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FACOLTA’ DI ECONOMIA DIPARTIMENTO DI MANAGEMENT CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN TECNOLOGIE, CERTIFICAZIONE E QUALITA’ UN’ANALISI SU COME I CONTRIBUTI DEL “CROWD” VENGONO VALORIZZATI TRAMITE IL CROWDSOURCING E IL CROWDFUNDING Relatore Ruggieri Roberto Correlatore D’Ascenzo Fabrizio Laureando Sforza Simone Anno accademico 2012/2013 Quest’opera è regisrata con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported

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FACOLTA’ DI ECONOMIA

DIPARTIMENTO DI MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN TECNOLOGIE, CERTIFICAZIONE E

QUALITA’

UN’ANALISI SU COME I CONTRIBUTI DEL “CROWD”

VENGONO VALORIZZATI TRAMITE IL

CROWDSOURCING E IL CROWDFUNDING

Relatore

Ruggieri Roberto

Correlatore

D’Ascenzo Fabrizio

Laureando

Sforza Simone

Anno accademico 2012/2013 Quest’opera è regisrata con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported

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INDICE

INTRODUZIONE…………………………………………………………..…….4

CAPITOLO PRIMO

1.1 Cosa si intende per Crowd……………………………...………………………6

1.2 Che cosa lo rende prezioso per le aziende………...........................................…7

1.3 Quindi basta seguire la folla?..............................................................................9

CAPITOLO SECONDO

2.1 Il Crowdsourcing…………………………………………………………..…..11

2.1.1 Intelligenza collettiva………………………………………………….…….15

2.1.2 Wikinomics...........................................................................................……..17

2.2 Come si sviluppa e perché…………………………………………………….19

2.3 Crowdsourcing per chi e per cosa?....................................................................28

2.4 Requisiti per il Crowdsourcing…................................................................…..35

2.5 Criticità del fenomeno…………………………………………………...…….36

2.6 Casi di successo…………………………………………………...………..…38

CAPITOLO TERZO

3.1 Il Crowdfunding, un fenomeno work-in-progress……………………………..42

3.2 A chi serve e perché?..........................................................................................45

3.3. Il finanziatore giusto al momento giusto….…………………………………...50

3.3.1 Business Angel……….………………………………………………………52

3.3.2 Venture capital……….………………………………………………………54

3.3.3 Quotazione…………………………………………………………………...55

3.4 I tipi di Crowdfunding…………………………………………………………56

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3.5 Che legislazione per il Crowdfunding?................................................................62

3.6 Come realizzare una campagna per il Crowdfunding…...……………………...82

3.7 Piattaforme digitali per il Crowdfunding……………….………………………88

3.8 Casi di successo……………………..…………………………………………..92

3.9 Che cosa manca per il grande salto…….……………………………………….94

CONCLUSIONI………………………..…………………………………………..98

BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………..101

SITOGRAFIA……………………………………………….……………………..102

 

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INTRODUZIONE

La motivazione che ha mosso le mie intenzioni nel produrre una tesi sul nuovo ruolo

che la massa sta assumendo è stata in principio la curiosità per un fenomeno del

quale sono venuto a conoscenza nel mio soggiorno studi negli U.S.A. nel 2011,

mentre in Italia era ed è tutt’ora un fenomeno di nicchia, che piano piano sta

trovando i suoi seguaci. Curiosità che si è ben presto trasformata in passione, per un

fenomeno, meglio denominato come Crowd (massa), declinato secondo le varie

caratteristiche funzionali in Crowdsourcing e Crowdfunding.

Tale fenomeno ha in se le peculiarità che stanno rivoluzionando il mondo del

business, di ogni genere di business, sia esso transoceanico o locale, professionale o

amatoriale, remunerato o gratis.

Nel prosieguo del lavoro ho posto particolare attenzione a destrutturare il fenomeno e

trattarlo in ogni sua forma ed evoluzione.

Entrando nel merito del lavoro; nel capitolo primo introduco il lettore al fenomeno

del Crowd e cosa lo rende “rivoluzionario”, ritengo che per avere consapevolezza

sulle potenzialità bisogna conoscere con chi abbiamo a che fare. Nel capitolo

secondo affronto uno dei due temi “core” della tesi, ossia il Crowdsourcing, da dove

esso origina, come funziona e com’è usato dalle aziende, con le presentazioni di casi

di successo. Nel capitolo terzo affronto il tema del Crowdfunding, da ogni sua

prospettiva, vero punto focale del lavoro svolto, una funzione che più di tutte tra

quelle del Crowd si sta sviluppando nel mondo per numero ed importanza, ne

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illustrerò le diverse forme e usi, i casi di successo e la preparazione, mettendolo a

confronto con modelli simili di finanziamento, complementari al Crowdfunding.

Le Conclusioni oltre a rappresentare la “summa” del lavoro descritto, proiettano

questo fenomeno in avanti, accennando circa quelli che potrebbero essere nuove

possibili applicazioni, per differenti scopi da quelli affrontati in questo lavoro.

L’obiettivo che si vuole raggiungere è di fornire un’efficace fotografia del fenomeno

da me scelto, in ogni sua variante, con particolare riguardo al Crowdfunding,

permettendo al lettore di carpirne le origini, gli sviluppi, gli scopi, i tempi e i costi, i

pro e i contro, di un fenomeno che sta attirando su di se l’attenzione persino dei più

tradizionalisti.

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CAPITOLO PRIMO

1.1 Cosa si intende per Crowd

Traduzione letterale del termine anglosassone Crowd è folla, massa, moltitudine di

persone…

Ma cosa c’è di nuovo allora che non vi fosse già prima, e che rende questa parola

roboante per gli addetti ai lavori?

Tutto, oserei dire, in quanto il termine Crowd che qui si vuole analizzare non sta ad

indicare la semplice somma algebrica di individui sconosciuti, ma l’aggregazione

spontanea o ad hoc di un vasto insieme indefinito e distribuito di persone, che non

necessariamente debba conoscersi o condividere le stesse idee, organizzato in

community digitali perché possa fornire una collaborazione di massa convergente

verso uno scopo.

FOLLA   INTERNET   SCOPO   CROWD  

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Vi è un’ulteriore novità, non a caso ho usato nella parte di testo introduttiva al lavoro

in questione la parola “assumendo” riferendomi alla massa, alla folla, - d’ora in

avanti “Crowd” - intendendo con ciò il fatto che in questo fenomeno il Crowd non è

accessorio, assoggettato, subordinato all’azienda, ma bensì ne è il principio, il cuore,

in inglese direi “the trigger” ossia l’innesco, la causa scatenante.

1.2 Che cosa lo rende prezioso per le aziende

Come si evince nel paragrafo precedente il prodotto del Crowd, inteso ancora una

volta come fenomeno di aggregazione di azioni e idee è, nel significato più puro e

astratto, “l’attenzione” che una moltitudine di persone rivolge ad un qualcosa, sia

esso un hobbies, un gioco, un prodotto, un servizio, una fatto, un problema, etc.

Cosa c’è allora di più prezioso per un’azienda che non la possibilità di assecondare,

controllare, addirittura prevedere l’attenzione del mercato su un determinato topic

(argomento)? Perché di questo si tratta, ed è per questo che le aziende si stanno

alacremente organizzando. Per conoscere cosa al mercato piace, e ancor più

strabiliante, cosa il mercato richiede e cosa il mercato fa per ottenerlo.

Tanto da far prefigurare in esso un partner strategico o meglio ancora un consulente

aziendale il quale ci suggerisce se un progetto interessa (quindi investirci tempo e

denaro) o meno (cambiare direzione).

Per molti il potenziale del Crowd va persino oltre il mero valore economico

sfruttabile da un’azienda, ad esso si associano funzioni assai più profonde e

sociologiche. Come scrive l’economista J. Surowiecki, che parla di Saggezza della

folla, ovvero una teoria secondo la quale la massa sarebbe in grado di fornire una

risposta adeguata e valida ad una domanda più di quanto non siano in grado di farlo i

singoli esperti.

Secondo J. Surowiecki ci sono quattro criteri che devono venire rispettati perché la

teoria funzioni:

- Diversità d’opinione: ogni persona deve avere un’opinione differente.

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- Indipendenza: le opinioni delle persone non devono venir influenzate da

quelle altrui.

- Decentralizzazione: nessuno deve essere in grado di pilotarla dall’alto.

- Aggregazione: le opinioni devono essere aggregate in modo da ottenere un

risultato finale.

Secondo la teoria della saggezza della folla:

• Deve essere possibile riassumere in un unico pensiero la moltitudine di pensieri

delle persone che fanno parte della folla.

• La folla è molto più intelligente della persona più intelligente che ne fa parte.

• Devono venire rispettate le tre condizioni di diversità, indipendenza e

decentramento.

• Troppa comunicazione può rendere il gruppo meno intelligente.

• E’ necessario che vi sia un sistema di aggregazione dell’informazione.

• Le migliori decisioni nascono da una discussione.

• L’informazione corretta deve essere raggiungibile dalle giuste persone, nel

momento giusto e nel luogo giusto.

Come esempio Surowiecki riporta quello dell’antropologo F. Galton, il quale chiese

ad un gruppo di persone quale fosse il peso del bue che stava loro di fronte. La media

delle risposte date dalle persone comuni si rivelò più corretta di quanto non fossero le

risposte dei singoli esperti.

O ancora quello del professore di economia J. Treynor che chiese ad un gruppo

composto da 56 individui di stimare quante caramelle vi fossero all’interno di un

barattolo e, quando in seguito fece la media delle risposte ricevute, ottenne un

numero che si avvicinava molto di più alla realtà di quanto non lo facessero le

risposte prese singolarmente degli individui che avevano partecipato all’esperimento.

La media delle risposte era infatti di 871 e si avvicinava di molto al numero di

caramelle che il barattolo conteneva realmente, 850.

Applicazioni di tale teoria non mancano anche in molti strumenti popolari del Web

2.0, vedasi Wikipedia, Yahoo Answers, PageRank di Google, etc.

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Va detto altresì che il confine che divide tali applicazioni da forme più

strumentalizzate del fenomeno è assai sottile, tanto da essere classificate sovente tra

le linee del ben più noto Crowdsourcing - trattato nei capitoli che seguiranno - .

Traspare sin da ora ad una attenta analisi che i vantaggi che tale strumento (il Crowd)

può offrire sono di diversa gamma.

1.3 Quindi basta seguire la folla?

Pensare di affidarsi ciecamente al Crowd senza la consueta cautela non è prudente ne

avveduto, tanto più se lo si fa per un tornaconto economico.

Bisogna analizzare e conoscere il Crowd, le sue peculiarità, per sfruttarne il

potenziale.

La fonte del Crowd è innanzitutto sparsa in tutto il mondo, ciò vuol dire dover saper

dove e come raggiungere quello che fa al caso nostro.

E’ composto da un mix di attori per ogni livello dello scibile umano e molto spesso il

contenuto è effimero o inutile o addirittura fuorviante, va quindi filtrato tutto, attivare

e mantenere una costante cernita per separare, come si suol dire «il grano dal loglio».

Per sua natura il Crowd offre un prodotto che è la somma di innumerevoli e

minuziose partecipazioni della cosiddetta forza lavoro che lo compone, ciò vuol dire

che il compito che il Crowd svolge proviene da ritagli di tempo di poche ore anche

minuti che ogni workers dedica alla causa. Ottenere un risultato efficace affidandosi

al Crowd significa dover dividere il lavoro o problema che sia, in micro parti, in

modo che i componendi del Crowd scelgano dove, come e quanto tempo dedicare

alla parte interessata.

Non mancano a fronte dei punti appena detti delle critiche al fenomeno del Crowd

che, contrariamente a Surowiecki ne evidenziano i limiti.

Uno dei maggiori critici alla saggezza della folla è l’informatico statunitense J.

Lanier, secondo il quale la saggezza della folla può funzionare solo quando alla folla

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vengono poste domande le cui risposte non richiedono nulla di più articolato di

singoli numeri o valori.

Lanier critica l’idea che il prodotto di una massa di individui sia migliore del

prodotto del singolo. Viene criticata in particolar modo la tesi che più la massa di

persone che collaborano ad un progetto è ampia più gli errori interni a questo sono

limitati.

Secondo Lanier la teoria della saggezza della folla può funzionare bene fino a

quando viene limitata alla cultura popolare (vedasi Wikipedia, citata dallo stesso),

ma fallisce nel momento in cui viene applicata a campi scientifici nei quali occorre

rigore ed alta competenza. L’innovazione e la scienza secondo Lanier sono guidate

da esperti ed intellettuali e non possono essere portate avanti da una massa di

individui.

Altri autori in periodi diversi hanno criticato l’efficacia della folla, tra i quali si

annotano C. Shirky, G. Le Bon, Freud e lo stesso cofondatore di Wikipedia Larry

Sanger è altrettanto scettico che le folle senza essere guidate possano giungere ad un

risultato soddisfacente in qualsiasi campo.

Non è azzardato a questo punto dire quindi che quale che sia il ruolo affidato al

Crowd, esso dipenderà essenzialmente dalle aspettative che in esso vengono riposte,

dalle quali dipenderà, la valutazione del risultato.

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CAPITOLO SECONDO

2.1 Il Crowdsourcing

Farà il lavoro la persona con la giusta combinazione di talento, volontà e qualche

ora libera.

Jeff Howe

Tentare di spiegare cosa sia il crowdsourcing è tentativo non facile e me ne rendo

conto a mano a mano che approfondisco le ricerche del caso, ciò che emerge

ovunque le mie ricerche mi abbiano condotto è un misto di aspettative per l’enorme

potenziale che si intravede in tale “nuova” teoria e paure per un eccesso di euforia

disfattista.

Pur tuttavia è d’obbligo una presentazione che ne sottolinei i punti focali. Il

Crowdsourcing è innanzitutto un neologismo, coniato dallo scrittore Jeff Howe nel

2006 in un’intervista sul magazine Wired nella quale egli descrive il fenomeno come

un nuovo modello di business in cui un’azienda esternalizza funzioni e attività per

intero o in parte ad un insieme di individui esterni indistintamente distribuito (il

Crowd).

Da allora il termine è diventato molto noto fra gli appassionati e in ambito business,

pur non essendo il primo ad aver trattato quei principi che lo descrivono, infatti, altri

autori in tempi diversi, hanno dato forma pian piano al modello che ha preso poi il

nome di Crowdsourcing, tra i quali vanno citati; C.K.Prahalad e V. Ramaswamy che

nel 2000 introdussero il concetto di co-creation nell’articolo sull’Harvard Business

Review, o più recentemente Don Tapscott e Anthony D.Williams nel 2006 con il

libro Wikinomics - trattato in seguito - .

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Va inoltre detto che già molto tempo prima che il fenomeno fosse affibbiato e

classificato con nomi e principi veniva di fatto usato per differenti scopi. Si citano tra

i più degni di nota due casi;

• «La costruzione del Duomo di Firenze si ferma all’improvviso all’inizio del 1400.

Nessuno ha trovato una soluzione valida per la copertura della celeberrima cupola:

come costruire e dove appoggiare le enormi centine di legno che avrebbero dovuto

sostenerla, fino alla chiusura definitiva con la chiave di volta? L’architetto aveva

previsto una cupola diversa, più tradizionale. Ma il progetto è stato modificato, e ora

servono risposte. L’opera del Duomo indice, dunque, un concorso pubblico, aperto a

tutta la cittadinanza. Secondo la tradizione, non vinse nessuno: e la conclusione

dell’opera, ancora oggi un capolavoro dell’architettura, viene affidata a Filippo

Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti. Secoli dopo la facciata, dalla quale Francesco I alla

fine del 1500 aveva rimosso marmi e sculture preferendo una versione dipinta, è

ancora incompleta dopo interventi posticci e provvisori durati trecento anni.

Finalmente, nel 1864, viene indetto un nuovo concorso. Arrivano moltissimi progetti

(oggi esposti al Museo dell’opera del Duomo), e il vincitore inizia i lavori pochi anni

dopo. Ma l’architetto muore, e così il suo successore, e i lavori si fermano tra mille

polemiche. Resta un dubbio sulla conclusione della facciata: le navate laterali vanno

coronate con un ballatoio piano, come nelle antiche basiliche, o con delle cuspidi

come nel Duomo di Orvieto? Vengono costruite sulle due navate le due versioni

possibili, una per lato. E si indice un referendum, coinvolgendo tutta la popolazione,

per chiedere consigli utili a prendere la decisione. Vincerà l’attuale versione con il

ballatoio, inaugurata nel 1887.

• Italia, primi anni ‘50. L’Agip di Enrico Mattei ha scoperto da poco un importante

giacimento di petrolio vicino Piacenza, e si prepara ad immettere una nuova benzina

sul mercato: la “Supercortemaggiore”. Di lì a poco sarebbe nato l’ENI, come

organismo di gestione e controllo della produzione e distribuzione degli idrocarburi

in Italia. Mattei, che non è uno sprovveduto, vuole associare una forte immagine

pubblicitaria al nuovo carburante Agip.

Rifonda quindi l’ufficio pubblicità e lancia un contest, aperto a tutti gli italiani, per la

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creazione di un marchio, di alcuni cartelloni stradali (con il mitico slogan: “La

potente benzina italiana”) e per la colorazione delle colonnine dei distributori. Il

premio totale ammonta alla bella cifra di 10 milioni di lire: moltissimi, per l’epoca

(oggi ammonterebbero a 124 mila euro). La giuria è composta da personaggi di

grande rilievo nel mondo dell’arte e della comunicazione dell’epoca: l’architetto Giò

Ponti, Mario Sironi, Mino Maccari, Antonio Baldini, Silvio Negro. Il concorso ha un

successo strepitoso: sono oltre quattromila i bozzetti presentati da appassionati,

disegnatori, designer, uomini qualunque. Ci vogliono quattordici riunioni della

Giuria per scegliere, finalmente, il vincitore: il canedrago a sei zampe, dello scultore

Luigi Broggini coadiuvato da Giuseppe Guzzi (c’è anche qui una interessante

vicenda sulla vera paternità dell’opera: ma non è questo il luogo per approfondirla).

Lo stesso drago a sei zampe che, presentato ufficialmente nel 1954, diventa il

simbolo dell’Eni: ancora oggi, dopo due restyling (di cui il primo, celeberrimo, ad

opera di Bob Noorda negli anni ‘70), è rimasto pressoché intatto».

Dagli usi più noti e nobili al quelli puramente ludici il Crowdsourcing è impiegato in

diversi settori e per diverse attività, è difficile quindi ad oggi definirne i confini.

Siamo a mio avviso ancora nella fase di genesi del fenomeno, che abbisogna quindi

di tempo per un uso più efficiente.

Il crowdsourcing, come già accennato, può essere visto essenzialmente come un

modello di produzione e risoluzione dei problemi. Nell'accezione classica del

termine, viene richiesta la risoluzione di un determinato problema a un gruppo non

definito di persone. Gli utenti, il "crowd" (folla), solitamente si riuniscono in

comunità online, le quali forniscono una serie di soluzioni, che vengono poi vagliate

dal gruppo stesso o piattaforma o ancora dal Crowdsourcer, alla ricerca delle

soluzioni migliori. Queste soluzioni appartengono all'istituzione o all'individuo che

ha inizialmente presentato il problema e gli utenti che hanno contribuito a trovarle in

alcuni casi vengono ricompensati in denaro o premi o con riconoscimenti, in altri con

la semplice soddisfazione intellettuale, riconoscimento sociale, autostima.

Il Crowdsourcer dal canto suo otterrà e utilizzerà a proprio beneficio i contributi

ottenuti. Grazie al Crowdsourcing, le soluzioni possono provenire da utenti non-

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professionisti o volontari che lavorano al problema nel loro tempo libero, o da esperti

e piccole imprese che erano sconosciute all'istituzione committente.

La differenza con l’outsourcing, (processo di moda negli anni ’80 e ’90 con il quale

si affida un’attività a un solo contractor esterno selezionato, per trarne un mero

vantaggio economico irrealizzabile altrimenti se fatta internamente e che, terminata

la commissione cessa ogni rapporto con il committente) sta nel fatto che con il

Crowdsourcing le imprese ottengono si, spesso un vantaggio anche economico in

termini di ingenti risparmi, ma non rappresenta il compito principale, che consiste

nel poter reperire e gestire in forma flessibile e veloce un ampio numero di lavoratori

quando se ne ha necessità e con differenti set di capacità ed esperienza. Inoltre coloro

che si iscrivono alle piattaforme di Crowdsourcing molto spesso creano delle

community online e attraverso forum dedicati possono continuamente seguire i

progetti o le aziende che interessano, scambiare opinioni con la community per

confrontarsi su ogni caso.

Per quanto simile sia il Crowdsourcing differisce anche dall’Open Source (dove

programmatori indipendenti collaborano allo sviluppo di un software con codice di

sorgente aperto a chiunque lo voglia migliorare) in quanto il primo è comunque

frutto di una iniziativa lanciata da un’organizzazione e non da la mera attività

cooperativa e volontaria di alcune persone.

Cosi come differisce dalla pratica di Open Innovation in quanto quest’ultima non ha

la stessa portata, velocità e ricchezza delle risposte.

A questo punto viene naturale chiedersi: cosa ha innescato tale fenomeno che sta

permeando sempre più all’interno di molti business e brand di portata internazionale

(Google, Microsoft, Nestlé, Unilever, Honda, IBM, tanto per citarne alcuni) e che si

dirama nell’economia nonostante le somiglianze con modelli simili ?

I very trigger, ossia le cause scatenanti, sono l’incessante avanzamento tecnologico,

la diffusione di strumenti del web 2.0 che stanno contribuendo ad abbassare le

barriere d’ingresso alla folla - prima ad esclusiva di una piccola elite di persone con

una laurea appesa - e stanno riducendo il gap tra professionisti e dilettanti, tra

produttori e consumatori e per ultimo direi, la crisi del sistema economico-industriale

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al livello mondiale che ha intaccato i vecchi modelli di creazione del valore,

lasciando spazio a strumenti democratici di creazione.

Stiamo assistendo alla fine dell’era industriale con i suoi dogmi e siamo all’origine di

un’era definita di cultura partecipativa.

2.1.1 Intelligenza collettiva

Nello svolgimento delle mie ricerche al fine di studiare e scoprire sempre più il

fenomeno del Crowdsourcing mi sono più volte imbattuto in rimandi concettuali dal

nome di “Intelligenza collettiva”.

Come un pazzle che tessera dopo tessera si completa ho scovato le radici del

Crowdsourcing.

Dalle ricerche è emerso che l’intelligenza collettiva, come descritta da molti teorici, è

un particolare modo di funzionamento dell’intelligenza che supera tanto il pensiero

di gruppo (e le relative tendenze al conformismo) quanto la cognizione individuale,

permettendo ad una comunità di cooperare mantenendo prestazioni intellettuali

affidabili.

In questo senso, essa è un metodo efficace di formazione del consenso e potrebbe

essere considerata come oggetto di studio della sociologia.

Una concezione meno antropocentrica (se mi è concesso, esempio molto calzante)

che emerge in alcuni studi di biologia e sociologia è l’ipotesi che un gran numero di

unità (come ad esempio le api di un’alveare) possano coopeare tanto strettamente da

divenire indistinguibili da un singolo organismo, raggiungendo un unico livello di

attenzione che costituisce un’adeguata soglia di azione.

È ciò a cui si riferiva molto probabilmente (anche se il termine non era stato coniato)

Thomas Jefferson, padre fondatore degli Stati Uniti d’America, con il motto: “la

miglior difesa di una nazione è una cittadinanza istruita”.

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Ed in effetti non sbagliava affatto, sia perché l’intelligenza collettiva (come studiato

negli anni a seguire) ha importanti risvolti sociali e politici, sia perché in sostanza il

nocciolo della teoria è che “l’unione fa la forsa”.

Se poi questa forza convergente di intelligenze individuali si autoorganizza in

comunità senza esculdere le diversità al proprio interno (concetto trattato in seguito)

il risultato sarà una potente leva con effetti massivi a livello culturale, sociologico,

politico e antropologico.

Andando a ritroso non sorprende affatto che nelle passate epoche industriali, con

strascichi fino alla nostra era, scuole, centri di formazione e grandi corporazioni

tesero a favorire la separazione delle elite, dalle persone che dovessero seguirle,

separazione intesa inoltre come bagaglio di conoscenze accessibili ai due gruppi,

esaltando la burocrazia e la segretezza.

Quando al contrario i cittadini dovrebbe essere concepiti come frammenti di

un’intelligenza pubblica a cui devono essere forniti tutti i mezzi per giudicare e

controllare, nella visione di Robert Davis Steel Vivas.

Di seguito riporto le definizioni di due pionieri dell’intelligenza collettiva:

George Por, definisce questo fenomeno come “la capacità di una comunità umana di

evolvere verso una capacità superiore di risolvere problemi, di pensiero e di

integrazione attraverso la collaborazione e l’innovazione”.

Pierre Lévy, in un’intervista descrive cosi il suo concetto di intelligenza collettiva,

“In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è

umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al

massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due

persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie,

possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere,

cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi line, è questa in fondo

l’intelligenza collettiva”.

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2.1.2 Wikinomics

Altri autori, prima di Jeff Howe, avevano trattato gli stessi argomenti come Don

Tapscott e Anthony D. Williams nel libro “Wikinomics” del 2006. La ragione del

successo di Howe e del suo Crowdsourcing è stata quella di aver dato un nome al

fenomeno, oltre che ad una più completa ed articolata contribuzione al fenomeno

della partecipazione alla creazione come valore.

È doveroso citare questa teoria sempre nell’ottica delle tessere di un grande pazzle

che compongono il Crowdsourcing.

Il concetto di Intelligenza Collettiva precedentemente illustrato si concretizza a pieno

nella teoria “Wikonomica” elaborata dai due autori.

Andando per ordine, il termine può essere scomposto in due parti Wiki-Economics,

che letteralmente significa economia basata sulle tecnologie wiki. Wiki (termine

hawaiano che significa rapido e veloce) indica un software collaborativo o un sito

web che permette la partecipazione, utilizzazione e modifica libera da parte dei suoi

utilizzaztori, i cui contenuti sono sviluppati dagli utenti stessi (non a caso da qui

deriva la nota enciclopedia Wikipedia).

Il concetto dietro la teoria della “Wiconomics”, è un concetto che va oltre la

semplice aggregazione di contenuti, esso rappresenta la massificazione del principio

di condivisione e collaborazione su scala globale, applicato ai processi produttivi

come anche all’economia, alla politica, alla società in generale. In ottica futuristica

esso rappresenta il “fare business del XXI secolo”, un business che stravolge lo

status quo in azienda e reinventa i rapporti di gerarchia e priorità che per secoli

hanno prevalso nella società tutta.

Abbatte, nei suoi principi, il muro che divideva produttori e consumatori, aziende,

mercato e società, ripensando la proprietà intellettuale e brevettuale in maniera più

condivisa «basti pensare all’idea venuta ad un avvovato che gestisce il portafoglio

brevetti della IBM di aprire i brevetti alla peer review “revisione fra pari” dove, su

modello Open Source o Yahoo! Answers persone comuni revisionavano domane di

brevetto, e anche con un discreto successo, perché su 20 domande presentate 33.000

persone (trentatremila…..) esaminarono e trovarono 192 casi di “arte anteriore”, il

tutto spendendo 0 (zero)».

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La Wikinomics intravede in Internet e in ogni strumento in esso operante (chat,

forum, blog, community, email), un’arma di costruzione di massa, dove

consumatori, lavoratori, produttori, fornitori e concorrenti, creano valore insieme,

sfruttando appunto l’Intelligenza collettiva.

La teoria della Wikinomics è composta da quattro principi fondamentali:

- Apertura (permeabilità delle aziende verso gli stakeholder esterni, con

particolare riguardo ai contributi provenienti da questi).

- Peering (lo scambio e la collaborazione libera aperta a molti non è più visto

come un aspetto nocivo da evitare per l’azienda).

- Condivisione (diffondere e allo stesso tempo ricevere conoscenze preziose

per la propria innovazione permette di ridurre drasticamente i tempi e i costi

di realizzo).

- Azione globale (l’era delle aziende internettiane allarga i confini di azione e

di impatto delle stesse).

Ai quali vanno ad aggiungersi sette modelli di collaborazione di massa:

- Peer Production (modalità di produzione basata su comunità paritarie e auto-

organizzate).

- Ideagorà (come piazze virtuali di idee e soluzioni dove poter trovare e

commerciare questo bene intangibile).

- Prosumer (figura ibrida tra consumatore e produttore, è figlia delle

applicazioni web 2.0, che permettono un’interazione in tempo reale

dell’azienda con il mercato target).

- Nuovi Alessandrini (individui, aziende e organizzazioni che costantemente

arricchiscono di nuove conoscenze delle piattaforme digitali, per lo scambio e

la crescita comune).

- Piattaforme Partecipative (ecosistemi nati con l’intento di permettere lo

sviluppo di beni e servizi innovative attraverso la partecipazione

collaborative).

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- Catena di Montaggio Globale (l’espanzione orizzantale delle nuove imprese

gode dei vantaggi intrinsechi nella pluralità e nella diversità dei suoi

componeni).

- Wikimpresa (l’impresa 2.0 è sempre più dematerializzata. L’apporto dei

contributi e dei rapport interni è ubiquitario, immediato, automono,

divertente).

I principi e i modelli della Wikinomics non fanno altro che pronunciare la

ridondanza di questi con il mondo nel quale si sviluppa il fenomeno del

Crowdsourcing. Sottolineando il fatto che la Wikinomics è il punto di partenza di

una consapevolezza verso una mutazione della folla, del mercato, dei concorrenti e

delle opportunità da sfruttare. In sintesi; la collaborazione di massa sta mettendo in

discusione i modelli di business tradizionali

2.2 Come si sviluppa e perché

Non uno, ma un mix di elementi, al posto giusto al momento giusto, compongono il

perché e il come del successo del Crowdsourcing.

I punti qui descritti sono a mio avviso i nodi che compongono la rete del

Crowdsourcing, pertanto ho ritenuto più opportuno una loro singola elencazione.

• L’ascesa dell’amatore, ovvero colui che si diletta in un qualcosa non a tempo

pieno, il cui prodotto viene quindi chiamato amatoriale, è in questo caso il

carburante del Crowdsourcing.

Se volessi dare una definizione drastica quanto mai breve al Crowdsourcing direi che

questo fenomeno è niente di più niente di meno che; il frutto della capitalizzazione e

valorizzazione dei prodotti amatoriali. Il valore del Crowdsourcing sta nel fatto che

questo fa tesoro delle capacità extra che ogni persona possiede, capacità che molto

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spesso esulano dal lavoro quotidiano e che queste persone vogliono impiegare nei più

vari campi di interesse personale.

A riguardo ho già accennato nei paragrafi precendenti ma è sempre utile ricordare

che l’apporto della folla, degli amatoriali, è non sempre retribuito, ciò sottolinea la

spontaneità degli interessi di ogni persona per un qualcosa.

Mi preme quì far notare che il prodotto amatoriale non deve essere associato

all’ignorante, o alla bassa qualità. Quante volte sentiamo o conosciamo persone che

pur facendo tutt’altro nella vita, magari l’avvocato o il medico, eppure si

appassionano e contribuiscono a loro modo al mondo dell’astronomia, per citare un

esempio, o della scrittura… il mondo è pieno di bassa qualità è vero ma questa è altra

cosa, non dipende certo dal Crowdsourcing anzi, questo molto spesso fa da filtro

riconoscendo i contributi migliori (come in seguito spiegherò).

Il riscatto che stanno avendo i contributi amatoriali rappresenta oggi una una grande

fetta dell’economia mondiale, difficilmente quantificabile, basti pensare al valore di

Google, Youtube, Facebook, Ebay, Myspace, etc, che vivono di “user generated

content”. Ma cosa ancora più importante è che anche molte aziende che non siano

internet based si stanno affacciando al mercato dei contributi amatoriali, si pensi ad

esempio al mondo dell’informazione, con i giornali che pubblicano materiale

proveniente da non professionisti o anche della meccanica, mi viene in mente la

campagna di personalizzazione degli interni della Fiat 500, o ancora tutte le aziende

che si rivilgono ad InnoCentive (di cui si parlerà in seguito) per contributi alla ricerca

scientifica dal mondo amatoriale. Potrei citare centinaia di esempi per una lista

variegata di aziende di ogni settore, che aprono le porte ai non professionisti,

consapevoli del loro potenziale.

È chiaro che ciò che ha reso possibile tutto questo è stato senz’altro internet, non che

da questo dipenda in tutto e per tutto il Crowdsourcing ne ho già accennato, ma è

indubbio che questo ha contribuito ad innalzare il livello di istruzione e informazione

degli internauti, ad abbassare le barriere di ingresso oltre che avvicinare il mondo

amatoriale alle aziende. Internet ha ha certamente contribuito ad appiattire la

piramide gerarchica che per molti anni ha caratterizzato l’impresa “1.0”, ha permesso

di integrare in azienda un modello bottom-up affiancandolo al tradizionale top-down

classico.

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Alle imprese di oggi, ma non solo, conviene adottare una strategia pull, surclassando

quella push adottata per anni, non solo ascoltando cosa vuole il cliente in maniera

sempre più diretta, lasciandolo entrare nell’azienda ma addirittura offrire lui gli

strumenti perché possa fare da solo ciò che più gli piace.

Internet non ha inventato il Crowdsourcing, lo ha solo reso più efficiente!

Jeff Howe

• L’Open Source come modello è ciò che si percepisce leggendo tra le righe di

questo fenomeno. L’Open source, un software aperto a chiunque lo voglia vedere,

copiare, usare e migliorare, nato quasi per necessità nel lontano 1969, per contrastare

i sistemi proprietari, sviluppati da programmatori pagati profumatamente da aziende

come Microsoft, Sun microsystem ed Apple, ha avuto negli anni vari step come

Unix, Gnu e il ben più noto Linux (di cui in seguito tratterò).

L’Open Source è il frutto non di pochi contributi commissionati ex ante ma bensì ed

inaspettatamente (per i fondatori) di milioni di ore di programmazione messe a

disposizione da diversi programmatori sparsi in tutto il mondo che hanno "regalato"

il loro tempo ad una causa in cui credevano/credono.

Il risultato? Un modello sfociato in diversi sistemi operativi (Linux, Firefox,

Chrome, Kubuntu, Red Hut, solo per citarne alcuni) considerati tra i più

all’avanguardia oggi sul mercato, ed in continua evoluzione grazie all'apporto di

contributi.

Ebbene l’applicazione dei principi Open Source estesi in campi diversi dal software,

rappresenta il leitmotiv del fenomeno di qui sto trattando, il Crowdsourcing.

• Motivazioni e utilità sono indispensabili per innescare un processo ed alimentarlo,

figuriamoci per una azienda, a cui si chiede di abbandonare stereotipi operativi

costruiti avidamente per secoli e cambiare Business Strategy a favore della

permeabilità verso il "bidello consulente".

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Quì è bene fare una distinzione sostanziale tra le forze che motivano l'Azienda e

quelle rivolte invece al Crowd.

Per le prime, ossia le aziende, non mi riferisco solo alle ultime nate, quelle nell'era

internet, nate dalla rete stessa e quindi si potrebbe pensare più inclini a tale

fenomeno, no, qui mi riferisco a tutte le aziende, indipendentemente dalla grandezza,

geografia e settore di appartenenza. Le aziende che si avvicinano al Crowdsourcing

possono fare (e alcune già lo fanno) un valanga di soldi, non che questo sia il

vantaggio principale attenzione, ma quale impresa, no-profit a parte, intendere

esistere senza un profitto...

Prima di elencare i vantaggi per queste è bene dire perché questi vantaggi esistono.

Abbiamo detto che con il Crowdsourcing le imprese si rivolgono alle masse (crowd)

come sorgente di contributi (source), ora, una volta che le imprese affinano le

tecniche e si dotano degli strumenti per raccogliere quei contributi utili alla causa ed

efficaci soprattutto per un risultato di qualità, queste si troveranno tre le mani una

massa di creatività, talento, contenuti, ad un costo nettamente inferiore sostenuto per

avere la stessa quantità da un professionista o dipendente. Specialmente se tali

contributi alimentano la sezione R&S che sappiamo essere la più dispendiosa in

termini di tempo e risorse per le aziende.

Mentre prima le aziende cercavano la panacea nella manodopera a basso costo di

Cina, India e Vietnam, ora tale risorsa è ubiquitaria nel mondo, purché abbia una

connessione ad internet. Oserei dire che il "trucco" sta nello scovare, raccolgliere e

selezionare il talento latente di ogni persona dietro un computer.

Se a questo aggiungiamo che, nel mondo ci sono circa UN MILIARDO di persone

collegate ad internet (molto probabilmente già superato), si pensi al talento

potenziale raggiungibile per un’azienda.

E non finisce quì, perché quel miliardo non solo produce per te, contribuisce per te,

ma lo fa quasi gratuitamente, in breve tempo, quando ne hai bisogno e cosa ancor più

ambita da ogni azienda, il miliardo parla di te.

Ciò significa, tradotto in lingua aziendale; Risparmio di costi, Visibilità, Marketing

Virale, Word of mouth, Awareness!!!

Pensiamo cosa potrà accadere quando IL MILIARDO raddoppia o triplica…

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L’azienda avrà da tutto ciò dei netti vantaggi in termini di manodopera, essendo per

lo più questa “on demand” ovvero su richiesta e al momento in cui serve “just in

time”, evitando cosi deleteri rapporti contrattuali. La formula del Crowdsourcing

elimina anche i rischi di eccessiva dipendenza da una sola azienda “lock in” alla

quale si esternalizza il lavoro e permette di abbassare notevolmente il “time to

market” ed il “cost to market”, sempre per le peculiarita fin’ora descritte.

Per quanto attiene invece alle motivazioni che spingono la folla (Crowd) qui il

discorso si fa più velato, non essendovi un diretto vantaggio economico, salvo i casi

di remunerazione previsti per i vincitori, a spingere il Crowd ad azioni così

altruistiche.

Eppure qualcosa ci dev’essere mi sono chiesto, ed è emersa più di una risposta alla

mia domanda.

Si potrebbero suddividere le motivazioni in intrinseche ed estrinseche.

Le prime sono motivazioni personali della persona, spinte ad esempio dalla passione

per la causa, il divertimento che ne trae, o ancora la semplice curiosità, il senso di

appartenenza sociale, ricerca dell’autostima, sono diverse come è possibile notare

come diverse sono le persone che ne fanno parte.

Le seconde invece, quelle estrinseche, dipendono da un’utilità maggiormente legata

al risultato del contributo apportato, ad esempio potrebbe essere una ricompensa in

denaro, la reputazione che se ne ricava, mera piaggeria, o anche fruttuosa esperienza

per attività simili del quotidiano, insomma qualcosa che possa arrecare beneficio alla

persona una volta compiuto il gesto.

È possibile ulteriormente suddividere queste ed altre categorie di moventi sotto la

classificazione di motivazioni primarie e secondarie.

I fattori motivanti primari individuati in seguito a numerose ricerche sono:

- Il denaro. Comunque uno degli strumenti più utilizzati e catalizzanti per

stimolare interesse verso qualcosa. L’altra faccia della stessa medaglia è che

la somma prevista (stanziata dall’azienda) per catturare interesse sia

inadeguata per l’obiettivo qualitativo che si vorrebbe raggiungere in termini

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di contributi. Ovvero un budget “parsimonioso” rischia di limitare i contributi

a quelli più futili, inappropriati e dilettanteschi per la causa impedendo cosi

ogni possibile beneficio che l’azienda potrebbe ricevere come visto

precedentemente.

- La passione ed interesse per l’argomento. Ognuno di noi predilige

maggiormente delle cose ed altre in misura minore, ebbene un’azienda

dovrebbe puntare ad attirare quelle persone che per contingenze varie siano

interessate all’argomento per ricavarne dei contributi più efficaci al caso in

questione e cosa non da meno per garantirsi un’attenzione più longeva.

- Basse barriere all’ingresso. Molto spesso l’assenza o l’errata gestione di

opportuni canali di comunicazione con il target di comunità ideale è un

deterrente alla partecipazione. Se ad esempio un’azienda di videogiochi abbia

bisogno di sapere dai propri utenti (quindi un target in maggioranza di

giovane età) cosa e come modificare un prodotto e l’unico modo previsto è

l’iscrizione alla fan page aziendale dietro compenso annuale, perlopiù in

lingua nipponica o finlandese, è chiaro che questo per un utente di quel

target, magari di lingua inglese, rappresenta una barriera all’ingresso che lo

farebbe desistere a favore di aziende che gli danno la possibilità di

partecipare.

Un’altra forma di barriera all’ingresso potrebbe essere la richiesta di

contributi che oggettivamente non possono essere di dominio pubblico. Dare

all’utente una sensazione di possibilità sull’argomento è un forte motivo di

attivazione.

- Onestà. Fin qui si è detto che il Crowdsourcing è in larga parte contributi in

forma volontaria e gratuita da parte di molte persone. Non deve però questo

rivelarsi una furberia o sfruttamento da parte del crowdsourcer, la folla sa

riconoscere la disonestà ed evitare l’autore, con pesanti conseguenze in

termini di reputazione.

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Insieme a questi vi contribuiscono altri fattori motivazionali denominati secondari:

- Reputazione. L’utente che da tale partecipazione vedrà incrementato il

proprio status contributivo sarà motivato ad aumentare la frequenza e la

qualità dei propri interventi.

- Utilità. Come accennato in precedenza tanto maggiore è il ritorno per l’utente

tanto maggiore sarà l’impeto per questo affinché contribuisca alla causa.

- Divertimento. Essendo il Crowdsourcing come più volte descritto il frutto di

piccole ore del proprio tempo libero e di extra capacità personale, l’aspetto

soddisfacente e piacevole del contributo è un movente fondamentale.

- Libertà di luogo. Il Crowd contribuisce alla causa ovunque egli disponga di

una rete internet, nient’altro vincola la persona.

- Libertà di tempo. Come al punto sopra il contributo dipenderà non da orari

prestabiliti da contratto ma dalla disponibilità della persona.

- Facilità di uscita. Puo sembrare scontato ma spesso il lavoratore dipendente

non può scegliere liberamente tempi e modi per abbandonare un progetto se

legato ad esempio da forme contrattuali. In questo caso invece, qualsiasi sia

la sopravvenienza, anche fosse la discordanza con la causa del progetto, si

può liberamente uscire, per rientrare quando si vuole.

A conclusione del paragrafo appena descritto ritengo necessario che emerga un

aspetto fondamentale; quale che siano le motivazioni e le utilità che le parti ne

traggono, va tenuto presente che nulla è gratis, intendendo con ciò il fatto che

allestire strumenti per sfruttare il Crowdsourcing, o ancora attirare, creare e

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mantenere il Crowd attivo è ben più difficile di quello che si possa pensare, oltre al

costo che seppur relativamente minore è comunque presente, vi sono una serie di

responsabilità ed abilità in mancanza delle quali è facilmente decretabile il fallimento

del progetto.

Il Crowdsourcing non è per tutti se non si hanno ben chiare quale che siano le

prerogative per operare.

La folla, le comunità, il Crowd non ha bisogno di capi, non può essere governata,

semmai guidata. Il Crowd ha bisogno di stimoli.

Le aziende non devono chiedersi cosa possono avere dal Crowd, ma cosa loro

possono dare al Crowd.

• La democratizzazione della partecipazione è stata senz’altro un grande

trampolino per il Crowdsourcing. Prima internet, poi la sempre maggiore

penetrazione digitale e l’incessante avanzamento tecnologico, hanno alimentato

quello che prima era una nicchia insignificante di prodotti di bassa qualità cresciuta

sino ad occupare a mano a mano una posizione di universo parallelo e che oggi

comincia a collidere con il mondo dei professionisti.

Causa di questo è stato negli ultimi dieci anni l’abbassamento dei prezzi di

produzione, di distribuzione e degli strumenti, che ha dato la possibilità ad aspiranti

fotografi, registi, designer, giornalisti, scrittori, di assecondare quelli che

originariamente erano hobbies e passatempo, affinando sempre più tecniche e qualità

fino a concorrere con i prodotti frutto di professionisti. Sinergicamente a questo il

web 2.0 ha dato loro un mercato di sbocco per poter far vedere di cosa erano capaci.

Per dare un’idea basti pensare al passaggio drastico che in appena un decennio ha

portato una macchina fotografica digitale di livello professionale che negli anni ’90

costava circa 13.000 dollari, nel 2005 per la prima volta ha toccato quota 300 dollari,

cifra che chiunque appassionato di ceto medio può permettersi, o il passaggio da 1,5

milioni di dollari per acquistare strumenti per mixare musica a circa 500 dollari per

avere un risultato professionale, o il costo di un computer dieci anni fa dai 15.000

agli appena 1000 dollari di oggi, o ancora l’acquisto di software per l’impaginazione

grafica, le telecamere per la produzione di film, etc.

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Ovunque la tecnologia ha portato miglioramenti non ha fatto altro che abbassare

l’asticella che divideva il mondo d’elite dei professionisti dai non professionisti,

creando così nuove masse pronte a condividere la propria creatività con il mondo.

E anche se tale creatività passa come ogni altra legge di mercato attraverso la Regola

80/20 di Pareto secondo cui per ogni 100 prodotti l’80% e più sarebbero spazzatura

puerile e dilettantesca, vi è una quantità “il 20%” circa che ben sopperiscono alla

maggioranza. E ne sono la prova la quantità di video presenti in Youtube ad esempio,

che ha convinto Google nel 2006 ad acquistarla per la modica cifra di 1,65 miliardi

di dollari.

Una follia verrebbe da pensare, acquistare una sito dove vengono postati video

amatoriali gratis. Ma che cosa se ne fa Google?

Tutto fuorché follia invece, quello che ha acquistato Google non è tanto gli ingegneri

di Youtube o i video di per se, ma ha acquistato la comunità di gente, la folla, il

Crowd che ogni secondo da ogni parte del mondo passa di la, ha acquistato

l’attenzione. Oltre a Youtube potrei citare Facebook con un potenziale ancora

maggiore valutata oltre 15 miliardi di dollari, MySpace, Ebay, Wikipedia, Twitter,

Flickr, la lista è lunga, per non parlare di quelle che verranno, tutte società che come

valore hanno la comunità che ogni giorno passa per i loro siti.

• La diversità per quanto se ne pensi è il valore aggiunto che al di fuori del

Crowdsourcing le imprese non possono avere, ed è preziosissima. La diversità è un

bene tanto prezioso quanto difficile da mantenere.

Preziosa perché come osserva Scott Page in seguito a molti esperimenti da lui svolti,

le persone conformi a precisi comportamenti o modelli di studio ed analisi dei

problemi, siano essi persone di talento o meno, sono portati a ragionare in modi

simili e precostituiti senza lasciare spazio a logiche che prevedano punti di vista

differenti. Ciò limitando lo spettro di soluzioni possibili per problema.

È difficile da mantenere perché se da un lato la condivisione che avviene sui forum,

blog, community on line è preziosa per la crescita comune, allo stesso modo vi è il

rischio di una convergenza tra gli utenti, che avviene con il dibattito ed il confronto,

creando consenso, ovvero uguaglianza dei pensieri.

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La diversità rende prezioso il Crowdsourcing perché lo rende portatore di soluzioni,

nuovi punti di vista e spunti per nuovi prodotti che un’azienda rivolgendosi alla

solita cerchia di professionisti non ha.

Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce la scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela

per uno.

Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce la scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee.

George bernarde Shaw - Premio Nobel per la letteratura 1925

2.3 Crowdsourcing per chi e per cosa?

Si è fatto cenno in precedenza alla difficoltà di delimitare le funzioni del

Crowdsourcing, essendo questa una “disciplina” di recente emersione e quindi in

continuo mutamento ed ampliamento nei più diversi campi applicativi. Solo il tempo

ci dirà quanti e quali di questi rimarranno, perché effettivamente apportano un reale

vantaggio alternativo.

Quello che però è possibile fare è classificare l’attività frutto del Crowdsourcing così

come oggi è adoperato. Studiosi in materia distinguono tre macrocompiti, 1- per la

creazione di contenuti. 2- per lo svolgimento di attività di routine. 3- per l’apporto di

contributi creativi.

Vediamo ora più in dettaglio cosa si intende per ognuno di essi:

1- Il crowd è generatore e fornitore di contenuti, siano essi in forma video, foto,

scritta o audio.

Esempi in questo sono i contenuti presenti in piattaforme come Youtube,

Flickr, Pintirest, Etsy, Ebay, Facebook, Twitter, iStockphoto, Wikipedia,

Craiglist, solo per citarne alcuni tra i più noti.

Ma non mancano impieghi di contenuti user-generated anche in campi lontani

dal software e più quotidiani come il citizen-jounalism, dove amatori o

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freelance inviano materiale che entra a far parte della pubblicazione (cartacea

o digitale).

Come anche i contenuti con finalità informativa che il Crowd può fornire alle

aziende o al Crowd stesso attinenti ad un certo argomento. Mi vengono in

mente le recenzioni o valutazioni di alcuni prodotti/servizi da parte dei

fruitori (meglio noto come Crowdvoting), o i forum di assistenza e modalità

d’uso tra utenti.

Il contenuti in ogni caso possono essere valorizzati dall’azienda e “sfruttati”

economicamene per trarne dei profitti, siano essi derivanti da spazi

pubblicitarì o da percentuali su transazioni.

2- Le attività routinarie sono più presenti in un’azienda di quanto si possa

pensare, generando per molte di queste costi molto rilevanti per altro senza

alcun apporto di valore aggiunto che possa in qualche modo ammortizzare

tali costi.

Si pensi agli uffici in tutto il mondo che ogni giorno devono vagliare milioni

di richieste di brevettazione ripetendo per ognuna di esse gli stessi compiti,

alla ricerca di casi di anteriorità esistente, come già accennato nei paragrafi

precedenti, questa funzione potrebbe essere delegata alla folla, nella quale ci

sarà la persona adatta ed esperta nel dare giudizi in materia.

O anche l’ente addetto al controllo per la sicurezza e pulizia delle strade che

richiederebbe un numero di impiegati elevatissimo per segnalare ogni tipo di

infrazione o malfunzionamento che sia, quando invece potrebbe delegare tale

compito alla folla attraverso un apposito portale creato per raccolgliere le

segnalazioni in diretta.

In ogni caso in cui non è richiesta una particolare specializzazione o

applicazione creativa, ma soprattutto si abbisogna di tempo, e nel caso in cui

non si tratti di funzioni “sensibili” per l’azienda, il Crowdsourcing è un utile

strumento di aiuto.

3- I contributi creativi rappresentano la fetta dei contributi del Crowd che

meglio delle altre evidenziano il valore aggiunto di questo fenomeno. Se nelle

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prime due categorie non emerge (sbagliando) il potenziale del

Crowdsourcing, perché considerato come mera aggregazione di prodotti che

non per forza richiedano particolari doti creative o abilità tecniche,

nell’ultimo compito qui individuato invece emerge tutto l’impeto che sta

spingendo questo fenomeno all’attenzione del mercato.

Nel 2005 Eric Von Hippel pubblicò il testo “Democratizing Innovation” nel

quale dimostra come e perché i clienti stessero prendendo nelle loro mani il

processo di innovazione. Egli spiega che il fruitore sa meglio di tutti come e

cosa migliorare proprio perché esso stesso ne fa uso e perciò consapevole

delle performance che meglio lo soddisfarrebbero.

Tra gli esempi pratici che egli riporta vi è quello delle cinghie montate sulle

prime tavole da windsurf, frutto appunto dell’iniziativa di alcuni surfisti, e

subito dopo prodotte dalle stesse case produttrici di tavole.

Clay Shirky ha chiamato questo; downsourcing, ovvero il processo di

spostare verso valle, i clienti, il peso dell’innovazione.

La cosa a mio avviso affascinante di questo ultimo punto sulla creatività da

Crowdsourcing, è che essa può spaziare dalla mera opinione o consiglio a

vera e propria cogenerazione o cosviluppo di un prodotto/servizio (nota come

Crowdcreation). Il livello massimo di uso di tale creatività è la risoluzione di

problemi “complessi”, siano essi informatici, scientifici, medici, manageriali,

che l’azienda non è in grado di risolvere “insourcing”, internamente. Non è

un caso se proliferano progetti aziendali che mirano a questo.

Jeff Howe fa una suddivisione del Crowdsourcing da diversa angolazione che è

importante tenere presente per completezza di concetto.

Egli suddivide l’intelligenza collettiva in tre modelli;

1- Mercato delle previsioni o delle informazioni. Come un mercato azionario

degli investitori comuni comprano dei contratti agganciati a previsioni future,

siano esse l’assegnazione di un premio Oscar o la vittoria presidenziale.

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Secondo Howe in tale modello l’accuratezza del “valore” del fatto oggetto di

contratto è da ritenersi più accurata di un semplice sondaggio in quanto “gli

stupidi”, come egli chiama coloro che agiscono a caso, si guardano bene di

investire in una cosa della quale non hanno informazioni veritiere, cosa non

garantita nel semplice sondaggio.

Tra i più noti esempi a riguardo cito il caso dell’Iowa Electronic Markets

(Iem), nel quale si trovano quotazioni riguardanti le elezioni di paesi esteri,

variazioni dei prezzi delle azioni di Microsoft, future decisioni della Federal

Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti), insomma non proprio frivolezze

come ci si potrebbe aspettare. Molti sono i mercati, creati per ogni cosa,

Itrade, Policy Analysis market, l’Hollywood Stock Exchange ad esempio

fornisce previsioni degli incassi ai botteghini, molte sono le aziende che

consultano tali mercati per effettuare investimenti societari, procedere a

decisioni in ambiti come magazzino, obiettivi di vendita o capacità

manifatturiera.

Per capire in che modo tali mercati delle previsioni creati da “agenti” comuni

siano tenuti in considerazione riporto un recente esperimento condotto da

Hewlett-Packard (Hp) il noto colosso dell’elettronica che, a metà degli anni

novanta creò un mercato dei futures per prevedere le vendite di una serie di

prodotti Hp. Quello che stupì fu non solo il fatto che tali previsioni furono

affidate ai dipendenti, quindi gente comune senza conoscenze tecniche, e non

come vuole la prassi ad analisti e managers, ma ancor più sorprendente fu

che per sei degli otto prodotti soggetti a previsione, i dipendenti (la folla)

batté gli esperti.

Da allora Hp come molte altre aziende tra le quali vanno citate Google,

Microsoft, Goldman Sachs, Deutsche Bank si avvalgono del mercato delle

previsioni per condurre ricerche “aggiuntive” a quelle interne e mettere a

punto più accurate strategie aziendali.

2- Il secondo modello è il network per risolvere i problemi, o Crowdcasting,

qualcuno con un problema lo rende noto su speciali piattaforme dove

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community di esperti in vari campi tentano di risolverlo molto spesso dietro

ricche ricompense in denaro.

Tra gli esempi più noti vi sono InnoCentive, Netflix Prize, Nine Sigma,

Prize4life.

Il caso InnoCentive:

InnoCentive è una società nata nel 2001, il cui lancio venne finanziato

dall’azienda farmaceutica Ely Lilly, che permette sostanzialmente alle

aziende di esternalizzare il reparto R&S per risolvere casi ad hoc. Questa

piattaforma mette in contatto i seeker (le aziende che devono risolvere un

problema) con i solver (comunità online di ricercatori indipendenti, membri

della piattaforma, oggi stimati intorno ai duecentomila).

InnoCentive funge da intermediaro, per garantire al vincitore del concorso il

premio previsto e alle aziende l’anonimato, il titolo della proprietà

intellettuale che ne da diritto all’uso. Quello che fa sostanzialmente questa

piattaforma è di creare un ponte tra le aziende e le competenze di migliaia di

persone. Il premio in denaro che va dai diecimila ai centomila dollari rivela la

serietà dello scopo. I numeri parlano chiari, più del 30% dei problemi postati

su InnoCentive hanno trovato soluzione, con un risparmio per le aziende di

diversi milioni in R&S, e se ne sono rerse conto aziende come Boeing,

DuPont e Procter & Gamble tra i migliori clienti di queste piattaforme.

Un esempio di successo emblematico in tal senso rappresenta il problema

postato dal colosso dei prodotti per la cura ed igiene del corpo Colgate

Palmolive; questa aveva bisogno di un modo per iniettare polvere di fluoruro

in un tubetto di dentifricio senza disperderla nell’aria circostante. Per mesi

chimici e ricercatori interni hanno invano e con svariati finanziamenti a

disposizione, effettuato ricerche su ricerche. La soluzione la trovò uno

stavagante ingegnere elettrico canadese appena il tempo di finire di leggere

l’annuncio postato su InnoCentive: ovvero caricare elettricamente la polvere

e collegare a terra il tubetto con la massa, le particelle di fluoruro cariche

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positivamente sarebbero state attratte dal tubetto senza alcuna dispersione

rilevante. Questo procurò all’azienda un risultato positivo per diversi milioni

e per il solutore dieci minuti per venticinquemila dollari.

3- Il terzo ed ultimo modello individuato da Howe è denominato idea jam

“ressa di idee”, una concentrazione di idee online come fosse un grande

brainstorming, con sessioni che vanno da poche ore a giorni, quasi ad

assomigliare ad una cassetta dei suggerimenti.

La grande differenza con il modello precedente sta nel fatto che questo è più

aperto a qualsiasi proposta, non è inerente al caso da affrontare, e inoltre non

è frutto di un problema da risolvere, ma sono prodotte a prescindere.

Il caso Dell con il progetto IdeaStorm

Altro esempio di come le aziende sfruttano l’intelligenza collettiva è data dal

progetto del produttore di computer Dell. Questo progetto lanciato nel 2007

ha l’obiettivo di coinvolgere i clienti e catturare la loro intelligenza, come

afferma Michael Dell; «…Noi ascoltiamo, impariamo e quindi miglioriamo e

innoviamo in base a ciò che i nostri clienti vogliono…»

In questo caso Dell non deve risolvere alcun problema ma usa il Crowd per

innovare e trovare nuove idee, che vanno dal: equipaggiare i computer con

preinstallato Linux - proposta votata da trentamila utenti e poi

commercializzata da Dell - alla richiesta di più porte usb sul retro dei

computer.

Oltre al progetto Ideastorm, Dell ha creato anche Studio Dell, dove si

possono caricare e visionare video su come utilizzare al meglio i prodotti

Dell.

Il caso italiano Ducati

Anche in Italia si muove qualcosa in tal senso, è il caso della nota fabbrica di

motoveicoli protagonista nel mercato vendite e delle competizioni.

Ducati attraverso il “Tech Café” ha creato un forum dedicato allo scambio di

conoscenze tecniche, idee per la personalizzazione delle moto, ma anche un

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luogo dove i ducatisti forniscono suggerimenti per il migliramento dei

prodotti. Non solo un luogo dove scambiarsi le conoscenze tecniche e aiutarsi

reciprocamente (cosa che ha ridotto le chiamate ai call center della società

visto l’aiuto reciproco nella soluzione di problemi), ma anche uno strumento

di conoscenza del “fan” delle sue esigenze oltre che uno strumento di

fidelizzazione grazie alla raccolta dei feedback.

Uscendo dalle classificazioni, utili a individuare quei macrocompiti per i quali sino a

oggi il Crowdsourcing si è rivelato utile, vi sono una moltitudine di ruoli svolti in

Crowdsourcing, siano essi per aziende, per la public governance o sociali, alcuni

sono stati accennati nel corso dell’elaborato, qui riporto alcuni casi che è interessante

elencare.

Il Crowd come detto più volte puo essere “usato” per differenti scopi, ad esempio; tra

i più interessanti esso può fornire notizie e informazioni in tempo reale da tutto il

mondo, ed è ciò di qui si avvalgono alcuni siti metereologici, notiziari informativi

come Rai con Citizen report, France 24 con The Observer, la CNN con IReport, o

anche software per la navigazione satellitare come Waze, che si aggiorna

continuamente sui dati forniti da altri utenti.

Tra le altre funzioni esso è molto utile come filtro collaborativo per le aziende che

devono analizzare una grande massa di dati, infatti la folla con appositi strumenti che

possono essere i semplic tag, o mi piace può selezionare il bello, il buono e il

rilevante, tra il tutto.

Il Crowd si sta ritagliando una fetta di spazio sempre maggiore per il citizen-

journalism (molti report di denuncia provengono da qui), come anche in ambito

crativo community based design.

È efficace nel passaparola digitale, nella distribuzione, nella creazione di spot

pubblicitari (la campagna pubblicitaria trasmessa al SuperBowl del 2011 per il

marchio di patatone Doritos è stata creata tramite concorso dai fan), analisi politiche,

scrivere copioni, libri, recensire ogni cosa. Basta saperla invogliare.

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2.4 Requisiti per il Crowdsourcing

Per quanto il Crowdsourcing lasci ampia discrezionalità da ambodue i lati,

crowdsourcer-folla, non deve venir meno il rispetto di requisiti basilari, omnivalenti

per tutti i tipi di progetti, per ottenere dal Crowd un reale valore aggiunto. Qui di

seguito vengono riportate le regole:

• Scegliere il modello giusto. In base alla finalità delle intenzioni. Problem Solving,

Decision Making, CoCreation, CoFinanziamento, richedono ognuno approcci

personalizzati.

• Scegliere la folla giusta. È vero, abbiamo detto che la folla è per tutto, è per tutti, è

ubiquitaria, c’è in qualsiasi momento, ma ciò non significa che tutta la folla è sempre

indispensabile. Se un’azienda che produce pannoloni da bambino apre un forum per

raccogliere feedback utili, di certo non avrà bisogno di attirarea se una folla

interessata al giardinaggio.

• Scegliere i giusti incentivi, serve a selezionare in partenza la qualità e la quantità di

contributi. Vi sono diversi metodi di incentivi: non remunerativi, con remunerazione

competitiva, con markup sulle vendite, per ore lavorative o remunerazione minima.

Senza dimenticare che attrarre la folla non significa garantirsi di conservarla in

eterno.

• Semplificare e spezzettare il compito da svolgere è prerequisito per ottenere il

tempo e le capacità in eccesso del Crowd.

• Indirizzare la folla. Non pensare di lasciare al Crowd tutto di tutto, ne verrebbe

fuori il caos. Un leader morale è indispensabile per incanalare nella giusta direzione

il pathos del Crowd.

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2.5 Criticità del fenomeno

Questo paragrafo si può considerare conclusivo del fenomeno fino ad ora analizzato,

in quanto argomenta circa le critiche mosse in ambito etico, sociale ed economico da

nuovi e vecchi esegeti in materia, sul fenomeno del Crowdsourcing.

Entrando nel dettaglio delle critiche esse riguardano sia ed in particolar modo il

Crowd, ovvero il lavoratore, inteso nella funzione da esso svolta, sia l’azienda che ad

esso si rivolge. Tra le prime, più aspre e frequenti critiche ascrivibili a riguardo vi è

quella dello sfruttamento del lavorotare, per l’apporto di tempo e contenuti di questo,

che nella stragrande maggioranza non prevede alcuna ricompensa (monetaria e non)

e quando prevista è di ammontare insufficiente a ripagarne gli sforzi e la qualità. In

tal senso il Crowdsourcing viene accostato al più spietato dei modelli capitalistici,

dove l’azienda si appropria del lavoro extra dei lavoratori senza una giusta

ricompensa. Inoltre il modello è accusato di garantire al crowdsourcer una mole di

contributi, per i quali esso inizialmente ricompensa il migliore, ma che in tempi

futuri, con appositi contratti che le trasferiscono il diritto di proprietà, potrà

modificare e riutilizzare liberamente, a costo praticamente nullo.

Il Crowdsourcing è accusato inoltre di non essere realmente alla portata di tutti, la

causa è l’impossibilità di alcuni “lavoratori” di dedicarsi interamente ad esso se privi

di un’entrata costante, vista la sua durata ad intermittenza, ed inoltre a causa del

digital divide, che imperversa ancora nel mondo, soprattutto nelle aree dei paesi in

via di sviluppo, comprimendo così quella “diversità” che andrebbe invece garantita

come punto di forza.

Cosi come rischioso per il lavoratore (secondo tali correnti), allo stesso modo

rappresenta un rischio per l’azienda.

Infatti gli “studiosi” mettono in guardia le stesse dall’uso del Crowdsourcing in

quanto portatore di risultati miseri e di bassa qualità. L’azienda non solo rischia di

perdere personale qualificato dipendente, ma lo fa a fronte di lavoratori dei quali non

si conosce ex-ante le competenze ne le intenzioni, con il rischio (secondo alcuni),

non del tutto remoto, di sabotaggio volontario da parte di competitors.

Inoltre le aziende non potrebbero con tale modello di sviluppo, tenere protetti da

segreto i loro sviluppi, ne tanto meno le aree o l’oggetto per le quali si richide

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“aiuto”, non essendovi un rapporto di dipendenza con chi apporta contenuti e

sviluppi e quindi alcun contratto che ne tuteli la riservatezza. Quello che le aziende

rischiano di perdere è soprattutto il know-how che si genera in azienda quando un

progetto viene sviluppato internamente per tramite del learning by doing dei propri

progettisti, sempre per la mancanza di “continuum” con il lavoratore.

Il Crowdsourcing garantisce qualità dei risultati tanto maggiore è la folla, il suo

“spessore”, in modo da produrre delle ridondanze dei contributi segno di

autoselezione del buono.

Il fatto di avere una folla però non è così scontato come sembra, innazitutto perché la

folla deve coesistere, ovvero aggregarsi per numero e contributi, ma mantenere allo

stesso tempo l’individualità del singolo, altrimenti verrebbe meno la diversità per

l’omogeneità, ed inoltre perché “avere” una folla significa avere ben spacchettato il

lavoro (come spiegato in precedenza), attirato i curiosi, trovato il giusto stimolo, ma

soprattutto avere a disposizione un numero sufficiente di competenze in merito, cosa

non semplice, non di rado molte proposte in Crowdsourcing vanno evase per

mancanza di Crowd sufficiente a garantirne l’efficacia. La causa di questo potrebbe

essere lo scarso interesse in merito, le barriere linguistiche o tecniche, e soprattutto le

ricompense.

Quale di queste critiche sia vera non sta a me stabilirlo, solo il tempo darà i suoi

frutti, di sicuro c’è che sempre di nuove ne usciranno. Nel frattempo però, le ricerche

e i sondaggi svolte sugli utilizzatori del Crowdsourcing (aziende-folla) fanno

emergere un risultato tutto positivo, dove i benefici superano notevolmente le

inconvenienze, dove le opportunità e la flessibiltà offerte da tale modello sono

un’assoluta novità. Forse è per questo che abbiamo bisogno di tempo, per

sedimentare i cambiamenti in atto.

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2.6 Casi di successo

Threadless:

Quest’idea è davvero originale e interessante, è rivolta a chi ama il disegno e ha tante

idee che desidera condividere con gli altri. Nello specifico si tratta di realizzare

slogan e figure che verranno poi poste sulle magliette del noto marchio. L’utente non

ha bisogno di attrezzature particolari, stampanti e quant’altro per stampare le t-shirt,

e inoltre non deve creare una propria società, può semplicemente sfruttare il marchio

Threadless, che permetterà di esprimere e forse realizzare le proprie idee, con il suo

sito ultrafamoso nel panorama delle magliette personalizzate.

Threadless è un marchio giovane, si tratta di una vera e propria comunità on line, che

nasce a Chicago nel 2000, e che negli anni ha riscosso un notevole successo.

Sostanzialmente è una piattaforma dedicata per creare t-shirt online dove si

possono inviare e votare i design delle t-shirts. Come recita la fanpage italiana:

“Threadless è un sito basato sul concetto di “community” che produce e stampa T-

Shirts create e scelte da TE!”.

Tutti i design stampati su Threadless vengono votati e scelti dalla community. Gli

utenti presentano i propri lavori, che vengono poi votati dalle altre persone entro un

periodo di massimo 7 giorni. Passati i 7 giorni il design riceve un punteggio da 0 a 5,

che viene utilizzato come indicatore per decidere cosa inserire in catalogo.

Quando si sceglie un design per la stampa, il proprietario cede i diritti esclusivi a

Threadless per la creazione delle magliette. Ogni designer viene rimborsato in questi

termini:

- 2000 dollari in contanti;

- 500 dollari come Buono regalo da usare sui siti della famiglia SkinnyCorp; che

possono diventare 200 dollari in contanti.

- inoltre, si riceverà un pagamento di 500 dollari ogni volta che il design verrà

ristampato (con alcune eccezioni).

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L’originalità di questo sito non è tanto nel realizzare magliette con frasi efficaci e

disegni nuovi, ma nel consentire a persone comuni di farlo.

Istockphoto:

iStockphoto è un fornitore on-line di fotografie royalty free (talvolta anche

erroneamente indicate come "esenti da diritti d'autore") che opera secondo il modello

di micro-pagamenti. Il costo delle immagini varia infatti, a seconda della dimensione

di queste, da un minimo di 1 dollaro ad un massimo di svariate centinaia di dollari

con un sistema di pagamento basato su crediti.

iStockphoto è stato fondato da Bruce Livingstone nell'aprile del 2000 ed è stato

acquistato nel febbraio 2006 da Getty Images.

Funziona con un sistema che permette (all’acquirente) di caricare sul proprio account

un certo numero di crediti e di utilizzarli per acquistare fotografie, illustrazioni

vettoriali, filmati video, tracce audio ed animazioni flash tra quelle presenti sul sito.

Un credito corrisponde a circa 1 euro.

Prima di poter vendere le proprie fotografie gli utenti-fotografi devono rispondere ad

un questionario on-line su alcune domande riguardanti le regole del sito, qualche

conoscenza base di fotografia ed alcune questioni legali. Passato il primo test, è

possibile inviare alcune fotografie di prova che saranno valutate secondo criteri di

qualità ed idoneità prima di essere approvate. Una volta approvate, il fotografo può

iniziare a caricare sul sito e vendere le proprie foto.

Usando un modello basato sui micro-pagamenti per la fotografia di stock, i siti di

fotografia micro-stock rappresentano una minaccia al vecchio e ben radicato mercato

della fotografia stock tradizionale. Questa è infatti stata per lungo tempo un mercato

di élite accessibile a pochi e con prezzi elevati.

Le commissioni di iStockphoto vanno dal 15% al 20% per un fotografo normale (15-

20% all'autore e 80-85% ad Istockphoto) e dal 25% al 45% per un fotografo che

firma un accordo di esclusiva. Sono compensi di acquisto più bassi comparati con

quelli delle agenzie di stock tradizionali ma bisogna comunque ricordare che le

fotografie presenti su iStockphoto sono immagini che vengono vendute diverse volte,

pertanto non garantendo l'esclusività dell'utilizzo, possono avere alti rendimenti per i

fotografi pur avendo prezzi moderati per gli utilizzatori. Un fotografo di talento,

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vendendo le proprie foto su iStockphoto, può arrivare a guadagnare circa 70.000

dollari l'anno.

Anche qui siamo difronte ad prodotto utilizzato e rivenduto da un’azienda, in questo

caso Istockphoto, ma costuito essenzialmente da contrubuti degli utenti, non per

forsa professionisti.

Zoopa:

Costituita nel 2007, è leader nel mercato del social ADV con oltre 100 brand famosi

e 150 contest. È presente negli USA, Brasile e Italia. Zooppa nasce dall'idea di

offrire uno spazio per la pubblicità realizzata attraverso contenuti realizzati dagli

utenti.

È legata ad un modello di business in cui persone e aziende entrano in contatto in un

contesto virale basato sulla creatività e sul riconoscimento di una somma di denaro

variabile per i contenuti autoprodotti. Questo significa incentivare il talento creativo

di tutti coloro che solitamente non hanno voce in capitolo nel mondo tradizionale

della pubblicità.

Zooppa è una start up incubata da H-Farm, centro per la ricerca e l'innovazione nel

campo delle tecnologie e dei nuovi media, situato vicino a Venezia. Lavora con

aziende a livello nazionale e internazionale, interessate a sponsorizzare i loro marchi

attraverso le gare che periodicamente vengono lanciate sul sito. Sulla base delle

indicazioni fornite dalle aziende committenti, gli utenti sono invitati a creare

pubblicità per marchi o prodotti delle aziende in questione. Gli utenti registrati

possono partecipare con diversi tipi di contributi: scrivere un'idea o una breve

sceneggiatura per una potenziale pubblicità, realizzare delle pagine grafiche o dei

banner con il logo dell'azienda e un pay off, registrare degli spot radiofonici,

produrre un'animazione o girare un video vero e proprio.

Per ogni società con cui Zooppa stipula un accordo commerciale, viene lanciata una

nuova gara per gli utenti, che sono anche incoraggiati a postare i propri contributi per

concorrere alla vincita dei premi in palio. Una volta che gli utenti hanno caricato i

loro contributi, sta alla community decretare i vincitori di ogni gara. Gli utenti

registrati, dunque, votano e, sulla base delle loro preferenze, Zooppa assegna loro

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premi in denaro.

Zooppa è dunque un nuovo modello di pubblicità fondata su Internet e sulla sua

capacità di mettere in relazione persone da ogni parte del mondo.

Inoltre, il progetto di Zooppa prevede anche un'altra attività: laddove, infatti, le

aziende che sponsorizzano le gare vogliano utilizzare i materiali postati sul sito per

sfruttarli come campagne pubblicitarie su altri mezzi, Zooppa svolge il ruolo di

intermediario tra gli autori dei contenuti e le aziende stesse. Così facendo, Zooppa

assicura un range di prezzo da un valore minimo a uno massimo, all'interno del quale

far incontrare gli interessi degli utenti e delle aziende.

Le aziende affidano a Zooppa le loro campagne pubblicitarie e gli utenti iscritti sono

messi in competizione tra loro per vincere premi in denaro. La community di Zooppa

è formata da più di 100.000 utenti e cresce giorno dopo giorno.

Su Zooppa ci sono diverse gare creative sponsorizzate da famosi brand. I brand

lanciano un brief e mettono in palio un montepremi. Si può guadagnare denaro, dare

visibilità al proprio portfolio, incontrare altri creativi, ottenere feedback sui propri

lavori e trovare interessanti contatti. Non c'è limite al numero di contributi che si

possono caricare. É possibile votare e commentare tutti i lavori in gara.

Ci sono diverse possibilità per vincere:

• Giuria: il brand valuta tutti i contributi e sceglie a chi assegnare i suoi

Company Prizes. Può inoltre scegliere di utilizzare i migliori contributi per

l'off–line riconoscendo una ulteriore ricompensa agli autori. Anche Zooppa

assegna i propri premi, scelti dallo staff.

• Voto: la community vota i suoi preferiti e decide così i Community Prizes.

Più voti ottiene un lavoro, più alto salirà in classifica. Fino ad ora sono stati

assegnati più di 550.000 dollari.

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CAPITOLO TERZO 3.1 Il Crowdfunding. Un fenomeno work-in-progress Ad oggi dare una definizione esaustiva del Crowdfunding è quantomeno azzardato se

non impossibile. Il perché è molto semplice, ed è per il fatto che tale fenomeno é

troppo recente per aver consolidato usi, forme e una disciplina che lo inquadri nelle

varie legislazioni nazionali. Tutto ciò è quello che sta avvenendo proprio in questi

giorni in tutto il mondo, ossia emergono continuamente nuovi ed efficaci usi del

fenomeno, forme per operare nei più diversi contesti e, soprattutto, concertazioni tra i

policy makers nazionali e mondiali per una urgente legislazione, per un fenomeno,

che ha colto di sorpresa persino i più progressisti, per i tempi e i feedback ottenuti

dal mercato.

Detto ciò, quello che questo lavoro vuole fare, è presentare il fenomeno così come

oggi appare, definendone le caratteristiche, le funzioni, i modelli operativi, gli attori

che lo compongono, i vantaggi ed i possibili sviluppi, senza presunzione di

compiutezza.

Il primo passo da fare in tal senso è soffermarci sulla parola “Crowdfunding”, la

quale potrebbe suonare familiare, ed infatti lo è, perché il Crowdfunding “mangia”

dallo stesso piatto del Crowdsourcing, solo che in questo caso i contributi che

derivano dalla folla non hanno carattere di idee, opinioni, materiale digitale o

problem solving, ma bensì soldi, finanziamenti, sostegno.

Il Crowdfunding non è altro che la declinazione finanziaria del Crowdsourcing, tutto

qua, con le sue specificità, le piattaforme dedicate, gli attori e gli scopi

personalizzati.

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Il Crowdfunding, letteralmente “finanziamento dalla folla”, consiste nel raccogliere

fondi, somme di varia entità (generalmente micro), per essere poi adoperati su singoli

progetti, aree di business e startup.

Questi fondi pur avendo diverse finalità; finanziamenti, donazioni, prestiti e

investimenti (come meglio spiegato in seguito), hanno in comune molti aspetti:

• Primo fra tutti, lo strumento di raccolta, che è per tutti Internet. É solo con

l’avvento di Internet infatti e delle Web e Mobile based Application e Social

Network, che la funzione di raccolta di fondi collettiva “già esistente da secoli”, ha

avuto lo slancio planetario e la penetrazione che le ha permettessero di guadagnarsi

l’attenzione necessaria ad ottenere un bacino d’utenza che non fosse solo elitario, per

i soliti, pochi operatori e/o finanziatori istituzionali.

Internet ha democratizzato la partecipazione attiva al substrato economico, ha

veicolato verso questo l’informazione, abilitandolo a ruolo attivo, di primo piano e in

concorrenza con lo strato superiore, composto da chi dispone solitamente di soldi e

potere decisionale.

• Il secondo punto che caratterizza il Crowdfunding, in ogni sua forma, è il suo

bacino d’utenza, la fonte apportatrice di sostegno, il pubblico al quale si rivolge. Il

mercato di cui si parla qui è composto come detto in precedenza dal substrato, da

privati, da persone comuni, dall’economia reale e non finanziaria (come avviene nei

canali tradizionali di raccolta fondi). Da qui il nome alla pratica “attingere dal basso”

per i propri scopi, che ne fanno il cavallo di battaglia.

• Il Crowdfunding fa leva sul concetto di long tail (coda lunga), espressione coniata

da Chris Anderson in un articolo su Wired nel 2004, oggi usata in molti campi

economici e commerciali per spiegare come oltre alla porzione ad alta intensità e

frequenza di un un mercato target (rappresentata in senso verticale su di un piano

cartesiano con il nome di Importo dei Finanziamenti) da sempre ambita da ogni

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impresa, esiste in un continuum con questa, una porzione di mercato che scema per

frequenza ed intensita ma che offre lo stesso valore commerciale della prima

(rappresentato in senso orizzontale su di un piano cartesiano con il nome di Numero

dei Finanziatori) ottenuto grazie alla somma del restante mercato, tralasciato dai

leader, moltiplicato l’ampiezza dello stesso.

Quello che ne esce fuori è un mercato di altrettanto valore (spesso superiore), che

molte imprese cominciano a prendere in considerazione traendone ottimi profitti.

Tradotto per il Crowdfunding signica che piccole somme ottenute da un grande

numero di finanziatori possono realizzare quello che grandi somme provenienti da

pochi finanziatori non possono (o non vogliono) realizzare.

fonte: elaborazione personale

Sforza Simone

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La commistione dei punti sopra citati ha permesso in sostanza di abbassare le

barriere all’ingresso a chiunque ne voglia far parte. Cosi come per il Crowdsourcing,

dove chiunque può aspirare a contribuire con articoli di giornali, fotografie,

invenzioni e soluzioni, anche nel Crowdfunding chiunque ha le porte aperte alla

finanza, o, visto da un punto di vista semplicistico, ha la possibilità di dare il suo

piccolo sostegno allo sviluppo sociale.

Un esempio tangibile di come queste barriere si siano abbassate, per favorire la

partecipazione di massa, sono le diverse soglie di importi in denaro stabiliti dal

fundraiser (cosi chiamato per intendere sia il singolo imprenditore come anche

l’organizzazione nel suo intero che cerca di sostenere nuovi business) per permettere

ad ogni funder (termine che accomuna, senza distinzione, chi finanzia un progetto o

una startup) di poter “partecipare” alla causa anche con cinque euro.

3.2 A chi serve e perché?

Brutalemnente mi verrebbe da rispondere a questo quesito (da me posto per

agevolare la comprensione del fenomeno a chi si dovesse imbattere in questa lettura)

con un motto, «per tutti e per tutto», intendendo con ciò che il Crowdfunding non fa

distinzione (ed è questa la peculiarità che più di tutte lo distingue) di scopo o

soggetto (sia esso fisico o giuridico).

Ma, dovendo sovvenire alle istintive intenzioni e spersonalizzandomi dal tema, di

seguito riporto i casi che meglio rispondono al tema per il quale questo paragrafo è

stato pensato.

Il Crowdfunding, con la pratica del pooling di risorse finanziarie da esso svolta,

necessariamente crea un link tra chi queste risorse le versa e chi le raccoglie a sua

richiesta, questo ha dato vita a tre “nuove” figure attive in questo campo; nuovi

imprenditori, nuovi investitori e nuovi intermediari (quest’ultimo trattato nel

paragrafo delle piattaforme digitali per il Crowdfunding).

Quale che sia il lato in cui operano i diversi attori, come di seguito spiegato, ognuno

di essi trae dei “benefit” dal Crowdfunding.

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• Nuovi imprenditori

Questo è a mio avviso il primo “prodotto” del Crowdfunding, quello che meglio di

tutti lo caratterizza e che più di tutti ne ha favorito l’evoluzione fino ad ora.

Esso, mi concedo di dire, è figlio e padre allo stesso tempo del fenomeno, che in

origine null’altro era che non necessità, poi divenuta opprtunità.

Il core del fenomeno sta nel fatto di offrire la possibilità a molti imprenditori,

neoimprenditori o aspiranti tali, ad organizzazioni già esistenti o in fase di startup, di

raccogliere dalla folla non solo denaro, che rappresenta “solamente” la punta

dell’iceberg, ma anche idee, risorse di ogni genere, informazioni, knowhow tecnico,

validazione alla propria idea, sfruttando anche quì, come nel Crowdsourcing la

“saggezza della folla”. Per trasformare il tutto in realtà di prodotto, voluta dal

mercato stesso.

Il Crowdfunding racchiude in se il potenziale di un vasto insieme di tecniche

manageriali e di marketing necessarie all’avvio (non al successo) di un progetto

quali: ricerche di mercato, segmentazione, raccolta ed analisi dei feedback,

interazione con consumatore, CRM, azioni di word-of-mouth, pricing, il tutto non

solo senza oneri accessori (salvo quelli di una buona ed impregnativa campagna in

CF) ma ad un costo totale generale prossimo allo “zero”.

Il tutto deriva dal fatto che sovente il finanziatore/sostenitore è anche il primo

consumatore finale, come è anche parte interessata al successo della causa

(giocoforza), attivando così, di sua iniziativa, tutte le proprie reti sociali e network

(in aggiunta a quelle del fundraiser) utili a sostenere qualcosa in cui lui crede ed ha

finanziato, allargando in tal modo ulteriormente la base dei finanziatori/consumatori.

Il tutto, moltiplicato il numero di sostenitori per ogni round di finanziamento

richiesto (che non si esclude possa essre più di uno).

Ma non è fnita quì, perché il funder (inteso come Crowd, insieme di finaziatori), in

contatto diretto con il fundraiser dal momento del finanziamento, interagisce con

esso e con esso si confronta, ad esempio per possibili sviluppi ulteriori del prodotto,

inoltre, direttamente o indirettamente segnala (tramite anche la piattaforma) i progetti

più interessanti, quanto è disposto a finanziare per progetti simili, i tipi di sostegno

preferito, i tempi per completare un finaziamento, etc.

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Tra gli innumerevoli vantaggi per il fundraiser, il più degno di nota, se non altro

perché rappresenta il primo scoglio da superare per una nuova idea, è la possibilita di

arrivare ai fondi, bypassando così i tradizionali canali di finanziamento molto spesso

refrattari alle nuove idee, specialmente in periodi di credit crunch come quello a qui

assistiamo in questi ultimi anni a causa di istabilità economiche, o alle mancate

chance di incontrare i favori di Angel Investor o Venture Capitalist, lontani molto

spesso, sia in senso geografico che di interessi, dalle PMI, che più di tutte ne

avrebbero bisogno e andrebbero salvarguardate, perché rappresentano il 90% del

tessuto imprenditriale Italiano ed Europeo e la conseguente incidenza occupazionale.

(Per completezza sarà approfondito il concetto dei canali di finanziamento nel

paragrafo prossimo)

Va sottolineata l’importanza di questo punto, in quanto è vitale per un paese, creare i

presupposti e le infrastrutture (fisiche e digitali) che agevolino le persone a liberare

la creatività e non ad ignorarla o peggio ancora a contrastarla, come avviene molto

spesso con le maglie della burocrazia, o la solitudine nella quale vengono lasciati

molti imprenditori.

L’imprendorialità, è il germe che favorisce la creazione di posti di lavoro sempre

nuovi, stimola le innovazioni, arricchendo la società tutta.

Questi ed altri valori, cruciali per la competitività di un paese, per il benessere

sociale, per lo sviluppo economico, sono racchiusi in ogni imprenditore.

• Nuovi Investitori

In questo secondo caso il Crowdfunding rappresenta per il funder, «causa le stesse

instabilità», alternative di investimento a breve o medio termine, che ne permette una

efficace diversificazione dei portafogli investimenti, sapendo perfettamente (avendo

un ruolo attivo di gestione dei propri soldi) a chi e per cosa si cede il proprio denaro

e per quanto tempo, avendo contatti diretti e continui con il destinatario del

finanziamento, cosa non certo possibile con i soldi giacenti sui conti correnti o

investiti in chi sa quali fondi propinati da agenti.

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Non solo, anzi raramente direi, il funder sostiene un progetto con il fine di ritorni

economici, spesso è mosso da spinte emozionali, senso di appartenezza ad un’idea,

progetto o business, per sentirsi parte motrice che ne ha permesso lo sviluppo, o

anche semplicemente per conoscenze personali (del fundraiser o tecniche del

progetto), per questioni puramente geografiche, sostenendo un’iniziativa che apporti

valore e lavoro ad un territorio, perché intravede un interesse personale o valori ad

esso comuni, magari con finalità sociali, come anche, potrebbe essere spinto da una

percezione di richio minore e quindi un azzardo misurato.

Quest’ultima frase, fa da spartiacque al concetto chiave che segue; perché la figura

del funder, ovvero colui che finanzia e sostiene un fundraiser, che sia per

investimento per donazione o altro, non è necessariamente colui (persona o

organizzazione) che lo fa di professione e/o dispone di buonissima liquidità, fattore

che è selettivo nei casi di BA e VC, ma al contrario, come si ha avuto modo di capire

quì sopra, chiunque può “azzardare” con somme modestissime a finanziare tramite

Crowdfunding, qualsiasi siano le finalità.

La differenza nella finalità del sostegno è comunque decisa ex ante dal funder a

seconda delle piataforme e dei modelli di Crowdfunding esistenti scelti dallo stesso

come intermediari, ognuna, con scopo differente (trattate in seguito nel paragrafo sui

Tipi di Crowfunding).

Allo stesso modo, le aziende più attente, monitorando scrupolosamente le

piattaforme e i progetti in essi proposti, dispongono di informazioni puntuali che le

permettono di individuare le aree di investimento più “apprezzate” dal mercato,

tramite i progetti finanziati, potendo così anch’esse investire in produzioni

“alternative” all’idea. Ne è un esempio a riguardo, la prossima uscita, su scala

mondiale, degli smartwatch da polso per due colossi dell’elettronica (ed altri ne

seguiranno in seguito), ricordando che nel 2012, fu proprio un progetto di uno

smartwatch a raggiungere la straordinaria cifra di 10.266.845 $ raccolti sulla

piattaforma Kickstarter.

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• L’intermediario

La terza figura, fondamentale nel contesto operativo che si è creato è l’intermediario,

piattaforma digitale, la quale funge da ponte di collegamento tra il Crowd e

l’imprenditore, affianca chi ricerca fondi nella creazione di campagne idonee allo

scopo e allo stesso tempo accattivanti per raccogliere sostegno ed opera come figura

professionale nel diffondere fiducia all’investitore, che crede nel progetto scelto e

vorrebbe avere tutte le informazioni necessarie per sostenerlo.

Tale figura sarà trattato singolarmente nel paragrafo sulle Piattaforme digitali per il

Crowdfunding.

In conclusione aggiungo che; il fascino del Crowdfunding non si ferma a quanto sino

ad ora detto, alla mera funzione di canale di raccolta fondi alternativo alle banche per

finanziare progetti o imprese che abbiano finalità di generare profitto, il

Crowdfunding va ben oltre questo, sarebbe troppo semplice circoscriverlo a funzione

precisa, etichettarlo e dotarlo di un direttore che decida chi e cosa finanziare e a

quale prezzo, come avviene in ogni altro canale. Il finanziamenro tramite la folla,

così come può essere richiesto da chiunque può essere richiesto per qualunque cosa,

che va dal piccolo sostegno economico per rifare il tetto o costruire la serra, alla

richiesta di fondi per scrivere un libro, girare un corto, prodursi la musica, andare in

vacanza, fino a scopi ben più nobili ma comunque no-profit come il sostegno

finanziario richiesto da alcune fondazioni o enti per restaurare o comperare opera

d’arte (il Louvre, ad esempio, ha utilizzato il crowdfunding per acquistare “Le tre

grazie” di Cranach da un collezionista privato (Campagna “Tous Mecenes” allo

scopo di raccogliere 1 milione di euro attraverso le donazioni delle web community)

o sostenere eventi culturali, o meglio ancora (e qui entra in gioco la reattività dello

Stato nel promuovere ed usare trasparenza e giudizio), può essere usato per chiamare

i cittadini a collaborare alla costruzione o ristrutturazione di opera pubbliche di

grande e piccola entità, come giardini, parchi, piazze, illuminazioni, giochi pubblici

etc, necessarie per la collettività e per ciò di forte richiesta, attraverso il cosiddetto,

Crowdfunding Civico, sul quale sono già molte le iniziative sia in Italia che

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all’Estero.

3.3 Il finanziamento giusto al momento giusto

Una volta compreso, dai paragrafi precedenti, cosa sia il Crowdfunding e il perché

abbia visto un’ascesa in popolarità ed uso così repentina, è bene completare il quadro

composto dal “set” di possibili canali di finanziamento a disposizione di imprenditori

ed per nuove o già esistenti imprese.

Prima di illustrare brevemente le peculiarità dei canali/modelli successivi al

Crowdfunding, nello specifico i tre più importanti per l’impresa per la qualità dei

contributi offerti, è opportuno menzionare che ognuno di questi (intendendo con ciò,

gli artefici dei modelli) possiede finalità e scopi ben distinti, ma allo stesso tempo

complementari tra loro e non per forsa conflittuali o concorrenziali come si potrebbe

pensare.

Ognuno di essi è fondamentale nel percorso evolutivo dell’azienda, intervenendo in

“step” operativi distinti e consequenziali, pur sovrapponendosi molto spesso,

sfumando gli uni negli altri.

Va detto altresì che a mano a mano che ci si sposta in alto a destra (nel grafico che

segue) più l’imprenditore “perde” controllo societario a favore di una più ampia base

azionaria con potere decisionale ed una rivoluzione nella struttura manageriale.

Detto ciò, il fatto che il Crowdfunding si sia “autogenerato” e che continui ad

alimentare la base di “fan”, non è dipeso dal fatto che quest’ultimo sia più o meno

buono, migliore o peggiore, o ancora, aprioristicamente più efficace degli altri

modelli di finanziamento, ma bensì (e questo lo rende ancora più affascinante) è una

naturale saturazione, creata dal mercato per il mercato, di un gap esistente tra «l’idea

e il prototipo» ossia un “vuoto” di copertura finanziaria tra il sostegno degli amici-

famigliari e i primi business angels e/o ventur capitalist.

La fase nella quale il Crowdfunding raccoglie seguaci è quella che in gergo aziendale

va dall’illuminazione dell’imprenditore, al seed money, alla fase di startup. Fasi

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queste, dove i rischi per un solo investitore sono maggiori delle certezze, dove non ci

sono elementi per una due diligence puntuale che permetta di intravedere per i

finanziatori spiragli di profitti in cui credere.

Di seguito vengono riportati i grafici 1 e 2 per una più chiara comprensione di quanto

sino ad ora accennato e di quanto seguirà a riguardo nei paragrafi 3.3.2, 3.3.3, 3.3.4,

nei quali tratterò brevemente le caratteristche rispettivamente del: Business Angel,

Venture Capital, Quotazione in Borsa.

fonte grafico: elaborazione personale Sforza Simone

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fonte grafico: elaborazione personale

Sforza Simone 3.3.1 Business angel Il Business Angel, anche detto Angel Investing o Angel Financing, è una forma di

finanziamento in imprese non quotate detta esterna (in contrapposizione al

finanziamento interno che non prevede mutamenti nella compagine sociale né

indebitamenti verso terzi), che prevede la sottoscrizione di capitale di rischio con il

quale il finanziatore non ha pretese ne certezze su dividenti e rimborsi ne in quota

capitale ne in quota interessi, anzi quest’ultimo si accolla parte del rischio d’impresa

(al contrario di quanto avviene con il capitale di debito, dove è previsto l’obbligo di

rimborso in capitale e interessi, i tempi e le modalità).

Il Business Angel è un tipo di finanziamento di tipo “informale”, la qui informalità è

data da una più snella procedura di approccio all’avvicinamento e selezione

dell’imprenditore e dell’impresa (neonata o esistente), come anche da una maggiore

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elasticità in termini di rigore contrattuale e tempistico nella fase di investimento,

gestione e disinvestimento.

Il Business Angel, inteso come colui che finanzia, rappresenta per l’impresa il primo

baluardo di sostegno al progetto proveniente da un numero limitato di grossi

finanziatori (contrariamente a quanto avviene con il Crowdfunding). Gli “angeli”,

come spesso sono chiamati, solitamente sono persone fisiche, benestanti, sovente ex

imprenditori, manager o liberi professionisti, con una buona disponibilità economica

oltre che un’ampia rete di contatti ed un knowhow consono all’attivita che si

accingono a sostenere. Queste persone sono spinte sia dall’interesse personale per

l’attività che finanziano sia dalla previsione di futuri guadagni ottenute dall’aumento

di valore della società, come non è da escludersi il peso dello status sociale che

vanno attribuendosi contribuendo allo sviluppo di un progetto.

La fase operativa nella quale si attiva il Business Angel è quella successiva al seed

capital, che va dalla sturtup all’early stage, fasi nelle quali l’idea è stata formalizzata

in ogni suo aspetto, esiste un Business Plan accurato e un prototipo pronto ad essere

lanciato al grande mercato, il suo contributo si oscilla tra i 50.000 € e i 500.000€

(anche più se si organizzano delle cordate di Angels). Le imprese target coprono un

ampio spettro, ma le predilette da questo tipo di finanziatori sono imprese operanti

nel campo dell’innovazione, dell’ICT, della biomeccanica, elettronica, software, etc.

Tutte imprese nascenti o da poco operative che hanno grandi prospettive di crescita e

guadagno, ricche di Know-How, brevetti e marchi, i cosiddetti “intagible asset”, ma

privi di una storia aziendale (garanzie patrimoniali) che le renda credibili dagli

investitori tradizionali, come le banche.

L’investimento degli “angeli” è un investimento temporaneo, solitamente 5/7 anni,

che prevede la sottoscrizione di quote societarie, diventando a tutti gli effetti soci

dell’azienda, non pretendendo però di sedere nel “board” della stessa, anche se

spesso accade.

La cosa che rende tale finanziatore essenziale per le aziende non è solo il contributo

economico, che ne permette lo sviluppo e le accompagna a fasi successive

dell’evoluzione per poi trovarsi una exit way che solitamente sfocia nell’entrata di

fondi di investimento tradizionali (venture capital o private equity) e/o nella

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quotazione in borsa, ma anche il contributo in termini di esperienze tecnico-

operative, Know-How specifico, consigli gestionali, network di settore.

3.3.2 Venture Capital e Private Equity

L’altra faccia della medaglia sulla quale poniamo i Business Angel sono i Venture

Capital o più genericamente Private Equity. Questi si differenziano dagli “angels”

per il carattere “formale” e istituzionale ad essi riconosciuto, ovvero una maggiore

specializzazione in forma di Fondi di investimento, SGR, Finanziarie, Fondi

pensione, etc.

Altra differenza “macroscopica” può essere vista nel fatto che il Ventur Capitalist

proprio per la sua funzione di raccolta (tramite la Capital Call) ed uso dei fondi

ricevuti dai sottoscrittori/investitori del fondo, abbisogna di una più accurata due

diligence di quanto facciano i singoli Business Angel che, contrariamente investono

per loro conto. Da qui la diffidenza dei VC dalle imprese nascenti o neonate che si

trovino nella fase iniziale dell’evoluzione.

Ciò che li accomuna ai BA è il fatto che anche quì si parla di apporto di capitale di

rischio in imprese innovative e promettenti, troppo onerose per i Business Angels e

troppo piccole (ovvero carenti di requisiti) per la quotazione in Borsa.

Il carattere dell’investimento è temporaneo come per gli “angeli” in ottica di

medio/lungo periodo, con exit way che prevede la vendita, totale o parziale delle

quote societarie possedute a: altri Venture capital o Private Equity, al gruppo

imprenditoriale originale, a nuovi o vecchi soci o infine con la quotazione in borsa

dei titoli societari.

La differrenza (più formale che sostanziale) tra i due termini, Venture Capital e

Private Equity, sta nel considerare i primi come finanziatori in fasi iniziali della vita

aziendale, mentre i secondi operativi per imprese che si trovano già in una fase del

ciclo di vita successiva a quella iniziale.

Anche per questo tipo di finanziatori il fine è quello di monetizzare il proprio

investimento, attraverso la realizzazione di un “capital gain”, inteso come incremento

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di valore della partecipazione dal momento della sottoscrizione al momento del

disinvestimento. Spesso cio avviene partecipando attivamente al CDO aziendale.

3.3.3 Quotazione

La quotazione in borsa rappresenta l’ultimo step evolutivo di un’impresa, che si

trova ormai nella fase di maturità e ha bisogno di una forma stabile di investimenti

che le permettano di rafforzare la struttura finanziaria ed aumentare la solidità

patrimoniale per ulteriori processi di crescita interna ed esterna, per acquisizioni o

per finaziare nuovi progetti.

La quotazione comporta come accennato in precedenza un radicale mutamento

strutturale e culturale all’interno dell’impresa, dove vi è un’inevitabile perdita di

controllo da parte dei fondatori, se non altro dovuta all’alienazione a terzi di parte di

quote societarie. Ma allo stesso tempo rappresenta una grande opportunità per

disinvestire, tutto o parte, i capitali impegnati sino a li dai finanziatori siano essi

“formali” o “informali”, come anche quella di ottenere una notorietà ben maggiore

ed una più ampia responsabilizzazione del management, frutto di stimoli maggiori e

delle stock option.

A fianco a tutto ciò non mancano come è plausibile gli oneri, si vedano i maggiori

obblighi di trasparenza ed informazione, l’implemantazione di politiche dei dividenti

(assenti generalmente per BA, VC), l’impegno e le garanzie sociali per il maggio

peso acquisito nella società.

I passi perché un’azienda arrivi a quotarsi in borsa sono molti e lunghi, superati i

controlli e ottenute le autorizzazioni, l’impresa deve scegliere in che mercato

quotarsi (Italiano o Estero) e soprattutto su quale segmento di questi, dopodiché

attraverso un’OPA (Offerta Pubblica Iniziale), la stessa offre al pubblico la quota dei

propri titoli prevista ad un prezzo di partezza stabilito.

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3.4 I tipi di Crowdfunding

Nei paragrafi precedenti si è accennato riguardo i vantaggi offerti dal Crowdfunding,

molti e diversi a seconda del tipo di sostegno apportato dal funder e, come

dimostrato, non necessariamente di natura economica. Inoltre, è stato specificato che

i funders, hanno nella totalità, fini differenti per la loro azione, come differenti sono

gli usi che i fundraiser ne intendono fare di queste somme “raccolte”.

A rendere possibile allora il matching tra le due necessità si sono sviluppati nel

tempo modelli di Crowdfunding che, pur convivendo sotto lo stesso tetto

(condividendo i principi ad inizio capitolo elencati) hanno ruoli, piattaforme, tempi e

regolamentazioni dedicate.

I principali tipi di Crowdfunding usati sono quattro:

•Donation-based

•Lending-based o Debt-based

•Reward-based

•Equity-based

Ma, a complicare le cose vi è che, pur rimanendo questi i quattro pilastri, sempre

nuovi ne nascono, originati dalla promisquità dei primi e quindi delle necessità

emerse. I più degni di nota sono:

• Pre-sales

• Social Lending

• P2P e P2B Lending

• Reward In Kind (Lending/Equity)

Qui di seguito, prima di affrontare uno per uno i tipi di Crowdfunding, viene

riportato il grafico che dimostra dove i diversi tipi si posizionano e i casi di

promisquità.

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fonte: elaborazione personale Sforza Simone

• Donation-based

In questo modello il funder dona al fundraiser, persona fisica o organizzazione

(molto spesso si tratta di ONG, no-profit) una somma di denaro, senza finalità né

aspettativa di ritorno di nessun tipo. Questo tipo di CF è tra i più vecchi, usato

soprattutto per cause in cui il funder crede, in cui è coinvolto emotivamente; vedi

cause sociali, religiose, umanitarie, filantropiche, culturali, ambientali, umanitarie,

per i diritti animali, dei bambini, etc.

Tantissime sono le cause per le quali si raccolgono aiuti finanziari. La forma di

Donation-based Crowdfunding va oltre il semplice Fundraising, in questo caso il

funder conosce in ogni momento l’evoluzione del singolo progetto o ente che ha

finanziato, ed inoltre con la donazione il funder ha un ruolo proattivo, tramite i

portali dedicati, e pertanto è il primo sostenitore e promulgatore della causa.

LENDING   EQUITY-­‐LIKE   EQUITY  REW

ARD  IN  

KIND  

REWARD  PRE-­‐SALES  DONATION  

SOCIAL  LENDING  

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Questo tipo di CF pur essendo tra i primi nati, mantiene un tasso di crescita

costantemente positivo, calcolato sia dalla totalità delle somme raccolte, sia dal

numero di piattaforme ad esso dedicate.

La media delle somme raccolte dai progetti per tale modello è per la maggior parte di

entità modesta, intorno ai 10.000/15.000 euro.

• Lending-based o Debt-based

Letteralmente questo tipo di CF mette in contatto il lender (colui che intende prestare

dei soldi), con il borrower (colui, persona o organizzazione, che prende in prestito

dei soldi). Questo modello, con il quale la somma versata dal funder ha finalità di

profitto tramite il ritorno della somma versata più una quota interessi (che comunque

rimane di gran lunga più vantaggiosa che nel caso di Banche, BA o VC), è

maggiormente usato per progetti o business che riguardano beni di largo e generale

consumo, beni digitali. È detto anche Debt-based in quanto la forma che assume è

quella di un debito contratto con il prestatore, attraverso un contatto diretto con lo

stesso.

Per tale modello, la media di finanziamento per progetto si aggira sui 25.000 euro.

• Reward-based

Questo modello di Crowdfunding è il più conosciuto, il più “usato”, oserei dire che

forse è quello che ha sdoganato al mondo i vantaggi del Crowdfunding. Con una

quota di mercato che da sola copre circa la metà delle somme raccolte tramite tutti i

tipi di Crowdfunding (fonte: Massolution).

Il modello operativo ne ha caratterizzato il successo. Similarmente al caso Donation-

based il funder finanzia un progetto o business non per ritorni economici, ed inoltre,

lo sceglie perché da esso attratto da morivazioni solitamente personali. A differenza

di questo però, il funder in tal caso riceve una ricompensa, che non è in denaro, ma

abitualmente in prodotto o servizi. Pur non trattandosi di soldi, comunque tali

ricompense hanno un intrinseco valore economico per entrambi le parti. Per il funder

ad esempio, il valore in esso riposto potrebbe essere anche superiore al prezzo

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economico di mercato, o quello pagato come sostegno al progetto (ad esempio, un

personale ringraziamento dall’imprenditore, un invito per un incontro con lo stesso o

con persone importanti, biglietti d’ingresso per un evento di gala o sportivo,

difficilemente reperibile o ancora gadget di ogni tipo fino ad una versione del

prodotto/servizio finanziato).

Per il fundraiser, come abbia visto, la ricompensa ha comunque un peso economico,

pur non trattandosi di soldi. La differenza sta nel fatto che per il fundraiser, il minor

valore economico restituito sotto forma di ricompensa al funder è giustificato dal

fatto che la finalità principale per il quale quei soldi sono stati raccolti è per

sviluppare un determinato progetto o business, per tanto, a tal fine la maggior parte

dei soldi devono essere destinati.

L’ulteriore innovazione strategica che tale modello ha apportato, con il fine di

catturare più fondi possibili e da più funders possibili, è la possibilità di finanziare un

progetto o business con diversi importi di denaro, per ognuno dei quali, al crescere

dell’importo cresce anche il valore della ricompensa.

• Equity-based

L’Equity-based è il modello di Crowdfunding che ha visto negli ultimi mesi la più

repentina crescita sia in termini di importanza, che di somme raccolte. Tale modello,

prevede l’acquisizione da parte del funder, attraverso formale contratto con il

fundraiser, del diritto alla condivisione dei profitti futuri generati dal progetto o

business, o meglio ancora, prevede l’acquisizione di quote/azioni dell’impresa

(molto spesso Startup) che sta finanziando. Spesso oltre all’acquisizione dei diritti

patrimoniali si acquisiscono anche i diritti amministrativi sull’impresa finanziata.

Il vantaggio per il funder è dato dalla realizzazione futura, delle attese di crescita e di

monetizzazione del progetto o della startup, con il fine di vendere poi ad investitori

istituzionali le quote (vedi BA, VC), per il fundraiser il vantaggio è dato dalla

possibilità di raccolgliere capitali freschi, in una fase giovane del business

generalmente di poco appeal per le banche, ed essere utilizzati come working capital

(capitale operativo), necessario all’imprenditore per sviluppare il business e renderlo

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appetibile al mercato e ai sostenitori successivi, con una maggiore disponibilità

economica.

Tale vantaggio è assai più importante per le PMI, attive in campi innovativi,

specilamente quelle appartenenti ai settori: ICT, digitale, software, medicale e

tecnologico, che hanno inizialmente costi operativi e di R&S altissimi, a fronte di

rischi altrettanto alti di insuccesso. Di converso va detto altresì che sono proprio tali

organizzazioni ad essere più facilmente finanziate dal mercato, proprio per la loro

potenzialità di generare profitto.

L’aspetto che rende particolare questo tipo di Crowdfunding è la sua recentissima

legificazione a riguardo, nonostante i numeri siano già importanti, tanto che la media

raccolta per un progetto è di 250.000 euro e oltre (fonte Massolution).

La regolamentazione della formula per tale modello, avviene: nel caso Italiano, con il

Decreto Crescita 2.0 (trattato in seguito), mentre in America è introdotto da Obama

con il JOB Act, entrambe entarte in vigore nel 2012.

A conclusione del paragrafo sui tipi di Crowdfunding, e, come accennao in

precedenza, ultimamente sono emersi dei modelli di raccolta fondi che non possono

essere ignorati visti i risultati che stanno riscuotendo, segno che il mercato si

autorganizza a colmare tutti i gap possibili nel linkare gli investors (funder) con gli

investees (fundraiser). Questi nuovi modelli sfumano per le loro caratteristiche in

uno più dei quattro modelli principali poc’anzi spiegati.

Questi che seguono, meritano una trattazione personalizzata, in quanto la loro azione

li rende comunque separati dai primi, anche se da questi originano.

• Pre-sales

Questo modello deriva dal Rewar-based in quanto come questo è prevista una

ricompensa per il funder, la differenza però, e lo dice il nome stesso (pre-vendita),

sta nel fatto che i fundraiser utilizzano miratamente questo tipo di Crowdfunding per

proporre nuovi prodotti o servizi sulle piattaforme dedicate, e monitorare, attraverso

le valutazioni, i feedback e gli acquisti/sostegni ottenuti dai funder, se ed in che

modo il prodotto/servizio piace al mercato. È una forma di ricerca di mercato e

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validazione dallo stesso, utile per l’imprenditore, il quale si ritrova una percezione di

quota di mercato dal quale partire.

Per il funder in questo caso, l’interesse è sia nel fianziare un progetto per la

produzione di un prodotto o servizio che vorrebbere avere in commercio, sia perché

con questo modello, a loro viene proposto non il semplice ringraziamento, invito o

ricompensa varia, ma bensì uno sconto sul prodotto che il funder si accinge a

finanziare/acquistare.

• Social Lending

Il Social Lending è una forma di Lending/Debt-based Crowdfunding, per la

caratteristica del finanziamento offerto al fundraiser, anch’esso sotto forma di debito

da restituire al funder in un preciso ammontare e tempo. Viene però denominato

Social perché è usato per prestare soldi in progetti cosiddetti “sociali” senza la quota

interessi per il funder.

In sonstanza il funder, non presta soldi con lo scopo di guadagnare dalla quota

interessi, ma lo fa per sostenere una progetto in cui crede.

Un esempio oramai noto di microprestiti, è operato dalla piattaforma Kiva dal 2005,

la quale ha raccolto oltre 170 milioni di euro con un tasso di ripagamento del 99,01%

(fonte: Kiva.org)

• P2P e P2B Lending

Altro caso simile al Lending è il prestito di denaro tra pari, tra persone (P2P) o tra

persone e organizzazioni (P2B). La differenza principale con il Lending-based sta nel

fatto che il finder (lender) generalmente non conosce ne ha contatti con il fundraiser

(borrower), perché l’intermediazione viene operata da terzi attori. Ulteriore

differenza è con il Social Lending, in questo caso esiste la possibiltà, seppur

modestissima (circa 1%), di un profitto per i lender tramite la quota interessi. Questo

tipo di CF è ideale per coloro i quali necessitano di finanziamenti e sono disposti a

rimborsarli con interessi, ma non dispongono delle garanzie necesarrie per ottenerli

dai canali standard.

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• Reward In Kind (Lending/Equity)

Questa forma di CF è più particolare delle altre, vista la sua derivazione. In questo

caso il funder pur essendo, per contratto, un lender (creditore) tramite Lending-based

o shareholder (azionista) tramite Equity, nei confronti del fundraiser (solitamente

impresa startup), non riceve in cambio del suo finanziamento soldi e interessi o

dividendi, ma prodotti e servizi.

Infatti il Reward In Kind è letteralmente; ricompensa “in natura”, dove per natura si

intende il prodotto o servizio finale generato dall’impresa finanziata. Chiaramente il

valore della ricompensa, pur se in natura, deve soddisfare i funders. Questo tipo di

Crowdfunding è utile perché, permette alle imprese di destinare, anche solo per un

periodo iniziale, gli utili generati dall’attività, ad un uso interno, rimanendo nella

disponibiltà dell’imprenditore, invece di destinarli a rimborare i finanzitori con

dividendi e quindi privarsene per usi più proficui all’impresa.

3.5 Che legislazione per il Crowdfunding?

Il 30 Aprile 2013 la Consob (Commissione nazionale per la Società e la Borsa) ha

chiuso la fase di concertazione per la regolamentazione in materia di raccolta di

capitali di rischio tramite portali online da parte di imprese startup innovative. Tale

fase di consultazione, lasciata aperta al confronto e ai suggerimenti provenienti da

esperti in materia in pieno stile Crowdsourced legislation sfruttando anche in questo

caso la “saggezza della folla”, è la risposta esecutiva alla delega con la quale il

governo Monti ha assegnato alla Consob il compito di regolamentare l’attività di

raccolta di capitali di rischio tramite portali on line (sia per i gestori delle piattaforme

di intermediazione, sia per le startup) e, allo stesso tempo rispondente alla necessità

di tutelare (come avviene negli altri casi di raccolta del pubblico risparmio) i

finanziatori di dette startup.

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La delega deriva dall’emanazione, il 18 ottobre 2012 a firma del Presidende della

Republica, Giorgio Napolitano, del Decreto Crescita 2.0 (decreto Sviluppo bis),

sviluppato sotto il governo Monti al fine di agevolare la nascita e lo sviluppo di

nuove imprese in campo innovativo e la ricerca di “nuovi” capitali da parte delle

stesse.

Prima di entrare nel merito della disciplina Italiana in materia, è bene precisare che

ciò su cui il legislatore è intervenuto a legiferare non è il crowdfunding in senso

generico, ma un preciso modello dello stesso, che più di tutti gli altri (trattati in

precedenza) richiedeva un inquadramento normativo, avendo ingerenze importanti in

campi quali: tributario, risparmio privato, contabile, fiscale, controllo societario, etc.

Pena, l’espanzione dello stesso.

Il modello in questione è l’Equity Crowdfunding. Gli altri modelli, viste le

caratteristiche operative, sono generalmente autoregolamentati (da buon senso,

professionalità e fiducia) o fatti rientrare nell’applicazione di discipline più generiche

già esistenti. Il perché, deriva non dal minore utilizzo o utilità degli stessi, tutt’altro,

come si è accennato i modelli donation e reward based sono i primi e più ampi (ad

oggi) in misura quantitativa delle somme raccolte, ma semplicemente perché l’entità

delle somme generalmente richieste dalle imprese e le finalità delle stesse non

pongono le parti in situazioni di necessaria prevenzione e mitigazione del rischio di

frode.

Questo non vuole dire che in altri tipi di CF non ci sia richio di frode o di perdita del

denaro offerto, sia ben inteso, ma che tale rischio se soppesato con l’entita del

finanziamento non sia compromettente della stabilità economica di un individuo o

organizzazione.

Entrando ora nel merito del regolamento Consob, in vigore dal 26 Giugno 2013

(l’Italia è il primo paese in Europa a vantare una displina dedicata alla materia, gli

altri paesi sono ancora in fase di concertazione tra il legislatore e gli attori, gli USA

invece, pur essendo stati i pionieri del fenomeno, ben conosciuto oltre oceano prima

ancora che in Italia grazie anche ad una maggiore attitudine alle innovazioni, pur

avendo firmato nel 5 Maggio 2012 dal Presidente Obama il JOB Act, ed aver

incaricato la Securities and Exchange Commission –SEC-, ovvero la Consob

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Italiana, nel definire le linee guida del modello, si attarda ad arrivare ed è prevista

per la fine dell’anno).

Riporto di seguito il testo con gli articoli che disciplinano il modello pubblicati dalla

Consob sul sito:

[…]

«Cosa sono le startup innovative?

Le startup innovative sono piccole società di capitali (spa, srl o cooperative) italiane,

da poco operative, impegnate in settori innovativi e tecnologici o a vocazione

sociale.

Il “Decreto crescita bis” stabilisce i requisiti che tali società devono possedere e

dispone diverse semplificazioni normative per favorirne la diffusione e lo sviluppo.

Per crescere bene è necessario un’ambiente favorevole: per questo il legislatore, nel

disegnare il sistema ha previsto una particolare categoria di soggetti, gli “incubatori”:

società di capitali italiane che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo

delle startup innovative. Le startup innovative possono offrire i propri strumenti

finanziari (anche) attraverso portali online se sono iscritte in una sezione speciale del

registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio, industria, artigianato e

agricoltura dove è possibile acquisire le principali informazioni sulle società. Anche

il sito internet delle singole startup è un’importante fonte di informazioni: esso

riporta (e aggiorna ogni sei mesi) le informazioni sull’attività svolta, sui soci

fondatori, sul personale e sugli altri elementi indicati dal Decreto nonché sul

bilancio.

• Art 2. Requisiti della startup innovative

Ai sensi del “Decreto crescita bis”:

- non è quotata su mercati regolamentati (o su altri sistemi di negoziazione);

- è costituita e svolge attività di impresa da non più di 48 mesi;

- ha la sede principale in Italia;

- è di piccole dimensioni (totale del valore della produzione annua non

superiore a 5 milioni di euro);

- non distribuisce utili;

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- è impegnata in via esclusiva, o comunque prevalente, nello sviluppo,

produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto

valore tecnologico, ovvero opera in via esclusiva nei settori di riferimento

della disciplina dell’impresa sociale.

Le startup innovative devono inoltre possedere almeno uno dei seguenti requisiti:

- investire in ricerca e sviluppo (almeno il 15% del maggior valore tra costo e

valore della produzione);

- avere fra i dipendenti più di un terzo di dottori di ricerca o laureati comunque

impegnati nella ricerca (ovvero più dei due terzi in possesso di laurea

magistrale);

- essere titolari di diritti di sfruttamento (almeno uno) di invenzioni industriali,

elettroniche, biotecnologiche o di nuove varietà vegetali ovvero di diritti

relativi a un programma per elaboratore originario.

• Art 3. Deroghe in favore delle start-up innovative

Il “Decreto crescita bis” stabilisce in favore delle startup innovative una serie di

deroghe all’applicazione di norme di legge in materia di:

- obblighi di riduzione del capitale in presenza di perdite (alle startup

innovative è consentito ridurre il capitale entro due esercizi anziché entro

l’esercizio successivo);

- diritti dei possessori di quote di s.r.l. (a differenza della disciplina ordinaria è

consentita la creazione di “categorie di quote” aventi diritti diversi rispetto

alle quote ordinarie e anche di quote prive del diritto di voto);

- crisi d’impresa (le startup innovative in crisi non sono assoggettate al

fallimento né alle altre procedure concorsuali potendo invece accedere alle

più semplici procedure di riorganizzazione del debito e di liquidazione del

patrimonio previste dalla legge n. 3 del 2012);

- offerta al pubblico di quote di s.r.l. (le quote di partecipazione al capitale di

startup innovative che hanno la forma di s.r.l. possono essere offerte al

pubblico, a differenza delle comuni s.r.l. cui ciò è vietato).

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Secondo i dati pubblicati nella sezione speciale del registro delle imprese delle

Camere di Commercio la quasi totalità delle startup innovative sono costituite in

forma di s.r.l.

• Art 4. Gli incubatori di startup

Affinché possano effettivamente supportare le startup gli incubatori devono

possedere i seguenti requisiti:

- disporre di strutture, anche immobiliari, idonee;

- disporre di attrezzature adeguate, quali accesso a internet ultraveloce,

macchinari per test e prove;

- avere amministratori e dirigenti di riconosciuta competenza in materia di

impresa e innovazione;

- avere regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca,

istituzioni pubbliche e istituti finanziari;

- avere una comprovata esperienza nell’attività di sostegno alle startup

innovative, valutata attraverso la concreta attività prestata.

Qualora posseggano i requisiti richiesti anche gli incubatori, come le start-up

innovative, sono iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese tenuto dale

Camere di commercio dove è possibile assumere informazioni sulle loro attività e

caratteristiche.

Dove posso trovare le informazioni sulle offerte di capitali online? Cosa sono i

portali di equity crowdfunding?

Per assumere le informazioni necessarie a decidere se investire (tramite internet) in

strumenti finanziari emessi da startup innovative gli investitori consultano i portali

online che si occupano di equity crowdfunding. Si tratta di piattaforme vigilate dalla

Consob che facilitano la raccolta del capitale di rischio delle startup innovative.

I portali forniscono agli investitori le informazioni sulle startup e sulle singole offerte

attraverso apposite schede (redatte secondo il modello standard allegato al

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Regolamento) che possono essere presentate anche con strumenti multimediali

tramite immagini, video o “pitch” (le presentazioni, normalmente in PPT, con cui si

descrivono l’azienda, la sua idea di business, le persone che la compongono e i piani

che intendono perseguire con l’investimento cercato).

• Art 5. La trasparenza delle startup innovative.

La legge impone alle startup di fornire ed, eventualmente, aggiornare con cadenza

almeno semestrale sul proprio sito le seguenti informazioni:

a) data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio;

b) sede sociale ed eventuali sedi periferiche;

c) oggetto sociale;

d) breve descrizione dell’attività svolta, comprese le attività e le spese in ricerca e

sviluppo;

e) elenco dei soci, con evidenza delle fiduciarie, holding, con autocertificazione di

veridicità;

f) elenco delle società partecipate;

g) indicazione di titoli di studio e delle esperienze professionali dei soci e del

personale che lavora nella startup (ad eccezione dei dati sensibili);

h) indicazione dell’esistenza di relazioni professionali, di collaborazione o

commerciali con incubatori certificati, investitori istituzionali e professionali,

università e centri di ricerca;

i) ultimo bilancio depositato (nel formato “standard XBRL”);

j) elenco dei diritti di privativa su proprietà industriale e intellettuale.

Chi può gestire un portale per la raccolta online di capitale di rischio emesso da

startup innovative? I gestori iscritti al registro e quelli annotati nella sezione

speciale ….

Proprio per il ruolo cruciale che svolgono il legislatore ha ritenuto necessario

garantire l’affidabilità e la “qualità” del servizio svolto dai portali.

Per questi motivi la gestione di portali è riservata a due categorie di soggetti:

- i soggetti autorizzati dalla Consob e iscritti in un apposito registro tenuto

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dalla medesima Autorità;

- le banche e alle imprese di investimento (SIM) già autorizzate alla

prestazione di servizi di investimento (i c.d. “gestori di diritto”, annotati nella

sezione speciale del registro tenuto dalla Consob).

L’elenco dei gestori di portali è consultabile sul sito della Consob.

• Art 6. Il registro dei gestori di portali

Il Regolamento Consob distingue il registro dei portali in due sezioni, una ordinaria e

una speciale.

Nella sezione ordinaria sono iscritti i gestori di portali che sono autorizzati dalla

Consob in seguito alla positiva verifica della sussistenza dei requisiti richiesti, tra i

quali:

- la forma giuridica di società di capitali;

- il possesso, da parte dei soci di controllo, dei previsti requisiti di onorabilità;

- il possesso, da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,

direzione e controllo, dei previsti requisiti di onorabilità (gli stessi dei soci di

controllo) e di professionalità;

- la presentazione di una relazione sull’attività di impresa e sulla struttura

organizzativa (da predisporre secondo le indicazioni allegate al Regolamento

Consob).

La perdita dei requisiti è una delle cause che comporta la cancellazione del gestore

dal registro.

Nella sezione speciale sono invece annotati i “gestori di diritto”, ovvero le banche e

le imprese di investimento autorizzate alla prestazione dei relativi servizi di

investimento che hanno comunicato alla Consob lo svolgimento della gestione di

portali di equity crowdfunding.

Il registro è consultabile attraverso il sito internet della Consob e attraverso i siti dei

portali; al suo interno potranno essere rinvenute importanti informazioni sui gestori

di portali tra cui: il collegamento alla home page del sito internet del portale e gli

estremi degli eventuali provvedimenti sanzionatori e cautelari adottati dalla Consob

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nei confronti dei gestori.

La Consob esercita la vigilanza sui gestori iscritti al registro potendo richiedere dati

notizie e documenti ed effettuando ispezioni. Nel caso accerti la violazione di regole,

può sospendere il gestore dall’attività e, nei casi più gravi, radiarlo dal registro, oltre

ad irrogare sanzioni pecuniarie.

Cosa accade quando si investe tramite un portale gestito da un soggetto

iscritto al registro della Consob? Ci sono differenze nei rapporti con gli

investitori?

Ai gestori dei portali iscritti nel registro della Consob si applica una disciplina più

“leggera” rispetto a quella dettata per gli intermediari tradizionali presso cui

abitualmente i risparmiatori effettuano i propri investimenti.

Come contropartita i gestori iscritti non possono detenere somme di danaro di

pertinenza degli investitori né eseguire direttamente gli ordini per la sottoscrizione

degli strumenti finanziari offerti sui propri portali, dovendo a tal fine trasmetterli

esclusivamente a banche o SIM. I gestori non possono poi svolgere in alcun modo

consulenza finanziaria nei confronti degli investitori.

Il ruolo fondamentale del portale è quello di assicurare che gli investitori possano

comprendere caratteristiche e rischi degli investimenti proposti, prendendo visione

della relativa informativa presente nel portale e della presente sezione di investor

education.

• Art 7. Quali sono le informazioni che deve fornire il portale?

Il portale gestito da un soggetto iscritto nel registro tenuto dalla Consob deve mettere

a disposizione dell’investitore le informazioni necessarie a assumere consapevoli

decisioni di investimento (tenendo conto quindi delle caratteristiche e dei rischi che

corre). I portali possono utilizzare anche tecniche multimediali di comunicazione per

fornire le informazioni dovute (ad esempio, video e presentazioni).

In sintesi, il Regolamento Consob prevede che l’investitore sia messo in grado di

acquisire una adeguata conoscenza in merito ai tre principali aspetti dell’equity

crowdfunding.

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Il portale: l’investitore deve sapere:

- chi gestisce il portale (chi controlla tale soggetto e chi svolge funzioni di

amministrazione direzione e controllo);

- le attività svolte da portale (ad esempio, in che modo sono selezionate le

offerte);

- come sono gestiti gli ordini per la sottoscrizione degli strumenti finanziari

offerti;

- i costi a carico degli investitori;

- le misure che il portale ha predisposto per gestire i rischi di frode, i conflitti

di interesse, i reclami e il corretto trattamento dei dati personali;

- i dati aggregati sulle offerte svolte dal portale e i risultati raggiunti;

- la normativa di riferimento, i link al registro tenuto dalla Consob, alla sezione

di investor education predisposta dalla Consob e alla sezione speciale del

registro delle imprese dedicata alle startup innovative e agli incubatori;

- i provvedimenti sanzionatori o cautelari che la Consob ha adottato nei

riguardi del gestore del portale;

- le iniziative assunte nei confronti delle startup innovative nei casi di

inosservanza delle regole di funzionamento del portale.

L’investimento in capitale di rischio emesso da una startup innovativa: l’investitore

deve essere informato su:

- il rischio di perdere l’intero capitale investito;

- il rischio di non poter “liquidare” in tempi brevi l’investimento (è il rischio di

illiquidità);

- il fatto che non percepirà i dividendi sugli utili finché la società sarà una

startup innovativa (perché la legge ha posto un divieto);

- i benefici fiscali introdotti di Decreto crescita bis (durata e decadenza);

- le deroghe al diritto societario e al diritto fallimentare;

- i contenuti tipici di un business plan;

- il diritto di recesso che il Regolamento Consob attribuisce agli investitori

retail esercitabile (senza alcuna spesa né motivazione) entro sette giorni dalla

data dell’adesione online all’offerta.

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Le singole offerte, relativamente alle quali il portale deve pubblicare:

- una “scheda” con tutte le informazioni che la Consob ha elencato

nell’Allegato 3 del Regolamento e i relativi aggiornamenti

- le banche e le imprese di investimento cui saranno trasmessi gli ordini per la

loro esecuzione;

- il conto corrente (vincolato) della startup innovativa presso cui saranno

depositate le somme raccolte;

- le informazioni e le modalità per esercitare il diritto di revoca dell’adesione

all’offerta che il regolamento Consob attribuisce agli investitori retail definiti

come quelli “diversi dagli investitori professionali” (sono investitori

professionali le banche, le SIM, le compagnie di assicurazione, etc.) nei casi

in cui sopraggiungano dei fatti in grado di influire sulla decisione di

investimento (fatti nuovi sull’offerta oppure modifiche delle informazioni

fornite a seguito di un errore),

- le informazioni sullo stato delle adesioni alle offerte (dando anche

informazioni circa le modalità di pubblicazione e di aggiornamento).

Una particolare tutela è rivolta nei confronti degli investitori retail (cioè quelli diversi

da banche, SIM, compagnie di assicurazione, etc.) i quali devono completare un vero

e proprio “percorso di investimento consapevole”: per accedere alla sezione del

portale in cui è possibile aderire alle offerte devono infatti aver compilato un

apposite questionario online da cui risulti che hanno preso visione delle informazioni

messe a disposizione e che hanno compreso le caratteristiche e i rischi

dell’investimento in startup innovative.

Se l’investitore retail non supera il percorso il gestore non può consentire che questi

aderisca alle offerte presenti sul portale.

• Art 8. Il “percorso consapevole” che gli investitori retail devono completare per

poter aderire alle offerte online.

Il regolamento Consob prevede che prima di poter aderire alle offerte presentate sul

portale gli investitori non professionali (“retail”) devono, mediante le modalità

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presenti sul portale:

- dare prova di aver preso visione delle informazioni di investor education

presenti sul sito internet della Consob;

- aver risposto positivamente a un questionario sulle caratteristiche essenziali e

i rischi principali connessi all’investimento in startup innovative;

- dichiarare di essere in grado di sostenere economicamente l’intera perdita

dell’investimento che intendono effettuare.

È sufficiente aderire all’offerta sul portale iscritto per completare l’investimento? Il

ruolo delle banche e delle SIM in questa fase.

Una volta che l’investitore decide di investire in una startup, il gestore del portale

deve trasmettere l’ordine di adesione ad una banca o una impresa di investimento che

provvederanno a perfezionare la sottoscrizione degli strumenti finanziari (e a

raccogliere le somme corrispondenti in un conto indisponibile a favore

dell’emittente).

In virtù della normativa vigente (nota anche come “disciplina MiFID” stante la

derivazione dalla norma europea) le banche e le SIM dovranno svolgere l’attività nel

rispetto della disciplina sui servizi di investimento che prevede una serie di obblighi

informativi e di comportamento nei confronti degli investitori (tra cui la c.d.

“profilatura della clientela”).

Per favorire lo sviluppo del crowdfunding e, quindi, agevolare l’accesso ai

finanziamenti da parte delle startup innovative, il Regolamento prevede una

esenzione dall’applicazione della disciplina sui servizi di investimento per gli

investimenti che siano complessivamente al di sotto di una determinata soglia pari a:

- 500 euro per singolo ordine e 1.000 euro per ordini complessivi annuali, per

gli investimenti delle persone fisiche,

- 5.000 euro per singolo ordine e 10.000 euro per ordini complessivi annuali,

per gli investimenti delle persone giuridiche.

Per poter applicare l’esenzione, è necessario che gli investitori dichiarino di non aver

superato le soglie (prendendo in considerazione, per la soglia annuale, anche gli

investimenti effettuati presso altri portali nell’anno solare di riferimento).

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E cosa accade quando il portale è gestito da una banca o da una SIM

(annotata nella sezione speciale del registro tenuto dalla Consob)?

Le banche e le SIM non hanno bisogno di un’autorizzazione della Consob per gestire

un portale per la raccolta di capitali di startup innovative (in quanto sono già

autorizzate alla prestazione dei servizi di investimento) ma vengono semplicemente

annotate nella sezione speciale del registro dei portali previa comunicazione alla

Consob.

In questi casi ai rapporti tra il portale e gli investitori si applicano le regole comuni in

materia di servizi di investimento, come chiarito nella Comunicazione Consob n.

0066128 del primo agosto 2013.

A tali soggetti non si applicano le regole più restrittive previste per i gestori iscritti

alla sezione ordinaria del registro (divieto di detenere somme di denaro e obbligo di

trasmissione degli ordini a banche e SIM) e possono quindi gestire integralmente il

processo della raccolta di capitali delle startup innovative. Di contro, non godono

dell’esenzione dalla disciplina di derivazione MiFID per gli ordini al di sotto delle

soglie stabilite dal Regolamento Consob.

È opportuno che gli investitori prendano conoscenza del diritto di recesso che il

portale dispone e delle condizioni per il suo esercizio.

Quali sono le regole che si applicano alle offerte di capitali online?

Le offerte online di strumenti finanziari emessi da startup innovative sono offerte

“speciali”. Ad esse infatti si applicano le regole stabilite dalla legge e dalla Consob:

ad esempio è importante sapere che non è pubblicato un prospetto, ma una scheda

informativa (non approvata dalla Consob) che deve essere pubblicata sul portale e

redatta secondo il modello stabilito dalla stessa Autorità.

• Art 9. Le regole speciali delle offerte online di strumenti finanziari emessi da

startup innovative.

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Il Tuf e il Regolamento adottato dalla Consob stabiliscono che tali offerte:

- non possono superare la somma di 5 milioni di euro;

- possono essere trattate solo da portali gestiti da soggetti iscritti o annotate nel

Registro tenuto dalla Consob;

- possono avere ad oggetto solo strumenti finanziari rappresentativi del capitale

di rischio (azioni o “quote”);

- vanno a buon fine solo se il 5% del loro ammontare è sottoscritto da un

investitore professionale;

- devono riconoscere il diritto di revoca agli investitori per i casi in cui

intervengono cambiamenti significativi della situazione della startup o delle

condizioni dell’offerta.

Infine, affinché l’offerta sia ammessa sul portale, lo statuto della startup deve

prevedere:

- nel caso in cui, una volta che si è chiusa l’offerta sul portale, i soci di

controllo trasferiscano il controllo a terzi, la possibilità per gli altri soci di

recedere dalla società (diritto di recesso a seguito del quale si ha diritto alla

liquidazione della propria partecipazione) ovvero il diritto per gli altri soci di

vendere anche le proprie partecipazioni al soggetto che acquista il “pacchetto

di controllo” alle stesse condizioni applicate ai soci di controllo (c.d. diritto di

“co-vendita” o “tag-along”),

- la comunicazione alla start up nonché la pubblicazione (sul sito della stessa)

dei patti parasociali.

• Art 10. Quali sono le informazioni sulle singole offerte che trovo sul portale?

- una “scheda” con tutte le informazioni che la Consob ha elencato

nell’Allegato 3 del Regolamento ed i relativi aggiornamenti;

- le banche e le imprese di investimento cui saranno trasmessi gli ordini per la

loro definitiva esecuzione;

- il conto corrente (vincolato) della startup innovativa presso cui saranno

depositate le somme raccolte;

- le informazioni e le modalità per esercitare il diritto di revocare l’adesione

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all’offerta nei casi in cui, una volta che l’investitore abbia aderito all’offerta,

sopraggiungano dei fatti in grado di influire sulla decisione di investimento

(fatti nuovi sull’offerta oppure modifiche delle informazioni fornite a seguito

di un errore);

- le informazioni sullo stato delle offerte (modalità di pubblicazione e

aggiornamento).

Dal momento in cui gli investitori aderiscono online a un’offerta su un portale al

momento in cui entreranno effettivamente in possesso degli strumenti finanziari

oggetto dell’offerta potrebbe trascorrere del tempo e talvolta l’offerta potrebbe anche

non andare a buon fine.

Alla chiusura dell’offerta il portale dovrà verificare che il 5% degli strumenti

finanziari offerti sia stato sottoscritto da investitori professionali e che siano state

rispettare tutte le altre condizioni della singola offerta.

• Art 11. Le condizioni dell’offerta

Affinché un’offerta vada a buon fine è necessario che si verifichino tutte le

condizioni cui è subordinato il suo perfezionamento. Si tratta dei presupposti stabiliti

dalla legge e dal Regolamento Consob e delle ulteriori eventuali condizioni apposte

dalla startup e di cui l’investitore prende conoscenza leggendo la “scheda”

dell’offerta pubblicata sul portale.

In particolare, l’investitore deve comprendere se sta aderendo ad un’offerta “tutto o

niente” perché in questo caso, se non è raggiunto il 100% delle adesioni (di cui il 5%

da parte di investitori professionali), l’offerta decade (e i soldi versati per la

sottoscrizione degli strumenti finanziari nel conto indisponibile sono restituiti agli

investitori). Diverso è il caso delle c.d. “offerte scindibili” che vanno a buon fine a

prescindere dalle somme raccolte (per le quali però esiste un maggior rischio di

fattibilità del progetto imprenditoriale nel caso in cui l’offerta raggiunga un numero

di sottoscrizioni ridotto).

Ho aderito a un’offerta di capitale di startup innovativa su un portale: e

adesso? Posso cambiare idea?

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Gli investitori retail hanno il diritto di cambiare idea a patto che ciò avvenga entro i

termini stabiliti. In particolare:

- entro 7 giorni dall’adesione è sempre possibile recedere senza alcuna spesa

tramite una comunicazione al portale, secondo le modalità indicate dallo

stesso;

- entro 7 giorni dalla data in cui nuove informazioni (fatto nuovo o

segnalazione di un errore materiale) rispetto a quelle esposte sul portale sono

portate a conoscenza degli investitori, è possibile revocare l’adesione

all’offerta, in entrambi i casi i soldi già versati saranno restituiti

Quali sono i principali rischi dell’investimento in start-up innovative?

Adesso, prestiamo bene attenzione.

L’investimento in startup innovative presenta caratteristiche particolari e rischi

economici più elevati rispetto agli investimenti tradizionali.

Riflettiamo in primo luogo sul fatto che una startup innovativa è qualcosa di nuovo:

non ha una storia, né propria né riferita al settore in cui opera, non ha risultati da

presentare, non ha dividendi da promettere (la cui distribuzione non è consentita

affinché gli utili eventualmente realizzati siano reinvestiti nell’attività d’impresa).

Una startup, in sostanza, offre un’idea e un progetto per realizzarla.

La decisione se investire oppure no, pertanto, non si basa, come tradizionalmente

avviene, su elementi economici e razionali ma, inevitabilmente, sul nostro modo di

apprezzare, anche emotivamente, il progetto che ci viene presentato. E sull’impatto

emotivo che il progetto può avere su di noi ben possono influire, oltre che le parole,

le immagini, i video o i “pitch” presenti sul portale.

Tutti gli studi che trattano il tema del crowdfunding sottolineano l’importanza del

fattore emozionale nella scelta del progetto da finanziare. E questo costituisce forse

uno degli aspetti più delicati di cui l’investitore (soprattutto quello non professionale)

deve prendere coscienza nella sua decisione di impiegarvi i propri risparmi.

La mancanza di elementi economici e razionali cui fare riferimento e,

conseguentemente, l’approccio inevitabilmente emozionale con cui si valuta

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l’investimento, oltre che la intrinseca rischiosità di società neo costituite operanti in

settori innovativi, sono alla base dei principali rischi dell’investimento in startup

innovative. A questi si aggiunge il rischio di truffa tipico di tutte le transazioni

effettuate on-line. Esaminiamoli più nel dettaglio.

Il rischio di perdita del capitale

La disciplina italiana sull’equity crowdfunding consente di sottoscrivere solo

strumenti di capitale delle startup innovative: si tratta quindi di investimenti tra i più

rischiosi, perché acquistando “titoli di capitale” si diventa soci della start-up e si

partecipa quindi per intero al rischio economico che caratterizza tutte le iniziative

imprenditoriali.

• Art 12. Gli strumenti finanziari oggetto delle offerte on-line

Il “Decreto crescita bis” ha stabilito che sui portali online è possibile svolgere offerte

aventi ad oggetto unicamente “strumenti di capitale di rischio” emessi da startup

innovative: si tratta delle azioni di s.p.a. e delle quote di s.r.l. Non è dunque possibile

che si svolgano offerte aventi ad oggetto titoli di debito (ad es. le obbligazioni).

Chi acquista titoli di capitale normalmente ha diritto a percepire annualmente il

dividendo (cioè, una quota parte) sugli utili che la società ha conseguito nel periodo

di riferimento. A parità di altre condizioni, un titolo di capitale è più rischioso di un

titolo di debito, in quanto la remunerazione spettante a chi lo possiede (dividendi) è

legata all'andamento economico della società emittente (e cioè alla presenza di utili).

La remunerazione del soggetto che acquista un titolo di debito corrisponde al

pagamento degli interessi e il rischio che sopporta (mancato pagamento degli

interessi) sussiste solo in caso di dissesto finanziario della società emittente

(prescinde quindi dalla presenza o meno di utili: gli interessi dei titoli di debito

devono comunque essere pagati, a meno che la società non sia in dissesto).

Vi sono poi differenze anche con riferimento al valore del capitale che è stato

investito. In caso di fallimento della società emittente, i detentori di titoli di debito

potranno infatti partecipare, con gli altri creditori, alla suddivisione (che comunque si

realizza in tempi solitamente molto lunghi) dei proventi derivanti dal realizzo delle

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attività della società, mentre è pressoché escluso che i detentori di titoli di capitale

possano vedersi restituire una parte di quanto investito.

Per converso, in caso di andamento positivo del progetto imprenditoriale finanziato,

l’investitore potrà vedere crescere il valore della propria partecipazione ben oltre

quanto inizialmente investito.

Poiché si tratta, come detto, di società neo costituite operanti in settori innovativi, il

rischio che il progetto imprenditoriale non vada a buon fine è ancora maggiore

rispetto a quello delle società già da tempo operanti in un determinato settore, il che,

ovviamente, incide anche sul rischio per gli investitori di perdere l’intero capital

investito.

E’ opportuno pertanto investire in startup solo le somme per le quali riteniamo di

poter sostenere la totale perdita.

Inoltre, con riferimento all’intero nostro portafoglio, è sempre una saggia regola

quella di diversificare gli investimenti: in considerazione della sua elevata rischiosità

l’investimento in startup innovative dovrebbe rappresentare un percentuale (molto)

limitata del portafoglio complessivamente investito anche in attività più tradizionali

(titoli di Stato, obbligazioni, azioni, quote di fondi comuni, prodotti finanziari

assicurativi, depositi etc.).

Mancanza (iniziale) di dividendi

Dobbiamo comprendere che non è facile che una società da poco costituita riesca, nei

primi anni di vita, a produrre utili. Il “Decreto crescita bis” ha addirittura posto il

divieto di distribuzione di utili (per tutto il periodo in cui la società emittente

possiede i requisiti di startup innovativa, e cioè per un massimo di 4 anni dalla

iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese). Gli eventuali utili

saranno quindi necessariamente reinvestiti nella società accrescendo il valore della

partecipazione nel caso in cui la startup consegua risultati positivi nel tempo. Chi

investe in startup potrà però beneficiare di un trattamento fiscale di favore (art. 29

del “Decreto crescita bis” e regolamenti ministeriali di attuazione).

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Il rischio di illiquidità

La liquidità di uno strumento finanziario consiste in generale nella sua capacità a

trasformarsi prontamente in moneta senza perdita di valore. Essa dipende in primo

luogo dall’esistenza di un mercato in cui il titolo può essere trattato e dalle

caratteristiche di questo mercato.

In generale, a parità di altre condizioni, i titoli negoziati sui “mercati organizzati” (ad

esempio, la Borsa Italiana) sono più liquidi dei titoli non trattati su detti mercati. Ciò

accade perché la domanda e l'offerta di titoli vengono convogliate in gran parte sui

mercati organizzati e, quindi, i prezzi rilevati in quel contesto sono ritenuti indicatori

più affidabili dell'effettivo valore degli strumenti finanziari.

Quando invece gli strumenti finanziari non sono negoziati in mercati organizzati può

risultare difficoltoso o impossibile liquidarli o comprenderne il valore effettivo:

questi strumenti finanziari sono più “illiquidi” (è più difficile venderli in tempi rapidi

e a un prezzo che rispecchi effettivamente il loro valore).

Gli strumenti finanziari emessi dalle startup innovative che possono essere

sottoscritti tramite i portali di equity crowdfunding appartengono alla seconda

categoria, dal momento che il Decreto crescita ne vieta la negoziazione nei mercati

organizzati per il periodo in cui la società può essere considerata una startup

innovativa (art. 25, comma 2 del “Decreto crescita bis”).

Pertanto, chi compra tali strumenti deve essere consapevole del fatto che, accanto al

rischio di perdita dell’intero capitale investito, vi è anche il rischio di “illiquidità”

collegato sia al divieto per un primo periodo di essere scambiati su mercati

organizzati e sia al fatto che , inizialmente, non esiste un c.d. “mercato secondario”

sul quale è possibile effettuare gli scambi una volta che gli strumenti sono stati

sottoscritti.

E quali sono i rischi connessi con gli investimenti effettuati tramite portal on-line?

La diffusione dell’utilizzo di internet per le transazioni commerciali ha aumentato il

rischio di incappare in iniziative illecite o in vere e proprie truffe. Se riceviamo una

proposta di investimento via email, o se vogliamo aderire ad un’offerta per

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sottoscrivere o acquistare prodotti finanziari su un sito internet, è bene fare qualche

verifica in più, ad esempio:

- controllare che il soggetto che propone l’investimento sia chiaramente

identificabile;

- verificare che gli indirizzi forniti (telefono, fax e sede del soggetto)

corrispondano effettivamente a quelli del soggetto, avvalendosi magari dei

servizi “elenco abbonati telefonici”;

- verificare sempre direttamente presso la Consob che il gestore del portale sia

iscritto al registro dei gestori di portali tenuto dalla Consob. È bene inoltre

sottolineare che anche qualora il soggetto dichiari (e lo sia effettivamente) di

essere vigilato da un’autorità pubblica, ciò non comporta alcuna assunzione

di responsabilità da parte di tale autorità né garantisce il contenuto delle

proposte effettuate;

- verificare che l’indirizzo internet del portale cui si è connessi coincida con

quello indicato nel registro dei gestori di portale presente sul sito della

Consob;

- diffidare delle richieste di dati/informazioni personali; è sempre bene

controllare la politica di trattamento dei dati personali che il portale deve

mettere a disposizione degli investitori (al fine di accertare che i propri dati

non siano trasmessi a terzi).

- ricordare infine che la raccolta di capitali promossa tramite portali di

crowdfunding iscritti nella sezione ordinaria del registro tenuto dalla Consob

si perfeziona sempre tramite banche o imprese di investimento (SIM). Il

gestore iscritto nel registro dei portali non può richiedere al cliente di versare

a suo favore le somme necessarie per la sottoscrizione degli strumenti

finanziari. Queste dovranno essere versate solo in un conto indisponibile

intestato all’emittente acceso presso la Banca o la SIM.

... e dopo?

Investire i propri risparmi non implica soltanto la scelta e l'acquisto: è bene

continuare a seguire i nostri investimenti nel tempo e acquisire il maggior numero di

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informazioni.

Se siamo diventati soci di una società startup, possiamo partecipare alla vita

societaria esercitando, ove previsto, il diritto di voto nelle assemblee o esaminando e

approvando i bilanci societari. Siamo d'accordo: non si tratta di documenti che si

presentano come particolarmente interessanti. Ma vanno letti, perché ci forniscono

informazioni sullo stato di ”salute” del nostro investimento e ci possono far riflettere

sull’opportunità di mantenerlo o liquidarlo.

A questo fine, dobbiamo leggere attentamente la documentazione che normalmente

la società mette a disposizione dei soci. Ricordiamo che il portale, una volta conclusa

l’offerta, non è obbligato a pubblicare questa documentazione e pertanto dobbiamo

seguire con molta attenzione il sito internet della società di cui abbiamo sottoscritto

gli strumenti finanziari ricordandoci che la società, finché è in possesso dei requisiti

di startup innovativa, deve aggiornare le informazioni elencate dal “Decreto crescita

bis” almeno ogni sei mesi.

Attenzione poi al cambio di controllo! Lo statuto della startup innovativa (che ogni

socio deve conoscere), finché rimane tale e comunque nei successivi tre anni

dall’offerta effettuata tramite il portale, deve riconoscere agli investitori, nel caso di

cambio di controllo societario,il diritto di recesso o di co-vendita (c.d. tag along),

indicandone modalità e condizioni.

Attenzione, inoltre, alle vicende societarie successive alla raccolta di capitali cui noi

abbiamo aderito: la società potrebbe ad esempio effettuare ulteriori aumenti di

capitale anche attraverso portali di crowdfunding. Se non si esercita il “diritto di

opzione” (cioè il diritto dei soci già esistenti di sottoscrivere le nuove azioni o quote

emesse dalla società) esiste il rischio che il proprio investimento subisca un effetto di

“diluizione” (perché sono entrati nuovi soci a seguito dell’aumento di capitale), e la

propria partecipazione nella società “pesare” (percentualmente) un po’ meno, in

termini di voti, dividendi attesi e valore. La società emittente potrebbe infine avere

un’interesse ad agevolare un “mercato” dei propri strumenti finanziari. Seppure i

titoli di una startup innovativa non possano essere negoziati in mercati regolamentati,

potrebbero essere creati, anche con l’ausilio del portale, dei punti di incontro fra gli

investitori (blog, bacheche etc.) dove i soci possono seguire gli sviluppi della vita

societaria e proporre la compravendita dei propri strumenti finanziari».

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3.6 Come realizzare una campagna per il Crowdfunding

Apro questo paragrafo precisando che: secondo uno studio condotto su alcune

campagne, di vario genere, è emerso che la durata media per la realizzazione del

funding goal va dalle “cinque” alle “dieci” settimane.

Il risultato di questa indagine palesa come sia cruciale per gli organizzatori di una

campagna di Crowdfunding preparare la stessa in modo assolutamente dettagliato e

analitico, con un’attenzione rivolta a 360° su ogni set di fattori chiave, al fine di

sfruttare al meglio ogni singolo minuto del breve periodo (5-10 settimane) che segna

l’ascesa o la caduta di un progetto.

Inoltre la relativa facilità d’uso delle piattaforme, la concreta possibilità per tutti di

realizzare le proprie idee, gli incredibili quanto fuorvianti casi di strasuccesso per

alcune campagne sbandierate ovunque, non aiutano molto a creare quella giusta

cultura e professionalità con la quale si dovrebbe invece prendere questa chance.

Pensare che per fare Crowdfunding basti trovare un’idea, un sito dove pubblicarla e

aspettare che qualcuno (tra i tanti utenti del web) passi di lì e ci lasci i suoi “sudati”

soldi, è meno raro di quanto si pensi.

Uno studio in materia ha dimostrato che oltre il 60% delle campagne postate sulle

diverse piattaforme, non raggiunge l’obiettivo prefissato (per verificarlo basta

seguire qualche progetto su qualche piattaforma per capirlo da soli).

Ciononostante non bisogna lasciarsi scoraggire, ma cercare di capire, osservando

attentamente le campagne concluse, sia quelle di successo e altrettanto quelle fallite,

i punti chiave della loro impostazione che ne hanno segnato il successo o

l’insuccesso e metterli a confronto con i casi propri, in particolar modo se trattasi di

progetti simili.

Detto ciò sono ottimista a riguardo, intravedendo nella maggiore diffusione del

fenomeno nel nostro paese, nell’implementazione dei fattori fondamentali per una

campagna, nella creazione di benchmark operativi, nella sana concorrenza e

nell’attenzione raccolta dai policy maker, una maturazione della cultura del

fenomeno e la conseguente professionalità, per affinare le tecniche d’uso e sfruttarne

tutte le potenzialità.

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Qui di seguito vengono ora affrontati i punti chiave che sino ad ora hanno

caratterizzato per importanza le concluse campagne di Crowdfunding.

In punti in questione, ricolegandomi a quanto detto sopra, appartengono alla fase

operativa che precede il lancio del progetto per la campagna di raccolta fondi. Come

si avrà modo di capire, la quantità di lavoro che deve essere fatta per preparare una

campagna di Crowdfunding è abbondante e variegata, impegnando i progettisti per

competenze e tempo richiesto.

Calzante è in tale circostanza la nota teoria Paretiana dell 80/20, che in questo caso

vede da una parte (80%) il lavoro di preparazione, analisi, ricerca, impostazione, etc,

e dall’altro (20%) la campagna in azione.

1. La piattaforma. Scegliere prima di tutto se si vuole presentare la campagna sul

sito/piattaforma personale o se lanciarlo su una delle piattaforme esistenti. La scelta

non è scontata in quanto in ballo ci sono molti aspetti inerenti l’esito del progetto

come: i soldi che si è in grado di raccogliere (qualità e quantità dei fondi in base ai

modelli) la visibilità del progetto o azienda, le competenze necessarie, la necessità di

riservatezza o meno, le scadenze, la risoluzione dei problemi, etc.

Se si è sicuri di possedere quel network di conoscenze e “fan” in grado di sostenere

autonomamente il progetto e, in caso di necessità, la copertura economica, allora si

può scegliere la prima opzione, altrimenti sarebbe meglio sfruttare il mix di benefits

DURATA  VARIABILE.  DAI  6  MESI  AD  1  

ANNO  

LAVORO  PRELANCIO  PER  LA  

PREPARAZIONE  DELLA  CAMPAGNA  

5/10  WEEKS  

CAMPAGNA  

ONLINE    

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offerti dalle piattaforme esistenti, come: la consulenza pre e post lancio, il numero di

visitatori attratti, la fiducia trasmessa, il problem solving, social marketing virale, etc.

Complementare a tale opzione vi è poi l’altrettanto ardua scelta della piattaforma

sulla quale lanciare la campagna. Oramai le piattaforme spopolano in tutto il mondo

per numero e qualità (trattate nei paragrafi che seguiranno), ognuna di esse opera per

conto di diversi tipi di Crowdfunding (Donation/Reward/Lending, etc), può essere

specializzata per settori e prodotti o generalista, e offrono ognuna un diverso set di

servizi, bacino d’utenza, costi (fee), esperienza, etc.

2. Benchmark. Prima di lanciare il progetto in rete può tornare utile un approfondito

sguardo alle campagne presenti e passate di prodotti/progetti simili, l’esito che

stanno riscuotendo o che hanno riscosso, il tipo di rewards, il taglio delle somme per

finanziare il progetto, i tempi di realizzazione, la presentazione del prodotto/progetto,

il budget obiettivo, e quant’altro possa tornare utile per migliorare il proprio

“lancio”, per differenziarsi dai prodotti competitor e per posizionarsi sul mercato in

modo da essere percepiti come assoluta novità.

3. Team. “Chi fa da se fa….poco”, come è stato più volte ripetuto preparare un il

lancio per una campagna di Crowdfunding non è cosa semplice, bisogna allora

circondarci di un team preparato, motivato, che condivida gli stessi obiettivi ed

pronto a diffondere con ogni suo mezzo il progetto. Avere gli uomini giusti ai posti

giusti è propedeutico a tutta la preparazione del lancio, perché solo cosi è possibile;

moltiplicare il numero di ore “fisiologicamente” messe a disposizione del progetto

per il numero di collaboratori, ottenere un importante mashup di competenze e punti

di vista critici da cui attingere che possono tornare utile nel corso della preparazione

e, primo fra tutti, amplificare l’azione divulgativa mossa da un gruppo di persone

attraverso diversi canali di comunicazione attivando ognuno numerose reti sociali

che concorrono alla creazione di comunicazione virale intorno al progetto che,

sommato il tutto, si traduce in più contatti e nuovi contatti.

L’azione del team contribuisce allo scopo se: vengono dettagliatamente stabiliti i

ruoli di ognuno, le responsabilità, le risorse a disposizione, i modi di azione e

comunicazione e i tempi.

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4. Budget & Funding goal. Definire con molta attenzione dapprima il budget

necessario per realizzare il progetto/prodotto comprensivo delle spese per materiali,

manodopera, burocratiche e fiscali che con esso si generano. Una volta fatto ciò si

può stabilre il cosiddetto “funding goal” ossia l’obiettivo di finanziamento raccolto

dalla folla, che includerà sia il budget “operativo” per portare in vita il progetto e sia

le forme di reward previste, in base ai tipi Crowdfunding, per i funders, siano esse in

prodotto o servizi, ricompense di altro genere, o interessi da restituire a breve sulle

somme raccolte. I rewards, si badi bene, incidono sulle somme “nette” da destinare

all’investimento nel progetto, pertanto vanno pianificate nel dettaglio per non

ritrovarsi improvvisamente senza fondi da destinare al progetto o peggio,

impossibilitati ad onorare l’accordo con il funder per la ricompensa perché si sceglie

di destinare i fondi al progetto.

Definire il funding goal non è cosa semplice. Molti progettisti falliscono, pur avendo

le potenzialità giuste, perché commettono l’errore di fissare l’asticella dell’avvio

troppo alta o troppo bassa. Nel primo caso il funder potrebbe pensare che tale

progetto non arriverà mai a conclusione e quindi non vuole vincolare una somma di

denaro invano, nel secondo potrebbe essere scoraggiato pensando che tale somma è

ragionevolmente troppo bassa per quel progetto tanto da indurlo a pensare che le

somme richieste dal progettista non siano in realta necessarie allo scopo richiesto ma

magari ad una semplice necessità di liquidità immediata. In entrambi i casi quello

che conta è che il funder o ha desistito dal sostenere il progetto o anche nel caso lo

avesse fatto non contribuisce a diffondere la conoscenza tra le sue reti, stimolato

dalla voglia di ottenere i suoi benefits, per assenza proprio di questo.

Un’altro criterio da tenere presente per stabilire concretamente il proprio obiettivo di

raccolta è la stima della target audience, sia iniziale che raggiungibile. Avere una

base di “fan” iniziale considerevole agevola le fasi iniziali della campagna, critiche

per popolarità, fiducia e soldi, ed inoltre è un ottimo slancio verso obiettivi

importanti.

5. Somme vs Rewards. Complementare al punto appena descritto è la

predisposizione dei reward previsti per i funders. Tali reward devono essere

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differenti al variare dell’importo finanziato e per ogni step di importo ne vanno

stabilite le eventuali disponibilità quantitative.

Definire con che tipo di ricompense “ringraziare” i finanziatori è anch’esso (come il

funding goal) un aspetto incentivante al sostegno del progetto, sia per il diretto

interessato che per gli indiretti che seguiranno tramite questo.

Altro lato della stessa medaglia sono le somme richieste per finanziare il progetto. È

proprio in relazione a queste che variano i rewards, perché tanto maggiore è il

contributo richiesto, tanto maggiore dovrà essere il valore (intrinseco, non

necessariamente economico) delle ricompense.

Le somme di denaro con cui si chiede di partecipare e contribuire ad un progetto

determinano il livello di democratizzazione della partecipazione.

Non va dimenticato che il Crowdfunding si poggia sullo (s)fruttamento della long

tail, ossia della coda lunga di investitori-dilettanti, tali grazie proprio alle basse

barriere all’ingresso per questo tipo di finanza “sociale”.

Pertanto si intuisce l’importanza che hanno entrambi nel raccogliere attenzione,

trasformarla in interesse ed in fine in finanziamenti.

Li dove un progetto non interessa per questioni tecnico-pratiche, si può comunque

incentivare il sostegno con l’azione convergente del basso importo delle somme

richieste e/o di ricompense interessanti.

6. Pronti al Pitch. Preparare il lancio, la pubblicizzazione del progetto. Il termine

anglosassone usato per racchiudere il senso di questa azione è “Pitch”, esso

rappresenta per l’utente il nostro biglietto da visita, la stretta di mano, come siamo

vestiti, se siamo carini, le nostre caratteristiche, come comunichiamo, se

trasmettiamo appeal o meno.

Il tutto in una manciata di secondi, preziosi per convincerlo a darci un po dei suoi

soldi.

Potrebbe sembrare bizzarro quanto appena detto ma è la traduzione delle funzioni

racchiuse in questo “espediente” a disposizione del progettista, ed è il modo in cui

viene interpretato il messaggio dal funder.

Il Pitch include ogni mezzo e supporto utile a trasmettere all’utente, che si imbatte

sul “nostro” progetto tra le tante presenti sulla piattaforma, la nostra potenzialtà, i

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nostri valori, gli obiettivi, l’utilità del nostro progetto, l’originalità, la differenza dai

competitor, il valore aggiunto dei nostri prodotti, la fiducia e quant’altro serva a

catturare la sua attenzione, ad emozionarlo, a restare qualche secondo in più sulla

nostra finestra virtuale per sapere di più di noi e del progetto, a finanziarci e a

stimolarlo a diffondere il tutto.

I mezzi e i supporti utilizzabili possono essere sia digitali (video, musica, audio,

slides) sia fisici (stampe, carta, prototipi), il core di ognuno è che rispondano

all’esigenza di veicolare il meglio possibile e nel minor tempo possibile il

messaggio, possibilmente in modo divertente.

7. Deadline. Stabilire la durata della campagna è importante sia per il fundraiser che

per il funder. Il primo è così in grado di determinare le risorse necessarie per

affrontare la campagna, sia in termini di tempo che di azioni promozionali per

mantenere alta l’attenzione e il coinvolgimento. I funders in tal modo hanno visione

dei tempi di “attesa” per le loro ricompense o per verificare se un progetto/prodotto

arriverà sul mercato a breve. Come accennato ad inizio paragrafo i tempi per una

campagna sono brevi, questi generalmente sono frutto dell’accordo tra il progettista e

la piattaforma.

8. Check. Arrivati al punto di non ritorno, non rimane altro che controllare se tutto è

stato predisposto nel dettaglio, se emerge qualche imprecisione o mancanza è

opportuno interrompere l’uscita e ripristinare il gap. Dopo di che, si va in scena.

9. Monitorare il post lancio. La prima cosa da fare una volta online è raccogliere i

feedback dal mercato degli utenti, dalla piattaforma e dai collaboratori. L’attenzione

d’ora in poi va mantenuta alta e costante. Persino una volta conclusa la campagna,

sia che abbia avuto successo che non, ma di certo nel primo caso a maggior ragione,

va comunque mantenuta la base di controllo e aggiornata continuamente con ogni

titpo di indicatori, utili come archivio da cui poter attingere in ogni evenenienza, sia

questa o una nuova.

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10. Stay Tuned. Che la campagna sia in corso o sia conclusa, il fundraiser e il team

deve continuamente tenere alta l’attenzione e il coinvolgimento del pubblico.

Rispondendo alle domande e curiosità sul progetto/prodotto, risolvendo i problemi

che emergono, attivando tutte le leve di marketing e advertaising a sua disposizione,

essendo presente e attivo sui social network.

The more the better!

3.7 Piattaforme digitali per il Crowdfunding

Per completare il quadro degli attori che compongono il Crowdfunding, manca

all’appello il ruolo svolto dall’intermediario; chi è, che fa, perché è così importante,

cosa ne guadagna, etc.

Questo paragrafo, dedicato a questa figura, ha l’obiettivo di metterne in evidenza i

tratti significativi, senza l’intenzione di entrare nello specifico delle differenze

(infinite) degli uni dagli altri e accennado ai trend di crescita sino ad oggi.

Gli intermediari in azione quando si parla di Crowdfunding sono meglio conosciuti

come “Piattaforme Digitali”, ognuna poi distinta con la propria ragione sociale o

nome commerciale.

Questi attori pur avendo visto la luce recentemente, negli ultimi anni o addirittura

mesi sono stati protagonisti di una proliferzione imponente, seguendo la scia lasciata

dall’espansione del Crowdfunding, proliferazione che, a detta di esperti, è ancora ben

lontana dal vedere il suo “boom”.

Dal 2008, anno in cui è possibile datare la nascita delle prime piattaforme (tale anno

indica la presenza di un numero consistente di piattaforme “consapevolmente”

operanti per il Crowdfunding poiché vi sono anche casi di datazione anteriore per

alcune di esse, come l’italiana Produzioni dal Basso nata nel 2005, che già operava in

quello che “successivamente” è stato confinato sotto il nome di Crowdfunding) la

crescita di questo intermediario ha visto un trend in sola crescita, aumentando di

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circa il 10% l’anno e arrivando a toccare ad oggi la stima delle 600/700 piattaforme

in tutto il mondo.

La maggior parte di queste originarie del Nord America, seguite poi dall’Ovest

Europa ed in forte ascesa in questi ultimi mesi anche in paesi come Brasile, India,

Australia e Canada, ma certamente non si arresta qui, altri ne seguiranno non appena

le legislazioni ed i mercati saranno maturi.

Tirando giù qualche cifra, utile alla comprensione del peso e della portata mondiale

di tale fenomeno, la crescita registrata fino ad oggi in termini di fondi raccolti

(considerando il Crowdfunding nel suo complesso) è di 530 mln $ nel 2009, 850 nel

2010, 1500 nel 2011, 2800 nel 2012 e per il 2013 ancora in corso si stima che questa

raddoppi ancora arrivando intorno ai 6000 mln $. Si noti come la crescita imponente

è avvenuta dal 2011 in poi, questo non è lasciato di certo al caso, ma conferma come

il mercato ha in un primo momento assimilato il fenomeno con prudenza, maturando

nei suoi confronti la giusta dose di fiducia ed esperienza che le impedisse di

“scottarsi”, azzardando una sovrafiducia mal riposta che portasse poi ad una drastica

disillusione con perdita di denaro. Una volta superata la fase di timidezza reciproca

e, fatte le dovute conoscenze dei limiti e dei benefici, il mercato (inteso come gli

attori in azione) ha sviluppato quella cultura e professionalità che è dimostrata dai

numeri registrati negli anni a seguire.

Il mercato Italiano di certo non è rimasto a guardare, registrando un volume di fondi

raccolti superiore ai 14 mln €, con la presenza ad oggi di 30 piattaforme operative

più altre pronte al lancio nei prossimi mesi. L’arrivo poi della direttiva Consob a

giugno di quest’anno fa ben sperare in un’impennata del fenomeno nei confini

nazionali, in particolar modo per il modello Equity.

A tutt’oggi il modello predominante, in termini di numero di piattaforme dedicate, in

Italia come nel mondo è il modello Reward, seguito dal modello Donation e

Lending, anche se il modello Equity sta registrando la crescita più repentina sia per

numero di piattaforme sia per ammontare di fondi raccolti, spronato anche dal

sostegno normativo in Italia (D.C. 2.0) e in America (JOB Act).

Al di là dei numeri sospinti dal Crowdfunding, le piattaforme vivono di vità propria,

esse entrano a far parte del Crowdfunding quando quest’ultimo entra in azione,

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prestando quei servizi che con tale attivazione si rendono necessari e nel contempo

svolgendo più manzioni.

Esse si differenziano le une dalle altre oltre che per il semplice nome, per una folta

serie di connotati quali: origine e luogo operativo, generaliste o tematiche, take all

(prendi tutto) o all or nothing (tutto o niente), per modello operativo (Donation,

Rewards, etc), per il set di servizi offerti pre e post campagna (es. integrazione social

network e media, raccolta feedback sul progetto), per i tipi di funders ammessi, per

l’anno di nascita, il volume di affari, la tipologia di prodotti/progetti ammessi, per la

selezione o meno dei progetti prima della pubblicazione, per la percentuale di “fees”

sulle somme raccolte, per la presenza o meno di altre commissioni, etc.

L’unica cosa che hanno in comune, è che tutte presentano particolarità esclusive in

qualche cosa.

Pertanto è assai arduo definirne le caratteristiche di ognuna, ma allo stesso tempo è

importante, per chi si accinge a lanciare una campagna, scegliere tra le tante quella

che più fa al caso proprio per il mix di servizi offerti.

Tra i tanti tratti sopra elencati ve ne sono alcuni cruciali:

- Il luogo operativo indica se la piattaforma opera solo nel paese dove ha

origine o travalica in confini, dando segno in tal caso di possedere quegli

strumenti per competere ovunque, che tradotto per il fundraiser significa

riuscire ad attrarre molti più utenti/finanziatori.

- Le piattaforme generaliste, al contrario di quelle tematiche, accolgono

solitamente ogni tipo di progetto/prodotto, rivolgendosi in tal modo ad un

pubblico vasto. Quelle tematiche sono create da e per specifiche cause quali

ad esempio: musicisti, registi, giornalisti.

- Con il modello take all le piattaforme acconsentono al fundraiser di trattenere

le somme raccolte anche qualora queste non avessero raggiunto il funding

goal stabilito sulla piattaforma. Nel caso invece all or nothing come dice la

parola stessa, solo nel caso in cui il funding goal fosse raggiunto il fundraiser

può trattenere le somme, nel caso contrario queste vengono generalmente

rispedite al funder o non addebbitate sul conto (Paypal e Amazon Payment in

questo sono molto utili).

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«La scelta per la piattaforma su quale dei due modelli offrire non è di poco

conto, perché per un finanziatore che crede in un progetto, la cui

realizzazione dipende dalla somma richiesta, vedere che questa non viene

raggiunta ma che comunque il fundraiser trattiene il denaro, potrebbe mettere

in cattiva luce la bontà del fundraiser come della piattaforma. Come invece

può lasciare al fundraiser la possibilità di realizzare comunque il progetto,

con le dovute garanzie di rimborso previsto».

Esistono piattaforme che offrono ambedue i modelli.

- Quando si parla di specifici funders ammessi alla piattaforma si fa

riferimento alla possibiltà di selezionare il tipo di sostenitore a cui è rivolta la

richiesta, ad esempio: associazioni, privati, enti, pubblica amministrazione,

aziende.

- La selezione dei progetti prima della pubblicazione è una pratica usata da

molte piattaforme per compiere quelle adeguate ricerche riguardo alla

fattibilità del progetto proposto con le rispettive somme richieste o anche per

controllare, li dove è possibile, il background del fundraiser nel tentativo di

prevenire eventuali frodi o sufficienza progettuale che comunque

danneggierebbe i funders e il Crowdfunding in generale, oltre che la fiducia

risposta verso la piattaforma.

- Le fees rappresentano per le piattaforme la principale fonte di guadagno,

queste sono applicate in forma di percentuale e possono essere addebitate

solo per i progetti interamente finanziati e/o anche per le sole somme che si è

riusciti a raccolgliere.

La percentuale delle fees va da un minimo del 2% ad un massimo del 25%,

generalmete minori in nord America, agevolate dalla maggiore maturità del

mercato sul fenomeno, dalla più ampia diffusione e competizione e dalla

tassazione assai più leggera.

Si intuisce da quanto sin qui detto circa la quantità e la qualità dell’intermediazione

svolta dalle piattaforme. Come accennato in precedenza questi esempi non vogliono

ne possono essere esaustivi del caso in questione, semplicemente perché al momento

in cui sto scrivendo ne staranno nascendo di nuove, sempre più specializzate in

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campi fino ad ora poco esplorati e con nuovi servizi integrati, per meglio

conquistare la fiducia dei fundraiser e dei funders in un mercato che si fa sempre più

competitivo giorno dopo giorno.

3.8 Casi di successo

Numerosi sarebbero gli esempi da riportare come casi di successo, a cominciare dal

famoso Kickstarter con il primato raccolto per il Pebble Watch di oltre 10 mln $, ma

ve ne sono alcuni che rappresentano la portata del Crowdfunding, al di là del valore

economico sottostante.

Qui ne riporto alcuni selezionati in giro per il mondo:

KIVA è un organizazione no-profit fondata nel 2005 che opera in cinque continenti

in collaborazione con istituti di microcredito per fornire accesso al capitale a persone

“non bancabili” ma con progetti di rilancio territoriale e personale. Kiva mette in

contatto attraverso la propria piattaforma i borrowers ed i lenders, per raccogliere

finanziamenti da quest’ultimi (anche di 25$). Alla scadenza del termine previsto il

prestito viene riconseganto al prestatore senza interessi, attraverso speciali partner.

«Kiva doesn't charge interest to its Field Partners and does not provide interest to

lenders».

Attualmente vanta piu di 985.000 lenders, circa 470 mln $ raccolti, con un tasso di

ripagamento del 99,01%, finanziando oltre 1 mln di borrowers, in 72 paesi, reso

possibile da 450 volontari.

Il modello di Crowdfunding con cui opera Kiva è il Social Lending.

SELLABAND è una piattaforma per il modello Reward based che permette ai fans

di finanziare l’artista, la canzone o il disco prescelto, attraverso piccole donazioni.

Alla data di scadenza i soldi raccolti dall’artista saranno usati per produrre il progetto

e restituire ai fans gadget vari più copie del progetto realizzato e parte dei ricavi dallo

stesso (nei casi previsti). Sella band ha permesso, dal 2006 anno di fondazione, a più

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di 80 artisti di raccogliere qualcosa come 4 mln $, ma il vero punto di forza sta nel

permettere a band “indipendenti” di entrare nel circuito della musica senza il

benestare delle grandi case discografiche (major) le quali si accaparrano gran parte

dei diritti delle stesse. Il servizio offerto da questa piattaforma è molto utile anche

per creare una fan base prima del lancio del disco e verificarne la popolarità.

OPEN GENIUS è una piattaforma che attraverso il modello Donation based si

rivolge alla folla per raccogliere finanziamenti. Fin qui nulla di eccezionale che non

sia già visto, ma la particolarità sta nel fatto che i fondi richiesti servono a finanziare

ricerche in ambito scientifico, cosicchè la comunità può scegliere il tipo di ricerca da

sostenere secondo i propri interessi o priorità.

Il servizio Open Genius si articola in tre passaggi principali:

1) Proposta: le proposte progettuali, presentate dai ricercatori, sono pubblicate su un

database online, includendo una descrizione dei principali obiettivi, la durata

prevista, ed il contributo richiesto.

2) Selezione: I progetti sono valutati attraverso un processo di revisione tra pari

(peer review) in forma anonima, che assegna un punteggio a ciascuna proposta e alla

reputazione scientifica di ciascun proponent.

3) Donazione: I progetti con punteggio più elevato sono pubblicati su Open Genius e

possono ricevere i contributi dei donatori (privati cittadini, imprese filantropiche),

che hanno la possibilità di scegliere direttamente su quali progetti investire.

Iscrivendosi al servizio e contribuendo con una donazione, i donatori hanno inoltre la

possibilità di seguire i progressi dei progetti da loro supportati attraverso un sito web

regolarmente aggiornato dai ricercatori. In questo modo, gli investitori possono

verificare l’andamento del progetto, il modo in cui vengono spese le loro risorse, e

gli obiettivi raggiunti in corso d’opera.

SIAMOSOCI è una piattaforma che favorisce l’incontro tra imprese in fase di

startup con forte contenuto innovativo in cerca di capitali per svilupparsi e investitori

in cerca di opportunità di investimenti in business di cui hanno spesso competenza e

con alto potenziale di crescita.

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Tale modello operative viene chiamato Equity based Crowdfunding in quanto gli

investitori a fronte del finanziamento versato ricevono azioni o quote della startup.

SPOTUS è una piattaforma dedicata alla raccolta fondi tramite donazioni dirette

della comunità, per commissionare e finanziare ricerche giornalistiche e report su

importanti questioni, spesso tralasciate dai media tradizionali.

3.9 Che cosa manca per il grande salto

«Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, o meglio: popolo di eroi, di santi, di

poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori».

È il 1935, anno in cui venne pronunciata questa frase rimasta famosa da allora, che

campeggia sul Palazzo della Civiltà del Lavoro a Roma, a tutt’oggi ancora immutata

nel suo principio.

Mi chiedo allora, quand’è che potremo pronunciare nuovamente tale citazione

aggiungendo l’aggettivo “Innovatori”, che per secoli ci è appartenuto, per poi svanire

pian piano nel nulla, per colpa di chi o cosa non ci è dato sapere.

Con speciale riguardo al mio paese. Quello che manca per il grande salto, come da

titolo di quest’ultimo paragrafo, è racchiuso a mio avviso proprio nell’assenza di tale

espressione.

Essere innovatori significa: esserlo a 360°, h24, 365 giorni l’anno, tutti coinvolti

nessuno escluso.

Il popolo italiano ha un rapporto di amore e odio nei confronti dell’innovazione e

nell’attitudine al rischio che essa si porta dietro. Tale atteggiamento è da imputarsi a

più di una causa, in primis culturale oserei, da sempre poco aperti ai cambiamenti,

alle novità e ai rischi, facendo del tradizionalismo una fede. Ciò ha determinato un

ritardo cronico nell’implementazione delle innovazioni che il mercato offre, qualsiasi

sia il settore.

Questo spiega perché nel fenomeno del Crowdfunding, che anche rientra in pieno in

quello che potremmo considerare un’innovazione, l’Italia mantiene un gap dagli altri

paesi (avanzati si intende).

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Anche se per la prima volta a Giugno di quest’anno possiamo vantare il primato

“virtuoso” di aver dato ordine al quadro normativo riguardo le imprese di nuova

generazione (startup), sfornando il regolamento Consob che prevede la possibiltà per

queste di emettere quote azionarie per la raccolta fondi dal basso, resta comunque un

bassa diffusione nell’uso di questo straordinario mezzo.

Le cause? L’alta diffidenza, la scarsa propensione al cambiamento e alla

condivisione, la bassa attitudine all’uso di internet per comprare e vendere online,

l’uso singolare delle carte di credito e conti online, che vanno ad aggiungersi a quei

deterrenti “fuori dalla portata dei singoli”, intendendo con ciò “non imputabili a

inerzie personali”, ma alle autorità che sarebbero preposte a dare impulso (e non

fanno) alle innovazioni attraverso: sgravi fiscali, diminuzione del costo del lavoro,

burocrazia snella, sostegno economico, promozione culturale, sostegno tecnico,

protezione, regolamentazione chiara e adeguata.

Il risultato di un tale circolo vizioso è l’ingessamento di un sistema economico e

sociale privo di stimoli ma ricco di disincentivi per chi volesse essere parte attiva

della vita economica, portatore ognuno del loro fare ed del loro sapere, fertilizzando

l’humus territoriale, a beneficio della collettività.

Balzando fuori dal caso italiano appena descritto, lo studio dell’argomento sino a qui

svolto, mi ha in più di un’occasione fatto luce circa quelle che sono le mancanze in

materia e, in sequenza, l’urgenza e l’attenzione con le quali andrebbero colmati

questi gap.

Quelli elencati qui di seguito, sono i punti sui quali a mio avviso si dovrebbe

intervenire, per favorire la diffusione del Crowdfunding su scala mondiale:

1. La creazione di un’infrastruttura condivisa, composta da ogni operatore

interessato (stakeholder, progettisti, piattaforme, funders, policy maker), per

la raccolta di ogni genere di feedback, apporto di esperienze, idee, consigli e

supporto di ogni genere, per meglio progettare un’architettuta che sostenga il

Crowdfunding e il più possibile omogeneamente worldwide.

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2. Sfruttare un tale livello di partecipazione e condivisione per sviluppare un

sistema di sicurezza per la prevenzione da frodi o gap di ogni tipo a beneficio

di ogni genere di utente.

3. Diffusione, con dei programmi ad hoc creati di concerto dai professionisti del

settore, della cultura del Crowdfunding. Informare le nuove generazioni sui

potenziali benefici nell’uso di questo canale, mettendoli in guardia anche dei

limiti dello stesso, vorrebbe dire seminare oggi per raccoglierne domani i

frutti, che varrebbero una società più diversificata nell’uso dei fondi, meno

attendista, con maggiore autonomia e maggior controllo non solo dei propri

soldi, ma su cosa vogliamo che il mercato produca per noi, per quali scopi e

con quali caratteristiche.

4. Assistere le piattaforme affiancandole negli stadi iniziali. Un utile strumento

sarebbe la creazione di benchmark di mercato per i diversi servizi che si

intende integrare e individuare le best practice.

5. Istruire, istruire, istruire (ripetizione voluta) i progettisti/process

owner/fundraiser su come preparare una campagna per il Crowdfunding e su

come vada alimentata durante e dopo la dead line. Responsabili di questo

aspetto “dovrebbe” essere chi in passato ha adoperato con successo il CF e/o

professionisti esperti nello studio delle campagne di successo. La consulenza

vale.

6. Punto chiave per spalancare la porta al Crowdfunding conducendolo nel

mondo dei “grandi”.

Preparare, informare, addestrare i funders ad usare questa opportunità offerta.

L’ipprovisazione potrebbe far male a lui alla comunità di fundraiser e al

Crowdfunding in generale. Al primo perché l’eccessiva aspettativa potrebbe

causargli delusioni e il conseguente ritorno ai classici canali di investimento.

Ai secondi perché come detto nei paragrafi precedenti il Crowdfunding è

fatto dalla massa, dalla “coda lunga”, qualora questa massa cominciasse a

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perdere pezzi verrebbe meno la fonte primaria di finanziamento. Quanto al

terzo punto questo è la naturale somma dei due precedenti, se mancano gli

attori svanirebbe ben presto la “magia”, circoscrivendo il Crowdfunding a

mero strumento di investimento per pochi, avvezzi all’azzardo.

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CONCLUSIONI

Con inaspettata sorpresa trovo incredibilmemte arduo scrivere questa parte del

lavoro, ciò è dovuto essenzialmente al significato che io sono solito riporre nella

parola “Conclusioni”. Quest’ultima, infatti, suscita in me ogni qualvolta mi sono

imbattuto in essa in altre occasioni, l’aspettativa di trarre da quella parte di testo la

compiutezza dell’opera che ne è descritta, ossia la descrizione completa fino ai

confini dell’argomento, la definizione omnivalente dei casi citati, come anche dei

modelli o sottomodelli che in un trattato si espongono.

Mi rendo conto allora che per il lavoro da me trattato fin qui dovrò derogare a quanto

poc’anzi detto, perché mancano proprio quegli aspetti che rendono una conclusione

tale.

In breve il lavoro ha voluto evidenziare che, in entrambi i modelli descritti,

Crowdsourcing e Crowdfunding, vi sono numerosi punti in comune, tra i quali

spiccano tra tutti: l’importanza data al singolo - il ruolo attivo del singolo, che

diventa Crowd con l’integrazione di questo con internet e scopo - la raccolta e il

pooling di contributi provenienti dalla Crowd - l’uso degli stessi attraverso una

opportuna canalizzazione per gli scopi sottostanti - la nascita di nuovi attori operativi

(funders, piattaforme e fundraiser per il Crowdfunding) e (contributori, piattaforme e

Crowdsourcer per il Crowdsourcing) - l’abbassamento delle barriere alla

partecipazione - la delegazione di molti aspetti cruciali alla saggezza della folla -

l’utilità generata per tutti gli utilizzatori - la nascita recente per entrambi.

Ma l’aspetto che più di tutte accomuna i due fenomeni nascenti è; la loro

incompiutezza, causa la continua mutazione ed evoluzioni circa le caratteristiche, i

modelli, gli scopi e i regolamentazioni.

Tutto ciò, ricollegandomi a quando detto ad inizio paragrafo, ne impedisce una

“vera” conclusione, in special modo ai fini didattici, a causa proprio della

iperfrenesia che al momento accompagna i fenomeni lungo i primi step del ciclo di

vita che ognuno dei due sta percorrendo.

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Visto allora che non è possibile trarre delle conclusioni dai due fenomeni descritti,

parrebbe più opportuno rilanciare l’oggetto del presente paragrafo verso il fututo,

ossia proiettare gli usi che potrebbero derivare dai due in ambiti sempre nuovi quali

ad esempio quello politico, medico-sanitario e civico, solo per citare tre aree nelle

quali la saggezza della folla e il sostegno di questa sia sotto forma finanziaria che di

contributi vari diversi dal denaro sarebbero di grande beneficio per tutta la

collettività.

In ambito politico, oltre alla raccolta fondi per sovvenzionare le campagne elettorali

tramite la folla di fan/elettori (come nel celebre caso di Obama o Renzi alle primarie

2012) facendo risparmiare così un bel pò di soldi destinabili ad altro, si potrebbe

chiamare in causa la folla per la proposta di nuove leggi o la correzione di nuove o

vecchie, questo potrebbe avvenire tramite community online di cittadini, sia essa di

accesso libero a tutti i cittadini o chiamando in causa solo le comunità digitali di

esperti in materia. Va da sé che l’utilità della funzione dipende dal grado di

trasparenza, celerità e rispetto dell’esito, pena la credibiltà della piattaforma e della

funzione in se.

In ambito medico-sanitario i contributi della folla potrebbere essere usati per aiutare

un ospedale nell’acquisto di macchinari preziosi o autoambulanze (Crowdfunding) o

nell’individuazione ad esempio delle aree territoriali che più necessitano di copertura

medica. O ancora, la raccolta (tramite portale dell’ospedale) di feedback sull’operato

di questo o quel medico o assistente, o sulla struttura nel complesso per problemi

logistici, igienici e di messa in sicurezza, apportando non solo lamentele ma anche

soluzioni (Crowdsourcing).

Per quanto riguarda l’ultimo esempio da me riportato, esso concerne il cittadino in

qualità di membro di uno stato e di un territorio, con ripercussioni in ambito

educativo, conservativo ed informativo, con doveri in capo al cittadino “attivo” nella

tutela, difesa e valorizzazione della Res Publica. Un esempio? La raccolta fondi per

aiutare i territori colpiti da disastri naturali e ricostruirli, o, nel caso di contributi

diversi dal denaro, la segnalazione di anomalie territoriali prima di danni irreversibili

e costosi.

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Pur essendo già attivi alcuni di questi usi per le aree individuate, questi si presentano

ancora “timidi”, quasi timorosi nello sfruttare a pieno le potenzialità dei due

fenomeni, non considerando le diverse aree per le quali sarebbero attivabili.

Quasi si temesse che si rivelino più efficienti dello status quo…

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