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Università di Pisa Dipartimento di Scienze Veterinarie Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria
Tesi di Laurea
Studio retrospettivo sull’eziologia della cataratta nel cane
(2012-2016)
Candidato: Relatore: Esther Santini Prof. Giovanni Barsotti Controrelatore:
Prof.ssa Gloria Breghi
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
Al mio paese d’adozione: l’Italia
Riassunto
Il seguente studio si propone di determinare la prevalenza delle varie eziologie della cataratta e la
prevalenza di razza nell’ambito di ciascuna di esse nonché le complicazioni più frequentemente
associate alla patologia. A tale scopo sono stati inclusi in questo lavoro tutti i cani presentati presso
l’ambulatorio di oftalmologia dell’Ospedale Didattico Veterinario "Mario Modenato" del Dipartimento
di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, nel periodo compreso tra il I gennaio 2012 e il 31 dicembre
2016. Complessivamente, nel corso del periodo d’interesse, l’16,38% dei pazienti visitati su un totale
di 1062 è stato affetto da una cataratta ad eziologia varia. La popolazione era costituita da 132 cani di
razza (37 razze) e 42 meticci, a loro volta suddivisibili in 92 maschi e 82 femmine (61 femmine intere e
21 femmine sterilizzate). L’età media dei cani malati era di 80,22 mesi (intervallo: 2 mesi-204mesi) con
mediana di 84 mesi. Le varie eziologie della cataratta osservate sono state: la cataratta ereditaria
(26%), la cataratta secondaria a PRA (16%), la cataratta senile (14%), la cataratta congenita (11%), la
cataratta diabetica (8%), la cataratta traumatica (5%) e la cataratta secondaria ad uveite (3%). Nel 17%
dei casi, data la complessità dei casi clinici presentati, non è stato possibile stabilire l’eziologia della
cataratta.
Parole chiavi: cristallino, cataratta, razza, prevalenza, eziologia.
Abstract
The following study aims to determine the prevalence of various cataract etiologies and the prevalence
of race within each of them as well as the complications most frequently associated with the disease.
To this end, all dogs presented at the ophthalmology surgery of the Veterinary Didactic Hospital "Mario
Modenato" of the Veterinary Sciences Department of the University of Pisa, in the period between 1st
January 2012 and 31st December 2016, were included in this work. Overall, during the period of
interest, 16.38% of the patients visited on a total of 1062 were affected by a cataract of various
etiology. The population consisted of 132 purebred dogs (37 breeds) and 42 mixed-breed dogs, which
were subdivided into 92 males and 82 females (61 entire females and 21 sterilized females). The
average age of sick dogs was 80.22 months (interval: 2 months-204 months) with 84-month median.
The various etiologies of the cataract observed were: hereditary cataracts (26%), the cataract
secondary to PRA (16%), the senile cataract (14%), the congenital cataract (11%), the diabetic cataract
(8%), the traumatic cataract (5%) and cataract secondary to uveitis (3%). In 17% of cases, given the
complexity of the clinical cases presented, it was not possible to establish the etiology of the cataract.
Key words: lens, breed, cataract, prevalence, etiology.
INDICE CAPITOLO 1: IL CRISTALLINO...……………………….………….………………………7
1.1 Embriologia del cristallino…………………………………………………………….7 1.1.2 Sistema vascolare embrionario……………………………………………………………8
1.2 Anatomia del cristallino……………………………………………………………….9
1.3 Funzione ottica e accomodazione……………………………………………….11
1.4 Il metabolismo del cristallino………………………………………………….….12
CAPITOLO 2: LA CATARATTA……………………………………………………………14
2.1 Fisiopatologia della cataratta……………………………………………………..14
2.2 Diagnosi di cataratta…………………………………………………………………..16 2.2.1 Diagnosi differenziale con la nucleosclerosi………………………………………….18
2.3 Classificazione della cataratta.……………………………………………………19
2.4 Conseguenze della cataratta………………………………………………………22
2.5 Trattamento della cataratta……………………………………………………….23 2.5.1 Gestione post-operatoria………………………………………………………………….27 2.5.2 Prognosi e complicazioni post-operatorie………………………………………….28
CAPITOLO 3: EZIOLOGIA E PREVALENZA DELLA CATARATTA NELLA
SPECIE CANINA……………………………………………………………………………….32
3.1 Cataratta primaria……………..……………………………………………………….32 3.1.1 Cataratta ereditaria…………………………………………………………………………..32 3.1.2 Cataratta congenita…………………………………………………………………………..35
3.1.2.1 Anomalie oculari multiple………………………………………………………36 3.1.2.2 Persistenza di strutture embrionarie………………………………………37
3.2 Cataratta secondaria…………………..……………………………………………..40 3.2.1 Cataratta metabolica…………………………………………………………………………40
3.2.1.1 Cataratta diabetica…………………………………………………………………40 3.2.1.2 Cataratta ipocalcemica…………………………………………………………..43
3.2.2 Cataratta secondarie associate ad altre patologie oculari…………………..44 3.2.2.1 Cataratta secondaria associata a atrofia progressiva della retina………………………………………………………………………………………………..44 3.2.2.2 Cataratta secondaria associata a displasia retinica………………….46 3.2.2.3 Cataratta secondaria a uveite…………………………………………………46
3.2.3 Cataratta traumatica………………………………………………………………………...47 3.2.4 Cataratta nutrizionale……………………………………………………………………….49 3.2.5 Cataratta tossica……………………………………………………………………………….50 3.2.6 Cataratta senile…………………………………………………………………………………51
3.3 Cause di cataratta nel cane: studi di prevalenza riportati in letteratura………………………………………………………………………………….52 3.3.1 Presentazione cliniche della cataratta nel cane………………………………….53 3.3.2 La cataratta nelle razze canine di piccola taglia…………………………………..55 3.3.3 Cataratta ereditaria: le razze canine prevalentemente affette……………55 3.3.4 Età di insorgenza della cataratta ereditaria………………………………………..57
CAPITOLO 4: ESPERIENZA PERSONALE…………………………………………….59
4.1 Introduzione……………………………………………………………………………….59
4.2 Materiali e metodi………………………………………………………………………59 4.2.1 Raccolta dei dati………………………………………………………………………………..59
4.2.2 Visita oculistica………………………………………………………………………………….62
4.2.3 Analisi statistica…………………………………………………………………………………63
4.3 Risultati………………………………………………………………………………………64 4.3.1 Cataratta primaria…………………………………………………………………………….67
4.3.1.1 Cataratta ereditaria……………………………………………………………….68
4.3.1.2 Cataratta congenita……………………………………………………………….69
4.3.2 Cataratta secondaria…………………………………………………………………………73
4.3.2.1 Cataratta secondaria a atrofia progressiva della retina…………..74
4.3.2.2 Cataratta senile……………………………………………………………………..75
4.3.2.3 Cataratta diabetica…………………………………………………………………76
4.3.2.4 Cataratta traumatica………………………………………………………………77
4.3.2.5 Cataratta secondaria ad uveite……………………………………………….78
4.3.3 Cataratta ad eziologia dubbia…………………………………………………………….79
4.3.3.1 Cataratta ad eziologia dubbia fra primaria e secondaria………….80
4.3.3.2 Cataratta ad eziologia dubbia fra le varie tipologie di cataratta
secondaria………………………………………………………………………………………..81
4.4 Lesioni oculari indotte dalla cataratta…………………………………………82
4.5 Discussioni………………………………………………………………………………….83 4.5.1 Cataratta primaria…………………………………………………………………………….84
4.5.2 Cataratta secondaria…………………………………………………………………………90
4.5.3 Cataratta ad eziologia dubbia……………………………………………………………95
4.5.4 Complicazioni secondarie alla cataratta…………………………………………..100
4.6 Conclusioni……………………………………………………………………………….103
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………………..............104
RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………………………………………115
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CAPITOLO 1: IL CRISTALLINO
1.1 Embriologia del cristallino
Il cristallino (o lente) nel cane inizia il suo sviluppo intorno al 15°-17° giorno di gestazione
(Peruccio, 1987).
Il primo abbozzo della formazione del cristallino, inizia quando l’ectoderma di superficie della
vescicola ottica primitiva subisce un graduale ispessimento (placode del cristallino), indotta
dalla proliferazione cellulare in risposta ai segnali induttivi da parte della piastra neurale
(Grainer et al., 1992), per poi invaginarsi dando luogo alla formazione della fovea lentis
(Grainer et al., 1992; Cook, 1995; Peruccio, 2009). La vescicola ottica così invaginata risulta
costituita inizialmente da due strati, interno ed esterno, dapprima separati da uno spazio che
tenderà a ridursi progressivamente nel corso dello sviluppo oculare (McGeady et al., 2017). Le
estremità della fovea lentis si avvicinano in conseguenza del suo graduale sviluppo; il processo
esita nella chiusura della fossetta lenticolare e successivo completamento della formazione
della vescicola del cristallino che, nel 25° giorno di gestazione, si dissocerà totalmente
dall’ectoderma di superficie (Cook, 2007). Durante questa fase del processo evolutivo, la
parete della vescicola è costituita da un singolo strato di cellule cuboidi; queste presentano
apice rivolto verso l’interno, mentre le basi esterne aderiscono ad una membrana basale
destinata a circondare la lente di cui costituisce la capsula o cristalloide (Peruccio, 2009). Una
volta completata la chiusura della vescicola lenticolare, le cellule della metà posteriore
iniziano a crescere in senso longitudinale verso il loro polo anteriore, formando le cosiddette
fibre primarie del cristallino. Queste, proseguendo lo sviluppo, colmano progressivamente il
lume della vescicola costituendo nell’insieme una sfera compatta: il nucleo embrionario
(Peruccio, 1987; Cook, 2007). La progressiva organizzazione delle fibre primarie, esita nella
scomparsa dell’epitelio posteriore della vescicola, del quale permane soltanto una capsula
posteriore estremamente sottile (Peruccio, 1987). Alla formazione delle fibre primarie segue
quella delle fibre secondarie, che diversamente dalle prime continuano a svilupparsi durante
tutta la vita (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999). A produrre le fibre secondarie sono infatti gli
elementi cellulari epiteliali disposti sotto la capsula anteriore del cristallino, i quali si
moltiplicano incessantemente per mitosi. L’attiva moltiplicazione cellulare, spinge
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progressivamente le cellule meno recenti verso l’equatore, il punto di maggiore diametro
circonferenziale della lente. Pertanto, a questo livello, le cellule si allungano disponendosi in
maniera ordinata e formano le fibre secondarie, le cui estremità anteriore e posteriore si
svilupperanno nelle rispettive direzioni (Turner & Bouhanna, 2010). Conseguentemente, le
fibre secondarie intersecano le primarie sia anteriormente che posteriormente e dal loro
intreccio originano le linee di sutura principali: anteriore a forma di Y dritta e posteriore a
forma di Y rovesciata (Grainer et al., 1992; Cook, 1995; Cook, 2007), quest’ultima spesso la più
evidente delle due (Turner & Bouhanna, 2010). Occasionalmente, grazie a un esame
oftalmologico scrupoloso è possibile mettere in evidenza le linee di sutura del cristallino e la
loro evidenziazione è un reperto del tutto normale; in alcuni casi però possono anche essere
sede di cataratta (Peruccio, 1987). A questo punto dello sviluppo embrionale, la componente
cellulare del cristallino resta confinata alla sola zona sottocapsulare anteriore e il resto è
pertanto costituito dalle fibre. Il loro progressivo accumulo nel centro della lente, esita nella
formazione di zone a densità differente e organizzate in maniera concentrica intorno al nucleo
embrionario: si formano così i nuclei fetale, adulto e la corteccia, la quale subirà un progressivo
ispessimento fisiologico nel corso dei processi di invecchiamento della lente (Peruccio, 2009).
1.1.2 Sistema vascolare embrionario Lo sviluppo della lente è strettamente correlato con quello del vitreo, il quale nel feto risulta
invaso da una fitta rete vascolare, di pertinenza dell’arteria ialoidea, che circonda
posteriormente la lente. Un ulteriore apporto ematico viene in seguito fornito dalla tunica
vasculosa lentis (TVL), ovvero la struttura vascolare della membrana pupillare, che nel cane si
sviluppa in camera anteriore dal 25°-30° giorno di gestazione (Peruccio, 2009).
A partire dal 45° giorno, i vasi presenti nel vitreo si atrofizzano rapidamente, mentre la TVL
persiste fino alle 2-4 settimane successive alla nascita (Boeve et al., 1988; Bayón et al., 2001).
Quando il processo involutivo non si completa, è possibile riscontrare i residui delle strutture
vascolari collocati dietro al polo posteriore della lente (PHA o Persistent Hyaloid Artery), o
davanti al polo anteriore (PHTVL o Persistent Hyperplastic Tunica Vasculosa Lentis), o ancora
residui della membrana pupillare (PPM o Persistent Pupillary Membrane), osservando quadri
clinici variabili per aspetto e prognosi visiva, in funzione della presenza o meno delle relative
opacità capsulari/sottocapsulari residue congenite, conseguenti al contatto con queste
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strutture (Cook, 2007; Peruccio, 2009). Nello specifico, l’iperplasia o la mancata regressione
del sistema vascolare della lente può essere dovuta a due meccanismi: una disarmonica
interazione tra fattori di crescita e fattori inibitori della crescita a livello oculare, o a causa di
uno sviluppo anomalo del sistema vascolare, che ne impedisce pertanto la regressione
completa (Bayòn et al., 2001).
Terminato infine il suo sviluppo, la lente risulta costituita da differenti componenti:
- nuclei embrionario e fetale con progressivo sviluppo del nucleo adulto;
- corteccia in continua espansione;
- monostrato di cellule epiteliali sotto la capsula anteriore;
- capsula anteriore con spessore di 50 micron (cane);
- capsula posteriore di 3-5 micron (cane) (Peruccio, 2009).
1.2 Anatomia del cristallino
Il cristallino è una struttura biconvessa, trasparente e non vascolarizzata, che si colloca tra
l’iride anteriormente e il corpo vitreo al suo confine posteriore. Nel cane presenta un diametro
equatoriale di 10 mm, uno spessore pari a 7 mm, e un volume totale di circa 0,5 ml (Gelatt,
1999; Mitchell, 2013); il rapporto cristallino-globo oculare varia tra 1:8 e 1:10 (Gelatt, 1999).
Da un punto di vista strutturale, nel cristallino si distinguono dall’esterno verso l’interno:
- la capsula, la cui sezione anteriore poggia sull’epitelio subcapsulare;
- la corteccia in continua espansione;
- il nucleo, derivante dal progressivo sviluppo dei nuclei embrionario e fetale (Peruccio, 1987).
La capsula, o cristalloide, rappresenta l’involucro esterno della lente. Si tratta di una struttura
acellulare (Mitchell, 2013), con proprietà elastiche, conseguenti alla disposizione delle fibre di
collagene di tipo IV, che rappresenta il suo principale costituente (Gelatt, 1999). A scopo
topografico si distinguono una capsula anteriore (o cristalloide anteriore), prodotta dalle
cellule subcapsulari (Gelatt, 1999; Beteg et al., 2008; Turner & Bouhanna, 2010) e una capsula
posteriore (o cristalloide posteriore) a profilo più convesso. Il suo spessore varia a seconda
della localizzazione: è pari a 8-12 µm all’equatore, 50-70 µm per la porzione anteriore, e solo
2-4 µm per la parte posteriore (Gelatt, 1999).
Dal punto di vista stratigrafico, l'epitelio subcapsulare si interpone tra cristalloide anteriore e
corteccia.
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È formato da un singolo strato di cellule cuboidi, in continua produzione per lo sviluppo della
sola capsula anteriore e di aspetto morfologicamente più oblungo nelle porzioni adiacenti
all’equatore (Peruccio, 2009). L’epitelio subcapsulare assume quindi un ruolo importante nella
regolazione omeostatica, così come nella rigenerazione fibrillare (Turner & Bouhanna, 2010).
La corteccia è l’area intermedia della lente situata tra la capsula e il nucleo ed è costituita dalle
fibre secondarie, frutto della differenziazione dell’epitelio germinativo (Gelatt, 1999). A
questo livello, le fibre, così come nel nucleo, si organizzano in maniera concentrica ed è
proprio questa regolare architettura che contribuisce in modo significativo alla trasparenza
del cristallino (Turner & Bouhanna, 2010). Nello specifico, le fibre presentano una membrana
cellulare costituita da glicoproteine, glicolipidi, fosfolipidi, mucopolisaccaridi acidi e proteine
con gruppi sulfidrilici (Peruccio, 1987). Le fibre assumono una forma esagonale e ognuna di
essa è strettamente legata ad altre sei fibre, di cui due della generazione precedente, due della
stessa generazione e due della proliferazione successiva. Il legame si realizza tramite le
giunzioni “ball-and-socket”, disposte lungo i loro perimetri, implicate nel passaggio di piccole
quantità di soluti, e numerose gap-junctions (Gelatt, 1999). Ogni fibra non circonda l’intera
area del cristallino, ma dopo maturazione completa, si unisce con semplici giunzioni ai due
poli alle tipiche linee di sutura a Y e Y rovesciata (Gelatt, 1999). Queste ultime sono differenti
per specie (Gelatt, 1999; Kuszak, 2004) e sono soggette a modificazioni strutturali con
l’avanzamento dell’età (Gelatt, 1999). Le fibre dell’area corticale interna sono più compresse,
di aspetto rugoso per irregolarità di superficie e il numero di giunzioni è molto ridotto (Gelatt,
1999). Tra una fibra e l’altra sono presenti dei piccoli spazi, che nel loro insieme costituiscono
solo il 5% del volume totale della lente (Peruccio, 1987).
Il nucleo costituisce la porzione più interna del cristallino e può essere distinto in nucleo
embrionario, fetale e adulto (Peruccio, 1987). Il nucleo si forma per associazione delle fibre
meno recenti, che si presentano più compresse e con un numero elevato di giunzioni “ball-
and-socket (Gelatt, 1999). La composizione chimica del nucleo lenticolare contiene inoltre una
percentuale di acqua inferiore rispetto a quella della regione corticale (Peruccio, 1987).
Il cristallino confina anteriormente con l’iride, con cui concorre alla delimitazione delle camere
anteriore e posteriore del globo oculare, e col corpo vitreo posteriormente, nel quale vi
alloggia attraverso la fossa patellare del vitreo, e al quale si fissa tramite il legamento ialoideo
(Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010).
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Le zonule di Zinn, rappresentano un altro mezzo di fissazione della lente e la rilegano al corpo
ciliare (Turner & Bouhanna, 2010).
La trasparenza del cristallino è un requisito fondamentale ai fini della funzione visiva. Oltre
che dalla particolare disposizione delle fibre lenticolari, in condizioni fisiologiche la
trasparenza della lente è, inoltre, garantita dalla totale assenza di pigmentazione, dalla
mancanza di una vascolarizzazione propria in età adulta e dalla sua specifica composizione
chimica (Mitchell, 2013).
I due costituenti chimici principali del cristallino sono rappresentati dall’acqua (65%), la cui
concentrazione tende a diminuire con l’età (Gelatt, 1999), e dalle proteine (35%) di cui il 90%
sono cristalline solubili e il 10% cristalloidi insolubili (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010;
Mitchell, 2013) dette albuminoidi (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999). Le prime sono classificate in
quattro gruppi a secondo del loro peso molecolare in α-cristalline pesanti, β-cristalline pesanti,
β-cristalline leggere e γ-cristalline (Gelatt,1999). Il nucleo può contenere il 50% delle proteine
totali, di cui molte sono rappresentate dalle cristalline le quali hanno un alto contenuto di
gruppi tiolici, necessari al mantenimento della trasparenza della lente (Lou, 2003). L’alta
percentuale di proteine fa del cristallino il tessuto dell’organismo più ricco di questi elementi.
L’avanzamento dell’età o l’insorgenza di determinate condizioni patologiche possono tuttavia
modificare questa percentuale (Gelatt, 1999), come nella comparsa della cataratta, dove si
assiste ad un incremento della percentuale proteica insolubile del cristallino, a sfavore della
componente solubile (Gelatt, 1999; Cottrill, 2007).
In aggiunta alle maggiori componenti chimiche strutturali, la lente contiene anche una bassa
quantità di minerali (Cottrill, 2007), e piccole percentuali di amminoacidi, lipidi, acido
ascorbico, elettroliti e glutatione (Peruccio, 1987; Gelatt K, 1999; Lou, 2003). La
concentrazione di quest’ultimo è fondamentale per proteggere le proteine e gli enzimi dai
danni ossidativi da radicali liberi (Lou, 2003).
1.3 Funzione ottica e accomodazione
La luce viene rifratta dai mezzi diottrici oculari prima di raggiungere la retina (Gelatt, 1999). Il
potere di rifrazione di un occhio, cioè di far convergere le radiazioni luminose sul fondo oculare
per consentire la proiezione di immagini messe a fuoco, dipende in massima parte dalla cornea
e dalla lente (Peruccio, 2009).
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Si misura in diottrie e indica la capacità dei mezzi diottrici di deviare la luce che penetra
nell’occhio. Nel cane la cornea ha un potere diottrico tra 37,8D e 43,2D e la lente di 41,5D
(Gelatt, 1999; Peruccio, 2009). L‘assenza di pigmentazione e di vascolarizzazione, il basso
contenuto in acqua e la regolare distribuzione delle fibre partecipano alla trasparenza del
cristallino, requisito essenziale per un suo corretto funzionamento (Mitchell, 2013).
II cristallino consente la messa a fuoco delle immagini sul fondo dell’occhio grazie alle sue
caratteristiche strutturali, al differente raggio di curvatura dei cristalloidi e all’apparato
zonulare di Zinn (o apparato sospensore della lente), un sistema di fibre tese tra il cristallino e
il corpo ciliare (Peruccio, 2009). L’azione muscolare del corpo ciliare provoca una variazione
della forma della lente modificandone le sue proprietà ottiche, fenomeno conosciuto come
accomodazione, ovvero il processo che permette di mantenere a fuoco l’immagine sulla retina
nonostante le variazioni di distanza (Mitchell, 2013). Per una visione da vicino, l’innervazione
parasimpatica determina una contrazione del muscolo ciliare e il conseguente rilassamento
delle fibre di Zinn. Il cristallino assume così una forma più convessa e aumenta il suo potere di
rifrazione. Al contrario per una visione da lontano, il sistema simpatico induce il rilassamento
del muscolo ciliare con stiramento sulle fibre zonulari; di conseguenza la capsula risulta tesa e
la lente assume una forma discoidale con diminuzione della sua convessità e quindi del suo
potere di rifrazione (Gelatt, 1999).
Con l’avanzare dell’età, le fibre diventano più compatte e disidratate, e la capacità di
accomodazione del cristallino diminuisce (Peruccio, 1987). Tuttavia, nel cane la capacità di
accomodazione è alquanto limitata, se paragonata a quella dell’uomo (Peruccio, 1987;
Mitchell, 2013).
1.4 Il metabolismo del cristallino
I processi metabolici della lente sono piuttosto limitati se correlati a quelli degli altri tessuti
dell’organismo, perciò anche la sua richiesta energetica risulta meno elevata (Peruccio, 1987).
Le regioni del cristallino metabolicamente più attive sono l’equatore (Beteg et al., 2008) e
l’epitelio subcapsulare anteriore (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999). Nello specifico l’epitelio
subcapsulare rappresenta il sito di maggiore produzione energetica, utilizzata per il trasporto
di ioni inorganici, amminoacidi, e per la sintesi proteica (Gelatt, 1999). Per mantenere la
trasparenza e l’indice di rifrazione della lente sono necessari: un basso contenuto di acqua e
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un alto contenuto di proteine. L’acqua diffonde passivamente e deve essere espulsa in
maniera costante. A mantenere questo stato di disidratazione è una pompa attiva-ATP-
dipendente. Questa pompa permette l’ingresso di ioni potassio e di amminoacidi, utili alla
sintesi proteica, e l’espulsione di acqua, ioni sodio e cloruri (Gelatt, 1999; Peruccio, 1987).
Data la totale assenza di vasi, l’apporto nutritivo alla lente e la rimozione dei metaboliti
avviene tramite l’umor acqueo e l’umor vitreo (Peruccio, 1987; Turner & Bouhanna, 2010;
Mitchell, 2013). In particolare è il glucosio a fornire l’energia chimica indispensabile (Peruccio,
1987), e il prodotto finale del suo metabolismo è l’acido lattico (Gelatt, 1999). L’ossigeno non
è infatti necessario per il normale funzionamento della lente (Gelatt, 1999); pertanto la via
metabolica più rappresentativa è la glicolisi anaerobica (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna,),
seguita dalla via dei pentosi fosfati, del sorbitolo e dal ciclo di Krebs (Gelatt, 1999).
La glicolisi è controllata dall’enzima esochinasi e dalla velocità di ingresso del glucosio nel
cristallino. Se la concentrazione di glucosio è superiore a 175 mg/dl, il livello di glucosio-6-
fosfato aumenta e inibisce l’attività del enzima esochinasi. Tale processo permette di limitare
l’accumulo di acido lattico e quindi il conseguente abbassamento del pH (Gelatt, 1999).
Infine, l’eccesso di glucosio viene trasformato in sorbitolo e fruttosio, entrambi
osmoticamente molto attivi. Di conseguenza, un’elevata concentrazione di glucosio comporta
la saturazione dei sistemi enzimatici e provoca un rapido accumulo di acqua nella lente con
modificazione delle sue caratteristiche strutturali e funzionali (Peruccio, 1987), come
dimostrato nell’insorgenza della cataratta diabetica (Nartey, 2017).
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CAPITOLO 2: LA CATARATTA
2.1 Fisiopatologia della cataratta
Nel corso della vita, la lente subisce alcune modificazioni conformazionali per effetto di due
principali processi evolutivi, ovvero l’aumento di dimensione, per la continua formazione delle
fibre secondarie e la disidratazione delle fibre centrali, più vecchie, che si addensano e
appaiono “sclerosate” (Peruccio, 2009). Data la crescita continua delle fibre lenticolari, la zona
centrale del cristallino diventa progressivamente biancastra, senza però determinare una vera
e propria opacità. Questo fenomeno è detto nucleosclerosi, e in sede diagnostica deve essere
correttamente differenziato dalla cataratta (Cottrill, 2007; Mitchell, 2013). Per cataratta si
intende qualsiasi opacità della lente, sia essa localizzata o diffusa, stazionaria o progressiva,
compatibile o meno con la funzione visiva (Peruccio, 2009). Si manifesta nel paziente con
l’organizzazione di un’area biancastra, opaca, più o meno estesa, che, contrariamente alla
nucleosclerosi, rende difficoltosa all’operatore la visualizzazione del fondo oculare (Cottrill,
2007; Mitchell, 2013). La cataratta è una patologia della lente a carattere multifattoriale che
compare in conseguenza di alterazioni nel metabolismo energetico e proteico, o per
modificazioni dell’equilibrio osmotico della lente e nel paziente può essere causa frequente di
differenti gradi di cecità (Thayananuphat, 2015; Nartey, 2017). I principali fattori che
concorrono alla sua insorgenza sono rappresentati da alterazioni a carico del contenuto in
proteine, turbe funzionali delle pompe ioniche (con conseguente modificazione della
concentrazione ionica) e l’inefficienza dell’attività dei sistemi antiossidanti (Gelatt, 1999). La
cataratta è frequentemente associata a un aumento della quota proteica insolubile a scapito
della frazione solubile e a una riduzione dell’attività della pompa Na+-K+-ATP-dipendente. Il
ridotto funzionamento della pompa determina un abbassamento della concentrazione in ioni
potassio K+ e un aumento della quantità di ioni sodio Na+ all’interno del cristallino. L’aumento
del sodio crea, per effetto osmotico, l’ingresso di acqua all’interno della lente con
conseguente idratazione delle fibre lenticolari, determinando pertanto la rottura delle loro
membrane (Gelatt, 1999). Nella cataratta matura, gli enzimi idrolitici e proteolitici aumentano
e la degradazione delle proteine in amminoacidi e polipeptidi determina una loro diffusione
nell’umor acqueo, innescando un processo infiammatorio a carico dell’uvea (Gelatt, 1999).
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Pertanto, i pazienti affetti da cataratta in stadio avanzato presentano molto spesso uveite
associata che, se trascurata, aggrava a sua volta la condizione clinica dell’occhio per
l’instaurarsi di sinechie e di glaucoma secondario; nei casi più gravi, la perdita della funzione
visiva può risultare irreversibile (Thayananuphat, 2015). Lo stato di trasparenza della lente è
legato al suo metabolismo mediante processi di ossido-riduzione e qualsiasi alterazione a
carico dei suoi costituenti può pertanto determinarne un’opacizzazione (Lou, 2003).
L’ossigeno è una molecola altamente reattiva che può formare derivati dannosi come l'anione
superossido (O2-), il perossido d'idrogeno (H2O2) e il radicale ossidrilico (OH-) (Williams, 2006).
Questi radicali liberi possono essere generati da fattori esogeni come i raggi UV, le radiazioni
ionizzanti, le tossine ambientali o le citochine infiammatorie, oppure da sistemi enzimatici
della lente stessa come la NADPH-ossidasi (Lou, 2003). In difesa, nelle cellule esistono dei
sistemi antiossidanti, fra questi i sistemi non enzimatici (come il glutatione, l’acido ascorbico,
la vitamina E, e i carotenoidi), e i sistemi enzimatici (come la supersossido dismutasi, la
glutatione perossidasi e le catalasi). (Lou, 2003). Il glutatione viene sintetizzato all’interno del
cristallino. È costituito dagli amminoacidi glicina, cisteina e acido glutammico (Peruccio 1987;
Gelatt, 1999) ed è presente prevalentemente nella sua forma ridotta. Il rapporto tra forma
ridotta e quella ossidata deve essere bilanciato a favore della prima, poiché un aumento della
forma ossidata o la riduzione della forma ridotta determina l’ossidazione delle proteine.
(Peruccio, 1987). È stato dimostrato che la concentrazione del glutatione ridotto, nei cristallini
affetti da cataratta, risulta inferiore rispetto ai livelli normali (Gelatt et al.,1982; Peruccio,
1987). Nel corso dei processi di invecchiamento della lente, risulta compromessa la sintesi del
glutatione, la cui concentrazione a livello del nucleo diminuisce (Nartey, 2017) e i sistemi anti-
ossidanti diventano di conseguenza meno efficienti (Lou, 2003). Si verifica, quindi, uno
squilibrio tra la produzione di intermedi dell’ossigeno e la capacità del sistema biologico di
contrastarli o di riparare i danni che ne derivano (Nartey, 2017). Questo può dare luogo a gravi
lesioni alle varie componenti cellulari e modificazione della componente proteica, causando
l’insorgenza della cataratta. L’età è quindi un fattore predisponente la comparsa della
cataratta, poiché risulta correlata alla ridotta funzionalità dei sistemi anti-ossidanti e a un
decremento dei processi metabolici con una resa energetica bassa. Inoltre, il metabolismo del
glucosio diviene nel tempo prevalentemente aerobico, ostacolando il trasporto ionico di
membrana e la sintesi proteica (Nartey, 2017).
16
2.2 Diagnosi di cataratta
Per una corretta diagnosi di cataratta occorre definire la localizzazione, la tendenza
all’estensione, lo stadio evolutivo, l’eziologia e il periodo di insorgenza nel quale si manifesta
clinicamente nella vita dell’animale (Peruccio, 2009). Dopo l’acquisizione dei dati anamnestici
del paziente, viene effettuato un esame oftalmologico completo, eventualmente arricchito
dall’esecuzione di ulteriori esami complementari (Turner & Bouhanna, 2010). Durante la visita
oftalmologica si procede alla valutazione della risposta del paziente alla stimolazione della
reazione alla minaccia, che nei cani affetti da cataratta può essere presente, dubbia o
addirittura assente, in relazione all’estensione e al grado di maturazione della cataratta e
quindi della funzione visiva del paziente (Mitchell, 2013; Mancuso, 2016). Si procede poi con
la valutazione del riflesso fotomotore o pupillare (Pupillary Light Reflex o PLR) diretto e
consensuale dei due occhi (Peruccio, 1987). Il PLR viene valutato tenendo presente che, in
caso di cataratta avanzata, un animale non vedente è comunque in grado di rilevare la
presenza della luce, risultando positivo alla stimolazione del riflesso (Peruccio, 1987). La
cataratta da sola quindi, non determina un’alterazione del PLR, poiché tale riflesso non è
indicativo della funzionalità visiva del paziente. Tuttavia, quando il PLR risulta assente o
diminuito, oltre l’atrofia iridea, lesioni ai nervi (ottico e oculomotore) e alle vie ottiche è
necessario prendere in considerazione possibili fenomeni degenerativi a carico alla retina,
eventualmente correlate alla presenza della cataratta (Mancuso, 2016). La stima della
pressione intraoculare (Intraocular Pressure o IOP) del paziente è una procedura utile ai fini
della diagnosi di eventuali complicazioni intraoculari. Nel cane la IOP è compresa all’interno di
intervalli compresi tra 10 e 25 mmHg, e valori superiore al range fisiologico sono
rappresentativi di glaucoma (Turner & Bouhanna, 2010). Se la IOP assume, invece, un valore
inferiore a 15mmHg, questo può essere indicativo della presenza di un’uveite, frequente in
corso di cataratta, e clinicamente osservabile nel paziente con iperemia congiuntivale, miosi
dell’occhio affetto, e una colorazione alterata dell’iride (Mitchell, 2013; Mancuso, 2016). Per
la valutazione completa del cristallino può essere necessario indurre la midriasi nel paziente.
In alcuni casi, invece, come in soggetti particolarmente paurosi o sotto forte stress, affetti da
alterazioni iridee congenite (iridodisgenesi), acquisite (atrofia), o con gravi lesioni retiniche, la
pupilla risulta già dilatata a luce ambientale e non responsiva alla stimolazione luminosa
(Peruccio, 1987; Peruccio, 2009). La midriasi viene farmacologicamente indotta dopo un
17
esame del settore anteriore dettagliato che attesti l’assenza di complicazioni secondarie
legate alla cataratta, come ad esempio il glaucoma, o che scongiuri il rischio di possibili
instabilità della lente, e quindi una sua possibile lussazione. Per la midriasi viene istillato un
collirio midriatico a breve durata d’azione (tropicamide 1%) (Peruccio, 2009; Mitchell, 2013;
Clode, 2016). Questa procedura diagnostica permette di osservare il cristallino in tutta la sua
estensione, compresa la zona equatoriale (Clode, 2016). Gli strumenti oftalmici indispensabili
al fine di una diagnosi precisa sono rappresentati dalla lampada a fessura, il transilluminatore
di Finoff, e l’oftalmoscopio diretto o indiretto (Peruccio, 1987). La lampada a fessura deve
essere utilizzata con un ingrandimento di almeno 10X o superiore (16 – 20X) (Peruccio, 2009).
Questa consente di rilevare in modo accurato qualsiasi alterazione a carico della cornea, del
settore anteriore dell’occhio e permette di discriminare eventuali opacità patologiche del
cristallino dai normali processi di invecchiamento (Kecova, 2004). Relativamente al cristallino,
la lampada a fessura consente di valutare l’intensità, la localizzazione e l’estensione
dell’opacità, oltre alle caratteristiche strutturali della capsula, l’eventuale presenza di
oscillamenti con facodonesi, iridodonesi, o di crescente afcahico (Ollivier et al., 2007). Il
transilluminatore di Finoff è una fonte di luce focalizzata che permette di provocare il PLR, di
riscontrare eventuali opacità del cristallino e visualizzare l’intensità del riflesso tappetale
(Peruccio, 1987). L’oftalmoscopio diretto si rivela molto utile per la localizzazione delle
cataratte, sia nelle fasi avanzate, che negli stadi iniziali del suo sviluppo. Nell’apparecchio sono
contenute diverse lenti (positive o convergenti e lenti negative o divergenti) da interporre
all’asse di osservazione per modificare la profondità del fuoco nell’occhio e correggere i difetti
refrattivi, agevolando in questo modo l’esplorazione precisa del cristallino, sebbene lo
strumento sia finalizzato primariamente all’esplorazione del fondo oculare (Turner &
Bouhanna, 2010; Mitchell, 2013). L’oftalmoscopia indiretta, consente di ottenere una visione
più globale del fondo oculare. Per questo esame sono necessari delle lenti convergenti e quella
più frequentemente utilizzata è di 20D (Turner & Bouhanna, 2010). Un esame dettagliato del
fondo oculare in corso di cataratta permette di valutare inoltre la presenza di alterazioni
associate, fra cui ad esempio un’atrofia retinica progressiva (Progressive Retinal Atrophy o
PRA) (Kecova, 2004). Nei casi in cui si sospetta una cataratta secondaria associata a patologie
retiniche e l’opacità marcata della lente renda impossibile la valutazione dello stato clinico
della retina, può risultare necessario effettuare esami specialistici complementari, come
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l’elettroretinografia (ERG) o l’ecografia oculare, che permettono, a fini prognostici, di poter
valutare anche la funzionalità retinica, in previsione di un possibile trattamento chirurgico
(Kecova, 2004; Martin, 2010; Mitchell, 2013; Mancuso, 2016). Vari studi clinici e sperimentali
hanno dimostrato che l'ERG è un metodo di valutazione efficace e obiettivo per la valutazione
della funzionalità retinica. Questo metodo è pertanto stato utilizzato per molti anni in
medicina veterinaria principalmente per la diagnosi delle distrofie retiniche e per la
valutazione preoperatoria della retina in previsione della chirurgia per cataratta (Narfström,
2002). All’esame ecografico possono essere visualizzati eventuali alterazioni del cristallino
associate alla cataratta, quali rotture o spostamenti della lente dalla sede naturale
(lussazione/sublussazione), degenerazione a carico del vitreo, persistenza dell’arteria ialoidea,
o distacchi di retina (Mitchell, 2013). Esami specialistici come l'ERG o l’ecografia oculare sono
particolarmente utili a scopo prognostico, poiché in corso di cataratta consentono di poter
valutare lo stato clinico della retinica e di accertare quindi un possibile recupero della visione
nel paziente. Se la funzionalità retinica è infatti compromessa, la terapia chirurgia per la
cataratta non sarà pertanto risolutiva ai fini del recupero della funzione visiva (Mitchell, 2013).
2.2.1 Diagnosi differenziale con la nucleosclerosi La continua crescita delle fibre lenticolari determina un progressivo consolidamento delle aree
centrali del cristallino. A questo livello, le fibre risultano sempre più compresse e le loro
connessioni alterate, ostacolando conseguentemente gli scambi metabolici e aumentando
progressivamente la densità del nucleo lenticolare (Gelatt, 1999). Questo fenomeno è
conosciuto come nucleosclerosi e rappresenta un processo fisiologico, legato al progressivo
invecchiamento della lente. Compare nel cane all’età di circa 6-7 anni quando il nucleo
lenticolare diviene ampio, denso e rigido (Peruccio, 2009). Clinicamente si manifesta con la
formazione di un’area centrale biancastra, che tuttavia non altera la visione del paziente e
generalmente non ostacola la visualizzazione del fondo oculare in corso di esame
oftalmologico (Gelatt, 1999; Cottrill, 2007, Mitchell, 2013), ad eccezione di casi molto avanzati
(Gelatt, 1999; Cottrill, 2007). Cataratta e nucleosclerosi vengono a volte confuse, ma le due
condizioni risultano tra loro alquanto diverse, sia talora per cause d’insorgenza, che per le
ripercussioni cliniche sul paziente. Ai fini di un trattamento adeguato infatti, è di fondamentale
importanza formulare una diagnosi corretta. Per mettere in risalto le opacità del cristallino è
19
necessario effettuare un esame oftalmologico in camera oscurata. Grazie all’esame
biomicroscopico con lampada a fessura (biomicroscopia oculare) è possibile apprezzare le
immagini di Purkinje, ovvero le 3 proiezioni lineari della sorgente luminosa sovrapposte al foro
pupillare, riflesse sui mezzi diottrici oculari: la superficie corneale, il cristalloide anteriore e il
cristalloide posteriore. Ogni mancanza, interruzione o offuscamento delle ultime due
immagini del Purkinje rispecchia alterazioni patologiche della trasparenza del cristallino,
indicative di cataratta, mentre risulteranno positive in presenza di nucleosclerosi (Peruccio,
1987; Gelatt, 1999). L’oftalmoscopio diretto consente di differenziare la cataratta dalla
nucleosclerosi, esaminando complessivamente la lente dopo aver selezionato all’interno
dell’apparecchio lenti positive convergenti (+8 / + 12). Spesso è possibile inserire un limitatore
a fessura sul decorso del fascio luminoso (Peruccio, 1987). L’esame oftalmoscopico diretto
permette di differenziare indirettamente una cataratta da una nucleosclerosi, anche
attraverso la visualizzazione del fondo oculare (Turner & Bouhanna, 2010, Mitchell, 2013).
L’illuminazione diretta dell’occhio consente di mettere in evidenza il riflesso tappetale, per
rilevare eventuali ostacoli alla visualizzazione del fondo oculare, correlate ad eventuali
opacizzazioni della lente. In caso di cataratta, più o meno estesa, non sarà possibile esaminare
in toto il fondo oculare e la notevole riduzione o l’assenza del riflesso tappetale saranno la
diretta conseguenza dell’ostacolo al passaggio di luce, dovuto alla perdita di trasparenza del
cristallino (Peruccio, 1987: Gelatt, 1999; Mitchell, 2013). Con la nucleosclerosi, invece, il
riflesso tappetale è mantenuto, sufficientemente visibile all’operatore e l’osservazione della
lente mette in risalto un opacamento centrale che tuttavia mantiene una netta linea di
demarcazione tra corteccia e nucleo lenticolare (Clode, 2016).
2.3 Classificazione della cataratta
Tramite un’accurata osservazione della lente, utilizzando gli strumenti diagnostici
precedentemente descritti, è possibile classificare i diversi tipi di cataratta in riferimento alla
modalità o al periodo di insorgenza, all’estensione, alla localizzazione, allo stadio di sviluppo e
all’eziologia (Peruccio, 1987).
In base al periodo d’insorgenza la cataratta si classifica in congenita, su base ereditaria o
secondarie all’azione di un agente tossico/teratogeno durante lo sviluppo embrionale del
20
cristallino, giovanile quando avviene ad un’età inferiore agli 8 anni, e senile quando compare
ad un’età superiore agli 8 anni (Gelatt, 1999; Peruccio, 2009).
L’evoluzione della cataratta può essere stazionaria o progressiva e la consistenza della lente
può essere fluida, molle o dura (Peruccio, 1987).
Relativamente alla localizzazione nelle varie componenti del cristallino, la cataratta si classifica
come:
▪ subcapsulare: adiacente alla capsula anteriore o posteriore, senza il coinvolgimento della
corteccia; frequentemente a carattere ereditario e a progressione variabile (Mancuso &
Hendrix, 2016);
▪ corticale: insorge con la presenza di opacità multiple disposte radialmente nella
corteccia, e che tendono a confluire progressivamente, per formare nelle fasi più
avanzate delle zone di opacità cuneiformi e confluenti verso il centro (Peruccio, 2009);
▪ equatoriale: in prossimità delle fibre zonulari, alla periferia del cristallino; generalmente
progressiva, data la crescita attiva della lente a livello equatoriale (Mancuso & Hendrix,
2016);
▪ nucleare: raramente progressiva e di origine primaria o secondaria (Mancuso & Hendrix,
2016).
▪ Infine, la cataratta è possibile riscontrarla anche in corrispondenza delle linee di sutura
(Peruccio, 1987).
La localizzazione della cataratta, così come la sua fase evolutiva, è utile per formulare una
prognosi riguardo la funzione visiva del soggetto (Peruccio, 1987). Una cataratta equatoriale
o capsulare fuori dall’asse ottico è compatibile con una funzione visiva inalterata. Quelle
nucleari sono, invece, caratterizzate da miglioramento funzionale con luce attenuata e netto
peggioramento della visione con luce intensa, in rapporto al diametro del foro pupillare,
mentre le cataratte corticali comportano deficit visivi variabili in rapporto alla loro densità ed
estensione e devono essere valutate con riferimento alla fase evolutiva raggiunta (Peruccio,
2009).
A seconda dello stadio evolutivo, la cataratta viene distinta in cinque stadi (Gould, 2002;
Martin, 2010):
• incipiente: è lo stadio più precoce della patologia. L’opacità risulta inferiore al 10%
(Gelatt,1999; Gould, 2002; Martin, 2010) o 15% del volume della lente (Gelatt, 1999;
21
Mancuso & Hendrix, 2016). Spesso è una cataratta corticale, subcapsulare o delle linee
di suture, e può essere progressiva o meno a secondo dell’eziologia (Gelatt, 1999).
All’esame oftalmoscopico il fondo oculare è poco oscurato e ancora visibile
all’operatore (Gould, 2002; Martin, 2010; Mancuso & Hendrix, 2016).
• immatura: è quella cataratta che si estende dal 15% al 99% del volume della lente
(Mancuso & Hendrix, 2016). Spesso, la cataratta immatura è osmoticamente attiva, il
che induce una imbibizione delle fibre della lente, con la formazione di fessurazioni e
successiva rottura delle fibre lenticolari, specialmente a livello delle linee di sutura, con
conseguente aumento delle dimensioni della lente stessa (Gelatt,1999). Il fondo
oculare è più o meno osservabile in funzione del grado di opacamento (Gould, 2002;
Martin, 2010; Mancuso & Hendrix, 2016). Con una cataratta immatura l’animale può
essere affetto da gradi variabili di cecità, a seconda del grado di opacamento della
lente, del diametro pupillare, dell’intensità e dell’incidenza della luce ambientale
(Peruccio, 2009; Mancuso & Hendrix, 2016).
• matura: la lente è completamente opaca (100% del volume della lente, senza
riassorbimento), e il fondo oculare non valutabile (Gelatt, 1999; Mancuso & Hendrix,
2016). L’animale è del tutto cieco e urta costantemente gli ostacoli anche se,
nell’ambiente domestico in cui vive, può seguire le piste olfattive e memorizzare altri
riferimenti (Peruccio, 2009). Se la retina è funzionante il riflesso all’abbagliamento e il
PLR saranno comunque mantenuti (Mancuso & Hendrix, 2016).
• ipermatura: è la cataratta in stadio particolarmente avanzato. In questa condizione è
di frequente riscontro la presenza di uveite facolitica, dovuta all’attivazione di enzimi
proteolitici che provocano la degradazione e la successiva rottura delle fibre lenticolari.
Il passaggio in camera anteriore delle componenti fibrillari del cristallino, innescano a
loro volta un’imponente reazione infiammatoria autoimmune (Gelatt, 1999; Gould,
2002; Martin, 2010).
• morgagnana: o cataratta di Morgagni, si ha quando nella fase avanzata della patologia,
la perdita della componente proteica ad opera degli enzimi litici comporta una
riduzione volumetrica della lente, e il cristalloide anteriore si raggrinzisce
progressivamente, mostrando la formazione di placche biancastre (Gelatt,1999;
Mancuso & Hendrix, 2016). Successivamente la cataratta viene a poco a poco
22
riassorbita (Gelatt, 1999; Mancuso & Hendrix, 2016), il riflesso tappetale può risultare
in parte nuovamente visibile e la camera anteriore appare più profonda.
La cataratta di Morgagni rappresenta quindi l’ultimo stadio del processo patologico. In
questa fase, la corteccia mostra una consistenza ormai molle, a causa della
liquefazione delle fibre (Gelatt, 1999). Conseguentemente, per gravità il nucleo
assume una posizione ventrale, non più sostenuto dalla corteccia, e la visione nel
paziente può in alcuni casi essere riacquisita (Peruccio, 2009; Mancuso & Hendrix,
2016). A questo stadio della patologia aumentano tuttavia le percentuali di rischio di
distacco di retina, di degenerazione del vitreo, e la probabilità di
sublussazione/lussazione della lente risulta maggiore (Gelatt, 1999).
Infine, è possibile classificare la cataratta secondo la sua eziologia in cataratta primaria e
cataratta secondaria. La prima si sviluppa su base genetica mentre la seconda si verifica in
seguito a un insulto esogeno o una patologia sistemica o oculare (Mancuso & Hendrix, 2016).
Per l’approfondimento della cataratta in base all’eziologia si rimanda al capitolo 3.
2.4 Conseguenze della cataratta L’insorgenza di uveite associata a danni a carico della lente è piuttosto frequente in varie
specie animali, compreso il cane. Si tratta di una risposta infiammatoria a carico dell’uvea,
scaturita dall’esposizione delle componenti interne del cristallino. La lente è un organo isolato,
sprovvisto di vasi sanguigni e che si sviluppa separatamente dalle altre strutture embrionali.
Le sue componenti proteiche sono da un punto di vista immunologico organo-specifiche e non
specie-specifiche e durante lo sviluppo embrionale la capsula funge da barriera, impedendone
il contatto coi sistemi reticolo-endoteliali e circolatorio pre-natale. Queste risultano pertanto
attaccabili dal sistema immunitario stesso in caso di una loro esposizione esterna, innescando
nel soggetto una reazione infiammatoria autoimmune più o meno grave, con la formazione di
anticorpi diretti contro la lente (Gelatt, 1999). In medicina veterinaria possono essere distinte
l’uveite facoclastica e quella facolitica (Van Der Woerdt, 2000). L’uveite facoclastica avviene
in caso di rottura spontanea o traumatica della lente. L’uveite facolitica, invece, consegue
all’azione degli enzimi proteolitici che degradano le proteine fibrillari della lente; si tratta di
un’uveite linfo-plasmacellulare e istologicamente si rilevano numerosi linfociti e plasmacellule
23
all’interno dello stroma dell’uvea. Il Barboncino nano e il Cocker Spaniel Americano sono tra
le razze maggiormente colpite dall’uveite facolitica, a dimostrazione dell’alta prevalenza di
cataratta riscontrata in queste razze. Questo tipo di uveite è frequentemente associata a
cataratta ipermatura (Gelatt, 1970; Gelatt, 1975; Fischer 1983; Van Der Woendt et al., 1992)
e alle cataratte a insorgenza rapida come quella diabetica (Pumphrey, 2015). In alcuni casi,
tuttavia, l’uveite facolitica può essere correlata anche a cataratte mature e immature (Van Der
Woerdt, 2000). I segni clinici di uveite sono rappresentati da miosi, iperemia congiuntivale e
intorbidimento dell’umor acqueo. Le possibili complicazioni associate all’uveite in corso di
cronicizzazione variano dalla tisi del globo oculare al buftalmo secondario a glaucoma (Van
Der Woerdt, 2000). Quest’ultimo è molto comune e nel cane rappresenta circa il 45% dei
glaucomi secondari (Johnsen, 2006). In corso di uveite, infatti, l’accumulo di fibrina può dare
origine alla formazione di sinechie anteriori (fra iride e cornea) o posteriori (fra iride e
cristalloide anteriore). Le sinechie anteriori alterano la normale conformazione dell’angolo
irido-corneale, compromettendo il drenaggio dell’umor acqueo, che si accumula di
conseguenza in camera anteriore. Le sinechie posteriori, invece, occludono il flusso dell’umor
acqueo verso la camera anteriore, e concorrono alla formazione della cosiddetta iride bombé.
Infine l’infiammazione dell’uvea può anche compromettere la stabilità delle zonule di Zinn, e
predisporre quindi il cristallino alla lussazione (Pumphrey, 2015). Data la gravità della
sintomatologia clinica e delle complicazioni associate, risulta di fondamentale importanza
valutare l’eventuale presenza di uveite, anche in previsione del trattamento chirurgico, poiché
ne condiziona significativamente il tasso di successo (Paulsen, 1985; Van Der Woendt et al.,
1992).
2.5 Trattamento della cataratta
La chirurgia è la sola terapia risolutiva per la cataratta (Lim, 2011) e rappresenta una delle
procedure chirurgiche maggiormente praticate in ambito oculistico (Davidson, 1999). In
medicina veterinaria mancano dimostrazioni scientifiche valide a supporto dell’efficacia del
trattamento medico per la cataratta, sebbene siano disponibili in commercio alcuni prodotti
supportati da studi in vitro e sperimentazioni cliniche (Kador, 1983; Bron et al., 1987; Davidson
& Nelms, 2007). La maggior parte dei farmaci sono finalizzati a rallentare l’evoluzione delle
forme iniziali di cataratta. Si tratta di integratori a base di sali inorganici, estratti di prodotti
24
naturali, supplementi nutrizionali, antinfiammatori non steroidei e antiossidanti, come
selenio, vitamina E, superossido dismutasi (SOD), N-acetylcarnosina, e zincocitrato (Kador,
1983; Williams & Munday, 2006; Davidson & Nelms, 2007). Per la specie canina in particolare,
la ricerca scientifica supporta lo studio di sistemi inibitori dell’aldoso reduttasi, ai fini dello
sviluppo di un trattamento medico relativo alla cataratta diabetica (Sato et al., 1991).
Nel caso di cataratta focale e stazionaria un monitoraggio periodico può scongiurare il rischio
di complicazioni secondarie legate alla cataratta, come l’uveite, spesso riscontrabile in corso
di cataratte mature o ipermature, che a sua volta necessita un trattamento medico basato
sulla somministrazione di farmaci anti-infiammatori steroidei (corticosteroidi) o non streoidei
(FANS) (Mitchell, 2013).
Oltre che alla prevenzione delle conseguenze legate alla cataratta, la risoluzione chirurgica è
particolarmente indicata per i pazienti affetti da deficit visivi imputabili a gravi opacità del
cristallino e nei quali la valutazione della funzionalità retinica ha riportato un esito positivo. Lo
scopo della chirurgia è quello di rimuovere l’impedimento al passaggio della luce e ripristinare,
se possibile, il potere diottrico naturale della lente mediante l’inserimento di una lente
artificiale (Intraocular Lens o IOL) (Peruccio, 2009).
I diversi tipi di interventi sono classificati in:
- intracapsulare: prevede l’asportazione della lente in toto, comprensiva di capsula. Oggi si
effettua solo nei casi di grave sublussazione o lussazione del cristallino;
- extracapsulare (Extra Capsular Cataract Extraction o ECCE): senza l’ausilio di strumenti che
frammentano il contenuto della lente; comporta l’asportazione di un ampio settore della
capsula anteriore mediante capsuloressi, che consente di estrarre il contenuto della lente
mediante manovre di indentazione;
- extracapsulare o facoemulsificazione: grazie a un particolare strumento (facoemulsificatore)
consente di frammentare la lente mediante l’emissione di ultrasuoni, irrigare l’interno
dell’occhio mantenendone la forma e aspirarne, infine, i frammenti insieme ai liquidi di
lavaggio (Peruccio, 2009). Una corretta terapia preoperatoria aumenta in modo significativo i
margini di successo dell’operazione (Peruccio, 1987). Qualche giorno prima dell’intervento
l’occhio viene medicato con colliri antibiotici, corticostreroidei o a base di FANS (Cook, 2008).
Per l’intervento vengono, invece, somministrati FANS per via sistemica e viene indotto il
paziente in midriasi farmacologica mediante l’istillazione di tropicamide o fenilefrina. Il
25
protocollo anestesiologico deve comprendere dei bloccanti neuromuscolari, in quanto
impediscono la rotazione del bulbo oculare e facilitano pertanto la procedura chirurgica
(Dziezyc, 1990; Nasisse and Davidson, 1991). Infine, alla fine della chirurgia, può essere
somministrato carbacolo per indure miosi e ridurre il rischio di glaucoma post-operatorio
(Adkins & Hendrix, 2003). Nel cane, la tecnica chirurgica più frequentemente utilizzata è la
facoemulsificazione (Beteg et al., 2008; Mitchell, 2013). Si tratta di una procedura chirurgica
scarsamente traumatica e ideale per l’inserimento di una lente intraoculare (IOL) di diametro
pari a 14-18 mm nel cane (Peruccio, 2009). Il facoemulsificatore riunisce in sé l’impianto di
infusione-aspirazione, il sistema di capsulotomia, l’elettrocoagulatore bipolare a campo
umido per l’emostasi e il vitrectomo. Questa tecnica molto precisa permette di intervenire
attraverso una breccia operatoria piuttosto ridotta (Peruccio, 2009), inferiore ai 3mm
(Mitchell, 2013). Nel cane l’accesso chirurgico è corneale e una cantotomia laterale può essere
effettuata per aumentare l’esposizione del campo operatorio e limitare una deformazione
eccessiva del globo oculare (Gelatt, 1999). L’incisione corneale consente di scavare un tunnel
all’interno dello stroma corneale, grazie all’ausilio di lame angolate di 30°-45° e con punta
triangolare di 3 mm circa, arrotondata e tagliente per tutta la sua lunghezza, per consentire
l’ingresso all’interno della camera anteriore (Mitchell, 2013). Successivamente si esegue la
capsulotomia. Uno dei metodi più praticati a tal proposito è la capsuloressi che consiste in
un’apertura circolare a carico della capsula, la quale consente di effettuare un’incisione di
piccola dimensione e determinare una buona stabilità dell’IOL (Gelatt, 1999). Viene quindi
introdotto il facoemulsificatore a livello dell’apertura, che frantuma la lente mediante
ultrasuoni (Mitchell, 2013). Durante questa fase della chirurgia, si introducono dei liquidi a
flusso regolato dal chirurgo, i quali mantengono la forma e la pressione interna oculare ai livelli
fisiologici e consentono allo stesso modo di aspirare i frammenti della lente che vengono
quindi drenati all’esterno dalla continua irrigazione (Peruccio, 2009). Per lo scopo, sono state
studiate delle soluzioni saline bilanciate, con un pH compreso tra 7,5 – 8,2. Si tratta di
particolari sistemi tampone addizionati a elettroliti e altri elementi come il glutatione ossidato,
per diminuire il danno intraoculare. Infine, per prevenire la formazione di membrane di fibrina
conseguenti all’infiammazione post-chirurgica e per garantire una midriasi adeguata nel
paziente, molti chirurghi aggiungono ad ogni litro di soluzione 1000 unità di eparina e
fenilefrina in diluizione pari a 1:10.000 (1 ml di fenilefrina concentrata 1:1.000 per ogni litro di
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soluzione). Si deve tenere presente che tali farmaci non devono contenere conservanti
potenzialmente tossici per l’occhio e possono comunque alterare l’equilibrio elettrolitico, il
pH e l’osmolalità della soluzione (McDermott et al., 1988).
I materiali viscoelastici, generalmente formulati a base di condroitina solfato e acido
ialuronico (Cook, 2008), sono sostanze utilizzate nell’intervento di facoemulsificazione per
mantenere la camera anteriore nella sua normale conformazione, dilatare la pupilla,
consentire le adeguate manipolazione sull’iride, proteggere l’endotelio corneale, distendere
il sacco capsulare per l’introduzione della IOL ed evitare, infine, spostamenti del vitreo in
seguito a lacerazioni capsulari posteriori, controllando possibili emorragie e altre
complicazioni intraoperatorie (Glover & Constantinescu, 1997; Wilkie & Willis, 1999). Nel cane
la lente è dotata di un potere diottrico pari a 40 – 41,5D, variabile in funzione della razza e la
sua capacità di accomodazione è stimata da 1 a 3D. In caso di asportazione della lente, l’occhio
diviene eccessivamente ipermetrope, poiché le immagini saranno messe a fuoco su di un
piano posto dietro la retina (Peruccio, 2009; Thayananuphat, 2015). L’inserimento nell’occhio
di una IOL consentirà di sopperire a un difetto di circa 14D conseguente all’afachia, e di
ristabilire quindi nel paziente un potere diottrico paragonabile a quello di una lente naturale
(Kecova, 2004; Cottrill, 2007; Peruccio, 2009; Thayananuphat, 2015). Tuttavia, l’inserimento
della IOL non si effettua in presenza di specifiche controindicazioni, come nel caso di soggetti
di pochi mesi affetti da gravi malformazioni congenite, o in seguito a complicazioni
intraoperatorie, quali la rottura della capsula posteriore con spostamento del vitreo
(Peruccio,2009). Le caratteristiche essenziali di una lente artificiale sono rappresentate da una
densità adeguata, un appropriato indice di rifrazione, biocompatibilità e quindi assenza di
tossicità per i tessuti oculari e una buona stabilità chimica che perduri nel tempo (Kecova,
2004). I materiali utilizzati sono il polimetilmetacrilato (PMMA), l’acrilato (idrofilo e
idrofobico), il silicone e l’idrogel. Il PMMA è un polimero del metilmetacrilato, possiede un
indice di rifrazione di 1,49D ed è ben tollerato a livello tissutale. Il PMMA tuttavia è un
materiale rigido e la sua introduzione richiede l’esecuzione di un’incisione corneale di maggiori
dimensioni (6-8 mm) (Kecova, 2004). Il silicone è un materiale biocompatibile, elastico e con
indice di rifrazione pari a 1,41 – 1,46D. Tuttavia, non va utilizzato nei pazienti a rischio di subire
una chirurgia vitreoretinica, come ad esempio i pazienti diabetici, in quanto verrebbe
danneggiato da tale procedura. Infine, l’idrogel rappresenta un polimero di acrilato e possiede
27
un indice di rifrazione di 1,43 – 1,48D (Kecova, 2004). Con l’affermarsi della tecnica
extracapsulare, sempre più eseguita in campo veterinario, si sono diffuse anche lenti a base
di acrilato idrofilico, materiale estremamente biocompatibile, flessibile, che riduce
notevolmente anche l’ampiezza dell’incisione chirurgica corneale (Kecova, 2004). Infine, la
sintesi chirurgica corneale deve garantire la minore reazione locale e il mantenimento della
chiusura della breccia operatoria fino a completa cicatrizzazione (Peruccio, 2009). Spesso
vengono utilizzati fili in poliglactina 9-0, riassorbibili e perfettamente tollerati dall’organismo
(Gelatt, 1999; Lim, 2011).
Nonostante i miglioramenti continui nell’evoluzione delle tecniche chirurgiche, i limiti
all’applicazione del trattamento sono rappresentati dai costi, a volte poco sostenibili da parte
dei proprietari, o da cause intrinseche al paziente. Tra queste si annoverano la presenza di
altre patologie oculari, come la degenerazione progressiva retinica, cheratiti, o eventuali
malattie sistemiche concomitanti, che possono ostacolare la preparazione chirurgica del
paziente stesso e comprometterne una buona guarigione (Lim, 2011).
2.5.1 Gestione post-operatoria
Nel periodo post-operatorio il cane necessita di una rigorosa terapia farmacologica a base di
antibiotici locali e antiinfiammatori steroidei per almeno 3 o 4 settimane. In aggiunta alla
terapia medica, l’applicazione del collare elisabettiano rappresenta una valida misura
precauzionale al fine di evitare possibili autotraumatismi (Cook, 2008). Durante il periodo
post-operatorio, la compliance dei proprietari è indispensabile ai fini del successo terapeutico.
Per questo motivo occorre informarli adeguatamente sulle cure post-chirurgiche del paziente,
oltre che sull’importanza della loro gestione pre-operatoria (Thayananuphat, 2015). Gli
animali iperattivi, estremamente aggressivi, o difficilmente gestibili non sono pertanto
candidati idonei alla terapia chirurgica della cataratta (Kecova, 2004). Generalmente, dopo la
chirurgia, la prognosi per il recupero della funzione visiva è buona; il tasso di successo è
compreso tra 90% (Mitchell, 2013) e 95% (Beteg et al., 2008), e il 99% dei pazienti vedono il
giorno stesso dell’intervento (Cottrill, 2007). È comunque consigliabile operare di cataratta il
paziente il prima possibile, in quanto il successo dell’intervento decresce con la progressione
della patologia (Mitchell,2013). Inoltre, al fine di ottenere risultati positivi a lungo termine,
occorre effettuare controlli postoperatori regolari (Cook, 2008; Mitchell, 2013). Nonostante il
28
tasso di successo sia alto, la riuscita dell’intervento non è sempre garantita (Lim, 2011) e in
rari casi è possibile riscontrare l’insorgenza di complicazioni secondarie, quali ad esempio
l’uveite, il glaucoma e l’endoftalmite (Beteg et al., 2008; Cook, 2008).
2.5.2 Prognosi e complicazioni post-operatorie Grazie a un’esperienza professionale consolidata e a un’attrezzatura medica all’avanguardia,
è possibile ottenere ottimi risultati terapeutici a breve termine. Dopo alcuni giorni tuttavia
può insorgere un’opacizzazione dei mezzi diottrici oculari, che in assenza di complicazioni
acquisiscono nuovamente la loro trasparenza nell’arco di trenta giorni circa, ripristinando nel
paziente una buona funzionalità visiva (Peruccio, 1987). Le percentuali di successo della
facoemulsificazione a breve e medio termine sono elevate e variano dal 80% al 95%.
Purtroppo, il tasso di successo diminuisce con il tempo e può scendere fino al 70% a un anno
dopo la chirurgia (Gould, 2002). Varie complicazioni corneali, quali la deiscenza della sutura,
lesioni traumatiche, edemi o erosioni, si possono riscontrare generalmente subito dopo
l'intervento. Il fallimento della sintesi chirurgica, così come lesioni corneali traumatiche
iatrogene, possono portare in casi gravi a una fuoriuscita dell’umor acqueo, clinicamente
manifesta con una ridotta profondità della camera anteriore, prolasso irideo con abbondante
formazione di fibrina e discoria evidente (Gelatt, 1999). L’edema della cornea può conseguire
a un danno iatrogeno a carico dell’endotelio corneale, causato da manipolazioni strumentali
scorrette, dalla presenza di frammenti lenticolari, errori di scelta o di inserimenti della IOL,
oppure ancora per l’utilizzo eccessivo di fluidi di irrigazione (Gelatt, 1999). Infine l’ulcera
corneale, frequente soprattutto nelle razze brachicefaliche, ha una patogenesi spesso
multifattoriale, associata ad una diminuzione della produzione di lacrime indotta sia
dall’utilizzo di farmaci parasimpaticolitici, sia da possibili autotraumatismi o dal
prolungamento dei tempi di guarigione conseguente alla somministrazione di agenti
antiinfiammatori corticosteroidei (Gelatt,1999).
L’ifema e l’emorragia vitreale possono verificarsi durante l’intervento di cataratta o
nell’immediato post-operatorio, a causa del sanguinamento del sito di incisione, di improvvisi
sbalzi pressori intraoculari, di un’eccessiva tensione esercitata sul corpo ciliare, di insulti
traumatici sull’uvea mediante strumenti oftalmici, o per eventuali turbe coagulative nel
paziente. Tuttavia, tensioni provocate dal collare o dal guinzaglio, l’abbaio eccessivo e
29
l’iperattività del soggetto, sono le cause più frequenti di ifema nell’immediato post-
operatorio. Se l’emorragia è cospicua, è consigliabile effettuare un trattamento intracamerale
con un’attivatore del plasminogeno, che risulta molto efficace già nell’arco di poche ore
(Gelatt, 1999). Nel post-operatorio, tra le complicazioni a breve e a medio termine, è molto
frequente lo sviluppo di uveite, la quale può aggravare notevolmente la condizione clinica
dell’occhio e compromettere il risultato terapeutico (Adkins & Hendrix, 2003; Peruccio, 2009).
I fenomeni patologici associati variano dall’edema corneale allo sviluppo di sinechie, sineresi
vitreale e glaucoma, a seconda della refrattarietà o cronicizzazione dell’infiammazione. La
barriera emato-oculare del cane è di per sé estremamente fragile, il che predispone a un tasso
di infiammazione e complicazioni post-operatorie piuttosto elevato. Un certo grado di
danneggiamento della barriera emato-oculare è inevitabile dopo una chirurgia intraoculare,
tuttavia il grado dell’uveite dipende sicuramente dalla tecnica chirurgica impiegata e
dall’esperienza del chirurgo. Una chirurgia rapida e delicata, l’utilizzo di viscoelastici e la
rimozione accurata di tutti i frammenti della lente, consentono di ridurre notevolmente
l’insorgenza di uveite post-operatoria (Gelatt, 1999).
L’endoftalmite è una complicazione rara della chirurgia, ma che determina effetti devastanti
sul globo oculare. L’infezione di solito consegue a un’asepsi insufficiente e insorge in
associazione a un prolungamento anomalo dell’infiammazione postoperatoria, o in presenza
di essudati in camera anteriore o nel vitreo. L’approccio terapeutico si basa sull’utilizzo di
farmaci antibiotici, ma, nei casi più gravi, può essere necessario rimuovere l’impianto
intraoculare o altre strutture oculari ormai irreversibilmente compromesse. La prognosi in
questo caso è riservata (Gelatt, 1999).
Il glaucoma post-operatorio è spesso multifattoriale e correlato a modificazioni dell’angolo
iridocorneale, alterazioni della dinamica dell’umor acqueo e all’utilizzo dei viscoelastici. A
scopo precauzionale, l’iniezione intracamerale di carbacolo 0,01% può prevenire
efficacemente un aumento post-operatorio della pressione intraoculare (Gelatt, 1999). Il
Glaucoma può essere una conseguenza a breve o a lungo termine dell’intervento di
facoemulsificazione, o di altre metodiche chirurgiche per il trattamento della cataratta. Il
glaucoma può insorgere anche nell’immediato secondariamente a ostruzione del deflusso
dell’umor acqueo conseguente all’accumulo di fibrina o detriti lenticolari, vitreali e di altro
30
materiale. Questo tipo di glaucoma avviene generalmente nell’immediato post-operatorio
(Pumphrey, 2015).
A lungo termine, il glaucoma può essere indotto da una chiusura dell’angolo irido-corneale
causata dalla progressiva formazione di sinechie anteriori (Scott, 2013). Una goniodisgenesi
preesistente di per sé rappresenta una delle principali controindicazioni all’intervento
chirurgico per la cataratta e può riscontrarsi con maggiore frequenza in determinate razze
canine (Scott, 2013). Per questo motivo, Boston Terriers, Cocker Spaniels, Shih Tzus, Jack
Russell Terriers, Bichon Frises e Labrador Retrievers sono tra le razze maggiormente
predisposte allo sviluppo di glaucoma nel post-operatorio (Sigle et al., 2006; Moeller et
al.,2011; Scott, 2013).
Oltre alla predisposizione di razza i pazienti maggiormente a rischio di glaucoma post-
operatorio sono i soggetti anziani, affetti da cataratta ipermatura e sottoposti a un intervento
eccessivamente lungo o nei casi in cui l’inserimento della IOL non è stato effettuato
correttamente (Pumphrey, 2015).
Il distacco di retina può insorgere come complicazione a breve o a lungo termine (Adkins &
Hendrix, 2003) e aumenta nel caso di intervento a carico di una cataratta ipermatura (Gelatt,
1999). Bichon Frises, Shih Tzus e Boston Terriers sono razze predisposte al distacco retinico
post- chirurgico (Mancuso & Hendrix, 2016). Queste razze hanno probabilmente una
composizione vitreale anomala che favorisce il distacco retinico per trazione (Foote et al.,
2017). Il meccanismo eziopatogenetico consiste in una alterazione degli spazi intraoculari, con
una modificazione volumetrica del vitreo e una sua dislocazione anteriore.
Conseguentemente, i rapporti anatomici con la retina risultano compromessi e il mancato
sostegno del vitreo predispone la retina al distacco (Gelatt, 1999). Inoltre, la formazione di
filamenti e coaguli di fibrina è una complicazione frequente dell’infiammazione oculare
presente dopo la chirurgia. Questi filamenti si possono formare fra la retina e la lente e la loro
riorganizzazione e contrazione può tirare la retina lontano dalla coroide e provocare quindi un
distacco retinico post-chirurgico (Ofri, 2006). Alcuni distacchi post-operatori sono suscettibili
di riparazione chirurgica; tuttavia la prognosi per la funzione visiva, in questi casi, rimane
generalmente riservata (Gelatt, 1999).
L’opacizzazione della capsula posteriore della lente è una delle più comuni complicazioni a
lungo termine dell’intervento chirurgico (Gelatt, 1999). Generalmente insorge a seguito di una
31
pulizia non attenta della capsula, mediante i sistemi di irrigazione e aspirazione della
facoemulsificazione. La mancata rimozione di detriti e la presenza di cellule in continua mitosi
dell’epitelio subcapsulare possono determinare, nell’arco di alcune settimane o mesi
dall’intervento, la formazione di nuovi ammassi cellulari opachi, determinando così la
comparsa del cosiddetto “lentoide”, il quale comprometterà in maniera significativa il risultato
terapeutico (Peruccio, 2009).
32
CAPITOLO 3: EZIOLOGIA E PREVALENZA DELLA CATARATTA CANINA
3.1 Cataratta primaria
3.1.1 Cataratta ereditaria La cataratta ereditaria è una patologia primaria del cristallino (Ricketts et al., 2015) che
colpisce prevalentemente i cani di razza giovane o di media età (Rubin, 1989; Turner &
Bouhanna, 2010, Gelatt et al., 2013). Si tratta della forma più comune di cataratta nel cane
(Davidson & Nelms, 1999; Gelatt et al., 2013; Ricketts et al., 2015) e rappresenta la principale
causa di cecità in questa specie (Mellersh, 2014). Nel 2010, il Genetics Committee of the
American College of Veterinary Ophthalmologists ha evidenziato 160 razze canine nelle quali
la cataratta ereditaria è sospettata o provata (ACVO Genetics Committee, 2010). Nel presente
studio, data la numerosità di razze colpite, saranno prese in esame soltanto alcune di esse. La
cataratta ereditaria può essere distinta in tre gruppi: i) isolata, ovvero non associata ad altre
anomalie oculari o sistemiche, ii) associata ad altre patologie oculari e iii) associata ad altre
patologie sistemiche e oculari (Gelatt & Mackay, 2005). Ad esempio, nel Labrador Retriever e
nel Samoiedo, la displasia oculo-scheletrica (OSD), malattia ereditaria autosomica recessiva
che consiste in un insieme di anomalie scheletriche e oculari è associata a cataratta (Goldstein
et al., 2010).
Il processo biochimico responsabile della cataratta ereditaria è sconosciuto ed è stato solo in
parte studiato nella cataratta congenita dello Schnauzer Nano (Gelatt et al., 1982; Daniel et
al., 1984) dove alcune ricerche hanno dimostrato un rapporto anomalo tra i vari tipi di
proteine ossia un aumento delle alpha e beta cristalline leggere e una diminuzione delle beta
pesanti e gamma cristalline (Daniel et al., 1984).
Al giorno d’oggi, in diverse razze canine, non si conosce il processo genetico responsabile
dell’insorgenza della cataratta ereditaria (Adkins & Hendrix, 2003; Ricketts et al., 2015) la
quale è considerata una patologia multigenica (Mellersh et al., 2009) con modalità di
trasmissione tuttora poco chiare. Tuttavia, la forma autosomica recessiva, è considerata come
la più comune (Gelatt, 1999; Adkins & Hendrix, 2003; Gelatt & Mackay, 2005; Wallace et al.,
33
2005; Baumworcel et al., 2009). Nonostante la forte prevalenza della cataratta ereditaria nel
cane, solo un gene, il fattore di trascrizione HSF4, è stato descritto come uno dei geni
responsabile della patologia (Mellersh et al., 2009; Mellersh, 2014; Ricketts et al., 2015).
Nello Staffordshire Bull Terrier, l’inserzione di un nucleotide a carico dell’esone 10 del
suddetto gene determina la formazione di un codone stop (Mellersh et al., 2006; Mellersh et
al., 2009), il quale è responsabile di una cataratta a comparsa rapida, progressiva, bilaterale,
simmetrica, nucleare e corticale posteriore (Barnett ,1978; Mellersh et al., 2006; Mellersh et
al., 2009; Turner & Bouhanna, 2010). La modalità di trasmissione di questa mutazione è
autosomica recessiva a forte penetranza. In questa razza la cataratta si sviluppa a pochi mesi
di età e progredisce fino a diventare totale verso i 2-3 anni di vita determinando cecità
(Barnett, 1978). La stessa mutazione, con la stessa presentazione clinica è stata osservata nel
Bouledogue francese (Mellersh, 2007).
Nel Boston Terrier esistono due tipi di cataratte ereditarie (Gelatt, 1999; Mellersh et al., 2007).
La prima, ad insorgenza rapida, è determinata dalla stessa mutazione a carico del HSF4 e si
manifesta nello stesso modo di quella presente nel Staffordshire Bull Terrier (Gelatt, 1999;
Mellersh et al., 2007). La seconda, tardiva, si sviluppa nei cani di 3-4 anni (Curtis, 1984) e non
dipende dalla mutazione a carico del gene HSF4, inoltre si presenta come una cataratta
corticale, a lenta progressione, generalmente monolaterale. Di fatto, il Boston Terrier può
essere colpito da due tipi di cataratta ereditarie distinte geneticamente e clinicamente
(Mellersh et al., 2007).
La delezione di un nucleotide del gene HSF4 è stata associata a cataratta ereditaria nel Pastore
Australiano (Mellersh, 2014; Ricketts et al., 2015). Questa mutazione è autosomica dominante
o co-dominante a penetranza incompleta. La presentazione clinica di quest’ultima mutazione
è una cataratta bilaterale, subcapsulare polare posteriore, con età d’insorgenza variabile
(Gelatt and MacKay 2005; Mellersh et al. 2009; Mellersh, 2014). Tuttavia alcuni Pastori
Australiani, con lo stesso quadro clinico, non presentano una delezione a carico del gene HSF4
(Mellersh et al., 2009; Ricketts et al., 2015). In questa razza si suppone che esista un secondo
locus, situato sul cromosoma 13, responsabile della cataratta, oltre al locus HSF4 posizionato
sul cromosoma 5 (Mellersh et al., 2009).
Il gene HSF4 non è considerato coinvolto nello sviluppo della cataratta ereditaria in molte
razze, tra cui: l’Alaskan Malamute, il Cocker Americano, il Bichon Havanais, il Pastore Belga, il
34
Bassotto, Il Cocker Spaniel Inglese, il Bull Terrier Miniature, il Cane Finlandese di Lapponia, il
Golden Retriever, il Griffone di Bruxelles, il Kromfohrländer, il Jack Russell Terrier, il
Lapinporokoira, lo Schnauzer Nano, il Pinscher Nano, il Nova Scotia Duck Tolling Retriever, il
Rottweiler, il Samoiedo, lo Schnauzer e il Mastino Tibetano (Mellersh et al., 2006; Oberbauer
et al.,2008; Mellersh et al., 2009).
Nello Schnauzer Nano, sono state identificate due tipi di cataratte ereditarie a trasmissione
autosomica recessiva (Barnett, 1978; Gelatt et al., 1983). La prima è una cataratta congenita
prevalentemente nucleare, associata a microfachia e microftalmia con la presenza di un
lenticono nel 20% dei casi. Il secondo tipo, è una cataratta corticale posteriore che si sviluppa
nei cuccioli di qualche settimana di età.
Uno studio condotto in Germania ha evidenziato che nel Cocker Spaniel Inglese, la cataratta
ereditaria compare sia precocemente, ovvero ad un’età inferiore ai 3 anni e mezzo, sia come
una patologia tardiva, cioè dopo la suddetta età. In questa razza si suppone che a seconda
dell’età di insorgenza il processo genetico non sia lo stesso (Engelhardt et al., 2007a). In
particolare, il tipo di cataratta risulterebbe diverso a seconda della variazione del colore del
mantello. (Engelhardt et al., 2008).
Nel Labrador e Golden Retriever, sono state identificate due tipi di cataratte, la prima è una
cataratta subcapsulare posteriore (Barnett, 1985; Curtis & Barnett, 1989; Gelatt, 1972; Rubin,
1974; Turner & Bouhanna, 2010) a forma triangolare e non progressiva (Gelatt, 1999) mentre
la seconda è una cataratta corticale progressiva. Riguardo a queste razze è stato ipotizzato che
la mutazione sia a dominanza incompleta (Curtis & Barnett, 1989) e che i soggetti eterozigoti
presentino la prima forma di cataratta (triangolare e non progressiva) mentre quelli omozigoti
la seconda forma (corticale e progressiva) (Gelatt, 1999). La comparsa della cataratta può
avvenire nell’arco di qualche mese di età fino agli 8 anni, tuttavia esistono due picchi di
sviluppo, tra i 6 e i 18 mesi e tra i 6 e i 7 anni (Turner & Bouhanna, 2010).
Il Pastore Tedesco è colpito da una cataratta a trasmissione autosomica recessiva (Barnett,
1986). L’opacizzazione della lente comincia verso i due mesi di età a livello delle linee di sutura
posteriori, per poi propagarsi in poco tempo al nucleo e alla corticale fino a determinare cecità
al raggiungimento del primo anno di età. Inoltre, in questa razza, esiste un altro tipo di
cataratta, ovvero quella congenita e non progressiva di cui la modalità di trasmissione è a
carattere autosomico dominante (Hippel, 1930).
35
Ai fini diagnostici è stato sviluppato per lo Staffordshire Bull Terrier, il Boston Terrier, il Bulldog
Francese e il Pastore Australiano, un test genetico (Mellersh et al., 2006; Mellersh et al., 2007).
Quest’ultimo permette di confermare la presenza della mutazione a carico del HFS4 ed è
importante ai fini della profilassi della malattia lenticolare (Mellersh et al. 2006, 2007).
Nelle altre razze, invece, la diagnosi di cataratta ereditaria si formula per esclusione e dipende
dalla razza stessa, dalla localizzazione dell’opacità, dall’età, dalla progressione e
dall’esclusione di altre cause eziologiche (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999; Mellersh et al., 2009;
Turner & Bouhanna, 2010; Mellersh, 2014). La terapia è solamenter di tipo chirurgico. Nei cani
giovani la prognosi è generalmente buona. L’intervento di facoemulsificazione ha un tasso di
successo del 95% che però decresce con il tempo fino a raggiungere il 70-80% nei 2-3 anni
successivi all’intervento (Turner & Bouhanna, 2010). Di fatto, i cani devono essere sottoposti
a controlli periodici per prevenire l’insorgenza di complicazioni post-operatorie (Turner &
Bouhanna, 2010).
Dati affidabili per conoscere la prevalenza delle malattie oculari nel cane, compresa la
cataratta ereditaria, sono forniti da l’European College of Veterinary Ophthalmologists (ECVO)
(www.ecvo.org), la Veterinary Medical Data Base (VMDB) (https://vmdb.org/) e la Canine Eye
Registry Foundation (CERF) (http://www.caninehealthinfo.org/cerfinfo.html).
3.1.2 Cataratta congenita La cataratta congenita è la conseguenza di uno sviluppo anomalo delle fibre embrionarie
primarie o secondarie. Questa patologia può essere ereditaria, derivare dall’esposizione ad un
agente tossico o infettivo durante lo sviluppo fetale (Carmichael et al., 1965; Koch & Rubin,
1967), essere associata ad anomalie oculari multiple o alla persistenza del sistema vascolare
perilenticolare embrionario (Peruccio, 1987). A secondo della localizzazione dell’opacità la
cataratta congenita può essere classificata in:
- pulverulenta: o puntata, ovvero caratterizzata da zone di opacità circostanti il nucleo
embrionale, oppure localizzate al suo interno; in quest’ultimo caso si parlerà di cataratta
centrale pulverulenta;
- fusiforme: o coralliforme, a forma di fuso, disposta in senso antero-posteriore;
- zonulare: o perinucleare di cui l’opacità circonda il nucleo embrionale (Peruccio, 1987).
36
La cataratta congenita ereditaria può essere a trasmissione autosomica dominante, come
avviene nel Norwegian Buhund (Bjerkas & Haaland, 1995), o più frequentemente a
trasmissione autosomica recessiva, come accade nel Schnauzer Miniature (Rubin et al., 1969),
nel Boston Terrier (Curtis, 1984), nello Welsh Springer Spaniel (Barnett, 1980) e nel West
Highland White Terrier (Narfstrom, 1981). Quando la cataratta congenita è dovuta all'azione
di un agente teratogeno in utero, si verifica solo a carico degli strati in via di sviluppo nel
momento in cui agisce la noxa patogena, mentre gli altri strati formatisi subito prima o dopo
risultano sani (Peruccio, 1987). Di solito si tratta di una cataratta zonulare, la cui estensione è
proporzionale alla durata dell’evento patogenetico (Peruccio, 1987). Non di rado, alcuni difetti
a carico della lente sono associati a cataratta congenita, come la microfachia e il lenticono. Si
parla di microfachia quando la lente risulta caratterizzata da un diametro inferiore alla norma,
mentre il lenticono rappresenta un'alterazione della normale conformazione del cristallino.
Nello specifico, si tratta di una protrusione conica (lenticonus) o sferica (lentiglobus) della
lente che può essere anteriore, posteriore o interessare entrambi i poli (Aguirre & Bistner,
1973). Si ritiene che quest’anomalia si verifichi al momento dell’elongazione delle fibre
primarie della lente, ovvero intorno al venticinquesimo giorno di gestazione (Aguirre &
Bistner, 1973). Questo fenomeno è frequentemente concomitante ad altre patologie oculari
congenite, fra cui la cataratta congenita, la persistenza del sistema vascolare ialoideo, la
displasia retinica, l’ipoplasia del nervo ottico, la microftalmia e la microfachia (Gelatt, 1991;
Narfstrom & Dubielzig, 1984; Van Rensburg & Petrick, 1992). Si consiglia di escludere tutti i
soggetti colpiti da questa patologia dalla riproduzione, in quanto si presuppone, nonostante
la mancanza di dimostrazioni scientifiche, che possa rappresentare un difetto ereditario
(Lavach & Severin, 1977).
3.1.2.1 Anomalie oculari multiple Il corretto sviluppo embriologico della lente è fondamentale per l’organizzazione
dell’architettura intraoculare; di conseguenza, in occasione della sua manifestazione, la
cataratta congenita si presenta spesso associata a difetti oculari multipli (Cook, 1995). Nel
Bedlington Terrier, nel Sealyham Terrier, nel Labrador Retriever e nel Cocker Springer Spaniel
è stata, ad esempio, osservata una cataratta congenita associata a displasia retinica (Ashton
et al., 1968; Barnett et al., 1970; Carrig et al., 1977; Meyers et al., 1983; Olesen et al., 1974;
37
Rubin, 1963, 1968) mentre nell’Akita è possibile riscontrare una cataratta congenita associata
a microftalmia e displasia retinica (Laratta et al., 1985; Gelatt, 1991). Ancora, nel Beagle e nel
Bobtail è stato riportato un’associazione tra cataratta, microftalmia e displasia retinica
(Andersen & Shultz, 1958; Barrie et al., 1979).
Nel Pastore Australiano, nell’Alano, nel Collie, nel Bassotto e in alcuni meticci (Hendrix, 2013)
il gene Merle è responsabile della "merle ocular disease" o MOD. Questa patologia consiste in
un insieme di anomalie oculari congenite come la microftalmia, la microcornea, anomalie
dell’iride (coloboma o ipoplasia), discoria, persistenza della membrana pupillare, anomalie
della lente (microfachia, cataratta, coloboma, lussazione/sublussazione), difetti della sclera
(stafiloma) e difetti retinici (diplasia retinica o distacco di retina). Alcuni soggetti, inoltre,
possono presentare vari gradi di sordità congenita (Gwin et al, 1981). La precisa eziologia di
queste anomalie congenite non è ancora conosciuta, ma si suppone che possa essere dovuta
a un’anomalia primaria a carico dell’epitelio pigmentato o delle vescicole ottiche (Cook et al.,
1991). Nel Pastore Australiano, è descritta come una sindrome ereditaria, autosomica
recessiva (Bertram et al., 1984; Cook et al., 1991; Gelatt & McGill, 1973; Gelatt & Veith, 1970;
Gelatt et al., 1981), la cui prevalenza potrebbe essere ridotta evitando gli incroci tra due
soggetti merle (Cook et al., 1991). La prognosi della MOD dipende dalla sua gravità e nei casi
più lievi non è necessario alcun tipo di trattamento. In caso di coinvolgimento della lente è
essenziale provvedere a un trattamento chirurgico. Nello specifico, i cani affetti da cataratta
congenita, in assenza di ulteriori anomalie a carico del segmento posteriore dell'occhio,
rappresentano buoni candidati per l'intervento di facoemulsificazione e l’impianto di una IOL
(Cook et al., 1991).
3.1.2.2 Persistenza di strutture embrionarie Durante lo sviluppo embrionario i vasi presenti anteriormente alla lente si sviluppano in uno
strato di mesenchima da cui ha origine la camera anteriore e nel settore sovrastante il foro
pupillare la Membrana Pupillare (PM) (Cook, 1999). Questa rete vascolare regredisce poi entro
2-4 settimane di vita dell’animale (Boeve et al., 1988; Curtis et al., 1991; Bayón, 2001). La
persistenza della membrana pupillare o PPM è un’anomalia congenita caratterizzata dalla
mancata involuzione della membrana pupillare e dalla conseguente presenza di filamenti di
tessuto mesodermico che originano dalla porzione media dell’iride e si attaccano alla
38
superficie anteriore dell’iride stessa (Davidson & Nelms, 1999). Se questi filamenti si uniscono
alla capsula anteriore del cristallino possono determinare la comparsa di una cataratta a livello
dei punti di adesione di detti filamenti con la lente (Peruccio, 1987; Davidson & Nelms, 1999).
Oltre alla cataratta, la persistenza delle strutture vascolari embrionarie può essere associata
ad altre malattie oculari come la microftalmia. (Barnett & Knight, 1969; Strande et al., 1988)
Grahn & Cullen, 2004). Si tratta di una patologia comune nella specie canina che colpisce molte
razze (Grahn et al., 2004). Quest’alterazione non è considerata ereditaria, ad eccezione del
Basenji (Barnett & Knight, 1969; Bistner et al., 1971; Martin, 1978; Priester, 1972; Roberts &
Bistner, 1968; Strande et al., 1988; Turner & Bouhanna, 2010). Tuttavia, nel Bull mastiff, nel
bassotto, nel Rottweiler, nel Siberian Husky, nel Cocker, nel Lancashire heeler e nel West
Higland white terrier si sospetta che possa essere una patologia a trasmissione ereditaria
(Turner & Bouhanna, 2010).
Il vitreo primario è una componente del sistema vascolare embrionario, il quale apporta i
nutrienti necessari allo sviluppo della retina e della lente durante la gestazione (Kaste et al.,
1994; Stades, 1983). Nello specifico, il vitreo primario è costituito dall’arteria ialoidea, che
parte dal disco ottico, attraversa il vitreo e si estende fino alla lente, dalla vasa hyaloidea
propria, una rete di capillari che decorrono nel vitreo primario stesso e da un ramo terminale
dell’arteria ialoidea la tunica vasculosa lentis (Wells et al., 1991). L’atrofia del sistema
vascolare ialoideo inizia al 45esimo giorno di gestazione e si completa 2-4 settimane dopo la
nascita (Aguirre et al., 1972; Boeve et al., 1988). Talvolta, residui dell’arteria ialoidea possono
rimanere nei cuccioli fino a 6-8 settimana di età sotto forma di una corda che si estende dal
disco ottico al polo posteriore della lente (Boeve et al., 1989; Duddy et al., 1983). Tuttavia, la
mancata involuzione del vitreo primario e del sistema ialoideo portano allo sviluppo di
un’anomalia congenita: la persistenza della tunica vascolare iperplastica della lente
concomitante a persistenza del vitreo primario iperplastico, abbreviata come PHTVL/PHPV
(Persistent Hyperplastic Tunica Vasculosa Lentis/ Persistent Hyperplastic Primary Vitreous)
(Stades, 1980; Peruccio, 1987; Pollard, 1997; Bayon et al., 2001). Il meccanismo patogenetico
responsabile di questa persistenza non è chiaro e più teorie sono state proposte al riguardo
(Gemensky‐Metzler & Wilkie, 2004). Questa patologia potrebbe essere dovuta a un
disequilibrio tra fattori di crescita e fattori inibitori della crescita a livello oculare, oppure
39
risulterebbe da uno sviluppo anomalo del sistema vascolare, che ne impedirebbe pertanto la
regressione completa (Bayòn et al., 2001).
La PHTVL/PHPV è stata osservata in varie specie di mammiferi (Stades,1980; Leon et al., 1986)
fra cui l’uomo, il cane, il cavallo, il ratto e il topolino (Boeve et al., 1992). Questa anomalia
congenita è stata osservata nel Doberman (Stades, 1980; Boeve et al., 1992), nello
Staffordshire Terrier (Curtis et al., 1984), nello Schnauzer Miniature (Grahn et al., 2004) e nel
Bovaro delle Fiandre (Van, 1992). Sebbene la modalità di trasmissione non sia chiara,
sembrerebbe che sia autosomica a dominanza incompleta nello Staffordshire Bull Terrier
(Curtis et al., 1984) e nel Doberman (Stades, 1983; Curtis et al., 1984). Ciononostante, la
PHTVL/PHPV colpisce sporadicamente molte altre razze (Gemensky‐Metzler & Wilkie, 2004)
come: l’Airedale Terrier, il Barboncino Nano (Barnett, 1973), il Greyhound (Grimes &
Mullaney, 1969), il Labrador Retriever (Curtis et al., 1984), il levriero irlandese (Kern, 1981) e
il Setter Irlandese (Rebhun, 1976). Questa patologia è frequentemente associata a cataratta
(Boevé et al., 1993) ma può anche essere all’origine di altre patologie oculari come l’ifema o il
distacco retinico (Bayon et al., 2001). In alcuni casi, quest’anomalia congenita non progredisce
e non interferisce con la funzione visiva mentre in altri casi può estendersi nei settori corticali
contigui della lente e determinare una progressiva perdita della funzione visiva (Peruccio,
1987). A secondo della sua gravità morfologica la PHTVL/PHPV è stata classificata in sei gradi
(Stades, 1980; Van Rensburg & Petrick, 1992):
-Grado 1: puntini fibrovascolari pigmentati e isolati nella parte posteriore della lente.
-Grado 2: puntini associati a una placca di tessuto proliferativo attaccata alla capsula
posteriore.
-Grado 3: comprensivo delle anomalie precedenti associate a persistenza dell’arteria ialoidea
-Grado 4: presenza di un lenticono posteriore in aggiunta alle anomalie precedenti.
-Grado 5: combinazione delle anomalie dei gradi 3 e 4.
-Grade 6: combinazione delle lesioni precedenti associate ad altre anomalie come
microfachia, coloboma, depositi di calcio o pigmentazioni intralenticolari (Bayon et al, 2001).
La diagnosi si basa principalmente sull’anamnesi e l’aspetto clinico dell’anomalia (Stades,
1980; Goldberg, 1997; Barrie et al., 1981). L’ecografia è molto utile per ottenere immagini del
globo oculare (Mattoon & Nyland, 1995; Schmid & Murisier, 1996; Boydell, 1997; Boroffka et
al., 1998) e permettere di confermare la diagnosi di PHTVL/PHPV (Boydell, 1996; Boroffka et
40
al., 1998) mentre l’esame Doppler determina la presenza o l’assenza di vasi sanguigni pervi a
livello lenticolare e vitreale (Boroffka et al., 1998; Verbruggen et al., 1999). La terapia è
chirurgica e consiste, di solito, in una facoemulsificazione, associata a capsulectomia
posteriore e inserimento di un IOL quando possibile (Gemensky‐Metzler & Wilkie, 2004). Le
eventuali complicazioni sono un’uveite post-operatoria, la persistenza di parte del sistema
ialoideo con conseguenti emorragie intra-oculari e il distacco retinico la cui probabilità
d’insorgenza è incrementata dalla capsulectomia posteriore (Gemensky‐Metzler & Wilkie,
2004). In assenza di chirurgia è possibile che, con il tempo, la cataratta sia riassorbita. Tuttavia,
la lente catarattosa può portare allo sviluppo di uveite, fibrosi intraoculare, glaucoma e
distacco retinico secondari (Davidson, 1991; Van der Woerdt et al., 1992; Paulsen, 1985).
3.2 Cataratta secondaria La cataratta secondaria si verifica in seguito a un insulto esogeno o una patologia sistemica o
oculare. In questo gruppo si considerano: la cataratta diabetica, ipocalcemica, secondaria a
atrofia progressiva retinica, a displasia retinica o a uveite, traumatica, nutrizionale, tossica e
senile (Mancuso & Hendrix, 2016).
3.2.1 Cataratta metabolica
3.2.1.1 Cataratta diabetica Il diabete mellito nel cane rappresenta una delle più frequenti patologie di natura endocrina
(Davidson, 1999), e si caratterizza spesso per l'insorgenza, più o meno rapida, di una cataratta
secondaria, quale complicazione più frequente, a livello oculare, per la specie canina (Basher
& Roberts, 1995; Beteg, 2008; Cook, 2008). Si tratta, infatti, di una delle tipologie di cataratta
più comuni nel cane, soltanto seconda per frequenza alla cataratta ereditaria (Mancuso &
Hendrix 2016).
Circa il 50% di cani diabetici sviluppano una cataratta nei 6 mesi seguenti la diagnosi di diabete
mellito (Davidson, 1999; Turner & Bouhanna, 2010; Gemensky et al., 2015), mentre circa il
75% e l’80% di essi la sviluppano rispettivamente dopo 12 e 16 mesi (Davidson, 1999). Il tasso
di prevalenza di cataratta nei cani diabetici varia tra il 68% (Wilkinson, 1960; Gilger et al., 1993;
Basher & Roberts, 1995) e l’80% (Basher & Roberts, 1995). Esistono inoltre delle
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predisposizioni di razza: in alcune razze canine infatti, quali il Barboncino, i cani da caccia, i
meticci e le razze sportive, risulta maggiore il rischio di sviluppare una cataratta diabetica
rispetto ai Terriers, le razze toy e i brachicefali (Davidson, 1999). Presumibilmente la gravità
clinica del diabete, cosi come la risposta alla terapia insulinica, varia da una razza all’altra,
condizionando così anche l'insorgenza delle complicazioni secondarie all'endocrinopatia
(Davidson, 1999).
Nei cani normoglicemici solo il 5% del glucosio viene metabolizzato dalla via del sorbitolo. Nei
soggetti iperglicemici, si verifica un’eccessiva penetrazione di glucosio all'interno della lente
(Peruccio, 1987). Lo zucchero in eccesso, satura l’esochinasi ed è conseguentemente deviato
nella via dei polifenoli, dove è convertito in sorbitolo dall’aldosi reduttasi. L’accumulo
intracellulare di sorbitolo crea pertanto un effetto iperosmotico che provoca un afflusso di
fluido all’interno della lente e un'eccessiva idratazione delle sue fibre, le quali si rompono, con
conseguente formazione di vacuoli (Peruccio, 1987; Sato, 1991; Gelatt, 1999, Beteg, 2008;
Mancuso & Hendrix 2016; Nartey, 2017). Inoltre, una serie di cambiamenti biochimici, portano
a una modificazione della concentrazione degli elettroliti, a una diminuzione dei livelli di ATP,
degli aminoacidi, del glutatione, del monoinositolo e a una riduzione dell’attivita della ATpasi
(Gelatt, 1999). Tali modificazioni biochimiche sono alla base di meccanismi patologici, quali
lesioni ossidative che esitano nella diminuzione della permeabilità di membrana. Questa,
unitamente al danno osmotico provoca l’insorgenza della cataratta diabetica (Gelatt, 1999).
La cataratta diabetica è caratterizzata da una rapida progressione e da una cecità che si
manifesta nel soggetto in maniera piuttosto improvvisa (Gould, 2002; Wilkie, 2006; Turner &
Bouhanna, 2010). La rapidità con cui si sviluppa questa patologia è essenzialmente
determinata dalla glicemia (una terapia insulinica adatta può rallentare la progressione della
cataratta), dall’età del paziente e dalla sua specie di appartenenza, in quanto, la
concentrazione di aldosi reduttasi all’interno della lente è specie-dipendente (Gelatt, 1999).
Alle volte, quando la cataratta si sviluppa molto rapidamente, la tumefazione delle fibre è tale
da provocare una rottura spontanea della lente (Cottrill, 2007; Turner & Bouhanna, 2010;
Mancuso & Hendrix 2016) che può determinare lo sviluppo di un’uveite facoclastica ed
eventuale glaucoma (Cottrill,2007). La rottura della lente avviene in media 123 giorni dopo la
diagnosi di diabete mellito (Wilkie, et al.,2006). Questa complicazione non dipende tuttavia
42
dalla razza, ad eccezione del Labrador Retriever, in quanto risulta essere una razza canina
particolarmente suscettibile a tale complicazione (Wilkie, et al., 2006).
La diagnosi di cataratta diabetica si base principalmente sull’anamnesi e sulla visita oculistica.
La reazione di minaccia è spesso attenuata o assente mentre i riflessi fotomotori sono
generalmente normali, anche se, in alcuni casi, possono essere rallentati (Turner & Bouhanna,
2010). Più comunemente si tratta di una cataratta matura, simmetrica e bilaterale (Peruccio,
1987; Turner & Bouhanna, 2010). Di frequente riscontro sono delle fessurazioni ripiene di
liquido a livello delle linee di suture (Cottrill, 2007; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso &
Hendrix 2016). Spesso, il fondo oculare non è valutabile (Turner & Bouhanna, 2010). Nel caso
in cui, il diabete nell’animale sia già conclamato, la diagnosi eziologica sarà indubbiamente più
facile, anche se devono sempre essere presi in considerazione altre tipologie di cataratta
(Turner & Bouhanna, 2010). Se al contrario, il diabete non è stato diagnosticato, la rapidità di
insorgenza della cataratta, associata a una poliuria e polidipsia, un dimagramento repentino
nonostante la polifagia, e uno stato di debolezza rappresentano sicuramente i dati essenziali
grazie ai quali poter formulare correttamente una diagnosi di diabete mellito che sarà
confermato dalla valutazione della glicemia e della fruttosamina (Turner & Bouhanna, 2010).
Anche in assenza di sintomi evidenti, tutti i cani al di sopra dei 3 anni che presentano una
cataratta in rapida evoluzione, devono essere sottoposti a questi accertamenti (Peruccio,
1987). In alcuni casi l'uveite facolitica/facoclastica, scaturita dalla rapida evoluzione della
cataratta, aggrava ulteriormente il quadro clinico, compromettendo anche la qualità di vita
del paziente (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso & Hendrix 2016).
Per la terapia della cataratta diabetica sono disponibili in commercio alcuni farmaci inibitori
dell’aldoso-reduttasi (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999); tuttavia, quando l’opacità della lente
progredisce fino al raggiungimento della maturità, il trattamento medico non risulta più
efficace e la chirurgia rappresenta l'unica terapia (Peruccio, 1987). La presenza di uveite
facolitica pre-operatoria è un fattore prognostico negativo ai fini del successo dell’intervento,
e, se presente, deve essere trattata prima della chirurgia, mediante l'instillazione oculare di
agenti anti-infiammatori (Turner & Bouhanna, 2010).
I soggetti diabetici sono generalmente buoni canditati all’intervento di facoemulsificazione
(Gould, 2002) con percentuali di successo pari a 85-90% (Turner & Bouhanna, 2010). In
previsione dell'intervento, è consigliabile che il diabete sia stabilizzato prima della chirurgia,
43
in quanto, sia i farmaci anestesiologici, sia la terapia medica pre e post-operatoria, potrebbero
peggiorare le condizioni generali del paziente (Gould, 2002). Ciononostante, alcuni chirurghi
scelgono di operare prima della comparsa dell’uveite facolitica, a prescindere della
stabilizzazione del diabete (Turner & Bouhanna, 2010). Le principali complicazioni post-
operatorie sono un’uveite persistente, un’ulcera corneale, cheratocongiuntivite secca (KCS),
glaucoma e/o distacco di retina (Turner & Bouhanna, 2010). Solitamente i cani diabetici
presentano un test di Schirmer con valori inferiori ai cani non diabetici (Cullen, 2005),
probabilmente per il fatto che i soggetti affetti da diabete possiedono una minore sensibilità
corneale e quindi, una produzione lacrimale riflessa inferiore rispetto a individui sani
(Good,2003; Cullen, 2005). Inoltre, la scarsa qualità del liquido lacrimale dei cani diabetici
predispone con maggiore facilità allo sviluppo di una KCS secondaria (Cullen, 2005). La
frequenza con la quale i cani affetti di diabete mellito sviluppano una KCS post-chirurgica è
quindi maggiore rispetto ai cani sani (Gemensky‐Metzler,2015). In particolare, i cani diabetici
di piccola taglia sono maggiormente colpiti rispetto ai pazienti diabetici di grande taglia e ai
soggetti non diabetici (Gemensky‐Metzler,2015). Un monitoraggio accurato della produzione
lacrimale e l'uso regolare di lacrime artificiali nel postoperatorio sono perciò essenziali per una
corretta lubrificazione della superficie oculare (Gemensky‐Metzler,2015).
3.2.1.2 Cataratta ipocalcemica Questo tipo di cataratta si manifesta secondariamente a una malattia metabolica (come ad
esempio l’ipoparatiroidismo primario) (Mancuso & Hendrix, 2016), o a problemi renali
(Crawford & Dunstan, 1985; Bruyette & Feldman, 1988; Kornegay et al., 1980) mentre più
raramente avviene in seguito a un deficit nutrizionale (Mancuso & Hendrix, 2016).
Tipicamente, si presenta bilaterale e simmetrica (Crawford & Dunstan, 1985; Bruyette &
Feldman, 1988; Kornegay et al., 1980) con delle aeree puntiformi multifocali corticali
(Mancuso & Hendrix, 2016). Si pensa che le opacità si formino in seguito a difetti ipocalcemici
associati ad alterazioni nel trasporto attivo dei cationi a livello dell’epitelio subcapsulare con
un conseguente aumento del contenuto di sodio e una perdita di potassio nella lente (Gelatt
et al., 2013). Questi cambiamenti determinerebbero uno squilibrio osmostico responsabile del
rigonfiamento e della rottura delle fibre del cristallino (Gelatt et al., 2013). Il trattamento della
patologia responsabile dell’ipocalcemia può prevenire la formazione di nuove opacità ma non
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di certo eliminare quelle preesistenti (Gelatt, 2013). Generalmente, questo tipo di cataratta,
non altera la funzione visiva (Thayananuphat, 2015).
3.2.2 Cataratta secondarie associate ad altre patologie oculari
3.2.2.1 Cataratta secondaria associata a atrofia progressiva della retina L’atrofia progressiva della retina o PRA è una malattia bilaterale degenerativa responsabile
dell’alterazione di alcune strutture della retina. Si tratta di una delle più comuni retinopatie
del cane ed è una delle principali cause di cecità in questa specie (Ofri, 2006). Questa patologia
è nella maggiore parte dei casi a trasmissione autosomica recessiva (Ofri, 2006). In particolare,
questa malattia è dovuta a un difetto ereditario a carico degli enzimi della fototrasduzione dei
fotorecettori retinici (Ofri. 2006). Inizialmente, la PRA è caratterizzata dalla degenerazione dei
bastoncelli, con un deficit visivo prevalentemente notturno (Ofri, 2006; Mellersh, 2014);
successivamente si verifica anche un’alterazione a carico dei coni che aggrava il deficit visivo
anche in condizioni di luce diurna (Mellersh, 2014). Si tratta di una patologia evolutiva che
progredisce fino alla completa degenerazione della retina che porta a cecità completa (Ofri,
2006; Peruccio, 2010). Si riconoscono diverse forme di PRA, classificate a seconda del loro
meccanismo di insorgenza, il quale dipende da mutazioni geneticche diverse (Peruccio, 2010;
Mellersh, 2014). Tuttavia, indipendentemente dal processo patologico responsabile della PRA,
l’esito finale di tutte le forme della malattia è la degenerazione progressiva dei bastoncelli e
dei coni (Ofri, 2006).
La PRA può essere ad insorgenza precoce o ad insorgenza tardiva. Ad esempio, nel Bassotto a
pelo lungo i primi segni della malattia possono presentarsi a 6 mesi di età, mentre nel Barbone
Nano la malattia può svilupparsi anche a 12 anni di età (Ofri, 2006). È possibile diagnosticare
questa patologia tramite esame oftalmologico soltanto quando sono evidenziabili delle
alterazioni del fondo dell’occhio, le quali sono più o meno precoci a secondo della razza, e in
rapporto al processo patologico (Peruccio, 2010).
I cambiamenti tipici osservati sono: una riduzione del calibro della vascolarizzazione retinica
(in particolare della componente arteriolare) (Ofri, 2006; Mellersh, 2014), un aumento
progressivo della riflettività del tappeto lucido, dovuta ad un assottigliamento della retina
45
nervosa (Ofri, 2006; Mellersh, 2014), e atrofia con demielinizzazione della papilla ottica (Ofri,
2006; Mellersh, 2014).
L’elettroretinografia (ERG) permette di effettuare una diagnosi più precoce rispetto all’esame
oftalmoscopico (Peruccio, 2010). Nel Barbone, ad esempio, le alterazioni dell’ERG possono
essere già presenti a circa 8-10 mesi allorché i segni clinici possano comparire solo dopo 1-2
anni di vita (Ofri, 2006). Inoltre, l’ERG permette di valutare la funzionalità retinica quando una
cataratta concomitante impedisce la visualizzazione del fondo oculare (Ofri, 2006; Mellersh,
2014). Di fatto, l’ERG consente di confermare l’utilità della terapia chirurgica della cataratta
stessa (Ofri, 2006). Ad oggi sono disponibili test sul DNA (Ofri, 2006; Peruccio, 2010) per
diverse razze (le quali sono reperibili sul sito www.optigen.com) (Ofri, 2006). Questi test
possono essere condotti a qualsiasi età, e danno la possibilità di identificare i portatori
eterezigoti della patologia retinica e i soggetti malati (Ofri, 2006).
Durante il processo degenerativo, i fotorecettori rilasciano dei metaboliti aldeici tossici che
possono gradualmente danneggiare il cristallino e determinare una cataratta secondaria
(Mancuso & Hendrix, 2016). Tuttavia, nelle razze a rischio, la cataratta e la PRA possono essere
concomitanti, e risultare da due patologie ereditaria distinte (Gelatt et al., 2013; Mancuso &
Hendrix, 2016). Tipicamente, la cataratta secondaria associata a PRA inizia con delle aree di
opacità corticali posteriori e talvolta anteriori localizzate a livello equatoriale (Peruccio, 1987).
Due razze particolarmente colpite da cataratta associata a PRA sono il Labrador Retriever e il
Barboncino Nano (Gelatt, 1991).
Per formulare diagnosi di cataratta secondaria associata a PRA bisogna raccogliere
un’anamnesi accurata, ponendo particolare attenzione ai soggetti che manifestano un deficit
visivo in condizione di luce crepuscolare (Peruccio, 1987) ed effettuare un esame
oftalmologico completo. Occorre anche valutare il riflesso pupillare, che potrà essere assente
o rallentato ed effettuare un'elettroretinografia quando necessario (Peruccio, 1987).
La prognosi di cataratta secondaria a PRA è sempre infausta, in quanto mentre il deficit visivo
indotto da cataratta può, quando possibile, essere superato tramite una terapia chirurgica,
l’atrofia retinica progressiva determina invece dei danni irreversibili a carico della retina, che
in tempi variabili portano inevitabilmente il soggetto affetto alla cecità permanente (Peruccio,
1987).
46
3.2.2.2 Cataratta secondaria associata a displasia retinica La displasia retinica è un’anomalia dello sviluppo della retina. Si tratta di un’alterazione che
generalmente si presenta dalla nascita, ma che può insorgere anche tardivamente (Peruccio,
2010). In ogni caso, la displasia retinica si verifica prima del termine dello sviluppo definitivo
della retina (Peruccio, 2010). Questa patologia può assumere tre diverse forme: la prima,
descritta in oltre 30 razze, è caratterizzata da 'pieghe retiniche' (ovvero da alterazioni nello
sviluppo dello spessore della retina, la quale si solleva e si ripiega su sé stessa); la seconda,
identificata in ben 11 razze si presenta come delle aree displasiche di colore grigiastro e a
forma geografica; e infine la terza, più grave, consiste nel distacco retinico (Peruccio, 2010).
Relativamente all'eziologia della displasia retinica, si sospetta una causa genetica con
trasmissione autosomica recessiva nell’Akita, nel American Cocker Spaniel, nel Pastore
Australiano, nel Beagle, nel Bobtail, nel Doberman, nello Spinger Spaniel (Peruccio, 1987;
Peruccio, 2010), nel Labrador Retiever (Peruccio, 1987; Peruccio, 2010), nel Rottweiler, nel
Sealyham Terrier (Peruccio, 1987; Peruccio, 2010) e nello Yorkshire Terrier (Peruccio, 2010).
Tuttavia, ad oggi non si conosce il processo patogenetico alla base della patologia, e come per
la PRA, alla displasia retinica può essere associata una cataratta secondaria (Peruccio, 2010).
3.2.2.3 Cataratta secondaria a uveite La presenza di cataratta associata a uveite rappresenta un quadro clinico di frequente
riscontro nel cane. Tuttavia è difficile stabilire quale delle due patologie sia una la conseguenza
dell’altra (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016). L’esposizione all’umor acqueo delle
componenti interne del cristallino indotta dalla presenza di una cataratta, può determinare
una risposta infiammatoria a carico dell’uvea (Gelatt et al., 1999). L’uveite può, a sua volta,
essere responsabile dello sviluppo di una cataratta in seguito all’estensione, per contiguità,
del processo infiammatorio alla lente (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016). In
quest’ultimo caso la cataratta è generalmente equatoriale o subcapsulare anteriore (Gelatt et
al., 2013). Con la miosi, scaturita dall’uveite, l’iride e la lente si ritrovano in intimo contatto.
Questo evento favorisce lo sviluppo di sinechie posteriori, ovvero di aderenze tra iride e
cristallino (molto comuni in caso di infiammazione intraoculare), scaturite dall’aggregazione
di fibrina, di cellule flogistiche e di altri prodotti dell’infiammazione (Peruccio, 1987; Gelatt et
al., 2013).
47
Di solito, solo un’uveite da moderata a grave o un’uveite cronica possono scatenare lo
sviluppo di una cataratta secondaria (Gelatt et al., 2013). La diffusione dei mediatori
dell’infiammazione, come ad esempio le prostaglandine (O’Connor, 1983; Wilkie, 1990), esita
in un’alterazione del metabolismo della lente (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013). I successivi
cambiamenti sviluppatisi a carico della lente consistono in una metaplasia dell’epitelio
subcapsulare e in una degenerazione o necrosi delle fibre lenticolari (Eagle & Spencer, 1995;
Eagle & Spencer, 1996; Steeten, 2000). L’insieme di queste lesioni determina quindi
l’insorgenza dell’opacizzazione della lente (Eagle & Spencer, 1995; Steeten, 2000). Nel caso in
cui l’uveite sia in atto durante la visita oculistica, bisognerà, dopo un’accurata raccolta
dell'anamnesi, stabilirne l’ordine cronologico di insorgenza rispetto alla cataratta. Purtroppo,
spesso si dimostrerà difficile determinare l’esatta eziologia di quest’ultima (Mancuso &
Hendrix, 2016). Le opacità capsulari formatesi in seguito ad uveite, sono generalmente
stazionarie; tuttavia, la persistenza di sinechie o del processo infiammatorio favoriscono la
deposizione di pigmento su aree sempre più estese. Inoltre, nel caso in cui la cataratta post-
uveitica interessi anche la corticale, essa risulterà generalmente a carattere spesso evolutivo
(Peruccio. 1987).
Ad ogni modo, dopo aver stabilito l'eziologia dell'uveite, una terapia medica specifica per la
risoluzione del processo infiammatorio intraoculare, permette di prevenire l’insorgenza di una
cataratta secondaria o di bloccarne l’evoluzione (Peruccio, 1987). Può essere opportuno
somministrare anche un agente midriatico per contrastare il dolore intraoculare, la miosi, ed
evitare quindi la formazione di sinechie posteriori. Se le condizioni del soggetto lo permettono,
la somministrazione di cortisonici può diminuire l’infiammazione (Peruccio, 1987).
3.2.3 Cataratta traumatica Un trauma ottuso oculare (Peruccio, 1987; Davidson et al., 1991; Thayananuphat, 2015;
Mancuso & Hendrix, 2016), la penetrazione di un corpo estraneo acuminato attraverso la
capsula (artiglio di gatto, spina di una pianta ect…) (Peruccio, 1987; Severin 1976; Magrane,
1977; Davidson et al., 1991; Gelatt, 1999; Thayananuphat, 2015; Mancuso & Hendrix, 2016),
un’ulcera corneale o la presenza di un corpo estraneo nella camera anteriore possono
provocare lo sviluppo di una cataratta traumatica (Mancuso & Hendrix, 2016). Generalmente
l’opacità è monolaterale e può presentarsi anche a distanza di tempo dall’evento traumatico
48
(Peruccio, 1987). A volte la cataratta è, nelle fasi iniziali, limitata alle linee di sutura anteriore
e posteriore, e assume una forma stellata (Gelatt et al., 2013). L’osservazione della lente
mediante una lampada a fessura, dopo induzione farmacologica della midriasi, è spesso
necessaria per rilevare la presenza di una possibile soluzione di continuo della capsula e
stabilirne la sua estensione (Gelatt et al., 2013). Se un trauma da infissione coinvolge appena
la superficie della lente, esso determina un danno limitato a carico della capsula, la quale può
col tempo cicatrizzarsi. Di fatto, in seguito a una ferita di lieve entità e poco estesa (< 1.5 mm)
(Davidson et al.,1991), la cataratta traumatica sarà di tipo focale (Adkins & Hendrix, 2003).
L’aumento degli strati del cristallino, in seguito alla continua formazione di nuove fibre, può
in seguito indure uno spostamento in profondità di detta opacità focale (Eagle & Spencer,
1995; Steeten, 2000). Se al contrario, il danno alla lente risulta piuttosto ampio (> 1.5 mm)
(Davidson et al., 1991), le proteine che la costituiscono, fuoriescono nella camera anteriore
tramite la breccia provocata dal trauma. Quest’ultimo evento porta conseguentemente
all’insorgenza di un’uveite facoclastica (Davidson & Nelms, 1999) che nella maggioranza dei
casi è refrattaria alla terapia medica (Adkins & Hendrix, 2003). Rimane tuttavia difficile
stabilire con esattezza la progressione dalla malattia. La rimozione della lente è tuttavia
consigliata nei casi in cui l’estensione della lesione sia maggiore a 1.5 mm, o nell’eventualità
in cui sia presente un’ampia cataratta corticale (Davidson et al., 1991).
La presenza di un corpo estraneo nell’occhio, non penetrante la lente, può indurre un trauma
indiretto a carico di essa. L’entità del trauma sarà più o meno grave a seconda delle
caratteristiche fisiche del corpo estraneo (Gelatt et al., 2013). Ad esempio, i pallini da arma da
fuoco presentano una discreta tollerabilità da parte del globo oculare poiché caratterizzati da
un’elevata velocità di penetrazione (che limita la componente microbica) e dalla presenza di
un rivestimento a base di carbonato insolubile, in grado di prevenire eventuali reazioni
chimiche avverse. Per questo motivo se non è presente una rottura della lente, essa risulterà
poco alterata dalla presenza di detto corpo estraneo (Schmidt et al., 1975). Anche l’oro, il
vetro e il caucciù possono essere considerati materiali inerti (Gelatt et al., 2013).
Diversamente, il rame e lo zinco possono innescare reazioni ossidative da lievi a moderate e
quindi responsabili di una panoftalmite. Il ferro e l’acciaio, invece, inducono generalmente
una reazione infiammatoria severa con conseguente cataratta secondaria (Carter & Blevins,
1970).
49
In caso di un trauma ottuso, la forza dell’insulto e la compressione oculare che ne deriva
possono provocare piccole soluzioni di continuo della capsula, con penetrazione di umor
acqueo all’interno della lente, provocandone il rigonfiamento delle fibre e opacizzazione
(Peruccio, 1987). Solo un insulto di forte entità determina un’alterazione diretta della lente.
Frequentemente, oltre all’opacizzazione del cristallino, sono presenti altre lesioni oculari
concomitanti che suggeriscono l’eziologia traumatica (Gelatt, 1974). Molto raramente può
verificarsi una rottura della capsula della lente in seguito a un trauma ottuso, in assenza di
altre lesioni oculari (Gelatt, 1974).
Altre possibili cause di cataratta traumatica sono rappresentati da insulti elettrici (Brightman
et al., 1984), e dall’esposizione a radiazioni ionizzanti ad esempio in seguito a radioterapia
(Jamieson et al., 1991; Michaelson et al., 1971; Roberts et al., 1987; Theon, 1993).
Quest’ultime possono indurre la formazione di una cataratta (inizialmente equatoriale e
subcapsulare anteriore e posteriore) in seguito alla compromissione della mitosi delle cellule
epiteliali, innescando lesioni di tipo degenerativo (Eagle & Spencer, 1995; Steeten, 2000). La
probabilità di sviluppare una cataratta in caso di radioterapia è direttamente proporzionale al
grado di esposizione degli occhi al fascio elettromagnetico e alla dose impiegata (Gelatt et al.,
2013). Purtroppo, le radiazioni ionizzanti determinano solitamente danni anche a carico di
altre strutture (Gelatt et al., 2013).
3.2.4 Cataratta nutrizionale La cataratta nutrizionale è provocata da uno squilibrio alimentare che consiste
frequentemente in una carenza in vitamine o in amminoacidi essenziali, o ancora in un eccesso
di zuccheri (Peruccio, 1987; Ranz et al., 2002). Questo tipo di cataratta è stata osservata in
varie specie fra cui il cane (Vainisi et al., 1981; Brahm, 1991), nel quale si suppone sia
prevalentemente dovuta ad una carenza in amminoacidi essenziali quali l’arginina e la
fenilalanina (Vainisi et al., 1981; Brahm, 1991). La carenza di questi amminoacidi induce
generalmente la formazione di un’opacità circolare tra il nucleo e la corticale, oltre alla
formazione di vacuoli in regione equatoriale e a carico delle linee di suture (Ranz et al., 2002).
Tuttavia, la patogenesi di questa lesione rimane complessa, anche se giocano un ruolo
importante alcune condizioni fisiopatologiche, quali:
-una carenza in altri aminoacidi (ad esempio triptofano, istidina);
50
-uno squilibrio fra i vari tipi di aminoacidi;
- una carenza in proteine o in glucosio indotta dalla dieta (Martin & Chambreau, 1982;
Remillard et al., 1993; Vanisi et al., 1981).
Sperimentalmente è stato possibile indurre una cataratta nutrizionale in cuccioli di Foxhound,
sottoposti ad una dieta ipoproteica (Barnett, 1971).
La cataratta nutrizionale è di raro riscontro nella pratica clinica quotidiana (Peruccio, 1987) ed
è stata per lo più osservata in cuccioli alimentati con latte artificiale (Gelatt et al., 2013). Nello
specifico, i cuccioli alimentati con alcuni tipi di latte in polvere possono presentare, nelle prime
due settimane di vita, un’opacità della lente che generalmente regredisce dopo qualche mese
(Peruccio, 1987). La probabilità di sviluppare questa cataratta sembra aumentare con la
somministrazione precoce dei sostituti del latte materno (Ranz et al., 2002). A tal proposito, i
cuccioli precocemente alimentati con latte artificiale, presentano più frequentemente
un’opacità della lente, la quale risulta più estesa rispetto a cani alimentati più tardivamente
con detto latte (Gelatt et al., 2013). In generale, le alterazioni sviluppatesi a carico della lente
hanno uno scarso impatto sulla funzione visiva del soggetto e tendono a diminuire con l’età,
fino, in alcuni casi, alla regressione completa (Gelatt et al., 2013). Ciononostante, alle volte i
cambiamenti a carico della lente sono tali da richiederne la rimozione chirurgica (Gelatt et al.,
2013). Conoscendo la possibilità dell’insorgenza di una cataratta nutrizionale, è fondamentale
alimentare i cuccioli che ne hanno necessità con un latte artificiale di alta qualità (Gelatt et al.,
2013).
3.2.5 Cataratta tossica La cataratta tossica è un tipo di cataratta particolarmente studiata ai fini della
sperimentazione farmacologica (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013). La localizzazione iniziale
dell’opacità dipende dal tipo di agente tossico in causa, ma si manifesta spesso in sede
corticale anteriore e posteriore, vicino all’equatore, o a carico delle linee di suture. Non di
rado sono presenti vacuoli, i quali possono, alle volte, scomparire in caso si sospenda la
somministrazione dell’agente tossico (Heywood, 1971; Eagle et Spencer, 1995). Il processo
patogenetico alla base della cataratta tossica è strettamente legato alla tipologia di agente
tossico responsabile, anche se un’alterazione a carico della pompa ATPase Na +/K +, uno
squilibrio osmotico, o ancora un aumento della permeabilità di membrana rappresentano le
51
alterazioni più frequenti a carico della lente (Gelatt et al, 2013). Tra i farmaci che possono
indurre la formazione di una cataratta figurano il chetoconazolo (il quale può indurre una
cataratta quando somministrato ai cuccioli a dosi elevate, oltre i 10 mg/kg sotto cute) (Costa
et al.,1996), e il Dimethyl sulfoxide (DMSO) (Rubin & Mattis, 1966). In particolare la
somministrazione prolungata per via orale di quest’ultimo a un dosaggio di 2,5-40 g/kg
determina cambiamenti a livello della lente con un meccanismo patogenetico ancora
sconosciuto (Gelatt et al, 2013). Infine, si ipotizza che il rilascio di metaboliti tossici, dovuto
alla degenerazione dei fotorecettori, in corso di atrofia progressiva della retina, possa essere
una causa biologica di cataratta tossica (Gelatt et al, 2013; Mancuso & Hendrix, 2016), come
già descritto precedentemente.
3.2.6 Cataratta senile La cataratta senile è molto frequente nel cane, nel quale l’età di insorgenza varia a seconda
della razza (Gelatt et al., 2013). Generalmente si considera che la cataratta sia senile quando
l’animale di grossa taglia ha raggiunto i sei anni di età, o i dieci anni di età se di taglia piccola.
Inoltre, la diagnosi di cataratta senile è certa se, al momento della visita clinica, è possibile
escludere altre possibili cause di cataratta (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013).
Si distinguono varie forme di cataratte senile: la cataratta senile nucleare, la cataratta senile
corticale, o una combinazione di esse (Peruccio, 1987). La prima si presenta inizialmente con
delle opacità puntate o lineari a carico del nucleo, che possono evolvere in una vera e propria
opacità nucleare. Di solito, questo tipo di cataratta deriva dalla progressione della
nucleosclerosi, o insorge in maniera concomitante ad essa (Peruccio, 1987). La cataratta senile
corticale consegue invece all’idratazione della corticale, che determina la formazione di
vacuoli sottocapsulari e spazi raggiati ripieni di fluido. Successivamente si sviluppano delle
opacità lineari parallele, che provocano una separazione lamellare della corticale. Infine, negli
stadi più avanzati, la corticale presenta un'opacità cuneiforme, che dall’equatore si estende
verso il nucleo della lente (Peruccio, 1987).
Il processo patogenetico alla base della cataratta senile è attualmente sconosciuto (Gelatt et
al, 2013), ma si ipotizza che l’insorgenza di questa patologia sia il risultato dell'azione dei danni
ossidativi a carico della lente (Gelatt et al., 2013). Nonostante il cristallino possegga vari
meccanismi per limitare l'impatto di agenti tossici o ossidanti, come ad esempio la bassa
52
tensione di ossigeno, alti livelli di agenti antiossidanti e proteine, con funzione chaperon come
la α-cristallina (la quale permette di evitare la formazione di complessi lattiginosi) (Gould,
2017), una diminuzione funzionale di questi meccanismi può portare all’aumento dei danni
ossidativi e conseguentemente all’insorgenza della cataratta senile (Gould,2017).
Ai fini della diagnosi sono presi in considerazione il segnalamento (con particolare interesse
all’età del soggetto e alla razza), l’anamnesi e l’esame oculistico (Peruccio, 1987). Per una
descrizione più dettagliata di quest’ultimo si rimanda al capitolo 2.
In caso di cataratta senile nucleare, la terapia chirurgica non ha un campo di applicazione utile,
mentre il trattamento medico non svolge alcuna funzione terapeutica se la forma non è
evolutiva (Peruccio, 1987). Alle volte, in assenza di controindicazioni (come il glaucoma o la
predisposizione alla lussazione del cristallino), è possibile somministrare al paziente un agente
midriatico per migliorare la sua funzione visiva (Peruccio, 1987).
Per quello che riguarda la cataratta senile corticale, la terapia medica deve essere eseguita
soprattutto nelle fasi iniziali, con lo scopo di rallentarne l’evoluzione (Peruccio, 1987). Possono
essere utilizzati degli integratori a base di sali inorganici, estratti di prodotti naturali,
supplementi nutrizionali, antinfiammatori non steroidei e antiossidanti, come selenio,
vitamina E, superossido dismutasi (SOD), N-acetylcarnosina, e zincocitrato (Kador, 1983;
Williams & Munday, 2006; Davidson & Nelms, 2007).
Solitamente la cataratta senile è a lenta evoluzione e impiega mesi o anni per determinare
alterazioni significative a carico della funzione visiva (Gelatt et al., 2013). Nello specifico, la
cataratta senile nucleare può diventare più opaca con l’avanzare del tempo, ma non sempre
si estende alla corticale (Peruccio, 1987). Relativamente alla funzione visiva del paziente
affetto da cataratta senile nucleare, la prognosi può essere considerata favorevole nelle forme
iniziali, mentre è riservata nelle forme più avanzate. Al contrario, la cataratta senile corticale
ha una progressione generalmente più rapida e la prognosi per la funzione visiva è da
considerarsi sempre riservata (Peruccio, 1987).
3.3 Cause di cataratta nel cane: studi di prevalenza riportati in letteratura
In Francia, uno studio retrospettivo, svolto presso il reparto di oftamologia del 'Ecole
Nationale Vétérinaire' d'Alfort, ha valutato l’epidemiologia e la presentazione clinica della
53
cataratta in una popolazione canina (Donzel et al., 2017). In questo lavoro, l’eziologia della
malattia è stata descritta per ogni soggetto. Per ciascuna tipologia di cataratta sono stati
considerati: il segnalamento, l’anamnesi, l’età d’insorgenza della patologia, la localizzazione
dell’opacità ed eventuali lesioni oculari associate. I cani esaminati, dal 2009 al 2012, sono stati
in totale 2739, fra i quali 403 risultavano clinicamente affetti da cataratta (14.7 % dei cani
visitati). Il 77.41 % dei casi affetti presentava una cataratta bilaterale, mentre il 22.08 % una
cataratta monolaterale (non è stato possibile stabilire la bilateralità/monolateralità
dell’opacità per tre soggetti) (Donzel et al., 2017). I vari stadi evolutivi della cataratta erano
rappresentati da cataratta incipiente (12%), immatura (36%), matura (21%) e ipermatura
(16%) (Donzel et al., 2017). Nel 15% dei casi questo dato non era riportato nelle cartelle
cliniche. Relativamente all'eziologia, le principali tipologie di cataratta emerse in questo studio
sono state: ereditaria (28%), senile (23%), secondaria a atrofia progressiva della retina (12%),
congenita (5%), diabetica (5%), traumatica (4%), secondaria ad uveite (3%) e ipocalcemica
(0,2%). Tuttavia, non è stato possibile stabilire l’eziopatogenesi della malattia per il 20 % dei
casi (Donzel et al., 2017).
3.3.1 Presentazioni cliniche della cataratta nel cane Nello stesso studio clinico condotto in Francia, presso l'istituto Ecole Nationale Vétérinaire
d'Alfort, la cataratta congenita era presente in 20 cani fra i quali 7 femmine (35%) e 13 maschi
(65%). L’età media dei soggetti colpiti era di 2.5 ± 3.2 anni. Il numero totale era di 12 cani
appartenenti a razze diverse, mentre 3 cani soltanto erano meticci. La cataratta era bilaterale
in 15 casi (75%) e monolaterale in 5 casi (25%). La cataratta era incipiente in 7 casi, immatura
in 12 casi e matura in solo 2 casi (Donzel et al., 2017).
La cataratta metabolica era prevalentemente di natura diabetica, seguita dalla cataratta
ipocalcemica (Donzel et al., 2017). Per quanto riguarda la cataratta diabetica, questa è stata
riportata complessivamente in 19 cani, rappresentati da 13 femmine (68.5%) e 6 maschi
(31.5%). L’età media di insorgenza era di 10 ± 2.2 anni (Donzel et al., 2017). Undici razze sono
risultate affette; lo Yorkshire Terrier è stata la razza maggiormente affetta da cataratta
diabetica (3 casi), mentre un solo soggetto, per ciascuna delle altre razze, ha riportato
clinicamente la malattia. L’opacizzazione della lente è risultata inoltre a carattere bilaterale in
54
tutti i soggetti colpiti, e prevalentemente matura (13 casi), immatura (4 casi) e ipermatura (1
caso). Lo stadio evolutivo non è stato indicato per un singolo soggetto.
Per quanto riguarda, invece, la cataratta ipocalcemica, questa è stata riportata in un solo caso
clinico (Donzel et al., 2017).
La cataratta secondaria ad uveite è stata diagnosticata in 12 pazienti, di cui 8 maschi (66.6%)
e 4 femmine (33.3%). L’età media dei soggetti colpiti era di 8.7 ± 3.9 anni. Otto cani di razza e
un cane meticcio sono risultati colpiti dalla patologia. Inoltre, la cataratta era monolaterale in
tutti i soggetti, e lo stadio evolutivo ha classificato le cataratte come mature in 6 casi e
ipermature in 5 casi, rimanendo tuttavia sconosciuto in un singolo caso clinico (Donzel et al.,
2017).
Cinquanta cani in totale sono risultati affetti da cataratta secondaria associata a PRA, con una
distribuzione equa fra maschi e femmine (Donzel et al., 2017). Nel 90% (45 casi) la cataratta
era bilaterale, mentre nel 10% (5 casi) era monolaterale. Inoltre sono stati registrati tutti gli
stadi evolutivi: inicipiente (7 casi), immatura (43 casi), matura (10 casi) e ipermatura (24 casi).
Il Labrador Retriever (19 casi), il Barboncino Nano (14 casi) e l’English Cocker Spaniel (5 casi)
sono state le razze più colpite (Donzel et al., 2017).
Relativamente alla cataratta traumatica, questa è stata riportata in 15 casi, di cui 5 femmine
(33.3%) e 10 maschi (66.6%). La patologia era secondaria a un trauma ottuso in 14 casi, mentre
un solo soggetto è stato vittima di un trauma da infissione (Donzel et al., 2017). Dei 15 pazienti
affetti, 3 erano meticci e l’età media dei soggetti era di 6,6 ± 4,4 anni. Data l'eziologia della
cataratta, nei casi clinici esaminati essa ha rivelato in tutti i pazienti un carattere monolaterale
e stadi evolutivi particolarmente variabili (incipiente, immatura, matura e ipermatura) (Donzel
et al., 2017).
La cataratta senile ha coinvolto ben 92 cani, dei quali 43 erano femmine (46.8%) e 48 erano
maschi (52.2%). Fra le 26 razze canine più colpite, il Barboncino nano, lo Yorkshire Terrier e lo
Shi Tzu sono state quelle più rappresentate (Donzel et al., 2017). La cataratta era bilaterale
nel 89,1% (82 casi) e monolaterale nel 9.8% (9 casi). Gli stadi evolutivi riscontrati sono stati:
cataratta incipiente, immatura, matura e ipermatura.
Infine, l’eziologia è rimasta sconosciuta per 82 casi (45.1 % di femmine e 54.8% di maschi), fra
i quali, 44 erano affetti da cataratta bilaterale (51.2%) e 37 da cataratta monolaterale (45.1%)
55
(per uno dei casi questo dato non è stato riportato). In questi pazienti sono stati riscontrate
cataratte a vari stadi evolutivi e a differente localizzazione (Donzel et al., 2017).
3.3.2 La cataratta nelle razze canine di piccola taglia Un'ulteriore indagine clinica retrospettiva, condotta tra luglio 2002 e dicembre 2007, presso
il dipartimento di oftalmologia e chirurgia veterinaria dell’ospedale veterinario della Seoul
Nationale University, ha analizzato le manifestazioni cliniche della cataratta nei cani di piccola
taglia. Per ogni animale affetto da cataratta e visitato nella suddetta struttura, sono stati
descritti:
- il motivo della visita;
- la razza e il sesso maggiormente colpiti da cataratta;
- l’età media di insorgenza della patologia;
- gli stadi evolutivi della cataratta;
- il carattere bilaterale dell’opacità;
- le varie etiologie osservate (Park et al., 2009).
Fra tutti i cani presentati presso il dipartimento di chirurgia e oftalmologia veterinaria
dell’ospedale veterinario della Seoul Nationale University, 561 cani di razza di piccola taglia
risultavano clinicamente affetti da cataratta (5.4% dei cani visitati) (Park et al., 2009). Tra
questi il 51.51% dei cani presentati, è stato riferito dal veterinario di fiducia, per
confermare o meno la diagnosi di cataratta, il 27.45% è stato presentato per la presenza
di un’opacità oculare, e l’8.37% è stato visitato per un’anamnesi di deficit visivo (Park et
al., 2009). I due stadi evolutivi più frequentemente riscontrati sono stati: la cataratta
incipiente (35%), immatura (20%), matura (32%) e ipermatura (13%), e per quanto
riguarda l'eziologia, sono state diagnosticate: la cataratta ereditaria (57%), senile (25%),
secondaria a atrofia progressiva della retina (8%), secondaria a diabete mellito (7%) e
traumatica (3%) (Park et al., 2009).
3.3.3 Cataratta ereditaria: le razze canine prevalentemente affette A Rio di Janeiro, in uno studio svolto presso il reparto di oftalmologia della Policlìnica
Veterinària Botafago, sono state descritte le razze più comunemente colpite da cataratta
diagnosticata come ereditaria. In questo studio il 9% dei soggetti visitati è risultato affetto.
56
Le cinque razze prevalentemente colpite erano il Bichon Frisé (33.3%), il Barboncino Nano
(13.8%), il Cocker Spaniel (7.8%), lo Schnauzer (11%) e lo Yorkshire Terrier (4.4%) (Baumworcel
et al., 2009).
In questo studio, l’alta prevalenza della cataratta riscontrata in determinate razze canine è
stata imputata all’eccessivo inbreeding (Baumworcel et al., 2009). In particolare, il Barboncino
Nano è una delle razze canine più diffuse a Rio de Janeiro e risulta pertanto la razza più
frequentemente riscontrata durante la pratica clinica eseguita presso strutture sanitarie
presenti sul territorio brasiliano (Baumworcel et al., 2009). L’alta prevalenza della patologia in
specifiche razze, suggerisce una predisposizione delle stesse a sviluppare una cataratta
ereditaria e la razza maggiormente colpita è stata proprio il Barboncino Nano (Baumworcel et
al., 2009).
In America del Nord, un'indagine clinica volta a determinare la prevalenza della cataratta
primaria nel cane, è stata condotta presso il College of Veterinary Medicine dell’University of
Florida. Questo lavoro ha permesso di stimare la prevalenza di cataratta in una popolazione
canina in America del Nord, presentata tra 1964 e 2003 (Gelatt & Mackay, 2005). In questo
studio 39 229 cani sono stati visitati presso la suddetta struttura e, durante il periodo di
osservazione, la prevalenza della cataratta nei cani visitati è aumentata del 255% (Gelatt &
Mackay, 2005). Complessivamente, sono state esaminate 59 razze canine. Fra esse, le razze
prevalentemente colpite sono risultate il Fox Terrier a pelo liscio (11.70%), l’Havanese
(11.57%), il Bichon Frise (11.45%), il Boston Terrier (11.11%), il Barboncino Nano (10.79%),
l’American Cocker Spaniel (8.77%), il Barboncino (7.00%) e lo Schnauzer Nano (4.98%) (Gelatt
& MacKay, 2005). Inoltre, i dati ottenuti mediante lo studio clinico, hanno confermato che la
cataratta ereditaria è la patologia più frequentemente riscontrata in America del Nord, e
strettamente legata alla razza e all’età del soggetto (Gelatt & MacKay, 2005)
Nello Studio svolto alla Ecole Nationale Vétérinarie d'Alfort, il 28% dei cani affetti di cataratta
erano probabilmente colpiti da cataratta ereditaria. Fra essi il 15,3% apparteneva ad una razza
di piccola taglia, l’11,4% a una razza di taglia media o grande e il 1,2% dei cani erano dei meticci
(Donzel et al., 2017). In particolare, le razze prevalentemente affette da cataratta ereditaria
sono state: il Jack Russel Terrier, lo Yorkshire Terrier, il Cocker Spaniel, il Labardor Retriever,
Barboncino Nano, il Cocker Spaniel Americano, il Maltese, il Pinscher nano e il Bouledogue
francese.
57
Le razze di piccola taglia presentate nello Studio della Seoul Nationale University che risultano
prevalentemente affette da cataratta ereditaria, sospetta o confermata dalla genetics
committee of the American College of veterinary Ophthalmologists (Davilson & Nelms, 2007;
Genetics Committee of the American College of Veterinary Ophthalmologists, 2006) sono
state: il Barboncino nano (20%), lo Yorkshire Terrier (19.6%), lo Shih Tzu (16.9%) e il Maltese
(15.2%) (Park et al., 2009).
3.3.4 Età di insorgenza della cataratta ereditaria Secondo lo studio del College of Veterinary dell’University of Florida, l’età d’insorgenza della
cataratta ereditaria è variabile e correlata alla razza (Gelatt & Mackay, 2005). Per la maggior
parte delle razze canine prese in esame nel sudetto tudio, le fasce di età maggiormente a
rischio di sviluppo di cataratta erano quelle tra 4-7 anni, 7-10 anni e 10-15 anni di età (Gelatt
& Mackay, 2005). L’insorgenza della patologia entro il primo e il secondo anno di vita è
risultato poco frequente, e si è dimostrato rilevante solo nel Siberian Husky (Gelatt & Mackay,
2005). Nel American Cocker Spaniel, nel Bichon Frise e nel Chinese Crested, i soggetti erano
più colpiti ad un’età compresa tra 4-7 anni (Gelatt & MacKay, 2005). Le razze con un picco di
prevalenza tra i 7-10 anni sono state rappresentate da: Griffone di Bruxelles, il Chesapeake
Bay Retiever, l’English Cocker Spaniel, l’Havanese, il Toy Manhester Terrier, il Norwich Terrier,
lo Schnauzer e il Tibetan Terrier. Infine, i soggetti prevalentemente colpiti da cataratta ad
un’età compresa tra i 10-15 anni appartenevano alle razze: spitz Americano, Australian Cattle
Dog, Pastore Australiano, Australian Terrier, Bedlington Terrier, Border Collie, Boston Terrier,
Griffone di Bruxelles, Cavalier King Charles Spaniel, Chihuahua, English Springer Spaniel, Spitz
Finnico, Fox Terrier a pelo ruvido, Levriero Italiano, Jack Russel Terrier, Japanese Chin,
Barboncino Nano, Schnauzer Miniature e Welsh Springer Spaniel.
Tuttavia, in questo studio nel Pastore Australiano, nel Bedlington Terrier, nel Golden
Retriever, nel English Cocker Spaniel e nel Welsh Corgi l’insorgenza della cataratta non è
risultata significativamente legata all’età del soggetto (Gelatt & MacKay, 2005).
Nello studio condotto presso la Ecole Nationale Vétérinaire d’Alfort, l’età media di insorgenza
della cataratta ereditaria è stata di: 5.2 ± 3 anni nel Jack Russel Terrier, 5.5 ± 3.2 nel Labrador
retriever, 6.7 ± 3.1 anni nel English Cocker Spaniel, 7.4 ± 2.4 anni nello Yorkshire Terrier, 8 ±
4.4 anni nel Maltese, 10,3 ± 2.3 nel Barboncino Nano e (Donzel et al., 2017).
58
Nello studio coreano l’età media di insorgenza della cataratta per il Barboncino Nano era di
9.5 ± 3.5 anni, e quella dello Yorkshire Terrier di 9.5 ± 3,1 anni. Queste due razze presentavano
un’età d’insorgenza più tardiva rispetto alle altre razze. Al contrario il Miniature Schnauzer è
risultata essere la razza più precocemente colpita con un’età media di 5.4 ± 3.2 (Park et al.,
2009).
59
CAPITOLO 4: ESPERIENZA PERSONALE
4.1 Introduzione
La cataratta rappresenta una delle principali cause di cecità nella specie canina, classificata in
funzione delle varie eziologie e forme nelle quali si manifesta. La compromissione della
funzione visiva, conseguente alla cataratta, risulta variabile nel soggetto malato e determina
frequentemente un peggioramento della qualità di vita, con potenziali condizioni di stress e
alterazioni comportamentali quali paura e/o aggressività. Nel cane la selezione di particolari
standard di razza ha inoltre contribuito a incrementare la prevalenza di determinate tipologie
di cataratta che conseguentemente si riscontrano con percentuali variabili in determinate
razze rispetto ad altre.
Il presente studio si propone di:
- Individuare la prevalenza delle varie eziologie della cataratta nel cane;
- determinare la frequenza della patologia nelle diverse razze canine;
- stabilire gli ostacoli alla diagnosi certa della patologia e riportare i casi di cataratta a
eziologia dubbia;
- evidenziare eventuali patologie oculari associate e le complicazioni oculari più
frequenti conseguenti alla cataratta.
4.2 Materiali e metodi
I casi clinici presenti in questo studio retrospettivo sono pervenuti presso l’Ospedale Didattico
Veterinario "Mario Modenato" del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa,
nel periodo compreso tra il I gennaio 2012 e il 31 dicembre 2016 (60 mesi).
4.2.1 Raccolta dei dati Per ogni caso clinico è stato preso in considerazione:
- il segnalamento (razza, età e sesso);
- il motivo della visita;
- l’anamnesi (patologie oculari e/o sistemiche concomitanti);
- il carattere monolaterale o bilaterale della patologia;
60
- lo stadio evolutivo;
-la localizzazione della cataratta;
- l’eziologia della cataratta.
I dati relativi a ciascun paziente sono stati reperiti per mezzo del software FileMarkerPro-
[Ociroe-2010] dal database utilizzato all'interno della struttura.
I dati raccolti sono stati classificati a seconda dell’eziologia della cataratta in una tabella
formato Excel. Per ogni eziologia, i soggetti affetti, appartenenti a differenti razze canine, sono
stati raggruppati per evidenziare un’eventuale predisposizione razziale nello sviluppare una
specifica tipologia di cataratta.
Le varie tipologie di lesione sono state classificate in tre gruppi principali:
i) cataratta primaria
ii) cataratta secondaria
iii) cataratta ad eziologia dubbia.
Nel primo gruppo sono state incluse la cataratta ereditaria e quella congenita. In particolare,
dopo avere escluso qualsiasi altra eziopatogenesi possibile di cataratta, la lesione è stata
considerata di tipo ereditario nei cani giovani o di media età, relativamente alla razza di
appartenenza, alle modalità d’insorgenza, alla sua localizzazione e al suo grado di
progressione.
La cataratta congenita, è stata considerata tale nell’eventualità in cui l’opacità fosse presente
sin dalla nascita o in soggetti particolarmente giovani, ponendo particolare attenzione alla
monolateralità/bilateralità della lesione, alla localizzazione, e alla presenza di anomalie oculari
associate (microftalmia, displasia retinica, lenticono/lentiglobo, microfachia), o alla
persistenza di strutture embrionarie (PPM, PHA, PHTVL/PHPV, PHPV).
Nel secondo gruppo sono state incluse le seguenti tipologie di cataratta:
-secondaria a PRA;
- senile;
-diabetica;
-traumatica;
-secondaria ad uveite.
61
L’atrofia progressiva della retina (PRA) è stata diagnosticata tramite l’osservazione del fondo
dell’occhio, nel quale si riportavano clinicamente i segni di una degenerazione retinica come
un’alterazione del riflesso tappetale nei settori periferici, una riduzione di calibro dei vasi
retinici più o meno marcata, una diffusa iper-riflettività tappetale, un’alterazione della
pigmentazione nell'area non-tappetale, un’atrofia e demielinizzazione della papilla ottica. Nei
casi in cui una diffusa opacità della lente impediva la visualizzazione del fondo oculare, la PRA
è stata diagnosticata per mezzo di una elettroretinografia (ERG).
Nella diagnosi di cataratta senile sono stati inclusi (dopo avere escluso tutte le altre possibili
cause) tutti i soggetti di grossa taglia con età superiore ai 6 anni, e i soggetti di taglia piccola
con più di 10 anni di età.
La cataratta diabetica è stata considerata per i pazienti che presentavano segni oculistici tipici
della patologia, come ad esempio una cataratta bilaterale a rapida evoluzione, concomitante
o meno ad uveite facolitica e/o riduzione della quantità/qualità del film lacrimale. In aggiunta,
sono stati considerati i segni clinici sistemici frequenti della malattia, come ad esempio la
poliurira e la polidispsia, la polifagia e l’affaticamento. La patologia è stata confermata
soltanto dopo l’esecuzione di esami del sangue, in particolare dopo la misurazione della
glicemia e della fruttosamina. Nel caso in cui i profili ematobiochimici dei pazienti siano stati
effettuati presso strutture veterinarie esterne, essi non sono stati ripetuti ma analizzati al
momento della visita oculistica.
La cataratta traumatica è stata diagnosticata dopo un’anamnesi di trauma facciale e/o
oculare, un esame oculistico approfondito e dopo l'esclusione di altre eventuali eziologie
possibili.
La cataratta secondaria ad uveite è stata diagnosticata quando era possibile stabilire un ordine
cronologico dell’insorgenza delle due patologie oculari, con comparsa dapprima dell’uveite e
in seguito della cataratta.
Infine, nel terzo gruppo sono state comprese tutte le cataratte a eziologia dubbia, a loro volta
classificate in due sottogruppi:
i) ad eziologia dubbia tra cataratta primaria e secondaria;
ii) ad eziologia dubbia tra i vari tipi di cataratta secondaria.
62
4.2.2 visita oculistica La visita oculistica è stata condotta seguendo la medesima procedura per ogni paziente. In
seguito al segnalamento e alla raccolta dell'anamnesi e del motivo della visita, il soggetto è
stato lasciato libero di muoversi in ambulatorio, sottoponendolo eventualmente a un percorso
"ad ostacoli" (Maze test), nelle diverse condizioni di luce, al fine di valutare se la capacità visiva
del paziente, fosse tale da consentirgli di evitare gli impedimenti fisici collocati in sala.
In seguito al posizionamento del soggetto su di un tavolo ambulatoriale, è stato possibile
procedere con un esame globale della testa e dei bulbi oculari, per valutarne simmetria e
dimensione, il corretto posizionamento nell’orbita, e il movimento.
Analogamente, sono stati esaminati per ciascun occhio gli annessi oculari; talvolta veniva
evidenziata la presenza di scolo oculare, e, in questa eventualità, ne venivano definite le
caratteristiche. Nei casi in cui l’occhio presentava congiuntiviti, cheratiti o risultava
particolarmente secco, veniva inoltre eseguito il Test di Schirmer (Dina strip Schirmer-Plus®,
GECIS sarl, France) per valutare la produzione del film lacrimale. Le strisce di carta bibula
graduate, una volta inserite all'interno del fornice congiuntivale inferiore, venivano lasciate in
situ per un minuto; quindi si stimava il valore di produzione lacrimale corrispondente alla
porzione di carta impregnata di liquido lacrimale sapendo che il valore normale nel cane è
compreso tra i 15 e 25 mm/min (Adkins & Hendrix, 2003).
Successivamente è stata evocata la risposta alla reazione di minaccia, seguita dalla valutazione
dei riflessi palpebrale, corneale, pupillare diretto e consensuale e all’abbagliamento.
In seguito, è stata esaminato il settore anteriore dell’occhio tramite una lampada a fessura
portatile a ingrandimento (Kowa SL-14, Kowa Company, Tokio, Japan) con fasci di luce più o
meno focalizzati. Quest’ultima procedura permetteva di visualizzare le lesioni oculari e di
evidenziare la presenza di eventuali complicazioni legate alla cataratta, come il glaucoma o
l’instabilità della lente, i quali avrebbero reso impossibile l’induzione farmacologica della
midriasi, indispensabile per una valutazione completa del cristallino.
La pressione intraoculare (IOP) è stata misurata mediante tonometria ad applanazione
(Tonopen-XL; Mentor, MA, USA), previa instillazione di un agente anestetico topico,
l'oxibuprocaina cloridrato 4mg/ml (Benoxinato cloridrato Intes; Alfa Intes Industria
Terapeutica Splendore Srl, Italia).
63
Dopo avere eseguito le suddette valutazioni e in assenza di controindicazioni, è stata indotta
la midriasi tramite la somministrazione, in ciascun occhio, di una goccia di agente midriatico a
breve durata: la tropicamide collirio 10mg/ml (Visumidriatic® 1%, Visufarma Srl, Italia). A
questo punto della visita oftalmologica, la lente è stata osservata tramite lampada a fessura,
la quale ha permesso di stabilire l’intensità, la localizzazione e l’estensione dell’opacità quando
presente, oltre a stabilire le caratteristiche strutturali della capsula. Grazie all'utilizzo del
transilluminatore di Finoff, è stato inoltre possibile evidenziare eventuali opacità, e
visualizzare l’intensità del riflesso tappetale.
Infine, il fondo oculare è stato osservato grazie all’ausilio di un oftalmoscopio indiretto
binoculare (Omega 180, Heine, Berlin, Germany), con lenti a ingrandimento di 20D, 30D e 40D,
a seconda dei casi clinici. Mediante la visualizzazione del fondo oculare è stato possibile, ove
consentito, stabilire la presenza di eventuali patologie retiniche associate alla cataratta come
l’atrofia progressiva della retina (PRA). Nei casi in cui, si sospettava una cataratta secondaria
associata a PRA e l’opacità marcata della lente impediva la visualizzazione del fondo oculare è
stata proposta ai proprietari l’esecuzione di un’elettroretinografia (MOD BM 623 HC4 SN
10008 Biomedica Mangoni), in sedazione, per verificare la funzionalità retinica dei pazienti
oltre ad un esame ecografico oculare, al fine di rilevare eventuali alterazioni oculari associate
(quali la rottura o la sublussazione/lussazione della lente, la degenerazione vitreale, la
persistenza delle strutture embrionarie o il distacco di retina). Tuttavia, questi ultimi esami
specialistici, fondamentali in previsione di un eventuale trattamento chirurgico della cataratta,
oltreché utili ai fini della sua classificazione eziologica, non sono stati sempre eseguiti a causa
della mancata autorizzazione all'esecuzione da parte dei proprietari. In questi casi infatti, la
cataratta è stata inserita nel gruppo della cataratta ad eziologia dubbia.
4.2.3 Analisi statistica Per ogni tipologia di cataratta, sono stati calcolati il numero dei soggetti affetti e le percentuali
relative alle razze canine coinvolte, mediante foglio di calcolo Excel. Nell'ambito di ogni singola
tipologia di cataratta, sono stati valutati il numero dei soggetti maschili e femminili colpiti e
inclusi nel calcolo indici statistici, quali media e mediana, relativamente all'età dei pazienti
affetti.
64
4.3 Risultati Dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2016, presso l’ambulatorio di Oftalmologia dell’Ospedale
Didattico Veterinario "Mario Modenato" del Dipartimento di Scienze Veterinarie
dell’università di Pisa, sono stati esaminati 1062 cani. Fra essi, 174 soggetti sono risultati affetti
da cataratta, ovvero il 16,38% del totale dei cani visitati durante il suddetto periodo.
Nello specifico, la popolazione di cani affetti da cataratta ha incluso 132 cani di razza (37 razze)
e 42 meticci. Le razze prevalentemente colpite sono riportate in tabella 1.
Trentuno dei pazienti affetti, pervenuti presso l'Ospedale Didattico Veterinario "Mario
Modenato" di Pisa, sono stati riferiti dal proprio veterinario per:
▪ conferma di diagnosi di cataratta (25 soggetti);
▪ l’esecuzione di una elettroretinografia, in seguito ad una precedente diagnosi di
cataratta (5 soggetti);
▪ insorgenza di un’uveite, quale motivo della visita (1 soggetto).
Relativamente agli altri pazienti:
- 19 soggetti sono pervenuti a visita specialistica a causa della comparsa di opacità del
cristallino riportate dai rispettivi proprietari;
- 17 sono stati i casi clinici presentati spontaneamente dal proprietario per deficit visivo;
- 14 pazienti sono stati sottoposti a visita oculistica ufficiale FSA (Fondazione Salute
Animale) per escludere eventuali oculopatie ereditarie nei riproduttori;
- 6 sono stati i casi clinici presentati spontaneamente dal proprietario per deficit visivo
associato a opacità della lente;
- 5 sono stati i soggetti visitati a causa di esiti di traumi ottusi oculari o facciali;
- 4 casi clinici sono stati esaminati in seguito a danni oculari da trauma da infissione;
- 3 pazienti sono stati presentati alla visita per l'insorgenza di affezioni oftalmiche varie,
differenti dalla cataratta;
- La mancanza di dati presenti nella cartella clinica, non ha permesso la stima del motivo
della visita per 75 pazienti.
La popolazione canina colpita da cataratta a eziologia varia era costituita complessivamente
da 92 maschi e 82 femmine (61 femmine intere e 21 femmine sterilizzate). L’età media dei
cani malati era di 80,22 mesi (intervallo: 2 mesi-204mesi) con mediana di 84 mesi.
La patologia è risultata bilaterale in 126 casi e monolaterale in 48 casi.
65
Il numero totale di occhi affetti è stato calcolato sulla base della totalità delle diagnosi
formulate (300 occhi). I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: incipiente (49 occhi),
immatura (51 occhi), matura (64 occhi), ipermatura (9 occhi) e in fase di riassorbimento (3
occhi). La mancanza dei dati presenti nella cartella clinica, non ha permesso la stima dello
stadio evolutivo per alcuni pazienti (124 occhi).
Il 37% dei casi è stato colpito da
cataratta primaria, il 46% dei casi da
cataratta secondaria mentre per il
17% dei casi non è stato possibile
stabilire con certezza l’eziologia, la
quale è stata quindi, classificata
come dubbia (figura 4.1).
Nello specifico, la tipologia di
cataratta più diffusa riscontrata nel
presente studio clinico è stata la
cataratta ereditaria (26%); seguita da: cataratta dubbia (17%), cataratta secondaria a PRA
(16%), senile (14%), congenita (11%), diabetica (8%), traumatica (5%) e secondaria ad uveite
(3%) (Figura 4.2).
Fig. 4.1: percentuali relative ai tre gruppi di cataratta nella
popolazione canina studiata.
Fig. 4.2: percentuali relativa ai vari tipi eziologici della cataratta riscontrate durante il periodo di
studio (2012-2016).
37%
46%
17%
Primaria
Secondaria
Dubbia
26%
17%
16%
14%
11%
8%
5%3% Ereditaria
Dubbia
II a PRA
Senile
Congenita
Diabetica
Traumatica
II a Uveite
66
Tabella 4.1: Totale delle razze canine affette da cataratta ad eziologia varia (in ordine decrescente sul numero di pazienti affetti).
Razze canine affette N° pazienti
Percentuale
Meticcio Labrador Retriever Barbone Cocker Spaniel
42 16 13 12
24,15% 9,22% 7,48% 6,90%
Jack Russell Terrier 10 5,75% Pinscher 9 5,17% Setter Inglese Cavalier King Charles S. Golden Retriever Shiba Inu Bouledogue Francese Breton Bolognese Carlino Springer Spaniel Yorkshire Terrier Alaskan Malamute Bassotto Beagle Pastore scozzese Volpino Italiano Barbone Barbone Toy Basset Griffon Border Collie Collie Chinese Crested Dog Chihuahua Corso Dobermann Fox Terrier Greyhound Lagotto Levriero Pastore Tedesco Pointer Siberian Husky Setter Irlandese
8 6 6 5 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
4,60% 3,45% 3,45% 2,87% 2,30% 2,30% 1,73% 1,73% 1,73% 1,73% 1,15% 1,15% 1,15% 1,15% 1,15% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57% 0,57%
Totale 174 100,00%
67
4.3.1 Cataratta primaria Nel presente studio clinico, sono stati
colpiti da cataratta primaria 65 pazienti,
di cui 38 maschi e 27 femmine (25 intere
e 2 sterilizzate).
L’età media della popolazione era di 36,3
mesi (2 mesi-96mesi) con mediana di 24
mesi. Il 71% dei casi è risultato affetto da
cataratta ereditaria, mentre il 29% dei
casi da una cataratta congenita (Figura
3). Le razze canine affette da cataratta primaria sono riportate in tabella 4.2.
Tabella 4.2: razze canine affette da cataratta primaria (in ordine decrescente sul numero dei pazienti affetti).
Fig. 3: Nell'ambito della cataratta primaria si riportano le percentuali relative ai pazienti affetti da cataratta ereditaria (71%) e da cataratta congenita (29%).
71%
29%
Catarattaereditaria
Catarattacongenita
68
4.3.1.1 Cataratta ereditaria
Sono risultati colpiti da cataratta ereditaria 46 pazienti, di cui 24 maschi e 22 femmine (20
intere e 2 sterilizzate).
L’età media della popolazione era di 42,28 mesi (intervallo: 9-96 mesi) con mediana di 36 mesi.
La lesione si è presentata bilaterale in 31 casi e monolaterale in 15 casi per un totale di 77
occhi affetti.
I vari stadi evolutivi riscontrati sono risultati essere: incipiente (6 occhi), immatura (12 occhi)
e matura (6 occhi).
La cataratta si è manifestata in sede corticale (36 occhi), a carico delle linee di sutura
posteriore (10 occhi), subcapsulare polare posteriore o subcapsulare posteriore (14 occhi),
nucleare (5 occhi), subcapsulare anteriore (1 occhio) e nucleocorticale (1 occhio).
La mancanza di dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio
evolutivo (53 occhi) e della localizzazione (10 occhi) per alcuni pazienti.
Le complicazioni oculari riscontrate, conseguenti alla cataratta, sono state rappresentate da:
due uveite facolitiche bilaterali e 3 monolaterali (7 occhi) e una lussazione della lente
monolaterale (1 occhio).
I numeri relativi alle razze canine prevalentemente affette da cataratta ereditaria sono risultati
i seguenti:
- 7 Labrador Retriever; - 5 Golden Retriever; - 4 Cocker Spaniel; - 4 Jack Russel Terrier; - 3 Bouledogue francese; - 3 Cavalier King Charles Spaniel; - 2 Barboni nani; - 2 Carlini; - 2 Meticci; - 2 Pinscher. - 2 Shiba Inu
Gli altri pazienti affetti (n= 10) appartenevano alle seguenti razze: Alaskan Malamute,
Barbone, Barbone Toy, Basset Griffon, Bolognese, Border Collie, Greyhound, Springer Spaniel,
Setter Inglese e Volpino Italiano (Tabella 4.3).
69
Tabella 4.3: razze canine affette da cataratta ereditaria (in ordine decrescente sul numero dei pazienti). Legenda: ON: opacità nucleare; NC: opacità nucleocorticale; OC: opacità corticale; OSP: Opacità subcapsulare posteriore o subcapsulare polare posteriore; OSA: opacità subcapsulare anteriore; LSP: opacità a carico delle linee di suture.
4.3.1.2 Cataratta congenita La cataratta congenita è stata osservata in 19 soggetti. I soggetti di sesso maschile hanno
riportato la patologia in percentuale maggiore rispetto alle femmine (14 maschi e 5 femmine).
L’età media dei soggetti colpiti al momento della diagnosi è stata di 21,86 mesi (intervallo: 2-
72 mesi) con mediana di 12 mesi.
La lesione si è presentata bilateralmente in 18 casi clinici, e monolateralmente in un singolo
paziente, per un totale di 37 occhi affetti.
I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta incipiente (6 occhi), cataratta immatura (5
occhi), e cataratta matura (10 occhi).
Razze N° pazienti
% Età (mesi) (intervallo)
ON NC OC OSP OSA LSP
Labrador Retriever Golden Retriever Jack Russell Terrier Cocker Spaniel Bouledogue Francese Cavalier King Charles S. Barbone nano Carlino Meticcio Pinscher Shiba Inu Alaskan Malamute Barbone Barbone Toy Basset Griffon Bolognese Border Collie Greyhound Setter Inglese Springer Spaniel Volpino Italiano
7 5 4 4 3 3 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
15,22 10,87 8,70 8,70 6,53 6,53 4,35 4,35 4,35 4,35 4,35 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17 2,17
20,57 (12-
36) 27,6 (12-48) 53,75 (11-
84) 54 (48-60) 32 (12-48) 48 (24-84)
72 (-) 84 (-)
48 (12-84) 36 (12-60)
20,5 (17-24) 9 (-)
60 (-) 48 (-) 84 (-) 24(-) 18 (-) 60 (-) 60 (-) 12 (-) 96 (-)
- - - 5 - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - 1 - - - - - - - - - - - -
3 2 7 - 2 6 3 - 3 3 2 2 - 1 - - - 1 - - 1
1 5 - 2 1 - - 1 - - - - 1 - - - - - - 2 1
- - - - - - - - - - - - - - - 1 - - - - -
6 - - 2 - - - - - - - - - - - - 2 - - - -
Totale 46 100,00% 42,28 (9-96) 5 1 36 14 1 10
70
La localizzazione della lesione è risultata essere corticale (9 occhi), delle linee di sutura
posteriori (5 occhi), corticale con placoide posteriore (3 occhi), nucleocorticale (2 occhi) e
subcapsulare/capsulare posteriore (2 occhi). In un singolo soggetto, la lesione era bilaterale e
a forma di clessidra, coinvolgendo la capsula e la corticale anteriore, il nucleo e la corticale
posteriore (2 occhi).
La mancanza dei dati presenti nella cartella clinica, non ha permesso la stima dello stadio
evolutivo (16 occhi) e della localizzazione (15 occhi) per alcuni pazienti.
Fra le lesioni oculari associata a cataratta è stata riscontrata un’uveite monolaterale (1 occhio).
Le razze canine prevalentemente affette sono state:
- 3 Labrador Retriever; - 3 Shiba inu; - 2 Jack Russell Terrier; - 2 Pastore Scozzese; - 2 Pinscher.
I restanti pazienti (n=6) appartenevano ciascuno alle seguenti razze: Alasmakan malamute,
Cavalier King Charles Spaniel, Cocker Spaniel, Collie, Dobermann e Golden Retriever (tabella
4). Infine, era presente un meticcio.
Le razze canine affette da cataratta congenita sono riportate in tabella 4.4.
Tabella 4.4: razze canine affette da cataratta congenita (in ordine decrescente sul numero di pazienti).
Razze canine affette N° soggetti
% Età media (intervallo)
Labrador Retriever 3 15,78% 20 (18-24)
Shiba Inu 3 15,78% 2,5 (-)
Jack Russell Terrier 2 10,54% 30 (24-36)
Pastore Scozzese Pinscher Alaskan Malamute Cavalier King Charles S. Cocker Spaniel Collie Dobermann Golden Retriever Meticcio
2 2 1 1 1 1 1 1 1
10,54% 10,54% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26% 5,26%
2 (-) 72 (-) 8 (-)
36 (-) 6 (-) 2 (-)
72 (-) 12 (-) 3 (-)
Totale 19 100%
71
In particolare, 7 soggetti presentavano una cataratta bilaterale come segno clinico di anomalie
oculari multiple. Le anomalie oculari riscontrate sono state:
- 6 occhi microftalmici;
- 5 occhi affetti da displasia retinica;
- 3 occhi con lente microfachica;
- 1 occhio con riduzione di spessore della lente e sospetta sublussazione di essa.
L’età media dei soggetti colpiti era di 16,14 mesi (intervallo: 3-36 mesi) con mediana 7 mesi.
I cani di razza prevalentemente affetti appartenevano alle seguenti razze:
- 2 Jack Russell Terrier.
Altri pazienti affetti (n=4) appartenevano alle razze Alaskan Malamute, Cocker Spaniel, Golden
Retriever e Labrador Retriever. Oltre ai cani di razza, un singolo meticcio colpito da cataratta
congenita ha riportato anomalie oculari multiple (Tabella 4.5).
Tabella 4.5: razze canine affette da cataratta come segno clinico di anomalie oculari multiple. Legenda: MO: microftalmia; MF: microfachia; DR: displasia retinica; AFL: alterazione della forma della lente.
Per 9 casi è stata diagnostica una cataratta associata alla persistenza delle strutture
embrionarie:
- due pazienti hanno riportato una persistenza del vitreo primario (PHPV) bilaterale (4 occhi);
- tre pazienti sono risultati affetti da persistenza iperplastica della tunica vasculosa lentis
associata a persistenza del vitreo primario (PHTVL/PHPV), di cui 2 casi bilaterali e un singolo
caso monolaterale (5 occhi);
- quattro pazienti manifestavano PPM iride lente, di cui 3 casi bilaterali e 1 caso monolaterale
(7 occhio).
L’età media dei soggetti colpiti era di 32,83 mesi (intervallo: 2,5-72mesi) con mediana di 54.
Razze N° soggetti
% MO MF DR AFL
Jack Russell Terrier 2 28,55% - 1 - 1 Alaskan Malamute 1 14,29% 2 2 - - Cocker Spaniel Golden Retriever Labrador Retriever Meticci
1 1 1 1
14,29% 14,29% 14,29% 14,29%
2 - - 2
- - - -
- 2 1 2
- - - -
Totale 7 100,00 6 3 5 1
72
I cani di razza prevalentemente affetti erano (tabella 4.6):
- 3 Shiba Inu;
- 2 Labrador Retriever;
- 2 Pincher.
Le altre razze colpite (n=2) sono state il Cavalier King Charles Spaniel e il Doberman.
Tabella 4.6: cataratta congenita associata a persistenza delle strutture embrionarie.
Infine, 3 pazienti presentavano una cataratta congenita delle linee di sutura posteriori, la
quale era monolaterale per uno di essi, e bilaterale per gli atri due soggetti (5 occhi).
Tutti e tre i pazienti hanno riportato al momento della visita la stessa età (2 mesi).
La razza canina colpita è risultata le seguenti:
- 3 Pastori scozzesi;
Fra i soggetti affetti da cataratta
congenita, il 37% ha manifestato
la cataratta come segno clinico
di anomalie oculari multiple, il
47% è risultato affetto da
cataratta con persistenza delle
strutture embrionarie e il 16% da
cataratta congenita delle
estremità delle linee di sutura
posteriori (Figura 4.4).
Razze canine affette N° soggetti
Percentuale PHPV PHTVL/PHPV PPM
Shiba Inu Labrador Retriever
3 2
33,33% 22,22%
- 4
- -
6 -
Pinscher 2 22,22% - 3 - Cavalier King Charles S. 1 11,11% - - 1 Dobermann 1
11,11%
- 2 -
Totale 9 100,00% 4 5 7
Fig. 4.4: Percentuali relative alla cataratta congenita riscontrate nel presente studio (2012-2016).
37%
47%
16%
Cataratta congenitae anomalie ocularimultiple
Cataratta congenitae persistenza dellestruttureembrionarie
Cataratta congenitadelle linee di sutureposteriori
73
4.3.2 Cataratta secondaria In questo studio sono stati colpiti da cataratta
secondaria 80 soggetti, di cui 40 maschi e 40
femmine (24 femmine intere e 16 femmine
sterilizzate). L’età media della popolazione è
stata di 110,63 mesi (intervallo (12-204 mesi)
con mediana di 120.
Il 34% dei soggetti è risultato affetto da
cataratta secondaria a PRA, il 30% da cataratta
senile, il 17% da cataratta diabetica, l’11% da
cataratta traumatica e l’8% da cataratta
secondaria ad uveite (Figura 4.5).
Le razze canine affette da cataratta secondaria
a eziologie varie sono presentate in tabella 4.7.
Tabella 4.7: Razze canine affette da cataratta secondaria (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).
Fig 4.5: Percentuali relative alle varie eziologie di cataratta secondaria riscontrate in questo studio (2012-2016).
Razze canine affette N°
soggetti
Percentuale
Meticcio
28
35%
Barboncino 8 10%
Labrador Retriever 6 7,50%
Cocker Spaniel
Setter Inglese
Breton
Jack Russell Terrier
Yorkshire Terrier
Bassotto
Beagle
Bolognese
Pinscher
Bulldog
Chihuahua
Chinese Crested Dog
Fox terrier
Lagotto
Levriero
Pointer
Setter Irlandese
Springer Spaniel
Siberian Husky
5
5
4
3
3
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
6,25%
6,25%
5,00%
3,75%
3,75%
2,50%
2,50%
2,50%
2,50%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
1,25%
Totale 80 100,00%
34%
30%
17%
11%
8%
II a PRA
Senile
Diabetica
Traumatica
II a uveite
74
4.3.2.1 Cataratta secondaria a atrofia progressiva della retina Ventisette soggetti sono stati colpiti da cataratta secondaria ad atrofia progressiva della retina
(PRA), fra i quali si nota una lieve prevalenza del sesso maschile, con 16 maschi contro 11
femmine (7 femmine intere e 4 femmine sterilizzate), colpiti dalla patologia.
L’età media dei soggetti affetti era di 88,44 mesi (intervallo: 36-132 mesi) con mediana di 84
mesi. La lesione si è presentata bilateralmente in 23 casi clinici, e monolateralmente in 4 casi,
per un totale di 50 occhi affetti. I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta incipiente
(17 occhi), cataratta immatura (7 occhi), cataratta matura (11 occhi) e cataratta ipermature (3
occhi). La localizzazione della patologia è risultata essere: corticale (18 occhi), subcapsulare
polare posteriore (3 occhi), subcapsulare polare posteriore e corticale (2 occhi), nucleare (1
occhio) e nucleocorticale (1 occhio).
Per alcuni pazienti, la mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima
dello stadio evolutivo (12 occhi) e della localizzazione (25 occhi).
Un paziente ha presentato una lussazione anteriore e monolaterale della lente, quale
complicazione della patologia.
La cataratta secondaria a PRA è stata riscontrata nelle seguenti razze canine:
- 7 Meticci; - 5 Barboncino; - 5 Cocker Spaniel; - 5 Labrador Retriever; - 2 Yorkshire Terrier
Le altre razze colpite sono state: il Chinese Crested Dog, il Jack Russel Terrier, e il Setter
Irlandese. L’insieme delle razze colpite sono presentate in tabella 4.8.
Tabella 4.8: razze canine affette da cataratta secondaria a PRA (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).
Razze canine affette N° soggetti Percentuale Età media
Meticcio 7 25,93% 85,71 (48-120) Barboncino 5 18,52% 93,6 (72-132) Cocker Spaniel 5 18,52% 110,4 (72-132) Labrador Retriever Yorkshire Terrier Chinested Crested Dog Jack Russell Terrier Setter Irlandese
5 2 1 1 1
18,52% 7,41% 3,70% 3,70% 3,70%
93,6 (36-120) 78 (60-96)
72 (-) 36 (-) 36 (-)
Totale 27 100,00% 88,44 (36-132)
75
4.3.2.2 Cataratta senile Ventiquattro cani hanno manifestato una cataratta senile, con una lieve prevalenza negli
individui di sesso femminile (15 femmine di cui 6 sterilizzate e 9 maschi).
L’età media dei soggetti colpiti era di 151 mesi (intervallo: 108-204 mesi) e mediana di 144
mesi.
La patologia si è manifestata a carattere bilaterale in 19 casi e monolaterale in 5 casi, per un
totale di 43 occhi affetti.
I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati i seguenti: cataratta incipiente (10 occhi), cataratta
immatura (4 occhi), cataratta matura (9 occhi), cataratta ipermatura (1 occhio), e cataratta in
fase di riassorbimento (1 occhio).
Relativamente alla localizzazione della cataratta, questa è risultata in sede corticale (11 occhi),
subcapsulare posteriore (1 occhio), nucleare (4 occhi). La mancanza dei dati presenti nella
cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio evolutivo (18 occhi) e della localizzazione
(27 occhi) per alcuni pazienti.
Le complicazioni oculari riscontrate sono state: l’uveite facolitica (8 occhi), la lussazione (1
occhio) e la sublussazione della lente (2 occhi).
Le principali razze canine affette da cataratta senile sono state le seguenti:
-7 Meticci;
-3 Barboncini;
- 2 Setter Inglese;
- 2 Pinscher.
Altri 11 cani sono risultati affetti e
appartenevano ognuno a ciascuna delle
seguenti razze: Bolognese, Breton,
Bouledogue francese, Chihuahua, Fox
Terrier, Jack Russell Terrier, Lagotto, Pointer,
Springer Spaniel e Yorkshire Terrier. (Tabella
4.9).
Tabella 4.9: razze canine affette da cataratta senile (in ordine decrescente sul numero di pazienti).
Razze canine affette N° Pazienti
Percentuale
Meticcio Barboncino Setter Inglese Pinscher Bolognese Breton Bouledogue Francese Chihuahua
7 3 2 2 1 1 1 1
29,16% 12,50% 8,32% 8,32% 4,17% 4,17% 4,17% 4,17%
Fox Terrier Jack Russel Terrier
1 1
4,17% 4,17%
Lagotto Pointer
1 1
4,17% 4,17%
Springer Spaniel Yorkshire Terrier
1 1
4,17% 4,17%
Totale 24 100,00
76
4.3.2.3 Cataratta diabetica Quattordici sono stati i soggetti risultati affetti da cataratta diabetica. Le femmine sono state
più colpite dei maschi (9 femmine, di cui 3 sterilizzate e 5 maschi).
I cani malati erano anziani, con un'età media di 120,87 mesi (intervallo: 84-180 mesi) e
mediana di 120 mesi.
Data l'eziologia della cataratta, questa si è manifestata a carattere bilaterale in tutti i soggetti
(28 occhi) e gli stadi evolutivi riscontrati sono stati: incipiente (4 occhi), immatura (5 occhi),
matura (10 occhi), ipermatura (2 occhi) e in fase di riassorbimento (1 occhio).
La sede di sviluppo della cataratta è stata corticale (8 occhi) e nucleocorticale (1 occhio). La
mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio
evolutivo (4 occhi) e della localizzazione (17 occhi) per alcuni pazienti.
Sono state, inoltre, riscontrate alcune complicazioni secondarie alla patologia, quali l’uveite
facolitica (5 occhi) e il glaucoma secondario (2 occhio).
La cataratta diabetica è stata diagnosticata in 10 cani Meticci, un Bassotto, un Beagle, un
Labrador Retriever e un Setter inglese (Tabella 4.10).
Tabella 4.10: razze canine affette da cataratta diabetica (in ordine decrescente sul numero di pazienti).
Razze canine affette Numero Percentuale
Meticcio
10
71,44%
Bassotto
Beagle
1
1
7,14%
7,14%
Labrador Retriever 1 7,14%
Setter Inglese
1
7,14%
Totale 14 100,00%
77
4.3.2.4 Cataratta traumatica
La cataratta traumatica è stata confermata in 9 soggetti (6 maschi e 3 femmine).
Quattro pazienti sono stati visitati in seguito ad un trauma da infissione, e cinque in seguito
ad un trauma ottuso. L’età media dei soggetti colpiti era di 56, 67 mesi (intervallo: 12-132
mesi) con mediana di 48.
Considerando l'origine traumatica della lesione, in tutti i casi clinici esaminati la cataratta si è
manifestata a carattere monolaterale (9 occhi).
Lo stadio evolutivo della patologia era incipiente (1 occhio) e immatura (1 occhio).
La cataratta traumatica si è manifestata in sede corticale e diffusa (3 occhi), corticale e
localizzata (1 occhio), capsulare anteriore focale (1 occhio). La mancanza dei dati presenti nella
cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio evolutivo (7 occhi) e della localizzazione
(4 occhi) per alcuni pazienti.
Altre lesioni oculari concomitanti alla cataratta sono state: glaucoma (1 occhio), sublussazione
del cristallino (1 occhio), uveite facolitica (1 occhio) e uveite facoclastica (1 occhio).
Le razze colpite da cataratta ad eziologia traumatica erano rappresentati da:
- 4 Meticci
- 2 Breton
oltre ad altri 3 pazienti di razza Jack Russell, Setter inglese e Siberian Husky (Tabella 4.11).
Tabella 4.11: razze canine affette da cataratta traumatica (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).
Razze canine affette Numero Percentuale
Meticcio
4
44,44%
Breton
Jack Russell Terrier
2
1
22,22%
11,11%
Setter Inglese 1 11,11%
Siberian Husky
1
11,11%
Totale 9 100,00%
78
4.3.2.5 Cataratta secondaria ad uveite: In 6 soggetti, di cui 4 maschi e 2 femmine (una femmina intera e una femmina sterilizzata), è
stata diagnosticata una cataratta secondaria ad uveite.
L’età media dei soggetti colpiti era di 106 mesi (intervallo: 60-156 mesi) con mediana di 102
mesi.
La presenza bilaterale della cataratta è stata confermata in 3 casi clinici; in altri 3 soggetti ha
assunto carattere monolaterale.
Gli stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta incipiente (2 occhi) e cataratta immatura (1
occhio).
La lesione è stata riscontrata in sede corticale (1 occhio) e capsulare anteriore (1 occhio). La
mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio
evolutivo (3 occhi) e della localizzazione (4 occhi) per alcuni pazienti.
In un paziente è stata osservata una sublussazione della lente catarattosa (1 occhio).
Nessuna razza ha prevalso su di un’altra in ordine di frequenza e i pazienti colpiti sono stati
raggruppati in tabella 4.12.
Tabella 4.12: razze canine affette da cataratta secondaria ad uveite (in ordine decrescente sul numero dei pazienti).
Razze canine affette Numero Percentuale
Bassotto
1
16,67%
Beagle
Breton
1
1
16,67%
16,67%
Bolognese 1 16,67%
Setter inglese
Levriero
1
1
16,67%
16,67%
Totale 6 100,00%
79
4.3.3 Cataratta ad eziologia dubbia
Per 19 casi clinici non è stato possibile, data la complessità del quadro clinico dei pazienti,
stabilire l’eziologia della cataratta, la quale è pertanto stata classificata come cataratta
dubbia. La ripartizione dei sessi coinvolti dalla patologia è risultata pressoché equa, con 14
pazienti di sesso maschile e 15 di sesso femminile (12 femmine intere e 3 femmine
sterilizzate). L’età media della popolazione era di 94,76 mesi (intervallo: 48-156 mesi) con
mediana di 96 mesi.
La cataratta dubbia è stata suddivisa in 2 gruppi principali:
- Dubbia tra cataratta primaria e
secondaria;
- Dubbia tra i vari tipi di cataratta
secondaria.
Il 59% dei soggetti appartenevano al
primo gruppo mentre, il 41% dei
soggetti appartenevano al secondo
(Figura 6).
Le razze canine prevalentemente
colpite sono presentate in tabella 4.13.
Tabella 4.13: numeri e percentuali delle razze canine affette da cataratta dubbia.
Fig. 6: Percentuali relative ai due gruppi di cataratta ad eziologia dubbia.
Razze Numero Percentuale
Meticcio Barboncino Pinscher
11 3 3
37,92% 10,34%
10,34% Cavalier King Charles S. 2 6,90% Cocker spaniel 2 6,90% Setter inglese 2 6,90% Carlino Cane Corso Jack Russell Pastore Tedesco Springer Spaniel Volpino Italiano
1 1 1 1 1 1
3,45% 3,45% 3,45% 3,45% 3,45% 3,45%
Totale 29 100,00%
60%
40%
Dubbiaprimaria vssecondaria
Dubbia fra lesecondarie
80
4.3.3.1 Cataratta ad eziologia dubbia fra primaria e secondaria
Fra i ventinove soggetti colpiti da cataratta ad eziologia dubbia, diciotto sono stati classificati
nel primo gruppo (cataratta dubbia primaria vs secondaria); fra essi erano presenti 10 soggetti
maschi e 8 femmine (2 femmine sterilizzate).
L’età media dei soggetti colpiti era 81,17 mesi (intervallo: 48-132 mesi) con mediana di 84
mesi.
La lesione si è presentata bilateralmente in 11 casi, e monolateralmente in 7 casi, per un totale
di 29 occhi affetti.
I vari stadi evolutivi riscontrati sono stati: cataratta immatura (9 occhi), matura (13 occhi) e
ipermatura (1 occhi).
La localizzazione della cataratta è stata: corticale (15 occhi), nucleocorticale (2 occhi), corticale
anteriore (1 occhio), corticale e sulle linee di sutura (1 occhi). La mancanza dei dati presenti
nella cartella clinica non ha permesso la stima dello stadio evolutivo (6 occhi) e della
localizzazione (10 occhi) per alcuni pazienti.
Tra le alterazioni oftalmiche associate alla cataratta, sono state riscontrate l’uveite facolitica
(5 occhi) e la lussazione della lente (2 occhio) e la microfachia (2 occhi). In particolare,
quest’ultima è stata manifestata bilateralmente da un pinscher. In un paziente non è stato
possibile determinare se la riduzione di volume dell’occhio fosse dovuta ad una tisi del globo
oculare o a una microftalmia dell’occhio stesso.
I 18 cani affetti da cataratta ad eziologia dubbia tra primaria e secondaria sono stati
rappresentati da:
- 6 Meticci; - 3 Barboncini; - 2 Cavalier King Charles
Spaniel; - 2 Pinscher.
Gli altri soggetti affetti
appartengono alle razze Carlino,
Corso, Jack Russel terrier, Setter
inglese e Volpino Italiano (Tabella
4.14).
Tabella 4.14: razze canine affette di cataratta dubbia (gruppo 1).
Razze canine affette Numero Percentuale
Meticcio Barboncino Cavalier King charles S.
6 3 2
33,33% 16,67% 11,10%
Pinscher 2 11,10% Carlino Cane Corso
1 1
5,56% 5,56%
Jack Russel Setter inglese Volpino Italiano
1 1 1
5,56% 5,56% 5,56%
Totale 18 100,00%
81
4.3.3.2 Cataratta ad eziologia dubbia fra le varie tipologie di cataratta secondaria Undici soggetti colpiti da cataratta ad eziologia dubbia, sono stati classificati nel secondo
gruppo (varie tipologie di cataratta secondaria), di cui 4 individui di sesso maschile e 7 di sesso
femminile (una sterilizzata).
L’età media stimata dei soggetti colpiti è stata di 114 mesi (intervallo: 72- 156 mesi) con
mediana di 114 mesi. La lesione si è presentata bilateralmente in 6 soggetti, e
monolateralmente in 4 pazienti, per un totale di 16 occhi affetti. I vari stadi evolutivi riscontrati
sono stati: cataratta immatura (5 occhi), cataratta matura (5 occhi) e cataratta ipermatura (2
occhi). La mancanza dei dati presenti nella cartella clinica non ha permesso la stima dello
stadio evolutivo (4 occhi) per alcuni pazienti. La patologia si è manifestata in sede corticale (5
occhi) e nucleocorticale (2 occhi). La localizzazione non è stata stabilita per 9 occhi. Due
pazienti hanno, inoltre, riportato un'uveite facolitica monolaterale quale conseguenza di un
avanzato stadio di maturazione della cataratta. La lente era sublussata posteriormente e a
carattere monolaterale in un soggetto e sublussata bilateralmente in un paziente. Tuttavia,
tali alterazioni di posizione della lente non potevano ritenersi delle vere e proprie
complicazioni della cataratta, in quanto non è stato possibile stabilire l’ordine cronologico
delle due patologie, data la mancanza di visite oculistiche antecedenti a quella del presente
studio clinico. La cataratta è stata dunque classificata come dubbia e appartenente al presente
gruppo, relativo alla categoria delle cataratte secondarie ad eziologia da definire.
Nello specifico, i cani colpiti da cataratta secondaria ad eziologia dubbia sono stati i seguenti:
- 5 Meticci; - 2 Cocker Spaniel Altre razze canine affette sono
state rappresentate dal Pastore
Tedesco, il Pinscher, il Setter
Inglese e lo Springer Spaniel in
numero di un singolo paziente per
ciascuna delle suddette razze.
(Tabella 4.15).
Tabella 4.15: razze canine affette da cataratta dubbia (Gruppo 2).
Razze Numero Percentuale
Meticcio Cocker Spaniel Pastore Tedesco
5 2 1
45,46% 18,18% 9,09%
Pinscher 1 9,09% Setter inglese 1 9,09% Springer spaniel
1
9,09%
Totale 11 100,00%
82
4.4 Lesioni oculari indotte dalla cataratta Nel presente studio sono state riscontrate varie complicazioni conseguenti alla presenza di
cataratta. In particolare, le complicazioni osservate sono state:
- L’uveite facolitica;
- L’uveite facoclastica;
- La sublussazione/lussazione della lente;
- Il glaucoma secondario.
Le complicazioni osservate nell’ambito di ogni specifica eziologia della patologia sono state
riassunte in tabella 4.16.
Uveite facolitica (N°occhi affetti)
Uveite Facoclastica
(N°occhi affetti)
Sub/Lussazione della lente
(N°occhi affetti)
Glaucoma secondario
(N°occhi affetti)
Ereditaria 7 - 1* - Congenita 1 - - - IIa PRA - - 1 - Senile Diabetica Traumatica IIa uveite Dubbia gruppo 1 Dubbia gruppo 2
8 5 - - 5 2
- - 2 - - -
3 -
1* 1 2
3*
- 2
1* - -
Totale 28 2 12 3
Tabella 4.16: complicazioni oculari conseguenti alla presenza di cataratta (*Altre cause eziologiche possibili).
83
4.5 Discussioni
La cataratta è una tra le patologie oculari più frequentemente osservate nel cane. Le
numerose cause eziologiche, la variabilità della manifestazione clinica e il differente grado di
progressione delle varie tipologie di cataratta, fanno di essa una delle principali cause di cecità
nella specie canina (Kalaka et al., 2017).
Questo dato statistico trova riscontro nel presente studio clinico, secondo cui il 16,38% sul
totale di 1062 pazienti esaminati tra il 2012 e il 2016 presso l’ambulatorio di oftalmologia
dell'Ospedale Didattico Veterinario “M. Modenato” di Pisa, è risultato affetto da cataratta ad
eziologia varia. Uno studio clinico, condotto in Francia, relativo alla prevalenza della cataratta
nel cane, ha invece riportato valori percentuali, statisticamente inferiori, in quanto stimati al
14,7% sul totale di 2739 esaminati dal 2009 al 2012 da Donzel et al., (2017).
Complessivamente, la popolazione canina, oggetto di questo studio clinico, risulta costituita
da 132 soggetti appartenenti a differenti razze canine e da 42 cani meticci, a dimostrazione di
come la cataratta, nel cane, possa rappresentare una patologia oculare con predisposizione
razziale (Mazzucchelli & Peruccio, 2004).
Sul totale dei pazienti affetti da cataratta ad eziologia varia, gli individui di sesso maschile
hanno statisticamente prevalso sulle femmine, in accordo con quanto descritto
precedentemente da Donzel et al., (2017). Tuttavia, altri studi clinici, condotti da Park et al.,
(2009) hanno evidenziato, in relazione al sesso dei pazienti, risultati contrari, in base ai quali,
infatti, le femmine affette erano statisticamente maggiori rispetto ai maschi. Infine, secondo
ulteriori indagini cliniche, la cataratta nel cane ha fatto registrare valori percentuali
equamente distribuiti per entrambi i sessi (Gelatt & Mackay, 2005), salvo alcune eccezioni
relativamente a specifiche cause eziologiche della patologia. Prevale nel maschio ad esempio,
nel caso di una cataratta secondaria a una particolare forma di PRA, quest'ultima a
trasmissione in modalità X-linked (XLPRA1) descritta nel Samoiedo e nel Siberian Husky (Gelatt
et al., 2013). Prevale nel sesso femminile nel caso di una cataratta diabetica, in quanto
l'endocrinopatia, nel cane, è stata prevalentemente riscontrata nelle femmine intere,
conseguentemente ad una condizione di insulino-resistenza, favorita in parte dall'azione
metabolica del progesterone (Catchpole et al., 2005).
Infine, se si considera la cataratta primaria ereditaria, ovvero la forma più comune di cataratta
nel cane, nella maggior parte delle razze canine predisposte, si presume che la sua
84
trasmissione genetica sia prevalentemente di tipo autosomico recessivo (Gelatt, 1999; Adkins
& Hendrix, 2003; Gelatt & Mackay, 2005; Wallace et al., 2005; Baumworcel et al., 1009),
secondo cui, infatti, entrambi i sessi possono indifferentemente risultare portatori della
patologia o manifestarla clinicamente. In sintesi, nella specie canina, risultano diverse le
oculopatie ereditarie scatenanti una cataratta secondaria (PRA, displasia retinica, glaucoma,
lussazione della lente), per le quali è stata riconosciuta una trasmissione di tipo autosomico
recessivo o dominante che, ai fini della prevalenza della malattia, non riconoscono alcuna
predisposizione legata al sesso (Gelatt & Mackay 2005).
L’età media della popolazione canina da noi osservata e affetta da cataratta ad eziologia varia,
è risultata di 80,22 mesi (intervallo: 2-204 mesi), in linea con quanto riportato da altri autori
(Park et al., 2009; Donzel et al., 2017) e la patologia della lente si è manifestata
prevalentemente a carattere bilaterale, come è stato possibile osservare in studi clinici
antecedenti (Park et al.2009; Donzel et al., 2017), in funzione anche della causa eziologica
statisticamente predominante.
Nello specifico, le varie tipologie di cataratta canina, diagnosticate all'interno del nostro
studio, in ordine decrescente di frequenza, sono risultate le seguenti: cataratta ereditaria
(26%), secondaria a PRA (16%), senile (14%), congenita (11%), diabetica (8%), traumatica (5%)
e in ultimo la cataratta secondaria a uveite (3%). Tuttavia, nel 17% dei casi esaminati, la
patologia è stata classificata come cataratta ad eziologia dubbia, a causa della mancanza di
dati anamnestici attendibili, del rifiuto da parte dei proprietari di sottoporre il paziente a
indagini cliniche complementari e del mancato follow-up per alcuni soggetti affetti.
4.5.1 Cataratta primaria Nell'ambito della cataratta di origine primaria e analogamente a quanto già descritto in
letteratura, anche nel presente studio, la cataratta ereditaria si è confermata come la tipologia
più frequente di cataratta nel cane (Davidson & Nelms, 1999; Gelatt, 2013; Ricketts et al.,
2015). Sul totale dei pazienti con cataratta primaria, la forma ereditaria della malattia ha
riportato una percentuale di soggetti affetti pari al 71%; il restante 29% è risultato affetto da
cataratta primaria congenita.
Le razze canine più interessate dalla cataratta ereditaria sono rappresentate dal Labrador
Retriever, il Golden Retriever, il Jack Russell Terrier, il Cocker Spaniel, il Bouledogue Francese
85
e il Cavalier King Charles Spaniel, così descritti in ordine decrescente sul numero di pazienti
affetti.
Nel Labrador Retriever, la cataratta ereditaria rappresenta una delle oculopatie più
frequentemente osservate (Mazzucchelli & Peruccio, 2004) e l’opacità della lente si manifesta
prevalentemente in sede subcapsulare posteriore o corticale (Mazzucchelli & Peruccio, 2004).
Questo studio clinico ha infatti confermato le sedi più frequentemente associate alla cataratta
nel Labrador Retriever, quella a livello subcapsulare posteriore e quella corticale a cui si
aggiunge la forma a carico delle linee di sutura posteriori. Differentemente dalla maggior parte
delle razze canine, per le quali la cataratta ereditaria rappresenta una patologia oculare a
carattere autosomico recessivo (Gelatt, 1999; Adkins & Hendrix, 2003; Gelatt 6 Mackay, 2005;
Wallace et al., 2005; Baumworcel et al., 2009), per il Labrador Retriever è stato, invece,
ipotizzato che la mutazione del gene responsabile della cataratta sia trasmessa in modo
autosomico dominante, a penetranza incompleta (Curtis & Barnett, 1989). Secondo questa
ipotesi, i pazienti affetti da cataratta ereditaria subcapsulare posteriore, a carattere
stazionario, rappresenterebbero i soggetti eterozigoti, mentre gli individui omozigoti
tenderebbero a sviluppare, in tempi variabili, una cataratta corticale progressiva (Gelatt,
1999).
I pazienti di razza Labrador Retriever del presente studio, affetti da cataratta ereditaria,
avevano un'età media di 20,57 mesi, la quale corrisponde, in questa razza, ad una delle due
fasce di età con maggior rischio di sviluppo della patologia ovvero dai 6 ai 18 mesi di vita
(Turner & Bouhanna, 2010).
Il Golden Retriever rappresenta, in ordine di frequenza, la seconda razza affetta da cataratta
ereditaria. In questa razza si presume che la mutazione genetica alla base della cataratta
ereditaria, sia generalmente simile a quanto descritto precedentemente per il Labrador
Retriever e anche la presentazione clinica della patologia è sovrapponibile (Curtis & Barnett,
1989; Gelatt, 1999). Nel nostro studio la localizzazione della cataratta è risultata pressoché
identica a quella osservata nel Labrador Retriever, contando nel totale, 2 occhi affetti da
cataratta corticale e 5 occhi da cataratta subcapsulare posteriore. Riguardo l’età media dei
soggetti, questa è risultata di 27,6 mesi, analogamente a quanto riportato in letteratura da
Turner & Bouhanna (2010).
86
Nel Jack Russel Terrier, l’età media dei soggetti colpiti è stata di 53,75 mesi (11-84 mesi) e tutti
i pazienti hanno presentato una cataratta ereditaria a localizzazione corticale, in accordo con
quanto descritto per la razza da Donzel et al., (2017).
Nel Cocker Spaniel, la cataratta ereditaria compare sia precocemente (in età inferiore ai 72
mesi di vita), sia come una patologia tardiva (dopo i 72 mesi di vita), in relazione
probabilmente alla a processi genetici multipli (Engelhardt et al., 2007). A riguardo, uno studio
eseguito in Germania ha evidenziato la predisposizione, nel Cocker Spaniel allo sviluppo di due
tipi di cataratta primaria (Rubin, 1989). La prima tipologia di cataratta si sviluppa in sede
corticale posteriore, generalmente bilaterale e a lenta evoluzione, che può insorgere
nell'animale in età giovanile (entro i 72 mesi di età), o in età adulta (successivamente ai 72
mesi di età). In particolare, la forma giovanile colpisce entrambi i sessi in percentuali analoghe,
mentre la forma tardiva della patologia sembra avere una maggiore frequenza nei soggetti di
sesso femminile (Engelhardt et al., 2008). La seconda tipologia di cataratta ereditaria descritta
nel Cocker Spaniel rappresenta una forma di cataratta a localizzazione nucleare, che si
manifesta clinicamente intorno ai 18 mesi di vita del paziente; per quest'ultima forma di
cataratta ereditaria non sono riportate prevalenze statistiche relative al sesso degli individui
affetti (Engelhardt et al., 2008).
Nel presente studio, l’età media degli individui di razza Cocker Spaniel affetti da cataratta
ereditaria è risultata di 54 mesi (48-60 mesi). I pazienti sono stati colpiti prevalentemente dalla
forma nucleare (3 pazienti colpiti), seguita dalla localizzazione a carico delle linee di sutura
posteriori (1 paziente colpito). La cataratta è stata bilaterale in tutti i soggetti colpiti.
Il Bouledogue Francese rappresenta una delle razze predisposte allo sviluppo della cataratta
ereditaria (Baumworcel et al., 2009; Mellersh et al., 2009). Per questa razza è stata identificata
una mutazione del gene HSF4, responsabile della patologia e per la quale sono stati resi
disponibili degli appositi test genetici ai fini della prevenzione (Mellersh et al., 2009; Mellersh,
2014; Ricketts et al., 2015), come già descritto nel capitolo 3. I soggetti di razza Bouledoge
Francese del nostro studio hanno riportato, al momento della visita, un'età media di 32 mesi
(12-48 mesi) e la cataratta si è presentata corticale e bilaterale in due pazienti, e subcapsulare
posteriore a carattere monolaterale in uno di essi.
I 3 soggetti di razza Cavalier King Charles Spaniel colpiti da cataratta ereditaria hanno riportato
un'età media di 48 mesi (24-80 mesi) e in tutti, la patologia si è manifestata in sede corticale.
87
Come per i Bouledogue francesi, anche nei Cavalier King Charles Spaniel la cataratta si è
manifestata bilateralmente in 2 pazienti e monolateralmente in un singolo soggetto. Tuttavia,
in assenza di controlli periodici successivi, per quest'ultimo paziente non è possibile escludere
l'eventualità di un'insorgenza futura della cataratta nell'occhio esente al momento della visita,
data la manifestazione generalmente bilaterale e la progressione asimmetrica della cataratta
ereditaria (Turner & Bouhanna, 2010).
Per una parte delle restanti razze oggetto di studio, comprendente il Barbone Nano, il Carlino,
il Pinscher e lo Shiba Inu, insieme al gruppo dei meticci, il valore di soggetti colpiti è stato
equamente del 4,35% sul totale di 46 pazienti affetti da cataratta ereditaria.
In letteratura, la cataratta ereditaria nel Barbone Nano è stata frequentemente descritta, il
che suggerisce come questa razza risulti predisposta allo sviluppo della malattia (Peruccio,
1987; Gelatt & MacKay, 2005; Baumworcel et al., 2009; Park et al., 2009; Donzel et al., 2017).
Tuttavia, i Barboni Nani esaminati avevano un’età media inferiore (72 mesi) rispetto a quanto
descritto in letteratura, che descrive, per la razza, un picco di prevalenza dei soggetti affetti
tra i 120 e i 156 mesi di vita (Gelatt & MacKay, 2005; Baumworcel et al., 2009; Park et al.,
2009; Donzel et al., 2017). La patologia si è manifestata in sede corticale in accordo con quanto
descritto da altre fonti (Peruccio, 1987; Gelatt & Mackay, 2005).
Si riporta inoltre che i soggetti meticci sono stati meno frequentemente colpiti da cataratta
primaria, analogamente a quanto riportato finora in letteratura (Gelatt & Mackay, 2005;
Donzel et al., 2017).
Infine, altre razze canine affette, rappresentate ciascuna da un singolo esemplare sono state
l’Alaskan Malamute, il Barbone, il Barbone Toy, il Basset Griffon, il Bolognese, il Border Collie,
il Greyhound, il Setter Inglese, lo Springer Spaniel e il Volpino.
In sintesi, anche nel nostro studio, la cataratta primaria ereditaria si classifica come la tipologia
più frequentemente osservata nella specie canina, coinvolgendo differenti razze e
manifestandosi nei pazienti in età giovanile con una media di 42,28 mesi. Come riscontrato
nella maggior parte dei casi, la manifestazione bilaterale della patologia determina, in tempi
variabili, un grave deficit visivo, anche se, la progressione della cataratta ereditaria è
asimmetrica nei due occhi (Turner & Bouhanna, 2010).
La cataratta congenita consegue ad uno sviluppo anomalo delle fibre embrionarie primarie o
secondarie e risulta pertanto manifesta già alla nascita del soggetto.
88
La patologia può essere a carattere ereditario o derivare dall’esposizione delle strutture
embrionarie all'azione di un agente tossico o infettivo durante lo sviluppo fetale (Carmichael
et al., 1965; Koch & Rubin, 1967). La cataratta congenita, inoltre, può presentarsi come una
patologia associata ad anomalie oculari multiple o alla persistenza del sistema vascolare
perilenticolare embrionario (Peruccio, 1987).
Nel presente studio, la cataratta primaria di tipo congenito è stata riscontrata per una
percentuale pari all’11% del totale dei pazienti malati. L’età media dei soggetti colpiti è
risultata pari a 21,86 mesi (intervallo: 2-72 mesi), in linea con quanto descritto da altri autori
(Donzel et al., 2017).
Le tre razze più frequentemente colpite sono state il Labrador Retriever, lo Shiba Inu e il Jack
Russel Terrier.
Fra i pazienti affetti da cataratta primaria congenita, il 37% ha riportato anomalie oculari
multiple associate, tra questi il Jack Russel Terrier, l’Alaskan Malamute, il Cocker Spaniel, il
Golden Retriever, il Labrador Retriever e mettici.
Nel presente studio, un singolo soggetto femmina di Labrador Retriever, di 24 mesi, visitato
per la diagnosi ufficiale delle oculopatie ereditarie di probabile origine genetica, ha presentato
una cataratta congenita associata a displasia retinica focale.
Nel Cocker Spaniel, è stata descritta in letteratura la predisposizione allo sviluppo di una
cataratta congenita associata a displasia retinica (Ashton et al., 1968; Carrig et al., 1977;
Meyers et al., 1983; Olesen et al., 1974; Rubin, 1963, 1968) ma nel presente studio non è stata
osservata tale associazione patologica. Un singolo soggetto maschio di Cocker Spaniel di 6
mesi, sottoposto alla visita oftalmologica, ha altresì riportato una cataratta bilaterale
congenita associata a microftalmia bilaterale. Interessante notare come un quadro clinico
analogo è stato anche osservato in una cucciolata di Cocker Spaniel, dello studio clinico
condotto da Strande et al., nel 1988.
In un singolo cane meticcio, di 3 mesi, è stata confermata la presenza di una cataratta
nucleocorticale bilaterale, associata ad una microftalmia e una displasia retinica altrettanto
bilaterali. Considerando il complesso quadro clinico del paziente, è stata ipotizzata
l'espressione fenotipica del cosiddetto gene “Merle” responsabile della "merle ocular disease"
o MOD, riportata in letteratura per alcuni cani meticci (Hendrix, 2013). Questa patologia,
comprende un insieme di anomalie oculari congenite variabilmente associate fra esse, come
89
la microftalmia, la microcornea, le anomalie dell’iride (coloboma o ipoplasia), la discoria, la
persistenza della membrana pupillare, le anomalie della lente (microfachia, cataratta,
coloboma, lussazione/sublussazione), i difetti della sclera (stafiloma) e i difetti retinici
(displasia retinica o distacco di retina). Inoltre, alcuni soggetti malati, possono presentare vari
gradi di sordità congenita (Gwin et al., 1981).
Inoltre, un Golden retriever di 12 mesi, affetto da una displasia retinica bilaterale e un Alaskan
Malamute di 8 mesi con microftalmia e microfachia bilaterale sono stati riscontrati nel corso
del nostro studio. Infine, sono stati visitati due Jack Russel Terrier, uno di 24 mesi con
un’alterazione morfologica monolaterale della lente e l’altro di 36 mesi con una microfachia
monolaterale.
La cataratta congenita è stata anche riscontrata, con una percentuale pari al 47% del totale
dei malati, associata a persistenza delle strutture embrionarie. Tra queste quelle più
frequentemente riscontrate nello studio sono state: la persistenza della membrana pupillare
(PPM), la persistenza del vitreo primario iperplastico (PHPV) e la persistenza della tunica
vascolare iperplastica della lente associata alla persistenza del vitreo primario iperplastico
(PHTVL/PHPV).
Per PPM si intende un’anomalia oculare congenita caratterizzata dalla mancata involuzione
della membrana pupillare, e dalla conseguente presenza di filamenti di tessuto mesodermico,
che originano dalla porzione media dell’iride e si dirigono verso la superficie anteriore
dell’iride stessa (Davidson & Nelms, 1999). Se queste strutture filamentose aderiscono alla
capsula anteriore del cristallino, possono determinare la comparsa di una cataratta, localizzata
proprio a livello delle aree del cristalloide anteriore con cui aderiscono i filamenti (Peruccio,
1987; Davidson & Nelms, 1999).
La PPM colpisce molte razze canine (Grahn et al., 2004) ma non è ritenuta una patologia
oculare a carattere ereditario, eccezion fatta per il Basenji (Barnett & Knight, 1969; Bistner et
al., 1971; Martin, 1978; Priester, 1972; Roberts & Bistner, 1968; Strande et al., 1988; Turner
& Bouhanna, 2010). Nello studio, un soggetto maschio, di Cavalier King Charles Spaniel di 36
mesi ha riportato una cataratta congenita associata a PPM iride-lente in forma monolaterale,
mentre 3 soggetti di Shiba Inu di 2,5 mesi, appartenenti alla stessa cucciolata, ne sono risultati
affetti bilateralmente. Per questi ultimi, inoltre, è stato formulato il sospetto di una
microftalmia bilaterale concomitante associata. Non è stato tuttavia possibile confermare la
90
diagnosi dell'anomalia oculare, in quanto i pazienti non sono stati rivisitati durante
l'accrescimento.
La PHPV si è manifestata bilateralmente in un maschio e in una femmina di 18 mesi, entrambi
Labrador Retriever, razza nella quale è descritta la predisposizione allo sviluppo di PHPV e di
PHTVL/PHPV (Curtis et al., 1984). La PHTVL/PHPV è stata invece osservata in due Pinscher
maschi di 72 mesi e in un soggetto Dobermann maschio della stessa età. Per il Dobermann si
presume che la patologia implichi una modalità di trasmissione genetica autosomica
dominante a penetranza incompleta (Stades, 1983; Curtis et al., 1984), secondo cui, in alcuni
casi, il genotipo responsabile della patologia non si manifesta clinicamente nel soggetto,
aumentando conseguentemente il rischio di una maggiore diffusione della malattia.
4.5.2 Cataratta secondaria La cataratta secondaria ad atrofia progressiva della retina (PRA) rappresenta, per la
percentuale dei soggetti affetti, la seconda tipologia di cataratta più frequentemente riportata
nello studio in questione, coinvolgendo il 16% del totale dei pazienti (corrispondente al 34%
del totale della cataratta di origine secondaria). La diagnosi della patologia retinica e
conseguentemente della cataratta associata, è stata formulata sulla base dei dati anamnestici
dei pazienti, della presentazione clinica e dei segni clinici oculari osservati mediante esame
oftalmoscopico indiretto e confermata tramite l’esecuzione di un’elettroretinografia (ERG).
Tuttavia, i cani con un’opacità del cristallino tale da impedire la visualizzazione del fondo
dell’occhio e con una sospetta PRA (perché ad esempio presentavano un PLR rallentato e/o
una midriasi ambientale), non confermata da un ERG sono stati classificati nel gruppo della
cataratta dubbia. Di conseguenza, è possibile che nel presente studio la prevalenza della
cataratta associata a PRA sia stata sottostimata.
Si riconoscono diverse forme di PRA, classificate a seconda delle modalità di insorgenza,
dipendenti da mutazioni genetiche differenti (Peruccio, 2010; Mellersh, 2014). Nello specifico,
la PRA può essere ad insorgenza precoce o ad insorgenza tardiva. In questo studio,
prevalentemente colpiti sono risultati i Meticci (età media: 85,71 mesi) e le seguenti razze: il
Barbone Nano (età media: 93 mesi); il Cocker Spaniel (età media: 110 mesi); il Labrador
Retriever (età media: 93 mesi), lo Yorkshire Terrier (età media: 78 mesi), il Chinese Crested
Dog (età media: 72 mesi), il Jack Russel Terrier (età media: 36 mesi), e il Setter Irlandese (età
91
media: 36 mesi). Come osservato precedentemente da altri autori (Adkins & Hendrix, 2005;
Kraijer-Huver et al., 2008; Gaiddon et al., 1995), anche nel presente studio la cataratta
secondaria a PRA è stata riscontrata prevalentemente nel Barbone Nano, nel Labrador
Retriever e nel Cocker Spaniel (Donzel et al., 2017).
Il Chinese Crested Dog, il Cocker Spaniel, il Labrador Retriever, il Barbone Nano e lo Yorkshire
Terrier rappresentano le razze canine a rischio di sviluppo della prcd-PRA (Progressive Rod
Cone Degeneration), ovvero la forma di atrofia progressiva della retina ad insorgenza tardiva
(Peruccio, 2010; Gelatt et al., 2013). Questo aspetto rappresenta una delle principali
problematiche relative all'ereditarietà della patologia oculare, in quanto anche gli individui
giovani, ma sessualmente maturi e possibili portatori asintomatici, non vengono
tempestivamente esclusi dalla riproduzione.
Nel Barbone Nano, il numero di soggetti affetti da PRA è infatti aumentato nel corso degli anni
(Priester, 1974). I primi segni della patologia, quali deficit visivo notturno e la midriasi a luce
ambientale, si osservano generalmente intorno ai 36-60 mesi di vita. La perdita completa della
funzione visiva si instaura nel paziente in tempi più o meno lunghi, ma nella maggior parte dei
casi, si completa intorno ai 60-84 mesi (Gelatt et al., 2013).
Nel presente studio, 5 Barboni Nani hanno sviluppato una cataratta secondaria a PRA, con
differenti stadi evolutivi, riportando al momento della visita un'età media di 93,6 mesi (72-132
mesi), in linea con quanto riportato dalla letteratura scientifica (Gelatt et al., 2013).
Nel Cocker Spaniel, differentemente da altre razze canine, le alterazioni retiniche conseguenti
alla PRA si manifestano intorno ai 48-96 mesi di età e la cataratta secondaria insorge
generalmente nelle fasi iniziali del processo patogenetico dell'atrofia retinica (Gelatt et al.,
2013). L’età media dei 5 Cocker Spaniel colpiti da cataratta secondaria a PRA in questo studio
era di 110,4 mesi (intervalli: 72-132) e la patologia lenticolare si è manifestata bilateralmente
in tutti i pazienti, in sede prevalentemente corticale e nucleocorticale, analogamente a quanto
riportato da Donzel et al., (2017).
Nel Labrador Retriever, i primi segni clinici della PRA compaiono intorno ai 48-72 mesi e
progrediscono fino alla perdita totale della funzionalità retinica verso i 72-96 mesi (Gelatt et
al., 2013). Nel presente studio, i 5 pazienti di razza Labrador Retriever, affetti da cataratta
secondaria a PRA, hanno riportato un’età media di 93,6 mesi (36-120 mesi).
92
In un singolo paziente la cataratta, al momento della visita si presentava monolaterale e in
sede subcapsulare polare posteriore.
Nel presente studio, un singolo Setter Irlandese di 36 mesi è stato colpito da cataratta
secondaria a PRA. In particolare per questa razza è stato identificato il gene PDE6B, il quale è
a trasmissione autosomica recessiva ed è responsabile della displasia cono-bastoncelli (Rod
cone dysplasia type 1 (rcd1)) (Gelatt et al., 2013) una forma di PRA ad insorgenza precoce
(Mellersh, 2014).
La cataratta secondaria a PRA è stata diagnosticata, mediante oftalmoscopia indiretta anche
in un Jack Russel Terrier di 36 mesi. Per questa razza tuttavia non è presente, ad oggi, un test
genetico in grado di identificare la presenza del gene responsabile (www.optigen.com;
www.antagene.com; www.animalnetwor.com.au; www.laboklin.de; www.vhlgenetics.com).
Si nota infine che, nonostante la predisposizione genetica di alcune razze canine allo sviluppo
della PRA (Turner & Bouhanna, 2010), nel presente studio, anche i cani meticci hanno
riportato in percentuali statisticamente elevate la patologia.
In sintesi, la PRA rappresenta una patologia retinica invalidante, a carattere bilaterale, che
generalmente evolve nel paziente in maniera simmetrica e che può insorgere in forma precoce
o tardiva (Turner & Bouhanna, 2010). Pertanto, i soggetti affetti da PRA possono presentarsi
apparentemente sani all’inizio della loro attività riproduttiva, incrementando il rischio di
nascite di soggetti malati o portatori. E' bene inoltre ricordare che data la variabilità di
trasmissione ereditaria (autosomica recessiva, autosomica dominante, X-linked) e la gravità
della patologia retinica, in Italia, secondo le linee guida FSA, relative alla prevenzione delle
oculopatie di probabile origine genetica nel cane, per la PRA non è ammessa la riproduzione
del soggetto affetto, dei suoi parenti e della sua progenie (https://www.fsa-vet.it/;
www.sovi.it/).
Nell'ambito dell'oftalmologia veterinaria, la cataratta senile rappresenta un reperto clinico
frequente nel cane anziano (Gelatt et al., 2013). Essa è classificata come tale quando l’animale
di grossa taglia la sviluppa mediamente intorno ai 72 mesi di età o quando l’animale è di
piccola taglia intorno ai 120 mesi di vita (Gelatt et al., 2013). Inoltre, la diagnosi di cataratta
senile è certa se, al momento della visita clinica, è possibile escludere altre possibili cause
eziologiche della cataratta (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013).
93
Nel presente lavoro si nota una prevalenza inferiore della cataratta senile (14%) rispetto a
quanto riportato da Donzel et al., nel 2017 (22,8%). Il processo patogenetico alla base di
questo tipo di cataratta è attualmente sconosciuto (Gelatt et al., 2013), ma si ipotizza che la
sua insorgenza esiti dai danni ossidativi a carico della lente (Gelatt et al., 2013). L’età media
della popolazione canina da noi osservata colpita da detta lesione è risultata di 151 mesi
(intervallo: 108-204 mesi), in accordo con quanto descritto da Donzel et al., nel 2017. Le razze
prevalentemente colpite sono state: il Barbone Nano, il Setter Inglese, il Pinscher, il Bolognese,
il Breton, il Bouledogue Francese, il Chihuahua, il Fox Terrier, il Jack Russell Terrier, il Lagotto,
il Pointer, lo Springer Spaniel e lo Yorkshire Terrier. Anche i meticci hanno manifestato questo
tipo di cataratta.
La cataratta senile generalmente può manifestarsi in sede nucleare, corticale o coinvolgerle
entrambe (Peruccio, 1987). La localizzazione della lesione è particolarmente importante ai fini
della prognosi. La forma senile nucleare, salvo nelle forme avanzate, non rappresenta una
patologia di grave entità per il soggetto affetto, poiché caratterizzata generalmente da una
lenta progressione e da una prognosi piuttosto favorevole per la funzione visiva. Al contrario,
la cataratta senile corticale ha una progressione rapida e la prognosi per la funzione visiva è da
considerarsi sempre riservata (Peruccio, 1987). In questo studio, la forma corticale ha prevalso
su quella nucleare. Inoltre, la patologia si è presentata prevalentemente a carattere bilaterale.
Nel cane, il diabete mellito rappresenta una delle più frequenti patologie di natura endocrina
(Davidson, 1999) e si caratterizza spesso per l'insorgenza, più o meno rapida, di una cataratta
secondaria (Basher & Roberts, 1995; Beteg, 2008; Cook, 2008). Secondo quanto emerso dalla
nostra indagine clinica, la cataratta diabetica ha interessato soltanto una bassa percentuale di
pazienti affetti da cataratta, stimata all‘8% sul totale.
Data l'eziologia, la cataratta diabetica si è manifestata a carattere bilaterale, come osservato
anche da altri autori (Peruccio, 1987; Gelatt et al., 2013). Lo stadio evolutivo di questo tipo di
lesione più riscontrato, in questo studio, è stato quello di tipo maturo, a dimostrazione della
rapida evoluzione della patologia (Peruccio, 1987; Martin et al., 2010; Turner & Bouhanna,
2010; Kalaka et al., 2017; Donzel et al., 2017). La cataratta diabetica può esitare nello sviluppo
di complicazioni oculari secondarie, quali l'uveite facolitica, la rottura della lente o il glaucoma
(Turner & Bouhanna, 2010). Esistono in commercio alcuni farmaci inibitori dell'aldoso-
reduttasi che dovrebbero rallentare l’evoluzione della patologia (Peruccio, 1987; Sato et al.,
94
1991) anche se, una volta completato il grado massimo di maturazione della cataratta la
terapia medica perde ogni sua efficacia e il trattamento chirurgico rappresenta l'unica
alternativa valida (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999).
I cani affetti da diabete mellito nel nostro studio, avevano un'età media di 120,87 mesi
(intervallo: 84-180 mesi), in accordo con quanto riportato da Donzel et al., nel 2017, poiché,
la patologia insorge generalmente in età avanzata, intorno ai 120-180 mesi (Guptill et al.,
2003). Secondo alcuni studi clinici il Barbone Nano, i cani da caccia, i meticci e le razze sportive,
hanno un maggiore rischio di sviluppare una cataratta diabetica rispetto ai Terriers, alle razze
toy e ai brachicefali (Davidson, 1999). Nel presente studio, i meticci sono stati i cani più colpiti,
seguiti dai cani di razza Bassotto, Beagle, Labrador Retriever e Setter Inglese, come riportato
anche da Davidson (1999). La tendenza del Labrador Retriever a sviluppare una cataratta
diabetica è stata anche descritta da Moeller et al. (2011), Kalaka et al (2015).
Nel presente studio, la cataratta traumatica, così come quella secondaria ad uveite, ha
rappresentato una delle tipologie di cataratta meno osservate nel cane.
La cataratta traumatica ha colpito il 5% dei pazienti prevalentemente giovani, con un'età
media di 56,67 mesi (intervallo: 12-132 mesi).
Generalmente in letteratura la cataratta traumatica è stata descritta come una lesione a
carattere monolaterale (Peruccio, 1987) come effettivamente osservato in questo studio.
Essa può svilupparsi come la conseguenza di un trauma ottuso oculare (Peruccio, 1987;
Davidson et al., 1991; Thayananuphat, 2015; Mancuso & Hendrix, 2016) o in seguito alla
rottura della lente dovuta alla penetrazione di un corpo estraneo acuminato attraverso la
capsula (artiglio di gatto, spina di una pianta ecc.) (Peruccio, 1987; Severin 1976; Magrane,
1977; Davidson et al., 1991; Gelatt, 1999; Thayananuphat, 2015; Mancuso & Hendrix, 2016).
Nel nostro studio 5 soggetti hanno riportato una cataratta traumatica conseguente ad un
trauma ottuso mentre 4 pazienti sono stati riferiti a seguito di un trauma oculare da infissione.
Di questi, una femmina Breton e un meticcio femmina di 12 mesi, hanno riportato ad un occhio
una lesione da graffio e presentavano rispettivamente una cataratta capsulare anteriore
localizzata e una cataratta corticale localizzata, entrambe confermate stazionarie ai successivi
follow-up. Data la localizzazione e il carattere stazionario delle due lesioni, il trauma indotto
dal graffio è stato considerato di lieve entità. È infatti riportato in letteratura che un trauma
da infissione non penetrante l'intero spessore della lente, ma localizzato nella porzione più
95
superficiale, può col tempo cicatrizzare, determinando la formazione di una cataratta di tipo
focale come esito finale dell'insulto traumatico (Adkins & Hendrix, 2003). Qualora la lesione
traumatica coinvolga lo spessore della lente per più di 1,5 mm, si instaura un'uveite
facoclastica conseguentemente all'esposizione del materiale lenticolare in camera anteriore
(Davidson & Nelms, 1999), come osservato nei 2 pazienti di razza Jack Russel Terrier e Siberian
Husky discussi nella sezione 4.5.4.
La presenza di cataratta associata a uveite rappresenta un quadro clinico di frequente
riscontro nel cane (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016). Tuttavia, è difficile stabilire
quale delle due patologie sia una conseguenza dell’altra (Gelatt et al., 2013; Mancuso &
Hendrix, 2016). In effetti l’esposizione all’umor acqueo delle componenti interne del
cristallino indotta dalla presenza di una cataratta, può determinare una risposta infiammatoria
a carico dell’uvea (Gelatt et al., 2013). L’uveite può, a sua volta, essere responsabile dello
sviluppo di una cataratta in seguito all’estensione, per contiguità, del processo infiammatorio
alla lente (Gelatt et al., 2013; Mancuso & Hendrix, 2016).
Pertanto, la patologia è stata confermata come una cataratta secondaria ad uveite soltanto
nei casi in cui è stato possibile stabilire l’ordine cronologico delle due affezioni oculari. La
cataratta conseguente all'uveite, ha interessato una bassa percentuale dei soggetti esaminati
durante lo studio clinico, ovvero il 3% del totale. Tuttavia, va ricordato che, a causa della
complessità del quadro clinico di alcuni pazienti, dell'avanzato grado di progressione delle due
affezioni oculari e del mancato follow-up, per alcuni soggetti non è stato possibile accertare
la patologia primaria ed è possibile dunque che la prevalenza della cataratta secondaria ad
uveite possa risultare lievemente sottostimata.
4.5.3 Cataratta ad eziologia dubbia Sul totale dei soggetti colpiti da cataratta a varia eziologia, nel 17% dei casi la patologia è stata
definita “ad eziologia dubbia”. Percentuali simili (21%) sono state riportate da Donzel et al.
(2017).
A sua volta, la cataratta ad eziologia dubbia è stata suddivisa in due gruppi principali: un primo
gruppo comprensivo dei soggetti affetti da cataratta dubbia tra primaria e secondaria e un
secondo gruppo, che ha incluso tutti i pazienti in cui confermata l'origine secondaria della
patologia, non è stato tuttavia possibile stabilirne con certezza la causa eziologica.
96
La cataratta dubbia tra primaria e secondaria, ha coinvolto 18 pazienti. Per 10 di essi è stata
formulata una diagnosi differenziale tra la cataratta ereditaria e la cataratta secondaria ad
atrofia progressiva della retina (PRA). I soggetti colpiti erano rappresentati da 3 Barbone Nano,
4 Meticci, un Cavalier King Charles Spaniel, un Setter Inglese e un Cane Corso.
Relativamente ai pazienti di razza Barbone Nano, una femmina di 132 mesi ha riportato alla
visita una cataratta bilaterale, a differenti stadi evolutivi (immatura a destra e matura a
sinistra). Il grado di maturazione e la localizzazione della cataratta non ha permesso la
valutazione del fondo oculare in entrambi gli occhi. La risposta alla reazione di minaccia ha
dato esito negativo per entrambi gli occhi, così come il riflesso all'abbagliamento, mentre il
PLR diretto e consensuale hanno evidenziato nel paziente una risposta rallentata e
incompleta.
Nel secondo Barbone Nano, femmina di 72 mesi, è stata evidenziata una cataratta bilaterale
con un’uveite facolitica monolaterale, conseguente alla progressione asimmetrica della
patologia. Il paziente ha risposto positivamente con entrambi gli occhi alla reazione di
minaccia e alla stimolazione di tutti i riflessi oculari, ma la valutazione colorimetrica del PLR
ha evidenziato una risposta dubbia nel paziente. Inoltre, in un occhio è stato possibile,
mediante oftalmoscopia indiretta, evidenziare un aumento della riflettività tappetale.
Infine il terzo Barbone Nano, femmina di 84 mesi, è risultato affetto bilateralmente da
cataratta a stadi evolutivi differenti (matura a destra e immatura a sinistra), che ha reso la
retina non valutabile. La reazione alla minaccia e il riflesso all’abbagliamento non hanno
evocato risposta positiva, mentre il PLR diretto e consensuale hanno evidenziato nel paziente
una risposta rallentata ed incompleta.
Sulla base dei risultati ottenuti, dell'anamnesi raccolta e del segnalamento, per questi 3
soggetti è stato formulato, in diagnosi differenziale, un quadro clinico compatibile con una
cataratta primaria di tipo ereditario o una cataratta secondaria a PRA.
La stessa diagnosi differenziale è stata stabilita per i quattro cani meticci (2 maschi di 48 e 120
mesi e 2 femmine di 84 e 108 mesi), un Cavalier King Charles Spaniel femmina di 96 mesi, un
Setter Inglese maschio di 60 mesi e un Cane Corso maschio di 120 mesi. Questi pazienti
presentavano tutti una cataratta bilaterale, con un fondo oculare non valutabile e al fine di
confermare o escludere la diagnosi di cataratta secondaria a PRA, è stato proposto ai rispettivi
proprietari l'esecuzione di esami specialistici quali l'elettroretinografia e l’ecografia oculare.
97
Tuttavia, queste procedure diagnostiche non sono state effettuate per volontà dei proprietari
e non è stato quindi possibile confermare la presunta diagnosi.
Inoltre, per 3 soggetti, ovvero un Barbone Nano di 132 mesi, un meticcio di 108 mesi e un
Cane Corso di 120 mesi, data la loro età una terza possibile tipologia di cataratta era
rappresentata dalla cataratta senile, ma non potendo escludere le altre forme di cataratta,
l’eziologia della malattia è rimasta indefinita.
Altri casi di cataratta ad eziologia dubbia tra l'origine primaria e secondaria sono stati
riscontrati in un cane meticcio di 48 mesi, in un Cavalier King Charles Spaniel di 84 mesi e in
un Pinscher di 60 mesi, tutti di sesso maschile. Questi presentavano una cataratta
monolaterale, per la quale, è stata ipotizzata l'origine ereditaria, in relazione anche ai dati
anamnestici e anagrafici senza escluderne del tutto una possibile origine traumatica. Per il
mancato approfondimento del caso la cataratta è stata ritenuta ad eziologia dubbia.
Un Carlino di 48 mesi e un Pinscher di 96 mesi presentavano una cataratta monolaterale
matura che ha impedito la valutazione del fondo oculare, il quale, non ha riportato alcun segno
patologico nell’occhio controlaterale. Sulla base della manifestazione clinica degli occhi affetti,
in diagnosi differenziale sono state incluse l'origine primaria e secondaria della patologia. La
cataratta primaria è stata ipotizzata considerando la razza e l’età dei pazienti. Il carattere
monolaterale della lesione e il quadro clinico oculare del paziente, non permetteva di
escludere altre possibili cause eziologiche, come ad esempio quella traumatica. Nel Pinscher,
inoltre, l'occhio affetto da cataratta si presentava microftalmico. Data l'assenza di dati
anamnestici, nel paziente la cataratta poteva verosimilmente manifestarsi come difetto
congenito di anomalie oculari multiple o rappresentare una lesione di origine traumatica, di
cui anche una possibile tisi oculare poteva supportarne la tesi.
Un altro caso di cataratta ad eziologia dubbia è stato evidenziato in un Jack Russel di 48 mesi
che manifestava una lesione monolaterale immatura e corticale, con segni clinici di flogosi
intraoculare, che non permettevano un’adeguata ispezione del settore oculare posteriore,
comunque non patologico nel controlaterale. Data l’età del soggetto e la localizzazione della
lesione era possibile ipotizzare una cataratta primaria giovanile. La tonometria ha rilevato
nell'occhio affetto una IOP di 7 mmHg, includendo nella lista delle possibili diagnosi
differenziali anche la cataratta secondaria ad uveite (Gelatt et al., 2013) o una cataratta
traumatica data la monolateralità della lesione.
98
Un altro caso clinico riguardava un meticcio femmina di 84 mesi che manifestava una cataratta
corticale bilaterale matura a destra e ipermatura con parziale riassorbimento a sinistra. Dato
lo stadio avanzato della lesione il fondo oculare non risultava valutabile per entrambi gli occhi.
Nella diagnosi differenziale sono state incluse la cataratta primaria e la cataratta diabetica.
L'ipotesi di un'origine diabetica della cataratta è stata avvalorata dai dati anamnestici del
paziente, oltre che dai tempi di progressione, localizzazione e dalla manifestazione bilaterale
della patologia (Turner & Bouhanna, 2010). La mancata esecuzione di esami ematobiochimici,
per volere del proprietario, non ha tuttavia permesso di confermare l’ipotesi eziologica
avanzata.
Infine, un Volpino femmina di 84 mesi, è risultato affetto da una cataratta bilaterale, con lente
lussata in entrambi gli occhi. Data la predisposizione di questa razza canina allo sviluppo di
una cataratta primaria (Pizzirani, 1998; Guandalini et al., 1999; Guandalini et al., 2001; Gould
et al., 2011) e alla lussazione primaria della lente (Primary Lens Luxation o PLL) (Betschart et
al.,2014), non è stato possibile stabilire con certezza la correlazione causa-effetto.
Per 11 soggetti affetti da cataratta secondaria, non è stato possibile stabilire con certezza la
causa eziologica.
Fra questi pazienti, un meticcio maschio di 156 mesi affetto da nucleosclerosi a sinistra e
cataratta con lente sublussata a destra e un Pinscher femmina, di 132 mesi, colpita da
cataratta bilaterale immatura a destra e matura con sublussazione della lente a sinistra. In
questi ultimi due casi clinici non è stato possibile stabilire la correlazione tra la sublussazione
della lente e il processo catarattoso; conseguentemente l'eziologia della cataratta, a causa del
grado di progressione patologica e della mancanza di dati anamnestici, resta ipotetica tra la
cataratta senile e la secondaria alla sublussazione del cristallino.
Un soggetto meticcio maschio di 108 mesi affetto da leishmaniosi, presentava una cataratta
monolaterale nucleare immatura e incipiente corticale, mentre nell'occhio controlaterale è
stata evidenziata una nucleosclerosi. Riportata in anamnesi la positività del soggetto alla
leishmaniosi canina e considerata la manifestazione clinica oculare, per il paziente è stata
valutata l'ipotesi di una cataratta monolaterale di origine infiammatoria (Turner & Bouhanna,
2010), anche se non poteva del tutto escludersi l'eziologia traumatica.
L'eziologia infiammatoria e traumatica sono state prese in considerazione anche per un altro
paziente, un soggetto di razza Springer Spaniel, femmina, di 120 mesi, riferito alla visita a causa
99
della comparsa di un’opacità a carico della lente. La visita oculistica ha evidenziato la presenza
monolaterale di una cataratta ipermatura che associata alla concomitante presenza di segni
flogistici uveali, ha permesso di redigere tale diagnosi differenziale. Tuttavia, nell'occhio
apparentemente sano, l'oftalmoscopia indiretta ha permesso di rilevare segni retinici di
degenerazione in atto (lieve riduzione di calibro dei vasi retinici e aree periferiche di
iperiflettività tappetale), che ha incluso la PRA nell'insieme delle possibilità eziologiche della
cataratta (Turner & Bouhanna, 2010). Anche per questo paziente, tuttavia, la mancata
esecuzione di esami diagnostici complementari ha escluso la possibilità di confermare l'origine
presunta della patologia.
Un Setter Inglese, maschio, di 156 mesi è risultato affetto da una cataratta corticale bilaterale,
a gradi differenti di maturazione (immatura a destra e matura a sinistra), che ostacolava la
visualizzazione del fondo oculare. Inoltre, nella storia medica del paziente figurava il
chemioterapico lomustina per il trattamento di un mastocitoma. Per questo paziente, è stata
pertanto formulata l'ipotesi di un’origine tossica della cataratta, conoscendo i possibili effetti
collaterali oculari indotti da questo tipo di farmaci e la presenza bilaterale della patologia
(Gelatt et al., 2013). Purtroppo, l'assenza di ulteriori approfondimenti non ha permesso di
confermare l’ipotesi diagnostica.
Altri 2 pazienti sono risultati affetti da cataratta secondaria ad eziologia dubbia. Un Pastore
Tedesco, femmina, di 72 mesi con cataratta bilaterale, diagnosticata al momento della visita
oculistica, in quanto riferita per uveite bilaterale; e un meticcio, affetto da cataratta
ipermatura monolaterale con segni di parziale riassorbimento ed uveite associata. Per
entrambi i soggetti non è stato possibile stabilire l’ordine cronologico d’insorgenza, poiché la
cataratta può conseguire secondariamente ad un'uveite o rappresentarne il fattore
scatenante (Gelatt et al., 2013). A causa della mancanza di dati clinici antecedenti alla visita
oculistica, l'eziologia della cataratta è rimasta indefinita.
Infine, due Cocker Spaniel, un maschio di 132 mesi e una femmina 96 mesi e due cani meticci
un maschio di 132 mesi e una femmina di 96 mesi, sono risultati affetti da cataratta bilaterale
con sospetta PRA, formulata mediante valutazione dei riflessi oculari. Considerando la
presenza bilaterale della cataratta, la predisposizione del Cocker Spaniel allo sviluppo della
PRA (Gelatt et al., 2013) e l’elevata diffusione della patologia retinica nella razza (Gelatt et al.,
2013), sembra piuttosto plausibile ipotizzare che questi pazienti possano essere state affetti
100
da degenerazione retinica e che la cataratta potesse essere secondaria. Per via del mancato
assenso da parte dei proprietari di sottoporre ad esami specialistici complementari (ERG,
ecografia oculare) i pazienti, la diagnosi è rimasta presuntiva.
È bene notare che nel presente studio non sono state osservate alcune forme di cataratta
canina descritte in letteratura, quali la cataratta nutrizionale, ipocalcemica e la cataratta da
radiazioni (Mancuso & Hendrix, 2016), in quanto determinate da cause eziologiche poco
frequenti.
4.5.4 Complicazioni secondarie alla cataratta Nel presente studio, sono state evidenziate alcune complicazioni secondarie alle varie
tipologie di cataratta canina. Fra queste, l’uveite facolitica, quella facoclastica, la
sublussazione/lussazione della lente e il glaucoma.
L‘uveite facolitica è risultata la complicazione più frequentemente riscontrata. Essa consegue
all’azione degli enzimi proteolitici attivi durante i processi degenerativi del cristallino che
degradano le proteine fibrillari della lente stessa, innescando un'importante risposta
infiammatoria intraoculare (Pumphrey, 2015).
Le possibili complicazioni associate all’uveite in corso di cronicizzazione variano dalla tisi del
globo oculare al buftalmo, scaturito da un glaucoma secondario (Van Der Woerdt, 2000).
Il glaucoma, secondario ad una flogosi intraoculare, a sua volta rappresenta una complicazione
piuttosto comune nel cane e consegue all'ostacolo del deflusso umorale da parte di cellule
infiammatorie, di sinechie anteriori o membrane fibrovascolari preiridee (Peruccio, 1987;
Johnsen, 2006). Infine l’infiammazione dell’uvea può anche compromettere la stabilità delle
zonule di Zinn e predisporre quindi il cristallino alla lussazione (Gelatt et al., 2013; Pumphrey,
2015).
Nel nostro studio l'uveite facolitica è stata la principale complicazione riscontrata,
prevalentemente per la cataratta di tipo senile, seguita dalla cataratta ereditaria e dalla
cataratta diabetica.
Nel cane, l’uveite facoclastica generalmente può insorgere a seguito di perforazioni
corneosclerali di natura traumatica o conseguire, in casi più rari, alla rottura della capsula
lenticolare come nel caso di cataratta diabetica (Davidson & Nelms, 1999). Nonostante ciò, in
alcune circostanze, la complessità del quadro clinico ne rende difficoltosa la diagnosi.
101
(Davidson et al., 1991). Nel presente studio l’uveite facoclastica è stata riscontrata in due
pazienti, un Jack Russell Terrier di 108 mesi e uno Siberian Husky di 24 mesi, affetti da cataratta
traumatica, conseguente a un trauma da infissione. In particolare nel Siberian Husky è stata
evidenziata la presenza di ponti di fibrina come probabile esito del processo infiammatorio
intraoculare, che non ne hanno comunque compromesso il deflusso umorale.
La sublussazione/lussazione della lente secondaria può conseguire a un glaucoma, un’uveite
o una cataratta in avanzato stato di maturazione (Peruccio, 1987; Turner & Bouhanna, 2010;
Gelatt et al., 2013). Nell’ambito della cataratta ereditaria è stata diagnostica una lussazione
monolaterale della lente a un Volpino italiano di 96 mesi affetto da una forma bilaterale.
Nonostante la predisposizione di questa razza alla lussazione primaria della lente (PLL)
(Betschart et al., 2014) per il paziente, il carattere monolaterale dell'alterazione lenticolare e
la presenza di una cataratta associata, sostengono l’ipotesi secondo cui la lussazione
rappresenti una complicazione secondaria alla cataratta stessa (Betschart et al., 2014).
Altro paziente, un meticcio femmina di 108 mesi, affetto da cataratta senile, ha riportato alla
visita una sublussazione bilaterale della lente, in assenza di uveite facolitica. Per questo
soggetto, si presume che la sublussazione lenticolare rappresenti una complicazione della
cataratta, poiché quest’ultima si mostrava in parzialmente riassorbimento e quindi ad uno
stadio evolutivo avanzato (Gelatt et al., 2013).
Infine, la lussazione monolaterale della lente, quale conseguenza di una lente catarattosa, è
stata descritta in un Labrador Maschio di 120 mesi colpito da cataratta secondaria a PRA e un
Setter Inglese maschio, di 84 mesi, con cataratta secondaria ad uveite.
Le sublussazioni o lussazioni della lente osservate in corso di cataratta dubbia sono state
descritte nella sezione 4.5.3 del presente capitolo.
Il glaucoma rappresenta una patologia estremamente dolorosa, di difficile trattamento che
può determinare la perdita della funzionalità visiva (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010).
Esso si sviluppa in seguito a varie patologie oculari, come ad esempio la cataratta, l’uveite o la
lussazione del cristallino (Turner & Bouhanna, 2010). Nel presente studio il glaucoma è stato
descritto come conseguenza indiretta di una cataratta diabetica e di una cataratta traumatica.
Nello specifico, un meticcio femmina di 180 mesi affetto da cataratta diabetica ha manifestato
un glaucoma secondario scaturito da un'uveite facolitica. L'uveite lente‐indotta determina
infatti un'importante risposta immunomediata nel paziente, cui consegue l’accumulo di fibrina
102
che esita nella formazione di sinechie anteriori, responsabili del mancato deflusso umorale
(Gelatt et al., 2013).
Diversamente, un meticcio maschio di 132 mesi, colpito da cataratta traumatica ha
manifestato un glaucoma secondario in assenza di uveite facolitica. In questo particolare caso
risulta difficile stabilire se il glaucoma rappresenta la conseguenza della cataratta o se si
sviluppa a seguito dell'azione meccanica di forze esogene esercitate sul globo oculare
dall'agente traumatizzante (Gelatt et al., 2013). Di conseguenza, è stata formulata a riguardo
una diagnosi differenziale tra glaucoma secondario a cataratta e glaucoma post‐traumatico, il
quale sembrerebbe più plausibile, data l’assenza di uveite facolitica e l’anamnesi di trauma
oculare. Tuttavia, data l'assenza di dati clinici precedenti alla visita, non risulta possibile
stabilirne con certezza la diagnosi.
103
4.6 Conclusioni
Secondo quanto emerso dal presente studio, la cataratta si conferma come una delle
patologie oculari più frequentemente riscontrate nella specie canina, osservabile in forme
differenti in relazione alle molteplici cause eziologiche e in percentuali statisticamente
variabili, in funzione alla possibile predisposizione razziale della patologia stessa.
La nostra analisi conferma la prevalenza statistica di alcune tipologie di cataratta, fra cui la
cataratta ereditaria e la cataratta secondaria ad atrofia progressiva della retina (PRA).
Considerata la perdita della funzione visiva conseguente alla PRA, le possibili complicazioni e
la presenza generalmente bilaterale della cataratta associata, esiste il motivo nel ritenere che
le due patologie siano particolarmente invalidanti per il soggetto e determinino, a seconda del
grado di progressione della malattia, un deterioramento più o meno grave della qualità di vita
del paziente.
L’alta prevalenza nei Labrador Retriever sia per la cataratta ereditaria, sia per quella
secondaria a PRA, dimostra quanto questa razza sia predisposta allo sviluppo delle oculopatie
su base ereditaria. Tuttavia, all'interno della popolazione canina oggetto dello studio, la
prevalenza della cataratta primaria di tipo ereditario e della cataratta secondaria a PRA, ha
messo in luce come nel cane il problema delle oculopatie ereditarie possa ormai coinvolgere
anche i soggetti meticci.
Oltre alla cataratta ereditaria e alla cataratta secondaria a PRA, nel nostro studio, in ordine di
frequenza sono state riportate la cataratta senile, la cataratta congenita e la cataratta
diabetica. La cataratta traumatica e quella secondaria ad uveite sono state le due forme
patologiche meno rappresentate in questo studio.
Il riscontro di una considerevole percentuale di cataratta ad eziologia dubbia ha evidenziato
alcuni ostacoli nella determinazione eziologica di alcune forme della patologia, specialmente
se aggravata dalla concomitante presenza di ulteriori affezioni oculari.
A causa, inoltre, dell'assenza di dati clinici e anamnestici di alcuni pazienti, della mancata
esecuzione di esami specialistici complementari, della pregressa condizione clinica e della
mancata presentazione alle visite successive di alcuni soggetti, non è stato possibile
confermare in alcuni casi le diagnosi presuntive.
104
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Ringraziamenti Tengo a ringraziare il mio relatore il Prof. Giovanni Barsotti per avere sempre seguito il mio
lavoro nonostante le difficoltà, per la sua gentilezza, la sua disponibilità e i suoi consigli e per
avermi permesso di scoprire un settore della Medicina Veterinaria cosi appassionante.
Ringrazio Silvia Rappa per il suo prezioso aiuto e per i suoi consigli e per avermi motivata nei
momenti più disperati.
Ringrazio tutti i miei amici di veterinaria a cominciare da Lucia per le sue torte, la sua gentilezza
e la sua simpatica, Elisa perché semplicemente è Elisa e non si cambierà mai, Raffaella per
avermi fatto passare dei momenti indimenticabili, per avermi fatto ridere da non poterne più e
per avermi fatto conoscere la pasticceria Siciliana. Ringrazio anche Silvia Morello per avermi
sempre informato bene sugli esami e orari di lezioni e per essere stata presente durante questi
anni universitari indimenticabili.
Ringrazio Giulia Rovetta, per essermi stata vicina nei miei primi anni di università, per la sua
gentilezza infinita e per avermi lasciato questo pizzico di saggezza che fa parte di te.
Ringrazio Maria Selene Tomai per le cene passate insieme, per le grandi risate, per le
camminate fatte alle piagge e soprattutto per tutti i bei momenti passati insieme spensierate
nonostante la nostra grande disperazione (e sai di cosa parlo).
Ringrazio Ilaria per la nostra vita sportiva, lo Spinning, le corse, le camminate e per le lunghe
conversazioni fatte su tutto e nulla.
Ringrazio Manuel e Rediola perché siete diventati dei grandi amici. Perché tra praticelli, HAT
e le pizzerie ci siamo sempre capiti e perché siete una coppia formidabile.
Ringrazio tutti i ragazzi di praticelli, per tutte le risate fatte a mensa, per i caffè presi insieme e
per la vostra immensa simpatia. Ringrazio, in particolare te Lorenzo per le tue abilità da super
meccanico.
Ringrazio di cuore tutta la mia famiglia, in particolare i miei genitori, senza i quali non avrei
mai potuto realizzare il mio sogno. Grazie a voi, per la vostra comprensione, la vostra pazienza
e il vostro amore. Ringrazio i miei nonni per essermi stati sempre vicini nonostante la distanza,
per avermi fatto sempre sorridere quando tornavo a casa e grazie mille a te nonna per la tua
gioia di vivere. Ringrazio poi mia sorella Justine che nonostante la distanza e i suoi viaggi
infiniti mi è sempre stata vicina, mi ha sempre sostenuta e mi ha dato la “gnac” come dice lei
per andare avanti.
Un ultimo ed immenso GRAZIE al mio ragazzo Daniel per essermi stato vicino sin dall’inizio,
per avermi aiutata pur non conoscendomi, per tutti gli appunti, per essere stato sempre presente
e per avermi fatta crescere. Grazie per la tua gentilezza, per avermi sempre sopportata (so che
non è sempre facile) e per tutto l’amore che mi dai ogni giorno.