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Una difficile mobilità sociale. L’istruzione dei figli dei meridionali emigrati verso il Centro e Nord Italia. Roberto Impicciatore, Ist. di Metodi Quantitativi, Università Bocconi, Milano Gianpiero Dalla Zuanna – Dip. Scienze Statistiche, Università di Padova Abstract Le migrazioni interne fra regioni diverse sono state uno degli eventi più importanti nella storia italiana del Novecento le cui conseguenze continuano a manifestarsi ancora oggi. Ciò nonostante, scarsa attenzione è stata rivolta al destino delle famiglie immigrate dal Meridione al Nord Italia. Grazie alla disponibilità di dati ufficiali campionari rilevati su più generazioni, è stato possibile valutare la scolarità dei figli dei migranti rispetto a quella dei figli degli stanziali (nelle regioni di partenza e di arrivo) al netto di molte caratteristiche familiari fortemente connesse alla scolarità dei figli come la classe sociale e il livello d’istruzione dei genitori e la dimensione della famiglia d’origine. Ceteris paribus, i figli di immigrati al Nord nati dopo l’immigrazione dei genitori (le seconde generazioni propriamente dette) hanno avuto una probabilità di diplomarsi non significativamente diversa da quella degli autoctoni, mentre chi ha vissuto la migrazione al seguito dei genitori (generazione 1,5) è stato pesantemente penalizzato. Se lo “svantaggio competitivo” dei figli degli immigrati meridionali nati al Nord sembra dipendere più dalle condizioni sociali e demografiche vissute – prima o dopo la migrazione – dai loro genitori che dalla storia migratoria della loro famiglia, per le G1,5 può contare l’impatto negativo dato dall’aver interrotto la propria carriera scolastica. Questi risultati evidenti per il Nord Ovest italiano, non appaiono altrettanto netti per l’area del Centro-Nord Est. English abstract Internal migrations among regions have been one of the most important events in the recent Italian history with consequences that are still noticeable. Nevertheless, rarely the attention has been devoted to the destiny and integration of immigrant families from the South. Through multi-generational survey data, we evaluated the educational attainments reached by children of immigrants from the South to the North of Italy in comparison with children of non-movers parents (both in the area of arrival and departure), controlling for many family features strictly related to children education as parents’ socio-economic position, parents’ education and family size. Ceteris paribus, children of immigrants born in the North (second generations stricto sensu) have had not significantly different probability to reach the upper secondary level from them with non movers parents whereas, who lived migration with their parents (generation 1.5), has been clearly disadvantaged. Therefore, for G2 the chances in terms of education are not related to family migration history but only to social and demographic conditions owned by parents. On the other hand, G1.5 show problems linked to the interruption of educational career. These results are evident for the North-West of Italy but are not so clear in the Middle North-East.

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Una difficile mobilità sociale. L’istruzione dei figli dei

meridionali emigrati verso il Centro e Nord Italia.

Roberto Impicciatore, Ist. di Metodi Quantitativi, Università Bocconi, Milano Gianpiero Dalla Zuanna – Dip. Scienze Statistiche, Università di Padova

Abstract Le migrazioni interne fra regioni diverse sono state uno degli eventi più importanti nella storia italiana del Novecento le cui conseguenze continuano a manifestarsi ancora oggi. Ciò nonostante, scarsa attenzione è stata rivolta al destino delle famiglie immigrate dal Meridione al Nord Italia. Grazie alla disponibilità di dati ufficiali campionari rilevati su più generazioni, è stato possibile valutare la scolarità dei figli dei migranti rispetto a quella dei figli degli stanziali (nelle regioni di partenza e di arrivo) al netto di molte caratteristiche familiari fortemente connesse alla scolarità dei figli come la classe sociale e il livello d’istruzione dei genitori e la dimensione della famiglia d’origine. Ceteris paribus, i figli di immigrati al Nord nati dopo l’immigrazione dei genitori (le seconde

generazioni propriamente dette) hanno avuto una probabilità di diplomarsi non significativamente diversa da quella degli autoctoni, mentre chi ha vissuto la migrazione al seguito dei genitori (generazione 1,5) è stato pesantemente penalizzato. Se lo “svantaggio competitivo” dei figli degli immigrati meridionali nati al Nord sembra dipendere più dalle condizioni sociali e demografiche vissute – prima o dopo la migrazione – dai loro genitori che dalla storia migratoria della loro famiglia, per le G1,5 può contare l’impatto negativo dato dall’aver interrotto la propria carriera scolastica. Questi risultati evidenti per il Nord Ovest italiano, non appaiono altrettanto netti per l’area del Centro-Nord Est.

English abstract

Internal migrations among regions have been one of the most important events in the recent Italian history with consequences that are still noticeable. Nevertheless, rarely the attention has been devoted to the destiny and integration of immigrant families from the South. Through multi-generational survey data, we evaluated the educational attainments reached by children of immigrants from the South to the North of Italy in comparison with children of non-movers parents (both in the area of arrival and departure), controlling for many family features strictly related to children education as parents’ socio-economic position, parents’ education and family size. Ceteris paribus, children of immigrants born in the North (second generations stricto sensu) have had not significantly different probability to reach the upper secondary level from them with non movers parents whereas, who lived migration with their parents (generation 1.5), has been clearly disadvantaged. Therefore, for G2 the chances in terms of education are not related to family migration history but only to social and demographic conditions owned by parents. On the other hand, G1.5 show problems linked to the interruption of educational career. These results are evident for the North-West of Italy but are not so clear in the Middle North-East.

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1. Le grandi migrazioni interne in Italia nell’ultimo secolo. In Italia, durante il XIX e XX secolo ci sono state successive e intense ondate di popolazione in uscita verso l’America, l’Australia e le aree più ricche d’Europa. Ma questa è solo una parte della storia dell’emigrazione italiana. Dopo l’unità d’Italia, ma soprattutto nel secondo dopoguerra, si affianca ai movimenti verso l’estero una intensa migrazione interna di lungo raggio, con una portata che supera, nel corso della seconda metà del Novecento, quella dei flussi diretti verso gli altri paesi: nel periodo 1951-71, l’Italia meridionale e insulare presenta un saldo migratorio negativo con l’interno di 2,25 milioni e con l’estero di 1,77 milioni (Golini, 1974, pag. 23). In generale, più di nove milioni di italiani furono coinvolti in migrazioni interne interregionali tra la metà degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’70. Le migrazioni interne sono state un fenomeno sociale che ha contribuito in maniera determinante ai cambiamenti sociali e alla modernizzazione dell’Italia. Nel bene e nel male, l’eredità di quei massicci movimenti è tuttora forte e visibile nella società italiana.

Fintanto che alcune zone del paese hanno avuto ridotte o nulle capacità attrattive, le forze espulsive dalle zone meno sviluppate hanno spinto gli emigranti all’estero. Alle regioni più progredite bastavano le forze di lavoro locali alimentate da un incremento naturale non troppo ridotto. La mobilità della popolazione era abbastanza rilevante, ma prevalentemente di breve raggio, all’interno dei confini regionali: dalla montagna verso la pianura, dalle compagne verso le città e – più ancora – fra comuni fra loro confinanti. Nel secondo dopoguerra, l’accentuato sviluppo delle regioni industrializzate, unito a un incremento naturale ridottissimo, ha costituito una forza attrattiva enorme per gli emigranti delle altre regioni italiane. L’importanza strategica delle migrazioni per lo sviluppo delle aree sia di arrivo che di partenza è stata ampiamente sottolineata dagli studiosi negli anni passati (si veda, tra gli altri, Bonifazi, 1999). Tuttavia, a partire dall’inizio degli anni ‘80 l’interesse per le migrazioni interne è andato scemando a causa del riassorbimento del fenomeno. Solo recentemente il dibattito sulle migrazioni dal Sud al Nord del paese sta riprendendo corpo a causa di una decisa ripresa della mobilità delle popolazioni del Meridione (Pugliese, 2002, pagg. 117-134).

A differenza delle emigrazioni all’estero del secondo dopoguerra, il progetto migratorio della grande maggioranza degli immigrati al Nord comprendeva il trasferimento definitivo. Molti emigrati dal Mezzogiorno verso il Nord Ovest prima, il Nord Est poi non hanno fatto ritorno al luogo d’origine. Si sono insediati stabilmente, si sono sposati e hanno messo al mondo dei figli, dando presto vita a una seconda generazione di immigrati. E questa non è certo una parte trascurabile dell’eredità di cui si parlava. Questo lavoro vuole gettare qualche luce sul loro destino, in particolare sulle possibilità di successo scolastico dei figli di immigrati meridionali nel Nord Italia. In via preliminare, ci sembra però indispensabile ripercorrere brevemente le principali tappe del fenomeno migratorio interno, per delineare un quadro di riferimento entro cui collocare la nostra analisi.

1.1 Prima della seconda guerra mondiale.

Sebbene con livelli non paragonabili al secondo dopoguerra, la struttura della mobilità interregionale si definisce nelle sue linee essenziali nel periodo tra le due guerre (Sori, 1979), quando si innescano processi di mobilità territoriale sull’onda dell’affermazione nelle varie parti del paese di sottomercati a diversa struttura produttiva. La mobilità stagionale tende a trasformarsi in migrazione definitiva e iniziano a configurarsi come bacini d’accoglienza le regioni del Nord Ovest, grazie alla forte industrializzazione, e soprattutto il Lazio, nel quale la crescita terziaria e burocratica di Roma costituisce una forte attrazione. Negli anni ’30, il saldo migratorio annuo per il complesso delle regioni nord-occidentali ha un’eccedenza positiva di circa 25 mila unità l’anno e di 27 mila per il solo Lazio (tavola 1). La capacità attrattiva delle regioni più industrializzate era ancora limitata e in grado di assorbire soltanto la corrente migratoria proveniente dall’area nord-orientale e dal Veneto in particolare. Il meridione fornisce

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un contributo relativamente modesto essendo la maggior parte degli emigranti da tale zona ancora diretta nel resto d’Europa e oltre oceano (Golini, 1974).

A conferma della presenza di flussi migratori interni già prima del secondo conflitto mondiale, si consideri che nel 1925 la Fiat assunse 5.850 operai di provenienza per lo più meridionale (Sori, 1975); la popolazione di Venaria Reale in provincia di Torino passò da 6.379 a 11.663 abitanti grazie all'immigrazione di operai veneti e pugliesi che erano reclutati dalla Snia-Viscosa; a Milano, un’inchiesta sugli abitanti delle baracche sorte nella periferia della città svolta nel 1927, accertava la presenza di immigrati meridionali e, in misura minore, dal Veneto (Sori, 1979); gli edili torinesi disoccupati lamentavano la concorrenza “indebita” della manodopera meridionale nei cantieri (Treves, 1976). Iniziano, dunque, a riprodursi anche nel quadro interno le grandi problematiche dell’assimilazione sociale, della segregazione e, più in generale, di tutte le difficoltà della grande emigrazione di massa italiana all’estero (Sori, 1979).

È pensabile che la politica antiurbana e di controllo degli spostamenti interni di popolazione intraprese in epoca fascista abbia limitato i movimenti di popolazione ma, altrettanto verosimile è che queste politiche più che arginare il fenomeno, abbiamo semplicemente portato a una sottostima dei movimenti interni. Le leggi fasciste, emanate nel 1928, nel 1931 e nel 1939, che ponevano fortissime limitazioni alla mobilità interna e all’inurbamento tramite controlli e divieti1, furono in larga misura inefficaci (Sori, 1975). La decisione di eliminare dal questionario del censimento la domanda sul luogo d’origine probabilmente servì proprio per non evidenziare l’insuccesso della linea politica intrapresa. Se gli obiettivi dichiarati erano troppo ambiziosi alla luce della concreta capacità del regime di controllare minuziosamente gli spostamenti e le occupazioni lavorative delle masse italiane, certamente la politica adottata funzionò come deterrente: il bracciante agricolo che decideva di partire per il Nord industrializzato a tutti gli effetti era un illegale e pertanto soggetto a maggiori ricatti. Acquarone (1965) ci racconta che i disoccupati che nel 1930 a Torino chiedevano “Pane e lavoro”, furono restituiti ai luoghi d’origine con il foglio di via. Chi proveniva da lontano e lavorava in una fabbrica o nei cantieri edili sapeva di essere un “clandestino” in città, di avere un rapporto di connivenza con il datore di lavoro e dovette comportarsi di conseguenza, dato che la perdita del lavoro voleva dire il ritorno forzato verso le campagne della zona di provenienza (Sori, 1979). Nel frattempo, gli industriali del Nord Ovest alla ricerca di manodopera a buon mercato e scarsamente organizzata a livello sindacale, non videro interferire tali leggi con le loro esigenze produttive (Treves, 1976).

Questo stato di cose andò ben oltre la durata del regime fascista. La legge del 1939, che rafforzava ulteriormente i limiti all’inurbamento e allo spostamento di famiglie, continuò a essere valida per gran parte del miracolo economico italiano post-bellico. Questa legge intrappolava i possibili emigranti in una situazione paradossale: si richiedeva di provare d’avere una occupazione nel luogo della nuova dimora, ma per ottenere una simile occupazione bisognava avere un nuovo certificato di residenza. Quantunque ignorata, più ancora di altre leggi italiane, aveva causato angoscia a migliaia di emigranti, aveva indebolito la loro posizione nei confronti dei loro datori di lavoro e padroni di casa, li aveva posti un una ingiustificata situazione di illegalità (Ginsborg, 1989). Le grandi fabbriche del Nord continuarono a sfruttare il vantaggio contingente fornito da tale legge utilizzandola come uno dei principali freni repressivi contro l’insubordinazione della classe operaia. Fu abolita solo nel 1961, sedici anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.

1 Un decreto del 1933 sanciva che in caso di trasferimenti di operai e famiglie senza l’autorizzazione del commissariato per le migrazioni interne, «le famiglie coloniche e i lavoratori potranno essere restituiti d’autorità ai

luoghi di provenienza e i datori di lavoro saranno passibili di ammende […] da applicarsi nella misura massima ove

si tratti di spostamenti di famiglie coloniche» [cit. in Sori (1979)].

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1.2 Il secondo dopoguerra.

L’Italia a metà degli anni ’50 era ancora un paese povero. L’espansione industriale era concentrata in pochi settori – acciaio, automobile, energia elettrica – confinati quasi esclusivamente nelle regioni nord-occidentali. L’agricoltura – spesso scarsamente meccanizzata – coinvolgeva al censimento del 1951 ancora il 42% dei lavoratori, che diventavano il 57% al Sud. La legge del febbraio 1948, che aveva istituito il sistema di crediti ipotecari rurali rimborsabili in quarant’anni, non portò a sensibili miglioramenti delle condizioni socio-economiche, soprattutto nelle zone collinari e montane del Centro e del Sud. In queste aree era in atto già da tempo la polverizzazione e la frammentazione delle proprietà terriere, che si aggiungeva alla scarsa fertilità di molti suoli agricoli, senza contare che in tanti non avevano neppure un piccolo terreno. La natura assai limitata della riforma agraria, la graduale liberalizzazione dei mercati cerealicoli, che dal 1955 in poi provocò un ribasso del prezzo del grano, finivano di completare il quadro di generale indigenza. La realtà meridionale era caratterizzata da una persistente sottoccupazione e negli anni ’50 un vasto esercito di persone riusciva solo parzialmente a soddisfare la sua necessità di lavorare.

Tavola 1 Saldi migratori anagrafici delle ripartizioni in Italia dal 1931 al 1972.

Saldi migratori anagrafici (migliaia di unità, valori medi annui)

1931-40 1941-50 1951-65 1966-72

Nord Ovest 25,1 15,7 113 91,1

Centro Nord Est -34,6 -8 -31,2 12,8

Lazio 27,1 14,2 31,4 20,5

Sud e Isole -7,4 -19 -101,5 -124,4

Fonte: Golini (1974)

Con una situazione del genere, l’emigrazione costituiva una valvola di sfogo e, accanto alle esperienze migratorie d’oltreoceano e d’oltralpe, iniziarono a consolidarsi movimenti inter-regionali di un certo peso. Ai consistenti motivi che spingevano fuori dalle campagne si aggiunsero anche dei potenti fattori di attrazione da parte delle città. Di decisiva importanza era la prospettiva di un migliore salario, ma non solo. «Soprattutto tra i più giovani il desiderio

delle attrattive offerte da una città divenne dilagante quando dalla televisione del bar di paese

apparirono le immagini di un nuovo mondo consumistico fatto di vita mondana, di campioni

sportivi, di attrici famose, case piene di elettrodomestici, gite domenicali nella Fiat di famiglia» (Fofi, 1975). In tal senso può aver giocato un ruolo importante l’effetto detto di “socializzazione anticipatoria” proposto da Alberoni e Baglioni nel 19662. Gli anni dal 1951 al 1965 sono quelli della grande migrazione interna: il triangolo industriale assorbe un saldo migratorio positivo di ben 113 mila persone l’anno, il Lazio 31 mila (tavola 1). Dai dati di censimento risulta che nel 1961 ben l’11% della popolazione, 6 milioni di persone, risiedeva in una regione diversa da quella di nascita. All’inizio del secolo questo valore era solo del 4%. Nel periodo 1955-1961, dal Veneto emigrarono 1.237.000 persone, dirette soprattutto verso le città industriali della Lombardia e del Piemonte. Nello stesso periodo Marche ed

2 La socializzazione anticipatoria è un concetto che è stato molto popolare fra gli studiosi italiani

degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Quando sono ancora nella zona d’origine, i futuri emigranti farebbero proprie non solo certe mete della società ospitante, ma anche certe procedure e sarebbero già consci del fatto che per vivere nella nuova società e ottenere il successo dovranno adottare specifiche modalità di vita. Ciò sarebbe il frutto di un costante ma indiretto contatto con la società d’arrivo (mass-media, altri emigranti, ecc.). Ai loro occhi, il sistema che lasciano diviene culturalmente inferiore a quello cui si dirigono. Il modello Nord, più efficiente, diventerebbe un riferimento da imitare: con l’intensificarsi degli scambi si diffonde l’idea che il sistema del Nord ha più successo in quanto gli uomini hanno un certo modo di vivere e di pensare (Alberoni e Baglioni, 1966).

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Umbria persero insieme oltre centomila abitanti, la popolazione dell’Emilia Romagna rimase stabile e la Toscana conobbe un saldo positivo di 47.300 unità (Ginsborg, 1989). Ma le forze d’attrazione, che continuano a esercitarsi sulle regioni del Centro-Nord Est, si estendono gradualmente al Mezzogiorno che scopre il Nord Ovest come alternativa migratoria (Golini, 1974). Il “miracolo economico”, che caratterizzò il nostro paese negli anni a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, accrebbe in modo drammatico il già serio squilibrio tra Nord e Sud. Come già detto, tutti i settori dell’economia in rapida espansione erano situati, con pochissime eccezioni, nel Nord Ovest e in alcune aree centrali e nord-orientali del paese.

Sono soprattutto le grandi città ad attrarre gran parte del flusso migratorio: Roma e le città del Nord videro gonfiare la propria popolazione ma il caso più impressionante fu quello di Torino che assorbì una quota molto alta dell’immigrazione meridionale. Nel 1958 i comuni del triangolo industriale registrarono 69.000 nuovi residenti provenienti dal Mezzogiorno e questo numero balzò a più di 200.000 nel 1962 dopo l’abrogazione della legge contro l’urbanizzazione; nel 1963 si ebbero 183.000 nuove unità3 (Ginsborg, 1989).

Chi scelse di partire proveniva in primo luogo dalle zone rurali più povere e dai paesi collinari e montani. Gli spostamenti di popolazione si accompagnano a profondi cambiamenti nella struttura professionale: esodo agricolo e abbandono della terra; industrializzazione e crescita dell’occupazione industriale; terziarizzazione. Il flusso migratorio interno si caratterizza per una composizione della forza lavoro più giovane e competitiva rispetto a quella diretta all’estero. La grande richiesta di forza lavoro all’estero si rivolgeva, infatti, alla manodopera non qualificata e chiunque poteva tentare di espatriare per trovare in tempi brevi un lavoro di manovalanza generica nell’edilizia, nei lavori pubblici o nelle ferrovie (Pugliese, 2002).

La tendenza migratoria rallentò brevemente a metà degli anni ’60 per poi riprendere, con ritrovato vigore, negli anni 1966-72, nei quali si assiste a una modificazione dell’entità, della composizione e delle destinazioni dei flussi migratori rispetto al ventennio precedente. All’interno della ripartizione Centro-Nord Est il Veneto ribalta completamente la situazione negativa dei decenni precedenti passando da un saldo negativo annuo di 26 mila unità nel periodo 1951-65 a un sostanziale equilibrio migratorio; l’Emilia-Romagna e la Toscana proseguono nella loro tendenza positiva, configurandosi addirittura come regioni di attrazione soprattutto per le regioni meridionali; le Marche riducono a meno di un terzo il loro deficit migratorio. Dal meridione il deficit migratorio verso l’interno arriva a ben 124 mila unità l’anno. Nel frattempo aumenta il peso degli individui con grado d’istruzione elevato, dei tecnici e professionisti nella composizione dei flussi migratori. Tali cambiamenti sono anche il risultato delle modificazioni intervenute nella realtà sociale italiana: emigra gente diversa perché diversa è la struttura sociale del Mezzogiorno, perché è diminuita la popolazione contadina e cresciuta la scolarizzazione (Pugliese, 1983). Accoglienza e integrazione degli immigrati meridionali

Il fatto che al giorno d’oggi i timori e i risentimenti di una società che si sente invasa e minacciata, siano diretti per lo più all’arrivo di immigrati islamici e balcanici, non ci deve far dimenticare quanto nel recente passato nel Nord Italia furono forti i pregiudizi e l’ostilità verso i connazionali meridionali. I contadini del Sud dovettero accettare il loro intensivo sfruttamento in condizioni sociali e di lavoro spesso molto ardue. Ci racconta Fofi (1975) nella sua indagine sulle immigrazioni meridionali a Torino che negli anni del boom economico le condizioni di lavoro nelle piccole e medie aziende erano molto dure: l’orario di lavoro, compresi gli straordinari, durava raramente meno di dieci o dodici ore; i contratti erano sempre brevi, da tre a sei mesi; si cercava lavoro tramite le “cooperative”, forme di subappalto gangeristico della mano d’opera immigrata che aveva tra i suoi scopi quello di far dividere la forza-lavoro nel suo

3 Per gli anni ’50 non esistono statistiche affidabili per descrivere le ondate migratorie. La già citata legge fascista del 1939 ebbe tra i vari effetti anche quello di falsare le statistiche sull’emigrazione dato che molti emigrati regolarizzarono la loro condizione solo dopo il 1961.

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interno facendo sentire negli operai settentrionali minacciato il loro potere contrattuale a causa della flessibilità degli immigrati.

A Torino, i nuovi abitanti della città trovarono alloggio negli scantinati e nei solai del centro città, negli edifici destinati a demolizione, in cascine abbandonate all’estrema periferia. Ovunque si verificarono atteggiamenti razzisti, e spesso gli appartamenti non venivano dati in affitto ai meridionali (Ginsborg, 1989). Era l’epoca delle “coree”: gruppi di case abusive realizzate di notte dagli stessi immigrati su piccoli appezzamenti di terra comprati con i loro risparmi (Alasia e Montaldi, 1975).

Dopo aver superato le prime grosse difficoltà di ambientamento e aver risparmiato un po’ di denaro, il passo successivo era quello di chiamare la propria famiglia. Ma c’era il problema dell’abitazione e dell’assistenza sanitaria insufficientemente attrezzata per far fronte all’afflusso degli immigrati. La scuola fungeva da forte strumento di integrazione per i figli degli immigrati, ma spesso le strutture erano insufficienti. «Ci si iscriveva a scuola durante tutto l’anno

scolastico: all’inizio essi capivano ben poco di quello che veniva loro detto, molti parlavano in

dialetto strettissimo e spesso rispondevano con muta ostilità ai tentativi di integrazione. La

differenza di livello tra Nord e Sud era tale che perfino i ragazzi che avevano regolarmente

frequentato la scuola in meridione, una volta giunti in settentrione dovevano retrocedere di una

o due classi. Molti contadini meridionali ritennero inutile mandare le loro figlie a scuola» (Ginsborg, 1989).

Nel corso degli anni, la condizione delle famiglie degli immigrati migliorò progressivamente, anche se rimasero alcune forme di discriminazione. Molti degli stereotipi attribuiti oggigiorno agli immigrati in Italia provenienti dall’estero (dalla primitività e mancanza di educazione, alla sporcizia, alla violenza e alla tendenza a delinquere) erano in quegli anni attribuiti ai meridionali (Pugliese, 2002). Fattori come la scolarizzazione di massa, che ha fatto accorciare le distanze culturali e linguistiche, i sindacati – decisivi nel limitare le fratture tra immigrati e non all’interno dei movimenti di difesa di interessi comuni – il già citato effetto di “socializzazione anticipatoria”, l’accumularsi di esperienze ripetute negli anni che permisero agli ultimi immigrati di trovare la strada già tracciata, hanno facilitato il progressivo inserimento degli immigrati.

La valutazione dell’integrazione degli immigrati meridionali nel Nord Italia è stata considerata per lo più a livello locale limitandosi alle principali aree urbane del Nord Ovest tra cui Torino. Il capoluogo piemontese è la città che in percentuale ha accolto più immigrati, in particolare meridionali, ed è facile immaginare quanto questi abbiano inciso profondamente sul tessuto sociale e politico. Nell’ambito dello studio coordinato da Martinotti denominato progetto Torino, Negri (1982) ha cercato di delineare le differenze nei processi di mobilità sociale tra piemontesi e immigrati meridionali, evidenziando l’importanza dell’origine territoriale. Secondo questo contributo, si è configurata per le famiglie meridionali nella realtà torinese un processo di emarginazione che non ha permesso di seguire il generale processo di mobilità ascendente diffuso in Italia negli anni ’60 e ’70. I piemontesi hanno avuto accesso a lavori di tipo impiegatizio, cui sono pervenuti sia i figli delle famiglie operaie sia i figli dei lavoratori autonomi. Agli immigrati meridionali, invece, la città ha offerto il lavoro operaio con conseguente mobilità discendente per parecchi immigrati figli di commercianti e artigiani. Nella realtà milanese, l’integrazione dei meridionali sembra essere stata più favorevole, quantomeno su un piano socio-culturale (Alberoni e Baglioni, 1965), e, sebbene non siano mancate difficoltà oggettive, gli immigrati tendono a essere più simili alla popolazione autoctona rispetto a quanto è accaduto a Torino (Martinotti, 1982). 2. Dati e ipotesi

Negli anni più recenti, la ricerca socio-demografica ha prestato scarsa attenzione al destino degli immigrati dal Meridione al Nord Italia e soprattutto ai loro figli (Pugliese, 2002). Lo dimostra il fatto che non sono ancora state svolte in Italia indagini a livello nazionale o di macro-area nelle

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quali venga riportata la provenienza geografica dei genitori e il percorso migratorio seguito, informazioni fondamentali per realizzare uno studio sulle seconde generazioni in ambito interno.

In questa analisi si è cercato di aggirare questa mancanza di dati ad hoc. Utilizzando i dati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat “Famiglia, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia” del 1998, si è riusciti a ricostruire, almeno parzialmente, la storia migratoria dei nuclei familiari, ottenendo un’accettabile approssimazione dell’informazione necessaria alla definizione delle seconde generazioni. Siccome, in tale indagine sono stati intervistati tutti i componenti del nucleo familiare, si è proceduto a collegare al record di ogni figlio alcune caratteristiche dei rispettivi genitori, tra cui il luogo di nascita. Unendo tale informazione alla zona di residenza del nucleo familiare e alla zona di nascita del figlio, si è riusciti non solo a distinguere i figli di genitori stabili sul territorio dai figli di immigrati, ma anche a differenziare all’interno di quest’ultimo gruppo tra nati nella zona di provenienza e nati nella zona d’arrivo.

Uno degli svantaggi di questa operazione è quello di disporre di un sottocampione di riferimento costituito esclusivamente da individui ancora coabitanti con almeno un genitore. Al crescere dell’età, restare in casa con i genitori può essere associato ad alcuni specifici caratteri. È allora necessario limitare questo effetto di selezione includendo nell’analisi solo i giovani di età compresa tra i 20 e i 29 anni al momento dell’intervista. Inoltre, si valuterà l’impatto di questa selezione sui risultati dell’analisi attraverso l’applicazione dei modelli simultanei di Heckman (1979).

Trattandosi di persone nate tra il 1968 e il 1978 da genitori immigrati, ci si riferisce grosso modo alle ultime fasi delle grandi migrazioni interne caratterizzate dalla prevalenza dei flussi dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord. Un secondo svantaggio è legato all’assenza di informazioni sulla data di arrivo degli immigrati nella zona di residenza e, in generale, su eventuali percorsi migratori intermedi tra la nascita e l’intervista.

D’altro canto però, l’utilizzo dell’Indagine multiscopo ISTAT del 1998 fornisce degli innegabili vantaggi. Si tratta di un campione numeroso (20.153 famiglie, 59.050 individui); vi sono indicazioni sul percorso scolastico seguito da tutti i membri del nucleo familiare; le numerose informazioni sulla situazione socio-economica della famiglia ci permettono di tenere sotto controllo le caratteristiche di base dei genitori, limitando in tal modo l’effetto selettivo intrinseco nel processo migratorio. Il valore aggiunto nell’utilizzo di questi dati è nella possibilità di confrontare i figli degli immigrati non solo con i coetanei autoctoni del Centro-Nord ma anche con i figli di individui rimasti nell’area di origine. Questa comparazione, solitamente preclusa alle analisi sui migranti e sui loro discendenti, ci dà uno strumento in più per valutare la selezione del processo migratorio.

La problematica dell’assimilazione/integrazione ha molteplici sfaccettature che coinvolgono diverse sfere della vita dell’individuo. Nella presente analisi, l’attenzione è stata limitata alle possibilità (valutate ex-post) di raggiungere livelli d’istruzione medio-alti: ci chiediamo se l’origine territoriale sia in grado di influire sui percorsi educativi valutando il successo scolastico in chiave differenziale tra i figli degli immigrati e i figli di individui stabili sul territorio, sia nel luogo di partenza che di destinazione, tenendo sotto controllo statistico le condizioni familiari di partenza.

I meccanismi mediante i quali i titoli di studio influiscono sui destini lavorativi degli individui non sono ancora stati compresi pienamente, ma in generale gli studiosi sono d’accordo nel ritenere che in tutte le società avanzate l’istruzione svolge un ruolo fondamentale nel processo di collocazione degli individui all’interno dello spazio sociale (tra gli altri Ballarino e Cobalti, 2003; Checchi, 1998; Ichino et al., 1997; Shavit e Muller, 1998; Shavit e Blossfeld, 1993). Al crescere del titolo di studio raggiunto aumentano regolarmente le probabilità di accedere alle classi medie e superiori, mentre diminuiscono i rischi di occupare le posizioni sociali più svantaggiate (Pisati, 2002). Appare, dunque, ampiamente giustificato tener conto del livello d’istruzione raggiunto quale componente primaria nel definire le opportunità di carriera professionale e di accesso alle classi medio-alte.

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Ma, nonostante la diffusione dei principi universalistici e meritocratici di selezione sociale, le opportunità di carriera scolastica continuano ad essere influenzate fortemente dalle condizioni di partenza, cioè dall’ammontare di risorse che i genitori riescono a mettere a disposizione dei figli per permetter loro di accedere alle varie posizioni sociali disponibili. In sostanza, tali risorse possono essere di tre tipi (Goldthorpe et al., 1987):

- economiche: corrispondono alla ricchezza in senso stretto e includono, in particolare, il

denaro e la proprietà di mezzi di produzione quali imprese già avviate, studi professionali ecc.

- culturali: l’ammontare di risorse umane in termini di livello d’istruzione dei genitori unitamente al livello di consumi culturali effettuato;

- sociali: rete di relazioni sociali in cui è inserito il nucleo familiare e consistono nella capacità di attivare determinati canali di influenza o di accedere a specifiche informazioni.

La classe sociale di appartenenza (approssimabile attraverso la posizione socio-

professionale dei genitori) e il capitale umano dei genitori (approssimabile con il livello d’istruzione) sono fattori fortemente correlati all’ammontare di queste risorse e, pertanto, capaci di influenzare l’investimento in istruzione dei figli.

Oggi come ieri, si assiste a una disuguaglianza delle opportunità educative tra le diverse fasce di popolazione, nonostante la forte espansione dell’istruzione media e superiore. Infatti, avendo la corsa all’istruzione coinvolto in eguale misura tutte le fasce della popolazione, lascia sostanzialmente inalterate le disparità di accesso ai vari gradi. La ripartizione dei titoli di studio resta fortemente disomogenea tra le diverse classi sociali d’origine con una presenza di titoli di studio più elevati che cresce all’interno delle classi più prestigiose, sia in Italia (Ballarino e Cobalti, 2003) sia negli altri paesi occidentali, tanto da far parlare di una “Persistent inequality” (Shavit e Blossfeld, 1993).

Nell’ambito di questo meccanismo sociale, l’immigrazione può avere un ruolo importante e indipendente. Tenendo sotto controllo le risorse di partenza, essere figlio di immigrati può costituire una condizione negativa caratterizzata da minori possibilità di affermazione sociale. In tal senso, il processo di migrazione comporterebbe una serie di effetti a lungo termine che si riflettono anche sui figli degli attori principali del processo stesso.

Questa ipotesi prende spunto dal contributo di Ceravolo et al. (2001) i quali hanno analizzato nel contesto torinese gli immigrati di origine meridionale, per lo più di seconda generazione, nati negli anni 1954-58. In tale lavoro si sostiene l’idea che l’immigrazione ha un effetto autonomo sull’acquisizione di una posizione sociale, indipendentemente dalla classe sociale di partenza. Ancora oggi, nel capoluogo piemontese così come accadeva negli anni ’60, la divisione tra famiglie d’origine meridionale e piemontesi è evidente e la considerevole sovrapposizione tra la struttura gerarchica socio-occupazionale e la struttura delle differenze “etniche” legate ai flussi migratori lo dimostrerebbe: essere operaio a Torino equivale in gran parte a essere di origine meridionale, così come i ceti medio-alti sono occupati in misura largamente prevalente dagli autoctoni. La frattura basata sull’origine territoriale permane anche per la seconda generazione tanto che, anche a parità di classe sociale d’origine, i figli di meridionali, soprattutto quelli nati al Sud e giunti a Torino successivamente, hanno intrapreso percorsi educativi di più basso profilo (Ceravolo et al. 2001). Risulta evidente come si attribuisca un ruolo fondamentale non solo all’origine dei genitori ma anche al luogo di nascita del figlio di immigrati (differenziando tra i nati nella zona d’arrivo e quelli che in tale zona vi sono giunti dopo la nascita) e più in generale, al momento di arrivo del nucleo familiare del soggetto nell’ambiente sociale di destinazione.

Questi risultati possono essere estesi anche al di fuori della realtà torinese? E reggono a una verifica empirica più rigida, quando si tengono sotto controllo in modo più esteso le

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caratteristiche delle famiglie di origine: non solo la classe sociale, ma anche il titolo di studio, il numero di figli eccetera? Questo lavoro vuole rispondere a queste domande.

La nostra attenzione verrà concentrata sui figli dei meridionali emigrati nel Centro-Nord Italia, distinguendo anche tra Nord Ovest e Centro-Nord Est come possibili zone di destinazione. Consideriamo anche il comportamento delle seconde generazioni figlie di genitori immigrati nel Nord Ovest dal Centro-Nord Est, sebbene la scarsa numerosità di questo gruppo (nelle coorti qui studiate) ci permetta di sviluppare l’analisi in maniera meno soddisfacente. Infine, il successo scolastico delle seconde generazioni figlie di meridionali sarà valutato anche in relazione a quello dei coetanei rimasti nella loro zona d’origine. 3. Tecniche di analisi e variabili

Nell’analisi si utilizzeranno modelli logistici con variabile dipendente di tipo dicotomico (avere vs. non avere la condizione specificata), stimando le differenze tra sottogruppi in termini di probabilità di ottenere un particolare livello d’istruzione. La nostra variabile-risposta è il titolo di studio posseduto all’intervista, che nei modelli verrà distinta nelle due variabili binarie seguenti:

1) aver conseguito un titolo di scuola secondaria superiore o universitario (Sì/No); 2) possedere un titolo universitario o essere iscritti in un corso universitario (Sì/No).

Sotto l’ipotesi di un minor investimento in istruzione da parte dei figli di immigrati, ci aspettiamo che le differenze fra autoctoni e immigrati crescano al crescere del titolo di studio, ossia che per un immigrato sia molto più difficile raggiungere la laurea, un po’ meno complicato arrivare al diploma superiore.

Grazie alle indicazioni presenti nei primi due paragrafi, ci è possibile dividere il territorio nazionale in 4 macro-aree4 (Nord Ovest, Centro-Nord Est, Lazio, Sud), ognuna caratterizzata da uno specifico ruolo nell’ambito delle migrazioni interne, come specificato nei paragrafi introduttivi (figura 1). Considerando, inizialmente il Centro-Nord Est e Nord Ovest come area unica di arrivo (che chiameremo Centro-Nord), intendiamo come immigrato quell’individuo nato nel Sud e giunto successivamente al Centro-Nord, tanto da acquisirne la residenza. In maniera analoga si ragiona se ci si vuole concentrare solo sul Centro-Nord Est (NEC) o sul Nord Ovest (NO) come area d’arrivo. In quest’ultimo caso, si cercherà, laddove la bassa numerosità campionaria lo permette, di indagare anche sui flussi dal NEC in arrivo al NO.

Il sotto-campione di riferimento per l’analisi è stato formato selezionando dal campione ISTAT l’insieme dei figli coabitanti con almeno un genitore. La variabile indipendente chiave nell’analisi è la storia migratoria familiare atta a distinguere gli autoctoni dai figli di immigrati, cioè dall’insieme di individui nati o giunti nel Centro-Nord Italia con almeno un genitore immigrato dal Meridione. Questi ultimi costituiscono un gruppo assai eterogeneo che può essere diviso, seguendo una distinzione proposta inizialmente da Warner e Srole (1945), in seconda

generazione (nato nel paese d’arrivo) e in generazione 1,5 (giunto dopo la nascita). Inoltre, all’interno del primo gruppo si potrà distinguere tra coloro i quali hanno uno o due genitori immigrati. Nello specifico, considerando come area di destinazione l’intero Centro-Nord, le

4 Il Sud Italia comprende le regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna; il Centro-Nord Est (considerata nella sua duplice funzione di are di emigrazione e di immigrazione) le regioni Umbria, Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli V.G. e Trentino-Alto Adige; il Nord-Ovest la Lombardia, Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta. Per quanto riguarda il Lazio, l’intensa immigrazione che ha caratterizzato la città di Roma e la presenza di un’emigrazione fuori regione di scarsa entità, pongono tale regione tra quelle di immigrazione. Tuttavia, le caratteristiche della regione non giustificano un accorpamento né con l’area del Nord-Ovest, né con il Centro-Nord Est, tanto più che, sebbene le numerosità non siano tali da poter giungere a precise conclusioni, analisi realizzate solo sulla regione Lazio (qui non mostrate) non hanno mostrato risultati in linea con quelli delle altre due aree di immigrazione.

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definizioni adottate per le diverse modalità della variabile storia migratoria familiare sono le seguenti:

• autoctoni Centro-Nord: entrambi i genitori nati e residenti al Centro-Nord; • G2mix Sud: nati al C.Nord da un genitore autoctono e uno immigrato dal Sud. • G2 Sud: nati nel C.Nord, figli di meridionali immigrati al Centro-Nord; • G1,5 Sud: giunti nel C.Nord dopo la nascita, figli di meridionali immigrati al C.Nord; • autoctoni Sud: individui residenti al Sud con entrambi i genitori nati e residenti al Sud 5.

Solitamente, in letteratura il gruppo G1,5 è definito come l’insieme di individui che emigra al seguito dei genitori entro un'età che si pone variabile, in base agli autori, tra i 10 e i 15 anni. Nel nostro caso, la mancanza di informazioni sulla data della migrazione ci obbliga a una definizione meno rigorosa. Non sappiamo, infatti, se le G1,5 siano giunti nel luogo d’arrivo prima o dopo una certa età. E’ però facilmente immaginabile che tali individui, vivendo ancora con i loro genitori (entrambi immigrati), non siano emigrati da soli ma unitamente alla loro famiglia d’origine. Inoltre, dato che stiamo considerando persone di 20-29 anni al 1998 e che i movimenti migratori interni sono particolarmente bassi negli anni ottanta, è plausibile che la grande maggioranza di questi individui abbia compiuto la migrazione durante l’infanzia6. Quando l’analisi si focalizza solo sul Nord Ovest o sul Centro-Nord Est, le categorie G2mix, G2 e G1,5 saranno formate da individui figli di immigrati nell’area specificata, in partenza dal meridione o dal NEC (quando si considera come area d’arrivo il NO). Infine, la categoria “Altro” contiene tutti i figli di genitori nati o residenti nel Lazio o che hanno seguito traiettorie migratorie non altrimenti specificate, ma comunque numericamente marginali (ad esempio, chi è emigrato dal Nord Ovest verso il Sud o verso il Nord Est, se si considera quest’ultima come area d’arrivo).

La tavola 2 contiene una prima descrizione del campione in relazione alla numerosità delle possibili modalità della variabile storia migratoria familiare, disaggregando anche in base all’area di destinazione. L’esigenza di limitare il campione ai soli individui di 20-29 anni, comporta che alcuni sottogruppi siano composti solo da poche decine di unità. Quantunque i flussi migratori dal meridione al NEC non siano stati trascurabili, la loro traccia non è paragonabile a quella impressa nel triangolo industriale: i figli di meridionali costituiscono il 25% del campione residente nel Nord Ovest e solo il 9% di quello residente nel Centro-Nord Est. Nella prima area, gli individui nativi figli di genitori entrambi immigrati dal meridione (G2 Sud) rappresentano la quota più consistente all’interno dei figli di immigrati dal Sud (62%) seguiti dalle G2mix (25%) e dalle G1,5 (13%), mentre nel NEC le più rappresentate sono le G2mix, figlie di un solo genitore immigrato (55%), seguite dalle G1,5 (23%) e dalle G2 (22%).

I figli di immigrati dal Centro-Nord Est al Nord Ovest sono in numero nettamente inferiore, trattandosi di percorsi migratori più antichi ma divenuti di scarsa entità negli ultimi 30-35 anni. Grazie all’intenso sviluppo delle regioni del Centro-Nord Est, le emigrazioni da tale area verso

5 Il 12% dei nuclei familiari con figli presenti nel campione prevede la presenza di un solo genitore a causa di separazione, divorzio o vedovanza. Purtroppo, in tale situazione non si hanno informazioni sul coniuge mancante, il che ci obbliga a tener conto esclusivamente delle informazioni relative al solo genitore presente. Ne segue che la storia migratoria familiare sarà la storia migratoria di un solo genitore. Prove empiriche (qui non mostrate) hanno mostrato che l’esclusione di questi casi dall’analisi non modifica nella sostanza i risultati ottenuti. Al fine di non ridurre ulteriormente la numerosità del sottocampione considerato si è pertanto preferito continuare a considerare questi casi.

6 Tra le G1,5 potrebbe esserci qualche individuo i cui genitori, già emigrati e stabilizzati nella zona di destinazione al momento della sua nascita, hanno deciso di tornare nel luogo d’origine solo per un breve periodo a ridosso del parto, magari per avvalersi del sostegno dei familiari e di tornare immediatamente dopo la nascita del figlio al luogo di emigrazione. Una tale prassi tende implica l’inclusione nel gruppo G1,5 (nato nella zona di origine) di individui che sostanzialmente apparterrebbero al gruppo G2.

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il Nord Ovest sono dovute più alla prossimità geografica che non all’effetto di differenziali di crescita economica7. Figura 1. Traiettorie migratorie. Suddivisione del territorio nazionale in macroaree.

Nella tavola 2 è riportata anche l’incidenza dei titoli di studio elevati nei sottogruppi identificati. Sono le G2 e soprattutto le G1,5 di origine meridionale a mostrare le più basse percentuali di individui in possesso di un titolo secondario superiore. Le difficoltà dei figli di immigrati dal Sud Italia sono valide per tutto il Centro Nord, ma risultano più evidenti nel Nord Ovest dove solo il 54% delle G2 e il 45% delle G1,5 ha un diploma a fronte di un 64% per gli autoctoni. Nell’università il gap negativo delle G2 Sud nel Nord Ovest rimane abbondante (14% di casi in possesso di laurea o iscritti all’università contro il 30% degli autoctoni) mentre si riduce sostanzialmente la distanza tra G1,5 e figli di nativi.

Sviluppare una analisi multivariata introducendo, oltre alla storia migratoria familiare, tutte le variabili osservate che, modificando l’ammontare di risorse di partenza, influiscono sui percorsi scolastici, è una strada obbligata al fine di valutare la riuscita scolastica al netto dell’effetto di selezione del processo migratorio. Le covariate di controllo inserite nell’analisi sono nel dettaglio:

Genere. Se un tempo gli uomini avevano maggiore accesso all’istruzione, negli ultimi anni la situazione si è invertita, con le donne che si iscrivono alla scuola media superiore, si diplomano e vanno all’università più frequentemente dei loro coetanei maschi (Pisati, 2002). Data la giovane età del nostro campione, ci si attende dunque, probabilità più elevate per le donne. Età all’intervista. Per tener conto della diversa struttura per età dei sottogruppi di popolazione a confronto, si introduce una variabile continua. L’odds ratio esprimerà la variazione media di probabilità di ottenere il titolo di studio specificato al passare dall’età x all’età x+1.

7 Non è riportata la categoria G1,5 NEC poiché è praticamente assente (solo 6 casi nel campione considerato).

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Numero di fratelli e sorelle. La dimensione della famiglia d’origine può essere considerata un indicatore di “diluizione” delle risorse per l’istruzione presenti in famiglia (Blake, 1989). Nel questionario ISTAT tale informazione si riferisce al numero di fratelli e sorelle viventi all’intervista. Sebbene la misura più appropriata consista nella numerosità familiare ai 14 anni, la giovane età del sotto-campione considerato e la scarsa mortalità rendono le due informazioni praticamente equivalenti. Ci si attende che al crescere della dimensione familiare decresca la probabilità di proseguire gli studi.

Classe sociale d’origine: si costruisce partendo dall’informazione relativa al lavoro svolto dai due genitori quando il figlio aveva 14 anni. A tale età, infatti, il figlio è quasi certamente presente all’interno della famiglia d’origine e le risorse familiari sono fondamentali per decidere il futuro investimento in istruzione. La classificazione adottata è quella proposta da Goldthorpe negli anni ’70 e successivamente rivista ed adattata alla situazione italiana da alcuni gruppi di ricerca facenti capo all’Università di Trento (Barbagli, Capecchi e Cobalti, 1988; Cobalti e Schizzerotto, 1994): • Classe di servizio: Imprenditori, liberi professionisti, dirigenti, quadri; • Impiegati esecutivi: lavoratori dipendenti non manuali a medio-alto livello di

qualificazione (tecnici specializzati, impiegati di concetto, insegnanti); • Piccola borghesia urbana: lavoratori autonomi e coadiuvanti familiari operanti nel

settore secondario e terziario (commercianti e artigiani); • Lavoratori manuali (industria e servizi): impiegati esecutivi a basso livello di

qualificazione e lavoratori manuali occupati in posizione dipendente nei settori delle costruzioni, dell’industria, commercio e servizi;

• Lavoratori manuali (agricoltura): lavoratori manuali occupati in posizione dipendente nel settore primario.

Seguendo una consolidata tradizione sociologica, si assume l’occupazione del singolo individuo come indicatore della propria appartenenza di classe. Tuttavia, al fine di riuscire a definire la classe sociale d’origine è necessario individuare una classe sociale familiare e non più individuale. L’approccio tradizionale (Goldthorpe 1980 e 1983) prevede la scelta dell’occupazione del padre come identificativo della classe sociale dell’intero nucleo familiare. Un approccio più rigoroso dovrebbe tener conto anche dell’occupazione svolta dalla madre. Infatti, negli ultimi anni le donne coniugate e con figli hanno esteso i loro periodi lavorativi e sono spesso impiegate a tempo pieno (Cobalti e Schizzerotto, 1994). Inoltre, seppur non frequenti, vi sono casi per i quali l’occupazione femminile si colloca in una classe sociale superiore rispetto a quella del marito. Per non moltiplicare le categorie sociali, date dalla combinazione delle occupazioni dei due coniugi, si ricorre al “principio di dominanza” (Erikson, 1984): si assegna ai componenti del nucleo familiare la posizione di classe più elevata tra quelle alle quali afferiscono le occupazioni esercitate dai due coniugi. A tal proposito, si considera la suddivisione in tre macro classi:

* classi di servizio; * classi medie (classe impiegatizia, piccola borghesia urbana e agricola); * classi operaie (urbane e agricole)

che presentano chiare gerarchie di dominio tra loro. Se le classi occupazionali dei due coniugi sono distinte e appartengono a classi di dominio diverse, la classe familiare è quella più elevata tra i due coniugi, se invece le classi occupazionali sono diverse ma inserite nella stessa classe di dominio, si prende comunque quella maschile. Questa decisione si basa sulla condizione di superiorità sociale ancora oggi ricoperta dagli uomini rispetto alle donne.

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Titolo di studio dei genitori: ci si attende una netta e forte relazione positiva tra il titolo di studio dei genitori e quello dei figli. Avendo definito come:

titolo basso: nessun titolo o licenza elementare; titolo medio: licenza media inferiore; titolo alto: diploma di scuola secondaria superiore o titolo più elevato;

si è voluto inserire nei modelli il livello d’istruzione congiunto dei due genitori ottenendo una variabile con 6 modalità: entrambi titolo basso, uno basso e uno medio, uno basso e uno alto, entrambi medio, uno medio e uno alto, entrambi alto8.

Mobilità sociale intergenerazionale dal padre al nonno in termini di livello d’istruzione. L’ipotesi è che essere vissuti in una famiglia dedita a percorsi di mobilità sociale ascendente possa spingere i genitori a convogliare maggiori risorse verso l’accumulazione di capitale umano per i figli. Confrontando i titolo di studio del padre e del nonno è possibile individuare traiettorie ascendenti, discendenti o nulle9.

Tavola 2. Campione tratto dall’indagine multiscopo ISTAT “Famiglie, soggetti sociali e condizione dell’infanzia” del 1998 e indicatori della loro scolarizzazione. Sottogruppi definiti dalla variabile storia migratoria familiare. Individui di età 20-29 anni coabitanti con almeno un genitore.

Numerosità

% in possesso

almeno di un titolo

sec. sup.

% in possesso di

laurea o iscritto

all’università

Autoctoni Centro-Nord 2296 64,4 28,4

di cui: Aut. Nord Ovest 724 64,2 29,6

Aut. Centro-Nord Est 1572 64,4 27,9

Autoctoni Sud 2062 63,2 30,0

G2 mix Sud (nel Centro-Nord) 178 62,9 27,5

di cui: nel Nord Ovest 78 59,0 21,8

nel Centro-Nord Est 100 66,0 32,0

G2 Sud (nel Centro-Nord) 234 55,1 17,1

di cui: nel Nord Ovest 193 53,9 14,0

nel Centro-Nord Est 41 61,0 31,7

G1,5 Sud (nel Centro-Nord) 84 50,0 27,4

di cui: nel Nord Ovest 42 45,2 26,2

nel Centro-Nord Est 42 54,8 28,6

G2mix NEC nel Nord Ovest 103 76,7 35,9

G2 NEC nel Nord Ovest 40 57,5 30,0

Totale 5791 35,8 29,9

Prima di iniziare la nostra analisi, osserviamo la distribuzione delle nostre variabili nei diversi gruppi migratori (o non migratori) da noi individuati (vedi APPENDICE 1 e Figura 2). I genitori delle G2 provenienti dal Sud e immigrati nel Nord Ovest sono prevalentemente operai e con bassa istruzione. Emigrati in massa verso il triangolo industriale, meno di altri disponevano di capitale umano ed economico da investire nell’istruzione dei loro figli. Le migrazioni più recenti verso il Nord Ovest, dalle quali provengono in misura maggiore le G1,5, quelle dal meridione verso il Centro-Nord Est, e le migrazioni da questa ultima area verso il Nord Ovest, hanno invece coinvolto lavoratori più qualificati, con un titolo di studio e origine sociale più elevati, che sono andati ad occupare nell’area di arrivo posizioni professionali anche di elevata qualificazione e responsabilità e che hanno spesso vissuto percorsi di mobilità ascendente

8 In presenza di nuclei familiari che prevedono la presenza di un solo genitore (vedi nota 5), la classe sociale del nucleo familiare e il titolo di studio congiunto dei genitori, sono stati calcolati in base alle informazioni del solo genitore presente. Nel caso in cui l’unico genitore presente sia la madre, la mobilità sociale intergenerazionale nonno paterno - padre è da intendersi nonno materno - madre. 9 Il caso in cui il nonno ha nessun titolo e il padre licenza elementare e passaggio da licenza elementare a media inferiore, non sono stati considerati come mobilità ascendente bensì nulla.

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rispetto ai loro padri. Data la relazione tra risorse di partenza e successo scolastico, nel Nord Ovest le G2 Sud mostrano dunque un notevole handicap di partenza anche rispetto alle G1,5 Sud e alle G2mix Sud. Infine, altro fattore di potenziale svantaggio nella corsa all’istruzione dei figli, comune a tutti i gruppi di figli di immigrati, sia nel NEC che nel NO è la più elevata dimensione familiare. Figura 2. Distribuzione delle classi sociali all’interno dei sottogruppi di popolazione identificati in base alla storia migratoria familiare per zona di destinazione. Individui di età 20-29 anni coabitanti con almeno un genitore. ISTAT 1998. a. Zona di destinazione Centro-Nord nel complesso

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Autoctoni

Centro-Nord

G2mix Sud G2 Sud G1,5 Sud Autoctoni Sud

classi operaie

classi medie

Classe di servizio

b. zona di destinazione Nord Ovest

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Autoctoni

NordOvest

G2mix Sud G2 Sud G1,5 Sud G2mix NEC G2 NEC

classi operaie

classi medie

Classe di servizio

c. zona di destinazione Centro-Nord Est

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Autoctoni NEC G2mix Sud G2 Sud G1,5 Sud

classi operaie

classi medie

Classe di servizio

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4. Risultati Le stime dei modelli logistici binomiali per l’area Centro-Nord sono fornite in tavola 3. Accanto ai modelli completi che includono tutte le covariate descritte in precedenza (colonne 3 e 5), sono stati stimati anche due modelli parziali che includono oltre alla variabile status migratorio familiare solo le due variabili di struttura età e sesso, allo scopo di mettere meglio in evidenza l’effetto specifico della migrazione, al netto delle caratteristiche che i migranti possono o meno condividere con gli autoctoni. Zona di destinazione: Centro-Nord

Soffermiamoci sulla probabilità di ottenere almeno un titolo di scuola secondaria superiore. Al lordo di altri fattori (colonna 2), gli individui con entrambi i genitori immigrati dal meridione hanno una minore probabilità di raggiungere un diploma di scuola media superiore rispetto agli autoctoni, e questo è vero non solo per le G2 con entrambi i genitori provenienti dal Sud, di estrazione sociale mediamente inferiore, ma anche per le G1,5 Sud: la probabilità di ottenere un diploma per gli autoctoni è superiore del 47% rispetto alle G2 Sud e del 85% rispetto alle G1,5 Sud. Questi risultati sono rinforzati da un’elevata significatività statistica. Gli individui con un solo genitore immigrato e la categoria di controllo fornita dagli autoctoni del Sud, non mostrano particolari differenze con gli autoctoni del Centro-Nord.

Quanto appena rilevato dipende in gran parte dalla diversa composizione dei sottogruppi messi a confronto. Infatti, nel modello completo (colonna 3), lo svantaggio delle G2 Sud diminuisce in entità e perde significatività statistica. Evidentemente, la situazione sociale svantaggiata è alla base della minore riuscita scolastica di questo sottogruppo. In altre parole, non sembra realizzarsi una differenza sistematica con gli autoctoni del Centro-Nord da imputarsi a fattori “altri” rispetto alle differenti dotazioni di base. Restano invece confermati i problemi per le G1,5 Sud il cui rischio relativo, posto uguale a 1 quello degli autoctoni del Centro-Nord, resta vicino a 0,5.

Un altro importante risultato è il seguente: ceteris paribus, gli autoctoni del Sud mostrano un maggiore successo scolastico. A fronte di percentuali di successo scolastico simili nel Sud e Nord del paese (la percentuale di individui di 20-29 anni nel campione ISTAT in possesso di un diploma all’intervista è del 56,2% per i residenti nel Centro-Nord e del 56,9% per i residenti nel Sud), vi è una differente distribuzione delle classi sociali d’origine, per il titolo di studio dei genitori e per la numerosità familiare tra le due zone del paese. Tenendo sotto controllo l’effetto di questi fattori, gli abitanti del Sud Italia giungono ad avere probabilità più elevate di proseguire i loro studi. Tuttavia, il risultato che a noi interessa di più è fornito dal confronto tra la riuscita dei figli di immigrati al Centro-Nord e i figli di chi è rimasto al Sud. In linea di massima, questi ultimi hanno fornito ai propri figli probabilità maggiori di diplomarsi rispetto a chi è emigrato: considerando pari a 1 questa probabilità per gli autoctoni Sud, il rischio relativo per le G2 con un solo genitore proveniente dal Sud (G2mix Sud) è 0,67 (sign.>95%), per le G2 Sud è 0,65 (sign.>99%) e per le G1,5 Sud è addirittura pari a 0,38 (sign. >99%).

I risultati per le altre covariate inserite nel modello concordano largamente con le nostre aspettative. Al crescere della classe sociale di appartenenza, aumenta la possibilità di allungare i propri studi: il figlio di genitori borghesi ha una probabilità di diplomarsi 3,2 volte superiore al figlio di operai agricoli e 1,7 volte superiore al figlio di operai urbani. Ancora più importante della classe sociale è il livello d’istruzione dei genitori. Se i genitori hanno entrambi un titolo elevato, il loro figlio ha quasi 12 volte più possibilità di diplomarsi rispetto al figlio di genitori entrambi con titolo basso. Le donne hanno maggior probabilità di diplomarsi, mentre non si osservano grandi differenze per età. In linea con le attese è anche l’effetto di una famiglia numerosa: maggiore è il numero di fratelli e sorelle, minori sono le risorse a disposizione per la propria istruzione. Infine, anche i percorsi di mobilità sociale intergenerazionale vissuti dal padre hanno una certa influenza, ma non sono statisticamente molto significativi.

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Tavola 3. Rischio relativo di conseguire un certo titolo di studio, secondo i percorsi migratori

familiari e altre caratteristiche delle persone di età 20-29 anni coabitanti con almeno un genitore, intervistate in Italia nel 1998. Zona di destinazione dell’eventuale emigrazione: Centro-Nord nel

complesso.

Livello secondario superiore o titolo più elevato (sì - no)

Iscritto all’università o laurea già ottenuta (sì - no)

n Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig.

(1) (2) (3) (4) (5) Storia migratoria familiare

Autoctoni Centro-Nord (rif.) 2.296 1 1 1 1 G2mix Sud 178 0,93 0,93 0,93 0,95

G2 Sud 234 0,68 *** 0,86 0,52 *** 0,62 ** G1,5 Sud 84 0,54 *** 0,47 *** 0,94 0,81

Autoctoni Sud 2.062 0,94 1,34 *** 1,06 1,37 *** Altro 937 1,27 *** 1,17 * 1,49 *** 1,36 ***

Genere Maschio (rif.) 3.215 1 1 1 1

Femmina 2.576 1,79 *** 1,92 *** 1,82 *** 1,95 *** Età all'intervista

0,97 *** 1,02 * 0,96 *** 0,98 Livello d'istruzione congiunto dei genitori

Entrambi basso (rif.) 2.098 1 1 Uno basso e uno medio 1.151 1,80 *** 1,50 ***

Uno basso e uno alto 200 2,85 *** 2,34 *** Entrambi medio 945 2,29 *** 2,08 ***

Uno medio e uno alto 677 4,21 *** 4,10 *** Entrambi alto 720 10,48 *** 8,79 ***

Classe sociale Borghesia (rif,) 808 1 1

Classe media impiegatizia 1.451 0,95 0,70 *** Piccola borghesia urbana 996 0,73 ** 0,64 ***

Piccola borghesia agricola 290 0,57 *** 0,63 *** Classe operaia urbana 2.038 0,55 *** 0,41 ***

Classe operaia agricola 208 0,32 *** 0,31 *** Mobilità nonno-padre

Nulla (rif.) 3.898 1 1 Ascendente 1.763 1,19 * 0,92

Discendente 130 0,75 0,67 * Numero di fratelli e sorelle

0-1 (rif.) 3.414 1 1 2 1.496 0,75 *** 0,78 ***

3 o più 881 0,36 *** 0,45 *** Costante 2,62 *** 0,72 0,35 ***

Totale casi 5.791 -2 loglikelihood 7.407 6.286 6.892 5.873 R2 Cox and Snell 0,02 0,20 0,03 0,19 R2 Nagelkerk 0,03 0,27 0,04 0,26 Significatività statistica: *** ≥99%; **≥95%; * ≥ 90%

Consideriamo ora le probabilità di proseguire gli studi dopo la maturità o il diploma.

Le G1,5 Sud recuperano buona parte dell’handicap accusato rispetto agli autoctoni: nel modello completo (tavola 3, colonna 5), gli autoctoni hanno solo il 15% di probabilità in più di iscriversi all’università, dove tale differenza non è neppure supportata da un’adeguata significatività statistica. Così come era già apparso nella parte descrittiva, per le G1,5 vi sono

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dei problemi a raggiungere un titolo d’istruzione secondaria superiore, ma chi raggiunge questo obiettivo molto spesso prosegue i propri studi iscrivendosi all’università e colmando, a questo livello, il gap con la popolazione autoctona. Sembra che in questo gruppo vi sia una selezione nella scuola ben più forte di quanto accada per il resto della popolazione, che porta a far proseguire gli studi solo ai più motivati. Chi invece, accusa un pesante ritardo è il gruppo delle G2 Sud: il ritardo rispetto agli autoctoni nell’ottenere un diploma, dovuto principalmente alla differente struttura sociale dei due gruppi, diventa più forte, più significativo e trascende da questioni legate alle diverse risorse di partenza. È possibile che i figli di immigrati meridionali, pur proseguendo gli studi oltre l’obbligo, si indirizzano più spesso rispetto agli autoctoni verso istituti tecnici e scuole superiori professionalizzanti, puntando a un ingresso più rapido nel mercato del lavoro e rinunciando a iscriversi all’università. Gli effetti delle altre covariate presenti nel modello in colonna 4 non si discostano da quelli visti in precedenza.

L’analisi prosegue focalizzando l’attenzione sui movimenti migratori verso le due aree Nord Ovest e Centro-Nord Est considerate separatamente. Le modalità della variabile storia migratoria cambiano leggermente rispetto a quelle viste finora, ma sia chiaro che il campione di riferimento resta sempre quello nazionale, essendo interessati a valutare anche il comportamento degli autoctoni del Sud. Gli effetti delle covariate di controllo non saranno mostrate poiché sostanzialmente coincidenti con quelli visti nei modelli precedenti. Zona di destinazione Nord Ovest

Rispetto a quanto visto per il Centro-Nord in generale, lo svantaggio delle G1,5 Sud nella

probabilità di raggiungere un livello d’istruzione secondaria superiore, tende a essere ancora più evidente rispetto agli autoctoni del Nord Ovest mostrando, nel modello completo (tavola 4: colonna 3) un odds ratio pari a 0,40. Inoltre, rispetto agli autoctoni del Sud le cose non vanno meglio per nessuno dei tre gruppi di figli di immigrati: posto uguale a 1 il rischio relativo per autoctoni Sud, abbiamo i valori 0,59 (sign.>95%), 0,66 (sign.>95%) e 0,28% (sign.>99%) rispettivamente per G2mix Sud, G2 Sud e G1,5 Sud. Tavola 4. Rischio relativo di conseguire un certo titolo di studio, secondo i percorsi migratori familiari e altre caratteristiche delle persone di età 20-29 anni coabitanti con almeno un genitore,

intervistate in Italia nel 1998. Zona di destinazione dell’eventuale emigrazione: Nord Ovest.

Livello secondario superiore o

titolo più elevato (sì - no) Iscritto all’università o laurea

già ottenuta (sì - no)

n Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig.

(1) (2) (3) (4) (5) Storia migratoria familiare

Autoctoni Nord Ovest (rif.) 724 1 1 1 1 G2mix provenienti dal Sud 78 0,82 0,92 0,67 0,75

G2 Sud 193 0,65 *** 0,99 0,38 *** 0,56 ** G1,5 Sud 42 0,44 *** 0,40 ** 0,82 0,71

Autoctoni Sud 2.062 0,95 1,52 *** 1,00 1,41 *** G2mix provenienti dal NEC 103 1,80 ** 1,78 ** 1,30 1,23

G2 NEC 40 0,77 0,76 1,06 1,08 Autoctoni NEC 1.572 1,01 1,18 * 0,92 1,04

Altro 977 1,18 1,23 ** 1,36 *** 1,38 *** Totale casi 5.791

Note: - colonne (2) e (4) modelli parziali (aggiunta delle covariate sesso e età all'intervista) - colonne (3) e (5) modello completo (comprendente tutte le covariate)

Si rimanda alla tavola 4 per le covariate, i cui effetti non vengono qui illustrati Significatività statistica: *** ≥99%; **≥95%; * ≥ 90%

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Per i figli di immigrati provenienti dal Centro-Nord Est, si segnala solo una più alta propensione all’istruzione prolungata (maggiore anche rispetto agli autoctoni del NEC), per le Seconde generazioni figlie di un genitore provenienti dalle regioni NEC (G2Mix NEC).

Anche relativamente alla probabilità di proseguire gli studi dopo il diploma o la maturità, resta valido quanto detto per il Centro-Nord in generale, sebbene le relazioni suggerite in precedenza siano più nette. A mostrare maggiori difficoltà sono le G2 Sud, anche al netto degli effetti di tutte le covariate considerate nell’analisi. Per le G1,5 Sud e per le G2mix Sud, il minor ricorso all’istruzione universitaria non da luogo a differenze statisticamente significative. Zona di destinazione Centro-Nord Est

Essere figlio di immigrati meridionali nel Centro e nel Nord Est risulta nettamente meno caratterizzante, quantomeno in relazione al risultato scolastico, rispetto a quanto accade nel Nord Ovest (tavola 5). Sebbene i rischi relativi di ottenere un titolo di scuola secondaria superiore siano inferiori all’unità sia per le G2 che per le G1,5, manca una significatività statistica tale da poter dar forza al risultato, sia nel modello parziale (colonna 2) che in quello completo (colonna 3). Se poi consideriamo le probabilità di essere iscritto all’università o di essere già laureato, allora le differenze praticamente spariscono del tutto. Tavola 5. Rischio relativo di conseguire un certo titolo di studio, secondo i percorsi migratori

familiari e altre caratteristiche delle persone di età 20-29 anni coabitanti con almeno un genitore,

intervistate in Italia nel 1998. Zona di destinazione dell’eventuale emigrazione: Centro Nord Est.

Livello secondario superiore o

titolo più elevato (sì - no) Iscritto all’università o laurea

già ottenuta (sì - no)

n Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig. Rischio relativo

Sig.

(1) (2) (3) (4) (5) Storia migratoria familiare

Autoctoni NEC (rif.) 1.572 1 1 1 1 G2mix Sud 100 1,04 0,97 1,16 1,11

G2 Sud 41 0,90 0,75 1,27 0,97 G1,5 Sud 42 0,66 0,56 * 1,03 0,93

Autoctoni Sud 2.062 0,94 1,27 *** 1,09 1,35 *** Altro 1.974 1,03 0,93 1,17 ** 1,07

Totale casi 5.791 Note:

- colonne (2) e (4) modelli parziali (aggiunta delle covariate sesso e età all'intervista) - colonne (3) e (5) modello completo (comprendente tutte le covariate) .

Si rimanda alla tavola 4 per le covariate, i cui effetti non vengono qui illustrati Significatività statistica: *** ≥99%; **≥95%; * ≥ 90%.

Nell’APPENDICE 2 si riportano i risultati dell’applicazione ai nostri dati del modello di

Heckman, per tenere sotto controllo le possibili distorsioni indotte dalla selezione del nostro campione (solo per le persone che vivono con i genitori è possibile conoscere la storia migratoria familiare). I risultati dei modelli di regressione presentati nel presente paragrafo sono del tutto confermati. Evidentemente, l’effetto della storia migratoria dei genitori sulla probabilità di conseguire titoli di studio superiori non varia al variare del tempo di uscita dalla famiglia d’origine.

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5. Conclusioni e discussione Le migrazioni interne fra regioni diverse sono state uno degli eventi più importanti nella storia italiana del Novecento: in questo mescolamento di popoli, forse per la prima volta l’Italia iniziò a diventare un paese unito. Questo fenomeno rivoluzionario ha vissuto il suo apice fra gli anni Cinquanta e Settanta, ma le sue conseguenze continuano a manifestarsi ancora oggi, specialmente nelle regioni del Nord Ovest, dove l’immigrazione è stata più intensa e drammatica. Grazie alla disponibilità di dati ufficiali campionari rilevati su più generazioni, abbiamo potuto valutare gli effetti delle migrazioni interne di quegli anni sulla scolarità dei figli dei migranti, senza limitare lo studio a realtà territoriali particolari, e confrontando i titoli di studio raggiunti dai figli dei migranti e dai figli degli stanziali (nelle regioni di partenza e di arrivo). Inoltre, poiché l’indagine rilevava molti dati sui genitori, è stato possibile isolare l’influenza del processo migratorio sul titolo di studio, al netto di molte caratteristiche familiari fortemente connesse alla scolarità dei figli: la classe sociale dei genitori, prima di tutto, ma anche la loro scolarità, il numero di figli e la mobilità sociale della generazione precedente. Possiamo riassumere i risultati in quattro punti principali.

Innanzitutto, ceteris paribus, i figli di immigrati al Nord nati dopo l’immigrazione dei genitori (le G2 propriamente dette) hanno avuto una probabilità di diplomarsi non significativamente diversa da quella degli autoctoni. Questo risultato è diverso da quelli ottenuti da Negri (1982) e Ceravolo et al. (2002) per la sola città di Torino. La differenza potrebbe essere dovuta al contesto sociale più allargato qui considerato: l’integrazione nella realtà urbana di Torino è stata probabilmente più difficile che altrove. Bisogna anche tener conto che la nostra analisi è limitata alle coorti nate fra il 1968 e il 1978, ed è possibile che per generazioni meno giovani, che sono l’oggetto degli studi citati, le cose siano andate in modo diverso. Infine, il nostro risultato è il frutto di un più rigido controllo sulle caratteristiche individuali e familiari al fine di limitare le distorsioni dovute alla selezione migratoria. Infatti, fattori come il genere, il livello d’istruzione dei genitori e la dimensione della famiglia di origine, influenzano fortemente il percorso scolastico e non tenerne conto spinge la scolarità delle G2 significativamente al di sotto di quella degli autoctoni. Quindi, lo “svantaggio competitivo” dei figli degli immigrati meridionali nati al Nord non è stato frutto tanto della storia migratoria della loro famiglia, ma delle condizioni sociali e demografiche vissute – prima o dopo la migrazione – dai loro genitori. Le medesime condizioni – se vissute dagli autoctoni – hanno ostacolato in misura simile la mobilità sociale dei figli.

In secondo luogo, a conferma di quanto sottolineato in letteratura, è essenziale distinguere i figli di immigrati in tre sottocategorie: G2mix (un solo genitore immigrato e uno autoctono), G2 (entrambi i genitori immigrati, figlio nato nella regione d’arrivo) e G1,5 (entrambi i genitori immigrati, figlio nato nella regione di partenza). Il primo di questi tre gruppi non presenta mai differenze significative rispetto agli autoctoni. Per gli altri due gruppi i risultati cambiano a seconda del livello d’istruzione considerato. Nell’ambito della scuola secondaria superiore – come abbiamo appena visto – le G2 si comportano come gli autoctoni, mentre chi ha vissuto la migrazione dopo la nascita (G1,5) è stato pesantemente penalizzato Per le G1,5 può contare l’impatto negativo dato dall’aver interrotto la propria carriera scolastica (Valverde e Vila, 2003): da un lato vi è il maggior carico di lavoro richiesto per integrarsi con i programmi scolastici della nuova scuola, dall’altro l’inserimento nel nuovo ambiente richiede lo sforzo per una seconda socializzazione, cioè per l’apprendimento della realtà sociale circostante e dei suoi meccanismi. I nuovi arrivati possono entrare con maggior frequenza nel circolo degli studenti mediocri rimanendovi involontariamente coinvolti. Nella sua ricerca sugli immigrati meridionali a Torino, Fofi (1975) interrogando insegnanti scolastici rileva le maggiori difficoltà riscontrate da chi, arrivando da altre regioni, cerca di inserirsi nella nuova realtà scolastica. Dice uno di questi insegnanti: «con i bambini già scolarizzati bisogna ricominciare tutto daccapo con difficoltà enormi. Va invece molto meglio con i non scolarizzati. Bisogna declassare la più parte dei ragazzi scolarizzati perché pur avendo, ad esempio, una licenza di quinta è già molto se li si può mettere vicini quanto a preparazione a ragazzi piemontesi di terza». Nuove difficoltà sono

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date dall’arrivo degli immigrati che portano a scuola i figli a febbraio o marzo. I genitori, d’altro canto, spesso rinunciano a sostenere lo sforzo supplementare che i figli devono sostenere nel processo di adattamento: «se aveva cominciato a studiare qui era un’altra cosa, adesso è già in ritardo e non è svelto di sviluppo come se avesse studiato qui» (Fofi, 1975). Se si valuta invece la probabilità di avere una laurea o di essere iscritto ad un corso universitario, il quadro cambia, mostrando un forte recupero per le G1,5 Sud – capaci di colmare gran parte del gap con gli autoctoni – mentre per le G2 lo svantaggio è netto, forse per una più scarsa predisposizione verso l’istruzione prolungata, a vantaggio di un più rapido inserimento nel mercato del lavoro. Bisogna però ricordare che – a causa della numerosità campionaria – i risultati riferiti alle G2mix e alle G1,5 vanno presi con molta cautela.

Il terzo punto è relativo all’effetto del processo migratorio nelle diverse aree di arrivo. I risultati appena riassunti sono evidenti per il Nord Ovest italiano, ma sembrano molto meno netti per l’area del Centro-Nord Est, dove le differenze tra autoctoni e figli di immigrati tendono a ridursi e perdono significatività statistica. Non abbiamo abbastanza elementi per dire se si tratta semplicemente di un effetto dovuto alla scarsa numerosità dei figli di immigrati nel Centro-Nord Est, o se le differenze nei tempi e nelle caratteristiche dei flussi migratori dal Sud verso le due aree centro-settentrionali si traducano in diverse modalità di inserimento nel tessuto sociale per i figli degli immigrati. Tuttavia, sarebbe interessante verificare anche in altri contesti se l’integrazione è effettivamente più semplice dove gli immigrati sono stati relativamente pochi (come nelle regioni del Nord Est e Centro Italia) rispetto alle regioni del Nord Ovest, meta per quasi due decenni di esodi di massa.

Infine – al contrario di quanto può forse attendersi chi conosce poco la realtà italiana – i giovani più scolarizzati sono i figli delle coppie che sono rimaste al Sud, residenti nell’area meno sviluppata del paese. La loro scolarizzazione è molto superiore rispetto a quella dei coetanei figli di genitori meridionali emigrati al Nord, ma anche a quella di chi è sempre vissuto nelle regioni del Nord. Questo risultato – con tutta probabilità – va interpretato alla luce dell’altissimo livello della disoccupazione giovanile nel Sud d’Italia. La mancanza di reali prospettive di lavoro induce molti giovani a proseguire gli studi, considerando l’istruzione superiore, e soprattutto quella universitaria come un’area di “parcheggio” (Barbagli, 1974; Pugliese, 1982, pag. 36); inoltre, la speranza di accedere a un impiego pubblico spinge molti giovani a cercare di conseguire un “pezzo di carta”. Dal secondo dopoguerra in poi – e dunque anche per le generazioni qui considerate – la scolarità nel Mezzogiorno è “gonfiata” dalle maggiori difficoltà nell’ingresso nel mercato del lavoro più che da un'effettiva fiducia nell’istruzione come mezzo di ascesa sociale.

In estrema sintesi, le indicazioni tracciate da Ceravolo et al. (2001) relative alle difficoltà di accesso all’istruzione superiore per i figli di immigrati meridionali a Torino, sono solo parzialmente confermate dalla presente analisi estesa a tutto il Centro-Nord. Solo nell’ambito universitario la condizione figlio di immigrato è associata a un minor ricorso al prolungamento dell’istruzione a favore di un più rapido accesso nel mondo del lavoro e di un maggior ricorso a studi di tipo tecnico o professionalizzanti. Nella scuola secondaria superiore, invece, l’effetto penalizzante è maggiormente legato alla doppia socializzazione e all’interruzione del percorso scolastico (vissuti dalle G1,5) che alla condizione di figlio di immigrato in sé. In tal senso, la scuola (in Italia quasi totalmente pubblica) può aver svolto un ruolo importante nel favorire l’integrazione dei figli di meridionali nati al Nord, mentre sembrerebbe essere stata meno pronta nell’integrare studenti che avevano già avviato i loro studi in un’altra regione. Ad ogni modo, si conferma pienamente l’importanza data al momento della migrazione (nato nel luogo d’arrivo o giunto dopo la nascita) quale fattore di differenziazione all’interno della categoria figlio di immigrato.

Infine, per meglio circostanziare i nostri risultati, sottolineiamo che abbiamo studiato solo persone nate tra il 1968 e il 1978. Si tratta quindi – per lo più – dei figli degli ultimi partecipanti alla grande migrazione di massa. Appartenere a nuclei migranti “pionieri” o giungere, al contrario, in una realtà con una presenza stabile di conterranei potrebbe avere avuto un’influenza non secondaria nella costruzione del capitale umano dei giovani.

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APPENDICE 1 Alcune caratteristiche del campione di individui di età 20-29 anni coabitanti con almeno un genitore, intervistati in occasione dell’Indagine Multiscopo dell’ISTAT del 1998.

Campione nel complesso % distribuzione nei sottogruppi:

%

distribuzione

% almeno

un titolo di

scuola

secondaria

inferiore

% laureati o

iscritti alla

università

Autoctoni

Centro-

Nord

G2mix

Sud

G2

Sud

G1,5

Sud

Autoctoni

Sud

(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)

Genere

Uomo 55,5 58,3 24,2 55,7 57,3 59,0 54,8 55,3

Donna 44,5 71,6 37,1 44,3 42,7 41,0 45,2 44,7

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Età all'intervista

20-24 anni 58,9 65,4 31,9 57,0 68,0 62,4 60,7 59,7

25-29 anni 41,1 62,5 27,0 43,0 32,0 37,6 39,3 40,3

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Livello d'istruzione dei genitori

Entrambi basso 36,2 43,7 14,0 34,1 27,0 42,7 26,2 42,4

Uno basso e uno medio 19,9 62,4 21,5 20,9 24,2 20,9 22,6 18,5

Uno basso e uno alto 3,5 78,0 34,0 4,1 1,7 3,8 2,4 3,3

Entrambi medio 16,3 71,2 30,4 18,4 21,9 15,4 17,9 13,1

Uno medio e uno alto 11,7 85,4 50,1 12,2 15,7 8,5 14,3 9,5

Entrambi alto 12,4 94,0 69,2 10,2 9,6 8,5 16,7 13,2

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Classe socio-economica d’origine

Classe di servizio 14,0 81,9 52,5 17,2 15,7 11,1 20,2 8,3

Impiegati esecutivi 25,1 80,4 42,9 22,3 29,2 20,1 22,6 27,9

Piccola borghesia urbana 17,2 63,8 28,0 19,2 11,2 13,2 15,5 15,7

Piccola borghesia agricola 5,0 49,0 20,7 4,6 2,2 0,9 3,6 7,6

Lav. manuali (industria e servizi) 35,2 51,4 16,0 35,1 39,3 53,4 32,1 33,8

Lav. manuali (agricoltura) 3,6 32,2 10,1 1,7 2,2 1,3 6,0 6,7

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Mobilità sociale nonno-padre

Nulla 67,3 56,3 22,6 72,1 67,4 68,4 58,3 64,7

Ascendente 30,4 82,5 46,9 26,1 28,1 26,5 39,3 33,5

Discendente 2,2 54,6 20,8 1,8 4,5 5,1 2,4 1,7

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Numero di fratelli e sorelle

0-1 59,0 70,7 34,3 71,7 70,8 59,0 53,6 42,4

2 25,8 64,0 29,1 20,1 16,3 24,4 21,4 32,1

3 o più 15,2 39,4 14,4 8,2 12,9 16,7 25,0 25,5

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

(continua)

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APPENDICE 1 (segue). Alcune caratteristiche del campione di individui di età 20-29 anni coabitanti con almeno un

genitore, intervistati in occasione dell’Indagine Multiscopo dell’ISTAT del 1998.

% distribuzione nei sottogruppi:

Zona di destinazione NORDOVEST

Zona di destinazione CENTRO-

NORDEST

Autoctoni

NordOvest

G2mix

Sud

G2

Sud

G1,5

Sud

G2mix

NEC

G2

NEC

Autoctoni

NEC

G2mix

Sud

G2

Sud

G1,5

Sud

(7) (8) (9) (10) (11) (12) (13) (14) (15) (16)

Genere

Uomo 55,8 62,8 58,0 52,4 52,4 60,0 55,7 53,0 63,4 57,1

Donna 44,2 37,2 42,0 47,6 47,6 40,0 44,3 47,0 36,6 42,9

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Età all'intervista

20-24 57,0 64,1 66,8 61,9 60,2 47,5 57,0 71,0 41,5 59,5

25-29 43,0 35,9 33,2 38,1 39,8 52,5 43,0 29,0 58,5 40,5

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Livello d'istruzione dei genitori

Entrambi basso 29,6 24,4 45,1 33,3 24,3 37,5 36,2 29,0 31,7 19,0

Uno basso e uno medio 21,1 21,8 22,3 19,0 24,3 25,0 20,9 26,0 14,6 26,2

Uno basso e uno alto 3,6 2,6 3,6 2,4 1,9 4,3 1,0 4,9 2,4

Entrambi medio 19,9 29,5 16,1 11,9 17,5 10,0 17,7 16,0 12,2 23,8

Uno medio e uno alto 14,5 16,7 8,3 11,9 18,4 12,5 11,2 15,0 9,8 16,7

Entrambi alto 11,3 5,1 4,7 21,4 13,6 15,0 9,7 13,0 26,8 11,9

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Classe socio-economica d’origine

Classe di servizio 20,3 15,4 6,7 23,8 16,5 30,0 15,7 16,0 31,7 16,7

Impiegati esecutivi 21,0 24,4 19,2 21,4 26,2 17,5 22,8 33,0 24,4 23,8

Piccola borghesia urbana 19,9 14,1 15,5 16,7 21,4 7,5 18,9 9,0 2,4 14,3

Piccola borghesia agricola 3,3 2,6 0,5 - 1,9 2,5 5,2 2,0 2,4 7,1

Lav. manuali (industria e servizi) 35,5 42,3 56,5 26,2 33,0 40,0 34,9 37,0 39,0 38,1

Lav. manuali (agricoltura) - 1,3 1,6 11,9 1,0 2,5 2,5 3,0 - -

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Mobilità sociale nonno-padre

Nulla 73,2 67,9 70,5 61,9 63,1 55,0 71,6 67,0 58,5 54,8

Ascendente 24,7 25,6 23,8 35,7 35,0 42,5 26,8 30,0 39,0 42,9

Discendente 2,1 6,4 5,7 2,4 1,9 2,5 1,7 3,0 2,4 2,4

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Numero di fratelli e sorelle

0-1 73,9 67,9 64,2 54,8 71,8 77,5 70,7 73,0 34,1 52,4

2 18,6 19,2 19,7 11,9 26,2 12,5 20,8 14,0 46,3 31,0

3 o più 7,5 12,8 16,1 33,3 1,9 10,0 8,5 13,0 19,5 16,7

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

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APPENDICE 2

Controllo della selezione secondo il tempo di uscita dalla casa dei genitori: applicazione del modello di Heckman.

Il campione analizzato in questo articolo è composto solo da individui ancora coabitanti con almeno un genitore, poiché con i dati dell’Indagine Istat Multiscopo del 1998 non è possibile definire la storia migratoria familiare per chi non vive più con il nucleo familiare di origine (manca l’informazione sul luogo di nascita dei genitori e non esiste il record del genitore cui collegare quello dell’individuo intervistato). Se il tempo di uscita dalla famiglia d’origine fosse in qualche modo interconnesso alla relazione fra istruzione e storia migratoria familiare, allora le stime finora presentate sarebbero distorte.

Heckman (1979) propone un modello in grado sia di valutare quanto influente è la selezione sia di ottenere delle stime degli effetti delle covariate al netto di tale processo selettivo. Questo modello prevede l’osservazione di una variabile (continua, ordinale o categoriale) su un singolo individuo solo a condizione che un’equazione ausiliaria di selezione abbia esito positivo. Nello specifico si considerano due equazioni simultanee:

a) equazione di interesse iii UXY 1111 += β

b) equazione di selezione iii UXY 2222 += β

dove jiX è un vettore jK×1 di regressori esogeni, jβ è un vettore 1×jK di parametri. La

variabile iY1 è osservata (cioè l’individuo è inserito nella prima equazione) solo se 02 >iY .

Dunque, la prima equazione è limitata al sottocampione identificato dal valore di iY2 , mentre la

seconda equazione agisce su tutto il campione. Nella popolazione complessiva risulta che:

1111 )|( βiii XXYE = per Ii ,.....1= (1)

mentre nel sottocampione con i dati disponibili è:

)|(

)0|()0,|(

222111

2111211

ββ

β

iiii

iiiiii

XUUEX

YUEXYXYE

−≥+=

=≥+=≥ per Ii ,.....1= (2)

Se i due residui iU1 e iU 2 sono indipendenti, cioè se gli elementi sono selezionati in maniera

casuale, il valore atteso condizionato di iU1 è zero e la funzione di regressione per il

sottocampione selezionato tende a quella valida per l’intera popolazione. Se invece la selezione non è casuale, allora l’equazione di regressione dipende sia da iX1 che da iX 2 e l’equazione a)

omette l’ultimo termine della (2). L’esistenza di una correlazione tra i residui vuol dire che esiste un fattore non osservato capace di influenzare sia la selezione dei casi, sia la variabile di interesse iY1 . Nel nostro caso, vi può essere un fattore non osservato che influenza

contemporaneamente sia la permanenza nella casa dei genitori sia il risultato scolastico. Il modello a due equazioni simultanee può essere stimato attraverso il software aML (Lilard

e Panis, 2000). Nella presente analisi, la fonte di selezione è l’uscita dalla casa dei genitori e l’effetto sull’istruzione della storia migratoria familiare è valutata solo sugli individui ancora coabitanti con i genitori, dato che solo per costoro è possibile conoscere i percorsi migratori dei genitori. Il livello d’istruzione è formalmente un’informazione disponibile per tutti gli individui

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del campione, ma se poniamo di disporre di tale variabile solo per chi vive con i genitori, è possibile ricadere nella situazione propria del modello di Heckman10. In tal modo, sebbene le determinanti del livello d’istruzione sono valutate solo su una parte del campione, sarà possibile valutare l’effetto dei regressori (e dunque della storia migratoria familiare) sull’istruzione tenendo conto delle distorsioni legate alla selezione.

Per poter sviluppare un modello di Heckman in aML, è necessario che le due equazioni di regressione abbiano i residui distribuiti come una normale bidimensionale. In particolare:

11

1,0

1

2

UU

NU

U

σρσ

Pertanto, l’equazione di selezione richiede obbligatoriamente una regressione probit (permette di considerare come variabile dipendente la dummy “uscito di casa sì/no” e ha il residuo che si distribuisce come una normale standardizzata). Per l’equazione di interesse, non possiamo utilizzare una regressione logit (il residuo non è normo-distribuito), ma neanche una seconda probit, poiché la deviazione standard del residuo deve poter essere diversa da 1. Si può invece utilizzare una regressione lineare multivariata che però richiede la specificazione di una variabile dipendente diversa da quella utilizzata finora nell’analisi. Invece delle variabili dummies ha il diploma (sì/no), ha la laurea o è iscritto all’università (sì/no), si costruisce una nuova variabile atta a misurare il livello d’istruzione in base al numero di anni di studio, tenendo conto dei titoli posseduti e alle esperienze in corso11.

La specificazione del modello di Heckman è allora la seguente: a) equazione di interesse (regressione lineare multivariata12); variabile dipendente: anni di studio; regressori: storia migratoria familiare; livello d’istruzione dei genitori; classe sociale familiare; mobilità sociale padre-nonno; numero di fratelli e sorelle; età all’intervista; genere; residuo: normo-distribuito con media nulla e varianza theta. b) equazione di selezione (regressione probit). variabile dipendente: vive in casa con i genitori all’intervista (rif.=no);

10 Lo stesso autore nel suo contributo del 1979 parla di possibilità di selezione legata alle peculiarità della variabile oggetto di studio (ad esempio, l’analisi del salario non può che essere limitata solo a chi sta lavorando) o a decisioni prese nell’analisi (selezionando alcuni casi e tralasciandone altri in funzione delle finalità dello studio), sottolineando l’analogia delle due situazioni. 11 In base al sistema scolastico e universitario italiano valido negli anni Novanta, si pongono le seguenti corrispondenze:

Anni di studio (se iscritto a corsi di studio all’intervista) Nessun titolo, analfabeta 0 Nessun titolo, alfabeta 2 (+1 anno) Licenza elementare 5 (+1 anno) Licenza media 8 (+1 anno) Diploma (2-3 anni) 10 (+1 anno) Diploma (4-5) 13 (+1 anno se diploma univ.; +2 anni se corso di

laurea) Diploma universitario 15 (+1 se corso di laurea) Laurea 18 (+1 se corso post-laurea) Titolo post-laurea 20

12 Una soluzione alternativa alla regressione lineare semplice per l’equazione a) è quella di utilizzare un ordered

probit cioè un probit con variabile dipendente categoriale che potrebbe essere costruita come segue: Livello d’istruzione basso: anni di studio <13 Livello d’istruzione medio: 13<=anni di studio<15 Livello d’istruzione alto: anni di studio>=15

A differenza del probit semplice, questa variante non impone la condizione di varianza unitaria al residuo.

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regressori: livello d’istruzione dei genitori; numero di fratelli/sorelle; età all’intervista; genere; zona geografica di nascita; residuo: normo-distribuito con media nulla e varianza unitaria.

Nella tavola A è possibile leggere le stime ottenute dall’applicazione di un modello di regressione sul numero di anni vissuti su chi vive ancora con i genitori. Relativamente alla storia migratoria familiare, considerare il numero di anni di studio invece di variabili dicotomiche conferma le difficoltà per la G1,5 rispetto agli autoctoni (coefficiente pari a -0,82 e altamente significativo) mentre non appare significativo lo svantaggio delle G2. Infatti, considerare gli anni di studio nel complesso comporta una spalmatura delle differenze tra i sottogruppi su tutto il percorso dell’istruzione tanto da non permetterci più di apprezzare le differenze tra G2 e autoctoni, che come abbiamo avuto modo di approfondire, si concentrano nel livello terziario. Gli effetti delle altre covariate incluse nella equazione di interesse confermano le indicazioni presentate nei paragrafi precedenti.

Lo sviluppo del modello di Heckman ci permette di osservare sia l’intenso effetto delle covariate scelte sulla condizione “vivere in casa dei genitori” (equazione di selezione, tavola 7), sia l’invarianza delle stime nell’equazione di interesse. Se a quest’ultimo risultato aggiungiamo che la correlazione dei residui (rho pari a -0,06) è non significativa, possiamo affermare che, in base agli elementi considerati, la distorsione dell’effetto selezione è trascurabile13. Di conseguenza, l’analisi dell’istruzione sul sottocampione degli individui coabitanti con i genitori non è distorta, ossia è in grado di fornire risultati corrispondenti a quelli che si otterrebbero sull’intero campione.

13 Lo stesso risultato emerge se si utilizza un modello ordered probit al posto di una regressione e con una diversa definizione della variabile indipendente relativa al livello d’istruzione.

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Tavola A. Zona di destinazione Centro-Nord in complesso. Stime ottenute dall’applicazione del

modello di Heckman e confronto con le stime ottenute da un modello di regressione multivariato applicato su chi vive ancora in casa dei genitori. Individui di età 20-29 anni. Italia. ISTAT 1998 Regressione multivariata Modello di Heckman n β Sig β Sig

EQUAZIONE DI SELEZIONE (probit) Livello d'istruzione congiunto dei genitori

Entrambi basso 3402 1 Uno basso e uno medio 1470 0,28 ***

Uno basso e uno alto 253 0,41 *** Entrambi medio 1356 -0,05

Uno medio e uno alto 818 0,40 Entrambi alto 874 0,41 ***

Genere Maschio 4054 1

Femmina 4119 -0,53 *** Età all'intervista

8173 -0,19 *** Numero di fratelli e sorelle

0-1 4511 1 2 2130 -0,07 *

3 o più 1532 -0,31 *** Area di nascita

Nord Ovest 1732 1 Nord Est 2455 0,10 ***

Sud 397 -0,06 Lazio 3211 0,02

Estero 378 0,51 *** Costante 5,69 ***

EQUAZIONE DI INTERESSE (regressione) Storia migratoria familiare

Autoctoni Centro-Nord 2296 1 1 G2mix Sud 178 -0,23 -0,23

G2 Sud 234 -0,33 0,33 G1,5 Sud 84 -0,82 *** -0,81 ***

Autoctoni Sud 2062 0,23 ** 0,23 ** Altro 937 0,23 * 0,23 *

Genere Maschio 3215 1 1

Femmina 2576 0,94 *** 0,98 *** Età all'intervista

5791 0,05 *** 0,06 Livello d'istruzione congiunto dei genitori

Entrambi basso 2098 1 1 Uno basso e uno medio 1151 1,05 *** 1,03 ***

Uno basso e uno alto 200 1,70 *** 1,66 *** Entrambi medio 945 1,47 *** 1,47 ***

Uno medio e uno alto 677 2,37 *** 2,35 *** Entrambi alto 720 3,22 *** 3,19 ***

Classe socio-economica d’origine Classe di servizio 808 1 1

Impiegati esecutivi 1451 -0,34 ** -0,34 ** Piccola borghesia urbana 996 -0,59 *** -0,59 ***

Piccola borghesia agricola 290 -0,89 *** -0,89 *** Lav. manuali (industria e servizi) 2038 -1,16 *** -1,16 ***

Lav. manuali (agricoltura) 208 -1,84 *** -1,83 *** Mobilità nonno-padre

Nulla 3898 1 1 Ascendente 1763 0,11 0,11

Discendente 130 -0,35 -0,35 Numero di fratelli e sorelle

0-1 3414 1 1 2 1496 -0,39 *** -0,39 ***

3 o più 881 -1,51 *** -1,48 *** Costante 10,47 *** 10,19 *** Residui

delta (Equazione di selezione) 1,00 Theta (equazione di interesse) 2,92 *** 2,92 *** rho (Correlazione dei residui) -0,06

log Likelihood -14414,00 -18414,00 Significatività statistica: *** ≥99%; **≥95%; * ≥ 90%.

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