti nessi, non cambierà nulla. E ritenere il no-stro contributo così infimo da poterci considerarecompletamente estranei ai fatti, lo reputo inappro-priato.

Ogni cittadino ha dunque una chiara re-sponsabilità. Alla luce di questo dovere indi-viduale, quale ruolo rivestono le agenzie go-vernative per lo sviluppo e le organizzazio-ni internazionali come le Nazioni Unite?L’ONU è indiscutibilmente uno strumento im-portante. Non sono la persona giusta per valutar-ne l’efficacia, ma credo che le dimensioni dell’or-ganizzazione siano d’impiccio. In particolare per-ché deve tenere conto degli interessi dei suoimembri – e torniamo così al problema già citatoche ogni Stato è preoccupato del proprio torna-conto. Nell’aiuto pubblico allo sviluppo occorrevalutare molto attentamente che cosa viene fattopassare per tale. Per esempio, è assurdo che le ec-cedenze dell’agricoltura sovvenzionata del Nordconfluiscano negli aiuti alimentari, e che questi sia-no a loro volta iscritti come aiuto allo sviluppo. Tan-to più che i prodotti a buon mercato provenientidalle coltivazioni sovvenzionate dagli Stati sono unacausa delle difficoltà in cui si trovano i contadinidei paesi in via di sviluppo!

In altri termini: un blocco delle sovvenzio-ni sarebbe molto più efficace che iniettare capitali negli aiuti allo sviluppo e alimentari?Credo che sarebbe più efficace affrontare il pro-blema alla radice e risolverlo a livello istituziona-le. Nel contempo si tratta però anche di fare l’unae non permettere l’altra cosa. La povertà è uno deiproblemi in assoluto più complessi, perciò non cisono ricette semplici. Nella cooperazione allo svi-luppo le soluzioni miracolose non sono mai man-cate: una volta la ricetta contro tutti i mali si chia-mava lotta alla malaria, poi l’accesso all’acqua, poil’istruzione per tutti o i microcrediti… Ma non esi-ste la soluzione – e soprattutto: non c’è soluzioneche possa funzionare senza un cambio di mentali-

tà nei paesi industrializzati. Siamo approfittatori diquesto sistema – e se vogliamo agire nel nome del-la giustizia globale, ci vuole molto di più di qual-che monetina regalata ai poveri.

Significa che per assumere la responsabilitàetica delle nostre azioni dobbiamo in qual-che modo limitarci?Fino a qualche tempo fa avrei affermato che ba-sterebbe una forma diversa di consumo. Oggi la miaconvinzione è un’altra: credo che questo non ba-sti più, e che si debba limitare il consumo. Perchéle nostre abitudini di consumatori causano altriproblemi, come i mutamenti climatici, che a lorovolta hanno un impatto negativo soprattutto suipaesi in via di sviluppo. In effetti credo che do-vremmo coltivare una nuova cultura della mode-razione, nel suo significato migliore. Se non altroper una questione di equità e giustizia. ■

(Tradotto dal tedesco)

Molti oggetti di cui facciamo quotidianamente uso con-tengo materie prime estratte nella Repubblica democra-tica del Congo, in questo modo – indirettamente – finan-ziamo la dittatura

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Carta bianca

Rafael Alberto SagárnagaLópez, 47 anni, è un giornali-sta e linguista boliviano. È editore della rivista «Día D» edella rivista di cronaca specia-lizzata «Pie Izquierdo». I suoireportage e le sue cronachesono pubblicati dai domenicalidei principali quotidiani delsuo paese e da diversi portalistranieri. I suoi lavori hannovinto premi nazionali e interna-zionali.

Oscar ha avuto una vita dura.Me l’ha descritta, con ammira-zione, il Governatore della sin-golare comunità nella qualeOscar ha vissuto per quasi 30anni. E me l’ha raccontata luistesso, quando l’ho incontrato,questo giovedì. Avevo visto Oscar per caso unaltro giovedì nel quartiere diGuanay. Avvicinandomi a un finestrone lo avevo visto su untetto altissimo. Stava parlandocon due bambini.

Era pericoloso, un tetto di cala-mina vecchia con un’inclina-zione di 40 gradi, a quasi tremetri dal suolo di pietra. E lì,c’era Oscar che parlava ai suoinipoti. Indicava il cielo e ighiacciai che circondano la cittàdi La Paz. I bambini ascoltavanoattenti, imperturbabili, comealunni perfetti, la lezione delgiovedì. Paradossale: un luogo pericolosoper lezioni coraggiose. Unluogo centrale, dove qualsiasibambino di campagna, come inipoti di Oscar, vorrebbe viveree avere una scuola moderna.Lezioni che parlano della cam-pagna e, in silenzio, la rimpian-gono.

L’università di Oscar

Paradossale: Guanay si trova al-l’interno di San Pedro, una cit-tadella antica e particolare, nelpieno centro di La Paz. Ma èuna cittadella che pochi vo-gliono attraversare.

Quel giovedì, Oscar impartivalezioni private proprio nel cen-tro di La Paz, dove la disugua-glianza nell’istruzione è evi-dente. Migliaia di bambinipoveri, generalmente Aymara,come i nipoti di Oscar, abban-donano la scuola. Se riescono aterminarla, normalmente sco-prono che gli hanno insegnatopoco e male. In centinaia dicasi, le loro limitazioni accade-miche sono state ingredientiche li hanno portati a delin-quere e ad essere arrestati. Ed è chiaro che in Bolivia ciòche più assomiglia all’infernosono le carceri.

«Ho una storia che dovrebberaccontare, lei che scrive semprecose brutte su questo posto», miha detto questo giovedì ilGovernatore di San Pedro. E haaggiunto. «Intervisti Oscar». Poco dopo ho saputo che Oscararrivò nel carcere di San Pedroaccusato di assassinio durante i

tempi della dittatura. Lo trasfe-rirono nel malfamato settore diGuanay. Fece amicizie sia tra idelinquenti comuni, sia tra iprigionieri politici. Mentre i suoi ricorsi fallivano,decise di studiare. Prima con ipolitici, poi attraverso i fragilicanali educativi autorizzati aidetenuti. Dopo tre lustri, era undirigente. Ha diretto le protesteper rivendicare migliori condi-zioni e ha dato l’impulso allacostruzione di modeste aule, bagni puliti e una biblioteca, si-tuata proprio sotto quel tetto dicalamina inclinato di 40 gradi. Ha conseguito due lauree e al-cuni mesi prima della mia visitaha iniziato la sua terza forma-zione universitaria. Nel 1995 enel 2002 ha ottenuto alcunimesi di libertà condizionata, mai suoi influenti accusatori hannoannullato quella misura. La sen-tenza era di 30 anni. «In questi26 anni non ha avuto una solapunizione, nessun ammoni-mento, è stato un detenutoesemplare», mi ha detto ilGovernatore.

Quando l’intervista è arrivataalla domanda critica, Oscar miha spiegato: «Non ho mai vo-

luto fare una cosa simile.Cercavo solo di intimorire unpadrone che quella notte conti-nuava ad aggredirmi, ma poi èpartito il colpo. Pensa forse chenon abbia già pagato per il mioerrore?» Però, nonostante i suoi meriti,Oscar ha subito ancora unavolta il potere dei suoi accusa-tori. I proprietari del quotidianosul quale doveva apparire que-st’intervista hanno censurato ilservizio. «La vedova è moltoamica della famiglia. Siamo dav-vero spiacenti», mi ha detto l’e-ditrice. A vederlo mentre indicava aisuoi nipoti la cima situata a piùdi 5000 metri mi è venuta inmente una delle sue frasi: «Ilmio segreto è stato quello di es-sere forte. Ho deciso di non ve-dere questo posto come un car-cere e l’ho trasformato nella miauniversità». ■

(Tradotto dallo spagnolo)

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«Nessuno è solo buono»

I cineasti non hanno una vita facile, soprattutto se il loro paese non dispone dirisorse per la promozione del film. E così anche in Georgia. George Ovashvili èriuscito lo stesso a richiamare l’attenzione del pubblico internazionale – forseproprio perché nella sua opera creativa guarda con spirito critico al proprio paesenatio. Intervista di Maria Roselli.

«Un solo mondo»: Nel suofilm «The other Bank» unragazzino, un profugo delconflitto in Abkhazia, inter-preta il ruolo del protagoni-sta. Un bambino che ci con-fronta con la violenza dellaguerra, perché questa scelta? George Ovashvili: L’idea delfilm nasce da un racconto brevedello scrittore georgiano NugzarShataidze. Ci ho messo anni edanni per produrre questo film,perché finora avevo girato solocortometraggi, e per me, comeper tutti i cineasti georgiani, eraquasi impossibile procurarmi ilcapitale necessario. Il progetto èandato in porto solo dopo cheuno dei miei cortometraggi èstato premiato a Berlino. Misono avvicinato all’argomentocon rispetto e pudore, perché fi-nora non avevo mai girato film

sulla guerra. I miei cortome-traggi si occupano tutti della vitainteriore dei protagonisti. Quiinvece si tratta di una storia conuna dimensione sociale e poli-tica. I bambini sono sempre levittime principali delle guerre:non hanno colpa, eppure si tro-vano nel centro del conflittobellico. Anche anni dopo la finedella guerra ne soffrono le con-seguenze.

Il piccolo protagonista fingedi essere sordomuto, per riu-scire a trovare il padre inAbkhazia. Non sentire nullae non dire niente: è questa lasua ricetta per sopravviverealle insidie della guerra?È una metafora. In tempi diguerra non vi sono regole. In unmodo o nell’altro devi cavartelae riuscire a sopravvivere. Il ra-

gazzo ha paura, non vuole darenell’occhio. Fa finta di esseremuto, per evitare che ci si ac-corga che parla georgiano. Nondare nell’occhio – anche oggiper tanti georgiani in Abkhaziacostituisce l’imperativo catego-rico, l’unico modo per essere lasciati in pace, perché molti,nonostante tutto vogliono restare(vedi anche «Un solo mondo»2/2011). Si tratta di una situa-zione ingarbugliata: circa 250 000 - 300 000 georgianihanno lasciato l’Abkhazia, men-tre 60 000 sono restati. La loropresenza viene accettata per mo-tivi politici. Ma devono ade-guarsi e piegarsi.

Dopo le guerre in Abkhaziae in Ossezia del Sud, inGeorgia ora si contano circa250 000 profughi. Qual è la

loro situazione attuale?Sono messi male. La situazione è precipitata dopo il conflitto in Ossezia del Sud nel 2008,quando altre 80 000 personehanno cercato rifugio inGeorgia. Naturalmente la vitaoggi per i georgiani in generaleè migliorata rispetto agli anni1990. Il governo ha costruitodelle case per i profughi, sonostati costruiti nuovi insediamentie nuovi villaggi, ma le personehanno dovuto lasciare tutti i lorobeni nelle zone contese, non èuna situazione facile, speriamoancora che un giorno o l’altropossano ritornare.

Lei ha lavorato in America.Perché è tornato in Georgia?Restare negli Stati Uniti perlei come cineasta non sa-rebbe stato più semplice?

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Le sembro uno che vuole unavita facile? Non mi limito certoa proseguire progetti facili.Penso che il mio lavoro abbia unsenso solo nel mio paese, vogliocontribuire a cambiare le cose inGeorgia. Solo quando ciò nonsarà più necessario, potrò imma-ginarmi di lavorare anche al-l’estero. Ho sempre saputo che ungiorno o l’altro sarei tornato…

Ma in Georgia è ovviamentemolto difficile procurarsi isoldi necessari per i film.Questo è vero. Non vi sonofondazioni o fondi privati per il finanziamento dell’industriacinematografica, e lo Stato di-spone di mezzi estremamentemodesti. Complessivamente,ogni anno vengono stanziati da300 000 a 400 000 Euro circa perla promozione del cinema, e in-fatti si producono solo da tre aquattro film. Per permetterci al-meno di lavorare, siamo semprealla ricerca di coproduzioni.

Il suo film «The other Bank»

è stato premiato nel 2010 alFestival internazionale delfilm di Friburgo. Questopremio è stato d’aiuto?Assolutamente sì. Il premio perme è stato importantissimo, per-ché così, per esempio, il film èstato visto anche in Svizzera.Senza il premio non sarebbestato possibile. Il film ha destatoscalpore anche in Georgia, an-cora prima di arrivare nei ci-nema. Ma questo era dovuto alfatto che trattava un argomentodi grande attualità e molto deli-cato. Quando si parla di guerra,ognuno vuole dire la sua. Tuttihanno cercato di interpretare ilfilm come volevano, come piùconveniva a livello politico.Alcuni mi hanno rimproveratodi sputare nel piatto in cui man-gio, mentre altri mi hanno rin-facciato di essere troppo criticonei confronti dei russi. Ma perme è stata una scelta voluta.Non volevo usare solo il biancoe il nero. Nessuno è solo buono,nessuno è solo cattivo. È cosìanche nel mio film.

A livello politico nel 2003 laRivoluzione delle rose haaperto un nuovo spiraglio disperanza per la Georgia.Finalmente tutto sembravarisolversi. Le aspettative ri-poste in questi cambiamentisi sono rivelate eccessive?Da allora tante cose sono cam-biate in positivo, anche se natu-ralmente resta ancora molto dafare. Soprattutto a livello econo-mico. Pian piano ricominciamoa risalire la china, anche se oggiper via del conflitto con laRussia abbiamo perso il nostromercato di sbocco più impor-tante. Oggi abbiamo l’elettricitàe il gas, cose impensabili prima.E abbiamo posto fine alla corru-zione – scusi se è poco!

(Tradotto dall’inglese)

George Ovashvili, 47 anni, hastudiato all’Accademia polite-cnica e all’Istituto georgiano diteatro e film a Tiblisi, è stato attore presso il teatro nazionaledell’opera, regista di teatri perbambini e direttore di un’agen-zia pubblicitaria. Inoltre è au-tore del programma televisivo«Georgian Bulletin» di un’e-mittente televisiva di NewYork. Nel 2005 il cineastageorgiano è stato premiato per il suo cortometraggio «EyeLevel» nella sezione Panoramadella Berlinale. Con «The otherBank» Ovashvili si è aggiudi-cato sia il premio principale sia il premio del pubblico alFestival internazionale del filmdi Friburgo (FIFF). «The otherBank» è disponibile su DVD apartire da fine agosto pressoTrigon-Film.www.trigon-film.org

Con «The other Bank» George Ovashvili si è aggiudicato il premio principale e il premio del pubblico al Festivalinternazionale del film di Friburgo (FIFF)

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Stress per l’ambiente(dg) Il prosciugamento del Lago d’Aral è considerato la più grande catastrofe causatadall’uomo e un esempio dicome gli effetti degli interventidell’uomo in un ecosistema pos-sano portare a gravissime modi-

fiche ecologiche, economiche e sociali. La «città del petrolio»,una piattaforma sita nel MarCaspio era la prima e più im-portante stazione petrolifera costruita sul mare. I due docu-mentari «Mer d’Aral» e «La citédu pétrole» - riuniti in un solo

DVD – trattano da un lato gliinterventi dell’uomo sulla naturae le loro conseguenze, e dall’al-tro le condizioni di lavoro sullapiattaforma petrolifera. Al contempo ci stimolano aconfrontarci con il petrolio inquanto materia prima e con laminaccia che rappresenta perl’ambiente (Delta del Niger,Golfo del Messico...). Un breverap del rapper losannese Stresstematizza infine la responsabilitàdi ogni individuo. Il DVD sipresta come base di discussionesullo sviluppo sostenibile. «Stress sur l’environnement»,(fr),DVD e DVD-ROM con materialedi accompagnamento e fogli di la-voro. Per informazioni e consulenza:«Filme für eine Welt», telefono 031 398 20 88, www.filmeeinewelt.ch

Orso d’Oro per film sul miele Orso d’oro a Berlino 2010, no-minazione turca per l’Oscar2011 e nominazione per gliEuropean Film Awards: il poetae regista turco SemihKaplanoglu con «Bal – miele»,ultimo film della trilogia diYusuf, ha conquistato i cuori delpubblico e ci fa entrare in un’al-tra dimensione di tempo. Se lamoria di api nelle altitudini dellemontagne sulla costiera turca delMar Nero sia correlata al cam-biamento climatico e quali nesono le cause, sono domandealle quali il cineasta non ri-sponde. Ciò che lo intriga è l’infanzia di un ragazzo interpre-tato da un giovanissimo attore.Ci invita a tuffarci in una naturache sta per sparire. SemihKaplanoglu ci fa vedere e ascol-tare cosa perdiamo, se scomparela natura, cosa succede se non ciprendiamo cura di lei. E ci apreuna finestra per affacciarci suun’infanzia che è anche la nostra.«Bal» di Semih Kaplanoglu, inturco, sottotitoli de/fr, il DVD con-tiene anche un colloquio con il regi-sta. Pubblicato da Edition Trigon-

La cooperazione allo svilupponell’insegnamento Nell’ambito del 50º anniversario della DSC,la Fondazione Educazione e Sviluppo haelaborato un’offerta formativa che illustravari aspetti della cooperazione allo sviluppoe dell’aiuto umanitario. È costituita da varimoduli di insegnamento online e da unDVD. I moduli di insegnamento puntano asvegliare l’interesse degli allievi delle scuole

secondarie di primo livello per le questioni centrali della cooperazione allo sviluppo, affinché ven-gano riconosciute come parte integrante delle relazioni estere della Svizzera nel contesto dellaglobalizzazione. A questo proposito, i moduli riprendono svariati aspetti della cooperazione allosviluppo, quali ad esempio la sua storia, le forme e gli attori. Una posizione centrale è riservataalle questioni di attualità, ad esempio il cambiamento climatico. Il DVD contiene, oltre al materialedidattico, sette filmati in cui vengono presentati diversi progetti di organizzazioni private e statali. I moduli di insegnamento e il DVD in italiano sono disponibili a partire dal mese di settembre. Per maggiori informazioni: www.globaleducation.ch

Spazio alla riflessione sullo sviluppo Il politecnico federale di Zurigo è strettamente legato alla storia della DSC. I primi cooperantierano ingegneri e agronomi del politecnico federale. Sono loro che hanno costruito ponti sospesie sistemi di canalizzazione e insegnato a fare il formaggio ai contadini di montagna dell’emisferosud. Il politecnico federale partecipa anche oggi al trasferimento di saperi e conoscenze.Quest’autunno, nell’ambito dell’anniversario della DSC, il politecnico federale invita a parteciparead una serie di manifestazioni, poste all’insegna della riflessione sullo sviluppo. Sotto questo titoloverranno organizzati dibattiti in plenaria e tavole rotonde. È previsto anche un dibattito sui costi e l’utilità della cooperazione allo sviluppo, al quale parteciperanno il direttore della DSC MartinDahinden e vari rappresentanti degli ambienti economici, scientifici e culturali. Anche in altre città svizzere quest’autunno si discuterà delle sfide per la cooperazione internazio-nale e del ruolo della Svizzera. A Basilea l’attenzione si focalizza sull’Africa, a Lucerna si parlerà di questioni relative all’etica e nelle città di Losanna e San Gallo verrà inaugurata l’esposizione«L’altro lato del mondo».«Denkplatz Entwicklung»: serie di manifestazioni del politecnico di Zurigo, dal 30 settembre al 10 novembre, Auditorium Maximum, Rämistrasse 101; Per ulteriori informazioni:www.northsouth.ethz.ch/news/future_events/denkplatzentwicklung/

50 anni DSC: Le informazioni più attuali relative alle manifestazioni previste in occasionedell’anniversario si trovano sul sito della DSC: www.dsc.admin.ch/50anni

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Capolavori del Gabon aGinevra ( jls) L’arte ancestrale del Gabonrappresenta una delle più bellefiliere della cultura africana.Comprende statue, maschere, reliquari e altri oggetti di rito odedicati al culto degli antenati.Dall’inizio del 20º secolo, questipezzi magnificamente stilizzati,hanno affascinato mercanti, col-lezionisti e artisti occidentali.Diventate oggetti d’arte assai ri-cercati, queste sculture tradizio-nali hanno lasciato il Gabonoramai da molto tempo e sonodisseminate nel mondo intero.In parte sono custodite nel mu-seo Barbier-Mueller di Ginevra,che possiede la più grande colle-zione privata d’arte primitiva almondo. Dallo scorso maggioquesto museo espone un centi-naio di pezzi rari ed emblema-tici, fra cui una magnifica ma-schera kwele, ai tempiappartenuta al poeta rumenoTristan Tzara. L’esposizione pro-pone anche numerose figure direliquari e le più celebri statuedell’arte gabonese. Queste effig-gie realizzate in legno o metallodovrebbero vegliare sulle spogliedei defunti. «Art ancestral du Gabon», fino al15 ottobre, www.barbier-mueller.ch

È tutto una questione di rifiuti (bf ) Da vent’anni Didier Ruefpercorre il nostro pianeta inlungo e in largo per studiare, macchina fotografica in mano, il tema dei rifiuti, il loro smalti-mento e il riciclaggio. InSvizzera, Cina, Kazakstan, USA,Nauru e in Iraq, Didier Ruef ha

Film. Per ordinazioni e informa-zioni: tel. 056 430 12 30 o www.trigon-film.org

Ninne nanne toccanti(er) La voce femminile meravi-gliosamente calda, limpida e chiara crea un’atmosfera di tran-quillità e relax, velata di melan-conia e spezzata da attimi diconforto e consolazione. Si ap-poggia sui suoni e ritmi armo-niosi e fluidi di brani musicalicreati dai più grandi musicistidella tradizione turca, iraniana,curda e araba, nonché dal con-temporaneo Bozzini StringQuartet di Montreal. È la mu-sica della cantante persiana qua-rantunenne Azam Ali, che oggivive in Canada. Ispirata dalla na-scita del figlio Iman, ha volutocreare un ciclo di ninne nanneda dedicare ai bambini sfollatidel Medio Oriente. Il tessutoche costituisce il legame di fidu-cia fra madre e bambino diventapercepibili e tangibile. Questicanti di culla provenienti daIran, Iraq, Azerbaijan, Kurdistane Turchia sono carezze per leorecchie e l’anima – anche degliadulti. Perché sono impregnatidi emozioni provocate dal con-tatto con la vita, la natura, lagioia, il dolore, l’amore e la bel-lezza e rallegrano il cuore di chili ascolta. Azam Ali: «From Night To TheEdge Of Day» (SixDegrees/Musikvertrieb)

Leggerezza melodica (er) Il gruppo etnico deiGarifuna vive sulla costa carai-bica dell’America centrale. I loro antenati nel Seicento sisono portati in salvo dalle im-barcazioni naufragate che tra-sportavano gli schiavi africani. Iltrentanovenne Aurelio Martinezè un ambasciatore impegnato di questa cultura afro-indiana«black caribs» oramai in via diestinzione – in quanto cantante

e chitarrista ma anche comeprimo deputato nero al con-gresso nazionale delle Honduras.Ecco perché i 12 brani soul delsuo secondo album contengonoun mix di storia, di realtà pre-sente e visioni per il futuro deiGarifuna. Alla creazione dell’al-bum hanno partecipato anchel’orchestra Baobab e il cantantesenegalese di fama mondialeYoussou N´Dour. Il risultato:voci maschili accattivanti e corifemminili chiari e trasparentiche si intrecciano con incante-voli melodie spumeggianti dichitarra e kora, tamburini e accenti armoniosi di balafon e xalam, fino a formare un insi-stente appello garifuna, che con-vince grazie alla sua leggerezzamelodica. Aurelio Martínez: «Laru Beya»(Stonetree Records/Smart Music)

Mix inedito (er) Il label londinese Soundwayfinora era noto per le perle musicali apparentemente intro-vabili provenienti dall’Africa,dall’America del Sud o daiCaraibi che proponeva a unpubblico di conoscitori. La suagamma attuale, invece, ci aprenuove prospettive acustiche sugliambienti musicali della Tailandiadegli anni ’60 e ’70. Nelle melo-die e nei ritmi delle tradizionimusicali locali troviamo ele-menti di rock, soul, jazz – ispi-rati fra l’altro al sound delle ra-dio americane dei GI stazionatia Saigon. Così i 19 brani, diffusifinora quasi solo in Tailandia,propongono un mix musicale

unico: suoni di phin, uno stru-mento tradizionale a corde, dikhaen, un’armonica a bocca chericorda la fisarmonica, furiosiottoni in chiave funk, accenti dibassi basati su due suoni e stoiciritmi di batteria. Un tappetomusicale su cui planano vocichiare e penetranti. Il canto affascinante e i pimpanti dialo-ghi parlati, abbozzano scene divita quotidiana che trattano diamore, desiderio, preoccupa-zione, rientro dal lavoro. Various: «The Sound Of Siam»(Soundway Records /Musikvertrieb)

Dall’India moghul aBollywood( jls) Sotto il titolo «La saveur desarts», il museo di etnografia diGinevra (MEG) presenta una se-lezione eccezionale di oggetti edocumenti che illustrano la rela-zione stretta fra musica, pittura e cinema nella cultura dell’Indiadel nord. La prima parte di que-st’esposizione è consacrata al’impero moghul, che ha regnatonella regione dal ’500 -’800: i pittori e i musicisti di cortehanno sviluppato delle applica-zioni raffinate della teoria dettadei nove saperi (nava rasa); mi-niature di strumenti d’epoca di-mostrano che le nove emozionidi base dell’essere umano sonoinerenti a ogni forma di espres-sione artistica. Una seconda se-zione rivela «i dipinti degli in-cantesimi» delle donne deivillaggi del Bengala. La visita sichiude nell’atmosfera rigorosa-mente contemporanea deglistudi di Bollywood, il cuore dell’industria cinematograficaindiana. Con un approccio ori-ginale, che integra numerosi dispositivi audiovisivi, l’esposi-zione fa appello ai sensi. «La saveur des arts – De l’Indemoghole à Bollywood», fino al 18marzo 2012 al MEG, CheminCalandrini 7, Conches/Genève,www.ville-ge.ch/meg

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Un solo mondo n.3 / Settembre 2011 35

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Martin Dahinden (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Marie-Noëlle Bossel, Marc-André Bünzli, Beat Felber, Thomas Jenatsch, Roland Leffler,Sabina Mächler, Nicole Suhner

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa: Vogt-Schild Druck AG,Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previa consultazione della redazione e citazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 54 200

Copertina: Una studentessa boliviana impara in India come riparare pannelli solari.Un sapere che poi applicherà in patria.Robert Wallis/Panos/Strates

ISSN 1661-1683

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fotografato situazioni nelle qualisi intravvede il volto umano,dietro i rifiuti che produciamo,ricicliamo e spesso sopportiamocon conseguenze tragiche. È ungrandioso racconto fotografico,composto da oltre 200 scatti, ilcui impatto forse è maggiore diquello di molti moniti ecologici:ci sensibilizza e ci stimola a trat-tare con maggior rispetto i no-stri prossimi, le generazioni fu-ture e in ultima analisi anche noistessi. Didier Ruef pubblica lesue foto regolarmente in gior-nali e periodici internazionali. «Recycle» di Didier Ruef, con testidi Matthieu Ricard, Jean-MichelCousteau e Bertrand Charrier; edizione bilingue tedesco/italiano ofrancese/inglese; EdizioniCasagrande, Bellinzona 2011

Energia e sviluppo( jls) Il mondo occidentale hafondato la sua crescita sull’usomassiccio di combustibili non

rinnovabili. Questo modello disviluppo ha immancabilmenteportato a una forte diminuzionedelle riserve energetiche, a unaumento sproporzionato deiprezzi nonché a degli effetti negativi per il clima. L’edizione2011 della Revue internationale depolitique de développement è dun-que dedicata all’interazione traenergia e sviluppo. Al centrodell’attenzione di alcuni autorivi sono le questioni geopolitichelegate alle risorse energetiche eil loro impatto sullo sviluppo, se-gnatamente nell’Africa subsaha-riana. In particolare si esaminanoi punti forti e deboli della ge-stione mondiale del settoreenergetico. Altri autori analiz-zano la portata dei progetti dicooperazione allo sviluppo. La rivista si occupa inoltre dellepolitiche elaborate dall’India edell’Ecuador nel contesto del dibattito sul cambiamento cli-matico.Revue internationale de politique de développement: «Énergie et développement», 2/2011,http//poldev.revues.org

Sogni keniani(bf ) Ngugı wa Thiong’o è nato nel 1938 in una famiglia tradizionale di contadini aKamirithu/Limuru in Kenia.Con la sua vasta opera di narra-tiva, letteratura e saggi politicioggi si annovera fra gli scrittoripiù importanti dell’Africa. Neglianni 1970 i suoi libri e le suepièce di teatro non solo erano

proibiti, ma lo hanno addiritturaportato in prigione, più tardi poisi è rifugiato all’estero. Ora haimmortalato i suoi ricordi d’in-fanzia nel libro «Träume inZeiten des Krieges» («Sogni intempo di guerra»), rivisitando un pezzo di storia coloniale del Kenia. È anche la storia diNgugı e di sua madre. Lei glipermette di andare a scuola e luiin cambio farà di tutto per nondeluderla. Dalla prospettiva diun bambino e poi di un ragazzo,Ngugı wa Thiong’o raccontacon grande senso dell’umorismoe saggezza il secolo XX contutte le sue assurdità e barbarie. «Träume in Zeiten des Krieges» di Ngug ı wa Thiong’o; A1-Verlag,Monaco 2010,non è disponibile initaliano

Servizio pubblico nella cooperazione con i paesidell’Est (lrf ) Il 25 novembre 2011 aNeuchâtel si terrà la conferenzaannuale sulla cooperazione svizzera con i paesi dell’Est.L’edizione odierna si svolge al-

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest,3003 BernaE-mail: [email protected]. 031 322 44 12Fax 031 324 90 47www.dsc.admin.ch

l’insegna dell’argomento Servicepublic efficace nel settore del-l’acqua. Sulla base di esempi diprogetto selezionati dai Balcanioccidentali e dalla Moldava, laconferenza illustrerà svariate tematiche: per esempio il ruolodello Stato per garantire l’infra-struttura di base, le sfide relativeall’approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque re-flue nello spazio rurale e urbano,nonché i processi di decentraliz-zazione e di democratizzazionecorrelati. Conferenza annua Cooperazionecon i paesi dell’Est nel Théâtre duPassage a Neuchâtel, 25 novembre2011; per ulteriori informazioni:sito web della DSC: www.dsc.admin.ch.

DFAE: esperti a vostra disposizioneDesiderate ottenere informa-zioni di prima mano su temi dipolitica estera? Le specialiste egli specialisti del Dipartimentofederale degli affari esteri DFAEsono a disposizione di scuole, associazioni e istituzioni perconferenze e discussioni su nu-merosi temi di politica estera. Il servizio è gratuito, ma è of-ferto solamente in Svizzera.All’incontro devono parteciparealmeno 30 persone.Per informazioni: Servizio delleconferenze DFAE, Palazzo federaleovest, 3003 Berna; tel. 031 322 31 53 o 031 322 44 12; e-mail: [email protected]

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«Se i governi sbloccassero i fondi necessari, l’Africa potrebbe elaboraretutte le tecnologie di cui ha bisogno».Charles Didace Konseibo, pag. 13

«Oggi la mia convinzione è un’altra:credo che si debba limitare il consumo».Barbara Bleisch, pag. 29

«Penso che il mio lavoro abbia un sensosolo nel mio paese, voglio contribuire acambiare le cose in Georgia». George Ovashvili, pag. 32