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N. 3-4/2014 PARTE IV – DOTTRINA 545 DOTTRINA IL “MALE OSCURO” DELLA NOSTRA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: UN’ANALISI RELATIVA ALLE SOCIETÀ PARTECIPATE DAGLI ENTI LOCALI (1) di Giuseppe Farneti Sommario: 1. Premessa. Il circuito perverso che impedisce alla nostra pubblica amministrazione di adeguarsi alle esigenze del paese. – 2. I nuovi confini della legalità, molto spesso ignorati. – 2.1. Il buon andamen- to come “valore” gestionale, particolarmente espresso dal sistema dei controlli interni. – 2.2. Il buon andamento come elemento costitutivo della legalità, che ne segnala le condizioni di tutela. – 2.3. Il buon andamento come “valore” non solamente giuridico, ma anche etico e la necessaria tracciabilità del pro- cesso decisionale, anche per contrastare la corruzione. – 2.4. Il buon andamento come precondizione per realizzare un’efficace spending review. – 3. La cattiva utilizzazione dello strumento societario, ovvero non rispettare od eludere il quadro normativo: una casistica. – 4. Come osservare il quadro normativo, superando la sua complessità e il proliferare delle norme, attraverso l’individuazione di alcuni, semplici, principi ispiratori. – 5. Le indicazioni del commissario Cottarelli relative alle società partecipate e la necessità di ridurne drasticamente il perimetro. – 6. Ridurre le partecipate da 8.000 a 1.000, riscoprendo condizioni di legalità: le otto riflessioni che si rendono necessarie. – 7. La possibile evoluzione del sistema dei controlli e il ruolo della Corte dei conti. 1. Premessa. Il circuito perverso che impedisce alla nostra pubblica amministrazione di adeguarsi alle esi- genze del paese Vi sono alcune situazioni assai note, che incidono in modo fortemente negativo sulla competitività del nostro paese. Ad esse ci si riferisce quando si afferma che servono quelle riforme che siano in grado di riequi- librare i rapporti con i paesi più evoluti. La Germania, ad esempio, ha affrontato, con successo, circa dieci anni addietro, sia il tema dell’efficienza/efficacia della pubblica amministrazione, sia quello della flessibilità del lavoro e così, oggi, ne può trarre vantaggio. La nostra pubblica amministrazione costa molto e produce poco è dunque inefficiente e inefficace, ad un tempo. L’opinione di chi scrive è che questo fatto non consegue solamente da un quadro normativo che non ha saputo adeguarsi, ma, piuttosto, da comportamenti che non hanno saputo evolversi. In particolare le norme, che invece sono cambiate (anche se troppo spesso e in modo, è un fatto di comune conoscenza, talora assai confuso), non sono state applicate. Da tutti. Dagli operatori, dai controllori interni, da quelli esterni. Dalla politica, specialmente; perché la politica, anche se è riuscita ad essere l’artefice di un certo cambiamento, che si è espresso attraverso l’evoluzione del quadro normativo, ha assunto poi, di fatto, un atteggiamento di tipo conservativo, teso, come hanno fatto tutti gli altri operatori, a non modificare il quadro esistente. In altre parole, si è agito, da parte di tutti, per mantenere invariato lo status quo. Per mantenere invariato, pertanto, un modo di operare che vedeva (e vede) la politica amministrare secondo regole “personali”, elastiche, che siano in grado di soddisfare gli interessi delle parti mano a mano che si manifestano, al di fuori di ogni processo di raziona- lizzazione e indipendentemente, lo si sottolinea sin da ora, da ogni espressione di vera, effettiva, motivazione. Secondo la nostra opinione, il “male oscuro” che colpisce la nostra pubblica amministrazione s’identifica in questa disapplicazione del quadro normativo, che si risolve in una sorta d’illegalità diffusa. Un altro aspetto del quadro qui richiamato è nell’osservazione del realizzarsi di un circuito perverso, che al- lontana sempre di più la nostra pubblica amministrazione da quei risultati che si vorrebbero invece realizzare. A (1) In questo contributo si fa riferimento, in parte, agli argomenti sviluppati dall’autore in due importanti Convegni: Il princi- pio del buon andamento nei controlli della Corte dei conti; il caso delle società partecipate, in Corte dei conti, Celebrazione del 150° anniversario dell’istituzione della Corte dei conti, Bologna, 15 novembre 2012, e Le problematiche gestionali più attuali del- le società partecipate dagli enti locali, in Corte dei conti, Seminario di Formazione permanente, Procedure di controllo sulla ge- stione finanziaria degli enti locali, Roma, 4-5 ottobre 2012.

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N. 3-4/2014 PARTE IV – DOTTRINA

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DOTTRINA

IL “MALE OSCURO” DELLA NOSTRA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:UN’ANALISI RELATIVA ALLE SOCIETÀ PARTECIPATE DAGLI ENTI LOCALI (1)

di Giuseppe Farneti

Sommario: 1. Premessa. Il circuito perverso che impedisce alla nostra pubblica amministrazione di adeguarsi alle esigenze del paese. – 2. I nuovi confini della legalità, molto spesso ignorati. – 2.1. Il buon andamen-to come “valore” gestionale, particolarmente espresso dal sistema dei controlli interni. – 2.2. Il buon andamento come elemento costitutivo della legalità, che ne segnala le condizioni di tutela. – 2.3. Il buon andamento come “valore” non solamente giuridico, ma anche etico e la necessaria tracciabilità del pro-cesso decisionale, anche per contrastare la corruzione. – 2.4. Il buon andamento come precondizione per realizzare un’efficace spending review. – 3. La cattiva utilizzazione dello strumento societario, ovvero non rispettare od eludere il quadro normativo: una casistica. – 4. Come osservare il quadro normativo, superando la sua complessità e il proliferare delle norme, attraverso l’individuazione di alcuni, semplici, principi ispiratori. – 5. Le indicazioni del commissario Cottarelli relative alle società partecipate e la necessità di ridurne drasticamente il perimetro. – 6. Ridurre le partecipate da 8.000 a 1.000, riscoprendo condizioni di legalità: le otto riflessioni che si rendono necessarie. – 7. La possibile evoluzione del sistema dei controlli e il ruolo della Corte dei conti.

1. Premessa. Il circuito perverso che impedisce alla nostra pubblica amministrazione di adeguarsi alle esi-genze del paese

Vi sono alcune situazioni assai note, che incidono in modo fortemente negativo sulla competitività del nostro paese. Ad esse ci si riferisce quando si afferma che servono quelle riforme che siano in grado di riequi-librare i rapporti con i paesi più evoluti. La Germania, ad esempio, ha affrontato, con successo, circa dieci anni addietro, sia il tema dell’efficienza/efficacia della pubblica amministrazione, sia quello della flessibilità del lavoro e così, oggi, ne può trarre vantaggio.

La nostra pubblica amministrazione costa molto e produce poco è dunque inefficiente e inefficace, ad un tempo. L’opinione di chi scrive è che questo fatto non consegue solamente da un quadro normativo che non ha saputo adeguarsi, ma, piuttosto, da comportamenti che non hanno saputo evolversi. In particolare le norme, che invece sono cambiate (anche se troppo spesso e in modo, è un fatto di comune conoscenza, talora assai confuso), non sono state applicate. Da tutti. Dagli operatori, dai controllori interni, da quelli esterni. Dalla politica, specialmente; perché la politica, anche se è riuscita ad essere l’artefice di un certo cambiamento, che si è espresso attraverso l’evoluzione del quadro normativo, ha assunto poi, di fatto, un atteggiamento di tipo conservativo, teso, come hanno fatto tutti gli altri operatori, a non modificare il quadro esistente. In altre parole, si è agito, da parte di tutti, per mantenere invariato lo status quo. Per mantenere invariato, pertanto, un modo di operare che vedeva (e vede) la politica amministrare secondo regole “personali”, elastiche, che siano in grado di soddisfare gli interessi delle parti mano a mano che si manifestano, al di fuori di ogni processo di raziona-lizzazione e indipendentemente, lo si sottolinea sin da ora, da ogni espressione di vera, effettiva, motivazione. Secondo la nostra opinione, il “male oscuro” che colpisce la nostra pubblica amministrazione s’identifica in questa disapplicazione del quadro normativo, che si risolve in una sorta d’illegalità diffusa.

Un altro aspetto del quadro qui richiamato è nell’osservazione del realizzarsi di un circuito perverso, che al-lontana sempre di più la nostra pubblica amministrazione da quei risultati che si vorrebbero invece realizzare. A

(1) In questo contributo si fa riferimento, in parte, agli argomenti sviluppati dall’autore in due importanti Convegni: Il princi-pio del buon andamento nei controlli della Corte dei conti; il caso delle società partecipate, in Corte dei conti, Celebrazione del 150° anniversario dell’istituzione della Corte dei conti, Bologna, 15 novembre 2012, e Le problematiche gestionali più attuali del-le società partecipate dagli enti locali, in Corte dei conti, Seminario di Formazione permanente, Procedure di controllo sulla ge-stione finanziaria degli enti locali, Roma, 4-5 ottobre 2012.

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fronte dunque delle patologie riscontrate, tutte all’insegna dell’illegalità, si cerca di porvi rimedio modificando le norme, rendendole ancora più complesse e così suscitando in molti la speranza, che spesso è una certezza, di una loro ulteriore modificazione, nell’attesa della quale gli operatori tutti adottano un comportamento teso a privilegiare lo status quo, ad ignorare, cioè, il quadro normativo. Assecondati dalla carenza di controlli e dalla mancanza (forse solo frutto di un’analisi ancora carente) di sanzioni.

Ci proponiamo, con specifico riferimento al vasto e importante capitolo delle amministrazioni locali viste nel momento in cui utilizzano lo strumento societario, di dimostrare quanto si è appena affermato. Per annotare dunque che le patologie, gravi, da tutti messe in luce, con il conseguente, intollerabile, sperpero di risorse, dipende principalmente dal fatto che il quadro normativo non è rispettato e che questo dato non sempre è ri-conosciuto. Mentre il sistema Italia nel suo insieme fa ben poco per ristabilire quel quadro di legalità che pur sarebbe in grado di eliminare le principali patologie. Si preferisce, invece, produrre nuove norme, senza preoc-cuparsi di comprendere perché quelle esistenti non sono applicate e, pertanto, senza preoccuparsi di verificare se le nuove saranno rispettate.

2. I nuovi confini della legalità, molto spesso ignoratiNel 1990, l’evoluzione normativa aveva già riempito di contenuti il principio costituzionale enunciato

nell’art. 97 della Costituzione (2). Successivamente quelle indicazioni sono state richiamate da una miriade di atti normativi.

L’evoluzione normativa, quella giurisprudenziale e la dottrina, hanno dato, negli ultimi venti anni, un pre-ciso significato al principio del buon andamento, identificandolo nei criteri di efficienza, efficacia ed economi-cità (3); conseguendone che le finalità della pubblica amministrazione sono da qualificarsi nella produzione di

(2) Cfr. G. Farneti, Il buon andamento nell’amministrazione degli enti locali, in Azienditalia, 0, 1994, dove si legge: “La no-stra Carta costituzionale, con grande avvedutezza, prescrive che ‘i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determi-nate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari’. Dal punto di vista operativo l’indicazione che se ne ritrae non è così stringente se non forse nella prescrizione di alcuni fondamentali criteri organizzativi, in modo particolare nell’af-fermazione che ai poteri attribuiti, da precisarsi, si devono affiancare le rispettive responsabilità.

Ma cosa significa dire che l’amministrazione si deve prefiggere il proprio ‘buon andamento’? Praticamente nulla. La disposi-zione sembra, infatti, risolversi in una sorta di semplice ammonizione, priva di effetti giuridici. Pertanto, non desta alcuna meravi-glia il fatto che gli interpreti della norma si sono inizialmente attestati sulla ‘negazione della giuridicità del principio’ (A. Pubusa, L’attività amministrativa in trasformazione, Torino, Giappichelli, 1993, 49). In seguito, la conoscenza giuridica ha fatto passi enor-mi, ancorando il suddetto principio al dovere di applicazione delle regole di buona amministrazione, per poi identificarlo col prin-cipio tecnico di efficienza; giungendo, infine, a considerarlo come modalità di svolgimento del potere amministrativo, cui è preor-dinata l’organizzazione amministrativa.

L’aspetto più interessante, innovativo, non sempre colto dai commentatori nelle sue implicazioni economico-aziendali, risie-de nelle conseguenze che la normativa di questi ultimi tre anni, regolamentando le modalità di svolgimento del potere amministra-tivo, ha certamente avuto nel delineare il contenuto del principio del buon andamento. Il riferimento alle implicazioni economi-co-aziendali si collega, a sua volta, al fatto che la suddetta regolamentazione trova nell’affermata aziendalità degli enti locali, e nel-la prescritta razionalità economica dei relativi comportamenti, la sua più alta espressione sul piano tecnico-operativo, conferendo contenuti concreti al principio in questione”. Sin da allora, nel seguito dell’articolo, s’individuavano i principali contenuti del prin-cipio del buon andamento e se ne indicavano le implicazioni per la magistratura contabile e per quella ordinaria (penale).

(3) Al riguardo si veda, il punto 1 del principio contabile n. 2, emanato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali nella seduta dell’8 gennaio 2004, che così recita: “L’inquadramento costituzionale della nozione di gestione in ambito pubblico è fornito dall’art. 97 della Costituzione”, proseguendo per chiarire che la valutazione della correttezza legale dell’atto e della procedura, ora evolutasi in quella sui comportamenti e sui risultati raggiunti “si realizza attraverso il confronto tra ‘valore im-piegato’ e ‘valore creato’ (o utilità creata) dall’operatore pubblico e sulla capacità di risposta e soddisfazione della domanda del cittadino utente e contribuente, soggetto attivo e non passivo dell’azione dell’amministrazione pubblica” e la significativa valuta-zione di sintesi di F. Staderini, in F. Staderini, S. Pozzoli, Esternalizzazioni e bilancio consolidato negli enti locali, in Aziendita-lia, 7, 2008, che chiarisce: “Dopo decenni e decenni di sostanziale disinteresse per il problema si è posta con forza all’attenzione della classe politica l’esigenza di realizzare un’amministrazione più moderna ed efficiente, riconoscendo un ruolo strategico nella politica istituzionale del paese all’art. 97 della Costituzione, fino ad allora piuttosto negletto”.

Si veda altresì, con riferimento alla dottrina: G. Farneti, Economia d’Azienda, FrancoAngeli, 2007; G. Farneti, Ragioneria Pubblica, FrancoAngeli, 2004, e, in particolare, G. Farneti, Il contributo dell’Economia d’Azienda (EA) al rinnovamento della pubblica amministrazione (PA), Finalità dell’EA e buon andamento della PA; l’utile riferimento alle società partecipate, in Eco-nomia Aziendale & Management, scritti in onore di Vittorio Coda, a cura di G. Airoldi, G. Bruneti, G. Corbetta, G. Invernizzi, Mi-lano, Egea, 2010.

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servizi, in condizioni di massima efficienza e dunque di minima utilizzazione delle risorse, per soddisfare al meglio i bisogni dei cittadini, con attenzione al rapporto intergenerazionale e pertanto impiegando solamente le risorse di cui si dispone, salvo la possibilità d’indebitarsi, ex art. 119 della Costituzione, al fine di finanziare spese d’investimento.

Sul tema si può leggere un contributo di grande valore giuridico (4):sia nell’osservare come la concreta realizzazione del principio del buon andamento abbia cominciato a

prodursi con la l. n. 241/1990, con successivi interventi del legislatore nella medesima direzione, statuendosi in tal modo i paradigmi (o criteri) dell’efficienza, efficacia ed economicità;

sia individuando nei medesimi paradigmi i necessari contenuti di quella cultura manageriale che deve ca-ratterizzare la nuova amministrazione;

sia attraverso la considerazione che vede i principi contabili come quelle norme tecniche che sono in grado di aiutare gli enti nell’applicare i suddetti paradigmi;

sia nell’osservare come il permanere, tra gli amministratori e i dirigenti, della tradizionale cultura giuridi-co-formale costituisca un ostacolo a cogliere l’impatto innovativo dei “principi”.

Volendo considerare, come esempio significativo, quello connesso al tema della società partecipata, una nota deliberazione della Corte dei conti della Lombardia (5) ha chiarito che i criteri di efficienza, efficacia ed economicità non coincidono con il criterio della redditività, precisando che “Il tema è particolarmente rilevante perché investe la scelta di dimensione del servizio, della sua qualità, delle tariffe e dell’eventuale costo sociale e dell’accountability, elementi tutti da valutarsi al fine di assicurare gli equilibri di bilancio e la sana gestione degli enti proprietari”. In tal modo si sono pienamente individuate le differenze fra impresa ed azienda pub-blica: la prima opera nel mercato e si propone un’attività lucrativa (massimizzazione del reddito) che richiede comunque che si realizzino condizioni di efficienza, efficacia ed economicità; la seconda produce servizi per la collettività: i suoi servizi non vengono acquistati, ma erogati al di fuori del mercato, utilizzando al meglio le ri-sorse e dunque in condizioni direttamente da ricercare, indipendentemente dall’entità del risultato economico, di efficienza, efficacia ed economicità.

La stessa deliberazione si è altresì soffermata su un altro aspetto di rilievo. Partendo dalle disposizioni della legge finanziaria 2008, la Corte ha sottolineato che le attività poste in capo alle partecipate devono essere stret-tamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali e che, con riferimento al previsto tra-sferimento di risorse umane, finanziarie e strumentali, si viene a determinare un “nesso”, fra ente e organismo partecipato. In conseguenza, nel procedimento di esternalizzazione si dovrà verificare il rispetto delle norme di legge e dunque si dovrà affermare una concreta valutazione economica che attesti il contributo dell’operazione alla realizzazione del principio del buon andamento.

Da qui un generale obbligo di motivazione, con riferimento alle deliberazioni d’esternalizzazione di un servizio, che sia in grado, secondo il principio comunque da seguirsi della motivazione dell’atto, di esprimere un’analisi della convenienza economica della forma gestionale prescelta, poi da rivedere periodicamente.

Queste considerazioni, particolarmente riferite al comparto delle autonomie locali, sono chiaramente esten-sibili a tutta la pubblica amministrazione.

2.1. Il buon andamento come “valore” gestionale, particolarmente espresso dal sistema dei controlli interniIl buon andamento trova compiuta definizione, sulla base di quanto appena osservato, negli strumenti del

sistema del bilancio e nello svolgimento delle attività di pianificazione/programmazione e controllo, che si devono concretizzare nell’ambito dei controlli interni.

La disciplina dei controlli interni richiama e ricompone ad unità sistemica gli strumenti contabili e infor-mativi, tradizionalmente visti attraverso la funzione autorizzatoria cui sembravano unicamente vocati, da una parte, e le attività che devono essere svolte per una loro corretta utilizzazione, dall’altra; strumenti e attività

(4) Cfr. l’Introduzione ai nuovi principi contabili emanati dell’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, scritta da F. Staderini, in Azienditalia, 6, 2009.

(5) Ci si riferisce a Sez. contr. reg. Lombardia, delib. 17 dicembre 2008, n. 270, commentata da G. Farneti, La seconda deli-berazione della Corte di conti-Lombardia in tema di partecipate: alcuni contenuti significativi sotto il profilo operativo, in Azien-ditalia, 1, 2009.

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che assumono, entrambi, contenuti marcatamente aziendalistici (6), conseguendone che il loro significato deve trovare nelle discipline aziendali un necessario punto di riferimento, al fine di evitare le frequenti applicazioni di tipo nominalistico-formale.

Il sistema dei controlli interni esprime il cuore della riforma della pubblica amministrazione. Si deve ri-badire che la riforma della pubblica amministrazione, soprattutto dagli anni ’90, nell’intendimento di rendere più competitivo il sistema paese, si è realizzata abbracciando il modello manageriale. La cultura burocratica avrebbe pertanto dovuto essere sostituita dalla cultura del risultato. In questo periodo, l’attività del governo Renzi e la normativa che si sta producendo vanno in questa direzione, cercando percorsi per realizzare quanto la riforma della pubblica amministrazione non è di fatto riuscita ad affermare.

Di questa nuova cultura l’attuale quadro normativo ha previsto:a) i processi operativi;b) gli strumenti contabili;c) la separazione della responsabilità politica (che è di indirizzo/controllo) da quella manageriale (relativa

alla gestione).Secondo il primo profilo, s’individuano gli obiettivi strategici, da realizzare nel medio-lungo periodo, preci-

sando i risultati cui tendere nel tempo e le risorse da reperire e destinare allo svolgimento delle diverse attività. Obiettivi e percorsi, così definiti, sono consegnati alla dirigenza, ponendo le premesse per l’individuazione della responsabilità politica, di quella manageriale e della connessa attività di controllo.

Gli strumenti contabili, allargati alla considerazione di conoscenze extra-contabili, devono essere corretta-mente utilizzati, sia per sviluppare gli obiettivi e i percorsi, sia per verificare la realizzazione dei risultati e la loro rispondenza ai primi.

In tutti gli aspetti considerati, va sottolineato, il quadro normativo aggiunge concretamente, da oltre un ventennio, il rispetto dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che si pongono così in una posizione trasversale rispetto ai processi, agli strumenti e alla delineazione delle responsabilità (7).

Il menzionato passaggio culturale, che è stato scritto nelle norme, è contraddistinto dall’esercizio delle atti-vità ricomprese nel sistema dei controlli. L’affermazione trova riscontro nei seguenti elementi:

a) il controllo di regolarità contabile consente di acquisire le corrette conoscenze che si rendono necessarie per lo svolgimento degli altri controlli;

b) il controllo strategico comporta la delineazione degli obiettivi e delle politiche di mandato, da consegna-re alla struttura gestionale che dovrà dare loro esecuzione; esso comporta, anche, la valutazione dell’idoneità dei piani e programmi a dare attuazione ai menzionati obiettivi; implica dunque un’attività di pianificazione/programmazione e di controllo;

c) il controllo di gestione si collega al precedente, comporta che si sviluppino le attività da realizzare nei necessari dettagli operativi, in modo da costituire una sorta di “guida” alla gestione e comporta il relativo con-trollo dei risultati;

d) la valutazione dei responsabili si collega alle due forme precedenti di controllo, al fine di delineare le concrete responsabilità gestionali, che conseguono dal confronto fra obiettivi quantificati e risultati conseguiti, anch’essi quantificati.

Va osservato che la regolarità contabile dipende dal rispetto della norma (e dunque anche degli schemi con-tabili), affinché le informazioni abbiano l’estensione e il significato che la norma attribuisce loro.

Ne consegue che esaminare i contenuti dei controlli interni equivale a ripercorrere i nuovi contenuti dell’at-tività amministrativa della pubblica amministrazione.

Si delinea pertanto un sistema di controlli interni di tipo manageriale, tipico della migliore cultura azienda-le, incardinato sulle attività di pianificazione/programmazione e di controllo, sulla responsabilizzazione degli

(6) I sistemi di controllo manageriale sono stati originariamente elaborati nel mondo anglosassone, con riferimento sia alle im-prese sia alle amministrazioni non profit, private e pubbliche. Essi implicano una visione sistemica delle organizzazioni economi-che che è particolarmente sviluppata dalla nostra dottrina economico-aziendale; cfr. al riguardo G. Farneti, in nota 3 e, per un te-ma specifico, in nota 9.

(7) Tali aspetti sono considerati, anche con riferimento a casi concreti, in G. Farneti, Gestione e contabilità dell’ente locale, VIII ed., Maggioli Editore, 2006.

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operatori, sul corretto utilizzo della strumentazione, contabile e non, che si rende al riguardo necessaria. Il tutto nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, per affermare i quali vanno svolte le complessi-ve attività previste nel sistema dei controlli (8).

Si realizza, in conseguenza, una significativa confluenza fra i contenuti del principio del buon andamento e la correttezza gestionale come si è consolidata secondo i contenuti dell’economia aziendale, che è la disciplina che la studia e ne definisce i postulati e i principi. Questo quadro concettuale, ormai consolidato, è stato recen-temente ulteriormente dettagliato, in particolare con riferimento alle modifiche, in tema appunto di controlli, del Tuel, che di seguito verranno richiamate.

2.2. Il buon andamento come elemento costitutivo della legalità, che ne segnala le condizioni di tutelaLe considerazioni sviluppate hanno sottolineato i contenuti del principio del buon andamento, riconosciuti

nei criteri che devono sempre essere ricercati di efficienza, efficacia ed economicità; criteri che, a loro volta, trovano realizzazione nei processi di pianificazione/programmazione e controllo. La buona amministrazione non è dunque solamente una tendenza da inseguire, ma un imperativo, che dipende dall’applicazione concreta dei richiamati criteri, spesso menzionati dal quadro normativo. Ci sembra conseguentemente di assoluta impor-tanza il collegamento di questi concetti con il principio di legalità.

Al riguardo, si può leggere nella delib. n. 10/2008 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con riferimento all’attività degli enti locali: “La dinamica dell’attività, valutata secondo i criteri dell’economicità, dell’efficienza, dell’efficacia e valorizzata nella dimensione data dall’art. 97 della Costituzio-ne dalla giurisprudenza costituzionale, si presenta così come elemento costitutivo della legalità nella pubblica amministrazione segnandone anche le condizioni di tutela”.

Si vuole in particolare richiamare la sentenza della Corte costituzionale, n. 277 del 15 luglio 2005, signi-

(8) In questo contributo si vuole pertanto sottolineare che:la pianificazione ed il controllo sono reciprocamente alimentati nell’ambito del sistema del bilancio, nel senso che la prima ge-

nera gli obiettivi che il secondo dovrà quantificare nei suoi risultati; mentre il controllo ritrae i suoi schemi di riferimento dai ri-sultati (i piani/programmi) della pianificazione/programmazione.

I piani e i programmi sono pertanto strumenti sia della pianificazione/programmazione sia del controllo.Nel loro contesto gli obiettivi vanno quantificati, considerati nel tempo e riferiti alle persone. Così responsabilizzando gli ope-

ratori.Questo modo di procedere è l’unico che dà razionalità all’attività amministrativa e che dunque definisce la correttezza dei

comportamenti, consentendo di delineare le politiche che siano in grado di produrre i risultati migliori.I principi contabili per gli enti locali, emanati dall’Osservatorio, hanno valorizzato questo schema concettuale, in particolare

attraverso il principio contabile n.1, relativo alla “Programmazione nel sistema del bilancio”.Come in qualsiasi contesto aziendale, come in qualsiasi organizzazione dove si impiegano risorse scarse, la razionalità si tra-

duce nella considerazione dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità, da realizzarsi attraverso un processo decisionale “cor-retto” in quanto elaborato nell’ambito delle attività di pianificazione/programmazione e di controllo.

I principi contabili emanati dall’Osservatorio chiariscono al riguardo:nel documento “Finalità e postulati”, al punto 85, che “I documenti di programmazione e di previsione esprimono la dimen-

sione finanziaria di fatti economici previamente valutati”;nel documento n. 1, “Programmazione nel sistema del bilancio”, al punto 15, che “I risultati attesi riferiti alle finalità e agli

obiettivi di gestione possono essere espressi in termini di:- efficacia esterna, capacità di soddisfare i bisogni attraverso risultati coerenti con le aspettative dei cittadini;- efficacia interna, intesa quale rapporto tra obiettivi e risultati;- efficienza, intesa quale rapporto tra impiego di risorse e risultati.I risultati in termini di efficacia possono essere letti secondo profili di qualità, di equità dei servizi e di soddisfazione dell’u-

tenza”.Nel doc. n. 3, “Il rendiconto degli enti locali”, al punto 69, con riferimento al “conto economico”, che “La gestione compren-

de le operazioni attraverso le quali si vogliono realizzare le finalità dell’ente. I componenti negativi sono riferiti ai consumi dei fat-tori impiegati, quelli positivi consistono nei proventi e ricavi conseguiti in conseguenza dell’affluire delle risorse che rendono pos-sibile lo svolgimento dei menzionati processi di consumo”.

Per le conseguenze di tipo operativo della suddetta analisi, cfr. G. Farneti, Il procedimento gestionale di spesa, con particola-re riferimento alla contrattualistica, secondo il modello aziendale: un’opportunità per la pubblica amministrazione, in Corte dei conti, Convegno su legge di contabilità e finanza pubblica-Le questioni aperte, IV sessione su Impatto della legge 196/2009 con le normative di settore, Roma, Aula Sezioni riunite, 18-19 novembre 2010, Atti del convegno, 195 ss.

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ficativa per il riferimento al modello della società partecipata che sarà in seguito richiamato, che si esprime (si noti, sin dal 2005, con una normativa allora meno dettagliata dell’attuale) nei seguenti termini: “i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 vincolano le leggi regionali … anche nella scelta di avvalersi di una società di servizi come modalità organizzativa, che va considerata legittima soltanto se conforme ai principi di economicità e buona amministrazione; insomma la decisione di ricorrere all’esterna-lizzazione non è libera, ma vincolata all’esigenza di rispettare il principio del buon andamento”.

2.3. Il buon andamento come “valore” non solamente giuridico, ma anche etico e la necessaria tracciabilità del processo decisionale, anche per contrastare la corruzione

Si è già osservata la singolare coincidenza che si afferma fra legalità e finalità aziendali (o “economicità”, volendo usare questa parola per esprimere le finalità di un’organizzazione economica, pubblica o privata e non solamente per indicare l’equilibrio economico fra mezzi impiegati e risorse disponibili). Poiché l’azienda pubblica non ha finalità di lucro e la sua attività si rivolge direttamente alla collettività, ne consegue che essa realizza in tal modo, o dovrebbe, il “bene comune”. Vi è dunque confluenza di fini, di modalità operative, di strumenti da utilizzare, nella realizzazione di comportamenti che, in quanto gestionalmente corretti, siano anche legali e indirizzati al “bene comune”. È, infatti, evidente come una qualsiasi patologia sia tale per tutti e tre i riferimenti qui esaminati. Si provi a pensare a un bilancio non corretto, che non informa, che non con-sente pertanto lo svolgimento dei processi di pianificazione/programmazione e di controllo, con conseguenze sub-ottimali sotto il profilo gestionale e dunque con sperpero delle risorse pubbliche; o a indennità di risultato distribuite a pioggia; o a partecipazioni non necessarie; o a un utilizzo per fini “personali” della discrezionalità che la norma talora consente, ma gli esempi potrebbero essere innumerevoli: in tutte queste fattispecie il dato che emerge è quello della illegalità affiancata dallo sperpero delle risorse pubbliche e dunque del mancato rispetto del “bene comune”.

Queste considerazioni preliminari sono state confermate e sviluppate dal “piano nazionale anticorruzione” (Pna) previsto dalla l. n. 190/2012 ed approvato dalla Civit l’11 settembre 2013. In esso si collega, infatti, la corruzione a tutte quelle situazioni “in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati” (cfr. la definizione contenuta nel par. 2.1) e si fa dunque riferimento a patologie notoriamente assai diffuse, rispetto alle quali i pur frequenti episodi che vengono alla luce costituiscono la punta dell’iceberg dei fenomeni che si vorrebbero prevenire. Al riguardo S. Pilato chiarisce che (9): “Nell’impianto delle misure di prevenzione e di contrasto, la corruzione intesa come sistema di percezioni misurabili, in quanto manifestazioni di un costume esistenziale, politico ed economico mutevole nel tempo della storia nazionale, possiede una dimensione lata, e diviene sinonimo di favoritismo, clientelismo, deviazione del sistema procedimentale di scelta degli interessi pubblici a vantaggio di interessi privati che ottengono posizioni di domino contrattuale e di mercato” (10). Il quadro si è poi ulteriormente arricchito del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, il d.p.r. n. 62/2013, codice che secondo il Pna deve poi tradursi in uno specifico codice, con regole più dettagliate, per le singole amministrazioni, codice che si vuole “caratterizzato da un approccio concreto, in modo da consentire al dipendente di comprendere con fa-cilità il comportamento eticamente e giuridicamente adeguato [corsivo nostro] nelle diverse situazioni critiche, individuando delle guide comportamentali per i vari casi” (11).

Se ne ricava che il “buon andamento”, costituisce il punto d’unione, il collante, fra etica e legalità e che eti-ca e legalità esprimono le due facce della medesima medaglia. La concettualizzazione richiamata è importante perché fa tendenzialmente coincidere la legalità con l’etica.

(9) Nel suo intervento su Le nuove strategie di contrasto. Il responsabile della prevenzione, nel Convegno di cui alla nota suc-cessiva.

(10) I seguenti riferimenti sono tratti dal nostro intervento su La legalità nelle società partecipate dalla p.a. alla luce della leg-ge anticorruzione: come rendere effettivo il contrasto alla corruzione, nel Convegno Upi-Fondazione Dcec, Bologna, 16 gennaio 2014, sul tema L’etica e la legalità nella pubblica amministrazione e nelle società a partecipazione pubblica, alla luce della leg-ge anticorruzione, poi pubblicato in questa Rivista, 2014, fasc. 1-2, 514. In tale intervento si vuole dimostrare come la normativa in materia di contrasto alla corruzione abbia espressamente richiamato la necessità di motivare le decisioni, nel quadro dei proces-si di programmazione-controllo, per dimostrare la convenienza e la stretta necessità dell’utilizzo dello strumento societario; e an-cora, come la normativa abbia fatto propria la necessità che si realizzi la tracciabilità del processo decisionale, aspetto quest’ulti-mo che gli operatori e i controllori hanno sino ad oggi trascurato.

(11) Cfr. par. 3.1.3 Pna.

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La legalità non si lega più al rispetto, solamente, di determinati adempimenti, ma alla realizzazione, concre-tamente, di attività che siano rispettose dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità, in quanto in grado di realizzare il “buon andamento” della pubblica amministrazione (12). In questa concettualizzazione vi è anche un rinvio alla già menzionata scienza economico-aziendale che deve in conseguenza essere approfondita da tutti gli operatori (e particolarmente dai controllori interni/esterni) per comprendere se le attività sono, nel con-creto, orientate ad affermare, o al contrario, a negare, i tre criteri (le tre “e”) appena richiamati.

Si vuole comunque osservare come la disciplina legale, seppure orientata alla realizzazione del “buon anda-mento”, lasci liberi spazi per i quali si possa dire che sono percepibili comportamenti etici la cui inosservanza non li qualifica, o così potrebbe sembrare a qualcuno, come illegali: ebbene il richiamo del Pna vuole che questi comportamenti siano evidenziati, in vista della superiore esigenza di contrastare la corruzione. Si pensi, volendo scendere nel concreto, al grave fenomeno dell’elusione (13), normalmente trascurato e quindi [forse per un difetto d’analisi], di fatto, non sanzionato (14), sempre conseguente da comportamenti non rispettosi dell’ordinamento e comunque sempre censurabili sotto il profilo etico.

Le criticità (15) che nel concreto si possono presentare vanno dunque considerate come aspetti critici ri-spetto a momenti amministrativi che vanno disciplinati per prevenire la corruzione nel suo più lato significato, come si è già osservato.

La predisposizione dei Ptpc degli enti e delle loro società controllate e, nel loro ambito, come si è già osser-vato, degli specifici codici di comportamento, ne costituisce l’occasione propizia.

Quali sono dunque le indispensabili conoscenze che si devono affermare per prevenire la corruzione?Quando il Pna afferma, dando in questa direzione indicazioni operative per la predisposizione dei “piani

triennali di prevenzione della corruzione” (Ptpc), che l’approccio concreto del codice di comportamento deve consentire al dipendente di comprendere con facilità il comportamento “eticamente e giuridicamente adegua-to” (16), indica una strada di un’importanza assoluta: per la cui realizzazione si devono affermare, sempre, i

(12) La pubblica amministrazione non produce solamente atti, ma viene considerata, maggiormente, per le sue attività, che do-vranno essere valutate secondo i criteri, o paradigmi, appena messi in luce. Il costante riferimento alle attività si è espresso recen-temente, per gli enti locali, proprio attraverso il riformato sistema dei controlli interni e, nella previsione dell’art. 147 Tuel, anche il controllo di regolarità amministrativa e contabile deve essere un controllo che si esprime, oltre che sugli atti, sulle attività. Per cui, in questa prospettiva, la finalizzazione delle attività appena descritta, ne diventa il principale riferimento: cfr. al riguardo G. Farneti, in G. Astegiano e G. Farneti, lezione 4, Il controllo sulle società partecipate, in Azienditalia, i corsi, 4, 2013, 18.

(13) A nostro parere l’elusione dei menzionati criteri è oggi prevalente, mettere in luce i comportamenti relativi costituisce la sfida che la normativa anticorruzione deve vincere, in mancanza si risolverà nella produzione di adempimenti, formalmente com-plessi e dettagliati, in realtà privi di alcun significato nella direzione di affermare la legalità dei comportamenti.

(14) Salve le ipotesi in cui si concretizzi secondo fattispecie previste dall’ordinamento e quindi specificatamente sanzionate: cfr. R. Patumi, Il nuovo raccordo tra controllo e giurisdizione nel sistema delle autonomie, in Azienditalia, 5, 2013. Si vuole però osservare che, con riferimento alle società partecipate, i comportamenti elusivi si qualificano quasi sempre come illegali o come eticamente inadeguati anche sotto altri e specifici profili, riconducibili ad esempio, relativamente alle società partecipate, alla man-cata dimostrazione: della loro “stretta necessità” e pertanto della loro convenienza come vuole la l. n. 244/2007, e/o della loro coe-renza con le disposizioni dell’ordinamento europeo (come prevede l’art. 34, c. 20, d.l. n. 179/2012), e/o dell’elaborazione di un’in-formativa corretta nell’ambito del sistema di bilancio sugli equilibri economici e finanziari che si dovrebbero verificare e che al contrario vengono volutamente celati, così nascondendo il formarsi di perdite di tipo ripetitivo (disattendendo quindi, esemplifi-cando, il perseguimento dell’equilibrio economico delle società partecipate e la veridicità dei bilanci degli enti proprietari; in par-ticolare per il mancato rispetto da parte degli enti proprietari dell’art. 170, c. 6, relativo alla Relazione previsionale e programma-tica, come disciplinata dal Tuel).

(15) Vogliamo fare degli esempi? I bilanci non veridici, le consulenze con gare ad personam secondo una prassi assai diffusa, la parte premiale dello stipendio riconosciuta a pioggia, le motivazioni di tipo tautologico nel mantenere le società partecipate (cfr. nota 31). Per economia di spazio non andiamo oltre, ma già in questi esempi si possono riconoscere, all’insegna dell’illegalità, una gran parte dei comportamenti della pubblica amministrazione.

(16) Cfr. quanto previsto, in termini generali (la disciplina specifica è poi contenuta nel par. 3.1.3) dal par. 3.1.1 Pna sulla pre-disposizione dei Ptpc in tema di codici di comportamento, che si vogliono comprensivi: delle integrazioni al codice di comporta-mento dei dipendenti pubblici, delle indicazioni dei meccanismi di denuncia delle violazioni e dell’indicazione dell’ufficio com-petente a emanare pareri sull’applicazione dei suddetti codici di comportamento. Si consideri, ulteriormente, il par. 3.1.11, circa la necessaria disciplina relativa alla tutela del dipendente che effettua segnalazioni di fatti illeciti, in ottemperanza, anche, all’art. 8 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici e da intendersi, tali fatti da segnalare, come “eticamente inadeguati”. Essi so-no quindi certamente comprensivi, come si dirà, di tutte quelle situazioni nelle quali non è riproducibile il formarsi del processo decisionale.

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criteri di efficienza, efficacia ed economicità (costituendo essi il faro che deve guidare i comportamenti), anche indipendentemente dal fatto che essi esprimano pienamente il presidio (il nuovo confine) della legalità. È, infatti, possibile che nel concreto si possa discutere se la linea di confine è stata varcata, se i comportamenti sono dunque all’insegna della legalità; ma, proprio per evitare situazioni che comunque potrebbero porre dubbi sull’effettivo rispetto dei suddetti criteri (di efficienza, efficacia ed economicità), per essere in conseguenza sicuri di essere nella legalità e per essere sicuri di fare tutto il possibile per prevenire la corruzione, in specie nella vasta accezione che ne è data dal Pna, i comportamenti devono essere, sempre, “eticamente adeguati”, sempre rispettosi dei tre criteri già richiamati: perché in tal modo si realizza il “buon funzionamento” della pubblica amministrazione. Tale sen-sibilità si deve esprimere, come si è detto, nei Ptpc, in particolare evidenziando le possibili criticità che possono verificarsi nel proprio codice di comportamento di cui ogni ente o società pubblica deve dotarsi.

In quest’innovativo approccio della normativa in tema di legalità e di etica, che si vuole mettere in eviden-za, in grado di catturare, se seguito da tutti gli operatori interni/esterni, le patologie che – sebbene molto fre-quenti – oggi solo occasionalmente emergono, vi è una prima conclusione del nostro ragionamento su questo tema. Dalla piena comprensione di tale approccio, che dal Pna si estende ai conseguenti Ptpc e connessi codici di comportamento, dipenderà concretamente, secondo la nostra convinzione, la capacità stessa delle pubbliche amministrazioni di prevenire la corruzione. La sua importanza è facilmente ravvisabile nel fatto che, attual-mente, i comportamenti di moltissimi operatori, come ci proponiamo di chiarire, si pongono nella direzione opposta, quella d’ignorare l’esigenza di finalizzare l’azione amministrativa alla realizzazione del principio del “buon andamento”.

Gli aspetti, complementari alla conclusione appena enunciata, che di seguito si metteranno in luce, si pro-pongono di delineare una disciplina specifica, che sia in grado di “orientare” le pubbliche amministrazioni a realizzare il principio del “buon andamento”, anche nella sua accezione di “buon funzionamento” come si concretizza attraverso comportamenti “eticamente adeguati”.

La normativa sul codice di comportamento dei dipendenti pubblici prevede poi che “La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato suppor-to documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità” (17). Questa previsione normativa va nella direzione che si è già indicata e, se rispettata, da sola è, riteniamo, in grado di prevenire la maggior parte dei fenomeni corruttivi, o comunque di cattivo funzionamento. Il concetto enunciato, per la verità già ricavabile dal nostro ordinamento (18), ma ora esplicitato, esprime una conoscenza pienamente acquisita in campo eco-nomico-aziendale (19). Tale conoscenza, consistente nella necessità di rendere sempre tracciabile il processo decisionale e di dimostrare in tal modo le ragioni delle decisioni che si sono di volta in volta prese e che hanno dato contenuto all’azione amministrativa, deve dunque essere applicata anche nella pubblica amministrazione, se si vuole finalizzarne l’azione amministrativa, attraverso comportamenti “eticamente adeguati”, al “buon andamento” e alla legalità.

In nota (20) abbiamo esplicitato alcune, importanti, patologie che “spiegano” come la nostra pubblica am-ministrazione operi, in situazioni non occasionali, di fatto, all’insegna del cattivo andamento, del richiamato “malfunzionamento” (21), anziché, come dovrebbe essere, all’insegna del “buon andamento”. Ebbene, se que-sta norma verrà concretamente applicata, se il processo decisionale verrà verificato nella sua riproducibilità, se i controllori interni/esterni non si accontenteranno di soffermarsi sugli adempimenti, ma saranno invece attenti

(17) Questa norma prevede altresì, nell’art. 8, che il dipendente “fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’adempimento di cui sia venuto a conoscenza”. Per un approfondimento della materia, cfr. G. Farneti, Dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici una grande spinta al rinno-vamento gestionale, anche per gli enti locali, in Azienditalia, 8-9, 2013.

(18) Si consideri che la tracciabilità non è altro che l’esplicitazione, riferita ad attività complesse finalizzate al “buon anda-mento”, del principio di cui alla l. n. 241/1990, art. 3, relativo alla necessaria motivazione di ogni provvedimento amministrativo. Sotto il profilo economico-gestionale che, come si è all’inizio osservato, esprime il necessario riferimento di ogni processo deci-sionale, va poi aggiunto che motivare una decisione significa analizzare e, come afferma ora la norma, rendere note, in modo tra-sparente, le conoscenze che ne sono a fondamento.

(19) Il processo decisionale è, infatti, tracciabile se è inserito nelle attività di programmazione/controllo e se dunque ritrova nelle stesse le motivazioni che ne giustificano i contenuti. In altre parole se la decisione presa è razionale, se si pone nella direzio-ne del “buon funzionamento” dell’amministrazione pubblica.

(20) Cfr. nota 16.(21) Cfr. par. 2.1 Pna.

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ai comportamenti che nel loro complesso danno contenuto al principio del “buon andamento”, allora si veri-ficherà che le importanti patologie che è dato riscontrare (come quelle richiamate) saranno progressivamente eliminate. Ma non è possibile d’altra parte contrastare efficacemente la corruzione ove questo approccio sia ignorato. Questo approccio si collega, lo vogliamo ancora mettere in evidenza, alle più note conoscenze di tipo economico-aziendale, che diventano in tal modo giuridicamente rilevanti.

Ne consegue che l’effettiva tracciabilità dei processi decisionali, opportunamente richiamata dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici, esprime, anche per le doverose ricadute sui contenuti dei Ptpc che si dovrebbero verificare (con specifico riferimento all’indicazione delle possibili situazioni critiche), un’ulteriore conclusione del nostro ragionamento sul tema qui considerato. Tale conclusione è complementare alla prece-dente, perché la normativa cui ci stiamo riferendo, dopo avere chiarito la necessità del “buon funzionamento” dell’amministrazione, anche per prevenire la corruzione, si sofferma sull’ulteriore necessità di chiarire come, in questa finalizzazione, si sono formate le decisioni. Riteniamo che dalla sua comprensione da parte di tutti gli operatori interni/esterni dipenderà concretamente la capacità delle pubbliche amministrazioni di prevenire la corruzione. Questa comprensione non sembra però essersi affermata; al contrario, prevale ancora la cultura dello status quo e si afferma quel circuito perverso cui abbiamo fatto riferimento nella premessa. La tracciabili-tà, va sottolineato, implica, infatti, il corretto svolgimento dei processi di programmazione-gestione-controllo, dunque un radicale mutamento di rotta rispetto ai comportamenti illeciti oggi prevalenti. Proprio per questo aspetto è importante la sottolineatura del codice di comportamento per i dipendenti pubblici circa l’obbligo di segnalare eventuali situazioni di illecito.

2.4. Il buon andamento come precondizione per realizzare un’efficace spending reviewUna spending review che si voglia “rafforzare e rendere particolarmente incisiva con la precisa indivi-

duazione di tempi e responsabilità” (22) si può realizzare, effettivamente, solamente nell’ambito del contesto appena chiarito. Al di fuori di esso, è scarsamente credibile e comunque di difficile realizzazione. Le novità che si sono affermate sul piano normativo, in tema di controlli e di contrasto alla corruzione, vanno in questa dire-zione, poiché si riflettono anche sui processi di pianificazione/programmazione e di controllo, dando effettivo contenuto al principio del buon andamento.

In sintesi si indicano una serie di riscontri, di attività cui sono tenuti, in particolare, i diversi responsabili della gestione dei servizi, sia che la gestione si sviluppi direttamente, sia che si realizzi per il tramite di società partecipate, o venga comunque esternalizzata. In tutte queste attività vi è la preoccupazione di responsabi-lizzare gli operatori sul rispetto del principio del buon andamento nei suoi concreti contenuti, in modo che il processo decisionale si formi lasciando una sorta di “tracciabilità”, dalla quale si possa desumere l’effettivo rispetto delle norme. In questa “tracciabilità”, come si è considerato, vi sono anche le premesse per contrastare i fenomeni di corruzione, poiché essi emergerebbero prima di tutto dalle “anomalie” messe in luce dal sistema dei controlli interni, in particolare dalla mancanza di decisioni programmate e dal confronto fra obiettivi, azio-ne amministrativa, risultati.

Si vogliono riproporre le considerazioni conclusive già formulate al riguardo in altra occasione (23):“Il quadro ordinamentale, nella nostra pubblica amministrazione locale, non è rispettato. La mancata con-

siderazione delle attività di programmazione e controllo nei loro contenuti aziendali, rendono nominalistici gli strumenti utilizzati e le procedure seguite. I criteri di efficienza ed efficacia non trovano così applicazione.

Ristabilire un quadro di legalità assume in conseguenza anche il significato di conferire correttezza ge-stionale all’azione amministrativa, una precondizione per potere sviluppare una spending review riferita alle singole amministrazioni locali.

Le crescenti complessità gestionali che caratterizzano gli enti e il loro crescente ricorso agli organismi ge-stionali esterni enfatizzano le patologie. Si rende altresì necessaria, pertanto, una spending review del gruppo municipale (24).

(22) Come si è espresso il Presidente del Consiglio, prof. Monti, nelle sue dichiarazioni programmatiche del 17 novembre 2011.

(23) Cfr. G. Farneti, La riforma dei controlli interni nell’ambito della carta delle autonomie: una necessità per la realizzazio-ne del nuovo programma di governo, in Azienditalia, 12, 2011, 849 ss.

(24) Sia il controllo sulla sana gestione finanziaria sia quello sulla gestione economico finanziaria del gruppo municipale, fra di loro interagenti, si fondano su elementi conoscitivi di base che gli enti dovrebbero preoccuparsi di raccogliere ed elaborare, co-

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La via per uscire dall’insieme delle criticità che si sono delineate, che è anche la via per realizzare il buon andamento, per migliorare l’azione amministrativa, per avere servizi meno costosi e di più elevata qualità, è quella di rendere operante il sistema dei controlli interni”. In questa direzione si è orientato il legislatore con la più recente produzione normativa.

3. La cattiva utilizzazione dello strumento societario, ovvero non rispettare od eludere il quadro normativo: una casistica

Si è al momento delineato un quadro di impiego dello strumento societario, che il legislatore cerca di con-tenere al massimo, che deve fare riferimento al principio del buon andamento e al rispetto del quadro europeo a tutela della concorrenza e del mercato e che di volta in volta deve motivare le singole decisioni.

Sulla base di quanto si è osservato, quali sono le possibilità di utilizzo dello strumento societario, e con quali modalità?

Il quadro attuale, sul quale torneremo nei paragrafi successivi, vede, laddove ve ne sia la motivata giustifi-cazione, esclusivamente queste possibilità:

la società, totalmente pubblica, gestita nella forma in house per i servizi pubblici locali (Spl), con o senza responsabilità economica (Re);

la società mista con gara a doppio oggetto, sempre per i Spl, con o senza Re;la società totalmente pubblica, gestita nella forma in house quando l’attività ha carattere strumentale, per la

fornitura di beni e servizi, o per la gestione di funzioni associate.Non sembrano esservi altre possibilità: in particolare, gli enti non possono svolgere attività che non siano

configurabili come produzioni di Spl o attività aventi carattere strumentale. Questo è un punto fondamentale che consegue dalla lettura del Tuel e dalle indicazioni dell’Agcm, in unione con la finanziaria del 2008 (l. 24 dicembre 2007, n. 244).

Ancora, l’ente locale non può avere partecipazioni in società che non siano interamente di proprietà pubbli-ca e gestite secondo le modalità in house, salvo specifiche previsioni di legge.

Le patologie che, nella concreta realtà operativa, è dato riscontrare sono numerosissime e assai variegate. Si caratterizzano per il mancato rispetto del quadro ordinamentale e, nel contempo, dei principi di buona am-ministrazione.

Sono talmente diffuse, si può ritenere, che sino ad ora non si è avuto il coraggio di affrontarle, così assecon-dando la volontà della politica di mantenere lo status quo. Tutte comportano un risultato di cattiva amministra-zione (si vedrà che per il commissario Cottarelli il solo ridurle può portare ad un risparmio di due/tre miliardi di euro). Alle volte sembrano quasi assecondate dal medesimo legislatore che, rendendosi conto del danno enorme per le finanze pubbliche e volendone ridurre l’impatto negativo, trascura la via maestra di affermare la necessità di comportamenti corretti e disciplina alcune conseguenze negative, dando quasi per scontato che la via maestra non sia percorribile. Così per il tema della definizione degli obiettivi in termini programmatici e di controllo, o per la disciplina delle perdite, come subito si chiarirà.

Possono esemplificarsi, così vengono di seguito esposte, per categorie di patologia.A) Le società in perditaNella vasta tematica delle patologie, quella forse più rilevante è costituita dalle società in perdita. In questa

sede si vuole rammentare che le perdite, nell’ambito di una gestione legale, ed eticamente orientata, finalizzata al “buon andamento”, rispettosa del processo decisionale che al riguardo si deve affermare, non dovrebbero ve-rificarsi, se non eccezionalmente e in misura modesta. Non è così. Al contrario le perdite si ripetono e ricadono sui bilanci degli enti, come innumerevoli esempi dimostrano (25).

me invece raramente si verifica. Per un’esemplificazione, in positivo, in questa direzione, cfr. G. Farneti, E. Padovani, E. Manuz-zi, Il rating di salute finanziaria dei comuni e delle loro partecipate, in Azienditalia, 10, 2011, 725 ss.

(25) A. Borghi, S. Pozzoli, in Il revisore degli enti locali, Ipsoa, 2013, 285, dopo avere chiarito che non esistono società ‘strut-turalmente in perdita’ [bisognerà riflettere su quest’affermazione e sulle conseguenze in tema di mancati controlli!], perché la so-cietà in tal caso o è male amministrata, o il contratto di servizio è inadeguato, evidenziandosi in entrambi i casi la responsabilità degli amministratori dell’ente locale, così proseguono con riferimento ad un esempio eclatante, che sarà poi richiamato dal com-missario Cottarelli, “Ora può essere che gli amministratori delle società in house siano tutti incorsi in situazioni sfortunate di ge-stione, ma è ragionevole supporre che, trattandosi di aziende che operano per il comune, a tali perdite corrispondano minori spese

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Questi fatti si producono perché l’ordinamento non è rispettato e conseguentemente il processo decisionale non è messo in chiaro (spesso per nascondere il perseguimento d’interessi diversi da quelli espressi dal “bene comune” e cioè dal “buon andamento”); perché, aggiungiamo, i controlli interni sono quasi inesistenti e quelli esterni non sempre sono efficaci.

In un recente convegno (26), è stato osservato:- che le società partecipate, nei primi tre livelli, sono più di 12.000;- che tali società operano, in ordine decrescente di numerosità, nei seguenti settori (e molte svolgono attività

commerciale, a mercato, che avrebbero già dovuto essere dismesse):altri servizi (rispetto a quelli di seguito elencati): consulenza; energia elettrica; igiene ambientale; trasporto

pubblico; turismo, sport, tempo libero; gas; idrico; fiera e mercati; farmaceutico; Ict; formazione; socio-assi-stenziali e alla persona; funerario e cimiteriale; ristorazione collettiva; cultura; edilizia residenziale pubblica;

- che le società in perdita sono pari al 38,3 per cento e sono riferite a tutti i settori considerati;- che le società con patrimonio netto negativo sono pari al 6,4 per cento e sono riferite, anch’esse, a tutti i

settori considerati.Da questi dati emerge la gravissima patologia del fenomeno. Sia per la numerosità delle società in perdita,

sia perché, ad evidenza, molte di esse fanno riferimento ad attività che gli enti non dovrebbero svolgere, in quanto a mercato. Senza trascurare la noncuranza con la quale gli enti affrontano la disciplina che al riguardo è prevista dal codice civile, spesso ignorandola.

Si dovrebbe, invece, tener conto del fatto che, secondo l’ordinamento, specificatamente per dare applica-zione al principio del buon andamento alla luce delle valutazioni espresse dalla Corte dei conti, per rendere operante, inoltre, quel quadro comportamentale che negli enti dovrebbe assicurare la sana gestione finanziaria, per rispettare altresì il principio di competenza finanziaria, le perdite non dovrebbero verificarsi, se non in modo occasionale.

L’ente, infatti, utilizzando lo strumento della società, maggiormente della società in house (alla quale ti-pologia dovrebbe essere ricondotta, si è visto, qualsiasi legittima partecipazione) per la realizzazione di un’at-tività strumentale o per lo svolgimento di un servizio pubblico locale (e non vi sono, sembra a chi scrive, altre soluzioni, salvo norme specifiche), ne dovrebbe curare e motivare l’efficienza, l’efficacia e l’equilibrio economico. Contribuendo appositamente, se necessario, nell’ambito dei previsti obblighi (da definirsi) del servizio pubblico. Naturalmente, ogni attività andrebbe doverosamente monitorata affinché ciò si realizzi: in particolare la verifica relativa all’attuazione dei programmi del 30 di settembre, ex art. 193 Tuel, dovrebbe consentire all’ente proprietario quell’aggiornamento che gli possa permettere di modificare il proprio bilancio; prevedendo contributi e, se del caso, uno specifico accantonamento per rischi, acquisendo quelle notizie che dovranno comunque essere portate alla conoscenza del proprio consiglio, anche per dare attuazione a quanto previsto dall’art. 170 Tuel, c. 6, e ai conseguenti obblighi di rendicontazione; e, all’occorrenza, intervenendo altresì sulla partecipazione, anche provocando modifiche della sua condotta gestionale.

In questa situazione, in particolare in conseguenza dei fallimenti (27) che sempre più spesso coinvolgono le

correnti del comune che, altrimenti, sarebbe in disavanzo in loro vece … Ma nella sostanza è il dato delle perdite ingenti che non fa ben sperare sulla sopravvivenza delle aziende e del comune stesso”. Ci si potrebbe chiedere come mai patologie di questo tipo, con uno spreco enorme di risorse pubbliche, a tutti note, abbiano potuto verificarsi e proseguire, indisturbate, nel tempo: dare una risposta e trovare un rimedio significa anche avere individuato la chiave per risolvere i problemi della nostra pubblica amministra-zione, la speranza è nella possibilità che le norme richiamate vi possano contribuire.

(26) Cfr. Il rating finanziario degli enti locali e delle loro società partecipate, a cura di Legautonomie e Bureau Van Dijk, nel-la relazione introduttiva di G. Farneti, E. Padovani, Milano, 2012.

(27) Sulla fallibilità di una società a controllo pubblico, la dottrina e la giurisprudenza non sono unanimi. Per un’analisi della materia e per l’individuazione dell’orientamento maggioritario, cfr. L. Balestra, in Concordato, assoggettabilità delle società par-tecipate da enti pubblici e prededucibilità del finanziamento dei soci, in Il Fallimento, 2013, 10, ss., che osserva che tale orienta-mento maggioritario “di fatto impone all’interprete una lettura in controluce delle clausole statutarie al fine di accertare se, e con quale grado di incidenza, una società di diritto privato a partecipazione pubblica presenti un legame con l’interesse pubblicistico perseguito dall’ente che riveste la qualità di socio”. Tale indagine, potrebbe anche portare, riteniamo, a concludere che le società in house non possano fallire, con conseguenze immaginabili, ma d’approfondire, ove si rifletta sul punto che l’analisi che è stata richiamata conduce a considerare che la gestione di servizi strumentali o di servizi pubblici locali può essere affidata direttamen-te solamente a società di questo tipo.

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società partecipate, emergono le responsabilità nella gestione delle stesse. Va osservato che è plausibile che tali responsabilità si estendano a chi ha operato negli enti interessati, in particolare con riferimento alla veridicità degli atti che di volta in volta si sono formati nell’ambito delle politiche (dunque dei connessi comportamenti) che l’ente ha seguito e che hanno accompagnato la vita delle società partecipate in perdita, o anche rispetto alla natura degli interessi concretamente perseguiti. Circa gli atti, spesso carenti sotto il profilo della veridicità, ci si riferisce ad esempio ai seguenti: ai bilanci, ai rendiconti (28), alle relazioni previsionali e programmatiche, più in generale a tutti i documenti del sistema del bilancio; alle menzionate motivazioni (29) a giustificazione delle società partecipate; alle analisi di mercato, ai business plan. È altresì ipotizzabile che, nelle situazioni appena menzionate, sempre di più il “danno erariale” sia contestato: l’argomento verrà ripreso nei paragrafi successivi.

La legge di stabilità del 2014 ha introdotto la previsione di un accantonamento per perdite reiterate (così responsabilizzando nei confronti dei cittadini le relative amministrazioni), ma con un’applicazione graduale nel tempo (strano modo, questo, di legiferare, perché se il fenomeno esiste, si riflette subito negativamente sui bilanci dell’ente, conseguendone che la parte che in via transitoria non è considerata si traduce sì in un’elusio-ne, ma legale). La norma è comunque da valutarsi positivamente poiché produce effetti immediati, in unione con quella (di cui all’art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010), considerata successivamente in questo lavoro, che dispone il divieto di effettuare aumenti di capitale o finanziamenti a favore di società in perdita per tre esercizi conse-cutivi. Entrambe però si soffermano sulle conseguenze di patologie che, per la loro entità (numerica e di valori coinvolti), non avrebbero dovuto verificarsi e dunque non forniscono un contributo organico nella direzione di realizzare comportamenti maggiormente corretti; si limitano, infatti, solamente a ridurre alcune delle conse-guenze che derivano da comportamenti che nella maggioranza dei casi si qualificano come illegali.

B) Le società a mercatoSi tratta di quelle società che svolgono attività commerciale, dunque “a mercato”, che non consiste nella

produzione di attività strumentali, o di servizi pubblici locali, che sono le uniche attività alle quali può essere ricondotta l’operatività degli enti, in funzione delle loro finalità, come sono stabilite dal Tuel e dall’Agcm.

Per chi scrive il quadro è definito, ma non per gli operatori. Può forse avvenire che le considerazioni qui espresse debbano essere riviste. Ma al riguardo dovrebbe farsi chiarezza. Poiché, a nostro avviso, una enorme quantità di società partecipate (una grossa minoranza secondo le valutazioni del commissario Cottarelli) sono a mercato e sono quelle dove si annidano frequentemente perdite sottratte al bilancio degli enti, elusioni della normativa, costi della politica. Certamente fondamentale è al riguardo la disciplina della finanziaria del 2008, in particolare il comma 28 dell’art. 3 circa l’obbligo di motivazione relativamente alla loro assunzione e al loro mantenimento (30).

Gli enti fanno di tutto, ad esempio, si occupano (da soli, con altri enti pubblici, con soci privati; spesso in maggioranza, talora no) di: fare consulenza; fare formazione; gestire fiere e mercati; gestire attività congressua-li; gestire aeroporti; partecipare a società per la gestione di autostrade; acquistare, urbanizzare (eventualmente), rivendere terreni (per favorire lo sviluppo economico del territorio); occuparsi di lampade votive, di onoranze funebri, di ristorazione, ecc.

Talora queste attività sono poste in capo a società di secondo o terzo livello, snaturandone l’oggetto sociale rispetto alla legittima (in ipotesi) attività principale (è il caso ad esempio di una società in house per la produ-zione di servizi strumentali che ha una partecipazione in una società a mercato).

Possono farlo? No.

(28) Al riguardo la Corte dei conti, in particolare la Sezione delle autonomie, si è soffermata sulla vastissima diffusione del fe-nomeno richiamato.

(29) Nella deliberazione della Corte conti, Sez. contr. reg. Friuli-Venezia Giulia, 17 aprile 2012, n. 31 [in www.corteconti.it], avente ad oggetto il “Monitoraggio sulle società partecipate”, in attuazione dell’art. 3, cc. 27 ss., l. n. 244/2007 e concernente le deliberazioni degli enti relative al mantenimento o alla dismissione delle partecipazioni, si può leggere: “la motivazione del 79/80 per cento delle partecipazioni per cui è stato deciso il mantenimento è ascrivibile all’esito 3 e cioè al caso in cui l’ente ha amplia-to una motivazione sostanzialmente tautologica con indicazioni riferite all’oggetto sociale e all’attività della partecipata, che tal-volta vengono correlati ai motivi di pubblico interesse che hanno condotto alla sua costituzione o a riferimenti normativi e/o am-ministrativi che ne giustificherebbero l’esistenza”.

(30) Cfr. F. Albo, La ricognizione delle partecipazioni societarie da parte degli enti locali alla luce dell’art. 3, c. 27 ss., l. n. 244/2007 e provvedimenti conseguenti, in Azienditalia, 3, 2010; P. Novelli, Società pubbliche: dismissioni, cessioni, ricognizione delle partecipazioni, controlli e ruolo della Corte dei conti, in Azienditalia, 9, 2011, inserto.

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Dunque tutte queste società avrebbero dovuto essere dismesse.Esse meritano sempre una specifica attenzione. Ognuna ha una sua storia e propri riflessi sul bilancio dell’en-

te. Normalmente l’ente non le controlla e viene a conoscenza (formalmente) delle loro perdite non in corso d’anno, ma nell’anno successivo. Il sistema di bilancio dell’ente, che spesso le ignora nei loro effetti o che tende a nasconderne i risultati è, in conseguenza, non veridico. La salute finanziaria dell’ente è, o può essere, com-promessa. Le sue decisioni, le decisioni del consiglio dell’ente, in quanto elaborate in un quadro di mancanza di conoscenze, non sono probabilmente indirizzate sulla strada che invece si sarebbe scelta ove tali conoscenze fossero state complete. Con danno per l’ente (per inefficienza) e per i cittadini (per la possibile inefficacia che ne può derivare, rispetto ad altre possibili politiche che altrimenti avrebbero potuto essere adottate).

C) Le società come investimento finanziario; i connessi patti di sindacatoL’ente non ha fra le proprie finalità quella di investire stabilmente eventuali eccedenze finanziarie. In parti-

colare, tali investimenti si pongono al di fuori delle finalità dell’ente quando vi siano carenze di risorse e l’ente si sia trovato nella necessità d’indebitarsi. Situazione peraltro ricorrente, assolutamente maggioritaria.

L’ente dunque non dovrebbe investite in beni a reddito, in particolare nella ipotizzata, ma assolutamente prevalente, situazione appena richiamata. Eppure l’ente investe in società che in qualche modo ha voluto favorire, in quanto genericamente d’interesse per il territorio (riproducendo la situazione di cui al paragrafo precedente), o nei fatti risulta avere investito in conseguenza di operazioni che hanno caratterizzato il prece-dente contesto dei servizi gestiti con organismi partecipati. In particolare gli enti, in modo assai diffuso, hanno partecipazioni in società quotate in borsa, partecipazioni che sono il risultato di un esteso processo di trasfor-mazioni e di fusioni, che trova la sua origine nelle vecchie municipalizzate. Ma, allo stato attuale, non vi è più alcun legame fra la società quotata e la gestione del servizio. La gestione è molto spesso conseguente da un affidamento diretto, ma dovrà cessare al termine del periodo previsto ed essere messa a gara.

In queste situazioni, il “controllo del servizio” dovrebbe essere fatto, non sedendo nei consigli di ammini-strazione o negli organismi di controllo di tali enti e perseguendo una politica di alta redditività e di alti dividen-di, che di per se stessa non corrisponde alle finalità dell’ente, ma invece esercitando puntualmente un’attività di controllo, proponendosi di realizzare condizioni di efficienza (basse tariffe) e di efficacia (soddisfazione dei cittadini), attraverso gli strumenti del contratto di servizio e dell’adeguamento delle tariffe. Avviene l’inverso.

Tale contrasto è di ulteriore evidenza in presenza di patti di sindacato nelle parti nelle quali si prevede che le azioni sindacate, pena il pagamento di gravi penali, non possono esser cedute. Come può l’ente vincolare la propria gestione ed esporsi al pagamento di elevati oneri finanziari sui capitali presi a prestito e, nello stesso tempo, sottoscrivere l’obbligo di non cedere partecipazioni che sono estranee alle sue finalità, anche per lunghi periodi tempo? Si tratta di patti, per chi scrive, che sono pertanto nulli in quanto contrastanti con norme impe-rative e che sono causa evidente del prodursi di un elevato “danno” in capo agli enti interessati.

D) Le società holdingSi pongono ad evidenza in contrasto con l’ordinamento.Nascono sempre, così è scritto nelle deliberazioni prese ex finanziaria del 2008, come società strumentali

e, sempre, di fatto, svolgono formalmente quell’attività che nell’ente, prima della loro costituzione, era a capo dell’ufficio società partecipate, o denominazione equivalente. Anzi, il più delle volte non viene neppure trasfe-rito il relativo personale e le suddette società si pongono semplicemente come interfaccia fra le società opera-tive e l’ente. A quest’ultimo, qualche volta, è comunque richiesto di pronunciarsi su alcune vicende societarie.

La loro illegittimità variamente osservata, attiene in particolare ai seguenti aspetti: l’ente è per sua natura una holding che deve gestire partecipazioni e darne conto (si consideri al riguardo il già richiamato art. 170, c. 6, Tuel); realizzando in molte fattispecie il controllo analogo già di per sé difficile con una partecipazione diretta, come renderlo effettivo quando tutti i rapporti giuridici fanno capo alla holding?

Quale vantaggio, per una gestione più efficiente ed efficace, quando la sua previsione comporta un aumento dei costi (sempre per le spese di funzionamento della struttura societaria, talora anche per il personale)? Senza vantaggi operazionali, anzi, con qualche aggravante sotto il profilo organizzativo, atteso che l’ufficio societario “passa” le proprie valutazioni, con un qualche disguido, almeno in termini temporali e relazionali, al gestore della società, anziché operare direttamente?

Come, in conseguenza, non rendersi conto che le motivazioni che devono accompagnare la sua nascita, sono, circa le conseguenze sui bilanci dell’ente, nella direzione dell’esplicito riconoscimento di maggiori costi,

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o all’insegna di una non trasparenza su tale punto (anzi di mancanza di veridicità), mentre sui vantaggi come non vedere che le valutazioni sono sempre generiche, non dimostrate?

Come non vedere una minore trasparenza e un’occasione per l’aumento dei costi della politica (e conse-guente danno erariale, atteso che tali costi non avrebbero dovuto prodursi)?

Come, in aggiunta, rispettare quanto previsto dalla spending review?Come non vedere che le partecipazioni in capo alla società holding, essendo la stessa una società strumen-

tale, sono illegittime, poiché ne snaturano l’oggetto sociale (unicamente riferibile ad un’attività strumentale) e contravvengono al divieto di possedere partecipazioni indirette?

Nel complesso il caso delle società holding è allo stato conosciuto e in effetti sempre più contrastato, ad esempio dalle deliberazioni delle sezioni regionali (31), dalla Sezione autonomie (32), dal Consiglio di Sta-to (33), dalla dottrina (34).

Da ultimo il nuovo art. 147-quater Tuel, afferma, circa l’assetto organizzativo da conferire alle funzioni di controllo, che esse sono svolte “dalle strutture proprie dell’ente locale, che ne sono responsabili”. In tal senso l’holding si interpone fra le suddette strutture e l’esercizio delle attività operative ed impedisce l’applicazione della norma. Se poi si volesse affermare che le strutture interne, sulla base di uno specifico regolamento, sono comunque responsabili delle attività gestionali, allora la società holding assumerebbe un ruolo di semplice pas-sacarte, come in effetti spesso si verifica, che comporta una duplicazione dei costi, un rallentamento dell’azione amministrativa, una maggiore complessità organizzativa, energie personali (e tempi) sacrificate a tali esigenze, il tutto in forte contrasto con i criteri di efficienza, di economicità e di efficacia.

Nell’analisi del commissario Cottarelli vengono considerate, fra quelle da eliminare, nell’ambito delle so-cietà patrimoniali.

E) Le società come strumento per eludere norme di legge e il conseguente controllo della CorteIl fenomeno elusivo è stato variamente approfondito da numerosi autori. I commentatori sono unanimi nel

considerarne la portata negativa.La normativa però non affronta il problema, con qualche eccezione, seppure importante, relativamente alla

previsione di una responsabilità, affidata alla giurisdizione della Corte dei conti, ove non sia rispetto il divieto costituzionale d’indebitarsi per sostenere spese correnti, o per l’elusione del patto di stabilità, o per l’assenza o l’inadeguatezza dei controlli interni e per quella relativa al dissesto.

Le altre forme elusive sono normalmente rimarcate negativamente e talora ciò si riflette nelle deliberazioni delle sezioni di controllo della Corte. Manca ancora, forse, un’azione di deciso contrasto. È vero che vi sono poche norme specifiche al riguardo, ma vi è un quadro sistemico da rispettare. Tale quadro attiene sia alla rego-larità dell’informazione prodotta, nell’ambito del sistema di bilancio, sia alla natura delle operazioni gestionali poste in essere, per quanto sino ad ora esposto.

È un fatto, da tutti osservato, che assai spesso la volontà di eludere norme imperative, costituisce l’unica, vera motivazione, di un’operazione societaria.

La cartina di tornasole per individuare tali frequenti situazioni è data dalla motivazione, la cui necessità in tale ipotesi non viene generalmente soddisfatta: e questa è un’ulteriore, importante ragione, per prestarvi attenzione. Non viene soddisfatta nella forma, perché è spesso inesistente; non viene soddisfatta nella sostanza allorché la sua lettura, nell’ambito delle politiche dell’ente cui quell’operazione viene a contribuire, ne mostra la strumentalità, non alla gestione di un servizio, il cui vantaggio non viene ragionevolmente dimostrato, ma invece alla realizzazione di politiche elusive, variamente rintracciabili; come di seguito viene esposto attraver-so un recente elaborato (35):

“Il c. 27 dell’art. 3 l. n. 244/2007, nella sua versione originaria, aveva previsto il divieto, per tutte le pub-

(31) Ci sembra interessante la pronuncia della Sez. contr. reg. Piemonte, 29 settembre 2011, n. 116 [in www.corteconti.it], che si sofferma su una parte significativa delle possibili ragioni che servono a contrastare l’utilizzo di società holding.

(32) Ad esempio con la delib. Sez. autonomie, 30 giugno 2010, n. 14, in questa Rivista, 2010, fasc. 3, 65.(33) Cfr. Cons. Stato, A.P., 4 agosto 2011, n. 17, in Urbanistica e appalti, 2011, 1416.(34) Si vuole ricordare, anche per una disamina complessiva, P. Novelli, cit.(35) Cfr. G. Bassi, Le utilities locali dopo l’incostituzionalità dei servizi pubblici: riconfigurarne il ruolo partendo dai fonda-

mentali dell’economia aziendale, in Azienditalia, 10, 2012.

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bliche amministrazioni, di costituire o di mantenere in portafoglio partecipazioni societarie, sia dirette che in-dirette, che non fossero strettamente necessarie ed inerenti al conseguimento delle proprie finalità istituzionali normativamente poste. Dopo pochi mesi, la parola società “indirettamente” partecipate è stata cancellata (36), dando così la stura al meccanismo elusivo del trasferimento a valle, mediante la solita holding di interposizione fittizia, di tutte quelle partecipazioni che non avevano i requisiti per il mantenimento in portafoglio.

Il c. 21 dell’art. 4 d.l. n. 138/2011 vietava di ricollocare nei consigli di amministrazione delle partecipate i politici locali non rieletti o non rileggibili? Facile, bastava rispettare formalmente la norma ed evitare di nominarli in quelle direttamente partecipate, utilizzando, invece, quelle indirettamente partecipate che non potevano, a stretto rigore, considerarsi rientranti nel presupposto soggettivo; la disposizione di divieto, infatti, parlava di amministratori che, nei tre anni precedenti la nomina, avevano ricoperto la medesima carica negli “enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società”. Naturalmente si trattava di norma a carattere eccezionale, quindi da interpretare restrittivamente. Dopo la sentenza n. 199/2012, ovvia-mente, il problema nemmeno si pone più.

Il c. 2-bis dell’art. 18 d.l. n. 112/2008, come modificato dall’art. 19 d.l. n. 78/2009, statuisce che i divieti o le limitazioni alle assunzioni di personale previste per l’ente locale di riferimento si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale, totale o di controllo, che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, o che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica? Bene, anche in questo caso sarà sufficiente scindere, tramite il velo della personalità giuridica di diritto privato, la relazione diretta tra ente locale affidante/partecipante e società controllata, attraverso l’inter-posizione fittizia di una holding, per ottenere l’effetto elusivo desiderato.

Le norme di finanza pubblica impongono di adeguare le politiche di personale delle partecipate alle dispo-sizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e in materia di restrizioni per gli incarichi di consulenza? Facile, anche in questo caso vale il meccanismo elusivo precedente.

L’ente locale ha problemi con il patto di stabilità e non può stanziare a bilancio somme per attività culturali, turistiche, sociali o promozionali? Oppure non può dare contributi a qualche associazione o fondazione o ente che rientra nel campo di applicazione del divieto di cui all’art. 6, c. 2, d.l. n. 78/2010 e successive modifiche ed integrazioni? Facile, basta far finanziare le predette attività (o far dare il contributo) dalle proprie partecipate di controllo o in house. Si obbietterà, giustamente, sul piano tecnico, che ciò significa imporre «oneri impro-pri» alle gestioni aziendali, oneri che poi si riverbereranno sulle tariffe dei servizi o, negativamente, sui livelli dell’equilibrio economico d’impresa, ma questo debito (o comunque questo onere improprio) pare non esser percepito dalla politica come parte del più generale problema di risanamento delle finanze pubbliche e di recu-pero di efficienza, produttività e crescita del sistema economico a livello aggregato, venendo spesso percepito come una sorta di “partita fuori bilancio”.

L’ente locale ha problemi finanziari per acquistare un bene immobile o per sostenere i costi di gestione di un’opera infrastrutturale? Basterà farlo fare alle proprie partecipate di controllo o in house. E se la società dovesse indebitarsi per questo? Poco importa – pensa il politico – tanto è ancora fuori dal perimetro di conso-lidamento dei bilanci pubblici!

L’ente non dispone dei fondi necessari a cofinanziare un progetto innovativo che beneficia di contribuzioni pubbliche? Facile partecipare comunque al progetto, secondo il nostro “vulcanico” amministratore pubblico: basterà far assumere l’impegno per realizzare la quota parte di spettanza dell’ente locale ad una società con-trollata, meglio se in house, e il problema è risolto! Ancora una volta generiamo ex novo indebitamento o spesa pubblica, ma tanto – pensa il politico – sono “partite fuori bilancio”!

Questi pochi esempi, forse formulati con un po’ di irriverente ironia (non ce ne vogliano i politici seri!), basteranno a chiarire, anche a chi non avesse particolare dimestichezza con la finanza pubblica, come i mecca-nismi elusivi posti in campo dalla sconfinata fantasia dell’italico amministratore pubblico (quello con alta pro-pensione all’elusività delle norme) possano vanificare gli effetti di interventi normativi finalizzati a quantificare e contenere, entro dimensioni di certezza contabile, i macro aggregati di spesa e di indebitamento pubblico”.

(36) Ad opera dell’art. 71, c. 1, lett. b), l. 18 giugno 2009, n. 69.

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Molto recentemente si è al riguardo espresso il commissario Cottarelli, con una casistica che sarà richiama-ta nei paragrafi successivi.

La Corte dei conti, sul fenomeno, si è espressa in innumerevoli occasioni attraverso i suoi atti; recentemente ha chiarito, con autorevolezza (Sez. autonomie, n. 15/2014), proprio sul tema dell’elusione e/o del mancato rispetto della normativa, nonché sui conseguenti controlli e responsabilità, fra l’altro, che:

“Nell’intento di contenere i fenomeni elusivi dei vincoli di finanza pubblica, sono stati posti limiti alla costituzione degli organismi partecipati” e che “al riguardo, la Sezione delle autonomie, nelle Linee guida de-stinate ai collegi/organi di revisione presso le regioni e presso gli enti locali, nonché agli Organi di vertice degli stessi enti, ha richiamato l’attenzione sulle responsabilità connesse al ruolo di enti titolari di quote partecipate”; richiamo esaltato dalla successiva affermazione per la quale “Il nuovo quadro dei controlli sugli enti territoriali è stato valorizzato [artt. 148 e 148-bis Tuel] dalla citata sentenza della Corte costituzionale 5 aprile 2013 n. 60, sotto il profilo dell’accresciuta effettività delle verifiche svolte dalla Corte dei conti”, richiamando altresì le sentenze della Consulta, n. 39 e 40 del 2014;

“L’attuale situazione è, invece, caratterizzata dalla preoccupazione di arginare il fenomeno delle società partecipate …, come pure è sentita l’esigenza di contrastare fenomeni elusivi”;

“È, quindi da accertare se gli enti abbiano adottato le delibere di ricognizione delle proprie partecipazioni societarie, detenute direttamente o indirettamente … (art. 3, c. 28, l. n. 244/2007)”;

“In talune relazioni allegate ai giudizi di parificazione dei rendiconti regionali, è stata censurata la per-durante inerzia [!] delle amministrazioni regionali nel dar corso alle verifiche in tema di ricognizione delle partecipazioni “strettamente necessarie” e la presenza di forti resistenze [!] a dar seguito ai propositi di di-smissione”;

“La giurisprudenza amministrativa ha posto l’accento sulla particolare intensità dei controlli in presenza dei quali si giustifica il fenomeno dell’in house; controlli che devono essere al tempo stesso sugli organi e, quindi, strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti. Trattasi dell’esercizio di poteri pubblicistici più intensi di quelli spettanti al socio in base al regime civilistico, al punto che tutte le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante. Diversamente, dovrebbe ritenersi aggirato il divieto di affidamento senza gara e violate le regole della concorrenza”;

“In conclusione, la lettura dei dati esposti nelle tabelle che seguono conferma la grande rilevanza del fe-nomeno degli affidamenti in deroga alle regole della concorrenza e la conseguente necessità di monitorare l’effettività dei controlli degli enti proprietari sulle società che godono di tale regime privilegiato”;

“Talora è stata evidenziata la carenza di un’attenta verifica, basata su analisi economiche, finanziarie e su specifici obiettivi da perseguire, nell’atto di ricognizione delle partecipazioni ritenute necessarie, nonché la significativa presenza di interessi in settori (fieristico, termale, logistica) ove anche una definizione più ampia di interesse, strategico anziché istituzionale, prevista dalla legge regionale, non sembra sufficiente a consentire il mantenimento della partecipazione, a fronte di un rigoroso divieto legislativo”;

si cita anche, relativamente alla cattiva configurazione dei rapporti finanziari fra enti proprietari e loro società, la deliberazione della Corte dei conti, Sez. contr. reg. Campania, n. 12/2014, “ove è descritta la situa-zione fortemente critica delle società partecipate dal Comune di Napoli, definite “lo strumento per garantire il finanziamento a debito della maggioranza dei servizi” [!];

il divieto di “soccorso finanziario” di cui all’art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010, comporta “l’esigenza, sottolinea-ta dalla giurisprudenza di controllo, di valutare attentamente, in caso di riduzione del capitale al di sotto del limite legale, l’opportunità di assumere oneri per la ricapitalizzazione della società, piuttosto che prendere atto dell’avvenuto scioglimento della medesima, a norma dell’art. 2484, c. 1, n. 4, c.c.: ipotesi, questa, che si veri-fica automaticamente in assenza di iniziative da parte dell’assemblea dei soci”;

in tema di danno erariale è stata richiamata Corte dei conti, Sez. giur. reg. Marche, n. 492/2005, “che ha censurato il comportamento di amministratori i quali, consapevoli del fallimento gestionale della società par-tecipata, addivennero alla decisione di ricapitalizzare per fini affatto diversi da quelli riconducibili alla buona amministrazione”;

“Una rilevante apertura, nel descritto sistema di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile, si registra con il riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti sugli amministratori delle società c.d. in house”.

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F) Favorire i costi della politicaLa categoria è stata considerata come ultima, una sorta di cerniera di tutte le altre. Su questa i commentatori

si sono ripetutamente soffermati; in questo lavoro vi sono vari riferimenti. Favorire i costi della politica implica che la società partecipata, o quella determinata scelta gestionale, si colleghino a un’esigenza non riconducibile a un orientamento programmatico, o a una gestione che siano rispettose del quadro ordinamentale. Al contrario essa comporta che siano favorite le parti, i singoli, generalmente con un danno per l’ente. Accorgersene sarebbe agevole, basterebbe esaminare le motivazioni che sono alla base delle decisioni dell’ente e, di più, basterebbe verificare se il processo decisionale è tracciabile. Condizioni queste che quasi mai si verificano, a dimostrazio-ne di quanto profondo debba essere un intervento che si preoccupi di ricostruire un quadro di legalità.

4. Come osservare il quadro normativo, superando la sua complessità e il proliferare delle norme, attraverso l’individuazione di alcuni, semplici, principi ispiratori

Le regole esistono già e ci dovrebbero guidare. Esse sono riferibili alla disciplina comunitaria (37), che afferma il principio della libertà di concorrenza, e al quadro normativo nazionale, che afferma il principio del buon anda-mento, articolato nei criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Tale ultimo principio e i connessi criteri sono operativamente troppo spesso dimenticati. Essi, al contrario, dovrebbero sempre porsi a fondamento delle decisioni degli enti locali, in tutte le loro scelte relative alle forme gestionali e alla vita degli organismi partecipati. Si è già fatto riferimento all’insegnamento della Corte, che è al riguardo chiarissimo e per il quale gli organismi partecipati sono strumento per la realizzazione delle finalità dell’ente, dovendosi annotare che in questa ragione vi è l’unica giustificazione, unitamente alla loro stretta necessità di cui alla l. n. 244/2007, di essere costituiti o mantenuti.

Nel collegamento che dunque deve sempre considerarsi fra finalità istituzionali dell’ente e strumentalità della partecipazione societaria per la loro realizzazione, si pone la legittimità delle stesse, dando concreto con-tenuto al principio di buon andamento. Conseguentemente s’impone la necessità di un’effettiva motivazione, sorretta da un processo decisionale tracciabile.

Nella concreta realtà la motivazione è invece, in genere, assente, né i controlli sono stati in grado al momen-to di contrastare questi comportamenti.

Nonostante la chiarezza dei principi di fondo appena richiamati, il quadro della normativa è unanimemente considerato complesso, probabilmente a ragione, in considerazione degli innumerevoli interventi che lo hanno contraddistinto nel tempo, delle discipline di settore, dell’esito del referendum abrogativo e della nota sentenza della Corte costituzionale che ha abrogato a sua volta le norme che, in contrasto con quel referendum, erano state nel frattempo approvate; ed a causa del susseguirsi di norme, non sempre chiare.

Questa complessità può essere ridotta se l’atteggiamento degli operatori si orienta (è un auspicio, non una realtà operante) a considerare le ragioni della disciplina attuale, le profonde motivazioni che si collegano all’e-sigenza di un’amministrazione che si proponga di essere efficiente, efficace ed economica, nel rispetto delle regole definite dal quadro europeo e dunque della libertà di concorrenza e di mercato. Per utilizzare al meglio le sempre più scarse risorse degli enti locali.

Il punto di partenza può essere collegato a quanto la Corte dei conti ha chiaramente indicato, che si è già richiamato. Lo scopo della partecipata non è quello pertanto di conseguire un lucro, un reddito, anche se deve ovviamente preoccuparsi di curare l’equilibrio economico nel tempo.

Ma quali sono le attività che concretamente possono essere assunte ad oggetto di una partecipata? L’ente sviluppa la propria attività per realizzare servizi pubblici locali, come sono stabiliti dalla legge o dall’ente me-desimo. Queste attività non devono però essere a mercato, come consegue dall’applicazione del principio di sussidarietà e dall’osservanza dell’ordinamento europeo (38). Nel mercato l’ente può comprare beni e servizi,

(37) Va annotato che il quadro europeo integra il principio del buon andamento e che la sua considerazione si rende comunque necessaria se si vuole dare a quest’ultimo compiuta applicazione. È, infatti, evidente che la concorrenza e il libero mercato sono in grado, per definizione, salvo i casi di monopolio, di assicurare la produzione dei servizi pubblici locali alle migliori condizioni. Questo è il motivo per cui anche l’affidamento in house, come è stato annotato, non può trovare una sua autonoma e totale legitti-mazione se non s’inserisce in quella casistica di attività che vedono il fallimento del mercato. Questo concetto, di derivazione co-munitaria, si esprime ora attraverso l’art. 34, c. 20, d.l. n. 179/2012 che disciplina la materia dell’affidamento dei servizi pubblici a rilevanza economica, in termini generali, senza soffermarsi sulle specifiche modalità gestionali ammissibili.

(38) Cfr. Rassegna Normativa-Servizi pubblici locali, alla pagina: www.astrid-online.it/Riforma-de2/Normativa/Raccol-ta-normativa-SPL_19aprile2013.pdf, 8 ss.

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ma non può svolgere attività in concorrenza delle imprese. Ci si riferisce naturalmente ai servizi a rilevanza economica. Se l’attività è svolta dall’ente essa non può che essere sottratta al mercato: ma solamente se ci si trova in presenza di un monopolio legale o naturale; o perché l’ente, a fronte del fallimento del mercato, ne stabilisce la privativa pubblica (monopolio pubblico). Ma anche in questo caso la via maestra è quella della gara. Il suo superamento richiede un’analisi della convenienza dell’affidamento diretto.

L’ente può dunque operare attraverso una propria società, con affidamento diretto, solamente se non dan-neggia il mercato e la concorrenza (39) e se lo stesso risulta conveniente per l’ente. La società affidataria deve poi operare assumendo i caratteri della gestione in house (40). L’ente ne deve in conseguenza essere, da solo o con altri enti, l’unico proprietario.

La gestione in economia va limitata ai casi di minore rilievo; ancora, l’appalto di servizi può essere prati-cato attraverso gara. L’affidamento in concessione del servizio con gara è invece sempre possibile, con il solo vincolo, da giustificarsi, del monopolio pubblico (41).

Le società strumentali, sia per lo svolgimento dei servizi che delle funzioni dell’ente, sono state fortemente limitate e comunque sono fattibili solamente attraverso gestioni in house. L’ordinamento vuole ridurre, evi-dentemente considerandoli con disfavore, i casi in cui l’ente ricorre allo strumento della partecipata, anche laddove, come in queste fattispecie, le gestioni siano conformi al quadro europeo. Anche per gli enti minori, in via generale, era precluso, o fortemente limitato, lo strumento della partecipata, proprio per il disfavore con cui lo stesso è considerato dall’ordinamento (42).

Come si giustifica il disfavore da parte del nostro legislatore nei confronti dello strumento della partecipata? Vi è la consapevolezza di come lo stesso, in particolare negli ultimi anni, sia degenerato, sia diventato il mezzo, spesso, attraverso il quale dare spazio ai costi della politica, o per eludere le norme, con conseguenze negative, in particolare in chiave prospettica, sugli equilibri finanziari.

Le possibilità operative sono pertanto riconducibili a una casistica assai semplice (43).Il connesso quadro delle responsabilità si va in conseguenza delineando, con fatica.Le difficoltà sono riconducibili alle seguenti:alle norme transitorie e alle scadenze ivi previste, spesso trascurate, nella convinzione che poi le cose, come

in passato, si sistemeranno, o con modifiche della normativa o con la sostanziale impunità dei comportamenti scorretti;

la riprova è, spesso, nei pareri pro veritate, molto spesso richiesti e il cui intento è normalmente diretto al proseguimento dello status quo, al continuare senza modificazioni. Al contrario andrebbe sempre valutata in profondità la convenienza dell’ente a seguire la ratio della normativa, come si è delineata, anche laddove sia-no consentiti ulteriori margini di tempo, atteso che la stessa è prevista nell’interesse dell’ente, per la migliore utilizzazione delle sue risorse;

rispetto a quanto appena osservato è significativo come la costituzione di una società o il suo mantenimento, non sia generalmente oggetto di vera motivazione (che è sempre necessaria, come la dottrina e la Corte dei conti hanno chiarito), in contrasto con l’obbligo generale di motivare gli atti e, in particolare, con l’art. 3, c. 28, l. n. 244/2007;

gli enti gestiscono moltissime attività a mercato, molto spesso con soggetti privati, che esulano comple-tamente dallo schema sopra delineato. Anche in questi casi si è verificata una significativa impunità di fatto,

(39) In questa direzione cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2084, in Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 963 (m), laddove si chiarisce che un affidamento in house è censurabile se “non esplicita sul piano amministrativo una ponderata riflessione sulle ragioni per le quali si ritiene di non avvalersi dell’ordinario ricorso al mercato, come emerge dai principi comunitari”.

(40) Cfr. nota 40.(41) Nella Rassegna di cui alla nota n. 39, nelle pagine 8 e 9 si può leggere: “Gli orientamenti europei contemplano un dupli-

ce ordine di richiami alla concorrenza. Il primo fa riferimento alla sussidiarietà orizzontale. In base a tale criterio l’attribuzione di diritti di esclusiva dovrebbe limitarsi ai casi in cui le caratteristiche produttive o dei contesti economici e sociali non rendono per-corribile la concorrenza “nel” mercato. Il secondo riguarda la concorrenza “per” il mercato. In questa accezione l’affidamento di-retto, che comporta la sottrazione a procedure di evidenza pubblica, dovrebbe essere giustificata da un bisogno pubblico la cui sod-disfazione non è realizzabile tramite la concorrenza”.

(42) La preclusione è venuta meno in conseguenza della legge di stabilità, di seguito richiamata in questo paragrafo. Come si avrà modo di osservare nel par. 5 quest’esigenza è stata però riconsiderata dal commissario Cottarelli.

(43) La stessa cui ci siamo riferiti all’inizio del par. 3.

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poiché non vi sono altre possibilità per gli enti di operare nei confronti della comunità amministrata se non producendo servizi; va poi annotato che molto spesso queste società generano perdite;

la disapplicazione della normativa (e l’abitudine a non motivare) non solamente ha portato a mantenere società certamente “non necessarie”, o in contrasto con la normativa stessa, ma anche a considerare in house gestioni che non possono definirsi tali (anzi, molto spesso a non praticare alcuna forma di controllo);

più in generale la menzionata disapplicazione ha portato a prestare una scarsa attenzione a tutta la disciplina cui si fa riferimento, conseguendone, a titolo esemplificativo, che gli enti continuano, talora, a finanziare le loro società in contrasto con l’art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010, o che disattendono, assai spesso, quanto previsto dall’art. 18 d.l. n. 112/2008 in tema di assunzioni del personale e di conferimento degli incarichi;

in questo quadro assume un significato negativo, nella direzione di eludere la normativa, o di rendere più difficilmente tracciabili i comportamenti seguiti, l’abitudine, che si va diffondendo, che contrasta con norme specifiche e con il complessivo contenuto del nuovo sistema dei controlli interni, di costruire un sistema di partecipazioni a cascata e/o di costituire una società holding per detenere tutte o gran parte delle proprie par-tecipazioni.

Si deve peraltro osservare che relativamente ai temi che sono qui indicati si va delineando una nuova sen-sibilità, nella direzione di rendere “effettivo” il quadro normativo. Così il decreto del Tribunale di Rimini 13 maggio 2013, relatore Maria Antonietta Ricci (proc. n. 22/2012), ha dichiarato “inammissibile la proposta di concordato”, fra le altre, anche per la seguente ragione. Si può, infatti, leggere nelle motivazioni che il tribu-nale, premesso che “si valuta altresì la compatibilità dei finanziamenti previsti dal piano (di cui all’art. 161, c. 2, lett. e, legge finanziaria), sotto forma di versamenti in conto capitale, e delle relative delibere autorizzative adottate dai singoli enti pubblici, rispetto a quanto previsto dall’art. 6, c. 19, d.l. n. 78/2010, convertito dalla l. n. 122/2010”, conclude poi con l’affermare che “L’operatività del divieto sancito dalla norma citata inficia pertanto la legittimità del piano, rendendolo carente anche sotto tale profilo attinente del pari alla fattibilità giuridica” (44).

Di seguito ci si sofferma su alcuni recenti e rilevanti aspetti dell’evoluzione del quadro normativo.A) Si è disattesa la normativa, preferendosi lo status quo, così affermandosi l’esigenza di una spending review.Rimane un’osservazione di fondo, circa la quale, si può pensare, cresce la consapevolezza dei diversi ope-

ratori, compresi i controllori esterni, compresi coloro che hanno un ruolo nel processo di rinnovamento in corso nel nostro paese. È mancata sino ad ora un’azione organica di controllo sulla gestione delle società partecipate, lasciando così negletta un’esigenza che pertanto la spending review ha cercato di affrontare.

Anche perché è mancata, fatto altrettanto grave, la consapevolezza di come la complessa e continua rivisi-tazione del quadro normativo sul tema delle partecipate abbia espresso orientamenti di fondo profondamente innovativi, che non si sono voluti seguire. In altre parole le società partecipate hanno giustificazione oggi, cioè con l’attuale normativa, ci si riferisce a quella italiana e a quella che è desumibile dal quadro europeo, sola-mente se si verificano certe condizioni. Ma le norme non sono state applicate e questo orientamento, generaliz-zato, è stato, sino ad ora, accettato dal sistema, in tutte le sue componenti, nel senso che nessuno (salvo poche eccezioni) è intervenuto, volendosi evidentemente dare la preferenza al mantenimento dello status quo, che si dimostra sempre più oneroso per l’economia del nostro paese.

Lo status quo, lo vogliamo ricordare, si caratterizza per i seguenti aspetti (negativi):in tema di partecipate le norme che si susseguono possono tranquillamente non trovare applicazione (45),

in questo gli operatori sarebbero “giustificati” dall’assenza di specifici interventi sanzionatori e dal fatto che,

(44) Questo provvedimento recepisce quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite della Cassazione del 23 gennaio 2013, n. 1521, in Foro it, 2013, I, 1534, con nota di G. Costantino, M. Fabiani, che ha enunciato il seguente principio di diritto “Il giudi-ce ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato … da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento … finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore”, affer-mando altresì che “la fattibilità si traduce in una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospetta-ti, il che implica una ulteriore distinzione, nell’ambito del generale concetto di fattibilità, fra la fattibilità giuridica e quella econo-mica”. Sulla fattibilità del concordato preventivo in conformità al principio di diritto enunciato dalla Cassazione, cfr. G. Farneti, La fattibilità del concordato in continuità nella prospettiva dell’aziendalista, in Il Fallimento, 2013, 8.

(45) L. Lanzillotta, in Il Sole-24 Ore del 6 luglio 2014 scrive, significativamente, della “mancata applicazione delle leggi cui nessun governo ha inteso reagire”.

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spesso, le norme cambiano, o sono eliminate, rendendo sempre più complesso il quadro normativo di riferi-mento;

gli enti e le persone che operano negli enti, trovano così la possibilità di realizzare non gli interessi pubblici posti in capo ai propri cittadini, ma quelli del partito, della corrente, delle singole persone;

il quadro normativo continua ad essere interpretato secondo una vecchia logica giuridica, che guarda alla forma e non alla sostanza (ignorando l’evoluzione normativa che si è prodotta da ben oltre un ventennio): così, ci si accontenta, di fatto, di motivazioni che non sono tali, ma che sono suffragate da specifici atti deliberativi; così, i fenomeni elusivi sono ammessi, da tutti osservati e commentati, ma non ostacolati, salvo che una norma specifica ne indichi precise tipologie; così, i criteri di efficienza e di efficacia continuano ad essere negletti sino a che non trovano una specifica disciplina che li rende o renderà operanti, come quella relativa ai costi standard. In tal modo si è dimenticato ciò che già la giurisprudenza ha pur messo in evidenza, come ad esempio l’obbligo per tutte le partecipate di assicurare condizioni di efficienza, efficacia ed economicità, o la stessa considerazio-ne del principio del buon andamento visto come nuovo confine della legalità;

il legislatore, per limitare le patologie, ha pertanto dovuto legiferare con norme sempre più di dettaglio, talora ricordando norme precedenti mai applicate (ad esempio in tema di programmazione delle partecipate e di definizione degli obiettivi al riguardo elaborati), o soffermandosi sulle individuate patologie (quelle stesse patologie che applicando il quadro normativo non avrebbero dovuto verificarsi), come si verifica con il produr-si di perdite che si protraggono nel tempo.

L’esigenza di una spending review nasce, pertanto, dal perdurare dello status quo cui ci siamo riferiti.B) La maggiore autonomia degli enti in conseguenza della legge di stabilitàIn questa sede non si analizzano le molte e importanti modificazioni del quadro normativo che si sono

prodotte in conseguenza della l. n. 147/2013 nell’art. 1, cc. 550-569. Si vogliono evidenziare, solamente, al-cuni contenuti che servono a delineare un mutato orientamento del legislatore (ancora una volta, attraverso un intervento occasionale, disorganico) rispetto a temi che avevano espresso un costante orientamento negli ultimi anni. Ci si riferisce, sinteticamente, ai soli cc. 561, 562 e 569.

Con il primo è stato abrogato il c. 32 dell’art. 14 d.l. n. 78/2010. Si tratta delle limitazioni previste per gli enti minori, che così cessano di esistere (ponendo ovviamente nel nulla quell’enorme e meritevole lavoro che la giurisprudenza, in particolare della Corte dei conti, aveva elaborato per dare loro un significato. Sono venuti meno i problemi che ne erano a fondamento (46)? Relativamente a questa normativa era stato osservato che “L’esigenza di riduzione dei costi razionalizzando il fenomeno delle partecipazioni societarie da parte degli enti locali, unita al rischio di comportamenti sostanzialmente elusivi degli obblighi e vincoli previsti dai sopra commentati cc. 27 ss. dell’art. 3 della legge finanziaria 2008, già adottati dagli enti locali destinatari di dette disposizioni e riscontrati anche dalle sezioni regionali della Corte dei conti, ha indotto il legislatore a ritenere che un ridimensionamento effettivo del fenomeno possa essere ottenuto dai comuni solo se imposto ope le-gis (47)”. Dunque, si era detto, gli enti tendono ad adottare comportamenti contrari all’ordinamento: togliamo loro ogni possibilità al riguardo! La norma era forse eccessivamente drastica, poiché non tutte (ma certamente la maggioranza) le società partecipate erano prive di giustificazione. L’abrogazione della norma responsabiliz-za in conseguenza gli enti e rende sempre più importante la funzione di controllo, anche negli aspetti repressivi che si vanno a delineare. Gli enti si riappropriano della loro autonomia decisionale, ma la devono esercitare attraverso comportamenti che siano “eticamente e giuridicamente adeguati”, in mancanza si dovrebbero con-cretizzare le varie responsabilità, di tipo disciplinare, patrimoniale e penale.

Il comma 562 abroga diversi commi degli artt. 4 e 9 d.l. n. 95/2012, il cui significato è quello di eliminare le limitazioni ivi previste per le società strumentali, sia per le prestazioni di servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, sia per l’esercizio delle funzioni fondamentali e delle funzioni amministrative. Si ripropone pertanto, in termini di una riacquistata autonomia decisionale degli enti e della connessa necessita di adottare comportamenti “eticamente e giuridicamente adeguati”, nonché dell’emergere delle conseguenti responsabili-tà, lo schema concettuale appena esposto relativamente all’abrogazione del comma precedente.

Il comma 569 ha statuito che “Il termine di trentasei mesi fissato dal c. 29 dell’art. 3 l. 24 dicembre 2007,

(46) Certamente no, alla luce anche delle considerazioni del commissario Cottarelli, cfr. il paragrafo successivo.(47) Cfr. Sez. autonomie, 30 giugno 2010, n. 14, cit., par. 1.7.

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n. 244, è prorogato di quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, decorsi i quali la par-tecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa a ogni effetto”. Dunque tale termine, già scaduto dal primo di gennaio del 2011, è stato prorogato di quattro mesi, per consentire agli enti di cedere a terzi le partecipazioni che non potevano detenere, in quanto non “strettamente necessarie”. Disposizione che doveva pertanto applicarsi in collegamento con quelle che successivamente si sono stratificate nel tempo dopo il 2007 e che saranno richiamate attraverso la considerazione di quell’articolato processo decisionale che di seguito verrà esposto e per il quale abbiamo individuato otto momenti di riflessione (cfr. par. 6). Naturalmente, s’imponeva (esigenza ancora presente) un’analisi ricognitiva di tutte le partecipazioni che, ai sensi di questa norma e di quelle successivamente emanate, fosse in grado di “spiegare” il ricorso alle società partecipate, con un’approfondita riflessione, fondata sia nell’etica sia nel quadro ordinamentale italiano ed europeo.

C) La riforma dei controlli interni e di quelli esterni attribuiti alla Corte: una svolta epocale, ma sarà effettiva?

I controlli interni sono stati riscritti. A quelli tradizionali se ne sono aggiunti altri tre, sugli equilibri finan-ziari, sulla qualità e sulle partecipate. Per quelli preesistenti il contenuto è ora maggiormente dettagliato e per tutti sono stati inseriti elementi di procedura.

Ci sembra proponibile un’osservazione, ricca di conseguenze, per gli operatori e per i controllori esterni: il sistema dei controlli interni non è mai stato oggetto di attenzione, da qui l’origine, si deve ritenere, di tutti i limiti di una pubblica amministrazione che non ha saputo evolversi, che non ha saputo realizzare una gestione fondata sui processi, fra loro articolati, di programmazione-gestione-rendicontazione, definendo ruoli e re-sponsabilità ed adottando i conseguenti e coerenti comportamenti. Dunque, a fronte di questo fallimento, quei controlli sono stati intensificati, introducendo anche dettagli che già potevano essere considerati come parte del sistema.

Ci chiediamo: saranno resi operanti? Vogliamo essere fiduciosi, alla luce dei primi riscontri da parte della Corte dei conti (48).

(48) I regolamenti sui controlli interni e la connessa deliberazione della Sezione di controllo del Lazio offrono al riguardo spunti interessanti di riflessione. I regolamenti sul tema dovevano, infatti, essere integrati e, riteniamo, dovranno esserlo, conside-rato che al momento presentano contenuti di tipo nominalistico, molto formale. La loro importanza è, invece, evidente, poiché si pongono a fondamento dei comportamenti ora richiesti e delle conseguenti responsabilità. La Corte del Lazio, con la delib. n. 25/2013, ha focalizzato, sul punto, aspetti di grande rilievo, nel complesso tutti nella direzione dell’effettività (la grande assente, sino ad oggi) dei controlli.

Ci soffermiamo sugli aspetti salienti, brevemente commentati.L’esigenza di effettività dei controlli della Corte, per cui la comunicazione alla Corte delle norme regolamentari non costitui-

sce un adempimento formale, al contrario, esse vanno analizzate nel merito per comprenderne la funzionalità rispetto alle esigen-ze di controllo cui la Corte è tenuta; allo scopo, con la deliberazione sui regolamenti, opportunamente, si deve chiarire “la preven-tiva ricostruzione interpretativa” sul novellato sistema dei controlli interni.

Le diverse tipologie di controllo sono fra loro collegate (in termini sistemici, direbbe un aziendalista) e non sono una novità poiché esprimono solamente un’evoluzione dell’ordinamento. Il punto è di straordinaria rilevanza, in effetti tutti i nuovi controlli erano già contenuti nel sistema precedente; a fronte della loro inosservanza il legislatore li ha meglio puntualizzati e ha, soprattut-to, statuito anche nuovi modi di essere dei controlli esterni, secondo procedure normativamente disciplinate e dunque più vinco-lanti.

La disciplina dei controlli interni può essere contenuta in uno specifico nuovo regolamento, o sostanziarsi nella rivisitazione di regolamenti già esistenti, o essere contenuta in regolamenti più ampi (M. Bellesia, Lo schema di regolamento di contabilità e dei controlli interni ex d.l. n. 174/2012, in Azienditalia, 1, 2013, inserto, ne proponeva la formulazione nell’ambito di un unico re-golamento). Importante è il loro contenuto, non la forma.

Il regolamento va riferito a tutte le tipologie di controllo interno, tutte si presentano come “convergenti nella direzione di as-sicurare la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione [amministrativa]”; esse, in altre parole, definiscono i nuovi confini della legalità e dunque il modo di essere del “buon andamento”.

I tre nuovi controlli (sugli equilibri finanziari, sugli organismi esterni, sulla qualità dei servizi) esprimono “modalità aggiunti-ve”, o ”un ampliamento oggettivo di tipi di controlli già noti”, conseguendone che la funzionalità del sistema dei controlli interni si collega agli accorgimenti che gli enti adotteranno in materia regolamentare e alla disciplina dei tempi e dei modi di revisione del sistema; ancora, dunque, l’attenzione è posta sull’effettività del sistema dei controlli, sulla sua capacità, attraverso la disciplina re-golamentare, di sapere tradurre in indicazioni concrete, capaci di evolversi e di adattarsi nel tempo all’esigenze gestionali, la nuo-va disciplina normativa.

L’analisi dei soggetti che partecipano al sistema dei controlli interni, pone in luce “una concezione del controllo come funzio-

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Consideriamo i nuovi controlli sulle partecipate, in alcuni aspetti. In essi si valorizza l’applicazione, ed è si-gnificativo, in linea con quanto osservato, dell’art. 170, c. 6, Tuel, relativamente alla definizione degli obiettivi gestionali. L’inottemperanza degli enti sul punto era a tutti evidente, ma mai contrastata. Il fatto è che i docu-menti del sistema del bilancio degli enti sono spesso nominalistici, elencativi, e non hanno il contenuto proprio degli strumenti gestionali quali in realtà dovrebbero essere (49). Si aggiunge che l’ente, ciò premesso, effettua un monitoraggio, definisce parametri, considera i rapporti finanziari fra ente e società partecipata, valuta la sua gestione e la sua organizzazione, considera i contratti di servizi e la qualità dei servizi e, anche, “il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica”.

ne diffusa”, con responsabilità ben individuate nella struttura organizzativa, la qualcosa postula una “reingegnerizzazione” dei pro-cedimenti; di nuovo è rilevante la visione sistemica sottostante, l’effettività dei controlli, il loro essere presidio, attraverso i pro-cessi amministrativi richiamati di volta in volta, di una buona amministrazione: il superamento dunque della cultura burocratica e di quella, connessa, dell’adempimento. Questa capacità dei controlli di assicura lo svolgimento sul tema dell’attività ora discipli-nate dal Tuel, sarà dunque oggetto di analisi da pare della Corte in un quadro di piena responsabilizzazione dei diversi attori, co-me è proprio della cultura manageriale, quella dei risultati.

Nel quadro delineato si afferma che “il regolamento non può limitarsi a replicare le disposizioni contenute nella normativa pri-maria. Nel caso in cui ciò avvenisse, si chiarisce, la sezione potrà esprimersi negativamente sul corretto esercizio della potestà re-golamentare intestata ai comuni in materia, con un giudizio di sostanziale inutilità del regolamento adottato”: perfetto! Sulla capa-cità della Corte di esprimere questo tipo di giudizi, si giocherà, in buona misura, l’efficacia della normativa. Vorrei aggiungere che, a mio avviso, la Corte dovrebbe, e non solamente potrebbe, esprimersi negativamente; ancora la Corte dovrebbe indicare i conte-nuti del regolamento da modificare/integrare e le relative ragioni, accertando poi che l’ente vi provveda: in mancanza i controlli specifici (da parte della Corte) non potranno che essere più stringenti, essendovi la fondata consapevolezza che il sistema dei con-trolli interni, in quegli enti, è di fatto inoperante.

Per tutte le tipologie di controllo la Corte indica, come necessaria, “una procedimentalizzazione, anche minima, dei nuovi compiti al fine di garantire effettività al controllo ed evitare una generale presunzione di responsabilità”. Questa è la nuova fron-tiera del/dei regolamento/i sulla materia dei controlli interni, che l’autonomia regolamentare degli enti dovrà costruire rifuggendo dagli standards dei modelli proposti e dalle abitudini consolidate, che vanno appunto nella direzione di avvalersi di quei modelli precostituiti.

Sul tema del controllo preventivo di regolarità tecnica, si prevede, relativamente agli atti d’impegno, la motivazione delle scel-te effettuate, con una valutazione di conformità alle norme giuridiche e il mantenimento, in senso dinamico, degli equilibri di bi-lancio, oltre a una giustificazione della scelta rispetto alle altre possibili (si è consapevoli, infatti, che il manager, decidendo, deve scegliere fra alternative, motivatamente). Tale comportamento, da realizzarsi nei termini richiesti, si osserva, si colloca all’interno dei principi generali dell’ordinamento, nella direzione di affermare la legittimità dell’azione amministrativa, “quale quello della razionale e adeguata motivazione dell’atto”. Dunque servono allo scopo specifiche procedure, anche per evitare responsabilità dif-fuse. Siamo sideralmente lontani dalle attestazioni poste con timbro! In queste valutazioni della Corte vi è ancora l’affermazione dell’esigenza di effettività dei controlli. Veramente, se tutto ciò sarà oggetto di analisi da parte della Corte, allora il cambiamento culturale, in marcia dal 1990, sarà approdato a un primo soddisfacente risultato.

Circa il controllo preventivo di regolarità contabile si afferma l’esigenza di tipizzare, con le norme regolamentari, le delibera-zioni che comportano riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente. Non si può non convenire. Ma la soluzione non potrà essere minimalistica, tale da togliere forza alla norma, che comunque si esprime in tale dire-zione e va pertanto osservata. Solamente un esempio, la perdita in una società partecipata, anche quando non comporta la previ-sione di un impegno, produce effetti che questa disposizione impone di considerare nell’ambito dell’apposito parere.

Relativamente al controllo degli organismi gestionali e a quello sulle società partecipate, si dice che la norma richiede, a mon-te, un’effettiva attività di programmazione (a conferma delle nostre precedenti considerazioni); dunque non formale, che colleghi pertanto la loro operatività (delle società partecipate) alle decisioni che sono state prese, così come inserite nell’attività di program-mazione e, pertanto, alle motivate scelte gestionali e agli specifici obiettivi che le contraddistinguono. In mancanza, non potrà esprimersi alcuna effettiva attività di controllo, come oggi, infatti, si verifica assai spesso. Vogliamo ancora rimarcare che il riferi-mento che la norma ora impone all’art. 170, c. 6, è significativo ed è anche sintomatico di quella sostanziale mancanza di program-mazione che oggi contraddistingue l’attività amministrativa degli enti. Perché, sul punto, a fronte di comportamenti omissivi che vedono disattendere l’applicazione di quella norma, il legislatore ne impone esplicitamente l’applicazione. Ma, prima, perché nes-sun controllore, né interno, né esterno, se ne era accorto? Vi è comunque, in questa disposizione normativa e nella sottolineatura della deliberazione della Corte, la consapevolezza che la programmazione è il luogo di decisioni razionali, che l’insieme dei pro-grammi fornisce una guida operativa alla gestione, che da essa derivano le responsabilità specifiche e che dunque essa deve ren-dersi operante, effettiva, proprio per assicurare il formarsi di un quadro di legalità.

(49) Senza trascurare che, spesso, oltre a non informare per le loro omissioni, informano in modo errato. Basti riflettere sul fat-to che i rendiconti non consentono di conoscere la spesa dei servizi come previsti nei relativi documenti contabili, talché, come è noto, per arrivare a conoscere i costi standard si sono messi da parte i documenti contabili e tranquillamente, nella consapevolez-za che bilanci e rendiconti non informano, ci si è affidati a degli specifici questionari.

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Serviva una norma per rammentare che una norma già esistente deve trovare applicazione? Ancora, i det-tagli inseriti non erano già parte del sistema? Per quanto il legislatore possa sforzarsi è impossibile dettagliare tutto ciò che il controllo manageriale (che costituisce il modello seguito dal legislatore) comporta. Stabiliti i principi, i comportamenti dovrebbero essere coerenti. Il problema vero è sempre quello di applicare un quadro normativo che è sì cambiato, ma che gli operatori non vogliono modificare.

5. Le indicazioni del commissario Cottarelli relative alle società partecipate e la necessità di ridurne drasti-camente il perimetro

Nei primi giorni di agosto, in adempimento di quanto previsto dall’art. 23 d.l. n. 66/2012, il commissario Cottarelli ha presentato il suo “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali”.

Le sue indicazioni per una spending review, si muovono in parte nella direzione di sottolinearne patologie che conseguono da una scarsa rispondenza dei comportamenti al quadro normativo, individuando specifiche proposte; in parte si sostanziano, invece, in nuove proposte d’intervento (50). Il riferimento è al data base del Mef, che ha dei limiti, riconosciuti, nel senso che non è completo (51).

Appartengono alla prima serie quelle proposte che in sostanza ripropongono norme esistenti, ma disap-plicate o che comunque ne richiamano, opportunamente, l’esistenza. In particolare ci si riferisce al fenomeno sempre più evidente delle società in perdita o in default (che norme specifiche richiamano e che, aggiungiamo, in una logica di equilibrio economico, non dovrebbero verificarsi e che comunque dovrebbero sempre essere approfondite nell’ambito delle motivazioni che giustificano le nuove partecipazioni o il loro mantenimento); all’inosservanza dell’obbligo di motivazione di cui si è detto, che ha alterato il perimetro delle partecipazioni, in particolare all’inosservanza dell’art. 3, c. 27, l. n. 244/2007, con specifico riferimento alle società strumenta-li (52); all’inosservanza altresì del divieto di detenere partecipazioni indirette da parte delle società strumentali, divieto che si vorrebbe rafforzare ed estendere alle società che gestiscono servizi pubblici locali non a rilevanza economica; all’affidamento dei servizi su aree territoriali ampie, in applicazione della l. n. 138/2011, relativa agli Ato, non sempre puntualmente applicata; o in tema di trasparenza (per gli inadempimenti delle ammini-strazioni).

Appartengono alla seconda serie, le nuove proposte, quelle in tema di limitazione delle società partecipate per gli enti minori e per le società in house (si tratta, però, di un dejà vu, anche se è certamente interessante la prospettiva di disincentivarle attraverso la verifica circa la realizzazione del controllo analogo, che dovrebbe sempre praticarsi (ma che, di fatto, non lo è); le previste modifiche al patto di stabilità interno per incentivare la loro dismissione; gli incentivi regolamentari e finanziari per agevolare i processi aggregativi; le norme in tema di personale atte a risolvere alcune problematiche ostative alla realizzazione sia delle dismissioni sia dei processi di aggregazione; la dismissione delle partecipate minori; l’utilizzo dei costi standard nella valutazione

(50) L’ottimo lavoro, come emerge dal “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali” del 7 agosto 2014, ha i limi-ti che conseguono dai contenuti del mandato, espresso dall’art. 23 d.l. n. 66/2012. Anzi, non va sottovalutato il merito di avere mes-so in luce quelle aree di disapplicazione della normativa che costituiscono l’aspetto più evidente di tutte le problematiche che gra-vano sul sistema delle partecipate e sulle conseguenti patologie che si manifestano. Problematiche che si vogliono risolvere, in par-te, dando uno specifico contributo affinché quelle norme siano applicate.

(51) Si deve però osservare che, a parte la considerazione (inspiegabile, se non nella logica di tollerare la continuazione dello status quo, relativa alla talora scarsa collaborazione degli enti) circa l’incompletezza, comunque sottolineata, del data base utiliz-zato (“non tutte le amministrazioni locali forniscono le informazioni richieste”), sarebbe stato opportuno guardarsi attorno e, al-meno in termini di controllo, utilizzare altri data base per analizzare i fenomeni osservati, come quello, assai noto e accreditato, di Aida Pa (anche per non fermarsi, come invece accade, “a un certo livello di partecipazione”). Va poi ulteriormente osservato che il riferimento, nelle tabelle esaminate, ai servizi pubblici locali con o senza rilevanza economica e a quelli strumentali, non è sem-pre chiaro, e questo è certamente un limite.

(52) Molto opportunamente si ricorda che il perimetro delle società partecipate dovrebbe risultare dalla risposta a due fonda-mentali domande: se l’attività potrebbe essere svolta dal privato, cioè con forme di concorrenza nel mercato e se l’attività potreb-be essere svolta direttamente dall’ente, senza ricorrere ad una partecipata. Dimentica peraltro la domanda circa la concorrenza per il mercato, che postula un’ipotesi intermedia rispetto alle due precedenti, in tutti quei casi nei quali una concorrenza nel mercato non è possibile, ma le caratteristiche dell’attività possono rendere conveniente non una gestione diretta (in particolare per i servi-zi pubblici locali a rilevanza economica), ma una gestione affidata tramite gara e dunque con una concorrenza per il mercato. L’al-ternativa alla concorrenza nel mercato o per il mercato è nella gestione in house che non pone problemi sotto il profilo della tute-la della concorrenza e della libertà di mercato e che è coerente con il quadro europeo, ma anch’essa va motivata quando non sia ri-ferita ai tradizionali servizi a rete.

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ad esempio dei contratti di servizio e, tramite essi, dell’economicità della gestione; la previsione di sanzioni in presenza di perdite ripetute (che però, si è osservato, dovrebbero essere impedite a monte, in applicazione del criterio di economicità); l’affidare alle Aeeg anche le competenze per i rifiuti, “in particolare per vigilare sull’omogeneità dei criteri di fissazione delle tariffe e sulla loro congruità con i costi nonché sul rispetto di standard di qualità e di servizio”.

Una proposta interessante è quella che ipotizza il divieto di partecipare a società in cui il pubblico, nel suo complesso, non raggiunga almeno una quota del 10 per cento. È interessante perché dimostra, anche in questa autorevole sede, come non ci si renda conto (tale è la forza dell’esistente!) che in tutte le previsioni norma-tive, a giustificazione di una società partecipata (nello specifico, salvo diverse norme derogatorie a carattere eccezionale, per tutte le società che producono servizi pubblici locali, con o senza rilevanza economica, o che producono servizi strumentali), si precisa che la stessa deve essere totalmente pubblica e gestita come società in house, dunque con il controllo analogo.

Non esistono altre ipotesi. Tutte le altre società dovrebbero pertanto essere dismesse. Forse con l’eccezione delle società quotate nei mercati regolamentati, per le quali gli enti potranno dismettere le loro partecipazioni nel tempo, tenendo però presente che i patti di sindacato che ne impediscono l’alienazione sono nulli, poiché contrastanti con norme imperative, che sono quelle alle quali facciamo riferimento e che vedono tali partecipa-zioni, oggi puramente finanziarie, come conseguenza di una “storia” che inizia dalle vecchie municipalizzate, una storia che richiede del tempo per concludersi.

S’impone, pertanto, l’esigenza di fare riferimento a un quadro di fondo, che indichi la correttezza, la legali-tà, dei comportamenti: quadro al quale, è presumibile, i controlli della Corte si orienteranno e, si può pensare, anche quelli della magistratura ordinaria (53).

Il programma di Cottarelli è di particolare interesse nelle conclusioni, dove richiama le inadempienze delle norme sulle partecipate e la necessità di meccanismi credibili di controllo, effettuati con il metodo del campio-ne. Il nostro auspicio è che la Corte dei conti, che ha dimostrato di possedere tutte le necessarie competenze, se ne faccia carico, senza ulteriori interventi centralistici del Mef o di altre autorità.

Il commissario Cottarelli si sofferma poi sulle sanzioni che andrebbero previste appositamente. Chi scrive è dell’opinione che le conseguenze già previste possono in ogni caso essere applicate, atteso che i “danni” sono sotto gli occhi di tutti (e sono alla base di questi ulteriori interventi normativi), che dunque non rimane che quantificarli e individuare quali sono i soggetti responsabili. È evidente, volendo esemplificare, come il default di una società e la conseguente perdita dei crediti degli enti proprietari, o come il mantenimento di una società che andava dimessa e/o della quale si è volutamente manipolata la giustificazione (rispetto ai profili gestionali e rispetto al quadro europeo), abbiano provocato danni facilmente rinvenibili nelle maggiori risorse utilizzate e/o nei servizi prodotti, meno efficienti e meno efficaci; senza soffermarci, poi, sulla manipolazione della co-municazione e sugli interessi di parte perseguiti (54), aspetti che aprono un capitolo specifico.

Le misure indicate nel “Programma” del commissario, si propongono di ridurre la “giungla” (questa è la parola utilizzata) delle partecipate, da 8.000 a 1.000.

Cottarelli “salva” le partecipate che operano nel campo dei servizi a rete (che erano storicamente delle vecchie municipalizzate), pur prevedendone una razionale governance territoriale. Ma boccia (o pone rigidi paletti) a tutte le altre, in particolare: quelle in perdita prolungata, o di dimensioni ridotte, o che fanno capo a comuni minori; quelle che sviluppano attività a mercato e pertanto estranee alle finalità dell’ente; quelle che si occupano di servizi strumentali; le partecipazioni indirette. Il tutto da farsi entro tre anni attraverso specifiche misure, talora richiamando normative già esistenti e prevedendo poi un nuovo sistema sanzionatorio. Le pro-poste hanno avuto un notevole riscontro nella stampa.

(53) Con riferimento alle frequenti situazioni nelle quali la non rispondenza dei comportamenti al quadro di fondo richiama-to, si realizza attraverso un’informazione volutamente omessa e dunque non veridica, per assecondare gli interessi delle parti e non il bene comune; cfr., per una significativa (per i suoi contenuti e perché datata) anticipazione, G. Farneti, Il reato di falso alla lu-ce dei principi contabili, in Azienditalia, 1, 2005, dove si presentano i risultati di una ricerca sull’argomento.

(54) Chi si è mai soffermato sul fenomeno diffusissimo delle gare per consulenze scritte per favorire qualcuno? Eppure la co-sa è nota a tutti. A monte vi è la più completa non considerazione del merito e del bene comune: e questo è il motivo per il quale, generalmente, le partecipazioni non sono motivate nelle ragioni che invece dovrebbero giustificarle, realizzando così un processo decisionale non tracciabile: esattamente il contrario di quanto prevede la norma; si richiama al riguardo il par. 2.3.

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Nessun commento si è però soffermato sulla parte dell’analisi che riguarda l’utilizzo distorto dello strumento societario, che costituisce, ne siamo convinti, la principale causa della patologia descritta dal commissario, in tutte le sue principali manifestazioni. Il sistema Italia è, infatti, appesantito, osserva il commissario, dall’inefficienza e dalla scarsa efficacia di molte società partecipate, un vero sperpero del denaro pubblico, sotto diversi profili.

Il primo è quello dell’assenza, spesso, di qualsiasi motivazione a giustificazione della loro esistenza, giusti-ficazione che dovrebbe tradursi in una analisi approfondita della sua convenienza e della sua legalità, rispetto sia al quadro normativo italiano, sia a quello europeo. La mancanza di un’effettiva motivazione (nell’ambito di un processo decisionale che sia riproducibile) è di una gravità estrema, alla luce, anche, della circostanza che la normativa italiana, non solo richiede la motivazione degli atti, ma, più in dettaglio, la riproducibilità del processo decisionale (prevista nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici), dunque una motivazione che sia effettiva, esauriente, in grado di spiegare le ragioni delle decisioni prese, nel costituire una società prima e nel conservarla poi.

Il secondo riguarda le vere motivazioni, naturalmente non scritte, che spesso vedono lo strumento societario appositamente utilizzato per eludere vincoli altrimenti inderogabili, come il patto di stabilità, o quelli relativi all’indebitamento, al personale, ai contratti.

Il terzo riguarda i costi della politica, nell’indirizzare le attività a soddisfare gli interessi delle parti (partiti, gruppi, persone) e non il bene comune; anche attraverso nomine che il più delle volte non premiano il merito, ma sono invece funzionali al soddisfacimento degli interessi, appunto, di parte.

Che sia così è indubitabile, è cosa risaputa, ma che Cottarelli ce lo ricordi collegando tutte queste osserva-zioni all’esistenza della giungla che ora si propone di sfoltire, è molto importante. Perché? Perché in attesa dei provvedimenti specifici s’impone per gli enti l’esigenza, alla luce di queste considerazioni, di ripensare al loro “perimetro delle partecipate”.

Il perimetro delle partecipate è pertanto da sfoltire, non solo perché lo prevede Cottarelli e le misure che saranno prese, ma perché si tratta di ricostruire quel quadro di legalità, che oggi non esiste e che, presumibil-mente, porterà a fare emergere specifiche responsabilità, al momento ancora poco considerate (da parte della magistratura contabile e di quella ordinaria). Oggi s’impone un’esigenza, quella di verificare la legalità (letta secondo l’art. 97 della Costituzione e la giurisprudenza connessa, in particolare della Corte dei conti) delle proprie partecipazioni. Allo scopo va segnalato che non sono legali e che, prossimamente, saranno oggetto dell’ulteriore attenzione che conseguirà dall’attuazione del programma del commissario Cottarelli, tutte le società (si riportano al riguardo i principali riferimenti normativi):

- che sviluppano attività commerciali, per il mercato (art. 112 Tuel; art. 3, c. 27, l. n. 244/2007; quadro europeo);

- che, salvo eccezioni normative, non sono totalmente pubbliche e in house (art. 13 d.l. n. 223/2006; art. 113-bis Tuel in assenza di normativa regionale; art. 34, c. 20, d.l. n. 179/2012; quadro europeo);

- che sviluppano attività strumentali (o, si potrebbe forse ritenere, servizi pubblici locali privi di rilevanza economica) e per le quali non se ne sia dimostrata la stretta necessità (l. n. 244/2007, cit.; quadro europeo);

- che producono servizi pubblici locali a rilevanza economica, in particolare per quelli non a rete, e per i quali si sia proceduto ad un affidamento diretto senza che si sia dimostrata la difficoltà di una concorrenza nel mercato e per il mercato e dunque la conformità con il quadro europeo (d.l. n. 179/2012, cit.; quadro europeo).

Oltre a quanto potrà emergere in conseguenza della necessaria riconsiderazione delle ragioni dell’esistenza di ogni partecipata e della sua gestione, che deve essere sempre in pareggio economico.

6. Ridurre le partecipate da 8.000 a 1.000, riscoprendo condizioni di legalità: le otto riflessioni che si rendono necessarie

Nell’ambito dell’analisi del commissario Cottarelli effettuata con riferimento alle società partecipate dagli enti locali, è dunque emerso come il perimetro delle stesse sia da sfoltire. Non solamente per i provvedimenti che si preannunciano, ma soprattutto, secondo la nostra opinione, per ricostruire quel quadro di legalità che oggi molto spesso non esiste.

Per l’art. 112 Tuel “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a pro-muovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”.

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Si afferma pertanto che i servizi pubblici locali sviluppati dagli enti locali devono essere in stretta relazione con le loro competenze. Le partecipate sono uno strumento, secondo l’insegnamento della Corte dei conti, per realizzare i suddetti servizi, nel pieno rispetto dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità.

Per la normativa le partecipate possono quindi esistere solamente se riferite alla produzione di servizi pub-blici locali, o se riferite a servizi strumentali, quelli connessi a una produzione destinata all’ente medesimo.

Con riferimento ai suddetti servizi (sia pubblici, sia strumentali), vediamo come sia possibile verificare se l’utilizzo della strumento della società partecipata è conforme o meno alla normativa; secondo un percorso che sia sempre motivato e tracciabile, in mancanza del quale verrebbe meno il necessario quadro di legalità. Il percorso qui suggerito si articola in otto riflessioni principali (55):

1. La prima riflessione, consiste nel verificare preliminarmente se l’attività posta a capo della società, o che si vorrebbe porre a capo della società, consiste nella produzione di un servizio pubblico locale o di un servizio strumentale. In mancanza lo strumento societario non può essere utilizzato; la circostanza è al contrario molto frequente;

2. se il servizio è strumentale e la scelta cade sulla società partecipata cui affidarlo direttamente, questa dovrà realizzarsi nella forma in house e dovrà pertanto fare riferimento a società totalmente pubbliche;

3. va verificato se il Spl è o meno a rilevanza economica. Se non lo è le forme di gestione possono essere molto variegate. Ove non intervenga una disciplina regionale e la scelta ricada sulla società partecipata cui affidare direttamente il servizio, questa dovrà realizzarsi nella forma in house e dovrà così, nuovamente, fare riferimento solamente a società totalmente pubbliche;

4. va verificato se il servizio pubblico locale a rilevanza economica è assicurato o no dal mercato, poiché non potranno essere assunte dall’ente le attività a mercato. In mancanza ne consegue l’illiceità delle relative partecipazioni; se l’ente, invece, si vuole fare comunque carico del servizio pubblico locale a rilevanza econo-mica, dovrà, in assenza di condizioni di monopolio, deliberare la privativa pubblica e precisare gli obblighi del servizio pubblico, nel rispetto del quadro europeo.

5. successivamente l’ente dovrà mettere a gara il servizio pubblico locale a rilevanza economica, curando nel contempo il contratto di servizio e poi attivando i relativi controlli. La gara potrà anche avvenire con le modalità del doppio oggetto, così realizzandosi forme di partenariato pubblico-privato, in piena sintonia con la previsione del quadro europeo;

6. in alternativa alla gara potrà sempre essere predisposto l’affidamento diretto, ma solamente nella forma in house, dunque nuovamente nei confronti di una società totalmente pubblica, quando il mercato non è in grado di assicurare la conveniente gestione del servizio, ma solamente sulla base di un’apposita analisi che lo dimostri e che sia tracciabile. In mancanza la partecipazione si qualificherebbe come illegale;

7. la gara, o l’affidamento diretto, dovrà comunque precisare i richiamati obblighi di servizio pubblico e di servizio universale, chiarendo le eventuali compensazioni. Ne consegue che le partecipate non potranno essere in perdita se non per fatti del tutto eccezionali che si siano prodotti successivamente all’assestamento di bilancio;

8. l’ottava riflessione consiste in un’attenzione che va sviluppata in ogni momento del processo decisionale. Poiché è necessario salvaguardare, sempre, la dimostrazione della convenienza della decisione presa, sotto il profilo della realizzazione del principio del “buon andamento”, rispetto a forme gestionali alternative.

Quest’ultima dimostrazione richiede la formulazione di un business plan per individuare i risultati della gestione futura delle partecipate e le loro ricadute sui bilanci dell’ente proprietario. L’approccio previsionale dovrà così riguardare sia l’ente sia le sue società.

Con una considerazione finale si sottolinea come le società partecipate debbano sempre essere totalmente pubbliche, con l’eccezione di cui si è detto al n. 5 e con le altre eccezioni che siano indicate dalla normativa.

(55) Queste riflessioni si preoccupano di considerare gli elementi che sempre dovranno entrare nel processo decisionale, in grado di contribuire alla legalità dell’azione amministrativa e, nel contempo, di assicurare il migliore utilizzo delle risorse, secon-do un approccio pertanto che sia anche eticamente condivisibile. Naturalmente vi sono molti altri aspetti sui quali riflettere, come ad esempio quelli relativi alle normative di settore. Si vuole però evidenziare come un approccio etico, teso alla realizzazione del bene comune, non dovrebbe ricercare nelle pieghe delle norme se vi è la possibilità di mantenere lo status quo, ma, invece, dovreb-be sempre proporsi d’individuare la soluzione più conveniente, così assicurando soluzioni che siano anche corrette sotto il profilo del puntuale rispetto della normativa (italiana ed europea).

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In sintesi, riassumendo: per verificare la legalità dell’affidamento diretto di un servizio che abbia come utilizzatore l’ente medesimo, sono unicamente necessarie le prime due riflessioni, oltre all’ottava che è tra-sversale; per l’affidamento diretto di un Spl non a Re serve anche la terza, oltre naturalmente all’ottava; per l’affidamento diretto di un Spl a Re deve essere invece sviluppato l’intero percorso.

7. La possibile evoluzione del sistema dei controlli e il ruolo della Corte dei contiSul tema sono già state espresse, di volta in volta, specifiche considerazioni: le vogliamo riprendere in una

visione più generale. In un passo significativo dell’introduzione del Presidente della Corte dei conti alla Ceri-monia celebrativa del 150° anniversario dell’istituzione della Corte dei conti, è stato efficacemente affermato che: “La storia recente della Corte è quella che il Parlamento sta scrivendo in questi giorni, con norme che accrescono il ruolo dei controlli e della giurisdizione ai fini di una maggiore coesione e produttività della spesa pubblica, in un momento di grave difficoltà economica e finanziaria, ma anche di crisi della politica come atti-vità di servizio […]. È caratteristica precipua dei controlli e della funzione della giurisdizione del resto, quella per cui la varietà e la complessità delle gestioni di pubblico denaro implicano modelli di controllo e forme di responsabilità non precostituiti o astratti ma, piuttosto, capaci di affrontare pragmaticamente situazioni nuove; situazioni che, specie se impreviste o inattese, vanno aggredite con strumenti adeguati all’urgenza di adottare, secondo l’ordine delle competenze e delle responsabilità, politiche e amministrative, le conseguenti misure correttive o repressive”.

I richiami al necessario “pragmatismo” e agli “strumenti adeguati” devono farci riflettere e devono nel tempo consentire di rispondere a una domanda che sorge spontanea, apparentemente banale.

La nostra riflessione parte da questa considerazione: se la pubblica amministrazione si sta dimostrando inadeguata e il nostro paese si trova a dovere soffrire per tale inadeguatezza, questo non significa forse che il principio del buon andamento non sempre è rispettato? E se non lo è, se cioè i comportamenti della pubblica amministrazione sono spesso all’insegna del cattivo andamento, chi li può contrastare?

La risposta viene naturale: la Corte dei conti, in continuità con la sua azione e con la capacità che sino ad ora ha mostrato di possedere di sapersi rinnovare.

Al riguardo si manifestano aree di competenza della Corte dei conti che, a nostro avviso, dovranno mostrare un’ulteriore capacità di evolversi in questa direzione.

Circa l’evoluzione dei controlli di tipo collaborativo si è già sottolineato come gli stessi stiano diventando sempre più stringenti e come si stiano indirizzando, per volontà del legislatore, a soffermarsi sempre di più sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni (anche utilizzando, come si verifica e responsabilizzandolo, l’organismo di revisione). La direzione è giusta e ricca di prospettive: i controlli interni esprimono, infatti, il “cuore” della riforma della pubblica amministrazione come si è andata affermando sul piano normativo; ma non su quello dei concreti comportamenti. Piuttosto, bisognerà affermare l’esigenza di estendere il “modello” che si dovrebbe oggi applicare agli enti locali anche alle altre amministrazioni, attraverso un completamento del quadro normativo.

Quanto alla giurisdizione, si manifesta l’esigenza di una più stretta vicinanza al controllo, affinché i rilievi espressi da quest’ultimo, nei casi, frequenti, che si sostanzino nell’individuazione di violazioni della norma, siano perseguiti dalla giurisdizione medesima.

Più in generale, nuovamente con un’ulteriore pennellata al quadro complessivo che descrive – oggi – il modo di essere della Corte dei conti, il suo Presidente, nella richiamata cerimonia, ha avuto modo di osservare, circa la giurisdizione, che “Essa ha seguito l’espandersi dell’intervento pubblico nell’economia ed ha confi-gurato sempre più l’istituto della responsabilità amministrativa, della quale la Corte conosce, come istituto di garanzia dei valori costituzionalmente tutelati (artt. 81, 97, 119 Cost., anche come di recente novellati) e da essa, in senso moderno, sempre più avvertiti. In tal modo, la responsabilità amministrativa, da singole fattispe-cie conosciute dalla Corte, veniva, anzitutto, sussunta nella più organica fattispecie della responsabilità civile, dove l’elemento del danno era evidenziato e si riempiva, col tempo, di sempre più articolati contenuti fino a configurarsi come danno finanziario inteso in senso lato. Ma, intanto, a questa fattispecie generale, dalla legi-slazione erano aggiunte altre ipotesi sanzionatorie tipizzate, sì che l’istituto della responsabilità amministrativa si presenta ora in una variegata configurazione”.

Si vuole, pertanto, fare un cenno al tema, appena autorevolmente richiamato, relativo al “danno”, in aggiun-ta alle considerazioni già sviluppate nei paragrafi precedenti: danno che consegue, automaticamente, nella no-

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stra visione, al cattivo andamento, inteso come comportamento antigiuridico, contrastante con i canoni, anche, della buona amministrazione in senso tecnico. Siamo portati a ritenere che il tema del “danno”, che nel tempo si è riempito di “sempre più articolati contenuti”, dovrà continuare ad evolversi sino a catturare organicamente le complessive conseguenze negative, per la collettività, che conseguono dal mancato rispetto dell’ordinamento.

Le esemplificazioni richiamate in questo lavoro sono state molte e, fra esse, quelle che hanno determinato un’esplosione delle partecipazioni. Più in generale, l’attenzione dovrà essere, pragmaticamente, posta sui ri-sultati e non sul mero rispetto formale delle norme (56). Anzi, il puntiglioso rispetto formale per giustificare comportamenti opportunistici costituisce un’aggravante, come si può mettere in evidenza, ad esempio, nell’e-rogazione di un’indennità di risultato fondata su meccanismi valutativi che nella realtà non sono stati studiati per “valutare”, ma solamente per rendere possibili, sul piano formale, erogazioni che si pongono all’insegna del mancato rispetto della norma.

Nella pubblica amministrazione gli interventi del legislatore sono stati molteplici e incisivi, in particolare dal 1990 e sono tutti all’insegna della piena comprensione relativamente alla natura aziendale delle organiz-zazioni pubbliche e alla necessità di fare evolvere la cultura burocratica verso quella fondata sugli obiettivi da perseguire, tale da premiare il merito e meglio individuare le responsabilità (57).

Questa complessiva “riforma” ha al momento avuto scarso successo. Si è certamente scontrata con una cultura dell’adempimento che ha ridotto a riti formali ogni processo innovativo e con la quasi assenza, concre-tamente, di quei controlli interni che avrebbero dovuto sostituire i controlli preventivi di legittimità. Va emer-gendo, al riguardo, la consapevolezza che solamente un efficace intervento della Corte dei conti può offrire agli operatori l’evidenza dell’effettività delle norme e, nel contempo, rendere operanti i controlli interni.

Sembra, a chi scrive, che il percorso che la Corte sta realizzando con tanta utilità per le amministrazioni locali, essendo loro costantemente vicina e monitorandole attraverso l’attività delle sezioni di controllo, ben possa proseguire e svilupparsi per contrastare quello che è oggi, per le ragioni esposte, il maggior problema per le stesse amministrazioni locali, sia sotto il profilo dei loro equilibri finanziari e di una sana gestione, proiettata anche nel futuro, sia per l’equilibrio della finanza pubblica nei suoi aggregati più generali.

Allo scopo, e ci riferiamo alla società partecipata come strumento per realizzare le finalità dell’ente, va ricomposto il quadro della possibile casistica in chiave di legalità, alla luce delle finalità dell’ente e del quadro ordinamentale visto nella sua unità e nei suoi grandi principi ispiratori. Il tema, peraltro, si collega anche a quello della verifica dell’esistenza e dell’efficacia dei sistemi di controllo interno degli enti e, pertanto, dei pro-cessi di programmazione-controllo da questi realizzati e, più in generale, si collega alla veridicità del sistema di bilancio. In questo contesto, anche sotto il profilo della responsabilità, assume un’importanza di particolare rilievo la “motivazione” delle operazioni societarie cui ci riferiamo.

Esemplifichiamo. Il nuovo art. 148 Tuel prevede che le sezioni di controllo verifichino, con cadenza perio-dica, “la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni”. A tal fine si è previsto un apposito referto trasmesso alla Corte, “sulla base delle linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte”. Così ripetendosi la felice esperienza, già commentata da chi scrive (58), atteso che

(56) Cfr. G. Farneti, La responsabilità patrimoniale si è modificata: le nuove regole per tutti gli operatori, in Azienditalia, 11, 2002, 633 ss. Va annotato che anche la responsabilità penale ha fatto emergere il rilievo di reati, come il falso ideologico, che tro-vano una crescente applicazione, proprio con riferimento all’esigenza di delineare un quadro veridico d’informazioni, tratte dai do-cumenti del sistema di bilancio, per rendere possibile lo svolgimento di un corretto processo decisionale, oltre che per informare i diversi interlocutori, cfr. G. Farneti, Il reato di falso alla luce dei principi contabili, in Azienditalia, 1, 2005, cit.

(57) “Le aziende pubbliche perseguono la loro finalità in assenza del mercato e misurano la loro capacità di creare utilità at-traverso la considerazione dell’efficienza e dell’efficacia, che vanno analizzate rispetto a un modello comportamentale, che indi-chi quali siano gli obiettivi da perseguire e delineando il futuro modo di essere della gestione, modello che deve trovare nella pia-nificazione/programmazione il luogo ove definirsi. La programmazione/pianificazione e il conseguente e necessario controllo, sempre opportuni per qualsiasi azienda, poiché danno razionalità ai comportamenti attraverso i quali si esprimono le politiche ge-stionali, sono pertanto indispensabili per le organizzazioni economiche pubbliche (public economic entities), proprio per la neces-sità di definire un modello gestionale che sia in grado d’indicare i livelli di efficienza/efficacia da realizzare”, cfr. G. Farneti, Il pro-cedimento gestionale di spesa, con particolare riguardo alla contrattualistica, secondo il modello aziendale: un’opportunità per la pubblica amministrazione, in Corte dei conti, Seminario di formazione permanente, Convegno su Legge di contabilità e finan-za pubblica, Aula Sezioni riunite, 18-19 novembre 2010, cit., dove questi concetti vengono approfonditi.

(58) Cfr. G. Farneti, La riforma dei controlli interni nell’ambito della carta delle autonomie: una necessità per la realizzazio-ne del nuovo programma di governo, in Azienditalia, 12, 2011, 849 ss.

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la norma ha avuto una lunga gestazione, dei controlli effettuati in tema di “gravi irregolarità” sulla base dei questionari predisposti dalla Corte per i revisori. La Sezione delle autonomie ha emanato al riguardo la delib. n. 4/2013. Essa è finalizzata “alla effettiva funzionalità di un sistema di programmazione, gestione e control-lo”. L’affermazione è significativa, la Corte ha colto in pieno il significato della norma, ha compreso e in tal senso si è indirizzata, che il controllo manageriale è il controllo fondato sulla considerazione dei processi di programmazione, gestione e controllo [rendicontazione]. Ancora e significativamente, la Corte si preoccupa di coniugare la regolarità dell’azione amministrativa, “intesa come rispetto del complesso delle regole finanziarie e procedurali, con l’efficienza e l’efficacia della gestione”. La Sezione annota il coinvolgimento, nell’ambito della nuova disciplina dei controlli, delle figure organizzative interessate, il maggiore dettaglio delle norme, la procedimentalizzazione dei controlli, il ruolo dei regolamenti, la frequenza infrannuale dei controlli, la necessaria revisione della spesa e si sofferma nel complesso su un insieme di considerazioni, che poi trovano conferma nell’elaborato (lo schema di relazione), tutte tese all’effettività dei controlli.

A questo punto s’impone una riflessione relativa al nuovo rapporto, che va delineandosi, fra controllo e giurisdizione (59). Il tema è di grande rilievo. Sul punto vogliamo richiamare quanto efficacemente è già stato chiarito (60), sottolineando che la normativa introduce nuove ipotesi di responsabilità di tipo sanzionatorio, affiancando a quelle già esistenti (per illegittimo indebitamento e per elusione del patto di stabilità), quella, ul-teriore, per assenza o inadeguatezza dei controlli interni e quella per dissesto. Tutte queste tipologie di respon-sabilità attengono, a ben vedere, al mancato rispetto di norme previste dall’ordinamento contabile e finanziario e dunque sono riconducibili al controllo di regolarità amministrativa e contabile, poiché, come ha osservato la Corte del Lazio, tutte le tipologie di controllo interno si presentano come “convergenti nella direzione di assicurare la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione”. Con queste nuove previsioni normative si realizzano, concretamente, le premesse perché si rafforzi il legame fra controllo e giurisdizione. Riteniamo che tale rafforzamento sia necessario, per dare effettività ai controlli, rendendo più efficace l’attività della Corte dei conti.

In questa direzione si va modificando il sistema delle responsabilità (61). Il tema non può essere considerato se non per annotare, nuovamente, che la cultura manageriale, che dà contenuto al principio del buon andamen-to, è anche in conseguenza la cultura della legalità e che tale cultura si contraddistingue per chiarire le respon-

(59) Tale rapporto, oggi, deve essere letto partendo dall’indicazione di S. Pilato, in Il nuovo sistema dei controlli, riflessioni sul d.l. n. 174 a tre mesi dalla legge di conversione, Convegno Upi Emilia-Romagna e Fondazione Dcec di Bologna, Bologna, 21 marzo 2013, che nella sua relazione su Il nuovo sistema di raccordo tra i controlli e le responsabilità pubbliche nelle autonomie territoriali, ci sottopone questa chiave di lettura, in termini evolutivi: “Ed oggi più di ieri, è profondamente errato e fuorviante pro-cedere alla lettura separata delle funzioni della Corte dei conti, distinguendo le competenze del controllo collaborativo dalle com-petenze giurisdizionali, non solo perché le tendenze legislative più recenti si muovono verso sempre più frequenti raccordi, inte-grazioni e reciproche interazioni, ma soprattutto perché la formazione di circuiti distinti e separati per l’esercizio delle attribuzio-ni, indebolisce il sistema di garanzie di legalità che invece si intende rafforzare nella governance economica europea e nel nuovo sistema dei bilanci pubblici”, aggiungendo che il d.l. n. 174 “restituisce alla Corte dei conti la posizione di centralità nel sistema delle garanzie poste a tutela della integrità e dell’equilibrio dei bilanci pubblici, contribuendo – nella diversità degli ordinamenti giuridici territoriali – alla formazione di una rete unitaria di istituti, regole e principi in materia di controllo e responsabilità ammi-nistrativa”. Ci sembrano altresì significative le osservazioni al riguardo di R. Patumi, op. cit., cui facciamo riferimento: “Eviden-ziata l’importanza del raccordo tra controllo e giurisdizione contabile, abbiamo ricordato come i legami tra le due anime della Cor-te dei conti si siano allentati negli ultimi anni, conseguentemente all’introduzione dei controlli collaborativi, con una ricaduta ne-gativa sull’attività delle procure e, in ultima analisi, sull’efficacia della magistratura contabile. In materia, il d.l. n. 174 può costi-tuire un elemento di svolta, in virtù del parziale superamento del momento collaborativo e dell’introduzione delle nuove figure di responsabilità sanzionatoria. La responsabilità sanzionatoria, infatti, non ha come presupposto un danno all’erario e, pertanto, con-sente un più ristretto raccordo tra le sezioni regionali di controllo e le procure”.

(60) Cfr. R. Patumi, op. cit.(61) Ci sembra significativo che si sia chiarito che “gli enti che detengono partecipazioni in società pubbliche devono effettua-

re un costante ed effettivo monitoraggio sull’andamento della società, con una verifica costante della permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta partecipativa iniziale, nonché tempestivi interventi correttivi in relazione ad eventuali mutamenti che intercorrano, nel corso della vita della società, negli elementi originariamente valutati, al fine di prevenire ricadu-te negative sul bilancio dell’ente. Risulta ribadito, quindi, che l’intera durata della partecipazione deve essere accompagnata dal diligente esercizio di quei compiti di vigilanza, d’indirizzo e di controllo … che la natura pubblica del servizio (e delle correlate risorse), e la qualità di socio comportano”, cfr. G. Astegiano, I controlli della Corte dei conti sugli organismi partecipati dagli en-ti pubblici, in Azienditalia, i corsi, cit. Si può solamente annotare che se queste semplici regole fossero seguite, le patologie che si verificano sarebbero di gran lunga meno incidenti.

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sabilità dei diversi attori. Queste avranno modo di esprimersi in forme che in passato erano scarsamente consi-derate, in particolare con specifico riferimento alle società partecipate. Un esempio. La delib. n. 498/2012 della Sezione di controllo del Piemonte, con riferimento al contenzioso sorto fra l’ente e la sua partecipata in house per forniture contestate per oltre un milione di euro, afferma che “in base ai principi del controllo analogo l’ente avrebbe dovuto esaminare la gestione in modo accurato …, che risulta incomprensibile che l’ente locale non sia intervenuto prima per dirimere l’eventuale contestazione, [e che] … considerata l’entità della somma in contestazione, l’assenza di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori che hanno gestito la società, … è opportuno che la presente pronuncia venga trasmessa alla procura regionale della Corte dei conti”.

La deliberazione appena menzionata è veramente significativa. Essa va nella direzione di considerare le conseguenze negative per l’ente, in conseguenza del cattivo andamento, che sono determinate dal mancato rispetto delle norme poste a presidio del buon andamento; in linea, ci sembra, con le autorevoli, recenti, sen-tenze della Consulta, già richiamate dalla deliberazione della Sezione delle autonomie della Corte dei conti n. 15/2014 (62).

Con uno sguardo d’insieme e con specifico riferimento alle società partecipate, emergono delle aree di riflessione che dovrebbero, ci sembra, essere considerate con sempre maggiore attenzione, da tutti gli opera-tori, compresa la medesima Corte dei conti, nell’auspicio che si dimostri in grado di vincere la “sfida” relativa all’efficacia della sua azione e all’effettività dei suoi controlli; a conferma del ruolo che già riveste, che è quello di essere “agente del rinnovamento” della pubblica amministrazione (63).

Ci riferiamo, in particolare, alle seguenti aree di riflessione, in termini generali:il rafforzamento dell’annotata tendenza d’integrare i controlli di tipo collaborativo con quelli di tipo giuri-

sdizionale;una rinnovata considerazione di come il “danno” possa esprimersi in formule e con caratteri di tipo evolu-

tivo, per quantificare le conseguenze del cattivo andamento (64);un’attenzione specifica ai controlli sulla gestione che sia in grado, in una logica di benchmarking e di con-

siderazione di parametri standard, di valutare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa;una rinnovata attenzione al sistema dei controlli interni, di tipo non formale, finalizzata a verificare la cor-

rettezza dei processi di programmazione e controllo, realmente in grado di coglierne le patologie (oggi di fatto quasi sempre presenti).

In modo più specifico e con riferimento alle società partecipate si pongono in evidenza, anche alla luce di quanto osservato nei paragrafi precedenti, i temi seguenti:

la complessità del sistema attuale, seppure nella nitidezza degli elementi fondamentali che lo costituisco-no (in particolare il quadro europeo e il rispetto dei principi costituzionali), enfatizzano come la Corte possa intervenire con controlli di tipo integrato e, prima, con pronunce (anche attraverso la Sezione delle autonomie e le Sezioni riunite) che siano in grado di dare sistematicità ai propri orientamenti, anche a quelli già espressi;

sarebbe indispensabile, riteniamo, far luce sulla individuazione dei contenuti del perimetro delle possibilità che si aprono per la gestione attraverso società partecipate, con riferimento ovviamente sia al quadro europeo sia alla normativa nazionale. In particolare è necessario verificare le conseguenze del fatto che attraverso le società partecipate non è possibile sviluppare attività a mercato. Allo scopo sarebbe poi estremamente utile definire i contenuti della “relazione” ex c. 20 dell’art. 34 d.l. n. 719/2012 (65);

andrebbe verificata la tassonomia delle possibilità che si aprono per le amministrazioni locali (come abbia-mo cercato di costruire), con riferimento allo svolgimento dei servizi pubblici locali, sia a rilevanza economica

(62) Richiamate in questa sede nel par. 3., nella parte relativa a, Le società come strumento per eludere norme di legge e il con-seguente controllo della Corte.

(63) Come già osservato, cfr. G. Farneti, Tutti fanno tutto; nessuno è responsabile di ciò che solo lui dovrebbe fare: perché e prime riflessioni su come rilanciare lo spirito propulsivo della riforma, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2008.

(64) Nella direzione che già da tempo è stata annotata, cfr. G. Farneti, La responsabilità patrimoniale si è modificata: le nuo-ve regole per tutti gli operatori, in Azienditalia, 1, 2002.

(65) Concordiamo con l’osservazione di Legautonomie (cfr. le relative news) che si esprimeva in questi termini: “Si osserva in proposito la necessità di precisare meglio i contenuti della relazione che l’ente deve predisporre entro il 31 dicembre 2013 per procedere all’affidamento dei servizi, al fine di assicurare – come prevede l’articolato – il rispetto della disciplina europea, la pa-rità tra gli operatori e l’economicità della gestione e garantire adeguata informazione alla collettività interessata”.

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che non a rilevanza economica, o allo svolgimento di attività strumentali; od anche con riferimento ad altre tipologie di attività (ipotesi che si è osservata come non percorribile, sebbene ampiamente praticata);

conferire ai controlli, sempre, il carattere dell’effettività. Un esempio: le società, salvo casi estremi e/o per importi limitati, di fatto non dovrebbero essere in perdita: perché invece si producono perdite? Quali sono i fenomeni degenerativi che si pongono come “ragione” del loro prodursi? In quale modo gli stessi vengono ostacolati?

In definitiva, è dall’auspicata efficacia dei controlli della Corte dei conti che dipenderà la capacità del siste-ma paese di migliorare l’efficienza e la qualità della pubblica amministrazione del nostro paese.

A conclusione, è opportuno mettere in evidenza alcune delle considerazioni già sviluppate nei paragrafi precedenti.

I comportamenti che si richiedono agli enti locali come sono stati richiamati in forza della più recente nor-mativa erano in ogni caso obbligatori antecedentemente alla stessa. Da ben oltre un ventennio si è, infatti, de-lineato un quadro normativo che impone il rispetto del principio costituzionale del buon andamento, principio che è stato dettagliato nei criteri che materialmente devono essere seguiti. Numerose norme hanno nel tempo fatto richiamo ai suddetti criteri e a una serie di conseguenze che si debbono realizzare, in primis quella che vede il processo decisionale incardinato nel contesto dell’attività di programmazione e controllo. Nello stesso tempo, è certo che dal 1990 s’impone la motivazione degli atti amministrativi; al riguardo va osservato che la discrezionalità non è mai assoluta, ma finalizzata al rispetto del richiamato principio costituzionale (66). Natu-ralmente, la motivazione deve essere effettiva e quindi dimostrabile, non può quindi risolversi in dichiarazioni puramente tautologiche, deve essere tracciabile ed eticamente condivisibile.

Con riferimento alle società partecipate che fanno capo agli enti locali, si è fatto di più. Si è chiarito che gli obiettivi gestionali devono esprimersi in termini di efficienza, efficacia ed economicità (67).

Ma questa normativa è stata disapplicata. Non si è sviluppato, pertanto, un processo decisionale, riprodu-cibile in quanto effettivo, in grado di spiegare come nel concreto l’ente, attraverso le sue società, si propone di realizzare il principio del buon andamento. Anche perché il sistema dei controlli nel suo complesso non ha funzionato. Il legislatore è allora recentemente intervenuto richiamando, nell’ambito del rinnovato sistema dei controlli interni, l’importanza di rispettare la norma appena menzionata, con un’ulteriore e specifica disposi-zione (68). Oltre alla ulteriore normativa cui ci siamo riferiti in questo lavoro.

Siamo convinti che le recenti modificazioni al quadro normativo e quelle che si prospettano potranno avere conseguenze positive sulla gestione degli enti e delle loro partecipate, nella direzione che si è indicata, anche sotto il profilo del contrasto alla corruzione, se il sistema dei controlli interni/esterni (69) funzionerà. Altrimenti

(66) Così la discrezionalità in termini di nomine negli organismi delle partecipate, non è assoluta, non è funzionale a soddisfa-re gli interessi delle parti, ma quello della collettività, conseguendone che le stesse si debbano inquadrare in un corretto (sotto il profilo della capacità dell’azione amministrativa d’indirizzarsi a soddisfare il bene comune) processo decisionale. Così per una consulenza, o per l’assunzione di un collaboratore.

(67) Ci si riferisce al c. 6 dell’art. 170 Tuel (già richiamato); ma anche al c. 5, che aggiunge la considerazione (generalmente ignorata!) per la quale, nello scorrimento dei piani nel tempo, la Relazione previsionale e programmatica deve spiegare le varia-zioni rispetto all’anno precedente. Ovviamente anche sulla base dei contenuti della Relazione al rendiconto.

(68) Cfr., l’art. 147-quater, c. 2, Tuel, che dettaglia ulteriormente l’obbligo di cui all’art. 170, c. 6, chiarendo che gli obiettivi gestionali, da esplicitare, cui devono tendere le società partecipate, devono essere riferibili a parametri, sia quantitativi sia qualita-tivi, ricavabili da un idoneo sistema informativo; ma tale disposizione era comunque ampiamente applicabile anche in preceden-za, perché tecnicamente consegue dal menzionato sesto comma dell’art. 170 Tuel, ove si voglia renderne effettivo il contenuto. Si vuole anche annotare come, con questa norma di maggiore dettaglio, ancora una volta il legislatore si sia riferito ai tradizionali in-segnamenti dell’economia e della tecnica aziendale, seppure considerati in ritardo. Averli voluti dettagliare è sintomatico di un si-stema amministrativo, il nostro, che non concepisce che i comportamenti e non solo gli atti, debbano essere rispettosi del quadro normativo, sulla base d’individuati principi e criteri applicativi: l’indicazione di un processo decisionale “tracciabile” va nella di-rezione del superamento di questa nostra profonda limitazione che è, prima di tutto, di tipo culturale.

(69) Nell’evoluzione, che è in corso, e alla quale ci siamo variamente riferiti, un aspetto molto interessante è dato dalla cre-scente attenzione per il “danno da disservizio”, dalle decisioni più datate (cfr. G. Farneti, I nuovi profili della responsabilità patri-moniale, in Azienditalia, 7, 1996), all’analisi più recente sviluppata da M. De Paolis, in La responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici, 2013, dove nelle pagine 193-195, si può leggere: “Sul punto, la giurisprudenza contabile è abbastanza con-solidata, ... il danno da disservizio non possa essere cristallizzato in fattispecie tipizzate, in quanto, seguendo il c.d. criterio espan-sivo, è idoneo a recepire tutte le possibili tipologie d’illecito doloso o colposo attinenti ai vari settori della pubblica amministra-zione che comportano una minore produttività delle risorse umane, economiche e finanziarie dell’apparato pubblico così da pro-

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ci si limiterà, da parte degli enti, a sostenere ulteriori adempimenti, con ulteriori costi, senza migliorare la per-formance della nostra pubblica amministrazione, senza contrastare in alcun modo (al di là degli adempimenti formalmente rispettati) la corruzione, proseguendo nei comportamenti al momento più diffusi. Gli operatori dovrebbero dare applicazione al rinnovato quadro normativo nella consapevolezza che anche il sistema dei controlli si sentirà coinvolto, proponendosi, si deve ritenere, di assicurarne il rigoroso rispetto. Siamo convinti che la Corte dei conti, per come si sta esprimendo, anche attraverso le deliberazioni che abbiamo richiamato, si sia già indirizzata a proseguire in questo percorso.

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curare un danno aggiuntivo per non aver raggiunto, nei tempi dovuti, le utilità conseguibili in via ordinaria con un vero e proprio spreco di risorse produttive .... Si tratta di un danno patrimoniale individuabile nel mancato raggiungimento delle utilità previste secondo le risorse non utilizzate in base ai canoni della legalità, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della produttivi-tà, criteri a cui si deve costantemente uniformare l’attività svolta dalla pubblica amministrazione ed è correlato con il decremento della produttività funzionale dell’amministrazione”.