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UNITA’ 1 L’economia politica L’economia politica è una disciplina scientifica che studia la produzione, lo scambio e la distribuzione delle risorse tra i diversi soggetti. Robbins osserva che, data la limitatezza delle risorse, gli individui devono operare delle scelte razionali. L’economia viene quindi a essere definita come disciplina che studia il comportamento delle persone che devono compiere scelte sulla base di risorse scarse. L'economia politica si divide in due branche: • la microeconomia, che studia il comportamento del singolo consumatore, della singola impresa o del singolo settore industriale; • la macroeconomia, che si occupa delle grandezze "aggregate" riferite a un'intera collettività. La politica economica, invece, elabora gli interventi destinati a modificare l'andamento del sistema economico per raggiungere gli obiettivi economici e sociali decisi dai Governi. L’analisi economica si avvale di due modalità: • l'analisi positiva che analizza la situazione così come si presenta • l'analisi normativa che formula giudizi di valore e proposte di intervento sulla base della situazione descritta dall'analisi positiva. Per spiegare i fenomeni economici, l'economista non può servirsi del metodo sperimentale utilizzato dalle scienze naturali (osservazione, formulazione di ipotesi, deduzione e verifica sperimentale) per i seguenti motivi: • l'economista non dispone di un laboratorio sperimentale per testare la validità delle sue ipotesi; si serve quindi esclusivamente di modelli, ossia di rappresentazioni, di schemi astratti della realtà che intende esaminare. Quindi un modello propone una rappresentazione semplificata di determinati fenomeni e fornisce un contesto dove verificare le ipotesi formulate dallo studioso; • la realtà studiata dall'economista non è immutabile, ma evolve nel tempo; da qui la difficoltà nel formulare ipotesi in grado di spiegare e, soprattutto, di prevedere determinati fatti; • per l'economista è difficile essere oggettivo e imparziale: egli non può analizzare i fatti prescindendo dalla propria formazione, cultura, storia in quanto egli stesso fa parte del campo di indagine studiato.

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UNITA’ 1 L’economia politica

L’economia politica è una disciplina scientifica che studia la produzione, lo scambio e la

distribuzione delle risorse tra i diversi soggetti.

Robbins osserva che, data la limitatezza delle risorse, gli individui devono operare delle scelte

razionali. L’economia viene quindi a essere definita come disciplina che studia il comportamento

delle persone che devono compiere scelte sulla base di risorse scarse.

L'economia politica si divide in due branche:

• la microeconomia, che studia il comportamento del singolo consumatore, della singola impresa

o del singolo settore industriale;

• la macroeconomia, che si occupa delle grandezze "aggregate" riferite a un'intera collettività.

La politica economica, invece, elabora gli interventi destinati a modificare l'andamento del sistema

economico per raggiungere gli obiettivi economici e sociali decisi dai Governi.

L’analisi economica si avvale di due modalità:

• l'analisi positiva che analizza la situazione così come si presenta

• l'analisi normativa che formula giudizi di valore e proposte di intervento sulla base della

situazione descritta dall'analisi positiva.

Per spiegare i fenomeni economici, l'economista non può servirsi del metodo sperimentale

utilizzato dalle scienze naturali (osservazione, formulazione di ipotesi, deduzione e verifica

sperimentale) per i seguenti motivi:

• l'economista non dispone di un laboratorio sperimentale per testare la validità delle sue ipotesi;

si serve quindi esclusivamente di modelli, ossia di rappresentazioni, di schemi astratti della realtà

che intende esaminare. Quindi un modello propone una rappresentazione semplificata di

determinati fenomeni e fornisce un contesto dove verificare le ipotesi formulate dallo studioso;

• la realtà studiata dall'economista non è immutabile, ma evolve nel tempo; da qui la difficoltà nel

formulare ipotesi in grado di spiegare e, soprattutto, di prevedere determinati fatti;

• per l'economista è difficile essere oggettivo e imparziale: egli non può analizzare i fatti

prescindendo dalla propria formazione, cultura, storia in quanto egli stesso fa parte del campo di

indagine studiato.

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I soggetti e le relazioni in un sistema economico

L’economia è la scienza della scelta razionale, ossia lo studio delle decisioni ottimali in presenza di

risorse scarse.

L’interesse principale dell’economista è quello di studiare i bisogni dell’uomo e i modi con i quali

soddisfarli. Quindi avvertire un bisogno e individuare il bene più adatto a soddisfarlo è stato il

primo esempio di scelta razionale di cui gli economisti si sono occupati.

Il bisogno umano è il desiderio di qualcosa che si reputa indispensabile e si manifesta in uno stato

di insoddisfazione che spinge l’interessato a procurarsi le risorse necessarie per appagare il suo

desiderio.

I bisogni presentano le seguenti caratteristiche:

- sono illimitati , gli individui avvertono bisogni sempre nuovi e in numero crescente rispetto

al passato. Molti di questi bisogni sono indotti, ossia suscitati da fattori esterni come la

pubblicità;

- sono saziabili, perché possono essere soddisfatti attraverso l’utilizzo di risorse;

- sono risorgenti, dato che, una volta soddisfatti si ripresentano;

- sono soggettivi, perché variano da soggetto a soggetto;

- sono variabili, non solo da soggetto a soggetto, ma da periodo a periodo e da luogo a luogo

(cambiano nel tempo e nello spazio).

E’ possibile classificare i bisogni economici in base a differenti criteri:

In base alla loro importanza si classificano in :

- bisogni primari, essenziali per la nostra sopravvivenza

- secondari, che non necessitano di un immediato soddisfacimento

In relazione al soggetto che li avverte, si può distinguere invece tra

- bisogni individuali, sentiti dal singolo individuo

- collettivi, percepiti da un soggetto in quanto membro di una collettività.

L’economia politica si interessa dei bisogni economici, quelli che possono essere soddisfatti da

risorse limitate, risorse che prendono il nome di beni economici.

I beni economici presentano due caratteristiche:

- sono utili, perché in grado di soddisfare un bisogno

- sono scarsi, perché disponibili in quantità limitata.

Anche i beni economici possono essere classificati in base a diversi criteri:

• in base alla percezione, si distingue tra

- beni materiali o tangibili, che sono percepibili con i sensi

- immateriali o intangibili, che non sono percepibili con i sensi, non si vedono e non si

toccano;

• in base allo scopo, si hanno

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- beni finali, pronti per il consumo

- intermedi, che devono subire ulteriori fasi di lavorazione prima di poter soddisfare un

bisogno;

• in base alla fruibilità, si hanno

- beni durevoli, che possono essere riutilizzati

- non durevoli, che esauriscono fa loro utilità in un unico utilizzo;

• in base all'attitudine a soddisfare un bisogno, si hanno

- beni di consumo o diretti, che soddisfano direttamente il bisogno

- beni di produzione o indiretti, che vengono usati per produrre altri beni;

• in base alla possibilità di essere spostati nello spazio, si hanno

- beni immobili, stabilmente ancorati al terreno

- mobili, che possono essere spostati.

Oltre ai beni, l'economia è interessata anche ai soggetti che compiono operazioni per procurarseli

e soddisfare cosi i propri bisogni.

Il sistema economico è l'insieme delle relazioni intrattenute dai vari soggetti che svolgono attività

economiche in un determinato spazio e in un determinato tempo, e delle interdipendenze che si

creano fra loro.

l soggetti del sistema economico sono:

• le famiglie, che consumano beni e servizi e prestano lavoro e capitali agli altri soggetti

economici;

• le imprese, che producono e vendono beni e servizi;

• la pubblica amministrazione, costituita da enti pubblici che offrono servizi alla collettività;

• l'estero o resto del mondo, ossia l'insieme di tutti i soggetti economici che sono situati al di fuori

dei nostri confini nazionali ma intrattengono relazioni economiche con i soggetti economici

nazionali.

l soggetti economici intrattengono fra loro relazioni economiche che possono essere

schematizzate in due diversi circuiti economici:

• il circuito reale, che rileva gli scambi di beni e servizi fra tutti gli operatori;

• il circuito monetario, che deriva da quello reale e rileva il corrispondente scambio di moneta tra i

vari soggetti.

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Breve storia delle idee e dei sistemi economici

Ragionamenti di tipo economico esistono da quando l'uomo vive in società. Ma è solo intorno al

XVI secolo che si iniziano a organizzare le idee principali in filoni e scuole di pensiero. Verso la fine

del Cinquecento si afferma il mercantilismo, più che una vera scuola di pensiero, si tratta di un

insieme di regole utili all'economia degli Stati e improntate a perseguire una politica coloniale e

protezionistica.

Intorno alla metà del Settecento, si sviluppò in Francia la corrente di pensiero economico-filosofica

nota con il nome di fisiocrazia che affida all'agricoltura il ruolo di motore della crescita di un

sistema economico. Secondo il padre della fisiocrazia François Quesnay, infatti, solo la terra è in

grado di restituire un prodotto maggiore di quello impiegato nella produzione.

Verso la fine del XVIII secolo si affermò il liberismo, fondato sulla libertà di iniziativa privata e di

mercato.

Adam Smith, teorico del liberismo e fondatore della scuola classica, formulò la metafora della

mano invisibile per sostenere la capacità del mercato di autoregolarsi senza l'intervento dello

Stato. Per Smith, gli operatori effettuano scambi, semplicemente perché risulta vantaggioso per

loro. Essi cedono i beni che possiedono in eccesso per acquistarne altri di cui hanno bisogno. Per

ogni scambio, il mercato genera un prezzo giudicato accettabile sia dall’acquirente sia dal

venditore.

Il prezzo non è determinato da un soggetto esterno, ma dai comportamenti delle parti.

L’altro grande esponente della scuola classica, David Ricardo, si occupò invece di come viene

redistribuito il reddito tra le classi sociali dei lavoratori, dei proprietari terrieri e dei capitalisti.

Liberismo e scuola classica fanno da sfondo teorico al modello di società che, a partire dalla

rivoluzione industriale del XIX secolo, si fonderà sul modo di produzione capitalistico.

Il capitalismo è caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dal lavoro

dipendente ceduto in cambio di un salario e dalla libertà di iniziativa economica.

Il principale critico del capitalismo fu Kart Marx, che teorizzò il socialismo scientifico.

Il socialismo scientifico mirava ad abbattere il capitalismo e la proprietà privata e a realizzare un

sistema basato sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, capace di eliminare sfruttamento

e alienazione del lavoratore.

Nella seconda metà del XIX secolo si affermò la scuola neoclassica, che pose al centro

dell'attenzione il singolo individuo. Secondo la scuola neoclassica, i soggetti economici sono

motivati dalla massimizzazione razionale della propria utilità.

L'economia politica diventa quindi la disciplina che indaga l'allocazione efficiente di risorse scarse

suscettibili di impieghi alternativi.

Capitalismo e liberismo furono messi in discussione dalla grande crisi del 1929. L’economista

britannico John Maynard Keynes osservò come solo un pesante intervento dello Stato sarebbe

stato in grado di far ripartire il sistema economico. Una grande campagna di opere pubbliche

avrebbe infatti dato avvio a un circolo virtuoso, lo Stato avrebbe assunto nuovi lavoratori che

avrebbero percepito un salario disponibile per l'acquisto di beni, le imprese avrebbero quindi

aumentato la produzione e assunto altri lavoratori ai quali, a loro volta, avrebbero pagato un

salario da spendere in beni e servizi.

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Dopo la seconda guerra mondiale, molti Stati fecero propri i principi di giustizia sociale e

uguaglianza economica, dando il via alla socialdemocrazia, alle economie miste, in cui coabitano

libertà di iniziativa privata e intervento dello Stato, e al welfare state.

Sul finire del secolo scorso, si è avviato un grande processo di integrazione economica e culturale

tra le diverse aree del pianeta: la globalizzazione.

Da un punto di vista sociale, la globalizzazione ha prodotto massicci spostamenti di persone da un

Paese all'altro, alla ricerca di un lavoro e migliori condizioni di vita, e l'uniformazione dei modelli

culturali e di comportamento. Dal punto di vista economico, la globalizzazione ha aumentato la

concorrenza, causando il fenomeno della delocalizzazione produttiva delle imprese.

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UNITA’ 2 MERCATO, CONSUMO E PRODUZIONE

La domanda e l’offerta

Il mercato è un luogo, fisico o virtuale, nel quale è possibile scambiare liberamente un oggetto ben definito, dietro pagamento di un prezzo, è il luogo nel quale la volontà dei compratori incontra la volontà dei venditori. I due aspetti essenziali del mercato sono la domanda e l'offerta. La domanda individuale esprime la quantità di beni e servizi che un soggetto è disposto ad acquistare a un certo prezzo. La domanda è funzione inversa del prezzo (legge di domanda) • se il prezzo aumenta, la quantità domandata diminuisce, poiché diventa meno conveniente per il compratore l'acquisto del bene; • se il prezzo diminuisce, la quantità domandata aumenta. La domanda aggregata è il risultato della somma delle domande individuali e rappresenta le quantità che tutti i consumatori sono disposti ad acquistare in corrispondenza dei diversi livelli del prezzo. Anche la domanda aggregata è funzione inversa del prezzo. L’offerta individuale è la quantità di un bene o servizio che il venditore è disposto a cedere a quel determinato prezzo. L’offerta è funzione diretta del prezzo (legge di offerta): • se il prezzo aumenta, la quantità offerta aumenta, in quanto il venditore sarà disposto a produrre e vendere una quantità maggiore; • se il prezzo diminuisce, anche la quantità offerta diminuisce. L’offerta aggregata è la somma delle offerte individuali; anch'essa è funzione diretta del prezzo. Domanda e offerta individuale e collettiva sono rappresentate sul piano cartesiano rispettivamente dalla curva di domanda e dalla curva di offerta. L’incontro tra domanda e offerta determina il punto di equilibrio. Per punto di equilibrio si intende l’unico prezzo in grado di mettere in equilibrio il mercato, cioè il punto in cui compratori e venditori sono disposti a comprare e a vendere la stessa quantità (quantità di equilibrio) a quel prezzo (prezzo di equilibrio). L’equilibrio non sempre è realizzabile. I prezzi di alcuni beni e servizi possono inoltre essere fissati dalla pubblica amministrazione (prezzi amministrati). I prezzi amministrati possono però causare un eccesso di domanda o un eccesso di offerta. La variazione che la quantità domandata subisce per effetto di una variazione del prezzo è definita elasticità della domanda. Sono beni a domanda elastica quelli che subiscono una significativa variazione nella quantità domandata anche in conseguenza di una minima variazione nel prezzo, e beni a domanda rigida quelli per cui variazioni anche grandi di prezzo comportano solo una lieve variazione nella domanda. E’ possibile determinare anche l'elasticità dell'offerta; in questo caso, però, è determinante il fattore tempo. In un arco di tempo breve, la quantità offerta è tendenzialmente rigida in quanto, anche in presenza di aumenti di prezzo, non sempre le imprese sono in grado di incrementare la produzione, mentre è più probabile che lo siano in un periodo temporale più lungo, quando il

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produttore può effettuare le eventuali modifiche tecniche e ad acquistare gli input necessari all’incremento dell’offerta. Un cambiamento nel prezzo del bene implica uno spostamento lungo la curva (di domanda o di offerta), invece un cambiamento in un fattore diverso del prezzo implica uno spostamento della curva di quel bene. La curva di domanda può spostarsi a destra o a sinistra (spostamento della curva di domanda) per effetto dei seguenti fattori: • la variazione del prezzo dei beni complementari e surrogati; (sono beni complementari i beni che vengono utilizzati o consumati insieme, contemporaneamente, per soddisfare il medesimo bisogno; esempio caffè e zucchero. Sono beni surrogati quei beni che i consumatori considerano in grado di assolvere funzioni simili. L’aumento del prezzo di uno rende i consumatori più disposti ad acquistare l’altro; esempio burro e margarina); • i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori; • le variazioni nel reddito dei consumatori; (un aumento della disponibilità economica si traduce in uno spostamento a destra della curva di domanda e viceversa) • i cambiamenti nelle aspettative dei consumatori; • le variazioni nel numero totale dei consumatori. I fattori che invece provocano lo spostamento della curva di offerta sono: • la variazione nel prezzo degli input che rende la produzione più costosa; • la variazione nel prezzo di altri output; • i cambiamenti tecnologici; • i cambiamenti nelle aspettative dei produttori; • la variazione nel numero dei produttori. Le curve di domanda e di offerta possono anche spostarsi simultaneamente, dando luogo a nuove situazioni di equilibrio.

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Il consumo

La teoria del consumo è l'insieme delle possibili spiegazioni del comportamento del singolo consumatore e si occupa di indagare le sue preferenze, le sue scelte e i vincoli cui è soggetto, ossia il reddito di cui dispone. L'utilità è il livello della soddisfazione che un soggetto avverte nel consumare un bene o un servizio, e misura quindi la preferenza che il consumatore dà a quel bene o servizio rispetto ad altri. La curva di utilità totale descrive il livello di soddisfazione globale di un individuo al consumo del bene o servizio acquistato. È rappresentata graficamente da una curva crescente ma in misura via via inferiore, in quanto il consumo delle prime unità di bene dà un appagamento maggiore rispetto a quelle via via successive. La variazione dell'utilità totale che deriva dal consumo di un'unità aggiuntiva di un bene (l'ultima unità) è definita utilità marginale, mentre l'utilità totale è crescente, anche se in misura via via inferiore, l'utilità marginale è decrescente. Secondo la teoria cardinalista, l'utilità è misurabile. Se due beni hanno lo stesso prezzo, il consumatore sceglie quello che ha un'utilità marginale maggiore. Se due beni hanno un prezzo diverso, il consumatore confronta la loro utilità marginale ponderata, data dal rapporto tra l'utilità marginale del bene e il suo prezzo. L’equilibrio del consumatore si raggiunge quando le utilità marginali ponderate degli ultimi beni acquistati si eguagliano, esaurendo tutte le risorse a sua disposizione. Secondo la teoria ordìnalista, l'utilità non è misurabile ma il consumatore può ordinare le combinazioni di beni dalla più gradita alla meno gradita, per fare questo deve tenere conto del vincolo di bilancio e delle curve di indifferenza.

Il vincolo di bilancio (o retta di bilancio) è l’insieme di beni che un consumatore può acquistare, dati il suo reddito e i prezzi dei beni. Se per semplicità consideriamo due soli beni, la retta di bilancio indica tutte le combinazioni delle quantità dei due beni che il consumatore è in grado di acquistare con il suo reddito e a determinati prezzi. Nella rappresentazione grafica del vincolo di bilancio, normalmente il consumatore si posiziona su uno dei punti della retta: i punti al di sopra di essa non sono raggiungibili perché richiedono un reddito superiore, e i punti al di sono non sono ottimali perché non impiegano tutto il suo reddito. La curva di indifferenza è l'insieme di tutte le combinazioni di beni (panieri) che presentano per il consumatore la stessa utilità totale. Non tutte le curve sono raggiungibili dal consumatore, perché alcune richiedono livelli di reddito superiori a quello di cui lui dispone. L’equilibrio del consumatore secondo la teoria ordinalista corrisponde al punto in cui la curva di indifferenza è tangente al vincolo di bilancio. Se varia il reddito del consumatore, la retta di bilancio si sposta a destra se il reddito aumenta e a sinistra se il reddito diminuisce. I beni inferiori sono quelli per i quali un aumento del reddito determina un aumento della domanda in misura meno che proporzionale; per i beni superiori, invece, l'aumento del reddito provoca un aumento più che proporzionale nella domanda. Se varia il prezzo dei beni varia invece l'inclinazione della retta di bilancio. Oltre ai beni normali, ossia quelli che seguono la legge di domanda, si definiscono beni di giffen quelli la cui domanda aumenta all'aumentare del prezzo.

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Due beni sono invece complementari quando all'aumentare del prezzo di uno diminuisce la quantità domandata di entrambi, e surrogati quando all'aumentare del prezzo di uno aumenta la quantità domandata dell'altro.

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La produzione

Se, nello studio del mercato, dal lato della domanda ci si concentra sul consumatore, da quello dell'offerta ci si concentra sulle imprese e sulla loro attività: la produzione. La produzione è l'insieme di tutte le operazioni attraverso le quali i fattori produttivi (input) vengono trasformati in prodotti finiti (output). Gli input si dividono in terra, lavoro e capitale. La terra è rappresentata dai terreni e dalle risorse naturali energetiche e non energetiche. Il lavoro consiste nell'applicazione di energie umane nella produzione, il capitale è l'insieme delle materie prime che confluiranno nel prodotto finito e dei macchinari e delle attrezzature utilizzati come beni strumentali nella produzione. Tutte le imprese sono creatrici di valore, anche se in modo differente. Vi sono infatti imprese di produzione diretta, che attuano una trasformazione fisica del bene, e imprese di produzione indiretta, che attuano una trasformazione nel tempo e nello spazio dei beni, portandoli dai luoghi della produzione a quelli del consumo o semplicemente conservandoli. In base allo scopo, le imprese si distingue in:

- capitalistiche, che hanno scopo di lucro, - cooperative, che hanno lo scopo di dare vantaggi ai soci, - sociali, il cui scopo è la massimizzazione dell'utilità sociale.

La figura centrale, nell'impresa, è l'imprenditore Dal punto di visto giuridico l’imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi (art. 2082 c.c.). Dal punto di vista economico invece l’imprenditore, nello svolgimento della sua attività, si contraddistingue per due caratteristiche: la propensione al rischio e la capacità di innovare. L’innovazione può essere di prodotto o di servizio, di processo, di mercato e organizzativa. L’ efficienza tecnologica misura la capacità di un'impresa di ottenere il massimo output, data una certa quantità di input. Una tecnica è più efficiente di un'altra se ottiene più output dato lo stesso input o se ottiene lo stesso output con minori input. Se l'imprenditore desidera modificare l'output dovrà evidentemente modificare anche gli input. Si definisce breve periodo il lasso di tempo in cui gli input non sono tutti modificabili e lungo periodo il periodo di tempo in cui tutti gli input sono modificabili. La funzione della produzione esprime la relazione esistente tra la quantità massima ottenibile di prodotto finale e la quantità di fattori produttivi necessaria per ottenerla. Nel breve periodo, ipotizzando che vari un unico input, definiamo: • prodotto marginale di un input la variazione che subisce l'output totale per effetto della variazione di una unità di uno degli input. Tenendo immutati tutti gli altri; • prodotto medio di un input il rapporto tra l'output totale e la quantità complessiva utilizzata di quell'input, restando fisse le quantità degli altri input. La legge dei rendimenti decrescenti, enunciata da David Ricardo, evidenzia come l'aumento della quantità impiegata di un solo input generi aumenti dell'output ma in misura via via decrescente. Nel lungo periodo l'output aumenta, ma non è detto che ciò accada nella stessa proporzione in cui variano gli input a causa dei rendimenti di scala, che esprimono la relazione tra la variazione subita dall'output e le variazioni, nella stessa proporzione, di tutti gli input. I rendimenti di scala possono essere costanti (se l'output varia nella stessa proporzione della variazione degli input), crescenti (se l'output aumenta più che proporzionalmente rispetto alla

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variazione degli input) o decrescenti (se l'output aumenta meno che proporzionalmente alla variazione degli input). In alcuni casi, si potrebbero realizzare delle diseconomie di scala: l'aumento delle dimensioni dell'impresa può comportare svantaggi in termini di minor output anziché vantaggi.

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Produrre costa

La produzione comporta il sostenimento di costi da parte dell'impresa. Si definisce costo di produzione la somma impiegata per acquisire le risorse che servono per l'attività produttiva. In un mercato di concorrenza perfetta, nel breve periodo si fa distinzione fra: • i costi variabili, legati alla quantità prodotta e variabili in funzione di essa; • i costi fissi, che non variano in base alla quantità prodotta e rimangono immutati nel breve periodo. Il costo totale è la somma di costi variabili e costi fissi. Altre tipologie di costo significative sono il costo medio (o unitario), che è il rapporto tra il costo totale e la quantità di output prodotta, e il costo marginale, che è rappresentato dal costo dell'ultima unità prodotta. Nel breve periodo, l'unico fattore produttivo variabile è il salario, ossia il costo del lavoro per ogni singolo lavoratore. Un importante indicatore di confronto tra imprese è il clup (costo del lavoro per unità di prodotto): esso è il rapporto tra il costo del lavoro e la produttività del lavoro. Nel lungo periodo tutti gli input diventano variabili, per cui cade la netta distinzione tra costi fissi e costi variabili. Considerati i due fattori produttivi principali, lavoro e capitale, l'impresa sceglierà la combinazione che garantisce il minor costo. Si parla di economie di scala quando all'aumento delle dimensioni produttive di un'impresa si riducono i costi medi totali. Possono esserci economie di scala esterne, se l'impresa beneficia della riduzione dei costi a causa dell'appartenenza a uno specifico settore, ed economie di scala interne, se ne beneficia solo grazie alle dimensioni produttive raggiunte. Si può distinguere inoltre fra economie di scala pecuniarie, realizzate dall'impresa che beneficia di costi inferiori in quanto le sue dimensioni le conferiscono una maggiore forza contrattuale, ed economie di scala reali, di cui beneficiano le imprese che riescono a utilizzare minori quantità di input all'aumento dei livelli di output. Le economie di varietà si realizzano invece quando un'impresa che produce più beni ottiene che il costo della produzione congiunta sia inferiore alla somma dei costi delle singole produzioni. Oltre ai costì interni, la produzione genera anche costi esterni, o esternalità. Si parla di esternalità positive per indicare le conseguenze positive che la produzione genera rispetto ai soggetti esterni, e di esternalità negative per indicare le conseguenze negative. Altra distinzione importante è quella tra costi contabili, sostenuti dall'impresa per l'acquisto o la produzione dei fattori produttivi, e costi economici (o costi opportunità), che esprimono il valore dell'utilizzo alternativo delle risorse che l'imprenditore ha impiegato nell'impresa. L’obiettivo di un'impresa è quello di massimizzare il beneficio netto. Per un'impresa capitalistica in un mercato perfettamente concorrenziale, questo equivale al profitto economico, dato dalla differenza tra i ricavi e i costi economici. In concorrenza perfetta, la massimizzazione del profitto totale si ottiene sottraendo al ricavo totale il costo totale, e il livello di produzione ottimale è quello nel quale il ricavo marginale eguaglia il costo marginale. Nel breve periodo, il livello di output ottimale è quello in corrispondenza del quale l'impresa copre tutti i suoi costi variabili, questo punto è definito punto di chiusura.

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Nel lungo periodo, invece, l'impresa deve essere in grado di coprire anche i costi fissi, quindi l'impresa deve far si che il costo medio non sia inferiore al prezzo. Il punto di pareggio (break even point) è il punto nel quale i ricavi totali eguagliano i costi totali, e dunque il punto in cui non si ha né profitto né perdita: al di sotto di quel punto si realizza una perdita e oltre quel punto si ha un profitto.

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UNITA’ 3 IMPRESE E MERCATO

Le forme di mercato

La concorrenza perfetta è una forma di mercato caratterizzata da un elevato numero di venditori e

compratori, omogeneità del prodotto, un'informazione completa e assenza di barriere in entrata e

uscita. In concorrenza perfena, il prezzo è dato e tutti gli operatori, non potendolo influenzare,

sono price taker. La concorrenza perfetta costituisce tuttavia una forma di mercato difficilmente

riscontrabile nella realtà. Forme di mercato più comuni sono la concorrenza monopolistica,

l'oligopolio e il monopolio.

La concorrenza monopolistica è caratterizzata da tanti venditori e da tanti compratori, qui il prodotto non è omogeneo ma differenziato. L’oligopolio è caratterizzato da poche grandi imprese con un elevato potere sui prezzi e un prodotto che può essere omogeneo o differenziato. Nel monopolio un unico venditore detiene il controllo totale del mercato e ha un enorme potere nella fissazione del prezzo (è quindi price maker). Il potere di mercato di un'impresa è misurato da diversi indicatori. La concentrazione di mercato considera come le vendite totali di un certo bene si ripartiscono in base alle imprese presenti sul mercato. Il rapporto di concentrazione, espresso in forma percentuale, misura le vendite delle 4 o 5 maggiori imprese operanti nel mercato; l'indice è prossimo allo zero nella concorrenza perfetta e pari al 100% nel monopolio. L’indicatore del potere di mercato di un'impresa è pari alla differenza tra il prezzo di vendita e il costo marginale. L’indice di Lerner esprime il rapporto tra l'indicatore del potere di mercato di un'impresa e il prezzo di vendita; l'indice è compreso tra o e 1 ed è massimo nel monopolio e pari a zero in concorrenza perfetta. Il monopolio trae origine dalla presenza di barriere all'entrata, ovvero di ostacoli che rendono difficile l'ingresso in quel mercato da parte di nuove imprese. Le barriere all'entrata possono essere originate da rendimenti di scala crescenti (che creano un monopolio naturale), superiorità tecnologica, disponibilità esclusiva di un input essenziale o norme di legge (barriere di tipo legale). Per massimizzare il profitto, il monopolista deve decidere se fissare il prezzo di vendita oppure la quantità prodotta, non potendo intervenire su entrambe le grandezze. Mentre in concorrenza perfetta l'impresa può vendere tutta la quantità prodotta al prezzo di mercato, in monopolio l'impresa dovrà accontentarsi di un prezzo di vendita inferiore: per il monopolista il ricavo marginale è inferiore al prezzo di vendita, e il profitto è massimo quando il costo marginale eguaglia il ricavo marginale (equilibrio del monopolista). Il monopolio è la forma di mercato meno vantaggiosa per il consumatore perché, rispetto alla concorrenza perfetta, il prezzo è superiore, la quantità prodotta e venduta è inferiore e il profitto per il monopolista è maggiore. Per massimizzare il profitto, spesso il monopolista ricorre alla discriminazione di prezzo, che è non lineare se legata alla quantità acquistata e per gruppi se legata all'appartenenza del consumatore a un particolare gruppo. Altre forme di mercato, più rare, sono il monopsonio, dove vi sono un unico compratore e tanti venditori; l'oligopsonio, in cui i compratori sono pochi e i venditori tanti; e il monopolio bilaterale, costituito da due soli soggetti: un venditore e un compratore.

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La concorrenza imperfetta

La concorrenza perfetta e il monopolio rappresentano gli antipodi delle varie forme di mercato; fra l'una e l'altro, vi sono due forme di mercato intermedie: la concorrenza monopolistica e l'oligopolio. Per entrambe queste forme di mercato è fondamentale il concetto di differenziazione di prodotto: i beni o servizi venduti non sono omogenei ma differenziati. La differenziazione può essere: • verticale, quando due (o più) prodotti sono giudicati oggettivamente differenti, nel senso che le preferenze di tutti i consumatori coincidono e fanno dire che un prodotto è migliore dell'altro; • orizzontale, quando è basata sui gusti e sulle preferenze personali dei consumatori, ed è quindi una differenziazione di tipo soggettivo. Nella concorrenza monopolistica i venditori, pur essendo molto numerosi, offrono prodotti diversificati e ciò consente loro di avere un limitato potere monopolistico che consente di influire sulla fissazione del prezzo. La diversificazione può riguardare il prodotto o il servizio offerto, che può risultare effettivamente diverso da quello dei concorrenti, ma spesso si tratta di una diversificazione spaziale (o geografica): se in una certa zona esiste un solo venditore di un certo bene, i compratori possono non volersi spostare troppo per procurarsi quel bene, anche se potrebbero acquistarlo a un prezzo inferiore. L’oligopolio è invece caratterizzato dalla presenza di pochi venditori i quali tengono conto del comportamento delle imprese concorrenti per decidere le proprie strategie. Per cercare di spiegare i comportamenti degli oligopolisti, l'economia ricorre alla teoria dei giochi, una branca della matematica che studia un contesto di forte interazione fra gli operatori, in cui ognuno di loro decide nella consapevolezza che la propria decisione influenzerà le decisioni di tutti. Per massimizzare il profitto, le imprese che operano in mercati di oligopolio o di concorrenza monopolistica - al pari delle imprese monopoliste nella condizione di equilibrio - producono la quantità per la quale il costo marginale eguaglia il ricavo marginale. Per determinare i ricavi marginali è però necessario conoscere la curva di domanda, che solitamente non è nota all'impresa. Per fissare il prezzo di vendita le imprese ricorrono quindi alla tecnica del mark up, che consiste nel ricaricare il costo medio di una maggiorazione che sarà tanto più elevata quanto più forte è il potere di mercato di quell'impresa. Anziché combattersi, spesso le imprese che operano in mercati di oligopolio si accordano sulla fissazione dei prezzi o sulle strategie da adottare. Tali accordi (trust o cartelli) sono molto svantaggiosi per i consumatori perché sostanzialmente annullano la concorrenza tra le imprese che porterebbe a riduzioni di prezzo. Per rappresentare e studiare questo genere di problema, la teoria dei giochi utilizza il "dilemma del prigioniero''. Proprio perché limitano fortemente la concorrenza tra le imprese, i comportamenti collusivi sono vietati e sanzionati dalle leggi di molti stati, inclusa l’Italia.

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UNITA’ 4 Obiettivi e strumenti dell’intervento pubblico Fino all'ottocento lo stato interveniva nel sistema economico solo in difesa di alcuni diritti individuali come la proprietà e il libero scambio. In epoca successiva si aggiunsero l'amministrazione della giustizia, della difesa e del territorio. L’intervento pubblico nell'economia, secondo la classificazione di Musgrave, ha tre diverse finalità: • la finalità allocativa, che risponde a un criterio di efficienza, destina le risorse a impieghi specifici, come la difesa o la salute. • la finalità redistributiva, che risponde a un criterio di equità, interviene nella ripartizione della ricchezza tra gli individui, con misure a favore di particolari gruppi (solitamente svantaggiati); • la finalità di stabilizzazione è segnata da un obiettivo macroeconomico che attraverso la politica fiscale e monetaria mira a contrastare le conseguenze negative dei cicli economici. Gli interventi dello stato in economia sono illustrati dal bilancio dello stato, redatto ogni anno dal governo con la legge di bilancio e approvato dal parlamento, nel quale sono indicate le entrate e le uscite riferite all'anno successivo. Quando interviene nel sistema economico, lo stato assume i ruoli di: • produttore, erogando molti dei servizi che i cittadini utilizzano; • regolatore, fissando molte delle regole cui gli operatori economici devono attenersi; • redistributore, aumentando la ricchezza di certi soggetti attraverso i sussidi e togliendola ad altri con il prelievo fiscale. Il peso del bilancio pubblico sul Pil è andato crescendo con il passare del tempo. Alla fine dell'ottocento, i governi varano le prime misure di welfare state (stato sociale) a sostegno dei lavoratori. La spesa militare in coincidenza del primo conflitto mondiale influì in modo significativo sul bilancio pubblico, come pure la spesa pubblica che le politiche keynesiane misero in atto a sostegno dell'economia dopo la crisi del 1929. Dopo la seconda guerra mondiale in occidente si assiste all'enorme espansione del bilancio pubblico, che in molti paesi supera il 30% del Pil. I bilanci pubblici iniziano a presentare considerevoli disavanzi. Per far fronte alle difficoltà finanziarie, a partire dagli anni ottanta molti stati limitano l'intervento del settore pubblico. Varie imprese pubbliche, inoltre, vengono privatizzate, e parecchi settori escono dal controllo statale. Le privatizzazioni possono essere sostanziali (quando cambia la titolarità della proprietà, che passa da pubblica a privata) e formali (quando l'ente pubblico cambia status giuridico e viene assoggettato alle norme del diritto privato anziché a quelle di diritto amministrativo rimanendo di fatto in mano pubblica).

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La contabilità del sistema economico La contabilità nazionale è un sistema di informazioni quantitative che riassume le attività economiche dei soggetti che operano dentro uno stato, ma che intrattengono relazioni economiche anche con operatori esteri. La contabilità nazionale include quindi anche operazioni da e verso il resto del mondo. L’aggregato statistico più importante della contabilità nazionale è il prodotto interno lordo (Pil). Esso corrisponde al valore aggiunto prodotto da un paese in un determinato periodo di tempo. Il Pil si ottiene moltiplicando le quantità di prodotti finali per il relativo prezzo di mercato: esso rappresenta il valore di mercato totale dei beni e dei servizi finali prodotti in un paese in un certo periodo di tempo. Il Pil considera esclusivamente: • i beni e i servizi finali (quindi non i beni intermedi); • i beni e i servizi prodotti nel periodo (non quelli già esistenti); • i beni e i servizi prodotti entro i confini geografici del paese. L'indice dei prezzi al consumo, misura il livello dei beni e servizi che sono acquistati sul mercato interno. Il prodotto nazionale lordo (pnl) rappresenta invece il valore della produzione ottenuta da tutti i cittadini di uno stato, indipendentemente dal luogo in cui essi hanno operato. Il pil è un riferimento fondamentale per le valutazioni sulla finanza pubblica dei diversi stati e delle politiche economiche dei rispettivi governi, per esempio, il rapporto deficit/pil e quello debito pubblico/pil fanno parte dei parametri che gli stati membri dell'unione europea si sono impegnati a rispettare sottoscrivendo il patto di stabilità e crescita. Il pil può essere determinato secondo altri criteri: • secondo il criterio della spesa, il pil è uguale alla somma di consumi, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette; • secondo il criterio del reddito, il pil è uguale alla somma di salari, profitti, interessi e rendite. Anche se il pil oggi resta l'indicatore principale per misurare il benessere materiale dell'economia di un paese, esso presenta alcuni limiti: • non considera il valore di beni e servizi dei quali non si conosce il prezzo di mercato, che non hanno un mercato o che sono erogati gratuitamente; • ignora alcuni costi legati allo svolgimento delle attività produttive, come le esternalità negative; • non fotografa la reale situazione in termini di distribuzione del reddito.

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Crescita economica, benessere e sviluppo umano La crescita economica di un paese si misura sull'andamento nel lungo periodo del pil reale pro capite, dato dal rapporto tra il pil reale del paese e la sua popolazione. Ciò che misura la variazione nel tempo del pil reale è il suo tasso di crescita, positivo in periodi di espansione, negativo in fase di depressione. Le principali economie mondiali hanno registrato una crescita a partire dal periodo postbellico fino agli anni settanta del secolo scorso, che poi è rallentata negli anni successivi, fino alla decrescita dell'ultimo periodo per effetto della crisi economica. I principali fattori che determinano la crescita di un paese sono: • la produttività del lavoro: esprime la quantità di produzione per occupato; sulla produttività del lavoro incidono il miglioramento del capitale fisico e umano e il progresso tecnologico; • la produttività totale dei fattori: misura la produzione che si ottiene da una certa quantità di tutti i fattori produttivi utilizzati; è soprattutto il progresso tecnico a influenzare questo dato; • la dotazione di risorse naturali e la loro localizzazione; • il comportamento delle istituzioni pubbliche, che con le loro leggi incidono in diversi modi nella vita economica dei privati. Crescita e sviluppo non sono la stessa cosa. Per crescita si intende l'aumento nel tempo del reddito pro capite; lo sviluppo economico invece fa riferimento al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione per effetto della crescita del reddito pro capire. Lo sviluppo si riferisce anche a variabili di tipo qualitativo, come l'aumento del livello di istruzione e la diminuzione della povertà. Oltre al pil, che non è sempre un buon indicatore del benessere di una comunità, si considerano altri misuratori dello sviluppo economico, come l'indice di sviluppo umano (isu) che tiene conto di aspetti demografici, di dati alimentari e delle libertà politiche dei cittadini.