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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI GUGLIELMO MARCONI
MASTER IN RISORSE UMANE ED ORGANIZZAZIONE
Organizzazione di un’azienda: Motivazione e Leadership
Relatore Candidata
Prof. Nunzio Casalino d.ssa Anna Maria Tempesta
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INDICE
PRESENTAZIONE pagg. 5-6
Cenni introduttivi pagg. 7-8
PARTE PRIMA
1. Organizzazione e cambiamento organizzativo
1.1..Organizzazioni e cultura pagg. 9-11
1.2 L‟ambiente organizzativo pagg. 11-13
1.3. I bisogni e la motivazione pagg. 13-16
1.4 Nozioni caratterizzanti il processo motivazionale pagg. 16-17
1.5. Evoluzione nel tempo del concetto di motivazione pagg. 17-18
2. TEORIE MOTIVAZIONALI
2.1.La teoria di Elton Mayo pagg. 19-20
2.2 La piramide di A. Ma slow pagg. 20-26
2.2.1. Grafico: il contenuto della motivazione pag. 27
2.2.2.Grafico: la scala dei bisogni di Maslow pag. 28
2.3 La teoria di F. Herzberg pagg. 29-30
2.4 .La teoria di David McClelland pagg. 31-32
2.5. La teoria dell‟aspettativa di Vroom pagg. 32-34
4
PARTE SECONDA
3. LEADERSHIP : evoluzione del concetto nel tempo
3.1 Motivazione e leadership pagg. 35-36
3.2 Definizione di leadership pagg. 36-37.
3.3 Principali stili di leadership: Lewin pagg. 37-38
3.4 R. Likert pagg. 38-40
3.5 Blake e Mouton: la Managerial Grid pagg. 40-42
3.6 La teoria della contingenza: Fielder pagg. 42-43
3.7 Leadership carismatica, transazionale e trasformazionale pagg. 44-45
3.8 Conclusioni pagg. 46-47
4. DIRIGENZA E P.A.
4.1 Evoluzione della Dirigenza nella P.A pagg. 48-50
4.2 La riforma “ Brunetta” pagg. 50-54
4.2.1 Grafico processo riforma PA pag. 55
4.3 Organizzazione di un Ufficio Giudiziario: la pagg. 56-60
Procura della Repubblica di Mondovi‟
BIBLIOGRAFIA pag. 61
5
Presentazione
Essere pienamente convinti e fortemente motivati è sempre stato considerato un
fattore fondamentale per portare a termine con successo, di qualsiasi grado o forma
esso sia, le svariate scelte, sia in numero che in quantità, che la vita stessa pone
davanti all‟individuo.
Alla luce di queste considerazioni ho deciso di affrontare l‟analisi del processo
motivazionale presentando le classificazioni più conosciute e le principali teorie.
La motivazione costituisce un punto centrale nella gestione delle risorse umane, come
emerge dalla rilevante produzione scientifica che caratterizza questo settore e la sua
importanza si accentua, ancor più chiaramente, in un ambiente complesso come
quello attuale in cui si determinano nuove relazioni tra fattori quali la tecnologia, la
struttura organizzativa, la motivazione e la performance dei singoli lavoratori.
La motivazione è un argomento che riguarda tutti noi e le attività che svolgiamo
giornalmente.
E‟ interessante notare come queste teorie di cui tratterò anche se datate alcuni
decenni or sono, rimangano estremamente attuali nell‟epoca odierna,
Nella seconda si parte si partirà dall‟analisi dei vari stili di leadership collegandola
all‟importanza che ha assunto il fenomeno della comunicazione nel ruolo che essa ha
di rendere costantemente adeguato il processo di adattamento dei singoli alle esigenze
attuali del gruppo. La comunicazione è una apertura ed una disponibilità a recepire il
ritorno informativo (feedback) da parte delle persone e dei gruppi con cui si entra in
relazione. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento dei canali della
comunicazione caratterizzati soprattutto dall‟era digitale. I problemi che le
organizzazioni devono fronteggiare attualmente sono molto più impellenti di quelli
degli anni sessanta: globalizzazione, competitività estrema, tecnologia galoppante,
cambiamento del management.
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Nell‟ultimo biennio si è assistito ad un proliferare di decreti legislativi che nel campo
della P.A. hanno cercato di correggere le disfunzioni esistenti nel sistema pubblico,
senza a mio avviso riuscire nell‟intento.
In questo discorso va vista naturalmente la logica della leadership partendo dalla
distinzione delle due figure che si incontrano nel campo aziendale: il manager ed il
leader. Verranno inoltre affrontati i vari stili di leadership trattando dei risvolti che
essi portano nelle organizzazioni.
In particolare voglio affrontare l‟organizzazione di un ufficio giudiziario del quale
faccio parte; la giustizia appare agli occhi di tutti come un contesto chiuso, opaco,
distante dalla società nella quale si opera.
Parlare di organizzazione e riorganizzazione, efficienza e inefficienza, strategie,
missioni, programmazione, qualità del risultato e del servizio, innovazione,
soddisfazione dell‟utenza, rappresenta una vera e propria rivoluzione dell‟antico
modo di governare la giustizia nel nostro paese.
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Cenni Introduttivi
Dal punto di vista evolutivo riguardo all‟organizzazione dell‟impresa, ancora nella
metà del XIX sec. essa era caratterizzata dal capitalista-imprenditore che
concentrava sotto il suo controllo sia il personale umano che i mezzi di produzione.
Le teorie classiche, quelle delle relazioni umane e delle neorelazioni umane si sono
avvalse di una concezione deterministica quasi comportamentista del fattore umano:
l‟uomo è considerato sottomesso passivamente alle pressioni dell‟organizzazione.
Con l‟ampliamento del mercato e con lo sviluppo della tecnologia viene a crearsi
nell‟impresa una gerarchia a capo della quale vi è un dirigente.
Con lo sviluppo della tecnologia si passa da un‟impresa artigiana ad una industriale
grazie alla scissione tra proprietà e potere con la conseguente nascita di nuove
strutture in grado di combinare il principio della meccanizzazione con quello della
standardizzazione con conseguente aumento della produttività.
Nascono nell‟azienda nuovi ruoli e funzioni che hanno bisogno di un coordinamento
facendo diminuire il potere di ciascun dirigente ed introducendo un sistema di
informazione/comunicazione.
Secondo la teoria tayloristica, con l‟evoluzione del modello organizzativo, con la
nascita di un sistema aperto attraverso l‟impresa /organizzazione, occorre stimolare la
motivazione del lavoratore mediante sistemi che incentivino la produttività: entra in
scena la gratificazione economica (salario a rendimento, a cottimo) tramite
l‟addestramento del soggetto e la partecipazione del lavoratore ai profitti ed al
risparmio. L‟impresa è più attenta all‟impiego efficiente delle risorse umane e cerca
sempre più di perfezionare l‟efficienza organizzativa.
Aumentando la produttività, infatti, il lavoratore può aumentare il proprio stipendio,
riuscendo così ad aumentare la propria autostima ed il proprio status.
L‟innovazione organizzativa dell‟impresa è provocata da un insieme di fattori quali la
dinamica del personale, l‟ampliamento della sfera operativa della gestione e
l‟evoluzione dell‟ambiente esterno e di mercato. Esiste una certa interconnessione tra
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efficienza dell‟organizzazione ed efficienza ed efficacia (interna ed esterna) delle
imprese.
Comincia l‟evoluzione dell‟impresa non più costituita solo ed esclusivamente
dall‟individuo; si assiste alla nascita di organismi collocati in un più vasto ambiente
dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.
Parlare di organizzazioni significa prendere in considerazione una realtà che si
esplicita in una situazione sociale, economica, culturale, politica.
Le organizzazioni nel mondo moderno influenzano ogni settore della vita sociale:
attraverso il loro sviluppo è possibile realizzare progetti e raggiungere obiettivi.
Nel momento in cui le organizzazioni vengono paragonate a degli organismi, viene
concentrata l‟attenzione sulle problematiche della sopravvivenza, dei rapporti
organizzazione-ambiente, dell‟efficacia organizzativa.
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PARTE PRIMA
1. ORGANIZZAZIONI E CAMBIAMENTO
1.1 Organizzazioni e cultura
Se prendiamo come inizio degli studi sulle Organizzazioni e sul loro funzionamento
gli ultimi decenni del XIX sec., possiamo dire che c‟è voluto quasi un secolo prima di
mettere a fuoco con chiarezza che le attività organizzative sono regolate da fenomeni
apparentemente astratti che muovono i comportamenti delle persone.
La cultura è un concetto mutuato dall‟antropologia1 e trasferito nell‟ambito degli
studi organizzativi insieme a tutto il patrimonio di conoscenze elaborate in decenni di
ricerche sulle culture delle società di paesi lontani e sulle subculture delle comunità
metropolitane. Quando si parla di cultura si fa riferimento al modello di sviluppo che
si rispecchia nel sistema di conoscenze di una società, nelle sue ideologie, nei suoi
valori, nel suo diritto, nei suoi riti quotidiani.
La cultura è per la società quello che la memoria è per gli individui( Kluckhon,1954).
Nella letteratura organizzativa il tema della cultura è stato più volte suggerito a
partire dagli anni trenta da alcuni degli autori del movimento HUMAN
RELATIONS, ma solo in seguito gli studi sulla cultura sono giunti ad occupare un
posto di primo piano nella pubblicistica e nel management, quando verso la metà
degli anni ‟70 gli stessi studiosi, sia negli Stati Uniti che in Europa hanno cercato di
capire come mai l‟individuo giapponese fosse in grado di portare una concorrenza
spietata agli occidentali in molti settori produttivi. Vennero formulate molte ipotesi,
ma ad ottenere maggiore credito fu l‟ipotesi della cultura: il modo di pensare dei
giapponesi, di rapportarsi tra loro e con l‟azienda in cui lavoravano. Secondo questi
lavoratori, il progresso e lo sviluppo possono essere realizzati solo attraverso gli
sforzi combinati e la cooperazione di tutti i membri dell‟azienda. Lo spirito
collaborativo, proprio di un villaggio o di una comunità, pervade tutta l‟esperienza
1 Management pubblico-ed. Simone 2010 p.93
10
lavorativa. A questi modi di pensare e di applicare le procedure organizzative è stato
dato il nome di cultura organizzativa.
Fra la fine degli anni „70 ed i primi degli anni ‟80 è fiorita una letteratura su questo
argomento. Nelle società più avanzate esiste una stretta correlazione tra il concetto di
organizzazione e quello di cultura: formata quest‟ultima dall‟insieme di strutture
fondamentali di pensiero, di norme, di miti; dal grado di condivisione dei valori stessi
tra i membri di una organizzazione: alcuni teorici, a tal proposito formulano l‟ipotesi
che le organizzazioni possono definirsi, nel loro complesso, come “culture”.
I legami sociali e simbolici fanno parte dell‟organizzazione che è focalizzata sempre
più sulla collettività, su ciò che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato
imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione
interna. Viene così superata la frammentarietà dei fenomeni che prima caratterizzava
l‟organizzazione (teoria tayloristica).
Hedgar Schein, studioso che si è occupato del tema della cultura organizzativa, nel
1985 ha affermato:” la cultura organizzativa è l‟insieme delle ipotesi di base che un
certo gruppo ha inventato, scoperto o elaborato nel corso del suo processo di
apprendimento sul come affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di
integrazione interna”.
Gli aspetti della cultura che interessano particolarmente la vita organizzativa sono
certamente le abilità delle singole persone, ma in modo particolare i loro
comportamenti, dai quali dipende l‟utilizzo in chiave organizzativa delle stesse
conoscenze ed abilità.
I comportamenti organizzativi, in quanto comportamenti sociali, sono regolati da
codici di condotta, vale a dire criteri in base ai quali le persone decidono quali azioni
svolgere ed in che modo, in base ai margini di discrezionalità che il controllo
organizzativo consente. Naturalmente, come insegna da tempo la psicologia, le azioni
individuali sono legate alle caratteristiche personali, il carattere, la personalità, le
motivazioni di ciascuno; tuttavia, poiché ogni azione è anche un‟interazione con le
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azioni di altre persone, gli aspetti sociali e culturali entrano in gioco in maniera
rilevante2.
Secondo Francesco Avallone, ciascuna organizzazione è dominata da una cultura, che
si manifesta più o meno apertamente in tre livelli: gli artefatti che comprendono gli
elementi visibili dell‟organizzazione, i valori cioè l‟ideologia divulgata all‟interno
dell‟azienda e gli assunti di base, cioè gli assunti impliciti, inconsapevoli che
orientano il comportamento.
L‟aspetto della cultura che si rivela particolarmente interessante per il funzionamento
di una organizzazione è il modo in cui essa influisce sui comportamenti delle
persone3.
Le conoscenze che sono presenti nell‟organizzazione di cui i singoli individui sono
depositari, come le abilità, manuali, relazionali, ecc., per quanto essenziali, devono
essere integrate, vale a dire messe in condizione di interagire fra loro in modo da
produrre risultati.
In questo approssimarsi ad analizzare più compiutamente l‟analisi dei bisogni e le
motivazioni che caratterizzano ogni lavoratore all‟interno di una organizzazione, si
deve fare un breve cenno sul concetto di “ambiente” in cui l‟organizzazione opera.
1,2 L’ambiente organizzativo:
E‟ della teoria funzionalista degli anni „50 l‟idea di considerare l‟ambiente come
qualcosa che si trova fuori dai confini fisici di un‟organizzazione ma che ne influenza
gli esiti tramite l‟imposizione di vincoli come quello dell‟adattamento per la
sopravvivenza.
2 rif. I quaderni di Gelso n.6 pp.27-28
3 F.Avallone Psicologia del lavoro,Storia,Modelli,applicazioni. Carocci-2000
12
In realtà quando parliamo di ambiente non possiamo fare una distinzione così netta
come volevano i funzionalisti: non esistono ambienti separati o diversi; ma un unico
ambiente complesso che ingloba anche le stesse organizzazioni e i diversi settori.
Le organizzazioni sono considerate come organismi, come sistemi viventi collocati in
un più vasto ambiente dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.
L‟universo organizzativo è formato da diverse specie di organizzazioni; le teorie
classiche, come quella di Taylor, di Weber, di Fayol considerano l‟organizzazione
come sistema “chiuso” dove l‟attenzione analitica primaria è riservata alle forze che
determinano l‟equilibrio funzionale ed il grado di integrazione del sistema
organizzativo.
A partire dagli anni ‟60 del secolo scorso, con l‟avvento della teoria generale dei
sistemi di cui il maggiore rappresentante è stato Hatch, si è fatta spazio l‟idea di
considerare l‟ambiente come un “sistema aperto”, come qualcosa che si trova fuori
dai confini fisici di un‟organizzazione ma che ne influenza gli esiti tramite
l‟imposizione di vincoli come quello dell‟adattamento per la sopravvivenza e
scambiando con esso risorse materiali e simboliche.
Grazie a questa prospettiva, sorge la consapevolezza che la sopravvivenza, l‟equi-
librio e lo sviluppo dell‟organizzazione non dipendono soltanto dall‟efficacia e
dall‟efficienza del suo funzionamento interno, ma anche dal bilancio degli scambi
con il proprio ambiente, ovvero dalla qualità del suo adattamento.
Bisogna pensare ai casi non infrequenti di imprese che si trovano in forti difficoltà,
pur in presenza di buone performance di produttività e qualità del prodotto, perchè il
bene o servizio erogato non viene adeguatamente assorbito dal mercato, oppure
perchè sussistono difficoltà di ordine finanziario.
La prospettiva dell‟organizzazione come sistema aperto conduce pertanto il nostro
sguardo sui molteplici scambi che l‟organizzazione effettua con il proprio ambiente.
La dimensione semplicità-complessità riguarda la complessità ambientale che riflette
l‟eterogeneità, rappresenta il numero e la diversità degli elementi esterni, rilevanti per
13
l‟attività di una organizzazione. La dimensione stabilità-instabilità riguarda il grado
di dinamicità degli elementi all‟interno dell‟ambiente.
Le organizzazioni devono affrontare e gestire l‟incertezza per essere efficaci.
Negli ambienti incerti, la pianificazione e la previsione ambientale sono importanti
per tenere pronta l‟organizzazione ad una risposta coordinata e rapida.
Quando l‟ambiente è stabile, invece, l‟organizzazione può concentrarsi sui problemi
riguardanti le attività correnti e sull‟efficacia giornaliera.
Le organizzazioni sono considerate così come organismi, come sistemi viventi col-
locati in un più vasto ambiente dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.
L‟avvicinamento della prospettiva di analisi a quella propria della biologia ha
rappresentato una importante fonte di ispirazione per gli studi organizzativi. Proprio
dall‟adattamento all‟ambiente derivano alcune considerazioni importanti sulla riuscita
di una organizzazione; infatti il successo di questa non dipende solo dall‟efficienza.
Ciò che conta maggiormente è l‟efficacia intesa come capacità di produrre ed erogare
il proprio output rendendo positivo il bilancio dei propri scambi con l‟ambiente..
La metafora dell‟organismo si attaglia perfettamente a tali prerogative e requisiti. Il
successo di ogni organismo vivente dipende dalla misura in cui esso è capace di
adattarsi all‟ambiente da cui trae le risorse vitali dei diversi tipi di ambiente.
L‟avvicinamento della prospettiva di analisi a quella propria della biologia ha
rappresentato una importante fonte di ispirazione per gli studi organizzativi.
1.3 I bisogni e la motivazione
La metafora organicistica ha consentito di concepire le organizzazioni come dei
sistemi aperti, a capire i processi con cui le organizzazioni si adeguano all‟ambiente,
ad evidenziare i fattori che sono rilevanti per il benessere e per lo sviluppo delle
stesse (tra tutti si è già detto dei concetti di cultura e di ambiente).
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Questa impostazione del problema ha consentito in pratica di enucleare la moderna
concezione organizzativa che ha superato quella metafora della macchina che
dominava la teoria organizzativa classica.
La prospettiva organica dell‟analisi delle organizzazioni sviluppa anche il concetto di
bisogni complessi: sono questi i bisogni alla cui soddisfazione le organizzazioni
devono provvedere per far si che gli individui siano in grado di operare efficacemente
nel loro lavoro. Viene messo allora in evidenza il concetto di motivazione .
Essere pienamente convinti e fortemente motivati è sempre stato considerato un
fattore fondamentale per portare a termine con successo, di qualsiasi grado o forma
esso sia, le svariate scelte che la vita stessa pone davanti all‟individuo.
All‟origine di ogni comportamento vi è un bisogno che genera disequilibrio, tensione,
vale a dire una motivazione.
Questa motivazione libera una certa energia che si mette in azione, che ci spinge ad
agire per sopprimere o ridare l‟insoddisfazione del bisogno e la tensione che ne
deriva (la motivazione al compito deve essere favorita dalla certezza che il proprio
lavoro sarà riconosciuto e gratificato attraverso un determinato sistema di
ricompense).
Motivazione è un termine, utilizzato in primis in ambito psico-socio-educativo e di
recente utilizzato anche in ambito manageriale, che descrive il processo che spinge un
organismo verso una determinata meta; motivazione è, quindi, “l‟esposizione dei
motivi per cui si fa una determinata cosa” oppure motivo è “ciò per cui si fa o non si
fa qualcosa”4.
Etimologicamente (dal latino motus) indica un movimento, quindi il dirigersi di un
soggetto verso un oggetto desiderato, verso uno scopo. Essa richiama quindi il
movimento che porta all‟azione.
La motivazione è un costrutto teorico utilizzato per spiegare l‟inizio, la direzione,
l‟intensità e la persistenza del comportamento, specialmente del comportamento
orientato all‟obiettivo. Per quel che riguarda la motivazione al lavoro, si tratta di 4 tratto da Il Nuovo Dizionario Italiano Garzanti ,Garzanti Editore Milano 1992 pag.564
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analizzare il campo delle variabili che sono in grado di spiegare il dispiegamento
delle energie psico-fisiche nell‟attività professionale e dell‟intensità e della
persistenza di questi investimenti. Variabili organizzative del compito, soggettive e
socio culturali interagiscono continuamente, influenzando la motivazione al lavoro, il
suo andamento nel tempo, la sua intensità e rilevanza.
Una motivazione, inoltre, si manifesta attraverso un orientamento verso qualcosa
oppure attraverso un orientamento che allontana da qualcosa. Nel primo caso si parla
di motivazione positiva e nel secondo caso di motivazione negativa.
Il modo migliore per descrivere gli effetti di una motivazione è senz‟altro quello di
fare appello ad una rappresentazione topologica, secondo lo schema proposto da K.
Lewin . Variabili organizzative del compito, soggettive e socio culturali interagiscono
continuamente, influenzando la motivazione al lavoro, il suo andamento nel tempo, la
sua intensità e rilevanza.
MOTIVAZIONE POSITIVA MOTIVAZIONE NEGATIVA
+ SCOPO -- PERICOLO
Il soggetto si trova in relazione con oggetti dotati di valenza, (positiva o negativa) che
conducono all‟avvicinamento o al rifiuto.
Questa distinzione è necessaria anche se nel maggior numero di casi si parla solo di
motivazione positiva.
Nell‟ambito lavorativo, che rappresenta l‟aspetto analizzato in questa sede, la
motivazione può manifestarsi in:
ENERGIA: le persone dimostrano tenacia e costanza nello sviluppare le
proprie mansioni e nel raggiungere i propri obiettivi;
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IDENTIFICAZIONE: ossia coinvolgimento attraverso la condivisione degli
obiettivi aziendali;
COMPETENZA: la motivazione porta alla ricerca di un apprendimento
continuo fuori e dentro l‟azienda;
INNOVAZIONE: quando le persone sono motivate utilizzano il cambiamento
a proprio vantaggio;
LEALTA‟: se i dipendenti trovano soddisfazione dei propri bisogni all‟interno
dell‟azienda, essi sviluppano sentimenti di fiducia ed appartenenza.
Fatta questa premessa, si può constatare come nel sistema organizzativo la
componente umana assume una posizione predominante: infatti i processi
motivazionali che impegnano ogni individuo a partecipare allo sforzo organizzativo,
rappresentano la base dei processi decisionali strategici ed operativi nonché dei
fenomeni di trasformazione e di mutamento delle organizzazioni stesse.
1.4 Nozioni che caratterizzano il processo motivazionale.
Nella scala dei livelli di attivazione motivazionale, dopo gli istinti, nel gradino
superiore troviamo il concetto di bisogno .
Questo concetto implica e viene definito da una condizione di necessità che
scaturisce da una carenza5.
La nozione di Bisogno è spesso associata a condotte legate al mantenimento del
benessere psicofisico che mirano al soddisfacimento di necessità naturali (es. la
fame).
Il motivo, invece, è qualcosa che guida, si riferisce alla mobilitazione di energia per
il raggiungimento di uno scopo.
La nozione di motivo è associata alla trama di cause e di ragioni che sottendono
5 tratto da Psicologia Generale. L.Anolli-P.Legrenzi.ed Il Mulino Bologna,2006, pag.204
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e organizzano la varietà delle condotte in vista della realizzazione di determinati
piani.
Lo scopo è qualcosa che attira.
La nozione di scopo è associata all‟anticipazione di uno status, alla realizzazione di
un proposito.
Questi termini sono tra loro correlati ed il comportamento, quindi, viene messo in
essere se sussiste la condizione dell‟esistenza di un bisogno e dell‟esistenza
nell‟ambiente dei mezzi materiali idonei a soddisfare tale bisogno.
Bisogni, motivi e scopi riguardano la sfera dei contenuti.
Decisione e volizione concernono invece la sfera dei processi.
Nello schema grafico di pag.27 è riportato il collegamento tra motivazione e bisogni.
1.5 Evoluzione nel tempo del concetto di motivazione
La psicologia del lavoro studia il concetto di motivazione applicandolo al contesto
lavorativo. Si fa risalire la nascita della disciplina alla pubblicazione da parte dello
psicologo Hugo Munstenberg agli inizi del secolo scorso. Munstenberg era
interessato all‟applicazione dei tradizionali metodi psicologici ai problemi concreti
dell‟industria, con particolare riferimento all‟organizzazione del lavoro e alla
selezione del personale.
Una delle più note scuole di pensiero, diffusasi negli anni ‟30 del sec. scorso, fa capo
a Taylor ed è nota con il nome di Scientific Management il cui obiettivo era
soprattutto quello di elaborare delle soluzioni che potessero rendere più razionale ed
efficiente l‟organizzazione delle aziende. Con Taylor sono iniziati anche la selezione
e l‟addestramento del personale, nonché i sistemi incentivanti. Egli riconsidera la
struttura di direzione, proponendo in alternativa alla gerarchia lineare la struttura
funzionale gerarchica. Si riporta un brano in cui Taylor riassume i criteri adottati
dallo Scientific Management:” Lo scopo principale dell‟organizzazione del lavoro
dovrebbe essere quello di garantire la massima prosperità tanto del datore di lavoro
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quanto dei dipendenti. Affinché il lavoro possa essere svolto secondo leggi
scientifiche è indispensabile una più giusta ripartizione di responsabilità tra direzione
e manodopera” (Taylor 1911).
Taylor aveva ipotizzato che la maggior parte delle situazioni soddisfacenti fossero
quelle nelle quali i lavoratori avessero potuto ottenere una dignitosa retribuzione ma
senza sforzo eccessivo.
Dalla teoria di Taylor sono stati estrapolati concetti che poi influenzeranno i moderni
modelli aziendali come la selezione professionale, un diverso sistema di
remunerazione, l‟analisi metodica del lavoro e il cronometraggio dei tempi di lavoro.
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2.TEORIE MOTIVAZIONALI
2.1 La teoria di Elton Mayo
Negli anni ‟20 e ‟30 negli Stati Uniti si svilupparono nuove teorie motivazionali
grazie agli esperimenti di E. Mayo. Mayo svolse la maggior parte del lavoro ad
Harvard presso gli stabilimenti Hawthorne della Western Electric Company dove
dimostrò che la base della soddisfazione nel lavoro è di natura non economica e la
collegò più all‟interesse per la performance del lavoratore che alla ricompensa
finanziaria. A seguito di ciò si dice effetto Hawthorne il fenomeno per cui i lavoratori
chiamati ad impegnarsi in una nuova esperienza interessante lavorano di più. Il dato
più importante emerso da questa sperimentazione, fu la confutazione della teoria
tayloristica dell‟interesse personale. L‟attenzione fu indirizzata sul “ significato del
lavoro”, mettendo da parte il legame tra motivazione e retribuzione e l‟importanza di
quest‟ultima come elemento di soddisfazione.
La scoperta di Mayo dell‟importanza dei gruppi di pari livello sul lavoro, lo portò a
concludere che all‟interno di ogni organizzazione formale esistessero numerose
organizzazioni informali che avrebbero potuto essere incoraggiate a realizzare più
elevata produttività, se fossero state spinte a farlo da sole grazie all‟interesse e alla
stima del loro manager .
A Mayo e al suo gruppo di ricerca si attribuisce la nascita delle Human Relations,
movimento che ha avuto come obiettivo principale lo studio del gruppo, del suo
funzionamento, delle dinamiche presenti al suo interno, del suo rendimento; questo
movimento, attraverso la ricerca scientifica, cominciò a dedicarsi allo studio di come
incanalare motivazioni e impegno degli individui in direzione degli obiettivi
aziendali.
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Pur ritenendo valida l‟organizzazione scientifica del lavoro, Mayo stemperò le rigide
affermazioni di Taylor. Infatti analizzando le motivazioni alla base dell‟esperimento
di Mayo, ci si rende conto che oltre alle tecniche, sono importanti gli aspetti umani e
le relazioni che incentivano al lavoro (motivazioni). Il suo contributo alla teoria del
management è stato importante per una serie di motivi. In primo luogo, mettendo in
luce l‟importanza delle emozioni, delle reazioni del rispetto nei confronti dell‟attività
di gestire gli altri; in secondo luogo egli fu il precursore del concetto della giusta
comunicazione fra management e lavoratori.
Infine egli dimostrò che il management avrebbe potuto rivelarsi vincente solo se i
lavoratori, nei loro gruppi informali, avessero accettato quel tipo di leadership6. Tali
considerazioni sono la base della nascita della scuola delle relazioni umane. Il
modello di uomo economico proposto dal Taylorismo fu screditato dagli esperimenti
Hawrthorne, che avevano dimostrato che i fattori fisiologici, sul lavoro, erano meno
importanti dei fattori psicologici; al concetto di uomo economico si contrappose, così,
quello di uomo psicologico in virtù del quale il lavoratore è legittimato ad avere
sentimenti, emozioni e opinioni che sono parte della sua prestazione lavorativa.
Il nuovo concetto di lavoro subisce le influenze di due scuole psicologiche: da quella
psicoanalitica deriva l‟idea di uomo come possessore di una parte inconscia; dalla
psicologia sociale eredita la concezione di pensiero collettivo, che introduce
definitivamente nella definizione di lavoro la dimensione sociale e del gruppo7.
2.2 La piramide di A. Maslow
Durante gli anni ‟50 emersero le scienze comportamentali che si proponevano di
studiare attraverso metodi scientifici gli aspetti psicologici del comportamento umano
all‟interno dell‟organizzazione. Il focus di questa teoria rimane l‟individuo, la sua
realizzazione, i suoi bisogni, il suo coinvolgimento nelle decisioni.
6 da Management e risorse umane- F. Giacca
7 Management pubblico Simone ed. 2010 p. 81
21
I comportamentisti sostengono che le persone non si differenziano solo per le loro
attitudini ma anche per le loro motivazioni.
Le motivazioni connesse direttamente con i bisogni fisiologici (o primari) sono state
definite Motivazioni primarie (es. fame, sete), mentre le motivazioni che fanno
riferimento a bisogni di natura sociale e psicologica, e che sono mediate dai processi
di apprendimento e di influenzamento sociale sono definite Motivazioni secondarie.
Abraham Maslow, psicologo americano e fondatore della Psicologia Umanistica, si
occupò dei bisogni all‟interno della sua teoria sulla motivazione. La sua teoria dei
bisogni è una “gerarchia di prepotenza relativa dei bisogni”, fondata
sull‟osservazione antropologica della natura comune ed interculturale di alcuni
bisogni umani, considerati fondamentali.
Il contributo più importante e significativo sul tema della motivazione in ambito
psicologico, è dato dall‟opera di Maslow che, nonostante gli anni (la prima stesura è
del 1954), rimane ancora un punto di partenza imprescindibile8.
Secondo Maslow la motivazione è un complesso processo delle forze che attivano,
dirigono e sostengono il comportamento nel corso del tempo: ognuno di noi compie
delle azioni per degli scopi, per raggiungere delle mete, per conseguire degli obiettivi.
Tuttavia non sempre siamo del tutto consapevoli dei motivi che ci spingono ad agire
in un determinato modo piuttosto che in un altro; la motivazione è un qualcosa che
spinge all‟azione, al raggiungimento di un determinato obiettivo.
Maslow è stato il primo autore a descrivere una gerarchia dei bisogni umani.
Egli ritiene che, apparentemente differenti, alcuni modelli comportamentali che
espletano in azioni fra le più diverse, sono in realtà tesi al medesimo fine. Insomma,
secondo Ma slow, gli uomini, universalmente, condividerebbero, non solo un sostrato
biologico, ma anche un comune patrimonio di pulsioni o istinti deboli, orientati al
soddisfacimento dei bisogni fondamentali.
Inoltre, la gerarchia si basa sull‟assunzione che, una volta soddisfatto un bisogno
inferiore, anche solo parzialmente, inizia a presentarsene uno nuovo, con un carattere
8 Ma slow Motivazione e personalità
22
di minor forza e urgenza, ma in grado di riorientare i fini soggettivi e anche i valori
soggettivi al suo soddisfacimento. Da ciò, la conseguenza che la soddisfazione è
momentanea e non permanente. Un bisogno soddisfatto perde centralità e rilevanza
per l‟individuo aprendo la strada all‟insorgenza di nuovi bisogni.
Posto che le teorie motivazionali si suddividono in teorie del contenuto che
sottolineano l‟importanza delle cause che originano il comportamento e spiegano che
cosa sono i bisogni e teorie del processo relative al collegamento fra bisogni e
comportamento organizzativo, il modello della teoria di Maslow appartiene ai mo-
delli orientati al contenuto. Così come si evince dalla figura a pag. 28 in cui vi è
riportata la piramide delle aspirazioni ordinate per importanza e priorità del sod-
disfacimento, si può notare come i desideri dell‟uomo non sono isolati e a sé stanti,
ma tendono a disporsi in una gerarchia di dominanza e di importanza.
In questa scala, al livello della base, ci sono tutti i bisogni fisiologici, essenziali per la
nostra sopravvivenza fisica nell‟ambiente. Prima di soddisfare i bisogni più alti nella
scala, l‟individuo tende a soddisfare quelli più bassi, ovvero quelli più importanti per
la sua sopravvivenza. Per quello che riguarda i bisogni più alti degli individui essi
tendono a variare molto nel tempo. Ogni persona compie un suo percorso di
maturazione e sviluppo motivazionale all‟interno del quale le mete e gli obiettivi di
livello alto possono subire grandi modificazioni. Inoltre un successo tende spesso a
essere dimenticato e, il vecchio obiettivo, tende a essere sostituito da uno più grande
e ambizioso. Mentre i bisogni fondamentali per la sopravvivenza una volta soddisfatti
tendono a non ripresentarsi, almeno per un periodo di tempo, i bisogni sociali e
relazionali tendono a innescare nuove e più ambiziose mete da raggiungere9.
Passo ora a soffermarmi in maniera più ampia sul significato dei vari livelli della
Piramide di Maslow .
a)Bisogni fisiologici: sono i tipici bisogni di sopravvivenza (fame, sete, desiderio
sessuale…), funzionali al mantenimento fisico dell‟individuo. Secondo Maslow ogni
bisogno primario serve da canale e da stimolatore per qualsiasi altro bisogno. In
9 Motivarsi e Motivare di Enrico Negri-psicologo
23
questo senso l‟individuo che sente lo stimolo della fame può ricercare amore,
sicurezza, stabilità affettiva, al di là del più comune bisogno di nutrimento fisico.
Nella scala delle priorità i bisogni fisiologici sono i più intensi e la loro forza ostacola
l‟emergere di altri bisogni: sono i primi a dover essere soddisfatti in quanto alla base
di tali bisogni vi è l‟istinto di autoconservazione. Solo nel momento in cui i bisogni
fisiologici vengono soddisfatti con regolarità, allora ci sarà lo spazio per prendere in
considerazione le altre necessità, quelle di livello più alto.
Nelle nostre moderne civiltà occidentali il problema della sopravvivenza è diventato
oramai un‟acquisizione stabile e duratura, per cui sono i bisogni di più alto livello ad
essere al centro dell‟attenzione. Ovviamente essi non scompariranno definitivamente
ma rimarranno attivi e, se stimolati, ricompariranno.
Applicata nel mondo del lavoro, per soddisfare i bisogni fisiologici l‟azienda
riconosce lo stipendio.
b) I bisogni di sicurezza. I bisogni di appartenenza, stabilità, protezione e
dipendenza, che giocano un ruolo fondamentale soprattutto nel periodo evolutivo,
insorgono nel momento in cui i bisogni primari sono stati soddisfatti. Riflettono il
desiderio di protezione. Anche questi bisogni sono drive fondamentali che danno
forma ad alcuni comportamenti tipici soprattutto di carattere sociale. La stessa
organizzazione sociale che ogni comunità si dà a seconda della propria cultura, è un
modo di rendere stabile e sicuro il percorso di crescita dell‟individuo.
Per soddisfare i bisogni di sicurezza l‟impresa deve soddisfare diversi aspetti di
questa necessità. Esiste il bisogno di sicurezza fisica garantito dalle norme che evitino
gli incidenti sul lavoro; è importante soddisfare il bisogno di sicurezza psicologica
cioè la certezza di poter contare su un lavoro, uno stipendio stabile, continuativo, il
lavoratore necessita anche di sicurezza di equità cioè ha il bisogno di ricevere un
trattamento equo rispetto agli altri. L‟azienda per soddisfare il bisogno di sicurezza,
in tutte le sue sfaccettature, utilizza i contratti, lo stile di direzione. Altro strumento
importante è la presenza di regole, di strutture organizzative chiare e di sistemi di
gestione del personale.
24
3-Bisogni di affiliazione e appartenenza Questa categoria di bisogni è
fondamentalmente di natura sociale e rappresenta l‟aspirazione di ognuno di noi a
essere un elemento della comunità sociale apprezzato e benvoluto. Più in generale il
bisogno d‟affetto riguarda l‟aspirazione ad avere amici, ad avere una vita affettiva e
relazionale soddisfacente, ad avere dei colleghi dai quali essere accettato e con i quali
avere scambi e confronti. Per soddisfare il bisogno di socialità, l‟azienda deve essere
attenta al layout ( il contesto fisico) e può proporre attività extra-lavorative e corsi di
formazione che permettano ai lavoratori di socializzare tra loro per incentivare la
cooperazione e il lavoro di squadra e di gruppo.
4-I bisogni di stima
Anche questa categoria di aspirazioni è essenzialmente rivolta alla sfera sociale ed ha
come obiettivo quello di essere percepito dalla comunità sociale come un membro
valido, affidabile e degno di considerazione. Spesso le autovalutazioni o la perce-
zione delle valutazioni possono differire grandemente rispetto al loro reale valore.
Molte persone possono sentirsi molto valide al di là dei loro meriti e riconoscimenti
reali, mentre altre persone possono soffrire di forti sentimenti di inferiorità e disistima
anche se l‟ambiente sociale ha un atteggiamento globalmente positivo nei loro
confronti, è necessaria, quindi anche l‟autostima, l‟immagine che ciascuno ha di se
stesso rispetto al contesto.
Infatti, secondo Maslow, il bisogno di autorealizzazione non dipende da altre persone
o dalla struttura dell‟ambiente fisico, ma dalle proprie risorse latenti. Per soddisfare il
bisogno di sentirsi stimati dagli altri (capo e colleghi) e il bisogno di accrescere la
propria autostima, l‟azienda può proporre bonus e premi per riconoscere il buon
lavoro di alcuni dipendenti. Oltre al riconoscimento, l‟azienda può soddisfare il
bisogno di stima del lavoratore assicurandogli possibilità di carriera. Il “contenuto
25
della mansione” è la leva più importante che l‟azienda può offrire per crescere
l‟autostima.
5. Bisogno di autorealizzazione
Si tratta di un‟aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere, di diventare ciò
che si vuole diventare, a sfruttare a pieno le nostre facoltà mentali, intellettive e
fisiche in modo da percepire che le proprie aspirazioni sono congruenti con le proprie
azioni. Non tutte le persone nella nostra società riescono a soddisfare tutte e a pieno
le loro potenzialità; infatti l‟insoddisfazione sia sul lavoro che nei rapporti sociali e di
coppia è un fenomeno molto diffuso. L‟autorealizzazione richiede caratteristiche di
personalità,oltre che competenze sociali e capacità tecniche, molto particolari e
raffinate.
Secondo Maslow le caratteristiche di personalità che deve avere una persona per
raggiungere questo importante obiettivo sono: realismo, accettazione di sé,
spontaneità, inclinazione a concentrarsi sui problemi piuttosto che su di sé, autonomia
e indipendenza, apprezzamento delle cose e delle persone, senso dell‟ironia,
creatività, originalità. L‟autorealizzazione si raggiunge quando fai ciò che puoi fare,
in base alle tue potenzialità. Essa rappresenta l‟utilizzazione del potenziale creativo
dell‟individuo per l‟autoappagamento mediante un lavoro che dia una motivazione
intrinseca al di là della remunerazione.
Tale bisogno interviene nelle scelte significative di studio e lavoro ed è soddisfatto
quando l‟individuo percepisce di aver raggiunto le mete che si era posto in relazione
all‟immagine che aveva di sé.
Nello schema di pag. 28 sono sintetizzati: il livello dei bisogni, le ricompense
generali ed i fattori organizzativi in cui i vari gradini della scala di Maslow si
rispecchiano.
26
Molte sono le critiche apportate alla teoria del bisogni di Maslow.
In primo luogo egli parte dal presupposto che tali bisogni siano universalmente
condivisi a prescindere da differenze di ordine culturale, e che non esistono
differenze neanche rispetto all‟arco di vita dell‟individuo; Maslow presenta una so-
cietà omogenea e relativamente poco complessa., Vi è inoltre una totale assenza di
una visione interazionista per cui i bisogni nascono e vengono soddisfatti senza che in
tale processo sia coinvolto l‟ambiente e l‟influenza esterna10
.
Nella scala di Maslow vi è una sovrapposizione di bisogni attivi: si nota cioè la
contemporanea presenza di più bisogni la cui composizione tende verso l‟incre-
mento di bisogni superiori man mano che vengono soddisfatti quelli di ordine
inferiore.
A seguito della critica alla mancanza di flessibilità nella teoria relativa alla gerarchia
dei bisogni, lo stesso Maslow la sottopose a revisione formulandone una nuova
versione in cui, mentre restano validi i principi di base, appare una nuova tipologia di
bisogni umani costituita da due classi; i bisogni da deficit ed i bisogni di auto-
realizzazione.
Sulla base di numerose ricerche sul campo, venne formulata successivamente alla
revisione della teoria gerarchica dei bisogni, la teoria definita della motivazione-
mantenimento formulata da F. Herzberg.
10
Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane-Davide Barbaglio
29
2.3 Teoria di F.Herzberg
Sempre negli anni ‟50, F. Herzberg compie una grande ricerca intervistando dei
lavoratori e chiedendo loro cosa li facesse sentire soddisfatti nel lavoro e cosa invece
li facesse sentire insoddisfatti.
Una prima indagine permise la somministrazione di un questionario a duecento
lavoratori tecnici ed amministrativi contenente domande di sollecitazione ai
lavoratori perchè ricordassero situazioni ed esperienze recenti che avevano procurato
loro sensazioni di soddisfazione o insoddisfazione. Inoltre Herzberg chiedeva di
esporre situazioni ed esperienze recenti che avevano loro apportato sensazioni di
soddisfazione o insoddisfazione con la descrizione del contesto e dei fattori che
avevano influito sulle sensazioni provate.
La produttività di un‟azienda non dipende soltanto dal comportamento dei capi ma
anche dalla compartecipazione dei lavoratori11
.
Analizzando le risposte, Herzberg scoprì che quando il lavoratore si sentiva
insoddisfatto generalmente attribuiva ciò all‟ambiente lavorativo, mentre quando si
sentiva soddisfatto attribuiva il merito al lavoro stesso12
.
Le ricerche di Herzberg muovono quindi dalla correlazione tra soddisfacimento e
compito distinguendo due categorie di bisogni (totalmente indipendenti uno dal-
l‟altro): i FATTORI IGIENICI o di mantenimento e i FATTORI MOTIVANTI.
Qui di seguito sono elencati i fattori d‟insoddisfazione ed i fattori di appagamento.
11
L. Ferrucci I paradigmi teorici dell‟organizzazione p. 37 12
La motivazione al lavoro: la replica italiana della ricerca di Herzberg-Belsito-Borra-Nicastro
30
Fattori d’insoddisfazione Fattori d’appagamento
(fattori igienici) (fattori motivanti)
-l‟ambiente di lavoro -il contenuto motivante intrinseco del
compito
-le politiche e le procedure -l‟avanzamento di carriera
dell‟azienda
-la competenza e lo stile di -la responsabilità
gestione dei superiori
-la retribuzione -il riconoscimento ottenuto
-le relazioni interpersonali -il raggiungimento dei risultati
-le condizioni fisiche del lavoro
I fattori igienici rappresentano una condizione necessaria ma non sufficiente per
ottenere una adeguata attivazione motivazionale.
Inoltre la carenza di tali fattori impedisce all‟individuo di sviluppare una situazione
psicologica aperta alla ricerca della soddisfazione dei bisogni superiori.
Si può dire che i fattori igienici sono da considerarsi motivatori estrinseci. Essi
includono le politiche dell‟azienda, la retribuzione, ecc. e dunque tutto il contesto
organizzativo13
.
I fattori motivanti sono invece direttamente correlati alla natura intrinseca del lavoro,
alla responsabilità, al riconoscimento professionale, dunque ai contenuti del lavoro..
Negli anni sessanta la teoria di Herzberg si è prestata a numerose applicazioni nel
mondo imprenditoriale. Ha stimolato la necessità di rivedere l‟organizzazione
classica del lavoro facendola evolvere verso nuove forme di allargamento e di
arricchimento delle mansioni.
13
Cultura d‟Impresa:la motivazione al lavoro-1
31
Nel contesto odierno, il comportamento /rapporto del capo ed in parte la retribuzione
si sono spostati nei fattori motivazionali. La parte fissa della retribuzione rimane nei
fattori igienici, la parte variabile, bonus, premi è fonte dei bisogni motivazionali.
2.4 DAVID McClelland
Sulla linea di Maslow si pone la teoria di McClelland, il quale individua tre
costellazioni di motivazioni secondarie o psicologiche in ciascun individuo : la
motivazione al potere che riguarda l‟esigenza, più sentita in alcuni e meno in altri, di
controllare o perlomeno esercitare la propria influenza all‟esterno ; la motivazione
all‟affiliazione che riguarda le relazioni sociali; la motivazione al successo legata alla
necessità che ogni lavoro sia svolto adeguatamente e con efficacia .
Soffermiamoci in modo più analitico sulle tre motivazioni anzidette.
La motivazione al potere si presenta come una spinta ad influenzare le persone e a
modificare le situazioni secondo le proprie intenzioni. In ambito lavorativo, gli
individui in cui prevale questo bisogno desiderano esercitare un forte impatto sulle
persone, sulle decisioni e sulle procedure, e pur di riuscirvi utilizzano qualsiasi
condizione di superiorità cui sia possibile fare appello. L‟obiettivo più importante è
quello di esercitare influenza e controllo sugli altri. Una prevalenza di questo bisogno
può indurre anche un atteggiamento di contro dipendenza, che si esprime con
comportamenti di aggressione, manipolazione e autoritarismo.
La motivazione all‟affiliazione induce comportamenti volti alla creazione di
relazioni sociali per evitare l‟isolamento e orientare le persone a instaurare legami di
amicizia e confidenziali anche sul lavoro. La positività delle relazioni sociali
determina la creazione di un ambiente di lavoro cooperativo e sereno.
32
La motivazione al successo può essere definita come una spinta a raggiungere le mete
desiderate, realizzare pienamente le proprie capacità e migliorare continuamente le
proprie prestazioni. In termini organizzativi si esprime come il bisogno di dimostrare
competenza ed eccellenza professionale, che spinge l‟individuo a lavorare con
maggiore impegno quando si aspetta di ottenere dei riconoscimenti professionali
legati all‟impegno profuso. Questi soggetti sono chiamati achiever e sono costituiti da
coloro che lottano per raggiungere un certo predominio, ambiziosi, decisi, talvolta
aggressivi, con una buona propensione al rischio e ad agire.
La teoria dei bisogni di base elaborata da McClelland ha posto una pietra miliare per
lo studio delle determinanti cognitive della motivazione.; in particolare con
l‟elaborazione del concetto di autorealizzazione McClelland ha analizzato le
implicazioni dell‟approccio psicoanalitico sull‟organizzazione aziendale.
Leggendo una qualsiasi organizzazione secondo una interpretazione di questo tipo, si
possono quindi ritrovare queste due figure: c‟è sempre il personaggio che cerca il
successo e che di conseguenza non scende a compromessi, che predilige l‟operatività
anche correndo dei rischi, e c‟è sempre la persona il cui obiettivo è quello di farsi
accettare da tutti e che limita le occasioni di conflitto con i propri colleghi. Non è
difficile intravedere, dietro la tesi dell‟autorealizzazione attraverso la soddisfazione
del need for achievement, uno dei capisaldi della ideologia diffusa, negli anni 50,
presso la classe media americana ed in cui l‟elevato sviluppo industriale di quello
stato favoriva l‟affermazione degli achiever, degli individui alla ricerca di una
realizzazione da conseguire attraverso il lavoro.
2.5 La teoria dell’aspettativa di Vroom
Victor Vroom propose questa teoria intorno agli anni „60; egli nella sua Teoria delle
aspettative, utilizza, per spiegare e far funzionare il suo modello, tre concetti:
33
● la sequenza comportamentale (valenza), cioè il comportamento che tende verso un
certo obiettivo;
● la ricompensa, ossia l‟ammontare dei benefici che si ottengono raggiungendo un
certo obiettivo ;
● la motivazione, intesa come l‟insieme di energie mobilitate per la messa in atto
dell‟azione.
La prima, la valenza, cioè una valutazione soggettiva della soddisfazione o
insoddisfazione, che un determinato risultato può generare; essa si riferisce alle
preferenze personali rispetto ad una ricompensa. Se un obiettivo ha una valenza
bassa, anche la spinta motivazionale sarà minima.
C‟è da sottolineare che la valenza può assumere sia valore positivo che valore
negativo, in quanto le persone possono avere preferenze differenti riguardo ad una
certa ricompensa. Per spiegare meglio questo concetto si può dire che quando
qualcuno non vuole ottenere un determinato risultato la valenza associata alla
ricompensa è negativa mentre se si rimane indifferenti essa ha valore pari a zero. Il
compito dei leader, per soddisfare le esigenze individuali è quello di riuscire ad avere
informazioni specifiche sulle preferenze e sui bisogni dei singoli monitorando anche
i cambiamenti e le evoluzioni.
Successivamente, bisogna considerare le aspettative, che possono essere viste come
le probabilità di raggiungimento di un certo obiettivo in base alla propria prestazione
attesa14
. Le aspettative di un individuo convinto che il suo sforzo determinerà un
conseguimento dell‟obiettivo saranno molto elevate. Una variabile che interviene
nella relazione sforzo-aspettative è, sicuramente, l‟autoattribuzione di efficacia, ossia
la credenza di disporre delle abilità necessarie e sufficienti per affrontare una
situazione nuova con successo. Le persone che hanno uno spiccato senso di auto-
14
Paolo Musso I pensieri in movimento nel mondo del lavoro-Palombi editore
34
efficacia sono più portate a credere che, grazie al loro impegno, verranno intraprese
azioni destinate al successo. Questo concetto può anche essere inteso come la
credenza che, una volta portata a termine la prestazione, sarà assegnata una
ricompensa; il lavoratore tenderà ad assegnare un alto coefficiente a questa variabile
se sarà convinto che i premi verranno assegnati in modo oggettivo e comprensibile,
altrimenti, il valore assegnato sarà prossimo allo zero. Dopo aver fatto queste
considerazioni, è possibile ottenere il livello di attivazione motivazionale che
l‟individuo metterà nei propri comportamenti secondo questa formula:
Motivazione = Valenza x Aspettative x Strumentalità
Questo modello stimola i leader a disegnare quello che Vroom definisce clima
motivazionale, capace di spingere verso comportamenti lavorativi appropriati. Inoltre
essi devono essere in continuo contatto con i propri collaboratori, in modo tale da
controllare la soddisfazione ed i cambiamenti nei bisogni percepiti.
35
PARTE SECONDA
3. Leadership : evoluzione del concetto nel tempo.
3.1 Dalla motivazione alla leadership
Nella prima parte ho trattato ampiamente le teorie motivazionali che, se pur risalenti
agli anni 50-70 del secolo scorso, restano tutt‟oggi attuali e molto utili per la gestione
delle risorse umane di un‟organizzazione. Nella transizione da organizzazioni
fortemente gerarchiche ad assetti maggiormente orizzontali assume un grande valore
il concetto della motivazione. Dovendomi accingere a sviluppare il tema della
leadership, è chiaro come la motivazione sia un elemento chiave e cruciale, nella
misura in cui è specifico compito del leader quello di motivare i follower,
stimolandoli a raggiungere gli obiettivi organizzativi attesi.
In realtà i teorici delle teorie motivazionali hanno cercato, ognuno da punti di vista
diversi,di sviluppare teorie coinvolgenti le motivazioni dei lavoratori e tendenti tutte
ad un unico scopo: l‟ efficienza e lo sviluppo delle organizzazioni.
Inoltre mi sono soffermata sui concetti di cultura ed ambiente lavorativo poiché
questi temi sono molto attuali a partire degli anni 90 e fino ad arrivare ai giorni nostri
in quanto legati al concetto di “cambiamento”; ossia, nell‟era della globalizzazione
dell‟economia, in mercati sempre più complessi ed in continuo mutamento, le aziende
promuovono nuovi modelli di organizzazione, ma anche di comportamento e di
pensiero.
L‟azienda globale deve saper dare risposte soddisfacenti alle aspettative degli
azionisti, dei clienti e delle persone: ciò è necessario per il successo di oggi e per
quello futuro. L‟alta direzione delle aziende di successo ha capito che la
36
soddisfazione congiunta dei collaboratori ma anche partner è la sola via praticabile
per la sopravvivenza ed il successo15
.
Notiamo che esiste una stretta interdipendenza tra l‟azienda con i suoi obiettivi
tecnici, economici, finanziari e i collaboratori con i loro bisogni e aspettative e, se è
vero che le persone hanno bisogno dell‟azienda per soddisfare i propri bisogni occu-
pazionali, salariali e psico-sociali, è altrettanto vero che l‟azienda per raggiungere i
propri obiettivi ha bisogno di persone competenti, affidabili e motivate al lavoro.
Qui entra il ruolo della leadership che rappresenta il processo volto ad influenzare le
attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di
obiettivi in una determinata situazione.
Mai come in questo tempo di forti turbolenze, dove la collettività è guidata spesso da
vane chimere, la richiesta di leader e di leadership è alta in ogni tipo di
organizzazione e mai sarà in esaurimento.
3.2 Definizione di leadership
La complessità del fenomeno Leadership si evidenzia principalmente dai numerosi
approcci di studio che si sono avvicendati nell‟analisi e dalla difficoltà nel
determinare una definizione univoca che sia largamente condivisa dai ricercatori.
Nel linguaggio manageriale spesso si utilizza il termine leader e manager riferendosi
allo stesso concetto e allo stesso soggetto, ma non sempre ciò risulta essere scontato,
poiché il manager esercita un potere formale, di gestione dello status quo, mentre il
leader agisce attraverso un potere di influenza correlato alle qualità e all‟interazione
con il gruppo in funzione dell‟effettiva implementazione del mutamento16
. La parola
leader deriva dal verbo inglese to lead, che significa guidare, condurre, dirigere; come
ha affermato P. Drucker: “leader è qualcuno che ha follower”.
15
G. Costa- S. De Martino-Management Pubblico- Etas 16
Persone,organizzazioni,lavori di A.Cocozza ed. Franco angeli p. 36
37
In altri termini leader è colui che conduce un collaboratore o un gruppo di
collaboratori al raggiungimento di un fine17
, è colui che ha ben chiaro quali sono gli
obiettivi verso cui tendere e sa motivare il gruppo affinchè vengano raggiunti.. Da ciò
si deduce che la natura della Leadership è propriamente relazionale, e la sua qualità di
fondo è nel mobilitare tutti coloro che sono coinvolti in questa relazione. Dalla fine
degli anni „50 del secolo scorso la leadership inizia ad essere concepita in un
modello applicato al mondo del lavoro al cui leader si chiedeva uno slancio
creativo,di creare quell‟intuizione che può fare la differenza nell‟indirizzare le
persone, nel forgiare il materiale umano attraverso la trasmissione di valori.
Da questa primordiale immagine di leadership, la comunicazione già assume
un‟importanza centrale : se il leader deve essere educatore, allora la sua capacità di
trasferire le conoscenze e le sue convinzioni sarà fondamentale per l‟efficacia della
sua azione.
3.3 Principali stili di leadership: LEWIN
Con le teorie sugli stili di Leadership, che temporalmente si collocano tre il 1950 ed il
1967, la leadership viene considerata come un processo individuato attraverso
l‟interazione tra leader e gruppo di riferimento. L‟interesse è centrato su come il
leader si comporta nel gruppo.
Precursori di questo approccio furono Lewin, Lippit e White che individuarono tre
principali teorie di comportamento del leader. Questi autori ipotizzarono che la
funzione del leader fosse di creare un determinato “clima sociale” nel gruppo e che
tale clima influisse sullo stato d‟animo dei membri del gruppo e sulla sua efficienza.
Per verificare tali ipotesi si servirono di giovani studenti che operavano come
volontari in attività di doposcuola. Lewin, psicologo della Gestalt, è considerato il
fondatore della psicologia sociale moderna. Con il termine da lui coniato
“psicodinamica di gruppo” Lewin ha messo in pratica un nuovo metodo d‟indagine in
17
Dilts Leadership e visione creativa- Guerrini ass. 2000
38
cui l‟attenzione è rivolta al gruppo dove ogni individuo interagisce con il gruppo, lo
influenza e contemporaneamente ne è influenzato. Fu Lewin, con la partecipazione di
White e Lippit, a studiare i diversi tipi di leadership: quella autoritaria, democratica e
lassista. Lo studio si basava sull‟osservazione di gruppi terapeutici.
Lo stile autoritario: il leader assume un comportamento freddo e distaccato
determinando livelli di soddisfazione bassi ed elevata conflittualità, dirige con gran
fermezza: manca completamente la comunicazione intra-gruppo.
Lo stile democratico: nel gruppo democratico l‟ambiente viene determinato dal
gruppo stesso in quanto tutti i componenti si sentono coinvolti nella gestione del
gruppo; il leader crea un clima in cui ciascuno ha la possibilità di intervenire,
favorisce la partecipazione dei membri stimolandone il contributo.
Lo stile lassista:: il leader riduce al minimo la sua partecipazione, è disinteressato e
non è attento ai bisogni del gruppo. La comunicazione risulta minimale e spesso è
diretta più verso gli aspetti informali.
3.4 R. Likert
R. Likert (1961) approfondì la classificazione di Lewin individuando come variabili
determinanti un sistema manageriale la confidenza e la fiducia dei leader nei loro
subalterni, il tipo di motivazione utilizzata,la comunicazione, il processo decisionale.
Secondo queste variabili Likert individua 4 sistemi manageriali.
L‟obiettivo principale di Likert durante la sua direzione dell‟Institute for Social
Research (1949-1969) fu di identificare i diversi stili di leadership e il loro rapporto
con le prestazioni d‟azienda. Il suo metodo di ricerca si basa su questionari
dettagliati, realizzati presso gli impiegati di diverse società americane, relativi
39
all‟opinione che essi hanno dei loro superiori e al modo in cui li percepiscono.
Analizzando le risposte fornite Likert traccia il profilo psicologico delle
organizzazioni, distinguendo 4 sistemi di leadership:
Stile autoritario in cui il top management prende da solo tutte le decisioni e ricorre
alla coercizione per il rispetto; la comunicazione parte dal vertice; superiori e
subordinati sono psicologicamente molto lontani.
Stile paternalistico: è un approccio padrone-servitore in cui il management ripone
una fiducia compiacente nei confronti dei sottoposti; le decisioni politiche vengono
prese al vertice della gerarchia e solo alcune decisioni minori vengono delegate ai
livelli inferiori.
Stile consultivo: la direzione si sforza di comunicare con i suoi impiegati; le
decisioni a cui i subordinati possono partecipare sono determinanti, ma non
fondamentali.
Stile democratico: la direzione fa partecipare i dipendenti a gruppi di lavoro in grado
di prendere decisioni; fissa gli obiettivi da raggiungere e lavora a stretto contatto con
i dipendenti per stimolarli nel loro lavoro.
I primi due sistemi descritti, l‟autoritario e il paternalistico sono una scomposizione
dello stile autoritario delineato da Lewin. Lo stile consultivo di Lewin si scompone
per Likert nello stile consultivo e democratico dove è il gruppo a decidere e il leader
ne è il portavoce.
Il principio di base sul quale si fondano le teorie di Likert, supportato anche da Mc
Gregor, è che, per essere efficaci, le organizzazioni moderne devono concepirsi come
formate da in insieme coerente di gruppi interattivi composti da individui che si
sostengono gli uni gli altri. L‟obiettivo di costruire un‟organizzazione i cui traguardi
interessino tutte le singole persone, sarebbe l‟ideale.
40
Per realizzarlo occorre che la direzione ridimensioni la propria autorità, cercando
sempre di adattarsi agli individui che comanda18
.
Likert tuttavia ha ricevuto alcune critiche da alcuni teorici del management
contemporaneo per aver affermato che la comunicazione di gruppo è l‟unico modo di
prendere buone decisioni e, di conseguenza, di aver abbandonato o trascurato la
ricerca di tecniche più appropriate di soluzione di problemi o di presa di decisioni.
Per Likert il maggior rendimento dipende sempre e unicamente dalla soddisfazione
dei dipendenti e dal loro atteggiamento favorevole all‟azienda.
3.5 Blake e Mouton: la Managerial Grid
Oltre allo studio di Likert, altri ricercatori si sono posti l‟obiettivo di identificare le
caratteristiche degli stili di leadership, contrapponendo stile autoritario e stile
democratico, in cui quest‟ultimo viene indicato come più efficace. Da queste ricerche
si distingue la griglia manageriale (Managerial GRid) di Blake e Mouton in cui si
tende a misurare predisposizioni ed atteggiamenti osservato in un campione ampio di
manager.
Questo modello si presenta come una griglia in cui si pone sull‟asse delle ascisse
l‟interesse per la produzione e sull‟asse delle ordinate l‟interesse per il personale,
entrambi misurati con una scala che va da 1 a 9.
All‟interno dello spazio cartesiano si creano, di conseguenza, 81 punti di intersezione
che rappresentano gli stili di leadership possibili. Tra questi gli autori ne evidenziano
cinque:
18
Cocuzza A. Direzione risorse umane-Politiche e strumenti per l‟organizzazione e la gestione delle
relazioni di lavoro-Franco Angeli-
41
1) lo stile lassista descrive il comportamento del leader disinteressato sia al
raggiungimento dell‟obiettivo che ai bisogni del gruppo: il manager che nessuna
azienda vorrebbe avere.
2) lo stile amicale o partecipativo: in cui vi è massimo orientamento alle relazioni e
scarso interesse per la produzione. Il manager in questo caso risulta poco realista.
3) lo stile autoritario: caratterizzato da un massimo orientamento al compito e
minimo verso le relazioni, il manager in questo caso è uno schiavista, convinto
42
che non ci si può preoccupare di raggiungere delle adeguate performance tenendo
conto, al tempo stesso dei bisogni degli individui.
4) lo stile a metà strada: il leader in questo caso è mediamente interessato sia al
compito che al gruppo; è un capo che cerca un compromesso.
5) lo stile di team in cui l‟orientamento è massimo sia verso il compito sia verso le
relazioni. Si tratta in questo caso del manager ideale che tutte le aziende
vorrebbero.
I leader possono sviluppare un atteggiamento paternalista,con un alto livello di
orientamento verso i collaboratori e un basso livello verso i risultati (Country Club),
dove l‟attenzione del manager è indirizzata più sulle esigenze delle persone e sul
creare rapporti soddisfacenti e clima positivo.
3.6 Le teorie della contingenza:Fielder
Così come sancito dal movimento Human Relations, gli studi finora condotti sulla
leadership danno la massima importanza ai bisogni sociali e rendono la valutazione
della produttività di un gruppo assai complessa e legata alla situazione, I modelli
della contingenza tentano di superare tali limiti mettendo in relazione leadership e
situazione, nel tentativo di considerare il “ buon leader” come il risultato di diversi
fattori tra loro quali le circostanze culturali, economiche e sociali in un determinato
momento storico.
Il primo autore ad aprire la strada alla relazione comportamento-situazione è stato
Fielder nel 1967 che, sostenendo che l‟efficienza di un gruppo è “contingente”,
realizza un modello che mette in relazione lo stile di leadership con la situazione in
cui il gruppo si trova, definita tramite tre parametri: il clima del gruppo, la struttura
del compito e la posizione di potere del leader.
43
Un compito viene definito strutturato quando l‟obiettivo è chiaro, raggiungibile:
viene invece definito destrutturato il compito in cui l‟obiettivo è soltanto delineato,
quindi risulta poco chiaro.
Il potere del Leader è misurato attraverso una check list in cui il leader contrassegna
le azioni formali (promuovere, premiare,ammonire ecc): le relazioni tra leader e
subordinati possono risultare buone o scarse e il potere del leader come forte o
debole.
Fielder individua otto situazioni tipo a seconda del grado di favorevolezza per
indicare il livello di accordo del leader verso la situazione. Per misurare lo stile di
Leadership, Fielder utilizza l‟LPC, un questionario completato dal leader in cui egli
indica le caratteristiche possedute dal suo collaboratore meno preferito.
Un punteggio alto verrà ottenuto dal leader che distingue potenzialità e meriti anche
in colui con cui non preferisce lavorare, denotando uno stile di leadership orientato
verso le relazioni. Viceversa, il leader che non trova alcuna caratteristica positiva nel
collaboratore meno preferito, otterrà un basso punteggio, indicatore di uno stile di
leadership orientato al compito.
Il leader centrato sul compito è efficace quando la situazione è agli estremi. Il leader
centrato sulla relazione è maggiormente efficace in situazioni di controllo moderate
perché può ottenere maggior sostegno dal gruppo e con una gestione più aperta può
favorire la ricerca di soluzioni creative ai problemi.
Il modello di Fielder è stato solo in parte confermato dalla ricerca sperimentale e il
costrutto LPC è stato soggetto a diverse critiche e non ha mostrato una validità
statistica significativa. Nonostante tali critiche, il vantaggio e l‟importanza di tale
approccio sta nell‟avere considerato per la prima volta la dinamicità della leadership
e l‟importanza della relazione leader-contesto, riuscendo in parte a superare le
critiche fin qui mosse dagli altri approcci.
44
3.7 Leadership carismatica, transazionale e trasformazionale
Ci si è soffermati, fino ad ora, ad osservare il leader dal punto di vista delle sue
abilità, di colui che si limita ad allineare gli obiettivi degli individui con gli obiettivi
organizzativi.
Le teorie sulla Nuova Leadership spostano l‟attenzione sui collaboratori descrivendo
il leader come quell‟individuo che riesce a cambiare i valori, gli obiettivi , i bisogni
dei collaboratori cercando di creare e mantenere un‟immagine positiva nelle menti
dei suoi collaboratori.
House è uno dei principali teorici di questo tipo di leadership; per House i leader
carismatici hanno le seguenti qualità:
- propongono modelli di ruolo forti, attuando comportamenti chiari e
riconducibili ai ruoli proposti al fine di far aderire i follower a particolari
credenze e valori associati a tali modelli ;
- mostrano livelli di competenza elevati;
- suscitano un elevato grado di aspettative nei follower e hanno fiducia nelle
proprie capacità di mantenerle;
- sono in grado di attivare le motivazioni rilevanti per il compito che possono
essere legate anche alla soddisfazione dei bisogni di affiliazione e
appartenenza, di autostima e di potere19
.
Gli effetti della leadership carismatica sui seguaci sono senza dubbio potenti. Si può
notare come la leadership carismatica sia fortemente basata sui sistemi di valori e
sulla ideologia; inoltre le forti aspettative suscitate e la profonda fiducia da parte dei
seguaci verso le capacità del leader di realizzarle, le motivazioni legate a bisogni
19
da ACP-rivistandiStudi Rogersiani-2001 pagg.19.20)
45
profondi portano facilmente i seguaci ad una accettazione incondizionata della
leadership e a un coinvolgimento emotivo che può arrivare alla devozione totale.
L‟approccio trasformazionale è relativamente recente e inizia col lavoro del
sociologo politico Burns che distingue la leadership transazionale dalla leadership
trasformazionale pur riferendosi entrambe ai rapporti tra leader e sottoposti. La prima
è centrata sugli scambi, le transazioni o negoziazioni fra loro, per cui il leader
acquista un vantaggio concedendo qualcosa ai seguaci; ad esempio il manager che da
promozioni ed incentivi di carriera agli impiegati che raggiungono obiettivi elevati.
La seconda si riferisce ad un processo diverso per cui il leader si preoccupa dei
membri del gruppo, delle loro aspirazioni, dove ogni persona esprime le proprie
potenzialità.
Nella relazione il leader arriva a trasformare i propri sottoposti coinvolgendoli nella
autorealizzazione che viene a coincidere con il raggiungimento degli obiettivi del
gruppo. Il leader trasformazionale valuta le motivazioni dei suoi sottoposti, cerca di
aiutarli nel raggiungere pienamente le loro potenzialità e cosi facendo trasforma
anche se stesso ed è investito al pari dei suoi seguaci del cambiamento..
Un es. di tale leadership si trova nel manager che tenti di cambiare il sistema di
valori di un‟azienda portandolo verso una maggiore considerazione dell‟uomo come
risorsa.
Bass (1990) ipotizza che la leadership trasformazionale possa tradursi in un aumento
della prestazione in ogni situazione, ma in particolare in momenti di crisi e di
cambiamento.
La leadership carismatica e quella trasformazionale hanno in comune l‟accento posto
sul leader come agente di cambiamento: il carisma è necessario per un leader
trasformazionale, ma non basta per avviare processi di modificazione culturale, che si
giocano attraverso una relazione.
46
3.8 Conclusioni
Nella rassegna che abbiamo presentato è possibile vedere un percorso di sviluppo dei
modelli di leadership che parte dal leader per arrivare ai subordinati, seguaci,
sottoposti, follower che dir si voglia. Le prime teorie hanno tentato di identificare
quali fossero i tratti di personalità distintivi del leader.
Successivamente,con le teorie transazionali, i riflettori sono sempre puntati sul leader,
ma diviene importante anche la relazione con i subordinati e le aspettative che questi
ultimi hanno nei confronti del leader stesso..L‟efficacia e la bontà della scelta del
leader si giudica sulla base della rappresentazione che il gruppo condivide della
leadership. E‟ proprio l‟importanza che la leadership pone nel gruppo che fa vedere il
leader come facilitatore dei processi del gruppo e proprio per questo come parte di
esso.
A questo punto, passando sulla scena pratica, ci si potrebbe chiedere quale sia il
modello migliore,come lo si può utilizzare; rispondere a questi interrogativi non è
semplice; l‟unica risposta che si può dare è che non esiste in realtà un modello
superiore agli altri, una teoria migliore delle altre. Tutte le teorie in quanto tali e in
quanto scientificamente fondate devono limitare il campo d‟azione, definire le
variabili da tenere in considerazione, per cui un approccio si integra e completa con
un altro.
Nel gestire la leadership, nel tentare di comunicarla in ambito formativo,
nell‟analizzare il processo, sarà di volta in volta necessario considerare le
caratteristiche di personalità del leader, le capacità e le competenze individuali o gli
atteggiamenti, le condizioni ambientali in cui opera un‟organizzazione, le
caratteristiche dei membri del gruppo e la relazione, fino ai sistemi di valori sostenuti
e vissuti dal gruppo e dal leader, così importanti per la leadership carismatica e
trasformazionale.
Mi accingerò ora ad analizzare il tema della leadership nella Pubblica
Amministrazione facendo una carrellata delle trasformazioni avvenute nel tempo e
47
soprattutto negli ultimi anni in questo settore importante della vita pubblica del nostro
paese; analizzerò poi, per finire questo mio lavoro, la realtà di un piccolo Ufficio
pubblico, periferico in cui la sottoscritta opera da oltre 20 anni.
48
4. DIRIGENZA E P.A.
4.1 Evoluzione della dirigenza nella P.A.
Nell‟attuale società la Pubblica Amministrazione riveste un ruolo complesso.
Negli anni „90 il legislatore nazionale ha raccolto la spinta proveniente dalla società
rivolta alla riforma del sistema pubblico in quanto obsoleto e non funzionale alle
esigenze di una nazione moderna.
A partire dal suo formale ingresso nell‟assetto ordinamentale degli enti pubblici, la
dirigenza si trova al centro di continue attenzioni da parte del legislatore. Ciò in
ragione della duplice consapevolezza: a) della delicatezza del ruolo, rivestito da
coloro che sono preposti alla guida della macchina amministrativa e al solerte
funzionamento dell‟apparato umano e materiale con il quale, quotidianamente, si
relazionano i cittadini-utenti, alla ricerca di servizi o assistenza per meglio districarsi
nella sempre più fitta “giungla” normativa; b) della centralità della posizione
ricoperta dai dirigenti nel processo attuativo della c.d. “contrattualizzazione” del
lavoro pubblico in atto dal 1990.20
Proprio l‟insoddisfazione dei cittadini e delle imprese verso la P.A. ha stimolato
l‟innovazione gestionale nelle amministrazioni.
Ci si rese conto che, anche sulla scia del filone di studi dedicato al New Public
Management, per migliorare i livelli di efficacia e di efficienza dell‟azione
amministrativa, bisognava attingere a metodologie e tecniche gestionali proprie delle
aziende, era necessario mirare al superamento dell‟organizzazione burocratica ed
all‟adozione di nuovi modelli e logiche che appartenevano al bagaglio del dirigente
privato. La svolta legislativa avviene con il D.L.vo 29/1993 che ha inteso individuare
i compiti di direzione politica per separarli da quelli di direzione amministrativa; alla
dirigenza è affidata la piena responsabilità per il funzionamento delle strutture ed il
compimento degli obiettivi, si tratta di introdurre e praticare principi di gestione
20
La dirigenza Pubblica di A. Baldassarre p. 1005
49
economico-aziendale, metodologie comparative di costi e rendimenti, il controllo di
gestione; mentre agli organi politici vengono riservati poteri di indirizzo,
programmazione e di verifica dei risultati sull‟attività; viene in tal modo attuato il
definitivo superamento del modello gerarchico, per gli amministratori si tratta di
passare dalla cultura dell‟atto, del provvedimento, alla cultura dell‟azione, della
definizione di piani e programmi da realizzare. Ciò comporta per il dirigente, in
definitiva, la possibilità di adottare tutti gli atti che impegnano l‟amministrazione
verso l‟esterno. Un punto fondamentale della riforma del ‟93 , è che la dirigenza
generale dello Stato è stata esclusa dalla c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro, al
fine di garantire la sua posizione di autonomia nei confronti del corpo politico.
La riforma della dirigenza statale si inserisce in uno scenario di grandi
trasformazioni strutturali per le pubbliche amministrazioni, che incontrano , come
sostenuto da un recente studio Ocse, nella concreta messa in opera delle riforme, la
presenza di inevitabili criticità, risolvibili necessariamente solo attraverso
l‟attivazione di un progetto di mutamento mirato. L‟interrogativo non è più “se
cambiare”, ma “come cambiare” in modo da migliorare l‟efficacia
dell‟amministrazione e la competitività del paese.
Cocuzza si sofferma su queste criticità e sostiene che gli obiettivi contenuti nelle
politiche di riforma delle p.a. avviate dagli anni ‟90 in poi erano e sono ambiziose,
ma richiedono una evoluzione da un modello burocratico–culturale. organizzativo,
relazionale ad un altro modello, quello telocratico che comprende un insieme di
strumenti per il raggiungimento di un fine/obiettivo.21
Questo cambiamento non è meccanicamente ed omogeneamente trasferibile nelle
specifiche realtà delle pubbliche amministrazioni in forza della sola norma legislativa
innovativa. Occorre evidenziare l‟estrema varietà di situazioni e contesti
organizzativi, culturali e relazionali presenti nelle strutture amministrative. Per effetto
della privatizzazione del pubblico impiego non vi sarebbe più alcuna differenza tra il
settore privato e quello pubblico, dal punto di vista della struttura organizzativa; ed
21
A.Cocozza La riforma rivoluzionaria Franco Angeli 2010 p.20
50
anche la responsabilizzazione della dirigenza sarebbe identica nell‟un caso e
nell‟altro, in quanto la valutazione della responsabilità amministrativa investe
l‟attività del dirigente nel suo complesso, in rapporto ai risultati raggiunti.
Le riforme degli anni ‟90 per la dirigenza statale hanno bensì introdotto regole nuove
ispirate al principio di distinzione tra politica e amministrazione, al principio
dell‟autonomia e della responsabilità dei dirigenti sul piano dei risultati, alla
temporaneità degli incarichi, alla contrattualizzazione della dirigenza, alla
valutazione delle performance. Ma l‟attuazione delle nuove regole ha incontrato
difficoltà, ostacoli, resistenze, talune delle quali originate dall‟inadeguata
formulazione delle norme, altre originate da una persistente renitenza di gran parte
del ceto politico ad accettare di fare la sua parte nell‟applicazione della distinzione tra
politica e amministrazione.
Nel rapporto di lavoro del pubblico impiego, tra le due componenti quella
amministrativa e quella politica si è assistito ad un progressivo indebolimento della
componente amministrativa rispetto a quella politica.
La Pubblica Amministrazione è permeata da una cultura che considera il
cambiamento UN RISCHIO.
4.2 La riforma “ Brunetta”
Il sistema della Pubblica Amministrazione è stato interessato negli ultimi tre anni da
un significativo processo di riforma che è culminato nel decreto legislativo n. 150/09
in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e
trasparenza nelle pubbliche amministrazioni, ormai comunemente conosciuto come
“riforma Brunetta” o ancor di più come “ riforma anti-fannulloni “.
Molte critiche sono piovute su questa nuova legge riguardante gli attori della
Pubblica Amministrazione.
Il decreto Brunetta ha modificato sia la ripartizione di competenza fra la legge e il
contratto collettivo nella disciplina dei rapporti di lavoro pubblico, sia il regime delle
51
relazioni, nella stessa materia, fra la potestà normativa dello Stato e quella delle
autonomie regionali e locali. Ne emerge un assetto che, oltre a mostrare incoerenze e
contraddizioni, rafforza- rispetto al passato- il ruolo della “politica” come vera e
propria fonte di regolazione del lavoro pubblico.
Vi è stato un forte ridimensionamento della “capacità generale” in precedenza
riconosciuta alla contrattazione collettiva che ha avuto una sottrazione di materie in
precedenza affidatele come ad es. l‟organizzazione degli Uffici, il conferimento e la
revoca degli incarichi dirigenziali, i poteri dei dirigenti, che diventano ora
appannaggio della fonte legislativa. Così come non si riesce a ben comprendere il
ruolo degli organi valutatori delle performance raggiunte dai vari Uffici statali
esistenti sul territorio nazionale.
Non vorrei soffermarmi tanto, ma è opportuno accennare, sul criterio di premialità
introdotto dal decreto: si deve notare la rigidità con cui esso è imposto nelle
percentuali che il dirigente deve “obbligatoriamente” osservare e da cui non può
discostarsi più di tanto. L‟intento con cui si pone detta riforma è senz‟altro positivo
ed è dettato dal tentativo di perseguire obiettivi di efficacia. efficienza ed economicità
dell‟ organizzazione del lavoro per un “miglioramento della qualità delle prestazioni
erogate al pubblico” favorendo il riconoscimento dei meriti.
Ma pubblicizzare sui media detta legge come una spada di Damocle sul dipendente
statale non è certamente positivo riguardo alla motivazione al lavoro insita in tutti
noi.
In questo contesto si conferma il ruolo attivo della dirigenza che, nella veste di datore
di lavoro pubblico, deve procedere ad adeguate, coerenti e differenziate valutazioni
del personale dipendente.
Il responsabile di ogni struttura dovrebbe preliminarmente assegnare al personale
obiettivi (di gruppo e, nell‟ambito di questi, individuali) chiari e misurabili,
successivamente verificare l‟andamento nel tempo dell‟attività svolta nel
perseguimento di detti obiettivi, per arrivare infine a valutare i risultati di tale attività,
52
sapendo che dalla valutazione discendono conseguenze in termini di retribuzione
accessoria/premiale e prospettive di sviluppo professionale.
Dal decreto in esame il momento dell‟assegnazione degli obiettivi non è
espressamente individuato; la nuova normativa pone, in maniera espressa, l‟accento
sul momento valutativo, confermando il ruolo attivo della dirigenza nella valutazione
del personale che, nella veste di datore di lavoro pubblico, deve procedere ad
adeguate, coerenti e differenziate valutazioni del personale dipendente., ma non si
esprime sulla assegnazione, ad opera del dirigente, degli obiettivi al personale.
E‟ da sottolineare che emerge dal dettato normativo una attenzione particolare alla
performance individuale a scapito della performance del gruppo, comportando un
risvolto, negativo, dell‟attenzione del dirigente rivolta al comportamento del singolo
lavoratore piuttosto che al risultato complessivo prodotto dalla struttura. Tale
metodologia, a mio avviso, non tiene conto dei modelli di organizzazione che
vengono applicati nelle imprese private e pubbliche di tutto il mondo, quali il lavoro
di gruppo e la gestione per processi che esalta l‟integrazione delle competenze e la
collaborazione tra i soggetti e promuove l‟organizzazione scientifica del lavoro e
l‟introduzione della divisione del lavoro e del lavoro individuale22
.
Il legislatore del 2009 ha investito, con detta riforma, sul ruolo della politica che
rafforzerà quindi il suo dominio sull‟amministrazione. Più in generale l‟aver sottratto
alla contrattazione collettiva la possibilità di disciplinare molte materie non impedirà
di per se al governo e alle organizzazioni sindacali di negoziare quelle stesse materie
su “tavoli politici” e di trasferirne poi i risultati in atti unilaterali del governo23
.
Al posto quindi di una contrattazione alla luce del sole, si svilupperanno fra governo
e sindacati, prassi negoziali c.d. informali, che finiranno probabilmente , per
sopravanzare quelle c.d. ufficiali.
22
E.Grignoli La valutazione del personale.Convegno su Le nuove regole del pubblico
impiego Roma 21/10/2009 23
Giornale di diritto amministrativo 1/2010: la riforma del sistema di relazioni sindacali nel avoro
pubblico di Valerio Talamo
53
Non sembra esagerare sostenere perciò, che la politica sia destinata ad assumere,
rispetto al passato, un ruolo assai più rilevante come “fonte” di regolazione del lavoro
pubblico.
Che poi l‟assalto dei particolarismi sia dietro l‟angolo della riforma, è dimostrato da
un esempio che si rinviene nello stesso D. L.vo n. 150/09; dall‟applicazione del
decreto e dal rigore cui esso è ispirato è, infatti, esonerato il “cuore”
dell‟amministrazione e cioè la Presidenza del Consiglio dei Ministri e con essa il
Dipartimento della Funzione Pubblica che della riforma dovrebbero essere il motore
e il terreno di sperimentazione: come dire che chi deve far rispettare le nuove regole
viene risparmiato dall‟obbligo di osservarle.
Sempre sulla scia delle critiche a questa riforma della P.a. merita accennare a quanto
scrive Giovanni Valotti, prof. Presso l‟Università Bocconi nel suo libro “ Fannulloni
si diventa”. Secondo il prof. Valotti va rovesciata la prospettiva fondata sulla retorica
dei fannulloni, riportata alla ribalta e tradotta in una crociata dal ministro della
Funzione pubblica R. Brunetta. Il vero problema non è la volontà (buona o cattiva)
degli individui, ma l‟organizzazione. Per capire questo vanno smontati alcuni miti dal
momento che si procede per slogan.
E‟ falso. per esempio, che il settore pubblico in Italia sia sovradimensionato: il
numero di dipendenti è in media con l‟Europa, il problema è la scarsa produttività.
Pur condividendo i punti di partenza della riforma Brunetta, Valotti sostiene che sia
demagogico un approccio fondato sull‟individuazione di un capro espiatorio,
sull‟esaltazione politica e mediatica della polemica sui fannulloni..
“ La lotta all‟assenteismo e ai fannulloni è sacrosanta, ma molti di questi sono
semplicemente dipendenti disillusi e demotivati, prodotti dai meccanismi di
malfunzionamento delle organizzazioni stesse” è quanto dichiara l‟autore.
Servono politici illuminati, manager capaci e dipendenti desiderosi di riscatto; serve,
soprattutto, un grande progetto capace di risvegliare l‟orgoglio e la motivazione dei
dipendenti pubblici.
54
Grande dovrà essere la capacità delle amministrazioni di sviluppare un maggior senso
di appartenenza e motivazione tra i dipendenti pubblici; è necessario avviare percorsi
di ascolto e coinvolgimento dei lavoratori, valorizzare le esperienze riconoscendo ai
migliori una differenziazione di condizioni e una visibilità esterna dei risultati
ottenuti, investire sull‟immagine dei funzionari e del lavoro pubblico.
Ed ecco che con gli scenari che le amministrazioni si trovano a dover affrontare, vi è
la richiesta di investire nella formazione del personale e in percorsi di apprendimento
capaci di sviluppare buone competenze, capaci di andare oltre ai tradizionali saperi e
conoscenze, per entrare anche nello sviluppo delle qualità personali.
A questo punto vorrei illustrare il piano preparato dall‟ing. Criscimanno Dirigente del
Personale presso la Regione Piemonte a proposito delle condizioni per il decollo del
cambiamento nella P.A.
Si parte dall‟esigenza dell‟attivazione di un processo che nasca dall‟integrazione
degli interventi in materia di:
a) Organizzazione
b) Formazione professionale
c) Sistemi informativi ed informatica
che rappresentano le leve strategiche per l‟innovazione e che devono necessariamente
essere ricondotte ad un unico polo di responsabilità.
Nello schema di pag. 55 è sintetizzato il processo di riforma che accompagna il
cambiamento.
56
4.3 Organizzazione di un Ufficio Giudiziario: la Procura della Repubblica di
Mondovì
Sono giunta alla fine del mio percorso in questo master in Risorse umane ed
Organizzazione e mi sembra opportuno soffermarmi sul mio lavoro, nel mio ruolo di
Direttore Amministrativo che ricopro presso questo Ufficio dal lontano 1989!
L‟azienda che sto per esaminare appartiene all‟apparato Statale, appartenente al
Ministero della Giustizia; la Procura della Repubblica di Mondovì è un ufficio
periferico, collocato in un circondario con 72 comuni, avente un territorio complesso
a causa della sua morfologia, situato in zona collinare-montuosa. L‟analisi di questa
struttura partirà dal 2009, quando si è insediato il Procuratore della
Repubblica,dirigente dell‟Ufficio, tutt‟ora in servizio. Dopo un periodo di “anarchia”
dal punto di vista dell‟organizzazione dell‟Ufficio, finalmente si è insediata una
persona capace, con varie esperienze di direzione di Uffici Giudiziari alle spalle. Già
da parecchi anni la crisi della giustizia italiana ha portato molti operatori, del settore e
non, ad interrogarsi sull‟adeguatezza del sistema in termini di efficienza. “Efficienza”
risulta ora il tema chiave attorno al quale ruotano riforme, programmi, gruppi di
lavoro, studi ed articoli.
Efficienza è il rapporto tra risultati ottenuti e risorse impiegate, ovvero la capacità di
ottenere un determinato risultato al minor costo possibile, o, in alternativa ottenere il
massimo risultato partendo da una determinata dotazione di risorse.
Da questo il nuovo Dirigente ha dovuto partire: le risorse che l‟Ufficio aveva a
disposizione.
Dopo una prima consultazione degli impiegati e in seguito alla presa d‟atto della
situazione in cui si trovavano i vari settori dell‟Ufficio, ha proceduto a dei
cambiamenti radicali della distribuzione del personale nei vari settori dell‟Ufficio.
La sua disponibilità ad ascoltare i dipendenti e le varie riunioni fatte per illustrare agli
stessi i problemi che giorno per giorno sorgevano ha delineato la sua personalità di
leader centrato sulla relazione che cerca di instaurare un buon rapporto con il gruppo
57
onde ottenere i risultati maggiori. Comunque devo constatare che il suo
atteggiamento nei confronti di tutti, quando ha imparato a conoscerci, è migliorato in
quanto si è reso conto di poter contare su un gruppo di persone molto consapevoli del
loro lavoro, indipendentemente dal profilo professionale d‟appartenenza.
Certamente l‟appellativo di “FANNULLONI” di cui ho trattato ampiamente nel cap.
precedente, è stato criticato da tutti noi, ed ha creato un profondo malessere per il
modo in cui veniamo presentati all‟opinione pubblica; in un ufficio dove
l‟assenteismo per malattia è vicino allo zero per cento annuo e dove la disponibilità di
tutti sia verso i superiori (Magistrati) che verso i client è massima, certamente essere
etichettati in un certo modo non solo non fa piacere ma ha anche la capacità di far
scendere di molto la motivazione al lavoro. Giudicare l‟impiegato che ha accumulato
120 giorni di assenza in un anno per malattia un fannullone è semplicistico e fuori
luogo. Intanto bando alle generalizzazioni; poi si dovrebbe esaminare il singolo caso,
e semmai scongiurare con i mezzi a disposizione del dirigente gli abusi.
Ritorniamo a parlare della struttura organizzativa “Procura della Repubblica” che sto
esaminando. Dal punto di vista della comunicazione sia interna che esterna, il clima
negli anni in esame è migliorato in modo cospicuo. Il nuovo Dirigente ha subito
instaurato un rapporto di collaborazione con gli altri Uffici esistenti nel palazzo di
Giustizia e soprattutto con il Tribunale di Mondovì , l‟Ufficio UNEP ed il Consiglio
dell‟Ordine.
Venire incontro all‟utenza vuol dire anche mettere a disposizione i servizi erogati ai
cittadini intervenendo, ad esempio, sugli orari di apertura al pubblico: aver deciso di
tenere aperti gli Uffici della Procura di Mondovì al sabato mattina vuol dire mettere a
disposizione degli utenti impegnati al lavoro durante i primi 5 giorni della settimana
un servizio essenziale di cui possono usufruirne durante un giorno di riposo
lavorativo.
Inoltre il tema della comunicazione con i cittadini ritorna in primo piano: da circa due
anni, è stato messo in rete il portale della Procura della Repubblica di Mondovì dove i
cittadini possono accedere via web a tutte le informazioni utili e scaricare la
58
modulistica occorrente per la richiesta di certificati che, in alcuni casi, possono essere
richiesti anche per e mail. Questo vuol significare orientare sempre più gli attori della
giustizia a costruire un diverso sistema di relazioni locali e a ridefinire la propria
mission, il proprio sistema gestionale, a vantaggio di un approccio più ricco,
articolato e responsabile nei confronti della comunità dei cittadini all‟interno della
quale operano.
Il dirigente dell‟Ufficio, purtroppo, nel cercare di raggiungere l‟efficienza, si scontra
ogni giorno con la progressiva riduzione delle risorse statali sia per la gestione
corrente, in linea di massima attuata con il blocco pressoché totale del turnover del
personale di cancelleria, sia con il progressivo taglio dei capitolo di spesa dedicati ai
c.d. “ consumi intermedi “, sia per gli investimenti e per l‟assistenza nei confronti dei
nuovi servizi informativi e informatici connessi alla digitalizzazione e
telematizzazione dei flussi documentali e informativi.
Ma da quando è entrata in vigore la tanto decantata riforma dell‟amministrazione, da
circa due anni e mezzo, nella gestione, a livello politico, della P.A. è subentrata una
logica ragioneristico-contabile che ha snaturato il senso del lavoro pubblico,
riducendo il contributo che la pubblica amministrazione può dare allo sviluppo della
società al mero calcolo dei risparmi di spesa realizzabili, tra una finanziaria e l‟altra,
in termini di punti percentuali di PIL. La riorganizzazione del lavoro nel settore
pubblico si traduce esclusivamente in riduzione di spesa.
In questa realtà amministrativa che sto prendendo in esame, porto ad esempio la
decurtazione notevole subita e riguardante i capitoli di spesa 1451.22(spese per
Ufficio come cancelleria varia, toner per stampanti) negli ultimi tre anni come
indicato nella tabella sotto riportata ed il cap. 1451.21(carta per fotocopie e toner per
fax) cosi‟ come indicato nella tabella riassuntiva; per quest‟ultimo capitolo,
riguardante la carta per fotocopie, dall‟anno scorso a quest‟anno il fondo stanziato
quasi dimezzato.
Mi chiedo: come faremo ad arrivare alla fine dell‟anno? Dovremo sperare in qualche
benefattore che venga incontro alle nostre esigenze?
59
Cap. 1451.22(Spese Ufficio)
ANNO Somma Assegnata
2008 € 2350,00
2009 € 2200,00
2010 € 2100,00
2011 € 1030,00
0
500
1000
1500
2000
2500
2008 2009 2010 2011
Somma
assegnata
Cap. 1451.21 (Spese per fotocopie e fax)
ANNO Somma Assegnata
2008 € 4300,00
2009 € 3200,00
2010 € 3050,00
2011 € 1850,00
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000
4500
2008 2009 2010 2011
Spese per
fotocopie e fax
60
Un altro aspetto preoccupante è la diminuzione di risorse effettuata dal Ministero
della Giustizia per quanto riguarda la formazione del personale nel distretto della
Corte d‟Appello di Torino. E‟ ormai opinione comune che la Formazione rappresenti
un‟importante leva strategica su cui agire per assicurare una più efficace evoluzione
organizzativa.
Pertanto deve essere vista quale strumento necessario per stimolare lo sviluppo e la
crescita professionale delle “persone”. L‟aggiornamento continuo, l‟addestramento su
tematiche e procedure, spesso complesse, costituisce un importante stimolo
motivazionale per quanti sono desiderosi di apprendere e sono consapevoli che il
proprio lavoro ha una ricaduta determinante sull‟organizzazione.
Alla luce di quanto esposto, non è certamente facile, in questa situazione, raggiungere
l‟efficienza in un ufficio pubblico: se vengono tagliati tutti gli investimenti sia nei
confronti del personale operante sia sul piano delle risorse materiali fornite
all‟Ufficio.
L‟efficienza tanto acclamata dal potere politico non può che diventare un miraggio.
61
BIBLIOGRAFIA
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F. Avallone - psicologia del lavoro. Storia, modelli, applicazioni –Carocci 2000
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Il Management Pubblico a cura di Vincenzo Pedaci.Ed. Simone 2010
Scienza dell‟amministrazione a cura di Lilla Luperuta –ED. Simone 2007
R. Dilts Leadership e visione creativa Guerrini -2000
Elena Gaiffi - F. Herzberg
F.Giacca - Management e risorse umane
I quaderni di Gelso - Cultura organizzativa e cittadinanza di genere a cura di Silvia
Gherardi e B. Bolognini
Massimo Donno - La funzione dirigenziale nella P.A. Franco Angeli
F. Bassanini -Indirizzo politico,imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza-
Nuova Rassegna -2008
L.Anolli e P.Legrenzi -Psicologia Generale ed. Il Mulino Bologna 2006
E. Grignoli -La valutazione del personale Roma 2009
E. Negri - Motivarsi e motivare
Davide Barbaglio - Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse
Umane
L. Ferrucci - I paradigmi teorici dell‟organizzazione
G. Valotti - Fannulloni si diventa-Università Bocconi ed.2009