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Università degli Studi di Torino Facoltà di Agraria Corso di laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie “Scenari e prospettive dell’agricoltura multifunzionale: le fattorie sociali” Analisi dei canali di distribuzione dei prodotti dell’agricoltura sociale Relatore Prof.ssa D. Borra Autore Roberta Gariglio Luglio 2008

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Università degli Studi di Torino

Facoltà di Agraria

Corso di laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie

“Scenari e prospettive

dell’agricoltura multifunzionale:

le fattorie sociali”

Analisi dei canali di distribuzione dei prodotti

dell’agricoltura sociale

Relatore

Prof.ssa D. Borra

Autore

Roberta Gariglio

Luglio 2008

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INDICE

INTRODUZIONE....................................................................................................................2

CAPITOLO 1 - IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA OGGI ............................................5

1.1 Le fattorie sociali .............................................................................................................8

1.2 La realtà europea............................................................................................................11

1.2.1 Horticultural therapy................................................................................................12

1.2.2 Pet therapy ...............................................................................................................12

1.2.3 In Olanda..................................................................................................................13

1.2.4 In Norvegia ..............................................................................................................14

1.2.5 In Francia .................................................................................................................15

1.2.6 In Italia ed in Piemonte............................................................................................16

CAPITOLO 2 - PROPRIETA’ TERAPEUTICO-RIABILITATIVE

DELL’AGRICOLTURA.......................................................................................................19

2.1 Terapia con le piante......................................................................................................21

2.2 Terapia con gli animali ..................................................................................................25

CAPITOLO 3 - RAPPORTO TRA DISABILITA’ E FILIERA PRODUTTIVA...........27

3.1 Inserimento lavorativo di soggetti disabili.....................................................................29

CAPITOLO 4 - I PRODOTTI ETICI..................................................................................33

4.1 Intervista dell’Università della Tuscia di Viterbo..........................................................36

CAPITOLO 5 - IL PROGETTO “FATTORIE SOCIALI” ..............................................38

CAPITOLO 6 - IL TERRITORIO DELLA ZONA OVEST DI TORINO......................40

6.1 Le esperienze di agricoltura sociale nella zona ovest ed in Provincia di Torino...........44

CAPITOLO 7 - I CANALI COMMERCIALI....................................................................52

7.1 Alcune ipotesi di linee produttive ..................................................................................52

7.2 I prodotti delle fattorie sociali e i canali di commercializzazione .................................53

7.2.1 Intervista ai GAS .....................................................................................................57

7.2.2 Intervista alla Coldiretti ...........................................................................................59

7.2.3 Intervista alla COOP................................................................................................61

7.2.4 Intervista alle botteghe di commercio equo e solidale.............................................62

7.2.5 Intervista ad Eataly ..................................................................................................64

7.2.6 Intervista a Slow Food .............................................................................................65

7.3 Ipotesi di commercializzazione .....................................................................................66

CONCLUSIONI.....................................................................................................................71

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................................74

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni il settore agricolo ha subito un’evoluzione, non è più visto solamente

come una fonte produttiva e di reddito, ma anche come un mezzo per valorizzare le aree

rurali e le aree marginali, per offrire servizi ai cittadini al fine di aumentare il loro

benessere, per integrare quella parte di popolazione emarginata perché trattasi di soggetti

disabili, svantaggiati, tossicodipendenti, ex detenuti, persone non più competitive sul

mercato del lavoro a causa dell’età avanzata o perché non corrispondono ai profili richiesti

dal mondo del lavoro. Tutte queste possibilità derivanti dal mondo agricolo riassumono il

concetto di multifunzionalità dell’agricoltura. Questo forte cambiamento caratterizzante

l’agricoltura deriva per gran parte dalle nuove esigenze della popolazione e dai mutamenti

socio economici e culturali dell’ultimo decennio. La rivalutazione delle aree rurali nasce

dalla crisi del modello urbano, a causa dei ritmi di vita sempre più frenetici,

dell’individualismo, della perdita dei valori della vita e dal bisogno dei cittadini di

riprodurre i valori di solidarietà, di reciprocità e di mutuo aiuto. Il mondo della campagna

viene visto come un luogo più vivibile, dove è possibile instaurare relazioni più umane con

gli individui e dove la salute dell’uomo e degli animali è maggiormente rispettata. Inoltre

tutto ciò è spinto anche da una maggiore attenzione verso i temi riguardanti l’ambiente,

l’inquinamento, i problemi legati all’energia e alla qualità degli alimenti.

L’agricoltura sociale, in quanto forma della moderna ruralità, sta aprendo prospettive

inedite all’affermazione di nuovi modelli di welfare. La possibilità è data dall’esigenza di

fronteggiare un punto di debolezza e dall’opportunità di far leva su di un elemento di forza,

entrambi presenti nelle aree rurali. Da una parte, la riduzione delle risorse pubbliche per

assicurare servizi adeguati ai bisogni della popolazione, benché generalizzata, rischia di

ripercuotersi con maggiore evidenza nelle aree rurali, dove i costi dei servizi sono più

elevati a causa di un insediamento abitativo più rarefatto e di una presenza di anziani più

elevata. Dall’altra, sono le stesse aree rurali a presentare potenzialità più corpose, per

attivare modelli di welfare locale in grado di agire sulle reti tradizionali di accoglienza, di

reciprocità e di mutuo aiuto. Queste reti spesso sono già abbozzate a livello rudimentale e,

dunque, si tratta solo di rivitalizzarle e gestirle in modo imprenditoriale, in forte

connessione con le economie locali legate alla domanda di ruralità che proviene dalle aree

urbane. L’agricoltura sociale appare come una innovazione organizzativa che può arrecare

vantaggi in più direzioni: per il servizio pubblico che risparmierebbe l’investimento sulle

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strutture; per le imprese agricole, che vedrebbero dilatarsi le opportunità di valorizzazione

delle risorse aziendali; per le persone svantaggiate, a cui si aprirebbero nuovi orizzonti in

vista del pieno riconoscimento della propria dignità.

La sfida è organizzare questa funzione in modo tale che se ne ricavi un’opportunità

lavorativa per queste persone e nello stesso tempo un reddito aggiuntivo per l’impresa.

Lo sfondo di riferimento di questo lavoro è la commercializzazione dei prodotti delle

Fattorie Sociali. L’elaborato è articolato in sette capitoli.

Nel primo capitolo viene descritto il ruolo dell’agricoltura oggi e la funzione delle Fattorie

Sociali. Inoltre viene fornita una panoramica di come l’Europa, l’Italia ed il Piemonte si

stanno muovendo verso questa direzione.

Nel secondo capitolo vengono descritte le proprietà terapeutico riabilitative dell’agricoltura

e i benefici che apportano la terapia con gli animali e con le piante.

Nel terzo capitolo viene analizzato il rapporto tra disabilità e filiera produttiva ed il

processo attraverso cui avviene l’inserimento di persone disabili all’interno di un’azienda.

Nel quarto capitolo viene preso in esame il comportamento della società post-moderna, per

quanto riguardano i consumi, sottolineando che si sta diffondendo sempre più un consumo

responsabile. Inoltre vengono descritti i prodotti etici, verso cui vi è sempre un maggiore

interesse.

Nel quinto capitolo si presenta il progetto Fattorie Sociali, promosso e finanziato

dall’Assessorato al lavoro della Provincia di Torino che intende far partecipare le persone

diversamente abili o in condizione di emarginazione sociale ad esperienze di rieducazione

funzionale e di lavoro all’interno di aziende agricole o di strutture che possano creare oltre

che formazione un volano occupazionale.

Nel sesto capitolo viene preso in analisi il territorio della zona ovest di Torino e quindi dei

comuni facenti parte del Patto Territoriale della Zona Ovest di Torino. E’ stata fatta una

panoramica sulla situazione dell’agricoltura in questo territorio, al fine di capire

l’importanza che riveste il settore agricolo in questa zona. Inoltre è stato fatto un elenco dei

beni che le aziende offrono per comprendere quali potrebbero essere i prodotti offerti da

eventuali fattorie sociali che potrebbero nascere. In seguito si sono pensate tre linee di

fattorie sociali e si è ipotizzato attraverso quali canali potrebbero essere commercializzati i

loro prodotti.

Nel settimo capitolo, dopo aver analizzato le caratteristiche delle possibili vie di

commercializzazione dei prodotti delle Fattorie Sociali, si è cercato di capire quali canali

potrebbero essere i più idonei alla prima fase e cioè quella di sviluppo e promozione del

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prodotto e quali più adatti alla vendita e distribuzione. Inoltre per ognuno dei canali sono

state ipotizzate ed elencate le diverse operazioni da eseguire per la gestione di queste

attività.

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CAPITOLO 1 - IL RUOLO

DELL’AGRICOLTURA OGGI

Negli ultimi tempi il ruolo dell’agricoltura non è cambiato, ma si è diversificato, oggi

infatti si parla di multifunzionalità dell’agricoltura. Questo termine indica i diversi ruoli

che l’agricoltura può coprire e quindi la possibilità di realizzare congiuntamente più

tipologie di beni e di servizi. I campi più esplorati dall’idea di multifunzionalità riguardano

la realizzazione di prodotti tipici (contenenti valori simbolici), della produzione e

conservazione del paesaggio e delle risorse ambientali, dell’erogazione dei servizi al

turismo. Inoltre l’agricoltura riveste anche un ruolo nel sociale, ossia di inserimento

lavorativo di persone svantaggiate, a rischio di esclusione dalla società. Le aziende che

praticano agricoltura sociale, tendono a prestare servizi molto differenziati, che vanno dai

servizi educativi ai nidi familiari, al recupero e all’accoglienza di minori e giovani

immigrati, di persone a bassa contrattualità (disabili psichici, psichiatrici e fisici,

tossicodipendenti, detenuti ecc..), all’organizzazione del turismo sociale per specifiche

categorie di soggetti. Un altro servizio che potrebbe ancora offrire l’agricoltura è quello

rivolto alle persone anziane, attraverso la creazione di orti urbani, contribuendo in tal modo

a ridurre l’isolamento dalla società e al mantenimento del benessere psicofisico

dell’anziano, con conseguente risparmio per il servizio sanitario nazionale.

In un’ottica di welfare rigenerativo, le prestazioni dell’agricoltura sociale sono di

particolare interesse in quanto:

• consentono di allargare la tipologia e gamma dei servizi diffusi sul territorio anche

a fronte di una riduzione delle risorse disponibili per finanziare i sistemi di welfare;

• consentono di stabilire nuove reti di rapporti nelle aree rurali promuovendo la

rigenerazione del capitale sociale ed accrescendo la reputazione di questi territori;

• favoriscono la presa in carico e la responsabilità degli operatori privati rispetto alle

comunità locali, stimolando la rivisitazione di concetti di accoglienza, reciprocità

ed apertura che rendono le aree rurali attraenti all’esterno;

• assicurano la tessitura di legami improntati sulla responsabilità sociale, delle

imprese e delle comunità locali;

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• contribuiscono ad offrire valori di differenza rispetto all’organizzazione sociale

presente nei contesti urbani.

La funzione originaria dell’agricoltura è quella economica, produttiva: produzione di

alimenti, reddito e occupazione. Ma a questa funzione con il tempo se ne sono aggiunte

altre:

• una funzione di tipo ambientale, l’agricoltura infatti agisce con la natura, con

l’ambiente, sempre più contribuisce a preservare degli habitat, a garantire la

biodiversità, la cura del paesaggio, ecc;

• una funzione turistica, di accoglienza, enogastronomia, la cui parte più visibile è

rappresentata dagli agriturismi ed esperienze simili;

• esiste poi una funzione che appartiene alla tradizione del mondo agricolo che è la

funzione che possiamo chiamare sociale. E’ una funzione che ha a che fare con

l’antica capacità del mondo agricolo di includere (pensiamo alla realtà italiana dove

le aziende agricole coincidono quasi sempre con una famiglia e quanto questo abbia

rappresentato un’opportunità concreta di lavoro per i famigliari che magari non

riuscivano a trovare lavoro altrove).

La fattoria sociale include quindi tutte queste funzioni, che rappresentano dei punti di forza

importanti per progetti di recupero e inserimento lavorativo di persone con difficoltà.

Nel contesto agricolo si ha a che fare per esempio con piante, animali, e con questi si ha un

rapporto attivo. Ogni azione in un’azienda agricola ha un significato e si comprende, anche

se si svolge una mansione piccola (per esempio dar da mangiare alle galline), si vede il

prodotto finale e si ha consapevolezza del significato della propria azione. Tutto questo

offre importanti elementi per un percorso di recupero funzionale e produttivo di persone

disabili.

Tutti questi elementi pongono l’agricoltura nella condizione di erogare servizi che

contribuiscono a migliorare la qualità della vita per alcune fasce particolari della

popolazione, come bambini, anziani, minori a rischio, persone con disabilità intellettiva e

fisica. La sfida è organizzare questa funzione in modo tale che se ne ricavi un’opportunità

lavorativa per queste persone e nello stesso tempo un reddito aggiuntivo per l’impresa.

L’obiettivo è quello di espandere un’agricoltura responsabile, in grado di rispondere ai

nuovi bisogni dei cittadini.

Gli obiettivi che si vogliono perseguire sono i seguenti:

• riproduzione dei valori di solidarietà, reciprocità e mutuo aiuto;

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• nuove forme di welfare che valorizzino le specificità e le risorse delle aree rurali;

• integrazione tra l’attività produttiva agricola e l’offerta dei servizi culturali, sociali,

educativi, assistenziali, formativi,sanitari, a vantaggio di soggetti deboli;

• collaborazioni tra imprese agricole, soggetti del terzo settore e istituzioni pubbliche

per migliorare la qualità della vita e l’integrazione sociale dei soggetti svantaggiati

e delle aree difficili;

• legami con il mondo del consumo critico e con i gruppi di acquisto solidale.

Operando a favore dei soggetti svantaggiati si opera anche indirettamente a favore

dell’intera comunità a cui appartengono.

Il dibattito e il progressivo interesse che la “funzione sociale” dell’agricoltura ha suscitato,

è concomitante con il verificarsi di grandi mutamenti socioeconomici e culturali, che

possono essere così riassunti:

• crisi del modello urbano le cui caratteristiche più percepite sono la

spersonalizzazione, la frammentazione, l’individualismo, la competizione e i ritmi

della vita, che portano a rivalutare la vita nei centri rurali ritenuta più vivibile in

termini di relazioni umane e salute;

• crisi del sistema fiscale degli stati della Comunità Europea con conseguente

drastico ripensamento della struttura dello stato sociale e ridotti trasferimenti

finanziari agli enti locali a fronte di bisogni crescenti della popolazione;

• aumento del rischio di emarginazione dal mondo del lavoro e della vita sociale di

strati sempre più ampi di popolazione;

• crisi del modello di politica agraria della Comunità Europea a fronte della

globalizzazione e della concorrenza di stati emergenti con la progressiva riduzione

delle risorse destinate ad essa;

• crescente preoccupazione e sensibilità alla situazione dell’ambiente, alla qualità

dell’alimentazione, inquinamento, problemi energetici.

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1.1 Le fattorie sociali

Le fattorie sociali nascono quindi per soddisfare le “nuove” esigenze della popolazione. La

fattoria sociale può essere definita come un’azienda agricola che decide, pur mantenendo

la sua funzione originale di produzione di prodotti agricoli, di offrire servizi alla

popolazione (già indicati precedentemente).

In questo caso ci si occuperà di aziende agricole che, affiancate da enti come ASL, Centri

per l’impiego e servizi sociali, si offrono disponibili all’introduzione nel loro processo

produttivo di persone svantaggiate. Queste ultime possono far parte o di un percorso

terapeutico-riabilitativo o di inserimento lavorativo.

Le fattorie sociali a fini terapeutici e riabilitativi svolgono attività utilizzando sia piante sia

animali e si configurano in un variegato insieme di possibilità. Identificare le attività

agricole che meglio si adattano alla riabilitazione ed all’occupazione di persone con

problemi psichici e mentali è un compito complesso che deve coniugare conoscenze di

natura medica e tecnico-agronomica; è chiaro che attività ottimali dal punto di vista

terapeutico possono presentare difficoltà tecniche. Quindi è necessario che i due mondi

trovino un linguaggio comune per riuscire ad individuare processi produttivi adeguati e

tecnologie accessibili, non ripetitive e coinvolgenti.

Le possibili mansioni che possono svolgere le persone con disabilità psichica o mentale

inserite in programmi terapeutico-riabilitativi o di inserimento lavorativo nelle aziende

agricole, sono molteplici. Fra le lavorazioni in campo sono particolarmente adatte il

diserbo manuale, la concimazione organica, l’irrigazione, la rimozione dei residui delle

potature e della raccolta dei prodotti. Se la struttura dispone anche di una serra, allora le

attività possibili diventano davvero numerose: preparazione dei plateaux, semine, trapianti,

diserbi, raccolta dei frutti stagionali, cura dei fiori, pulizia e riordino. Inoltre particolari

attività offrono, oltre allo svolgimento delle diverse operazioni colturali, una

partecipazione attiva nelle diverse fasi della trasformazione.

Le piante, gli alberi, i fiori, i frutti rappresentano elementi agevolmente riconosciuti da

tutti. Le piante inoltre non discriminano nessuno. Prendersi cura di organismi animali o

vegetali, accresce il senso di responsabilità dell’individuo e ne consolida l’autostima.

Un’altra importante caratteristica è che i prodotti che si ottengono, non portano ovviamente

alcuna traccia della disabilità della persona che ha contribuito alla sua produzione. E’ un

prodotto assolutamente paragonabile a quello ottenuto dai cosiddetti “normodotati” e

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pertanto collocabile tranquillamente sul mercato. La commerciabilità dei prodotti

dell’agricoltura sociale è dunque elevata e può trovare una migliore collocazione sul

mercato se sostenuta da un adeguato sistema di valorizzazione. Si fa riferimento in questo

caso alle potenzialità dei sistemi che certificano la tracciabilità sociale del prodotto. Queste

condizioni si ritrovano nelle fattorie sociali, realtà agricole nelle quali si persegue un

equilibrio tra l’attuazione dei processi produttivi che generano prodotti agricoli competitivi

e l’offerta di un servizio di carattere sociale nei confronti di soggetti deboli.

La fattoria sociale è un’organizzazione produttiva il cui grado di diversificazione è in

genere più elevato di quello delle imprese agricole operanti sullo stesso territorio. La

necessità di diversificare le attività produttive è dettata dal servizio di inclusione sociale

che queste realtà perseguono. Un ordinamento produttivo diversificato aumenta le

possibilità di inclusione sociale di soggetti con bisogni speciali ed amplia il ventaglio di

mansioni necessarie alla conduzione delle attività produttive. Spesso la fattoria sociale

conduce attività sia di coltivazione che di allevamento e si realizzano cicli produttivi in

ambienti protetti quali le serre. Tali ambienti consento lo svolgimento di attività anche

nelle stagioni o in giornate meno adatte al lavoro in pieno campo, dando così una

continuità all’attività lavorativa particolarmente importante per alcuni soggetti

svantaggiati. La serra, inoltre, rappresenta un microambiente particolare nel quale il

rapporto uomo-pianta è molto ravvicinato e consente di osservare e percepire da vicino i

risultati delle proprie cure verso le piante coltivate.

La diversificazione viene anche perseguita integrando le attività agricole (allevamento e

coltivazione) con altre attività a queste connesse e finalizzate all’offerta di servizi ai

cittadini: realizzazione di percorsi didattici rivolti alle scolaresche e alla famiglie, apertura

di un punto vendita per i prodotti aziendali, punti di ristoro in azienda o di ospitalità

agrituristica. Queste attività determinano l’apertura dell’impresa verso l’esterno. L’apertura

nei confronti dell’ambiente esterno è un aspetto di notevole importanza, perché si

rischierebbe altrimenti di creare una sorta di “ghetto” ed inoltre contribuisce ad

incrementare le entrate che generano sostenibilità economica al progetto. Attivando questi

servizi la fattoria sociale non solo ne trae un beneficio economico e sociale, ma

contribuisce anche ad ampliare la disponibilità di servizi nel territorio rurale e di

conseguenza a migliorare la qualità della vita.

Per quanto riguarda il metodo di coltivazione adottato dalle fattorie sociali, non deve essere

obbligatoriamente quello del biologico. Attribuendo questa “etichetta del biologico” alle

fattoria sociali, si fa un errore, perché è come se si mettesse un vincolo a chi intende

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operare in questa direzione dell’agricoltura sociale. Le aziende che intendono fare

agricoltura sociale possono coltivare sia secondo il metodo del biologico che secondo il

metodo tradizionale. In questo ultimo caso, cercando comunque, di adottare un sistema a

basso impatto ambientale, in modo tale da salvaguardare l’ambiente e la salute dell’uomo e

degli animali. Questo sottolinea così una responsabilità sia sociale che ambientale. Vi sono

inoltre delle motivazioni di ordine pratico: sviluppare processi produttivi in regime

biologico o tradizionale a basso impatto ambientale evita la presenza e la manipolazione di

prodotti in qualche misura tossici, in un contesto nel quale sono attivamente coinvolti

soggetti che possono presentare forme di svantaggio anche grave; viene incrementato il

livello qualitativo dei prodotti, arricchendoli di una “qualità ambientale” che una quota

sempre più crescente di consumatori richiede e per la quale è disposta a pagare un prezzo

più alto.

Un altro importante aspetto è che il ciclo produttivo viene chiuso all’interno della fattoria

sociale, a volte anche attraverso l’attuazione di processi di trasformazione in appositi

laboratori aziendali. I beni prodotti vengono solitamente destinati ai consumatori finali in

forma di vendita o in altra forma. La produzione di un bene agricolo “finito” è coerente

con le strategie e gli obiettivi della fattoria sociale, perché assume un significato rilevante

per i soggetti che vi hanno partecipato, soprattutto per quelli svantaggiati. Viene così

percepita l’utilità del proprio contributo e la sua importanza. Inoltre, produrre beni

alimentari finiti, fa si che l’azienda agricola si avvicini di più ai consumatori, sia con la

vendita diretta in azienda, sia attraverso punti vendita esterni.

Riassumendo i beneficiari delle attività di agricoltura sociale sono:

• i soggetti che vengono attivamente coinvolti nelle attività dell’azienda, sia per finalità

terapeutico-riabilitative, che di inserimento occupazionale;

• la comunità locale, perché le attività di agricoltura sociale ampliano l’offerta di servizi

alla persona disponibili localmente, creano capitale sociale e migliorano la vivibilità e

la qualità di vita delle aree rurali;

• il settore pubblico, perché trova nelle fattorie sociali dei soggetti in grado di garantire

un livello minimo di erogazione di servizi sociali essenziali in aree marginali, a costi

più contenuti e con risultati efficaci, limitando così la spesa pubblica.

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1.2 La realtà europea

In Europa vi sono differenti tipologie di attività agricole che svolgono funzione sociale:

• in Belgio, Italia, Olanda, Norvegia e Slovenia vi sono le “care farms”,

• in Gran Bretagna, Svezia e Stati Uniti prevale l’ortoterapia e la terapia con gli

animali,

• in Finlandia è presente la terapia con gli animali,

• in Austria e Germania si possono trovare tutte queste forme di agricoltura sociale.

Le differenze delle esperienze in agricoltura sociale sono molteplici e riguardano: la

diffusione, le modalità di finanziamento, le attività, gli scopi, le fasce di popolazione a cui

sono rivolte, il rapporto fra prevalenza dell’orientamento terapeutico e prevalenza

dell’orientamento produttivo ed inserimento lavorativo.

Si è visto che la distribuzione di queste aziende non è strettamente dipendente alla

condizione e alla struttura organizzativa dell’agricoltura locale. Un esempio lo sono il

Belgio e l’Olanda, in cui in questi ultimi anni si è registrato un aumento, dovuto in parte al

peggioramento delle prospettive economiche di un’agricoltura fortemente orientata al

mercato mondiale a causa della concorrenza dei paesi emergenti sul piano agricolo, per cui

un numero crescente di agricoltori ricerca nuove attività per integrare il reddito. Per quanto

riguarda il target, quindi le fasce di popolazione a cui si rivolgono, è molto vario.

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1.2.1 Horticultural therapy Il termine horticultural therapy viene tradotto in italiano come “orticoltura terapeutica” o

meglio “terapia assistita con le piante”. Infatti alcuni studi dimostrano che curando i fiori e

le piante viene accresciuta la capacità di attenzione e di responsabilità, quindi i pazienti

curando le piante curano loro stessi. Questo tipo di terapia nasce negli Stati Uniti, dove da

dieci anni è praticata e studiata. Lo scopo è prevalentemente terapeutico-riabilitativo. E’

applicata a determinate categorie di disabilità o di disagio psichico, fisico, sociale, per le

quali le pratiche di giardinaggio hanno sortito benefici osservabili clinicamente e capaci di

ridurre una forte situazione di difficoltà o di limitazione psico-fisica. Prendersi cura di

organismi viventi da soli o in gruppo:

• stimola il senso di responsabilità e la socializzazione,

• combatte efficacemente il senso di isolamento e di inutilità,

• sollecita l’attività motoria,

• migliora il tono dell’umore e dell’organismo in generale,

• contribuisce ad attenuare i disturbi comportamentali,

• orienta nello spazio e nel tempo stimolando alcune abilità cognitive.

L’ortoterapia è praticata ampiamente negli ospedali, nei centri riabilitativi, nelle case di

riposo oltre che nelle scuole e nei centri diurni. In Gran Bretagna è strettamente collegata

con gli ospedali, mentre ad esempio in Svezia può essere collegata con le Università. Oltre

all’aspetto propriamente terapeutico, si sta diffondendo sempre più, specialmente nei paesi

anglosassoni e nordici, la consapevolezza della funzione sia curativa che preventiva per il

benessere che ha il giardinaggio e l’utilizzo di giardini e ambienti paesaggistici naturali a

fronte di una situazione ambientale sempre più urbanizzata.

1.2.2 Pet therapy La forma più diffusa di questo tipo di approccio terapeutico è l’ippoterapia riconosciuta

come modalità utile per persone con disabilità mentale o fisica, con problemi

comportamentali o disturbi psichiatrici. La pet therapy è utilizzata particolarmente con

certi tipi di disabilità mentale quali l’autismo e con le forme depressive. Un’altra categoria

di animali molto utilizzata è l’asino, perché animale affettuoso, che cerca il contatto fisico.

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E’particolarmente indicato per quei soggetti con disturbi che alla base hanno una difficoltà

nella sfera affettiva, disturbi di personalità, cognitivi e relazionali. Possono trarre vantaggio

dall’onoterapia, persone sole, cardiopatici, ipertesi, bambini, malati psichiatrici, persone

con problemi di ansia. Altri animali utilizzati sono i polli e i maiali, con persone depresse

perché sono in grado di farli ridere e i bovini con persone iperattive, perché sono animali

calmi.

1.2.3 In Olanda Dal punto di vista numerico ed organizzativo le cars farms in Olanda rappresentano la

punta più avanzata del fenomeno di agricoltura sociale ed hanno alcune caratteristiche

peculiari rispetto ad altre esperienze europee. Innanzitutto si inseriscono in un contesto

agricolo altamente tecnologizzato, integrato dal punto di vista commerciale e molto

competitivo sul piano internazionale. Negli anni ’90 alcuni fenomeni (di seguito elencati)

hanno spinto gli agricoltori olandesi a trasformare le loro aziende in care farms:

• la progressiva difficoltà degli agricoltori a far fronte alla crescente concorrenza di

paesi emergenti che producono ed esportano a prezzi più concorrenziali,

• la crescente resistenza dell’opinione pubblica olandese nei confronti di un settore

agricolo ad alto impatto ambientale che riceve forti sussidi dallo stato,

• l’aumento del disagio sociale e psichico nelle aree urbane, in un paese ad alta

densità demografica.

Le care farms sono lo sviluppo di aziende agricole già attive e mantengono una decisa

vocazione imprenditoriale. Mentre in altri paesi come Italia e Francia molte delle attività

agricole con funzione sociale sono state avviate da soggetti estranei al settore agricolo,

come cooperative sociali e fondazioni.

Inoltre la diffusione di queste attività ha influito sulla struttura delle imprese agricole

infatti, accanto ad un’agricoltura tutta orientata al mercato internazionale si sta sviluppando

un’agricoltura aperta alle comunità locali e una più decisa scelta della coltivazione

biologica.

In Olanda dalle 75 care farms del 1998 si è passati alle 600 odierne, grazie alle istituzioni

sanitarie per aver compreso rapidamente le potenzialità terapeutiche di queste nuove realtà.

Nel 1999 è stato costituito un Centro Nazionale di supporto alle care farms finanziato dal

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Ministero dell’Agricoltura e da quello della salute. Lo scopo principale del Centro è di

mettere in collegamento in modo veloce ed informale la persona in difficoltà con

l’agricoltore partecipante al progetto. Inoltre il Centro ha sviluppato un sistema nazionale

di qualità per le care farms, a cui partecipano gruppi di studio di agricoltori per migliorarlo.

Questo sistema di qualità aiuta gli agricoltori ad organizzare la loro attività di cura con

particolare attenzione per la sicurezza. A livello regionale esso collabora con le fondazioni

per lo sviluppo rurale, associazioni di agricoltori e imprese private di consulenza. Le

persone che lavorano a livello regionale contattano i singoli agricoltori per aiutarli a

formulare un business plan, chiarire cosa possono offrire e a collegarli con le persone in

difficoltà più adatte.

1.2.4 In Norvegia Nonostante la superficie coltivabile sia molto ridotta, l’agricoltura norvegese ha molti

aspetti che ben si adattano alle attività di green care come: dimensioni ridotte delle

aziende, vasta gamma di produzioni, macchinari relativamente piccoli molte operazioni

manuali. L’organizzazione del modello norvegese ricalca molto quella del modello

olandese: accordi fra la singola azienda, l’ente locale e l’utente, con un coordinamento

regionale e nazionale.

Prima che ogni attività in fattoria possa essere definita come green care deve esserci un

accordo scritto fra l’agricoltore e l’ente locale sui servizi, che riguarda: le linee guida dei

contenuti, gli standard di qualità la divisione delle responsabilità, la definizione delle

diverse funzioni, le modalità di cooperazione, gli aspetti finanziari e la durata dell’accordo.

La funzione degli agricoltori è quella di supervisore e accompagnatore mentre gli esperti

dell’ente sono responsabili della qualità dei servizi. I servizi più comuni sono quelli di tipo

educativo rivolti agli alunni delle scuole, corrispondenti alle nostre fattorie didattiche.

Inoltre ci sono aziende che si occupano di persone con problemi psichiatrici e di ragazzi

con problemi comportamentali. In quantità ridotta troviamo anche gli asili in fattoria ed i

servizi per gli anziani con demenza.

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1.2.5 In Francia In Francia l’agricoltura sociale ha una storia e delle caratteristiche particolari, nasce da una

sola esperienza che in pochi anni da luogo ad un fenomeno nazionale. Questa esperienza si

chiama “Jardins de Cocagne” e nasce come risposta ad una problematica locale, quella di

come attuare dei reinserimenti sociali e lavorativi in agricoltura. Il fondamento principale

su cui si basava l’iniziativa era quello di collegare il mondo dell’orticoltura, con il mondo

dell’inserimento sociale e con l’agricoltura biologica che cominciava a rispondere alle

nuove attese dei consumatori.

Lo scopo dei Jardins quindi non è terapeutico-riabilitativo ma di reinserimento lavorativo

per cui non si rivolgono alla disabilità mentale ma a persone di tutte le età che si trovano in

situazione precaria: senza reddito, disoccupati di lungo periodo, senza domicilio o in

difficoltà personale. Le persone sono inserite generalmente a tempo parziale, con un

contratto d’impiego e formano un’equipe inquadrata da un agrobiologo ortolano e spesso

da personale di accompagnamento sociale che si occupa delle loro difficoltà personali. La

dinamica del lavoro in orticoltura permette loro di ritrovare uno status sociale, un’attività

ed un salario, passando da una situazione di assistiti a quella di produttori. Questi Jardins si

pongono come prima tappa di un processo di socializzazione e di inserimento lavorativo.

Dal 1996 al 1999 si è osservata una crescita notevole del numero di Jardins; si è passati dai

20 del 1996 ai 50 del 1999. Proprio per questo motivo è stato creato il Reseau Cocagne,

non con lo scopo di sollecitare la costituzione dei Jardins, ma per offrire un supporto

tecnico per lo studio di fattibilità di queste nuove attività (analisi delle problematiche

sociali e locali, progettazione agraria, business plan ecc..). Per quanto riguarda la

distribuzione della produzione orticola, questa avviene tramite la sottoscrizione di panieri

di verdura secondo la stagione e distribuiti settimanalmente presso i Jardins o altre sedi ad

una rete di acquirenti.

Questo permette di rendere gli acquirenti partecipi al progetto, tramite iniziative come

volantini informativi, incontri formativi e feste. Inoltre così facendo è possibile

programmare la coltivazione, per cui tutta la produzione è già venduta in anticipo e quindi

si ha una maggior certezza del reddito.

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1.2.6 In Italia ed in Piemonte E’ stata svolta una ricerca dall’Università della Tuscia di Viterbo, che ha evidenziato la

mancanza di dati sia su base nazionale che regionale, che permettano di dare una

panoramica della situazione e inoltre la presenza a macchia di leopardo di alcune realtà di

agricoltura sociale. Ciò che emerge sono la varietà e la frammentazione delle esperienze.

Le regioni in cui l’agricoltura sociale riveste una certa importanza sono la Toscana, il

Lazio, la Campania. In Piemonte ed altre regioni iniziano a vedersi i primi passi verso

questa direzione. In Italia una stima del fenomeno non è semplice per la mancanza di una

definizione condivisa e la difficoltà di condurre in questo ambito un censimento nazionale.

Ecco di seguito, riportati nella tabella 1 alcuni numeri che potrebbero dare un’idea della

diffusione di questo fenomeno nel nostro Paese.

Tabella 1. Numeri delle attività profit e no profit riconducibili all’agricoltura sociale in Italia.

COOP.

SOCIALI

TIPO A

COOP.

SOCIALI TIPO

B

COOP.

SOCIALI TIPO

B/AGRICOLE

COOP.

MISTE

TIPO A+B

AZIENDE

AGRICOLE

“SOCIALI”

3700 1980 470 250 1000

* Anno 2003 Fonte: Elaborazioni su dati Istat

Nella tabella 2, vengono riportate le differenti tipologie di imprese che operano nel sociale

ed il ruolo che svolgono.

Tabella 2. Tipologie di imprese che operano nel sociale.

Cooperativa sociale di tipo A: persegue l’interesse generale della comunità alla

promozione umana e all’integrazione sociale attraverso la gestione di servizi socio

sanitari ed educativi.

Cooperativa sociale di tipo B: svolge attività agricole, industriali, commerciali o di

servizi, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Cooperativa mista tipo A+B: svolgono entrambe le tipologie di attività.

Aziende agricole sociali: svolgono come attività principale quella agricola e come

attività connessa la produzione di servizi sociali.

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Mettendo a confronto la realtà italiana con le altre realtà europee, si può sottolineare il fatto

che all’estero le care farms sono nate per iniziativa degli agricoltori, mentre in Italia quasi

tutte per iniziativa del terzo settore, in particolare di associazioni o cooperative sociali.

Un altro fattore che si è evidenziato è l’individualità delle iniziative, l’assenza di una rete

di scambi informativi.

In Italia l’agricoltura sociale è rivolta ad un target molto diversificato e anche il personale

che vi lavora è molto vario. Proprio per questi motivi, i servizi che offrono sono molteplici,

si hanno aziende che forniscono servizi assistenziali, educativi (fattorie didattiche),

percorsi terapeutici o riabilitativi, attività per il recupero di soggetti tossicodipendenti ed

ex-detenuti.

L’agricoltura sociale italiana ha in comune con le realtà europee alcune caratteristiche:

• prevalenza dell’agricoltura biologica,

• diversificazione delle attività,

• apertura verso le comunità locali, attraverso apertura di un punto vendita interno,

un punto di ristoro, incontri, manifestazioni.

E’ dunque evidente che il tema dell’agricoltura sociale è non soltanto abbastanza nuovo ma

anche complesso. A questa complessità del tema corrisponde la necessità di una politica

adeguata in grado di valorizzarne tutti gli aspetti. In particolare: conoscenza, condivisione

di obiettivi di intervento, prassi di lavoro in grado di valorizzare il ruolo di tutti gli attori

coinvolti; formazione agricola per gli operatori sociali e formazione sociale per gli

operatori agricoli; investimenti sia per valorizzare la produzione agricola delle imprese

sociali che la struttura sociale delle imprese agricole; creazione di una rete sociale/agricola

di imprese e operatori. Dunque la necessità di un forte lavoro istituzionale, già iniziato in

molte Regioni e che dal punto di vista delle politiche oggi trova attuazione, sul lato

agricolo, nella politica di sviluppo rurale 2007/2013.

Per quanto riguarda più nello specifico la realtà del Piemonte, questa “nuova” agricoltura

non trova un grande sostegno nel Psr 2007/2013, in quanto la Misura 311 “diversificazione

in attività non agricole” può essere applicata solamente alle aree rurali con problemi

complessivi di sviluppo (territori montani a bassa intensità abitativa) ed alle aree rurali

intermedie (zone di collina), escludendo così le zone di pianura caratterizzate da

un’importante attività agricola. Inoltre non vi è ancora una definizione di Fattoria Sociale,

al momento sotto questo termine rientrano le fattorie didattiche, gli agriasili, le aziende

agricole che fanno attività terapeutico-riabilitativa come l’ippoterapia, l’onoterapia, che

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attuano inserimenti lavorativi o sociali, senza quindi avere un quadro chiaro di cosa si

tratta.

In Piemonte l’agricoltura sociale appare maggiormente polverizzata, poco aggregata,

rispetto ad altre regioni, in cui invece si hanno già delle iniziative volte alla creazione di

reti, di sistemi di collaborazioni, di convenzioni con enti pubblici. Nonostante i sostegni

ridotti, si iniziano a vedere anche qui in Piemonte i primi passi per affermare l’agricoltura

sociale, per creare una rete, per creare un protocollo d’intesa, per regolamentare coloro che

hanno intenzione di intraprendere tale attività. Su questo territorio sembra essere una realtà

poco sviluppata quella delle Fattorie Sociali, forse proprio per la sua frammentazione,

invece dalle indagini effettuate risultano esservi differenti attività di agricoltura sociale.

Sono realtà alquanto diverse, possiamo trovare associazioni e/o cooperative sociali che tra

le varie attività che svolgono hanno deciso di dedicare parte del loro spazio anche

all’agricoltura, visti i risultati e i benefici che può apportare a persone con differenti

tipologie di svantaggio. I prodotti ottenuti vengono poi venduti all’interno di un piccolo

punto vendita realizzato nella cooperativa stessa, oppure impiegati all’interno

dell’agriturismo che alcune di queste cooperative realizzano per dare un’opportunità di

sbocco in più ai soggetti inseriti, oppure possono esser ancora distribuiti sottoforma di

panieri. Inoltre esistono aziende agricole che decidono di inserire all’interno della loro

filiera produttiva persone svantaggiate, oppure decidono di diventare fattoria didattica o

agriasilo, e quindi di avvicinarsi e dedicarsi al sociale sfruttando la loro attività. Gli

inserimenti possono essere a scopo terapeutico-riabilitativo, oppure a scopo di inserimento

lavorativo o sociale.

Quindi si può dire che esistono soggetti che lavorano nel sociale, che cercano di

avvicinarsi al mondo dell’agricoltura e soggetti che lavorano in agricoltura che cercano di

orientarsi verso il sociale. Da queste esperienze si potrebbe pensare di intrecciare questi

due mondi in modo tale da creare un sistema, una rete che dia sostegno all’agricoltura

sociale.

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CAPITOLO 2 - PROPRIETA’

TERAPEUTICO-RIABILITATIVE

DELL’AGRICOLTURA

Le proprietà benefiche nei confronti della salute umana derivanti dalla cura e dalla crescita

di piante sono note da tempo. Nel 1699 Leonard Maeger scrisse sull’English Gardner che

“dedicare del tempo alla cura del giardino, zappando, seminando, togliendo le erbe

infestanti è il miglior modo per conservare la propria salute”. Benjamin Rush, psichiatra e

firmatario della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti dichiarò che “ lavorare la

terra ha effetti curativi sui malati mentali”.

Più recentemente si è sviluppata nei paesi anglosassoni, una rilevante attività di ricerca

sugli effetti benefici delle piante sulla vita umana che ha dato origine a nuove discipline

scientifiche quali la “orticoltura terapeutica” – hortycultural therapy – e la “socio-

orticoltura” – sociohortyculture.

Con riferimento alle disfunzioni e ai disagi di natura psichico-mentale l’ampia letteratura

disponibile in ambito medico-psichiatrico ha analizzato gli effetti positivi sui pazienti

derivanti da un’interazione con le piante.

Le principali determinanti degli effetti salutari e terapeutico-riabilitativi dell’agricoltura su

soggetti affetti da disabilità mentale sono:

• Familiarità – Le piante, gli alberi, i fiori, i frutti, rappresentano oggetti

agevolmente riconoscibili da tutti. I soggetti, ancorché sofferenti di limitazioni

psichiche o mentali, possono generalmente relazionarsi in modo immediato con

essi riconoscendoli come normali componenti della realtà.

• Interazione sociale – Diverse operazioni agricole manuali, anche quelle molto

semplici, possono essere condotte in gruppi di due o più soggetti. Inoltre la

possibilità di ottenere prodotti vendibili direttamente in azienda, come nel caso di

ortaggi, fiori, prodotti di vivaio o di piccolo allevamento, consente l’interazione

diretta con il pubblico che riduce l’isolamento sociale nel quale i soggetti con

disturbi mentali, psichici o di comportamento, vengono non di rado relegati.

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• Percezione dello scorrere del tempo – Il contatto diretto con organismi biologici

consente di percepire il fluire del tempo e delle stagioni secondo i ritmi della natura

più compatibili con i delicati equilibri psicologici dei soggetti coinvolti.

• Semplicità dei compiti – l’agevole esecuzione di alcune operazioni colturali

(l’annaffiatura, la raccolta dei prodotti , le semine in vaso) è una caratteristica tipica

dell’agricoltura che consente di coinvolgere anche soggetti con modesto livello

formativo e con limitate capacità fisiche o mentali.

• Attività fisica – L’agricoltura non è un’attività sedentaria. Compatibilmente con le

possibilità motorie dei pazienti, questi possono esser coinvolti in diverse attività

che implicano movimento. L’impegno fisico, oltre agli effetti sulla salute del corpo,

contribuisce a ridurre lo stress e l’ansietà generati da disturbi psichici.

• Sollecitazioni sensoriali – Il lavoro in pieno campo, come quello in serra, stimola i

diversi sensi della persona: la vista (il paesaggio), gli odori, i sapori, il contatto

diretto con la terra e con altri organismi viventi.

• Ottimismo – L’anticipazione e l’attesa della crescita delle piante che si mettono a

dimora contribuisce a creare ottimismo e a sentirsi parte di un processo creativo.

• Senso di utilità e di autostima – Le piante reagiscono rapidamente alla cura

dell’uomo e lo “ricompensano” con la produzione di nuove foglie, di fiori e frutti.

Si verifica così una sorta di feedback positivo che contribuisce a rafforzare la stima

di sé. Anche l’ottenimento di un prodotto “utile” per la collettività, come nel caso

di ortaggi o di fiori, contribuisce all’autostima del soggetto in quanto partecipe

della comunità locale, al cui benessere offre anch’egli un contributo.

• Processo decisionale – Nell’attuazione di operazioni colturali si susseguono

occasioni in cui occorre prender decisioni, seppur limitate, per esempio decidere la

profondità di una semina e i volumi di acqua da somministrare.

L’introduzione di soggetti con disabilità mentale o fisica all’interno di aziende agricole o

meglio fattorie sociali, ha scopo riabilitativo e/o di inserimento lavorativo. Questo permette

all’individuo di raggiungere il suo massimo livello di indipendenza psicologica, sociale,

fisica ed economica. Vuole dire aiutarlo a recuperare il precedente livello di

funzionamento o permettergli di conseguire un maggior grado di autonomia.

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2.1 Terapia con le piante

Prima di attuare la riabilitazione si deve determinare il percorso riabilitativo in base al

soggetto con cui si lavora. Il percorso è qualcosa di dinamico, che si costruisce con

l’evolvere del rapporto con il soggetto, in base alle sue necessità.

Le aree più spesso compromesse nelle persone disabili sono:

• difficoltà di relazione,

• difficoltà d’integrazione,

• difficoltà di riconoscere ed esprimere il proprio potenziale affettivo ed emotivo,

• riduzione delle capacità logiche e conoscitive,

• riduzione delle attività motorie.

Le attività che si possono svolgere nell’ambito della terapia orticolturale sono: il lavoro

nelle serre, la cura dei giardini, la produzione di manufatti con prodotti che la natura ci

offre, la vendita dei prodotti agricoli e la coltivazione dei campi. L’orticoltura e il

giardinaggio si prestano molto bene al lavoro di gruppo, alla manipolazione e alla

manualità, al lavoro all’aria aperta, all’interazione con l’ambiente.

Questo tipo di terapia interessa diversi aspetti, quello terapeutico, sociale e professionale.

Aspetto terapeutico

Area cognitiva

• la memoria (a breve e lungo termine),

• il pensiero logico,

• l’orientamento (nel tempo e nello spazio),

• la comprensione,

• il linguaggio,

• il giudizio,

• la capacità di calcolo,

• la concentrazione,

• l’attenzione, la capacità di scrittura, lettura, ascolto,

• l’abilità di svolgere un compito nella giusta sequenza,

• l’iniziativa,

• l’apprendimento,

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• la capacità di discriminazione (ad esempio un oggetto dall’altro),

• la comunicazione.

Area motoria (aspetto fisico, azioni motorie necessarie allo svolgimento delle attività di

HT)

• intenzionalità dei movimenti,

• movimenti unilaterali,

• movimenti bilaterali (di entrambe le mani o le braccia),

• movimenti bimanuali (una mano esegue l’azione e l’altra l’aiuta),

• flessione,

• movimenti ritmati e/o automatici,

• la coordinazione dei movimenti fini,

• la coordinazione occhio-mano,

• uso della forza e della resistenza muscolare,

• controllo e uso dei muscoli che sorreggono il corpo,

• dosaggio della forza,

• mantenimento della posizione eretta per un certo periodo,

• mantenimento di una postura corretta.

Area sensoriale

Evitare l’impoverimento sensoriale, attraverso stimolazioni delle capacità:

• olfattive: fioriture, foglie aromatiche, profumo della terra;

• uditive: versi degli uccelli, foglie mosse dal vento;

• gustative: sapore acido, dolce, amaro, salato, piccante;

• visive: riconoscere le diverse forme, distinguere tra figura e sfondo, la spazialità,

percezione dei colori e della luce;

• tattili: consistenza di diversi materiali, temperatura, umidità, tessitura delle foglie, dei

diversi tipi di superfici calpestabili;

• cinestetiche: ottenuto dalle sensazioni che si ricavano dallo spostamento di corpi, per

cui movimenti sulle pendenze dei percorsi, o le rotazioni ad angolo retto, costituiscono

importanti informazioni per riconoscere la propria posizione o per proseguire in

determinate direzioni;

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• l’indizio ambientale: il paesaggio attraverso zone assolate od ombreggiate, può

indicare il passaggio da un luogo deputato ad una funzione, ad un luogo deputato ad

un’altra.

Aspetto comportamentale (il contatto con la natura)

• rilassamento e benessere globale;

• la luce verde riflessa dalle piante è uno dei più potenti tranquillanti che esista in natura;

• rilassamento muscolare ( soprattutto nei soggetti che presentano contratture, ipertono,

spasticità);

• riduce i comportamenti aggressivi;

• riduce lo stress;

• aiuta a combattere la depressione;

• aiuta a sviluppare la pazienza;

• invoglia l’esplorazione dello spazio circostante;

• aiuta a distrarre da comportamenti compulsivi-ossessivi;

Aspetto sociale

• Spesso le persone disabili e gli anziani non autosufficienti provano una sensazione di

solitudine, di isolamento e di inadeguatezza.

• Possono soffrire di depressione, apatia, astenia ( affaticabilità, eccessiva, perdita di

energia).

• La mancanza di gioia per essere riusciti a fare autonomamente una cosa crea il rifiuto

di confrontarsi con il mondo esterno.

• La monotonia viene vissuta come qualcosa di estremamente negativo che limita e può

distruggere la personalità portando le persone ad un isolamento totale.

• La mancanza di autonomia genera una riduzione di autonomia.

• La vita in una casa di riposo o in un istituto porta ad una vita molto sedentaria, dove gli

stimoli motori sono molto scarsi.

• Capacità di mettersi in relazione è spesso compromessa.

La terapia orticolturale:

• da la possibilità di crearsi un interesse che può sfociare in un hobby;

• stimola la capacità di espressione essendo un’attività creativa;

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• permette di fare una moderata attività fisica all’aria aperta;

• agisce sul sistema motivazionale;

• stimola l’accudimento;

• stimola l’iniziativa e il senso di responsabilità;

• migliora la capacità di relazione e di socializzazione potendo condividere un interesse;

• crea benessere globale e divertimento.

Di seguito elenchiamo come diverse tipologie di lavori possono aiutare i soggetti disabili:

• la semina, è un esercizio che necessita la coordinazione occhio mano e aiuta a

migliorare la manualità fine;

• lavorare in aiuola, che ha una certa profondità, richiede organizzazione e percezione

dello spazio;

• piantare arbusti di varie dimensioni, piante perenni o annuali, posizionarli in primo o

secondo piano, può aiutare molto i non vedenti ad acquisire o migliorare la spazialità, e

il senso di distanza;

• il ciclo della vita delle piante e i conseguenti lavori fortemente stagionali, come

potature, rinvasi, raccolta di semi ecc., aiutano a migliorare la temporalità;

• l’etichettatura delle piante, permette di sviluppare e mantenere la capacità di scrittura e

lettura, aiuta inoltre la memoria,

• veder crescere una piantina che si è seminata, fa sentire capaci di far qualcosa e questo

aiuta l’autostima.

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2.2 Terapia con gli animali

La terapia con gli animali nasce ufficialmente nel 1961 come tecnica d’intervento

terapeutico in cui l’animale diventa “co-terapeuta”. L’animale agisce come soggetto attivo

tra lui e la persona trattata, avviene uno scambio reciproco fatto di emozioni e stimoli che

provocano cambiamenti ed effetti positivi in entrambi. La comunicazione con l’animale

che avviene nelle forme più svariate, non potendo ovviamente far ricorso al linguaggio,

garantisce un effetto calmante, infatti, tale dialogo non conosce rigide regole sociali.

Inoltre, la soddisfazione del bisogno di affetto e di relazione “interpersonale” crea le

condizioni di un buon equilibrio psico-fisico, specialmente nei bambini, negli anziani e nei

malati. Il prendersi cura dell’animale, favorisce il senso di responsabilità, garantendo

un’immagine valida e positiva della propria persona e del proprio valore individuale.

Infatti dare da mangiare all’animale rappresenta il primo passo per stabilire un rapporto di

fiducia poiché grazie al cibo si creano tutta una serie di informazioni ed emozioni che

legano vicendevolmente uomo ed animale.

Nei bambini con particolari problemi, negli anziani, in alcune categorie di malati e disabili

fisici e psichici il contatto con un animale può aiutare a soddisfare certi bisogni (affetto,

sicurezza, relazioni interpersonali) e recuperare alcune abilità che queste persone possono

aver perduto. Può svolgere la funzione di ammortizzatore in particolari condizioni di stress

e di conflittualità e può rappresentare un valido aiuto per pazienti con problemi di

comportamento sociale e di comunicazione, per chi soffre di alcune forme di disabilità e di

ritardo mentale e per pazienti psichiatrici. Gli animali che vengono abitualmente coinvolti

in questo tipo di terapia sono cani, asini, capre, cavalli e mucche.

I concetti fondamentali per i quali la terapia con gli animali viene considerata salutare

sono:

• gli animali forniscono compagnia,

• sono esseri attivi,

• offrono un supporto emozionale,

• sono un ottimo stimolo all’esercizio fisico,

• fanno sentire accettata la persona,

• risvegliano il senso di responsabilità.

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Le diverse finalità sono:

• finalità psicolgogiche-educative,

• finalità psichiatriche,

• finalità mediche,

• finalità motorie-riabilitative.

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CAPITOLO 3 - RAPPORTO TRA

DISABILITA’ E FILIERA

PRODUTTIVA

Le aziende agricole che coinvolgono disabili hanno così la possibilità di coniugare la

funzione sanitaria-riabilitativa-occupazionale con la funzione produttiva orientata al

mercato. Le cooperative sociali appaiono delle figure giuridiche particolarmente adatte a

condurre tali aziende in quanto, per obiettivo statutario, affiancano l’inserimento

lavorativo, di soggetti svantaggiati con l’offerta di fornire prodotti e servizi competitivi sul

libero mercato.

Per queste realtà, tuttavia il ruolo del settore pubblico resta comunque fondamentale sia per

fornire il personale per la necessaria assistenza sanitaria, sia per sostenere economicamente

la conduzione di processi produttivi che coinvolgono i disabili. Infatti, non solo il

rendimento lavorativo non è generalmente paragonabile a quello fornito da persone

normodotate, ma anche le tecniche produttive devono essere appositamente modificate per

consentire ai disabili di partecipare allo svolgimento delle operazioni.

Per queste ragioni alcune attività agricole si prestano meglio di altre a poter essere svolte

da soggetti con tali tipologie di limitazioni. Orticoltura, floricoltura e vivaismo (sia in

pieno campo che in serra) rappresentano attività che, oltre ad essere caratterizzate da una

relazione diretta ed attiva con le piante, prevedono consistenti impieghi di lavoro, limitato

ricorso alla meccanizzazione e tecnologie accessibili. Ulteriori possibilità di agricoltura

terapeutica sono quelle collegate agli animali, in particolare l’ippoterapia, l’allevamento di

animali da cortile e di animali domestici.

In queste realtà agricole vi è la coesistenza della funzione produttiva e quella sociale. La

determinazione del peso relativo che tali funzioni dovrebbero assumere nell’ambito delle

singole aziende è molto difficile. Infatti, un eccessivo sbilanciamento verso la funzione

produttiva, oltre a marginalizzare il ruolo dei disabili nei processi produttivi riducendo la

specificità terapeutica, verrebbe a “sfruttare” i soggetti coinvolti traendo un profitto dal

loro impiego. D’altro canto una predominanza della funzione sociale farebbe perdere

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all’azienda la sua vocazione produttiva legando la prosecuzione delle sue attività, e quindi

la sopravvivenza stessa, alla presenza del sostegno pubblico.

Questo delicato equilibrio può essere trovato dall’azienda multifunzionale sociale solo

attraverso dei continui adattamenti stimolati dal contesto istituzionale, dalle opportunità di

mercato e dalle politiche, che in questo caso non sono solo quelle agricole o di sviluppo

rurale ma anche quelle per l’occupazione (soprattutto di soggetti svantaggiati). Di

conseguenza la gestione di queste realtà richiede, rispetto alla conduzione di una normale

azienda, una maggiore capacità progettuale che sappia valorizzare la propria componente

sociale senza perdere la specificità di impresa operante nel settore agricolo.

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3.1 Inserimento lavorativo di soggetti disabili

L’inserimento all’interno della filiera produttiva, permette a queste persone di apprendere e

approfondire le proprie abilità in una o più fasi del lavoro agricolo e di essere poi

eventualmente inseriti nel processo produttivo aziendale.

Il percorso di inserimento lavorativo è abbastanza complesso, trattandosi di una particolare

categoria di lavoratori per i quali, più che per chiunque altro, è importante poter esaltare al

massimo le capacità lavorative e trovare i luoghi dove queste capacità possano esercitarsi

al meglio, in sintonia con l’evoluzione del sistema aziendale nel quale sono inseriti. Per

fare ciò è necessario conoscere bene il soggetto con cui si vuole lavorare e il ciclo

produttivo in cui inserirlo. Si parla infatti di collocamento mirato, inteso come quella serie

di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con

disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserimento nel posto adatto, attraverso le

analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi

connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di

lavoro e di relazione. In questo modo si cerca di garantire “l’uomo giusto al posto giusto”,

facendo si che domanda e offerta di lavoro si incontrino.

La fondazione Don Gnocchi, nell’ambito di un progetto Horizon, avviato nel 1996 e

terminato nel 1998, ha realizzato il software Match. Il programma nasce con l’intento di

essere uno strumento di facilitazione nel processo di abbinamento candidato-posizione di

lavoro, soprattutto in relazione a quei contesti che si trovano a gestire consistenti numeri di

soggetti invalidi da collocare. Il programma consente infatti di incrociare in modo

informatizzato le offerte e le domande di lavoro sulla base delle caratteristiche psicologico-

cognitivo-attitudinali dei soggetti e delle caratteristiche operative delle posizioni. Le utilità

del programma sono: un incrocio informatizzato delle offerte e delle domande di lavoro

relativamente alle persone con disabilità; fornisce due output, da un lato, partendo dalle

caratteristiche di una persona disabile, sapere quali mansioni lavorative e quali aziende

sono le più idonee, dall’altro partendo dallo skill richiesto da una determinata mansione di

un’azienda, ottenere una rosa di candidati le cui caratteristiche siano le più vicine ai

bisogni aziendali.

Attualmente a livello europeo la valutazione delle abilità residue finalizzata al

reinserimento lavorativo viene affrontata necessariamente in equipe in quanto le

problematiche sono vaste e riferibili non solo alla mancata abilità o partecipazione delle

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persone da esaminare, ma anche alle caratteristiche specifiche del posto di lavoro. Lo

scopo primario della valutazione delle abilità residue è principalmente quello di definire

progetti personalizzati di riqualificazione professionale ed ottenere un collocamento mirato

degli stessi. Vi sono differenti scale di valutazione delle abilità residue, esse costituiscono

la piattaforma di partenza su cui impostare interventi volti al miglioramento dello stato

delle persone affette da limitazioni nelle attività e nella partecipazione. Inoltre queste scale

sono utili per valutare se un intervento abbia prodotto o meno un miglioramento

significativo sulla disabilità del soggetto e per misurare il carico assistenziale necessario

per mantenere una certa qualità della vita. Una scala di valutazione utilizzata anche in

Piemonte è l’ICF “International Classification of Functioning, Disability and Health”.

Questa classificazione internazionale serve per la descrizione della salute e degli stati ad

essa correlati, delle caratteristiche della salute delle persone all’interno del contesto delle

loro situazioni di vita individuali e degli impatti ambientali, è una classificazione delle

“componenti della salute”, non solo quindi delle “conseguenze delle malattie”. Di seguito

viene riportata la struttura dell’ICF.

L'ICF è suddiviso in 2 parti:

- la parte 1 comprende Funzionamento e Disabilità.

- la parte 2 comprende i Fattori Contestuali.

Le componenti della parte 1 sono:

- Funzioni e Strutture Corporee

- Attività e Partecipazione.

Le componenti della parte 2 sono:

- Fattori Ambientali.

- Fattori personali (non classificati nell'ICF).

Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche o psicologiche dei sistemi corporei. Le

strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti e i loro

componenti. L’attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un

individuo. La partecipazione è il coinvolgimento dell’individuo nelle situazioni della vita. I

fattori ambientali costituiscono l’ambiente fisico, sociale e quello delle aspettative entro

cui le persone sono collocate e conducono la loro esistenza. La capacità è quello che una

persona sa fare in un ambiente sconosciuto. La performance è quello che la stessa persona

riesce a fare nel suo abituale e generalmente adattato ambiente di vita. La differenza tra

capacità e performance permette una prima possibilità di valutare i bisogni e gli interventi.

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STRUTTURA DELL’ICF

In seguito alla valutazione delle abilità residue del soggetto si procede all’inserimento

all’interno della filiera produttiva.

Inizialmente, è bene che vi sia un periodo di osservazione, di valutazione, nonostante

magari si abbia già un quadro del soggetto, questo perché la persona viene inserita in un

ambiente nuovo per cui si deve verificare il suo approccio con questa nuova realtà. E’

importante riuscire a capire il suo comportamento, il rapporto che instaura con l’ambiente

circostante e con le altre persone presenti in azienda (capacità di relazione), al fine di

definire le sue attitudini, quali attività sia in grado di svolgere e quali siano utili ai fini

terapeutico-riabilitativi. Dopo aver individuato la postazione più idonea al soggetto in

questione, il tutor dovrebbe porre degli obiettivi a breve termine, per rilevare se si sono

raggiunti dei risultati e se le mansioni attribuitegli sono idonee. E’ necessario comunque,

porsi degli obiettivi lungo tutto il percorso come verifica, per accertare se la modalità con

cui si sta procedendo sia efficace per il “ paziente”.

ICF

Parte1 Funzionamento

e disabilità

Parte 2 Fattori

contestuali

Funzioni e strutture corporee

Attività e partecipazione

Cambiamento nella funzione

corporea

Cambiamento nella struttura

corporea

Capacità Performance

Fattori ambientali

Fattori personali

Facilitatori, barriere

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Le persone autistiche o affette da psicosi sarebbe bene inserirle in attività all’aperto in

pieno campo e a contatto con gli animali.

Persone down potrebbero svolgere lavori ripetitivi, quali la semina manuale, l’eliminazione

di erbe infestanti, perché ossessivi nello svolgere determinate attività e caratterizzati da una

notevole resistenza e forza fisica.

I soggetti disabili devono essere seguiti durante tutto il percorso di tirocinio da tutor, con la

supervisione degli operatori sociali.

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CAPITOLO 4 - I PRODOTTI ETICI

Nella società post-moderna, ricca e nella quale i consumi, occupano un ruolo di primo

piano nella vita delle persone, si assiste all’emergere di una nuova consapevolezza circa i

doveri sociali di ciascuno, anche in quanto consumatore. Si osserva che, una componente

minoritaria ma crescente di consumatori nel fare le proprie scelte di acquisto pone

attenzione agli effetti che queste scelte possono avere sul benessere di altri soggetti; questi

soggetti possono essere produttori, lavoratori, cittadini e consumatori, animali o anche

l’ambiente. Questo tipo di comportamento viene definito un comportamento responsabile,

perché si tiene conto dell’influenza che possono avere i propri consumi su diversi aspetti.

Ad esempio gli acquisti dei prodotti del commercio equo e solidale sono stati interpretati

come la ricerca da parte dei consumatori di esprimere e mettere in atto una maggiore

responsabilità sociale.

Il consumo responsabile si esplicita secondo tre tipologie principali: il consumo critico, il

consumo alternativo e il consumo sostenibile, che non si basano esclusivamente sul prezzo

e sulla qualità di uso del bene. Il consumo critico può essere interpretato come

l’espressione di un voto ogni qualvolta si fa la spesa, premiando le imprese il cui

comportamento è gradito e punendo le altre. Il consumo alternativo è definito come una

forma di consumo organizzata al di fuori del circuito economico tradizionale, nata con

l’obiettivo di contribuire attivamente a far affermare equità e solidarietà ed utilizzando

come strumento criteri di scelta coerenti con tali valori. Infine il consumo sostenibile che

mette in atto comportamenti che si rifanno principalmente a preoccupazioni di tipo

ambientale.

Una definizione di consumatore etico che riesce in qualche modo a sintetizzare in maniera

esaustiva le diverse definizioni potrebbe essere la seguente: il consumatore etico (o

responsabile o solidale) è colui che nell’acquisto, tra le altre motivazioni, ricerca anche la

soddisfazione morale, definita in base ad una scala di valori del tutto soggettiva.

Gli attributi etici sono tipici attributi di fiducia in quanto più che riguardare il prodotto

finito in sé, riguardano il modo in cui il prodotto è stato ottenuto, ovvero riguardano

specifiche caratteristiche del processo produttivo. Il prodotto etico finito può essere

indistinguibile da altri prodotti del tutto equivalenti, appunto, tranne che per la natura etica

del processo che li ha generati.

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Diversi studi hanno mostrato come l’insufficienza di informazioni specifiche su questi

prodotti sia una delle cause che impediscono al consumo etico di crescere secondo il

potenziale che deriverebbe dall’interesse dei consumatori. Inoltre è stato sostenuto che una

maggiore informazione sul piano più generale a riguardo dei temi etici e dei rapporti tra

etica ed economia aumenterebbe la consapevolezza dei consumatori orientando in tal senso

i loro acquisti. Alcuni studi rivelano che i consumatori del commercio equo e solidale sono

più idealisti, meno conformisti e disposti a pagare un prezzo maggiore.

Per quanto riguarda i prodotti delle fattorie sociali, questi possono essere definiti come

prodotti etici, perché prodotti secondo il metodo del biologico o del metodo tradizionale

cercando di ridurre l’impatto ambientale, quindi nel rispetto della salute dell’uomo, degli

animali e dell’ambiente e perché nel processo produttivo vengono coinvolte persone

svantaggiate. Il prodotto che si ottiene, sia esso un fiore o un ortaggio, una piantina o l'olio,

un uovo o miele, latte o vino, non porta ovviamente alcuna traccia della disabilità della

persona che ha contribuito alla sua produzione. È un prodotto assolutamente paragonabile

a quello ottenuto da cosiddetti "normodotati" e pertanto collocabile tranquillamente sul

mercato. La commerciabilità dei prodotti dell'agricoltura sociale è dunque elevata e può

trovare una migliore collocazione sul mercato se sostenuta da un adeguato sistema di

valorizzazione. Ci riferiamo alle potenzialità, ancora poco esplorate in Italia, dei marchi

etici, delle social labels, insomma di sistemi che certifichino la tracciabilità sociale del

prodotto. Queste condizioni si ritrovano nelle fattorie sociali, realtà agricole nelle quali si

persegue un equilibrio tra l'attuazione di processi produttivi che generano prodotti agricoli

competitivi e l'offerta di un servizio di carattere sociale nei confronti di soggetti deboli. La

vendita dei prodotti delle fattorie sociali può determinare i seguenti vantaggi: prima di tutto

i ricavati della vendita possono contribuire, talvolta anche significativamente, alla

sostenibilità economica di queste realtà; in secondo luogo perché la vendita del prodotto

può configurarsi come un tassello importante del percorso riabilitativo e/o di inserimento

sociale perseguito dalle fattorie sociali aumentandone l’efficacia; infine la vendita dei

prodotti, soprattutto se concepita come vendita diretta ai consumatori finali, rappresenta

un’occasione importante per dare visibilità a queste imprese e favorirne il radicamento

sociale sul territorio.

Analizzando le caratteristiche di queste aziende, dal punto di vista della produzione e

commercializzazione sono emersi alcuni punti critici. Si è osservato che a causa delle

piccole dimensioni di queste realtà, le quantità di prodotto sono limitate e questo fa si che

siano poco competitive sul mercato in termini di prezzo. Inoltre siccome si trovano

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sparpagliate sul territorio, hanno difficoltà a raggiungere i mercati distanti e quindi a far

affermare la propria reputazione al di fuori del circuito locale e a collocarsi in filiere

complesse.

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4.1 Intervista dell’Università della Tuscia di Viterbo

Un’indagine preliminare condotta nella primavera del 2005 dall’Università della Tuscia,

per mezzo di interviste dirette fatte all’esterno di un ipermercato ad un gruppo casuale di

consumatori, ha messo in evidenza come l’Agricoltura Sociale sia tuttora una realtà

sostanzialmente sconosciuta al consumatore medio o generico. Questo ha confermato

l’idea che fosse necessario rivolgersi a target più mirati. Successivamente l’Università ha

deciso di selezionare due gruppi di consumatori. Il primo rappresentato da persone

appartenenti a gruppi di acquisto, ed il secondo composto da studenti universitari. I gruppi

di acquisto sono stati ritenuti particolarmente adatti ad un’indagine sull’AS in quanto come

detto in precedenza, si tratta di soggetti particolarmente attenti e sensibili ai temi della

solidarietà e della responsabilità sociale. Inoltre, collocandosi sulle filiere corte per

l’acquisto dei beni alimentari era più probabile che almeno qualcuno conoscesse ed avesse

acquistato prodotti dell’AS e, dunque, fosse in grado di dire le ragioni di questo

comportamento.

Gli studenti universitari, sono stati ritenuti un interessante gruppo di confronto in quanto,

rispetto a coloro che fanno parte dei GA, si tratta di consumatori più eterogenei quanto a

preferenze, abitudini di acquisto, canali commerciali frequentati e specifico interesse per il

tema dei comportamenti etici del mercato. Al tempo stesso però, gli studenti universitari

presentano alcune caratteristiche che possono farli ritenere potenzialmente interessati a

questi prodotti: si tratta in particolare del livello culturale, dell’età e del reddito. Tutti

aspetti che, secondo quanto indicato nella letteratura del mercato dei prodotti etici, sono in

stretta relazione con l’esistenza di un interesse per gli attributi di carattere etico. In

particolare sono stati selezionati studenti “fuori sede”, cioè studenti che vivono da soli e/o

con altri studenti e lontani dalla propria famiglia, e che, quindi si confrontano con le

decisioni e le scelte quotidiane di acquisto di beni alimentari. Agli studenti l’indagine è

stata sottoposta attraverso un questionario distribuito nelle biblioteche, nelle aule studio,

nei punti d’incontro di alcuni atenei in diverse città d’Italia ed anche tramite e-mail. Così

facendo sono stati intervistati 150 studenti. Per quanto riguarda i gruppi di acquisto

l’indagine è stata svolta inviando i questionari tramite posta elettronica.

Queste interviste hanno avuto come obiettivi: capire quanto l’AS è conosciuta e quanto

interesse suscita nei consumatori; quali sono le motivazioni alla base dell’interesse e dei

comportamenti di acquisto, l’eventuale diffusione ed organizzazione del mercato dei

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prodotti nelle Fattorie Sociali; comprensione dei limiti attuali e degli eventuali spazi futuri

per la commercializzazione.

Da questo lavoro è emerso che la percentuale di quanti conoscono l’Agricoltura Sociale e

le Fattorie Sociali è molto bassa, sia degli studenti, sia di coloro appartenenti ai GA. La

mancata conoscenza, e quindi informazione su queste realtà, sembra essere il motivo

principale del ridotto acquisto dei prodotti delle fattorie sociali; mentre altri elementi quali

l’interesse, la varietà delle produzioni, la qualità ed i prezzi non sono quasi mai indicati

come motivo di non acquisto. Questa ignoranza circa tale fenomeno, risulta quindi essere il

maggior fattore limitante dello sviluppo di un mercato per questi prodotti, nel senso che lo

vincola all’origine. Gli elementi, a cui si pensa di dover dedicare maggiore attenzione in

futuro, sono la reperibilità di questi beni e l’informazione circa le attività e gli scopi di

queste aziende, per sperare in un aumento degli acquisti.

Un altro punto importante che è stato rilevato dall’intervista è la disponibilità a pagare per i

prodotti delle fattorie sociali in base alle loro caratteristiche ed agli attributi etici. E’ stato

appreso che più del 50 % degli intervistati sarebbe disposto a pagare, a parità di qualità,

circa il 10 % in più per questi beni, considerando le funzioni dell’Agricoltura Sociale.

I gruppi di acquisto appaiono al momento attuale un target importante per le Fattorie

Sociali, perché conoscono l’Agricoltura Sociale e ne acquistano i prodotti.

I punti critici emersi riguardo alla possibilità di espandere questa nicchia di mercato,

rappresentano delle limitazioni dal lato dell’offerta. Essi sono: il ridotto numero di aziende,

la scarsa varietà, non omogenea distribuzione nel tempo, la scarsità di servizi e la

distribuzione scomoda o inusuale.

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CAPITOLO 5 - IL PROGETTO

“FATTORIE SOCIALI”

Il progetto Fattorie Sociali è un progetto promosso e finanziato dall’Assessorato al lavoro

della Provincia di Torino che intende far partecipare le persone diversamente abili o in

condizione di emarginazione sociale ad esperienze di rieducazione funzionale e di lavoro

all’interno di aziende agricole o di strutture che possano creare oltre che formazione un

volano occupazionale. In questo senso si intende proporre al mondo agricolo l’esperienza

di fattoria sociale come un possibile sbocco al concetto di multifunzionalità ben noto al

comparto agricolo.

L’Ente che coordina il progetto è la Zona Ovest di Torino s.r.l., soggetto responsabile dei

Patti Territoriali della Zona Ovest di Torino, costituita dagli undici comuni dell’area ovest.

Il Patto Territoriale della Zona Ovest di Torino è l’accordo tra soggetti quali gli enti locali

e rappresentanti delle parti sociali ed economiche, per la promozione di uno sviluppo

locale integrato in cui sono rappresentate tutte le parti sociali. Il gruppo di lavoro che si

occuperà di questo progetto è costituito dai seguenti soggetti: Provincia di Torino

(Assessorato al lavoro), Zona Ovest di Torino S.r.l., Coldiretti, Facoltà di Agraria di

Torino e Confcooperative.

Il Progetto sulle Fattorie Sociali vuole esplorare questa possibilità per la Provincia di

Torino, di cui si conoscono già alcune esperienze positive. Questa funzione specifica si sta

infatti estendendo a diverse realtà del mondo agricolo: esistono già imprese agricole che

insieme a cooperative sociali aprono le loro aziende a percorsi di agricoltura sociale.

Il progetto individua nella fattoria sociale uno strumento utile per ristabilire nell’individuo

equilibri individuali e sociali rotti a causa di precarie condizioni di disagio e/o svantaggio.

Per cui il progetto si propone di favorire l’utilizzo delle strutture produttive del territorio

del settore agricolo ed anche ricettivo attraverso due modalità: l’accoglienza per la

riabilitazione funzionale e l’accoglienza per il lavoro.

Questa proposta favorisce indirettamente il processo di modernizzazione dell’agricoltura

auspicato dalle recenti norme europee e nazionali in materia. Per la prima volta viene,

infatti, riconosciuta l’attività agricola come mezzo per la fornitura di servizi finalizzati alla

valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e all’ospitalità, riconoscendo quindi i

molteplici ruoli dell’imprenditore.

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Il progetto è caratterizzato da due fasi:

• la prima nella quale, a titolo sperimentale, verranno scelte alcune aziende per

l’inserimento lavorativo e per l’attuazione di programmi di riabilitazione. In questa

prima fase verranno introdotti, a scopo di inserimento lavorativo, al massimo dieci

soggetti svantaggiati o diversamente abili. Inoltre, in questa prima parte verranno

studiate le esperienze già esistenti sul territorio, elaborati modelli di funzionamento

della fattoria sociale e le relative tipologie, individuate le modalità di

commercializzazione, la potenzialità di assorbimento ed i metodi di valorizzazione

dei prodotti delle fattorie sociali;

• la seconda fase, che avverrà solamente se la prima avrà dato risultati positivi, è

caratterizzata da un ampliamento delle aziende e del numero di persone

diversamente abili o socialmente svantaggiate, dall’ampliamento degli interventi

volti a favorire la riconoscibilità delle produzioni sociali attraverso iniziative

specifiche di vendita e di comunicazione e infine dalla progettazione e dall’avvio di

una fattoria sociale ex novo.

Le aziende coinvolte saranno aziende, che già per la loro natura ed offerta in termini di

servizi, hanno già locali adatti e/o necessitano di interventi minimi per l’adattamento dei

locali, al fine di permettere l’accesso a personale diversamente abile. Oppure aziende

agricole che si mettono a disposizione e sono scelte perché aventi i requisiti minimi per

accogliere dei soggetti in difficoltà e che sono altresì disponibili ad integrarlo nel proprio

processo produttivo e/o a modificarne una parte per creare nuove micro-filiere produttive.

Le aziende e le strutture che si renderanno disponibili all’accoglienza potranno beneficiare

dei seguenti vantaggi: incremento della visibilità dei propri prodotti e servizi dovuta alla

presenza del nome dell’azienda nel logo o marchio commerciale definiti per la

riconoscibilità delle fattorie sociali; innovazione dei processi produttivi e dei prodotti con

creazione di micro-filiere in azienda; micro-investimenti relativi al raggiungimento degli

standard minimi richiesti per l’accoglienza del personale; possibilità di accesso a contributi

stanziati appositamente per l’adeguamento nell’ambito del progetto.

Come detto in precedenza, questo percorso oltre ad avere scopo riabilitativo, si pone come

ulteriore obiettivo la produzione. Sono state proposte alcune linee di produzione quali il

vivaismo urbano con allevamento di piante con funzione mitigativa dell’ambiente della

città, dove non sia possibile per questioni ambientali e/o agronomiche coltivare piante

alimentari e colture in serra (orticole e floricole).

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CAPITOLO 6 - IL TERRITORIO

DELLA ZONA OVEST DI TORINO

Il territorio del Patto Territoriale, si colloca nella parte centrale della provincia di Torino a

ovest del capoluogo, comprende undici comuni della zona ovest di Torino, i quali sono:

Alpignano, Buttigliera Alta, Collegno, Druento, Grugliasco, Pianezza, Rivoli, Rosta, San

Gilio, Venaria Reale e Villarbasse.

La superficie agricola di questi comuni, occupa circa il 50 % della superficie totale.

Nella tabella 3 sono indicate le superfici dei comuni e la SAU (superficie agricola

utilizzata).

Le informazioni riguardanti il territorio della Zona Ovest di Torino sono state reperite da

un documento prodotto dalla Società Zona Ovest s.r.l. per il progetto di Sviluppo

dell’Agricoltura Periurbana, intitolato Relazione generale sull’agricoltura del Patto.

Tabella 3. Superficie totale e SAU.

Comune Superficie totale (ha) SAU (ha) %

Alpignano 1146 923 80

Buttigliera Alta 806 145 18

Collegno 1689 745 44

Druento 2731 869 32

Grugliasco 1155 335 29

Pianezza 1565 1242 79

Rivoli 2813 1548 55

Rosta 899 85 9

San Gilio 878 714 81

Venaria Reale 1924 801 4

Villarbasse 1038 741 71

Totale 16644 8148 502

Fonte: Relazione generale sull’agricoltura del Patto (Luglio 2004)

Sito internet : http://212.4.6.166/zonaovestnew/pr_ag_periurbana/archive.htm

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Rispetto ad altre zone della Provincia, l’attività agricola deve fare i conti con una forte

pressione determinata dalla vicinanza dell’area metropolitana torinese e dalla continua

espansione delle aree residenziali e produttive. In questo contesto è evidente che il ruolo

delle aziende agricole, sia in termini di valore aggiunto che di addetti, non è rilevante nel

panorama economico locale; ma occorre considerare il fondamentale ruolo che esse

svolgono in un’ottica di salvaguardia ambientale, rivolta a tutto il territorio e non limitata

alle sole aree naturali e protette ed in termini di attività connesse all’agricoltura. Per

raggiungere questi obiettivi l’attività agricola deve subire un processo di maggiore

diversificazione puntando a fornire servizi turistici, culturali e ricreativi oltre che prodotti

di qualità che vadano incontro alle attuali esigenze dei consumatori.

Attualmente nel territorio del Patto si ha una prevalenza di colture cerealicole intensive

(mais e frumento) e della zootecnia (in particolare da latte). Non risultano ancora molto

diffuse forme innovative di aziende orientate ad esempio verso l’agriturismo, le produzioni

biologiche o l’erogazione di servizi legati al turismo, all’educazione ambientale e al tempo

libero, mentre assume un certo rilievo il comparto vivaistico e la manutenzione del verde

pubblico e privato. Un altro settore che è ancora poco sviluppato è quello delle colture No

Food, destinate cioè ad usi non alimentari ma alla produzione di biomasse da impiegare a

scopi energetici oppure in edilizia o in altri campi. Per quanto riguarda il settore

dell’arboricoltura da legno, occupa una superficie di circa 354 ha ed è specializzato per lo

più nella coltura del pioppo mentre altre colture a ciclo breve oppure impianti di latifoglie

nobili non sono presenti.

La zootecnia all’interno dei comuni del Patto è l’attività, assieme alla cerealicoltura, che

assorbe maggiore manodopera e che produce il maggior reddito. All’interno poi di questo

settore è la filiera latte ad essere dominante. Dalle indagini eseguite dal Patto sul territorio

ed incrociando i dati di varie fonti, risultano attive nel territorio del Patto circa 156 aziende

con orientamento prevalentemente zootecnico. Di queste 142 si occupano dell’allevamento

di bovini e la restante parte di suini ed equini.

Il settore cerealicolo è dominante rispetto ad altri, come si può anche osservare nel resto

della Provincia e della regione. Quasi un terzo della SAU (2990 ha) è rappresentato da

colture cerealicole e di queste 1991 ha (dati PAC 2003) sono costituiti da mais e 282 ha da

orzo. Questa produzione viene utilizzata prevalentemente per l’alimentazione animale e

perciò viene quasi sempre reimpiegata all’interno dell’azienda. Il frumento occupa circa

915 ha mentre la coltivazione della soia 134 ha. Infine a questi dati bisogna aggiungere

ancora la superficie destinata ad erbai misti, di circa 1083 ha.

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Per quanto riguarda le orticole, queste rivestono una certa importanza con circa 44 ha a

coltura specializzata ed una quantità elevata di orti familiari. I fruttiferi e la vite sono

invece presenti con estensioni più limitate, ma in un numero di aziende considerevole: nel

caso della vite, ad esempio, gli ettari occupati sono 6,38 su un totale di 136 aziende.

Orticoltura e frutticoltura sono generalmente di tipo tradizionale, orientate alla produzione

per il consumo fresco e caratterizzate da basso livello di meccanizzazione ed elevato

impiego di manodopera. La produzione è piuttosto frammentata, trattandosi di aziende di

piccole dimensioni non associate fra di loro. Il maggiore punto di debolezza che le

caratterizza è la mancanza di una strategia di integrazione volta alla valorizzazione del

prodotto, anche se la localizzazione in prossimità della città facilita notevolmente la

collocazione del prodotto.

Un altro settore che negli ultimi tempi ha riscontrato un notevole successo è quello del

florovivasimo, dovuto anche in parte alla maggior richiesta di verde ornamentale legata

all’espansione dell’edilizia residenziale di tutta l’area della provincia di Torino. La

produzione è orientata principalmente su fiori recisi destinati al mercato torinese e su

piante ornamentali erbacee ed arboree vendute direttamente in vivaio.

L’arboricoltura da legno è concentrata principalmente nei comuni di Venaria e Druento. In

queste aree è largamente diffusa la pioppicoltura, che da sola determina la quasi totalità del

prodotto ottenuto. A causa della scelta dei terreni di impianto marginali e meno fertili della

media, gli assortimenti prodotti non sono di ottima qualità.

Nella tabella 4 viene riportato per ogni comune il numero di aziende che opera nei diversi

settori dell’agricoltura.

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Tabella 4. Numero di aziende per tipologia di produzione in ogni comune.

Comune Aziende

cerealicole

Aziende

orticole

Aziende

frutticole

Aziende

viticole

Aziende

florovivaistiche

Alpignano 54 2 11 20 10

Buttigliera Alta 39 0 0 2 3

Collegno 34 5 5 4 2

Druento 52 1 1 0 2

Grugliasco 22 3 0 0 4

Pianezza 65 6 10 7 2

Rivoli 18 17 39 66 13

Rosta 14 4 4 4 0

San Gilio 24 1 2 0 3

Venaria Reale 8 1 2 0 2

Villarbasse 43 4 7 33 1

Totale 373 44 81 136 42

Fonte: Relazione generale sull’agricoltura del Patto (Luglio 2004)

Sito internet : http://212.4.6.166/zonaovestnew/pr_ag_periurbana/archive.htm

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6.1 Le esperienze di agricoltura sociale nella zona

ovest ed in Provincia di Torino

In Piemonte il fenomeno delle Fattorie Sociali non è ancora molto diffuso, sono presenti

aziende agricole che ospitano, per alcune attività, persone svantaggiate, ma soprattutto a

scopo terapeutico-riabilitativo, invece realtà in cui vengono inseriti nel processo produttivo

sono molto rare. Al fine di comprendere meglio che cosa succede su questo territorio, la

Coldiretti e la Zona Ovest di Torino s.r.l. hanno fornito alcuni nominativi di aziende

agricole e cooperative sociali e non che svolgono attività con persone diversamente abili.

Le imprese in questione sono:

• Azienda agricola F.lli Gottero & Figli s.s - Alpignano (TO)

• Agriturismo Ocicitania - Mattie (TO)

• Azienda Agricola “Vivai–Piante” Graglia Mauro – Rivoli (TO)

• Cooperativa Orto dei Ragazzi – Torino

• Azienda Agricola Campagnoli – Rivoli (TO)

• Azienda Agricola Morsone - Alpignano (TO)

A queste aziende è stata fatta un’intervista ponendo il questionario riportato nella tabella 5,

per poter fare una panoramica delle attività svolte sul territorio piemontese e delle

differenti modalità con cui vengono attuate.

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Tabella 5. Questionario

Numero Domande

1 Quali tipologie di disabilità sono presenti fra i lavoratori impiegati nell’azienda?

2 Quali attività svolgono queste persone in base alle loro capacità residue?

3 Da quanti anni lavorate con questi soggetti?

4 Sono presenti dei tutor, all’interno dell’azienda che affiancano costantemente tali

soggetti?

5 Quali sono gli enti coinvolti? Che cosa fa l’ASL?

6 Sono impiegati in modo continuativo durante tutto l’anno oppure vengono svolti

lavori stagionali?

7 Con quale tipologia di contratto lavorano queste persone?

8 I soggetti disabili hanno seguito dei corsi formativi?

9 L’imprenditore agricolo ha seguito dei corsi formativi?

10 Quali sono i prodotti dell’azienda?

11 Qual è la superficie destinata alla produzione?

12 Quali sono i canali di commercializzazione di questi prodotti?

13 In che modo viene valorizzata la loro provenienza?

14 L’azienda è all’interno di una rete di fattorie sociali?

15 L’azienda lavora con delle cooperative sociali?

16 Quali misure di sicurezza sono state adottate per rendere l’ambiente di lavoro

idoneo a queste persone?

17 Quali sono le difficoltà incontrate nell’intraprendere questa attività?Quali le

criticità?Quali invece i fattori positivi?

18 Perché ha scelto di attivare questa attività?

19 Avete ricevuto dei finanziamenti? In quale forma?

20 Sono in atto delle convenzioni?

L’Azienda Agricola F.lli Gottero & Figli ha un’estensione di circa quattro ettari, adibiti a

vivaio ed inoltre svolge lavori esterni di manutenzione del verde. Nell’azienda è presente

da più di un anno una signora con disabilità psichica lieve. E’ stata l’ASL ad assegnargli

questa persona tramite la stipula di una convenzione, in cui questa signora risulta essere

inserita come terapia occupazionale, percependo una borsa lavoro dall’ASL. La

convenzione è rinnovabile annualmente. Questa signora lavora quattro ore al giorno per

tutta la settimana, si occupa della manutenzione dei vasi, dell’irrigazione, invasatura,

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trapianto, potatura, pulizia piante, eliminazione dell’erba infestante. Durante il lavoro non

è affiancata da un tutor ma è l’imprenditore che la segue, non avendo grandi problemi di

relazione, di svolgere le mansioni affidategli ed essendosi ben inserita nel processo

produttivo. Attualmente sta seguendo un corso di formazione sul florovivaismo per

acquisire una maggiore capacità e competenza nel settore. L’imprenditore ha deciso di

rendersi disponibile all’inserimento di soggetti svantaggiati perché sensibile alla tematica.

L’azienda non percepisce alcun finanziamento per questa iniziativa e non le viene

riconosciuto alcun valore aggiunto, di conseguenza anche i prodotti non vengono

valorizzati. Quindi si può dire che è una realtà esistente ma non riconosciuta, ed è proprio

su questo aspetto che gli enti, le organizzazioni pubbliche dovrebbero puntare, per venire

incontro alle aziende che si offrono disponibili ad ospitare questi soggetti e per migliorare

la loro condizione. Procedendo in questa direzione, aumenterebbero le realtà agricole

disposte ad aderire a queste iniziative e come già detto in precedenza verrebbero ridotti i

costi per le amministrazioni pubbliche e verrebbe messa in atto una grande azione sociale.

L’agriturismo Occitania si tratta di una realtà differente dalla precedente. E’ situata ai piedi

della Valle di Susa, produce miele e vino di alta quota. Quest’azienda ospita una volta alla

settimana per circa tre o quattro ore un gruppo di dieci ragazzi provenienti da una

cooperativa sociale, a scopo riabilitativo-terapeutico. Tra i ragazzi sono presenti disabilità

psichiche e motorie, handicap cognitivo, autismo, deficit intellettivo, nanismo, downismo.

I ragazzi quando sono in azienda si occupano di raccogliere le noci, la frutta, spostare la

legna, irrigare un piccolo orto. È da circa tre mesi che si recano all’agriturismo e la titolare

la sig.ra Durandetto durante l’intervista diceva che in questo tempo ha visto dei risultati

positivi derivanti da quest’attività. Partecipano in modo più attivo e concreto alle attività,

iniziano a percepire le loro capacità, di conseguenza sono più stimolati nello svolgerle ed

hanno instaurato un rapporto affettivo con gli animali. L’importanza di questo percorso è la

possibilità per queste persone di relazionarsi con l’ambiente esterno e con il mondo del

lavoro. Pensare all’inserimento lavorativo per quest’azienda è un po’ difficile a causa della

posizione in cui si trova, per la pendenza dei terreni, per cui è necessario avere buone

capacità motorie ed inoltre il lavoro con le api non è semplice.

L’azienda percepisce un rimborso dalla cooperativa per il servizio offerto.

L’Azienda Agricola “Vivai – Piante” di Graglia Mauro è situata nel comune di Rivoli. Da

alcuni anni inserisce all’interno del proprio vivaio soggetti svantaggiati, tramite l’ASL, i

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Patti Territoriali ed il Comune. Attualmente è presente un ragazzo autistico che frequenta

l’azienda da circa 6 anni. E’ stato inserito tramite il CISA (Consorzio Intercomunale Socio

Assistenziale), che conferisce al ragazzo un contributo per il lavoro svolto. E’ affiancato

costantemente da un tutor, stipendiato dalla sua famiglia. In passato sono stati inseriti altri

sei ragazzi, tre tramite l’ASL, uno attraverso il Comune e gli altri due tramite i Patti

Territoriali, attraverso borse lavoro e tirocinio. Queste persone venivano seguite da

assistenti sociali o tutor che si recavano in azienda settimanalmente per assicurarsi del

regolare svolgimento di questa attività. Le attività svolte da questo ragazzo e in passato

dagli altri soggetti sono invasare, svasare, togliere le infestanti ed irrigare.

Hanno seguito dei corsi di formazione solamente i ragazzi inseriti tramite i Patti

Territoriali.

L’azienda non percepisce alcun finanziamento per questa attività. I prodotti non vengono

valorizzati nonostante provengano da un’azienda che svolge attività sociale, quindi non c’è

nessun valore aggiunto e nessun riconoscimento.

L’Orto dei Ragazzi è un progetto, che nacque due anni fa circa all’interno

dell’organizzazione Città dei Ragazzi, facente parte della Casa di Carità Arti e Mestieri. La

Casa di Carità Arti e Mestieri è un ente di formazione professionale no profit di ispirazione

cattolica, fondato a Torino nel 1925 dall’Istituto Secolare dell'Unione Catechisti e dai

Fratelli delle Scuole Cristiane. La Casa di Carità Arti e Mestieri ha come scopo la

promozione umana, culturale e professionale dei giovani e dei lavoratori e, sin dalla sua

fondazione, opera nell’ambito della formazione professionale progettando, coordinando e

realizzando attività di ricerca, di orientamento, di formazione e di aggiornamento. L’Orto

dei Ragazzi è una cooperativa che accoglie principalmente ragazzi immigrati attraverso

tirocini formativi nel settore agricolo, della durata di sei mesi/un anno. Oltre a dare una

certa formazione lavorativa, l’attività agricola aiuta questi soggetti nell’inserimento sociale

e nella lotta contro il disagio, in quanto l’agricoltura è definita come una buona “palestra”

per quanto riguarda appunto l’inserimento sociale. Questi soggetti ricevono un sostegno

economico erogato dal comune, per la quantità di tempo impiegata in questa attività.

All’interno dell’orto vi sono due persone che coordinano le attività e seguono questi

ragazzi nei lavori. Inoltre, soprattutto durante il primo periodo, questi soggetti vengono

affiancati da dei tutor, principalmente per quanto riguarda l’aspetto sociale.

Questo orto ha un’estensione di circa due ettari, viene coltivato secondo il metodo del

biologico, anche se non certificato, attuando quindi un’agricoltura il più possibile naturale.

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In questo caso non è strettamente necessaria la certificazione biologica, in quanto si ha la

vendita diretta e quindi il contatto diretto con il consumatore, con il quale viene a crearsi

un rapporto di fiducia. I prodotti vengono venduti sottoforma di panieri direttamente alle

famiglie, che attualmente sono circa 250, si tratta quindi di filiera corta. Questi panieri

consistono in ceste, in questo caso da tre o sei chili, contenenti diverse tipologie di verdura

e frutta di stagione. Dal momento che la quantità richiesta supera la produzione, l’Orto dei

Ragazzi acquista parte dei prodotti da altre aziende agricole della zona, garantendo la

qualità di questi altri prodotti. La vendita attraverso i panieri costituisce anche un mezzo di

educazione alimentare, in quanto non è l’acquirente a scegliere ciò che comprare, ma è il

produttore a comporre il paniere in base a ciò che offre la stagione.

L’Azienda Agricola Campagnoli è situata sulla collina morenica di Rivoli, all’interno dei

boschi. E’ stata riconosciuta come fattoria didattica, si rivolge alle scuole, alle famiglie, ai

gruppi, per visite guidate all’azienda per conoscere i cavalli, le pecore e gli animali da

cortile. Inoltre, l’azienda mette a disposizione l’orto coltivato per le attività didattiche.

L’attività di fattoria didattica è nata in modo spontaneo da alcuni anni, da quando le

scolaresche vanno a visitare il bosco sulla collina di Rivoli. Nel corso della giornata si

fermano in questa azienda, per far conoscere agli studenti la realtà agricola, gli animali, la

coltivazione degli ortaggi e della frutta e i cicli della natura.

L’Azienda Agricola Morsone si trova a Rivoli, è un Centro di Riabilitazione Equestre,

svolgono corsi di equitazione, allevano cavalli ed alcuni vengono tenuti in pensione (circa

sessanta cavalli sono presenti nell’azienda). L’azienda dal 1992 inserisce al suo interno

persone svantaggiate. Attualmente sono presenti nove persone con handicap differenti, di

cui quattro in affido famigliare, attraverso tirocini o inserimenti lavorativi con borsa

lavoro. Sono presenti un soggetto ex-alcolizzato, uno ex-tossico e gli altri hanno disabilità

psichica e psichiatrica. Ad ognuno è affidata una mansione ben precisa, si occupano della

pulizia dei box, pulizia dei cavalli, preparare il fieno, condurre a mano il cavallo durante la

riabilitazione con soggetti disabili. Queste persone non vengono affiancate da nessun tutor,

è l’imprenditrice agricola che si occupa di seguirli nei lavori, ed in caso di problemi si

rivolge all’ASL che si è occupata di inserirli presso l’azienda. Non si tratta di attività

stagionali per cui questi soggetti sono occupati costantemente durante tutto l’anno senza

periodi vuoti. Durante il giorno lavorano circa mezza giornata, alternandosi in base ai loro

tempi ed alla loro resistenza. L’esser impegnato in modo continuo è un aspetto positivo,

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perché influisce a determinare una maggior responsabilità e maggior autostima. Gli

inserimenti come tirocini durano tre mesi e non vengono retribuiti, quelli come borsa

lavoro hanno la durata minima di un anno ed è previsto un sostegno economico erogato

dall’ASL.

L’azienda non percepisce alcun finanziamento per l’attività svolta.

E’ inoltre stata presa in considerazione un’azienda vitivinicola della Provincia di Biella,

che anche se non facente parte della provincia di Torino può essere un esempio per meglio

comprendere l’attività dell’agricoltura sociale.

• Azienda Vitivinicola Centovigne - Cossato (BI)

L’Azienda Vitivinicola Centovigne nasce nel 2000 per il recupero di alcuni vigneti della

provincia di Biella. E’ costituita da circa 3 ettari di vigneti suddivisi in 27 appezzamenti.

L’azienda ha sede nel Castello di Castellengo, di cui vengono utilizzate due delle otto

cantine presenti, per la vinificazione di tre vini rossi. Si è aperta alle attività sociali

intraprendendo diversi progetti quali quello della musico-terapia avviato lo scorso anno e

quello del “Vino del Sorriso”. Per quanto riguarda il progetto della musico-terapia sono

state composte tre musiche ad arpa da abbinare alla degustazione dei vini e aspetto più

importante se nonché scopo del progetto, riprodurre queste musiche all’interno degli

ospedali perché sembra esser uno strumento efficace per combattere la depressione di

persone lungodegenti. Il secondo progetto è stato attuato per recuperare un antico vigneto

coinvolgendo esperti, volontari e persone con disabilità per produrre insieme un vino molto

speciale, “Il Vino del Sorriso”. L’idea è nata nel 2007 su proposta dell’Associazione Ti

aiuto Io, perché intende attraverso il ripristino di questo vigneto nel comune di Candelo e

la produzione di questo “vino speciale”, raccogliere fondi per vedere finalmente realizzato

“Il parco dell’albero d’oro”, un grande parco giochi accessibile anche alle persone con

disabilità e dotato delle migliori attrezzature per bambini. Questo progetto si è sviluppato

nel comune di Candelo (BI), nella località rione Campile, in quello che è stato il primo

vigneto sperimentale dell’Ecomuseo e ha coinvolto le associazioni di volontariato Ti Aiuto

Io, le Onlus Domus Laetitiae e Anffa, insieme alle aziende vinicole Centovigne, Garella e

all’esperto Marco Maffeo (Cascina Bozzola). Attraverso questa esperienza della

coltivazione della vite e del contatto con la terra, le persone con disabilità e i volontari

hanno potuto sperimentare il significato del lavoro di gruppo e dell’integrazione tra le

diverse capacità. Questo gruppo agricolo si è così impegnato nel mantenimento di questo

vigneto, svolgendo differenti lavori quali: potatura, concimazione, zappatura tra i filari,

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vendemmia, sostituzione dei pali e reimpianto di viti. “Il Vino del Sorriso” è diventato così

un simbolo significativo di una vera e propria integrazione ed inclusione sociale.

Le persone diversamente abili coinvolte sono circa trenta, affiancate nei lavori da dei tutor.

L’attività nel vigneto dimostra che il coinvolgimento di persone con disabilità può dare

risultati concreti e positivi.

Sia per questa attività che per quella attuata dall’azienda Occitania non si può parlare di

inclusione lavorativa bensì di inclusione sociale, però possono essere viste come i primi

passi per coinvolgere questi soggetti in un mondo “nuovo”(per loro), come una luce di

speranza per abbattere quelle “etichette” che gli vengono attribuite e quelle barriere che

spesso si pongono fra essi e le persone normodotate.

Di seguito vengono riportate in tabella 6 le differenti realtà intervistate, che svolgono

attività di agricoltura sociale, nella provincia di Torino.

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Tabella 6. Imprese che svolgono attività riconducibili all’agricoltura sociale nella provincia di Torino.

DENOMINAZIONE

SOCIALE

INDIRIZZO

PRODUTTIVO

TIPOLOGIA DI

ATTIVITA’ SOCIALE

TIPOLOGIA DI

DISABILITA’/ SVANTAGGIO

SOSTEGNO

ECONOMICO AZIENDA

CRITICITA’ FONTE

Azienda agricola F.lli

Gottero & Figli s.s

Alpignano (TO)

Florovivaismo Inserimento come terapia occupazionale

Psichica lieve Nessun finanziamento

Nessuna Zona Ovest s.r.l.

Contattata durante il tirocinio

Agriturismo Ocicitania -

Mattie (TO)

Miele e vino di alta quota

Inserimento riabilitativo-terapeutico

Psichica, motoria, handicap cognitivo, autismo, deficit intellettivo, nanismo, downismo

Rimborso dalla cooperativa per il servizio offerto

Nessuna

Coldiretti Contattata durante il tirocinio

Azienda Agricola Morsone

- Alpignano (TO)

Allevamento e pensione cavalli. Riabilitazione equestre.

Affidi famigliari Inserimento come terapia occupazionale Tirocinio Servizi di riabilitazione

Psichica, psichiatrica, ex-tossici, ex-alcolizzati.

Nessun finanziamento

Nessuna Coldiretti Contattata durante il tirocinio

Azienda Agricola “Vivai -

Piante” di Graglia Mauro

Rivoli (TO)

Florovivaismo. Inserimento come terapia occupazionale

Autismo Nessun finanziamento

Nessuna Coldiretti Contattata durante il tirocinio

Azienda Agricola

Campagnoli Adele -

Rivoli (TO)

Allevamento cavalli, animali da cortile, pecore. Coltivazione ortaggi.

Fattoria didattica Nessun finanziamento

Nessun sostegno Coldiretti Contattata durante il tirocinio

Cooperativa Orto dei

ragazzi – Torino Orticoltura

Tirocinio formativo e inserimento sociale

Immigrati Nessun finanziamento

Nessuna Zona Ovest s.r.l.

Contattata durante il tirocinio

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CAPITOLO 7 - I CANALI

COMMERCIALI

7.1 Alcune ipotesi di linee produttive

L’analisi sul territorio della zona ovest di Torino è stata eseguita per capire la tipologia di

produttività delle aziende agricole sul territorio e per capire quali potrebbero essere le linee

produttive di future fattorie sociali. Per definire la linea produttiva più adatta per una

fattoria sociale, è necessario tener conto sia della vocazione del territorio ma soprattutto

della tipologia di disabilità che si vuole inserire. Ad esempio la produzione di orticole e di

prodotti da vivaio si presta bene all’inserimento di disabili sia psichici che fisici, perché in

tale processo, essendo molto diversificato, vi sono molte mansioni da svolgere alla portata

di tali soggetti. Invece per quanto riguarda la filiera carne e latte, l’inserimento in questo

caso è più complesso, perché si tratta di un’attività in cui sono presenti maggiori pericoli e

in cui i lavori sono più pesanti. Inoltre essendo un settore molto più meccanizzato, ci

sarebbero pochi lavori da svolgere manualmente, rispetto all’orticoltura e alla floricoltura,

perciò sarebbe necessario personale in grado di utilizzare i vari mezzi (trattori, muletti,

ecc..). Questa tipologia di aziende sarebbe più indicata per soggetti quali ex-detenuti, ex-

tossicodipendenti, persone escluse dal mondo del lavoro perché in età avanzata. Si

potrebbero, quindi, ipotizzare tre linee per le fattorie sociali, in cui si vogliono inserire

soggetti svantaggiati: una in cui l’indirizzo produttivo dell’azienda è orticolo o floricolo, in

cui possono essere inseriti soggetti con disabilità psichica e fisica; una seconda in cui

l’azienda è zootecnica, in cui si ha la filiera carne e/o latte; una terza in cui non si realizza

un inserimento lavorativo, ma un inserimento a scopo riabilitativo-terapeutico. Per

quest’ultima ipotesi si potrebbe pensare ad una azienda in cui siano presenti un piccolo

orto per la terapia con le piante, un maneggio o comunque la presenza anche solo di alcuni

cavalli per la terapia equestre, oppure di alcuni asini per l’onoterapia. Inoltre, sempre utile

ai fini terapeutici è la presenza di piccoli animali da cortile quali galline, conigli, oche,

oppure di ovini come caprette e pecore.

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7.2 I prodotti delle fattorie sociali e i canali di

commercializzazione

Dopo aver individuato la tipologia produttiva delle future fattorie sociali, si procede

all’individuazione dei possibili prodotti e dei possibili canali di commercializzazione. Per

quanto riguarda i possibili prodotti delle fattorie sociali si possono al momento fare delle

ipotesi in base alle linee produttive adottate. Nella tabella 7 vengono riportati i possibili

prodotti ipotizzati. I prodotti derivanti dall’orticoltura potrebbero essere orticole quali

pomodori, fragole, peperoni, melanzane, fagiolini, piselli, carote. Inoltre si potrebbe

pensare anche alla produzione di prodotti trasformati, quali passata di pomodoro,

confetture, salse, verdure sott’olio e succhi di frutta. Per quanto riguarda il vivaio i soggetti

svantaggiati presenti potrebbero partecipare alla produzione di bulbi, vasetti di piante e

fiori di vario genere, vasetti di erbe aromatiche (basilico, maggiorana, timo, rosmarino,

menta), alla composizione di vasi e a tutte le operazioni colturali necessarie per la

coltivazione. Nelle aziende zootecniche con produzione di carne e di latte, sarebbe bene

che venisse creata una filiera all’interno, in cui entrambe le materie prime venissero

trasformate in un prodotto finito. Questo perché, così facendo tali prodotti se finiti,

verrebbero valorizzati maggiormente. Ad esempio si può pensare alla produzione di

formaggi, alla distribuzione di latte crudo, invece per chi ha un allevamento di bovini da

carne si potrebbe ipotizzare la macellazione.

Tabella 7. I prodotti delle Fattori Sociali

PRODOTTI

ORTICOLI

PRODOTTI

FRUTTICOLI

PRODOTTI

FILIERA

LATTE

PRODOTTI

FILIERA

CARNE

PRODOTTI

DA

VIVAISMO

PRODOTTI

TRASFORMATI

Lattuga Fragole Yogurt Differenti

tagli carne

Erbe

aromatiche

Succhi di frutta

Pomodori Mele Formaggi Piante verdi Verdure sott’olio

Melanzane Pere Latte crudo Fiori Salse

Zucchini Ciliegie Gelati Confetture

Peperoni Albicocche Passata pomodoro

Fagiolini Pesche

Sedano

Patate

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Ottenere un prodotto finito è meglio sia per l’azienda, sia per le persone svantaggiate

coinvolte, perché così possono riconoscere il loro lavoro, la loro utilità, vedono i risultati

del loro impegno in qualcosa di concreto. Inoltre come detto in precedenza, la

valorizzazione di questi prodotti se finiti è maggiore, perché si può dimostrare con

qualcosa di tangibile l’attività dell’azienda, la sua sensibilità verso questi temi del sociale.

I canali di commercializzazione più alla portata di queste imprese, perché rispondono

meglio alla necessità di integrazione sociale e danno visibilità alle funzioni sociali svolte,

possono essere:

• Vendita diretta all’interno dall’azienda stessa, attraverso la creazione di uno

spaccio aziendale, eventualmente gestito da uno dei soggetti disabili impiegati.

Questo offrirebbe indubbi vantaggi, in primo luogo contribuirebbe a far aumentare

la quota di valore aggiunto trattenuta in azienda. Inoltre aiuterebbe la funzione

terapeutica e d’inserimento nell’attività lavorativa svolta in azienda, sia in quanto

per le persone occupate nelle varie produzioni è di grande soddisfazione poter

constatare l’apprezzamento che il frutto del proprio lavoro trova da parte dei clienti,

sia perché ciò apre l’azienda alla comunità locale, aumentando la visibilità del suo

operato e facilitando il processo di integrazione. Per i clienti delle fattorie sociali, il

contatto con la realtà produttiva della fattoria è importante in quanto porta a fare

esperienza diretta del lavoro sociale che vi viene svolto e ciò rafforza la

motivazione dell’acquisto.

• Vendita attraverso le reti GAS del territorio. I gruppi di acquisto sono formati da

gruppi di famiglie che si organizzano insieme per effettuare acquisti direttamente

dai produttori della zona, utilizzando nella scelta dei prodotti e dei produttori anche

un criterio di “solidarietà” inteso in senso ampio per perseguire uno stile di

consumo critico e socialmente responsabile. Nel documento base dei GAS

realizzato dalla Rete Nazionale dei GAS nel luglio del 1999, si legge: “finalità di

un GAS è provvedere all’acquisto di beni e servizi cercando di realizzare una

concezione più umana dell’economia, cioè più vicina alle esigenze reali dell’uomo

e dell’ambiente formulando un’etica del consumare in modo critico che unisce le

persone invece di dividerle, che mette in comune tempo e risorse invece di tenerli

separati, che porta alla condivisione invece di rinchiudere ciascuno in un proprio

mondo di «consumi»”. L’acquisto direttamente dai piccoli produttori consente di

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evitare l’intermediazione della multinazionale in modo da realizzare un vantaggio

economico sia per il produttore che il consumatore. Il risultato finale è inoltre

quello di favorire la nascita di piccole aziende e cooperative di lavoro con maggiore

attenzione a quelle sociali. Lo scambio attivo di idee e informazioni tra i GAS e i

produttori è un aspetto interessante perché consente di ottenere risultati innovativi.

Un esempio è quello del settore alimentare in cui il consumatore può stimolare la

produzione di prodotti biologici, garantendone il successivo acquisto. Trattandosi

spesso di prodotti di nicchia, con uno scarso mercato ed una scarsa capacità

distributiva da parte dei consumatori, i prezzi sono alti e disincentivanti per le

famiglie a basso reddito. I GAS, oltre ad aumentare gli sbocchi di mercato di questi

prodotti, consentono di far accostare al consumo critico anche chi sarebbe

altrimenti tagliato fuori per motivi di reddito.

• Vendita all’interno di negozi che trattano questa tipologia di prodotti, quindi

prodotti etici e prodotti derivanti da agricoltura biologica, oppure creazione di una

rete di negozi dell’agricoltura sociale; in quanto questi esercizi selezionano già

indirettamente la tipologia di target a cui si rivolgono.

• Distribuzione alle mense comunali, attraverso convenzioni.

• Vendita in fiere e mercati locali.

Per quanto riguarda la grande distribuzione si pensa non sia un mezzo opportuno, almeno

per il momento in cui il mercato di questi prodotti è molto ridotto e in quanto il target a cui

i supermercati si rivolgono non sembra essere compatibile con le caratteristiche dei

prodotti delle fattorie sociali. Il target della grande distribuzione ricerca un’ampia gamma

di prodotti, prezzi competitivi, possibilità di scegliere in totale autonomia e con calma, ed

ha una minore disponibilità di tempo da dedicare alla spesa alimentare. L’unica catena di

supermercati a cui si potrebbe pensare è la COOP, perché già sensibile a queste tematiche.

Per comprendere meglio come, nel nostro territorio potrebbero essere commercializzati i

prodotti delle Fattorie Sociali, si è deciso di intervistare i soggetti identificati come

possibili canali per la vendita di questi beni. I soggetti a cui ci siamo rivolti sono i GAS

della provincia di Torino, la COOP, la Coldiretti (per quanto riguarda i mercati), le

botteghe del commercio equo e solidale, Slow Food, Eataly, le mense e i negozi di prodotti

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biologici. Per quanto riguarda le mense, è stata contattata la Sodexo Italia, società attiva

nel campo della ristorazione, presente nelle scuole, aziende e sanità. Dalle informazioni

raccolte, è stato possibile capire che questa tipologia di canale non può essere adatto alle

Fattorie Sociali, in quanto le quantità richieste sono troppo elevate rispetto alla capacità

produttiva di queste aziende agricole. Inoltre sono molto esigenti per quanto riguarda le

caratteristiche del prodotto. Invece per quanto riguarda i negozi di prodotti biologici, non è

stato possibile raccogliere delle informazioni, in quanto i negozi contattati non si sono resi

disponibili a rispondere all’intervista.

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7.2.1 Intervista ai GAS Per quanto riguarda l’intervista ai gruppi di acquisto solidale, è stato inviato un

questionario via e-mail ai GAS presenti sul territorio della provincia di Torino. Si è scelta

la provincia di Torino in quanto il progetto sulle Fattorie Sociali è stato avviato proprio in

questo territorio, pertanto si è pensato per il momento di capire quali siano le vie di

commercializzazione più idonee per questa zona. Nella tabella 8 è riportato il questionario,

inviato a ventisette GAS, di cui si è preso il nominativo sul sito della Rete Nazionale dei

GAS (www.retegas.org).

Tabella 8. Questionario per i Gruppi di Acquisto Solidale.

Numero Domande

1 Conoscete le Fattorie Sociali?E i loro prodotti?

2 Che cosa ne pensate?

3 Sareste disposti ad acquistare tali prodotti? (Crocettare i prodotti che vorreste

acquistare, elencati nella tabella sottostante).

4 Quali sono le motivazioni che vi spingerebbero ad acquistare tali prodotti?

5 C’è disponibilità all’interno del GAS a pagare un prezzo in più per questa tipologia

di prodotti?

6 Cosa vi aspettate da questo prodotto, che cosa volete che vi offra (garanzie,

caratteristiche)?

7 Sareste disposti ad acquistare tali prodotti solo se derivanti da agricoltura biologica,

oppure sareste disposti ad acquistarli anche se coltivati con metodi non biologici?

8

Per ogni tipologia di prodotto, quale quantità minima di rifornimento richiedereste e

ogni quanto? (Crocettare i prodotti che acquistereste, elencati nella tabella

sottostante, indicare la q.tà minima di rifornimento e ogni quanto desiderereste il

prodotto).

9 Quali servizi richiedereste? (tipologia di consegna, tipologia di imballo, contenitore

ecc.)

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PRODOTTI

ORTICOLI

PRODOTTI

FRUTTICOLI

PRODOTTI

FILIERA

LATTE

PRODOTTI

FILIERA

CARNE

PRODOTTI

DA

VIVAISMO

PRODOTTI

TRASFORMATI

Lattuga Fragole Yogurt Differenti

tagli carne

Erbe

aromatiche

Succhi di frutta

Pomodori Mele Formaggi Piante verdi Verdure sott’olio

Melanzane Pere Latte crudo Fiori Salse

Zucchini Ciliegie Gelati Confetture

Peperoni Albicocche Passata pomodoro

Fagiolini Pesche

Sedano

Patate

Dei ventisette GAS contattati, solamente due gruppi hanno risposto. Un GAS ha risposto

dicendo che non conosce i prodotti delle Fattorie Sociali e non acquista prodotti freschi se

non occasionalmente, in quanto si tratta di un piccolo gruppo. Il secondo gruppo che ha

risposto all’intero questionario, ha affermato di conoscere superficialmente la realtà delle

Fattorie Sociali. Tale gruppo sarebbe disposto ad acquistare tali prodotti, spinto da

motivazioni quali il recupero del rapporto con la fattoria, motivazioni sociali, ambientali ed

economiche (nel senso di economia solidale). Vi è inoltre disponibilità a pagare un prezzo

più alto, purché sia un prezzo trasparente e giusto sia per il consumatore che per il

produttore. Le caratteristiche richieste da questi prodotti sono la genuinità, il rispetto

dell’ambiente, della salute dell’uomo e degli animali durante la filiera produttiva e il

rispetto della stagionalità. Inoltre richiede che i prodotti siano ottenuti con metodi

biologici, senza la necessità di una certificazione. I servizi richiesti sono la consegna in

zona e per quanto riguarda l’imballo non vi è nessuna esigenza particolare se non un

imballo minimo e riutilizzabile. L’unico elemento vincolante è la preferenza dei prodotti

trasformati, in quanto per i prodotti freschi vi è il problema della deperibilità e dello

stoccaggio.

Inoltre è stato contattato un altro GAS della provincia di Torino, non presente sul sito della

Rete dei GAS, il Gas Rocca Franca. Si tratta di una realtà differente dagli altri GAS in

quanto non è partito da un gruppo di persone che hanno deciso di costituire il GAS, ma la

Cascina Rocca Franca (centro culturale e ricreativo della Circoscrizione 2 di Torino) ha

deciso di istituire questo gruppo e di mettere a disposizione una parte della struttura in

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modo tale da permettere a chiunque di aderirvi, anche singolarmente senza esser per forza

un insieme di persone. A questo GAS, nato da circa un anno, sono iscritte ottanta famiglie.

Dall’intervista fatta è stata rilevata la disponibilità ad acquistare i prodotti delle Fattorie

Sociali ed anche a pagare eventualmente un prezzo in più per tali prodotti, come già stanno

facendo per quelli che acquistano, purché sia un prezzo giusto sia per gli acquirenti che i

produttori. Per quanto riguarda le caratteristiche, devono esser prodotti ottenuti con metodi

biologici anche se non certificati, genuini, prodotti nel rispetto dell’ambiente, della salute

dell’uomo e degli animali. Attualmente non acquistano prodotti orticoli e frutticoli freschi

se non occasionalmente, anche in questo caso per il problema della deperibilità e

stoccaggio, altrimenti vi sarebbe la disponibilità. Un modo, se possibile, per far fronte a

questo problema sarebbe quello di mettere a disposizione uno spazio all’interno della

Cascina Rocca Franca, dove i produttori scelti dal GAS, possano vendere i loro prodotti

durante un giorno della settimana prestabilito.

Da queste poche risposte non si può dire con certezza se i GAS possano essere uno dei

possibili canali di sbocco dei prodotti delle Fattorie Sociali anche se coloro che hanno

risposto all’intervista sembrano esser interessati. Sarebbero necessarie maggiori

informazioni in merito, per aver un quadro più chiaro della situazione.

7.2.2 Intervista alla Coldiretti Un altro canale di commercializzazione a cui si è pensato sono i mercati, per questo motivo

si è deciso di rivolgersi alla Coldiretti. Per conoscere meglio la realtà dei mercati ci siamo

rivolti al responsabile dell’ufficio mercati a livello provinciale.

Durante l’incontro si è discusso sulla diversa tipologia di mercati presenti sul territorio

della città di Torino. Analizzando le diverse caratteristiche di questi mercati, si è cercato di

capire quale canale può essere il più idoneo alla commercializzazione dei prodotti delle

Fattorie Sociali.

Sul territorio della città di Torino sono presenti i seguenti mercati:

• Circa 45 mercati rionali, aventi da uno a quindici posti destinati ai produttori

agricoli. Il target di consumatori in questo caso è molto eterogeneo ed è stato

osservato che è poco interessato all’acquisto di un prodotto con caratteristiche di

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qualità, infatti il marchio o l’identificazione di prodotto, in questi mercati, non da

un valore aggiunto;

• Tettoia dei produttori di Porta Palazzo, con circa cento posti per i produttori

agricoli. Anche questa realtà è caratterizzata da un target molto eterogeneo, però a

differenza della precedente, cerca nel prodotto agricolo caratteristiche qualitative.

Le garanzie ricercate nel prodotto da questi consumatori sono il biologico, il

biodinamico, la lotta integrata, il non OGM. Un’altra caratteristica molto

apprezzata è la disponibilità dell’azienda ad invitare il pubblico a visitare l’azienda

stessa, il luogo di produzione. Questo risulta essere per l’agricoltore un buon

metodo per creare visibilità alla propria azienda e per il consumatore un fattore che

aumenti la propria fiducia verso quel produttore e i suoi prodotti.

• Mercati tematici. Sono mercati in cui è presente una sola tipologia di prodotto ad

esempio ci sono mercati dell’artigianato, dell’antiquariato e dei prodotti agricoli

locali. Per quanto riguarda questi ultimi, nella città di Torino sono presenti ogni

domenica del mese, posizionati in luoghi diversi. Durante la prima domenica si

svolge in piazza Palazzo di Città, nella seconda in piazza Carlo Alberto, nella terza

in piazza Madama Cristina e nella quarta si svolgerà in piazza Benefica (questo

ultimo sarà attivo a breve). In questi mercati si è osservato che viene ricercato il

prodotto “sicuro”, quindi un prodotto locale, ottenuto con metodi non per forza

biologici ma che comunque lo rendano un prodotto con caratteristiche qualitative.

Per quanto riguarda più nello specifico i prodotti delle Fattorie Sociali, in base a quanto

detto in precedenza si possono pensare come possibili canali di commercializzazione i

mercati tematici e la tettoia dei produttori di Porta Palazzo.

Non sembra necessario un marchio, ma è sufficiente un’identificazione di prodotto, questo

significa esporre dei volantini in cui viene descritto il progetto, il metodo con cui viene

ottenuto e in questo caso da chi viene prodotto e uno slogan. Inoltre è importante la

disponibilità ad invitare i consumatori a vistare la Fattoria Sociale, questo è utile per

aumentare la fiducia nel cliente e a creare una buona immagine dell’azienda stessa.

Per quanto riguarda il metodo di coltivazione, il biologico non è una priorità, gli aspetti più

importanti, per la maggior parte dei consumatori, sono che sia un prodotto derivante da

agricoltura sociale e che sia un prodotto locale; ovviamente se coltivato con metodi

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biologici, biodinamici o di lotta integrata, questo aumenterà la fiducia e la voglia di

acquistare quel prodotto in coloro più attenti alle tecniche di coltivazione.

Si può quindi affermare che per i prodotti delle Fattorie Sociali, l’aspetto più importante al

fine di fidelizzare il consumatore è la presentazione del prodotto e del progetto.

Per quanto riguarda invece la tipologia di prodotti, nei mercati tematici vengono più

richiesti i prodotti trasformati rispetto a quelli freschi orticoli e frutticoli, quindi in queste

realtà si potrebbe pensare alla distribuzione di formaggi, yogurt, latte crudo, gelati, salse,

succhi di frutta, passata di pomodoro, confetture e verdure sott’olio. Invece sul mercato di

Porta Palazzo si potrebbero posizionare le Fattorie Sociali ad indirizzo orticolo e frutticolo

che non trasformano il prodotto.

7.2.3 Intervista alla COOP Precedentemente si è detto che la grande distribuzione non è il canale di distribuzione più

adatto, in quanto il target di consumatori del supermercato non sembra esser molto

sensibile alle caratteristiche di questi prodotti delle Fattorie Sociali. La maggior parte di

coloro che si rivolgono alla grande distribuzione ricercano nei prodotti prezzi competitivi

ed un’ampia scelta. Ecco perché si pensa sia meglio in questo momento, in cui tali prodotti

sono poco conosciuti e le quantità ridotte, escludere questa via. Nonostante quanto detto, ci

siamo rivolti alla COOP, perché diversa dal resto della grande distribuzione. In quanto più

attenta alla qualità dei prodotti, maggiormente rivolta agli aspetti del sociale, presenta già

al suo interno prodotti equo solidali e la maggior parte del target, proprio per queste

caratteristiche, viene già così selezionato “all’entrata”.

L’incontro è avvenuto con il responsabile della comunicazione. Da questo è emerso che i

prodotti delle Fattorie Sociali sono conosciuti e vi è una certa attenzione da parte della

COOP, però per tali prodotti non si sono ancora attuate azioni a livello commerciale. Ci

sarebbe la disponibilità ad inserirli all’interno della catena di supermercati ma ad alcune

condizioni. Ciò significa che se si vogliono posizionare i prodotti delle Fattorie Sociali

sugli scaffali COOP, è necessario che questi siano provvisti di un marchio, è necessario

garantire una quantità di approvvigionamento periodica, devono avere caratteristiche

competitive (bontà, qualità adeguata) come gli altri prodotti non derivanti da Fattorie

Sociali. Non deve esser necessariamente biologico, gli aspetti più importanti che devono

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emergere è che sia un prodotto locale, sociale e di qualità. Per valorizzarli è sufficiente

l’etichetta e un volantino in cui venga specificato il marchio e venga descritto brevemente

il progetto e quindi la realtà produttiva presente dietro al prodotto.

In base alla situazione attuale, in cui i prodotti delle Fattorie Sociali sono poco conosciuti e

le quantità ridotte, sembra sia più opportuno promuovere delle iniziative periodiche

allestendo dei banchetti al di fuori del supermercato, durante cui vi sia la presenza di alcuni

dei soggetti svantaggiati che hanno partecipato alla produzione. In questo modo viene

colpita maggiormente l’attenzione e la curiosità di coloro che entrano nel supermercato.

Un altro modo per valorizzare e far conoscere questi prodotti è la presenza di alcune

persone, di volontari, che conoscano già queste realtà, in modo tale che possano spiegare e

descrivere a coloro interessati, la natura di questo progetto. Questo tipo di approccio

sembra dare al consumatore maggiormente fiducia e credibilità perché riceve la

testimonianza circa queste realtà, da parte di coloro non interessati all’aspetto economico.

Così facendo, la grande distribuzione COOP, può essere vista come una buona “vetrina”

per i prodotti delle Fattorie Sociali, può esser un buon strumento per l’avvio di una

campagna di promozione e sensibilizzazione verso tali prodotti.

7.2.4 Intervista alle botteghe di commercio equo e solidale Si è pensato di rivolgersi a questa tipologia di botteghe in quanto sono un canale che già si

occupa di commercializzare prodotti equo e solidali. Per commercio equo e solidale si

intende quella forma di attività commerciale, nella quale l’obiettivo primario è la lotta allo

sfruttamento, alla povertà, l’incentivazione dell’inclusione sociale di soggetti svantaggiati,

il rispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo e degli animali. I prodotti delle fattorie

come già detto in precedenza possono essere considerati equo solidali perché derivanti da

attività volte all’inclusione sociale di persone con differenti problematiche. Dalle interviste

fatte ad alcune botteghe della provincia di Torino è emerso che, questa realtà in via di

espansione, è ancora poco conosciuta. Nonostante ciò vi è comunque interesse a conoscere

questi prodotti e queste realtà. Inoltre è stato possibile rilevare che questo canale potrebbe

essere una possibile via di commercializzazione per i prodotti delle Fattorie Sociali.

All’interno di queste botteghe i prodotti alimentari che possiamo trovare derivano per la

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maggior parte da agricoltura biologica (presentano certificazione biologica), perché trattasi

di alimenti prodotti con determinati criteri e principi nel rispetto dell’ambiente e della

salute dell’uomo e degli animali. Per quanto riguarda la certificazione biologica non

sembra essere strettamente necessaria per alcuni, per altri invece si, perché la gente è

maggiormente attenta all’alimentazione, quindi ritrovare il marchio del biologico su di un

prodotto ne aumenta la sicurezza nell’acquistarlo da parte del consumatore. La

certificazione biologica può non essere necessaria, se i prodotti venissero venduti

direttamente dal produttore al consumatore, perché il consumatore venendo direttamente a

contatto con l’agricoltore, conoscendolo, parlando con lui ( ed eventualmente visitando

l’azienda), stabilisce un rapporto di fiducia per cui la certificazione passerebbe in secondo

piano.

Inoltre è emersa anche la necessità di un marchio delle Fattorie Sociali, non si tratterebbe

di un marchio con il fine di pubblicizzare l’azienda ma a scopo identificativo, per

distinguere le aziende che appartengono alla categoria di aziende agricole che svolgono

attività sociali, dalle altre. Per quanto riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto, si

richiede che debba essere buono, di qualità, in linea con le caratteristiche degli altri

prodotti. I prodotti che sembrano interessare maggiormente le botteghe sono quelli

trasformati, perché il fresco presenta dei vincoli, costi di stoccaggio all’interno del punto

vendita, deperibilità. Un’ipotesi potrebbe essere quella di invitare i clienti, che desiderano

anche prodotti freschi (sottoforma di panieri), a fare degli ordini settimanali da inviare al

produttore e stabilire un giorno di consegna. In modo tale che i panieri arrivino in bottega

il giorno prestabilito per le consegne e vengano ritirati in giornata dai consumatori, così

facendo non si avrebbero problemi di magazzino. Un’altra ipotesi potrebbe essere la

vendita diretta dal produttore al consumatore, allestendo un banchetto all’esterno della

bottega, ove possibile, stabilendo anche in questo caso un ordine e il giorno di consegna

dei panieri direttamente da parte dell’agricoltore. In questo modo verrebbero abbattuti i

costi di gestione di questa vendita da parte della bottega, perché così facendo non

rimarrebbe direttamente coinvolta, ed il costo dei panieri non aumenterebbe. Questa ultima

ipotesi è già stata messa in atto da una delle botteghe intervistate.

Per pubblicizzare o meglio far conoscere questa tipologia di prodotti all’interno del punto

vendita sarebbero utili dei volantini, dei cartelli, dei depliant che spiegassero il progetto in

questione, cosa si intende per Fattoria Sociale e il metodo di produzione di tali prodotti, e

promuovessero questa tipologia di filiera.

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7.2.5 Intervista ad Eataly Per avere un quadro più ampio dei possibili canali di commercializzazione ci si è rivolti

anche ad Eataly di Torino, centro enogastronomico dove si possono acquistare, degustare e

studiare cibi e bevande di alta qualità. Dall’incontro si è potuto rilevare un certo interesse

verso i prodotti delle Fattorie Sociali e la disponibilità ad inserirli all’interno del reparto

ortofrutta. In questo reparto i prodotti sono esposti su delle bancarelle, proprio come

possiamo trovarli al mercato, questo è stato fatto anche per riprendere il concetto di

“mercato” e quindi di luogo di socializzazione, in cui si possono trovare prodotti a buon

prezzo e di qualità. E’ stato proposto di introdurre i prodotti delle Fattorie Sociali

allestendo uno spazio apposito. Si può pensare come una sorta di bancarella in cui i clienti

di Eataly possono trovare i prodotti delle Fattorie Sociali della provincia di Torino, sui cui

esporre anche le foto delle aziende coinvolte e la spiegazione del progetto, per meglio far

comprendere il concetto di Fattoria Sociale e il valore aggiunto di questi prodotti. Essendo

presenti solo i prodotti delle Fattorie della provincia di Torino, nel periodo dalla primavera

all’autunno si potranno trovare un ampia varietà di prodotti ortofrutticoli, nel periodo

invernale questa bancarella potrebbe essere assente o presentare pochi prodotti a causa

della stagionalità. In tal modo si cerca anche di fare educazione alimentare e di far capire ai

consumatori che la natura e i suoi prodotti hanno un ciclo di vita, una stagionalità, per cui

se si vogliono mangiare prodotti buoni di gusto e con buoni valori organolettici è

fondamentale rispettare questa stagionalità.

Un’ altra proposta fatta da Eataly per collocare questi prodotti, è il mercato di produttori,

che organizza una volta al mese circa nello spazio al di fuori del centro. Si tratta di un

mercato a cui possono partecipare i produttori ed i trasformatori di prodotti locali, questo

per sottolineare l’importanza della filiera corta, dei prodotti a “KM 0”, per salvaguardare e

valorizzare le produzioni locali e l’agricoltura locale. Per entrambe le due proposte non vi

è la necessità di una certificazione biologica, però i prodotti devono essere coltivati

seguendo metodi biologici o di lotta integrata. Per quanto riguarda un marchio delle

Fattorie Sociali, anche questo non è strettamente necessario, se presente è una garanzia in

più, altrimenti non è così vincolante per il successo di questa attività. Un’ altra opportunità

per far conoscere la realtà delle Fattorie Sociali e i suoi prodotti sono le cene a tema che

vengono organizzate periodicamente all’interno di Eataly.

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7.2.6 Intervista a Slow Food Slow Food promuove comunica e studia la cultura del cibo in tutti i suoi aspetti. La sua

mission è:

• educare al gusto, all’alimentazione, alle scienze enogastronomiche;

• salvaguardare la biodiversità e le produzioni alimentari tradizionali ad essa

collegate: le culture del cibo che rispettano gli ecosistemi, il piacere del cibo e la

qualità della vita per gli uomini;

• promuovere un nuovo modello alimentare, rispettoso dell’ambiente, delle tradizioni

e delle identità culturali, capace di avvicinare i consumatori al mondo della

produzione, creando una rete virtuosa di relazioni internazionali e una maggior

condivisione di saperi.

L’associazione Slow Food Italia ha un’importante ruolo anche sul territorio della provincia

di Torino, per quanto riguarda la riscoperta delle tradizioni alimentari, del mangiar sano,

del rispetto dell’ambiente, della salute dell’uomo e degli animali, del rispetto dei diritti

dell’uomo.

Dall’incontro è emersa la possibilità di introdurre i prodotti delle Fattorie Sociali,

attraverso il Mercato della Terra, in progetto di avvio al più tardi nella primavera 2009, che

si terranno una domenica al mese. Si tratta di un mercato in cui i produttori della zona

possono vendere i loro prodotti direttamente ai consumatori, saranno prodotti derivanti da

filiera corta, infatti saranno ammessi solamente produttori presenti nel raggio di 40 Km

dall’area del mercato. I prodotti devono derivare dalle aziende stesse, nel caso dei prodotti

trasformati, le materie prime devono comunque derivare da aziende distanti non più di 40

Km. Verrà istituito un protocollo d’intesa che regolamenterà le produzioni e la gestione di

questa attività, a cui dovranno sottostare i produttori ed i trasformatori che decideranno di

partecipare a questi mercati.

Inoltre è in progetto la realizzazione di un’osteria nelle vicinanze della futura area

mercatale, in cui si potranno degustare i prodotti del Mercato della Terra. Infine verrà

costruito un punto vendita in cui si potranno trovare questi prodotti anche durante la

settimana, gestito dal Comune.

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7.3 Ipotesi di commercializzazione

Dall’indagine di mercato effettuata, è stato possibile rilevare che fra i canali di

commercializzazione presenti, quelli disposti in un futuro alla vendita dei prodotti delle

Fattorie Sociali e che sembrano essere i più adatti, potrebbero essere:

• la COOP, attraverso i banchetti al di fuori di alcuni punti vendita;

• i mercatini della Coldiretti, di Eataly e Slow Food;

• le Botteghe equo solidali;

• punto vendita aziendale;

• negozio dei prodotti delle Fattorie Sociali.

Il processo di commercializzazione può essere suddiviso in due fasi distinte ma

contemporanee, una di promozione e l’altra di vendita.

Nella prima fase del ciclo del prodotto, ossia la fase di conoscenza e sviluppo, si potrebbe

pensare di mettere in atto l’iniziativa proposta dalla COOP, per quanto riguarda il

banchetto al di fuori di alcuni dei supermercati presenti nella provincia di Torino e quella

della Coldiretti, di Eataly e Slow Food, per quanto riguarda i mercatini domenicali nella

città di Torino.

L’esposizione di tali prodotti al di fuori della COOP, attraverso iniziative periodiche,

potrebbe essere un modo efficace per far conoscere le Fattorie Sociali in quanto si

sfrutterebbe il flusso di persone che si recano al supermercato. Non richiederebbe un costo

elevato perché si tratterebbe di allestire un banco, su cui esporre la linea di prodotti delle

Fattorie Sociali della provincia di Torino. Per fare un’azione efficace di promozione e

divulgazione del prodotto sarebbero necessari dei cartelloni e dei volantini o depliant, su

cui spiegare di cosa tratta il progetto in questione, le caratteristiche del prodotto, elencare

le aziende coinvolte, descrivere i benefici di questa iniziativa, anche al fine di

sensibilizzare le persone su queste tematiche e sottolineare l’importanza di porre una

maggior attenzione verso queste realtà emergenti.

Inoltre anche i mercatini domenicali organizzati dalla Coldiretti, da Eataly e Slow Food, di

cui si è già parlato in precedenza, potrebbero essere un altro modo per far conoscere questi

prodotti. Anche in questo caso allestendo un banco negli spazi all’interno di questi mercati,

presentando dei cartelloni, dei volantini, depliant, eventualmente uno slogan, per far

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conoscere questa realtà. La differenza tra il banchetto davanti ai supermercati COOP e i

mercatini organizzati dalla Coldiretti, Eataly e Slow Food è che in questo ultimo caso ci

sarebbe anche la vendita di questi prodotti, mentre nel primo caso si tratterebbe solamente

di presentare le Fattorie Sociali, i loro prodotti, alcuni farli eventualmente assaggiare (i

prodotti trasformati, la frutta, ecc.) ed invitare a visitare le aziende coinvolte.

Sarebbe importante far partecipare a queste iniziative anche alcuni dei soggetti inseriti

nelle Fattorie Sociali, non per renderli uno strumento per fare pubblicità, ma perché anche

loro ne possano trarre un beneficio. Essere a contatto con il pubblico, avere un compito ben

preciso nella vendita, durante la promozione, potrebbe rilevarsi un fattore molto

importante, potrebbe far accrescere in loro una maggior autostima e senso di

responsabilità, si sentirebbero parte di un sistema, vedrebbero dei risultati concreti del loro

lavoro, del loro contributo.

Contemporaneamente e successivamente a questa prima fase, quando il prodotto sarà

maggiormente affermato e conosciuto sul mercato si potrebbero pensare, quali canali di

vendita più adeguati, il punto vendita aziendale, un negozio dei prodotti delle Fattorie

Sociali e le botteghe equo solidali. Nel primo caso ogni azienda avrà all’interno un punto

vendita. L’azienda stessa dovrà decidere come gestire questo spazio e quindi stabilire chi

saranno gli addetti alla vendita, l’orario di apertura, il modo con cui fare pubblicità, ad

esempio con la distribuzione di volantini, depliant, la creazione di un sito internet e le

modalità con cui gestire le vendite cioè se utilizzare la tecnica dei panieri o no. Per quanto

riguarda la pubblicità, sui volantini e sui depliant è necessario descrivere in breve l’attività

dell’azienda, il modo con cui vengono ottenuti questi prodotti, l’attività sociale, l’elenco

dei prodotti, gli orari di vendita al pubblico ed inserire delle immagini dell’azienda per

catturare maggiormente l’attenzione delle persone. Sul sito internet dovrebbero comparire

tutti questi dati, descritti in modo più dettagliato per fornire maggiori informazioni, inoltre

una newsletter attraverso cui l’azienda può comunicare, a chi ha inserito il proprio

indirizzo di posta elettronica, delle novità, nuove attività dell’azienda e promozioni. Un

altro elemento potrebbe essere la creazione di un forum attraverso cui i clienti dell’azienda

possano comunicare tra di loro e con l’imprenditore agricolo, scambiandosi opinioni in

merito ai prodotti acquistati, dare i loro giudizi sulla bontà, scambiarsi delle ricette. Per

quanto riguarda la vendita attraverso panieri, si tratta di vendere i prodotti in ceste miste di

frutta e verdura, confezionate dall’agricoltore con frutta e verdura di stagione e non in base

alle preferenze del consumatore. L’attività viene gestita nel seguente modo, il cliente

ordina all’azienda, entro il giorno prestabilito per gli ordini, il paniere di verdura e/o di

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frutta indicando le quantità desiderate, che andrà a ritirare in azienda nel giorno indicato

per le consegne di queste ceste. I fattori positivi che caratterizzano questa tipologia di

vendita sono il minor impiego di imballaggio che riduce il costo del prodotto, non vi è il

costo del trasporto ad incidere sul prezzo, in quanto si tratta di vendita diretta in azienda e

non ci sarebbero sprechi di prodotto perché si lavorerebbe su ordinazione e quindi si

preparerebbe e si venderebbe il prodotto nella quantità richiesta. Inoltre si tratta di un buon

metodo per fare educazione alimentare e spingere la gente a consumare prodotti di

stagione. Facendo sempre riferimento al punto vendita aziendale, si potrebbe pensare ad un

unico spaccio aziendale, a cui le fattorie sociali presenti nella zona potranno conferire i

loro prodotti. Così facendo si agevolerebbero i consumatori, i quali non dovranno più

recarsi in ogni singola azienda per l’acquisto di differenti prodotti ortofrutticoli, ma sarà

sufficiente recarsi in questa fattoria sociale con il punto vendita per trovare una un’ampia

varietà di prodotti provenienti da fattorie sociali presenti sul territorio.

Sabato 14 giugno è stata inaugurata l’agrigelateria “La Fattoria del Gelato” a Pianezza in

provincia di Torino. Si tratta di un’azienda zootecnica che ha deciso di diversificare la

propria produzione attraverso la produzione di gelati e yogurt e che ha come ulteriore

obiettivo, quello di assumere una persona svantaggiata, diventando così Fattoria Sociale.

La Fattoria del Gelato si candida a diventare per la città un rifugio nel quale respirare la

quiete della campagna e riscoprire i sapori genuini. E’ proprio per questo motivo, che si

potrebbe pensare a questa azienda, come sito in cui allestire lo spaccio aziendale, di cui si è

parlato in precedenza, per i prodotti derivanti da aziende agricole sociali della zona. In tal

modo forse si incentiverebbe la vendita, in quanto i consumatori potranno trovare diversi

prodotti agricoli in un unico punto senza dover recarsi in più aziende, risparmiando in

termini di costo e di tempo. Inoltre questo si presenta come luogo piacevole in cui

trascorrere parte del proprio tempo libero a contatto con la natura, soprattutto per le

famiglie con bambini.

Inoltre si potrebbe pensare alla creazione di un negozio dei prodotti delle Fattorie Sociali.

Si potrebbe ipotizzare un negozio delle Fattorie Sociali quando il fenomeno sarà

maggiormente esteso a più aziende del territorio e quando magari si verrà a creare una Rete

delle Fattorie Sociali della provincia di Torino. Questo punto vendita dovrebbe esser

posizionato in un luogo di facile accesso alla clientela e facilmente raggiungibile dalle

Fattorie Sociali della zona, per il conferimento dei prodotti. I prodotti presenti all’interno

del negozio deriverebbero solamente da Fattorie Sociali che aderiranno alla Rete, questo

per dare una maggiore garanzia di qualità e sicurezza ai consumatori. Si potrebbe pensare

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eventualmente anche alla creazione di un marchio della Rete delle Fattorie sociali, per

indicare l’appartenenza dell’azienda a quella categoria. Anche all’interno di questo punto

vendita mettere a disposizione dei volantini e dei depliant, dove si descrive l’attività svolta,

il progetto, e su cui si possono trovare tutte le informazioni riguardanti le aziende

coinvolte. Inoltre si potrebbero organizzare delle giornate in cui le aziende sono aperte al

pubblico, in modo tale da permettere ai clienti di visitare queste realtà. Per quanto riguarda

la vendita, anche in questo caso si può decidere se organizzarla attraverso i panieri o meno.

Il trasporto potrebbe essere effettuato conto terzi, incaricando quindi una persona a ritirare

la merce presso tutte le aziende oppure potrebbero essere le aziende stesse a conferire

giornalmente i prodotti al negozio.

Un altro modo attraverso cui distribuire i prodotti delle Fattorie Sociali potrebbe essere

quello di appoggiarsi alle botteghe di commercio equo e solidale. Si tratterebbe di allestire

un banco al di fuori della bottega, da parte del produttore, così facendo la bottega non

rimarrebbe direttamente coinvolta nella vendita ma servirebbe solamente come punto di

incontro tra produttore e consumatore. Infatti si tratterebbe di vendita diretta dal produttore

al consumatore, in modo tale che il prezzo del prodotto non debba essere aumentato per

coprire i costi di gestione della vendita da parte di un altro soggetto. In questo caso la

vendita attraverso i panieri sembra essere la soluzione migliore per i motivi

precedentemente indicati.

Fra tutti questi canali presi in analisi, la soluzione migliore sembra essere quella del punto

vendita in azienda, quindi della vendita diretta dal produttore al consumatore direttamente

in azienda e quella dei mercatini domenicali una volta o più al mese. Partecipare a questi

mercatini non risulterebbe essere un grande impegno, scegliendo tra quelli elencati

precedentemente. Così facendo, durante la settimana si venderebbe in azienda e per

qualche domenica al mese si parteciperebbe a questi mercati. Si potrebbe pensare di

organizzare la vendita attraverso la creazione di una bancarella unica, in cui i produttori

delle Fattorie Sociali della zona potrebbero aggregarsi, invece di presentarsi singolarmente

ogni azienda. La partecipazione a questi mercati permetterebbe una maggiore diffusione

dell’esistenza di queste realtà.

Per quanto riguarda la vendita diretta in azienda, i costi di gestione sono minori, non vi è il

trasporto ad incidere sul prezzo dei prodotti, non vi è il costo dell’imballo, perché si

possono utilizzare delle cassette a rendere, in modo tale da riutilizzarle più volte. Si viene a

creare un maggior rapporto di fiducia con il cliente, perché il consumatore può vedere

l’azienda, il luogo in cui vengono prodotte frutta e verdura, chi partecipa alla produzione e

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può parlare direttamente con l’agricoltore. Tutto ciò aumenta anche la sicurezza del

consumatore nell’acquistare tali prodotti, perché conosce la provenienza e può vedere

come vengono prodotti. Un altro fattore importante è il vantaggio che ne può trarre la

persona svantaggiata inserita presso l’azienda, perché viene a contatto con il pubblico,

vede dei risultati concreti del proprio lavoro svolto, del contributo che ha apportato, tutto

questo aumenta l’autostima della persona coinvolta e ne apporta dei benefici.

Un altro elemento positivo della vendita diretta è che l’agricoltore così facendo crea

un’immagine positiva dell’azienda da cui può trarne dei benefici.

Inoltre, in tal modo, si attua un percorso di educazione alimentare, perché si informa e si

forma il consumatore sui prodotti alimentari che acquista. Conoscere ed essere informati,

significa avere a disposizione gli strumenti per valutare e per scegliere con più oculatezza

tra la miriade di proposte alimentari presenti sul mercato e sviluppare una coscienza critica

al fine di fare scelte consapevoli. Fare educazione alimentare significa inoltre valorizzare i

prodotti di qualità, tutelare le tradizioni locali, promuovere lo sviluppo della partecipazione

per la salvaguardia dell’ambiente, educare al gusto e promuovere uno stile di vita sano.

Si è pensato a questi due canali come soluzione migliore, in quanto in questa fase iniziale

di avvio delle prime Fattorie Sociali nella provincia di Torino, molti elementi riguardanti la

gestione e la logistica di questa attività non sono ancora del tutto chiari e quindi sarebbe

bene iniziare attraverso piccoli passi. Uno degli elementi fondamentali, è la quantità sia

offerta che richiesta, a cui dall’indagine svolta non si è riusciti a risalire, in quanto per tutte

le tipologie di canali ipotizzate è necessario un periodo di prova per comprendere meglio la

risposta dei consumatori e anche per le aziende per capire quale può essere la loro capacità

produttiva. Il punto vendita in azienda potrebbe esser un buon modo per iniziare questa

attività, in quanto non si devono garantire determinati quantitativi giornalmente, cosa che

accadrebbe se si servissero per esempio la grande distribuzione oppure le mense, perché in

questi casi si stipulano dei contratti all’inizio dell’anno, con i quali si stabiliscono i

quantitativi, la tipologia e le caratteristiche del prodotto, che l’azienda si impegna a

conferire quotidianamente. La vendita in azienda ed il mercatino domenicale sono più a

misura di Fattoria Sociale.

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CONCLUSIONI

L’agricoltura Sociale è sempre più al centro delle riflessioni e dell’iniziativa europea ed

italiana. Il dibattito lanciato dalla Commissione Europea sullo stato di salute della PAC,

mentre da una parte spinge alla ridefinizione del primo pilastro della politica agricola

comunitaria, dall’altra rafforza la prospettiva dello sviluppo rurale. E’ proprio su questo

versante che vanno ad innestarsi tutte le potenzialità dell’Agricoltura Sociale quale

modello innovativo e incentrato sui principi della multifunzionalità. Una multifunzionalità

che integra produzione di beni alimentari con produzioni di servizi al territorio e

costruzioni di un moderno welfare diffuso soprattutto nelle aree rurali.

L’agricoltura piemontese, anch’essa orientata ad evolversi per offrire maggiori servizi al

territorio, ritiene le Fattorie Sociali uno strumento adatto a raggiungere tale obiettivo.

Il fine del lavoro di tesi è stato quello di fornire una panoramica delle realtà presenti in

Europa, in Italia ed in Piemonte al fine di comprendere verso quali direzioni e con quali

strumenti l’agricoltura moderna si sta evolvendo.

Per quanto riguarda l’Europa, i paesi che si stanno occupando maggiormente di questa

tipologia di agricoltura sono l’Olanda, la Norvegia, la Francia, la Germania, il Belgio ed il

Portogallo.

In Italia seppur si è riscontrata la mancanza di dati, sia su base nazionale che regionale, che

consentano di fornire una chiara visione del fenomeno, è emerso a seguito di un lavoro di

ricerca, la presenza a macchia di leopardo di realtà di agricoltura sociale. Dall’analisi di tali

realtà è emersa una notevole varietà delle esperienze, l’individualità delle iniziative e

l’assenza di una rete di scambi informativi.

Mettendo a confronto la realtà italiana con le altre realtà europee, si può sottolineare il fatto

che all’estero le Fattorie Sociali sono nate per iniziativa degli agricoltori, mentre in Italia

quasi tutte per iniziativa del terzo settore, in particolare di associazioni o cooperative

sociali.

Il Piemonte si colloca fra quelle regioni in cui si iniziano a vedere i primi passi verso

questa direzione, grazie soprattutto alla volontà di alcune istituzioni e alla sensibilità di

alcuni imprenditori agricoli per queste tematiche. Rispetto ad altre regioni, l’agricoltura

sociale piemontese appare maggiormente polverizzata, non vi sono reti per lo scambio di

informazioni e non vi sono convenzioni con gli enti pubblici. I problemi principali sono la

mancanza di una politica adeguata che regoli tutti gli aspetti caratterizzanti questa

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agricoltura ed il ridotto sostegno economico. Infatti nel PSR 2007/2013 le zone che

possono ricevere dei finanziamenti riguardanti la Misura 311 “diversificazione in attività

non agricole” sono solamente le aree rurali con problemi complessivi di sviluppo (territori

montani a bassa intensità abitativa) e le aree rurali intermedie (zone di collina), escludendo

così le zone di pianura caratterizzate da un’importante attività agricola.

Ancor prima di una politica adeguata e un sostegno economico, si ritiene indispensabile

partire dalla definizione chiara e condivisa dell’entità “Fattoria Sociale” in quanto, solo a

seguito di ciò, si possono definire delle linee guida che consentano uno sviluppo strutturato

di una rete in grado di fornire prodotti e servizi di qualità al territorio.

Al momento un significato chiaro non esiste, in quanto con il termine Fattoria Sociale si

intendono diverse attività, tra le quali la fattoria didattica, l’agriasilo e l’inserimento di

persone svantaggiate. Di conseguenza, ad oggi, il termine “Fattoria sociale” può essere

utilizzato o attribuito in modo improprio.

L’attuale carenza di chiarezza sul fenomeno rende complessa e di difficile attuazione la

realizzazione di un piano territoriale che, senza trascurare le realtà già esistenti, favorisca il

sorgere di nuove attività agricole sociali.

Nel corso della fase di studio del progetto al quale il lavoro di tesi fa riferimento, si è

riscontrata da parte degli attori del sistema agricolo e non solo, un buon interesse in merito

a queste iniziative.

E’ quindi indispensabile, definire più nello specifico questa attività, in modo tale da avere

una base da cui partire per costruire attorno un sistema, che permetta la nascita e la

sopravvivenza di queste Fattorie Sociali, migliorando la situazione attuale.

Un altro punto preso in analisi durante questo lavoro, riguarda i canali di

commercializzazione dei futuri prodotti delle Fattorie Sociali.

I canali di commercializzazione ritenuti maggiormente adeguati, a seguito dell’indagine di

mercato effettuata, presentano caratteristiche che meglio rispondono alla necessità di

integrazione sociale e danno visibilità alle funzioni sociali svolte delle aziende.

In particolare, si vogliono evidenziare il punto vendita in azienda ed il mercatino

domenicale come i principali canali distributivi per i prodotti derivanti da agricoltura

sociale.

Si ritiene inoltre importante evidenziare che per poter definire le linee produttive più adatte

per una fattoria sociale si deve necessariamente tener conto sia della vocazione del

territorio ma soprattutto della tipologia delle risorse disabili che si intendono inserire.

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Concludendo, a valle del lavoro di tesi svolto, si può affermare che l’analisi delle realtà

agricole sociali e dei canali commerciali dei prodotti delle fattorie sociali costituisce il

materiale dal quale partire per definire un piano di crescita del sistema agricolo sociale in

Piemonte.

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BIBLIOGRAFIA

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MARCO NOFERI (2007), Agricoltura sociale e agricoltura di comunità. Esperienze,

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www.fattoriesociali.com

http://agrya.wordpress.com/

http://212.4.6.166/zonaovestnew/index.php

www.alihandicap.org