universita' del piemonte orientale - osservatorio per le autonomie...
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ISSN: 2038-7296POLIS Working Papers
[Online]
Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLISInstitute of Public Policy and Public Choice – POLIS
POLIS Working Papers n. 229
October-December 2015
OPAL – Osservatorio per le autonomie localiN.7/2015
Matteo Cannonero et al. (DRASD)
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA
Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali – Newsletter n. 7, Ottobre 2015
OPAL OSSERVATORIO PER LE
AUTONOMIE LOCALI
n. 7
Ottobre 2015
(a cura di Matteo Cannonero)
2
INDICE
EDITORIALE
L'autunno caldo delle istituzioni territoriali: Roma - Torino - Parigi
Matteo
Cannonero
4
PARTE I
REGIONI, STATO, EUROPA
Il riordino di provincie, città metropolitane e unioni dei comuni non è
invalido. Annotazioni alla sentenza n. 50/2015 della Corte
Costituzionale
Nicola Dessì
9
Approvazione Legge Regionale Piemontese sul riordino delle Province
e sulla Città Metropolitana di Torino
Matteo
Cannonero
12
PARTE II
FUNZIONI E SERVIZI
Limiti all’incandidabilità di amministratori di Enti Locali condannati
per danno erariale di ente in dissesto (art. 248 TUEL).
Marco Comaschi
15
L’autorità di regolazione dei trasporti ad un anno dalla sua costituzione Marco Comaschi 22
Il riparto delle responsabilità per la sicurezza sul lavoro negli Enti
Locali. Nota a Cass. Pen. , Sez. IV, 27 maggio 2015, n. 22415 Matteo Porricolo 32
PARTE III
CITTADINI ED ENTI
Il “tweet” nel diritto amministrativo. Annotazione a Consiglio di Stato,
sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 769
Maria-José
Zampano
39
Profili di illegittimità costituzionale nella disciplina italiana del
trasporto pubblico non di linea Riccardo
De Caria
41
La qualificazione dei contratti nell’era di Uber Nicola Dessì 46
3
EDITORIALE
L'autunno caldo delle istituzioni territoriali: Roma - Torino - Parigi
di Matteo Cannonero
Il problema delle Istituzioni messe a dura prova non è solo un caso nostrano; qui di seguito saranno
presi in considerazioni tre casi riportati alla ribalta, alcuni a livello mondiale, per la loro grado di
interesse suscitato nell’opinione pubblica: 1) prenderemo in esame il recente caso di Roma
Capitale, nel quale sia l’opinione pubblica sia i dissapori interni al Campidoglio han portato il
Sindaco Marino alle dimissioni; 2) parleremo, inoltre, del cd. “salva Regioni”, e 3) Cenni sugli
attentati terroristici di Parigi.
1) Dimissioni del Sindaco di Roma Capitale chieste da molto tempo dalle opposizioni, ma anche da
considerevoli esponenti della sua maggioranza e, nondimeno, del suo partito che lo propose per le
scorse elezioni comunali. Il sindaco Marino non cedette subito, tantoché la notizia rimbalzò per
molto tempo sui giornali e nei notiziari di mezzo mondo ma, solo dopo un estenuante “tira e molla”,
lui stesso rassegnò le dimissioni dalla carica di primo cittadino della Capitale, se non poi avendole
ritirate ed essendo stato sfiduciato, constando la fine del suo mandato.
Ma i problemi iniziarono a flagellarlo dall’inizio del suo mandato, ricordiamo solo i più importanti:
propone, a capo dei Vigili Urbani, un ex colonnello dei Carabinieri ma, appena nominato, sarà
costretto a dimettersi per mancanza di requisiti e per una pioggia di ricorsi degli esclusi; scoppia il
caso di “mafia capitale”, la prima trance di arresti scatta il 2 dicembre 2014. Una trentina di persone
arrestate, otto ai domiciliari, beni sequestrati per oltre duecento milioni di euro, indagato l’ex
sindaco Alemanno, i reati contestati spaziano da associazione per delinquere di stampo mafioso,
estorsione, usura, riciclaggio, turbativa d’asta, false, insomma, una vera e propria bufera. Ben più di
poca cosa gli “scontrini” contestate per spese pazze a Marino stesso. Ma non solo, nel mentre si
sono anche verificati: il disservizio dei Vigili Urbani a capodanno 2014, nella quale nella notte del
31 dicembre, era stato indetto uno sciopero – sospeso per volontà dei sindacati stessi – il quale però
ha portato una raffica di assenze fra permessi e malattia, contando una defezione di circa 200 agenti
della municipale; le polemiche incorse per la creazione di un registro delle nozze delle persone
omosessuali; a giugno 2015 nuova puntata del sequel “mafia capitale”, con l’arresto di una
cinquantina di persone, fra cui nomi illustri di dirigenti e consiglieri comunali (in carica o ex) e
assessori della Giunta capitolina, scuotendo di molto la solidità del mandato del Sindaco: nessuno lo
ritenne diretto responsabile ma, considerato l’alto numero di arresti o di persone indagate, forse
sarebbe stato opportuno rimettere il mandato nelle mani dei romani. Non solo, fece molto scalpore
4
anche un reportage apparso sul New York Times (nel luglio 2015) - il quale testimoniava il grado
di abbandono e di sporcizia della capitale italiana - si poteva per altro leggere: “...l’erba nei parchi
arriva all’altezza delle ginocchia, la metro funziona a rilento per la protesta degli autisti, un
incendio ha semiparalizzato l’aeroporto, il susseguirsi di arresti dei pubblici amministratori fa
emergere un quadro devastante dell’infiltrazione mafiosa nel governo della città”, pertanto, in
questo caso, non solo Roma ma l’Italia intera non ci ha fatto per nulla bella figura. Altra tegola
caduta sulla testa del Sindaco fu la totale immobilità durante i funerali di un boss mafioso locale, il
quale chiese di realizzare il proprio funerale talmente in pompa magna da far apparire assai di poco
conto quello del Padrino, addirittura con gli agenti della municipale a sostegno dell’iniziativa: anche
questo scandalo fece, in brevissimo tempo, il giro del mondo e, arrivando a breve tempo
dall’articolo del New York Times, apparve proprio come la conferma perfetta delle parole scritte
dal giornalista. Come colpo finale, la comparsa del sindaco durante il viaggio pastorale del Santo
Padre negli U.S.A., qui Marino forse ricevette veramente il colpo più duro (e basso), giacché dopo
che fu ampiamente sollecitato dalla stampa, il Papa in persona confermò di non aver invitato il
Sindaco negli States, proprio mentre la capitale era sotto il fuoco pesante dell’opinione pubblica e
mediatica (giusto per la cronaca, Marino non fu nuovo a queste vicende: già nell’estate, quando si
iniziò a parlare per la prima volta di commissariamento dell’Ente, nei giorni più difficili con la
trattativa fra il Prefetto e il Ministro dell’Interno, il sindaco era sempre volato negli USA per le
ferie). Evidentemente, gli USA non portano molta fortuna a Marino.
Ma tant’è, se è vero che il popolo è sovrano, come ti elegge depositando la fiducia nel momento
delle elezioni può, come verificato, far sentite la propria voce anche quando risulta palese
l’inceppamento del meccanismo, chiedendone le dimissioni. Infatti, il a metà ottobre c.a., il Sindaco
convoca la conferenza stampa per annunciare le sue dimissioni, non mancando di lanciare anatemi e
togliendosi alcuni, grossi, sassolini dalla scarpa. A questo punto, sembra cosa fatta: il sindaco si è
dimesso! Sappiamo che esiste la possibilità, solitamente remota, di revocare le dimissioni entro i
successivi venti giorni dalla presentazione: ne passarono 17 (altro numero a lui sfavorevole) per
fargli cambiare idea, infatti, il 29 ottobre, il Sindaco revocò le dimissioni volendo lasciare la
decisione all’assise consigliare capitolina, la quale, con le dimissioni di 26 consiglieri – uno in più
del necessario – staccò de facto la spina al mandato del Sindaco Marino, provocando la sua
automatica decadenza. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2015, si
nominava il Commissario Straordinario di Governo, proposto dal Prefetto di Roma, nella persona
del Prefetto di Milano, già a capo del coordinamento durante tutta la durata dell’Expo. Sul sito
istituzionale del Comune di Roma, non sono più disponibili i documenti relativi al periodo di
governo di Marino e, contestualmente, quelli adottati dal neo Commissario.
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2) Altra notizia nostrana di questi giorni è il caso del Decreto Legge 13 novembre 2015, n. 179
“Disposizioni urgenti in materia di contabilità e di concorso all’equilibrio della finanza pubblica
delle Regioni”, denominato «salva Regioni» , pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie generale n. 266
del 14 novembre 2015.
In base a quanto sancito dal testo di legge, nelle competenze della conclusione da parte
dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) delle procedure di ripiano dell’eventuale sfondamento del
tetto della spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera del 2013 e il 2014, e al fine di garantire
il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, “le Regioni, (…) accertano ed impegnano nel
bilancio regionale dell’anno 2015, nella misura del 90% e al netto degli importi
eventualmente già contabilizzati” risorse per un totale di 932 milioni di Euro, ripartiti secondo le
modalità seguenti: 524 milioni per la spesa ospedaliera del 2014, 44 e 364 milioni rispettivamente
per il ripiano della rete territoriale e ospedaliera del 2013. Il Decreto prevede altresì che, le
Regioni, provvederanno successivamente alle “relative regolazioni contabili” quando l’Aifa avrà
concluso le procedure di ripiano per l’eventuale sfondamento del tetto.
Non solo, la nuova norma permette di ammortizzare in trent’anni i debiti contratti dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze (MEF) per conto delle Regioni, soldi usati dai Presidenti delle
Regioni medesime per saldare i fornitori, ma anche per alimentare la spesa corrente. Non vi sono
risorse fresche, ma solo nuove norme contabili. Questo testo, adottato principalmente per il
problema di difficoltà operativa - in materia sanitaria - della Regione Piemonte dovrebbe colmare
queste difficoltà incontrate, per il vero, anche da altre regioni italiane. La problematica è saltata alla
ribalta dal giugno c.a. quando, una sentenza della Corte costituzionale ha bocciato il metodo di
contabilizzazione dei fondi anticipati dal Governo, attraverso dei mutui contratti col MEF, per
pagare i debiti arretrati con i fornitori che in molti casi (in Piemonte per esempio) sono stati usati
anche per alimentare la spesa corrente. Per dare una misura del problema, alla luce della predetta
sentenza
3) Venerdì 13 novembre c.a., come tutti purtroppo sappiamo, la città di Parigi ha vissuto il suo
giorno più triste: ben sette attentanti terroristici, di matrice islamica rivendicati dall’Isis, hanno
seminato il terrore per le strade della capitale transalpina, provocando ben 130 vittime fra la
popolazione civile.
I terroristi, fino a quella data, progettavano attacchi mirati a centri nevralgici o sedi istituzionali
delle nazioni da loro considerate blasfeme ed infedeli oppure a simboli ben precisi. In questo caso,
diverse sono stati i folli che si sono fatti saltare in aria in mezzo alla gente e, altrettanto folli sono
stati coloro i quali – abbracciando un fucile mitragliatore – hanno aperto il fuoco sulla gente seduta
tranquillamente ai bistrò o al teatro per sentire un concerto: una vera e propria carneficina! Ma,
mentre gli attacchi erano ancora in corso e nel mentre che la polizia stava duramente lottando per
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reprimerli cercando di riportare la sicurezza nella città, il Presidente della Repubblica Hollande
dichiarava, in un messaggio alla Nazione in diretta tv (per altro rimbalzato in diretta quasi da tutti i
network di informazione a livello mondiale) di azioni di guerra da parte dei terroristi dell’Isis.
Solo dopo alcuni giorni, il lunedì successivo, in un discorso al Parlamento riunito in seduta comune
a Versailles, lo stesso Presidente Hollande ha dichiarato che «la Francia è in guerra», senza mezzi
giri di parole; probabilmente, un discorso di pari portata, i francesi, non lo sentivano dai tempi del
secondo conflitto mondiale. Inoltre, di straordinaria rilevanza, nel medesimo discorso, il Presidente
comunicava ai parlamentari la necessità di cambiare la Costituzione per meglio combattere – con
azioni straordinarie – il terrorismo, con queste precise parole estrapolate dal suo discorso: “In
Francia abbiamo bisogno di un regime costituzionale in grado di gestire la lotta a questo nemico.
Ritengo, in coscienza, che dobbiamo far evolvere la nostra Costituzione per agire contro il
terrorismo di guerra” ha spiegato Hollande davanti al congresso, evocando riforme agli articoli
16 (riguardante i poteri straordinari del presidente in caso di minaccia allo Stato) e del 36 (sullo
stato di assedio e interventi armati all’estero). Il significato che Hollande ha voluto attribuire alla
parola «guerra» è assai differente da quello attribuito storicamente, giacché avendo a che fare con
una particolare tipologia di nemico, esso deve poter esser combattuto con un mutato regime
costituzionale, il quale permetta di gestire le crisi in modo differente dall’ordinario.
Le prime misure adottate facendo seguito allo stato d’emergenza (per altro invocato solo in rare
occasioni come, a titolo di esempi, nella guerra di indipendenza dell’Algeria, del 1955, e negli
scontri nelle periferie della capitale, del 2005) si sono realizzate in maggiori poteri ai Prefetti e al
Ministro dell’Interno, nonché in una tempestiva chiusura delle frontiere e la volontà del
mantenimento proprio dello stato di emergenza da dodici giorni a tre mesi. Pertanto, in risposta ai
predetti attacchi terroristici è stata applicata la sopra citata legge del 1955 sullo stato d’emergenza e
non quanto sancito dall’art. 36 della Costituzione riguardante lo stato d’assedio. Inoltre, la Francia
ha chiesto una revisione urgente al Trattato di Schengen, al fine di ripristinare controlli stringenti
alle frontiere per ragioni di sicurezza; per altro, in base al Trattato sull’Unione Europea, art. 42 par.
7 recitante: “Qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri
Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in
conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere
specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri”. Avendo così richiamato
quest’articolo, sempre Hollande, ha voluto coalizzare le Potenze europee – ma non solo – contro il
nemico comune, ossia il sedicente Califfato islamico, passando da un accordo di massima ad una
vera e propria coalizione militare. Non solo, sempre la Francia ha comunicato di voler derogare
– seppur transitoriamente – i principi e diritti cardini contenuti nella C.E.D.U: segno inequivocabile
dell’uso della forza indiscriminata; una Nazionale civile non dovrebbe mai venir meno agli impegni
7
assunti, ancor proprio se si tratta di Diritti umani. La possibilità di esagerare è assai forte e, più che
altro, così facendo, si scende allo stesso livello dei terroristi.
Oltre a tutto, la Francia, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di voler
autorizzare ogni azione che sarà presa per contrastare l’Isis e il terrorismo islamico; molto singolare
come affermazione, in quanto, non ha chiesto un supporto dell’Onu – di cui si è premurata di
averne, però, la sua benedizione – giacché ha pianificato ed attuato raid e attacchi mirati alle città
del Califfato - in Siria ed Iraq - con la Russia, non chiedendo, quindi, supporto né all’Onu né alla
Nato. Dal punto di vista geopolitico questo spostamento del baricentro europeo corrisponde ad
un’insolita alleanza fra Parigi e Mosca, le quali fino al giorno prima erano ai «ferri corti» ancora per
le gravi sanzioni che proprio la Francia (insieme alla Germania) vollero fosse autorizzate dalla
coalizione alleata per il caso della precedente crisi ucraina.
Nella stessa giornata, contestualmente, il Primo Ministro del Belgio, dichiarava anch’egli di voler
modificare la Costituzione aumentando da ventiquattro a settantadue ore il fermo di polizia, al fine
di consentire agli agenti maggiori strumenti per la ricerca della colpevolezza dei trattenuti, oltreché
rafforzare controlli degli arrivi e partenze da/per il Belgio, nonché istituire un registro dei
passeggeri per i treni ad alta velocità e gli aerei e molto altro di più tecnico.
Ora, alla luce di tutto ciò (speriamo mai), cosa potrebbe succedere in Italia nel caso in cui fosse
colpita da un fatto criminoso di questa portata? Sarebbero quindi verosimili dichiarazioni analoghe
di modifica alla carta fondamentale in breve tempo? Lascio ai lettori ogni considerazione e
commento sul caso.
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Il riordino di provincie, città metropolitane e unioni dei comuni non è invalido.
Annotazioni alla sentenza n. 50/2015 della Corte Costituzionale
di Nicola Dessì
Parole chiave: Province - Città metropolitane - Unioni e fusioni di Comuni - Carta europea
dell'autonomia locale
Riferimenti normativi: Artt. 1; 3; 5; 48; 114; 117, commi 1, 2 lett. p), 4; 118; 123; 133; 136 Cost.
Art. 3, comma 2, Carta europea dell’autonomia locale (firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985,
ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439.
Art. 1, commi da 5 a 19, 21, 22, 25, 42 e 48 (istituzione e disciplina delle Città metropolitane);
commi da 54 a 58, da 60 a 65, 67, da 69 a 79, 81 e 83, (confini territoriali e competenze delle
Province); commi 4, 105, 106, 117, 124, 130 e 133 (unioni e fusioni di Comuni) legge 7 aprile
2014, n. 56 (“Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di
Comuni”).
Massima 1: Lo Stato ha è competente a legiferare sull’istituzione delle Città metropolitane ex
art. 117 comma 2 lettera p.
Massima 2: Spetta al legislatore statale individuare il territorio delle città metropolitane nonché
disciplinare l’unione e la fusione con procedura legislativa senza l’art. 133 Costituzione primo
comma.
Massima 3: L'elezione indiretta degli organi di governo delle Province e delle Città metropolitane
non viola il principio di sovranità popolare, né la Carta europea dell'autonomia locale, di cui
all’art. 3 comma 2.
Massima 4: Il legislatore statale può disciplinare la fusione fra più Comuni e l'incorporazione di
un Comune in altro contiguo.
Link al documento
Le Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia hanno presentato diverse questioni di legittimità
costituzionale, in merito alla legge n. 56/2014, recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni”. A giudizio della Corte, nessuna di tali questioni è
fondata; per alcune è stata dichiarata la cessazione della materia da contendere.
1. La legge in oggetto istituisce nove Città metropolitane (art. 1, comma 5). Inoltre, definisce le
Unioni di comuni (art. 1, comma 4), dettandone la relativa disciplina (art. 1, commi 105 e 106).
L'art. 117, comma 2, lett. p) attribuisce allo Stato la potestà di legiferare in ordine alle funzioni
fondamentali e agli organi di governo - nonché alla loro elezione - dei Comuni, delle Province e
delle Città metropolitane.
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La norma costituzionale non fa riferimento espresso né alla “istituzione” delle Città metropolitane,
né alle Unioni di comuni. Tuttavia, la Corte riconosce la potestà legislativa dello Stato - e non, in
via residuale, delle Regioni - in entrambe le materie.
La Corte afferma che le Città metropolitane - come tutti gli enti elencati dall'art. 114 - non
potrebbero “avere modalità di disciplina e struttura diversificate da Regione a Regione, senza con
ciò porsi in contrasto con il disegno costituzionale che presuppone livelli di governo che abbiano
una disciplina uniforme, almeno con riferimento agli aspetti essenziali”. Ne consegue che la loro
istituzione non può essere demandata al legislatore regionale.
Quanto alle Unioni di comuni, esse sono definite dalla legge in oggetto come “enti locali costituiti
da due o più Comuni”. La Corte qualifica come “impropria” questa scelta lessicale del legislatore:
le Unioni sono “forme istituzionali di associazione tra Comuni per l’esercizio congiunto di funzioni
o servizi di loro competenza”. Pertanto, non sono “un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto
all’ente Comune” e la loro disciplina rientra nella materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) Cost.
2. L'art. 1, comma 6, della legge in oggetto individua i confini territoriali di ciascuna Città
metropolitana in coincidenza con quelli dell'omonima Provincia.
Il legislatore statale può assumere una simile decisione senza osservare il particolare iter che l'art.
133 Cost. prevede per l'istituzione di nuove Province. A giudizio della Corte, questa procedura si
applica solo per “interventi singolari”; diversamente, nel caso di specie, si è di fronte ad “una
significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica”. Questa circostanza
consente che il legislatore deroghi all'art. 133 Cost., purché sia rispettato il principio del “necessario
coinvolgimento delle popolazioni locali interessate”. Le disposizioni impugnate soddisfano questa
condizione: prevedono che sia sentita la Regione interessata e richiedono “l’iniziativa dei Comuni”
(della Provincia omonima), “ivi Compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe”, ai fini
della loro adesione alla Città metropolitana.
3. Nelle disposizioni impugnate, sono disciplinate l'elezione e le funzioni degli organi delle Città
metropolitane e delle Province. I Consigli metropolitani (art. 1, comma 25) e i Consigli provinciali
(art. 1, comma 69), così come il Presidente della Provincia (art. 1, comma 59), non sono eletti dai
cittadini: l'elettorato attivo e passivo è limitato a sindaci e consiglieri dei Comuni della Città
metropolitana e della Provincia. Inoltre, il sindaco metropolitano è, di diritto, il sindaco del Comune
capoluogo (art. 1, comma 19).
Queste disposizioni non sono illegittime. Secondo la Costituzione, la sovranità appartiene al popolo
(art. 1) - che la esprime, innanzitutto, attraverso l'esercizio del diritto di voto (art. 48) - e la
Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5). Tuttavia, ciò non comporta che tutti
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gli enti costitutivi della Repubblica, elencati dall'art. 114 Cost., debbano disporre di organi di
governo direttamente eletti. La Corte ribadisce che non tutti i soggetti istituzionali debbono essere
pienamente equiparati fra loro - infatti, in virtù dei principi di adeguatezza e differenziazione, ben si
può “diversificare i modelli di rappresentanza politica ai vari livelli” - e che un'elezione di secondo
grado è “pienamente compatibile” con il principio democratico ed autonomistico. Tra l'altro, la
Corte rileva che la “legislazione elettorale” degli organi di governo di Province e Città
metropolitane, compresa fra le materie di legislazione esclusiva statale ex art. 117 Cost., non deve
necessariamente prevedere una elezione diretta.
L'elezione indiretta non contrasta nemmeno con la Carta europea dell'autonomia locale. Secondo la
Corte, l'art. 3, comma 2, della Carta - ove si richiede che i componenti delle assemblee locali siano
“liberamente eletti” - va inteso “nel senso sostanziale della esigenza di una effettiva
rappresentatività dell’organo rispetto alle comunità interessate”. La previsione dell'elezione
indiretta non è illegittima, purché sia assicurata la “reale partecipazione dei soggetti portatori degli
interessi coinvolti”; secondo la Corte, la disposizione censurata raggiunge l'obiettivo, imponendo la
decadenza da consigliere metropolitano o provinciale in caso di cessazione dalla carica comunale.
Infine, “attesi il particolare ruolo e l'importanza” del Comune capoluogo, non è irragionevole che -
almeno in fase di prima attuazione dell'ente - il suo sindaco ricopra la carica di sindaco
metropolitano. Peraltro, questa scelta del legislatore non è irreversibile: secondo la legge in oggetto,
lo statuto di ciascuna Città metropolitana può prevedere l'elezione diretta del sindaco metropolitano,
previa articolazione territoriale del Comune capoluogo in più Comuni (art. 1, comma 22).
4. Alcune fra le disposizioni censurate disciplinano i procedimenti di fusione di più Comuni in un
nuovo Comune e l'incorporazione di un Comune in altro contiguo (art. 1, commi 117, 124, 130 e
133). La Corte non ravvisa alcuna contraddizione con l'art. 133, comma 2, Cost., che attribuisce alle
Regioni il potere di istituire sul proprio territorio nuovi Comuni e modificarne le circoscrizioni: “la
fusione e incorporazione non dà vita ad un nuovo ente, bensì l’incorporazione in un Comune
esistente di un altro Comune, e cioè una vicenda (per un verso aggregativa e, per altro verso,
estintiva) relativa, comunque, all’ente territoriale Comune, e come tale, quindi, ricompresa nella
competenza statale nella materia 'ordinamento degli enti locali', di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost.”. Si aggiunga che “la disciplina del referendum consultivo comunale delle
popolazioni interessate” è demandata proprio alla legislazione regionale; ne deriva che non è violata
nemmeno l'autonomia statutaria regionale in materia, riconosciuta dall'art. 123 Costituzione.
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Legge Regionale Piemontese sul riordino delle Province e sulla
Città Metropolitana di Torino
di Matteo Cannonero
Il Consiglio Regionale del Piemonte ha approvato la legge regionale “Riordino delle funzioni
amministrative conferite alle in attuazione della Legge 7 aprile 2014, n. 56” (cd. legge Delrio) . Il
nuovo assetto regionale degli enti intermedi sarà composto: dalla Città Metropolitana di Torino;
dagli Enti di Area Vasta del Cuneese, del Verbano-Cusio-Ossola (unendo le attuali Province di
Novara, Vercelli, Biella e Verbania) e di Alessandria (fondendo le attuali Province di Alessandria
ed Asti), così come da art. n. 3 della Legge regionale piemontese 29 ottobre 2015, n. 23.
In base all’art. 8 della predetta legge regionale, sono riallocate in capo alla Regione le funzioni già
esercitate dalle province e dalla Città metropolitana prima dell’entrata in vigore della presente legge
limitatamente alle materie ed alle norme richiamate nell’allegato A e fatte salve le funzioni delegate
di cui all’articolo 5, comma 3, lettera a) e, nello specifico, nei seguenti settori: agricoltura; cultura e
turismo; pianificazioni attività estrattive; edilizia residenziale pubblica; energia; politiche sociali;
formazione professionale e politiche del lavoro. Tale articolo si completa con questa frase: “al fine
di garantire l’unitarietà dell’esercizio e provvedere al completamento del riordino in materia, sono
riallocate, altresì, alla Regione le funzioni amministrative in materia di agricoltura già trasferite alle
province ed esercitate dalle comunità montane ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale 8 luglio
1999, n. 17 (Riordino dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di agricoltura,
alimentazione, sviluppo rurale, caccia e pesca), in virtù della specificità territoriale”.
Ai nascenti Enti di Area Vasta rimarranno in capo le funzioni amministrative e quelle che sono state
definite “fondamentali” ossia quelle connesse alla pianificazione territoriale; ai trasporti e viabilità;
alla rete scolastica; all’assistenza degli enti locali; alle pari opportunità; all’ambiente e alla
protezione civile. Per quanto concerne la funzione ambientale, le attuali Guardie Provinciali
manterranno sempre questa denominazione, pur passando sotto il controllo delle Regione che, di
conseguenza, si caricherà anche dei rispettivi costi di gestione. Rispetto alla legge Delrio, la legge
regionale stabilisce alcune differenze fra gli Enti di Area Vasta: la Città Metropolitana di Torino
avrà maggiori e rafforzati poteri in materia ambientale e riguardo alla formazione professionale;
Parole chiave: Regione Piemonte, riforma Delrio, Province, Città Metropolitana
Riferimenti normativi principali: Legge n.56 del 7 aprile 2014, Legge regionale Piemonte 29
ottobre 2015, n. 23
LINK AL TESTO DI LEGGE REGIONALE
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mentre l’Ente del Verbano, proprio per la sua peculiarità montagnosa e per il fatto di confinare con
la Confederazione Elvetica, potrà godere degli stessi vantaggi, poteri e funzioni della Città
Metropolitana. Si segnala che in sostanza la provincia montana è equiparata alla città metropolitana,
equiparazione forse non coerente all’impostazione della legge Delrio. Nei dettagli, la legge
approvata (Riordino delle funzioni amministrative conferite alle Province in attuazione della legge 7
aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di
comuni)) si propone di dare una prima attuazione al processo avviato dalla cosiddetta Legge Delrio
(legge n.56 del 7 aprile 2014) in tema di Province e Città metropolitane. Approvata il 20 luglio dalla
Giunta regionale, la legge ha iniziato il suo iter in Consiglio Regionale il 7 settembre scorso, con le
consultazioni, ed è stata licenziata dalla Prima Commissione (Affari Istituzionali) il 12 ottobre.
L’esame in Aula è iniziato martedì 13 ottobre e si è concluso con la promulgazione della Legge
regionale, il 29 ottobre.
Tornando al testo di legge, esso conferma in capo alle Province - che devono esercitarle in forma
associata attraverso gli ambiti ottimali - le funzioni già conferite con precedenti leggi regionali.
Sono altresì conferite le funzioni in materia di: energia (rilascio di autorizzazioni alla costruzione ed
esercizio di gasdotti e oleodotti); attività estrattive (prima in capo ai Comuni) e in materia di acque
minerali e termali (ad eccezione della polizia mineraria). Gli ambiti ottimali previsti dalla legge, son
quelli in cui il territorio piemontese sarà ridisegnato: tre aree vaste e la Città metropolitana di
Torino. Altresì, la Legge regionale prevede che possano essere individuate funzioni che, per ragioni
di efficienza organizzativa, debbano essere esercitate in forma associata accorpando due o più
ambiti ottimali. Le funzioni in materia di trasporto pubblico sono obbligatoriamente gestite in forma
associata attraverso l’Agenzia della mobilità piemontese, mentre quelle in materia di protezione
civile - stante le peculiarità della funzione e del territorio piemontese - sono esercitate dalle
Province in forma singola. Le funzioni di organizzazione e controllo diretto del servizio di gestione
integrata dei rifiuti urbani sono attribuite alla Città Metropolitana e alle Province, che le esercitano
in forma associata nei modi e nei tempi previsti da apposita legge di settore, da approvarsi entro un
anno.
La Città Metropolitana di Torino (che comprende tutto il territorio della provincia), prevista in
Costituzione e mai attuata, è riconosciuta quale ente di area vasta con finalità di governo e di
sviluppo strategico del territorio. Oltre ad esercitare le funzioni fondamentali assegnate dalla legge
Delrio e quelle di competenza delle province, alla Città Metropolitana vengono delegate la
formazione professionale e, in materia di ambiente, la rete Natura 2000, e ad essa sono attribuite
anche specifiche funzioni in materia di usi civici.
13
Il Verbano-Cusio-Ossola, in quanto territorio montano confinante con Paesi esteri, si vede
riconosciuta una particolare specificità, riconosciuta dalla Delrio, per funzioni amministrative in
materia di foreste, attività estrattive, usi civici e formazione professionale legata ai fabbisogni dei
lavoratori transfrontalieri. Inoltre esercita in forma singola le funzioni relative alle autorizzazioni
degli impianti a biomassa.
La decorrenza delle funzioni oggetto di riordino sarà quella del 31.12.2015. Parimenti, anche il
personale occupato nelle competenze riprese dalla Regione Piemonte transiterà nei ruoli regionali
analoghi.
Inoltre, l’art. 14, chiarisce che avendo già la Regione Piemonte diverse sedi decentrate presenti sul
territorio regionale, la Regione stessa e le province, entro sei mesi dall’entrata in vigore della
presente legge, predispongono un piano di razionalizzazione e successiva risoluzione dei contratti di
locazione e dismissione degli immobili.
14
Limiti all’incandidabilità di amministratori di Enti Locali condannati per danno
erariale di ente in dissesto (art. 248 TUEL)
di Marco Comaschi
La pronuncia n. 67/2015 della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti del Piemonte
rappresenta, per certi aspetti, il momento conclusivo dei giudizi instaurati innanzi il Giudice
contabile a carico degli ex amministratori1 del Comune di Alessandria a seguito delle note vicende
che portarono, nel luglio del 2012, alla dichiarazione di dissesto dell'Ente.
La citata sentenza fa seguito, infatti, all'azione promossa dalla Procura Regionale affinché
venisse dichiarata, in applicazione dell'art. 248 c.5 del TUEL, l'incapacità dei convenuti a ricoprire
per un periodo di dieci anni gli incarichi di Assessore, Revisore dei conti di Enti Locali e
rappresentante di Enti Locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati nonché, in
merito alla specifica posizione dell'ex Sindaco Fabbio, la carica di Sindaco, di Presidente della
Provincia, di Presidente della Giunta Regionale, nonché tutti gli altri incarichi analiticamente
specificati dalla disposizione così come formulata dal D.Lgs. n. 149/20112.
1 Sono stati convenuti in giudizio tutti gli amministratori condannati con la sentenza n. 6/2013, ossia l'ex Sindaco, i
membri della Giunta nonché i Consiglieri Comunali di maggioranza che approvarono il rendiconto per l'anno 2010. 2 L'Art. 6 del D. L. 149/2011 ha sostituito il comma 5 dell'articolo 248 del TUEL con il seguente: «5. Fermo restando
quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, gli amministratori che la Corte dei conti ha
riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti
il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di
revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e
privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che questo è diretta
conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l'amministratore è stato riconosciuto responsabile. I sindaci e i
presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un
periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di
membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del
Parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore
comunale, provinciale o regionale né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Qualora, a seguito
della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell'attività del collegio
Parole chiave: Corte dei conti, comune, amministratori locali, sindaco, responsabilità
amministrativo-contabile, finanza locale, patto di stabilità, dissesto, sanzioni accessorie,
interdizione dai pubblici uffici, incandidabilità, ineleggibilità, incompatibilità.
Riferimenti normativi: art. 1 L. 20/1994; art. 248 TUEL, artt. 28 e 479 c.p.; art. 10 D.L.
235/2012;
Massima: Gli ex amministratori del Comune di Alessandria, già condannati per danno erariale a
cui ha fatto seguito il dissesto dell’Ente, non sono in candidabili ai sensi dell’art. 248 TUEL.
Link al documento
15
L'azione trovava proprio fondamento nella pronuncia n. 6/2013 della Sezione Giurisdizionale
della Corte dei Conti con cui tutti i convenuti erano stati precedentemente riconosciuti responsabili,
quota parte, di un danno erariale complessivamente pari ad € 7.624.210,41 causato al Comune di
Alessandria nel 2011, ossia circa un anno prima della dichiarazione di dissesto dell'Ente.
A tal proposito va da subito precisato, per poter poi meglio comprendere l'ordito
motivazionale della pronuncia in esame, che gli ex amministratori alessandrini erano stati giudicati
e ritenuti responsabili unicamente per aver falsamente certificato l'avvenuto rispetto del Patto di
Stabilità interno per l'anno 2010, nonché per aver approvato lo schema ed il rendiconto consuntivo
per l'anno 2010, con la conseguente condanna a risarcire il danno erariale cagionato corrispondente
alla maggiore spesa sostenuta nell'esercizio successivo dall'Ente per non aver rispettato i parametri
imposti dal Patto.
Tale pronuncia, quindi, non ha accertato alcuna responsabilità in ordine al dissesto dell'Ente il
cui procedimento è stato anzi avviato, ai sensi dell'art. 6, c.2, del D. Lgs. 149/2011, proprio dopo
che vennero accertate le irregolarità per cui gli amministratori sono stati condannati dal Giudice
contabile3.
Ciò nonostante la Procura contabile ha comunque affermato sussistere un chiaro rapporto di
causalità tra l'illecito amministrativo-contabile accertato ed il dissesto dell'Ente civico, talché
ricorrerebbero gli estremi per l'applicazione della sanzione di cui all'art. 248 TUEL la quale, come
si è già accennato, è volta ad impedire che gli amministratori condannati per il dissesto dell'ente
possano assumere nuovamente negli anni immediatamente successivi ruoli strategici all'interno
degli enti locali4.
dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i componenti del
collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei
revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravità
accertata. La Corte dei conti trasmette l'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di appartenenza dei
revisori per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari.». 3 Per un più ampio quadro sulle procedure di dissesto si vedano ALBO, La dichiarazione di dissesto finanziario negli
enti locali. Prospettive di riforma, in Azienditalia n. 1/2011; Il dissesto finanziario negli enti locali alla luce del decreto
legislativo n. 149/2011, in Azienditalia, 2012, 3, 233; La procedura di riequilibrio finanziario pluriennale e la
prevenzione del dissesto, in www.lexitalia.it; MORGANTE, I nuovi presidi della finanza regionale e il ruolo della
Corte dei conti nel decreto legge n. 174 del 2012, in www.federalismi.it. 4 La sanzione de qua va correttamente inquadrata nell'ambito di quell'evoluzione normativa che ha interessato la
materia del dissesto degli enti locali nell'ultimo decennio e che, in larga parte, è dipesa dalla sempre maggiore frequenza
con cui gli enti locali – non riuscendo a far fronte, in molti casi, all'esigenza di adottare politiche economiche di rigore –
divengono insolventi. Per tale ragione sono state previste misure – quali i poteri di impulso o, addirittura, sostitutivi
riconosciuti alla Corte dei Conti in funzione di controllo – volte a scongiurare che l'incapacità delle amministrazioni
locali di affrontare adeguatamente i problemi economici degli enti locali porti ad un irreversibile deterioramento delle
condizioni finanziarie e gestionali degli enti stessi. D'altra parte va anche detto che, pur esistendo allo stato attuale
obiettive difficoltà a far quadrare i conti dei Comuni e delle Province, non sempre gli amministratori locali possono
essere considerati estranei alle crisi finanziarie degli enti locali ed, anzi, non va nascosto come in alcuni casi si possano
configurare vere e proprie ipotesi di mala gestio dell'Ente. Per tale ragione il legislatore ha dapprima riformulato, con
l'art. 6 c. 2 del D.Lgs. 149/2011, l'art. 248 comma 5 del TUEL ampliando il novero ruoli elettivi o indirettamente
ricollegabili agli enti locali per cui è prevista la sanzione dell'inibizione a ricoprire dette cariche e, più recentemente, è
16
Da questo punto di vista è quindi evidente come questa interdizione accessoria risponda ad
una duplice finalità: non solo sanzionatoria ma anche deterrente ed inibitoria, ossia volta a tutelare il
patrimonio pubblico, latamente inteso, rispetto ad ulteriori, possibili episodi di cattiva gestione delle
risorse collettive5.
Alla richiesta di condanna avanzata dal Procuratore Regionale hanno fatto seguito le
deduzioni difensive dei convenuti con cui è stato eccepito in sintesi che, da un lato, la dichiarazione
di dissesto poteva essere evitata e che questa è stata quindi una scelta discrezionale della nuova
Amministrazione e, dall'altro, che difetta in modo palese l'imprescindibile nesso di causalità
immediato, diretto ed esclusivo tra le azioni od omissioni accertate con la sentenza n. 6/2013 ed il
verificarsi del dissesto.
Le difese si concentrano, infatti, sull'evidenziare come la norma vigente all'epoca dei fatti
prevedesse l'irrogazione della sanzione solo ove la Corte avesse accertato che il dissesto “ è diretta
conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l'amministratore è stato riconosciuto
responsabile” e non anche, come poi previsto dal D.L. 174/2012, a tutti gli “amministratori che la
Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con
condotte, dolose o colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario”.
Così definito il perimetro del giudizio la Corte prende posizione, innanzitutto,
sull'inconferenza delle osservazioni svolte dalle difese circa l'asserita volontà della nuova
Amministrazione del Comune di dichiarare dissesto nonostante vi fossero le condizioni per evitarlo.
Il Collegio evidenzia come non gli competa di appurare, con prognosi postuma, se vi fossero
le condizioni per evitare la sopra citata dichiarazione.
Anzi, la Sezione Giurisdizionale ricorda che la procedura prevista dal TUEL per giungere alla
dichiarazione di dissesto è tale per cui, in linea di principio, quest'ultima determinazione assumerà
carattere vincolato laddove sia stata verificata la sussistenza dei presupposti individuati dal
legislatore6.
ulteriormente intervenuto con l'art. 3, c. 1, lett. s) del D. L. 174/2012 estendendo l'applicabilità della sanzione non solo a
coloro che si sono direttamente resi responsabili del dissesto ma anche a coloro che abbiano più semplicemente
contribuito, con condotte dolose o gravemente colpose, alla crisi dell'ente. 5 L'attribuzione di questo importante potere sanzionatorio alla Corte dei conti, così come definito dagli ultimi
interventi legislativi, conferma, da un lato, la tendenza ad espandere il ruolo del giudice contabile e, dall'altro, quello di
introdurre sempre più spesso specifiche sanzioni accessorie a carico degli amministratori locali. 6 Sui presupposti del dissesto cfr., Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 16 gennaio 2012 n. 143, secondo cui la decisione
di dichiarare lo stato di dissesto finanziario non è frutto di una scelta discrezionale dell'ente, rappresentando piuttosto
una determinazione vincolata (ed ineludibile) in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge. Conseguentemente
lo stesso sindacato giurisdizionale del G.A. sulla delibera di dichiarazione di dissesto dell'ente locale è necessariamente
incentrato sulla verifica del corretto esercizio del potere (di azione) in ordine all'accertamento dei presupposti di fatto
previsti dalla legge.
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Alle predette considerazioni va inoltre aggiunto che, nel caso di specie, la procedura di
dichiarazione del dissesto era stata avviata proprio dalla competente Sezione di controllo della
Corte dei Conti che, dopo aver verificato sussistere gravi irregolarità contabili e finanziarie nella
gestione dell'Ente, accertava il perdurante inadempimento nell'adottare misure correttive e
certificava sussistere le condizioni previste dall'art. 244 del TUEL per la dichiarazione dello stato di
dissesto finanziario7.
Pertanto, sotto questo profilo, le argomentazioni dedotte dalle difese circa la discrezionalità
con cui la nuova Amministrazione aveva assunto la determinazione di dissesto non potevano,
evidentemente, che essere respinte.
Stando così le cose la Corte viene, quindi, a verificare la sussistenza dei tre presupposti
indicati dall'art. 248 TUEL per poter adottare la sanzione interdittiva accessoria, ossia l'esistenza di
una dichiarazione di dissesto, l'avvenuta condanna per danni cagionati dagli amministratori nei
cinque anni precedenti la sua dichiarazione nonché l'esistenza del rapporto di causalità tra i due
eventi.
Mentre i primi due elementi vengono agevolmente riscontrati, il Collegio si sofferma a
valutare attentamente l'esistenza del prescritto nesso causale dato che, nella formulazione in allora
vigente dell'art. 248 TUEL il dissesto doveva essere stato diretta conseguenza delle azioni od
omissioni per le quali l'amministratore era già stato riconosciuto responsabile.
Norma che, come confermato tra l'altro dal successivo intervento legislativo apportato con il
D.L. 174/2012, dev'essere interpretata restrittivamente nel senso per cui è necessario che le azioni
imputabili all'amministratore abbiano costituito l'unica causa, o quella di gran lunga prevalente, del
successivo stato di insolvenza dell'Ente.
Nel siffatto quadro esegetico la Corte, al fine di verificare l'esistenza di un nesso causale
immediato e diretto, si chiede, da un lato, quale sia stata l'incidenza del danno provocato dagli
amministratori rispetto alle spese di bilancio relative al 2011 e, dall'altro, quale fosse la situazione
finanziaria del Comune al termine dell'esercizio 2010.
7 I principali passaggi della procedura di dichiarazione del dissesto sono stati i seguenti:
- Delibera n. 279/2011 con cui la Sezione di controllo della Corte dei conti rilevava numerose anomalie ed
irregolarità nella gestione contabile e finanziaria dell'Ente, nonché una complessiva situazione di criticità
finanziaria;
- Delibera n. 12/2012 con cui la Sezione di controllo della Corte dei conti ha accertato la mancata adozione di
misure correttive idonee a superare le criticità rilevate;
- Delibera della Giunta Comunale n. 124/2012 con cui è stata approvata una relazione di ricognizione ed un
programma di ripianamento degli equilibri di bilancio;
- Delibera n. 260/2012 della Sezione di controllo della Corte dei conti con cui si accerta sussistere le condizioni per
la dichiarazione di dissesto;
- Delibera del Consiglio Comunale n. 61/2012 con cui viene dichiarato il dissesto dell'Ente.
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Quanto al primo parametro viene rilevato che il nocumento generato dalla condotta degli
amministratori imputati, in termini di maggiori spese dovute al mancato rispetto del Patto di
Stabilità interno, rappresenta circa il 9% delle spese finali.
Il medesimo rapporto ricorre, peraltro, tra danno erariale cagionato e importo del disavanzo
complessivamente accumulato sino al 2011, dato che mette in risalto come già al termine
dell'esercizio 2010 il Comune versasse in un gravissimo squilibrio finanziario maturato negli anni
precedenti.
Tali elementi portano la Corte ad affermare, in conclusione, che la dichiarazione di dissesto
del Comune di Alessandria “non è stata diretta conseguenza del danno provocato dai convenuti, ma
affonda le proprie radici nel passato, in funzione di un progressivo ed inarrestabile deterioramento
della situazione economico-finanziaria” del Comune tanto che, in realtà, “i comportamenti posti in
essere dagli amministratori dell'Ente civico in rassegna, oggetto della pronuncia di questa sezione
Giurisdizionale n. 6/2013, certamente non hanno determinato il dissesto, ma hanno integrato, al
contrario, il tentativo velleitario di guadagnare tempo dissimulando la gravissima e cronica
situazione finanziaria in cui versava da molti anni l'Ente locale”.
Pertanto il Collegio ritiene, in definitiva, inapplicabile agli amministratori imputati la
sanzione interdittiva accessoria di cui all'art. 248 TUEL.
La pronuncia presa in esame e qui sopra sintetizzata, pienamente condivisibile sotto il profilo
logico e giuridico, offre alcuni importanti spunti riflessivi.
Innanzitutto emerge, con palmare evidenza, la difficoltà a creare una dipendenza giuridica
chiara ed efficace della sanzione interdittiva accessoria de qua ad una fattispecie, per sua stessa
natura complessa, come quella del dissesto di un ente pubblico.
In più si aggiunga che, in un caso come quello di specie, ove le dimensioni dell'Ente
dissestato sono tutt'altro che modeste, una crisi economico-finanziaria così grave da considerarsi
irreversibile non può certamente essere causata da un'incauta gestione di un singolo esercizio ma, al
contrario, avrà uno sviluppo pluriennale tanto da poter, con ogni probabilità, coprire un arco
temporale maggiore di una sola legislatura e quindi interessare anche amministrazioni – ed
amministratori – differenti.
E, ovviamente, tante più saranno le cause concorrenti al dissesto dell'ente tanto meno si
potranno individuare, con certezza, i responsabili dell'evento.
Proprio per queste ragioni il presupposto in allora previsto dall'art. 248 TUEL, per
l'applicazione della sanzione interdittiva accessoria, della necessità di dimostrare una “diretta
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conseguenza” del dissesto dalle azioni od omissioni per le quali l'amministratore è stato condannato
riduceva drasticamente, di fatto, l'ambito applicativo della sanzione stessa.
Sotto questo profilo va quindi riconosciuto che la nuova formulazione della norma prevista
dall'art. 3, c.1, lett. s) del D.L. 174/2012, la quale prevede ora la possibilità di limitare il diritto di
elettorato passivo anche nel caso in cui si sia semplicemente contribuito, con le proprie condotte, al
verificarsi del dissesto pare più confacente alla complessità dell'evento “dissesto” ed attribuisce
effettività allo strumento sanzionatorio.
Non va tralasciato, però, come permangano i limiti intrinsechi all'efficacia della sanzione
dovuti alla necessità della preventiva condanna dell'amministratore ed alla dichiarazione di dissesto
dell'Ente: le fisiologiche tempistiche sia del processo contabile che della procedura di dissesto non
permetteranno, con ogni probabilità, di giungere in tempi rapidi all'interdizione degli amministratori
responsabili tanto che gli stessi, nelle more, potranno candidarsi nuovamente, anche riproponendosi
alla guida dello stesso ente dissestato.
Il caso analizzato richiede, poi, un approfondimento in ordine ai limiti dettati dal requisito
della preventiva condanna per fatti che – secondo la norma in allora vigente – dovevano essere in
poche parole la causa unica o prevalente del dissesto.
Ed in effetti, come si è già precedentemente accennato, la Sezione Giurisdizionale ha statuito
che i fatti per cui gli amministratori convenuti erano stati precedentemente condannati dal giudice
contabile non rappresentano, di per se stessi, la causa principale del dissesto.
Ciò, peraltro, non vuole affatto dire che la Corte abbia affermato che gli imputati non hanno
avuto alcuna responsabilità in ordine al dissesto del Comune.
A tal riguardo va precisato che il Collegio, nel indicare come la crisi finanziaria dell'Ente trovi
le sue radici più profonde nelle gestioni precedenti al 2011, richiama parzialmente l'approfondita
analisi svolta dalla Sezione di controllo nell'ambito della procedura di dissesto ove, in sintesi, era
stato rilevato che lo squilibrio della gestione corrente era divenuto stabile dal 2005 mentre il
disavanzo di amministrazione era costante dal 2007.
Peraltro, se si incrociano questi riferimenti temporali con i mandati amministrativi comunali,
si può constatare che è proprio nel 2007 che l'ex Sindaco – al pari di altri amministratori convenuti
– era entrato in carica.
A ben vedere, quindi, il fatto che ai convenuti debba essere ricondotta la gestione di tutti i 5
esercizi precedenti alla dichiarazione di dissesto in cui il disavanzo di amministrazione è divenuto
costante induce, senza neppure entrare nell'approfondita e presupposti analisi svolta dalla Sezione di
20
controllo, a ritenere del tutto inappropriato ogni tentativo di leggere la sentenza in oggetto come una
attestazione di totale “estraneità” degli amministratori rispetto all'evento dissesto8.
Al contrario, invece, va evidenziato come sotto il profilo processuale sia stato proprio il limite
del precedente giudicato di condanna – inerente solo alcuni atti del 2011 – a pregiudicare uno
scrutinio più ampio del giudice che coinvolgesse anche fatti antecedenti alla luce del quale si
sarebbe probabilmente giunti all'irrogazione della sanzione.
Parallelamente va anche evidenziato che, laddove gli amministratori fossero stati giudicati,
anche per i soli fatti del 2011, secondo l'attuale formulazione dell'art. 248 TUEL ne sarebbe
ugualmente conseguita una sentenza di condanna.
In ultimo, per quanto attiene alla concreta capacità dell'ordinamento giuridico di limitare il
diritto di elettorato passivo di quegli amministratori che si sono resi responsabili del dissesto di un
ente, pare interessante “incrociare” le risultanze dei processi di responsabilità amministrativo-
contabile con quelle del processo penale. Va, infatti, ricordato che il Sindaco è stato condannato
dalla Corte dei Conti per il danno arrecato dall'aver falsamente certificato l'avvenuto rispetto del
Patto di stabilità interno per l'anno 2010, fatto che, allo stesso tempo, è stato riconosciuto integrare
– con la sentenza del 29.4.2015, n. 626 del Tribunale di Alessandria – il reato di falso ideologico
per il quale l'ex Sindaco è stato condannato a 3 anni di reclusione ed interdetto per cinque anni, a
norma dell'art. 28 c.p., dai pubblici uffici.
D'altronde, al di là del caso concreto preso in analisi, è chiaro come possa non essere
infrequente che alla responsabilità per danno erariale si accompagni, a carico degli amministratori,
anche una condanna penale.
A ciò si aggiunga che, qualora la condanna divenisse definitiva, scatterebbe anche l'ipotesi di
incandidabilità prevista dall'art. 10 del D. Lgs. n.235/2012, emanato in base alla delega contenuta
nella L. n. 190/2012, meglio conosciuta come legge “Severino”.
Così stando le cose, benché le finalità proprie dei differenti istituti richiamati debbano essere
tra loro tenute distinte, va riconosciuto come nel loro complesso gli strumenti inibitori ed interdittivi
previsti dal legislatore – così come rafforzati negli ultimi anni – stringano abbastanza bene le
maglie permettendo in concreto di evitare che coloro i quali si sono resi responsabili del dissesto di
un ente possano nuovamente partecipare alla gestione della Res pubblica.
8 Come ci si poteva attendere la sentenza, dato che il caso del dissesto alessandrino ha assunto notevole rilievo
politico ed amministrativo, è stata subito letta in maniera volutamente distorta dagli interessati, per cui secondo l'ex
sindaco questa pronuncia "dimostra come non siamo stati noi a creare il dissesto. Non c'è bisogno che lo dica io,
adesso lo ha sancito anche la Corte dei Conti.”, dichiarazione reperibile su www.radiogold.it.
21
L'Autorità di Regolazione dei Trasporti ad un anno dalla sua costituzione
di
Marc
o
Com
aschi
Nel corso del 2014 è finalmente divenuta operativa l'Autorità di Regolazione dei Trasporti,
istituita ai sensi dell’art. 37 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 e formalmente insediatasi a
Torino il 17 settembre 2013.
Il primo anno di attività è stato dedicato, com'era ovvio, prevalentemente agli aspetti
organizzativi interni all'Autorità nonché alla definizione degli atti propedeutici alla successiva
attività di vigilanza e regolazione sul settore dei trasporti che, peraltro, sta prendendo forma in
questi primi mesi del 2015.
Nonostante ciò si ritiene quanto mai utile svolgere una breve disamina delle determinazioni ad
oggi assunte dall'Autorità con le quali, come si esporrà meglio nel prosieguo, sono già state in gran
parte definite le linee di operatività della nuova Amministrazione indipendente.
Per tale ragione occorre premettere, avanti a tutto, un breve inquadramento, sotto il profilo
istituzionale, dell'Autorità di cui si tratta.
1. L'Autorità di Regolazione dei Trasporti
All'interno del più ampio novero delle Amministrazioni indipendenti ed i prospettati dubbi
sulla legittimità costituzionale della sua istituzione.
L'Authority torinese rappresenta una delle – ormai numerose – autorità amministrative
indipendenti che, a partire dagli anni Novanta, hanno avuto larga diffusione nel nostro sistema
istituzionale sulla scia di quell'evoluzione del rapporto tra mercato e Stato per cui quest'ultimo ha
lentamente abbandonato ogni tentativo di intervenire direttamente sull'economia andando ad
assumere, invece, il diverso ruolo di arbitro e regolatore.
Parole chiave: Autorità amministrative indipendenti, Autorità di Regolazione dei
Trasporti, vigilanza, regolazione, servizi pubblici, trasporto pubblico locale,
liberalizzazione, consultazioni, carta dei servizi, regolamenti, passeggeri, reclamo,
sanzioni, trasporto ferroviario, autobus, diritti aeroportuali, taxi.
Riferimenti normativi: Art. 117 Cost.; Art. 37 decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201;
Art. 37 decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1; Legge 14 novembre 1995, n. 481
22
Peraltro l'istituzione di tali enti è avvenuta in carenza non solo di una specifica copertura
costituzionale9 ma, addirittura, di un disegno legislativo organico, talché la loro sistematizzazione è
oggi il frutto di un'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale10.
Nel silenzio del legislatore sono stati così individuati alcuni caratteri distintivi delle Autorità
indipendenti e, segnatamente: 1) l'indipendenza dall'esecutivo; 2) l'elevata competenza tecnica dei
componenti; 3) la preposizione a settori “sensibili”; 4) la posizione di neutralità e di imparzialità11.
Cionondimeno le Autorità amministrative indipendenti debbono poi essere, a loro volta,
suddivise in Autorità di garanzia, aventi il precipuo compito di applicare le norme e di decidere i
casi singoli, ed Autorità di regolazione e vigilanza le quali, al contrario, svolgono una vera e propria
funzione normativa12 a cui si accompagna la successiva vigilanza sul rispetto delle regole e delle
condizioni così poste.
L'attribuzione della potestà regolamentare costituisce la manifestazione più significativa
dell'indipendenza delle citate autorità, traducendosi nel riconoscimento della possibilità di
determinare direttamente le modalità di espletamento dell'attività di regolazione e di controllo dei
settori alla cui salvaguardia le stesse sono preposte.
Il riconoscimento di poteri normativi in senso tecnico ha suscitato seri problemi di
compatibilità costituzionale13 che, sul piano giuridico, a fronte del silenzio del legislatore sono stati
9 Sulla compatibilità costituzionale delle Aai sono state manifestate numerose perplessità. In tal senso F. DONATI, Le
Autorità indipendenti tra diritto comunitario e diritto interno, in Dir. Un. Eur., 2006, 1, pag. 27 ss. Ciononostante
risultano oggi prevalere le tesi che reputano costituzionalmente legittime le Autorità e che trovano sostegno, in un
quadro costituzionale e normativo del tutto carente, nella disciplina comunitaria che, in più momenti ed a riguardo di
differenti settori dell'economia, ha più volte previsto l'istituzione di specifiche autorità – di garanzia o regolazione –
dotate di indipendenza. Sul punto si rinvia a V. CERULLI IRELLI, I poteri normativi delle Autorità amministrative
indipendenti, pag. 9, pubblicato on-line su www.astrid-online.it 10 Tra la dottrina in materia si veda G. MORBIDELLI, Sul regime amministrativo delle amministrazioni indipendenti,
in Le amministrazioni indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici, a cura di A. Predieri, Firenze, Passigli,
1997; e in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Torino, Giappichelli, 2001; M. D'ALBERTI, A. PAJNO (a cura
di ), Arbitri dei mercati, Le Autorità indipendenti e l'economia, il Mulino, 2010.
Specificamente sul problema della mancanza di una disciplina legislativa organica nonché sugli ampi margini di
discrezionalità lasciati dalla legge alle Autorità indipendenti si veda M. CLARICH, Le Autorità indipendenti tra
regole, discrezionalità e controllo giudiziario, in Foro Amm., TAR, 2002, 11, p. 3860. 11 Cons. Stato, parere 25.2.2011, n. 872.
Come correttamente osservato il fondamentale connotato dell'indipendenza viene peraltro ad assumere in merito alle
Aai un significato costituzionalmente improprio dato che nella nostra Carta il termine indipendenza è utilizzato a
riguardo delle sole magistrature (artt. 100, 104) mentre per le prime indica unicamente la non soggezione alla
direzione politica del Governo, V. CERULLI IRELLI, I poteri normativi delle Autorità amministrative indipendenti,
pag. 2, pubblicato on-line su www.astrid-online.it 12 Sul potere normativo delle autorità indipendenti si vedano F. CINTIOLI, Potere regolamentare e sindacato
giurisdizionale, Torino, Giappichelli, 2007, p. 107 ss.; S. MARZUCCHI, Regolamenti delle autorità indipendenti, in
Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 2006; S. SANTOLI, Principio di legalità e
potestà regolamentare delle autorità amministrative indipendenti, in «Giur.Cost»., 2003; F. POLITI, Regolamenti
delle autorità amministrative indipendenti, in «Enc. Giur.», 2001. 13 V. CERULLI IRELLI, I poteri normativi delle Autorità amministrative indipendenti, pag. 2, pubblicato on line su
www.astrid-online.it, sostiene che l'attribuzione di poteri normativi a dette nuove Autorità, non ancora
istituzionalizzate e comunque del tutto disancorate dal circuito della legittimazione politica, si riflettono anche
sull'assetto della forma di governo che, fors'anche per questo fatto, non sarebbe più ascrivibile in senso pieno alla
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in parte risolti dal Giudice Amministrativo14 il quale ha affermato esistere, quale fattore di
legittimazione, un vero e proprio “policentrismo normativo”.
Nel novero di queste ultime dev'essere certamente collocata anche l'ART, istituita solo nel
2011 ma pur sempre riconducibile nell'ambito delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica
utilità di cui alla legge 481/1995.
Le funzioni attribuite all'Autorità di regolazione dei trasporti oltre ad essere numerose sono,
soprattutto, tra loro molto varie15, e ciò anche in ragione del fatto che le sue competenze interessano
forma di governo parlamentare.
14 Ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 11.11.2008, n. 5622; Cons. Stato, Sez. atti normativi, parere 14.2.2005, n.
11603. 15 L'art. 37, c.2, del D.L. 6-12-2011 n. 201 stabilisce in particolare che l'Autorità provvede:
a) a garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il
contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie
alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali...omissis;
b) a definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza effettivamente esistenti nei singoli
mercati dei servizi dei trasporti nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle
tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell'esigenza di assicurare l'equilibrio economico delle imprese
regolate, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori;
c) a verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b);
d) a stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio
pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta;
e) a definire, in relazione ai diversi tipi di servizio e alle diverse infrastrutture, il contenuto minimo degli specifici
diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi e delle
infrastrutture di trasporto...omissis;
f) a definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle
convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare e a stabilire i criteri per la nomina delle commissioni
aggiudicatrici; con riferimento al trasporto ferroviario regionale, l'Autorità verifica che nei relativi bandi di gara
non sussistano condizioni discriminatorie o che impediscano l'accesso al mercato a concorrenti potenziali e
specificamente che la disponibilità del materiale rotabile già al momento della gara...omissis;
g) con particolare riferimento al settore autostradale, a stabilire per le nuove concessioni sistemi tariffari dei
pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell'indicatore di produttività X a cadenza
quinquennale per ciascuna concessione...omissis;
h) con particolare riferimento al settore aeroportuale, a svolgere ai sensi degli articoli da 71 a 81 del decreto-legge
24 gennaio 2012, n. 1, tutte le funzioni di Autorità di vigilanza istituita dall'articolo 71, comma 2, del predetto
decreto-legge n. 1 del 2012, in attuazione della direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
dell'11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali;
i) con particolare riferimento all'accesso all'infrastruttura ferroviaria, a svolgere tutte le funzioni di organismo di
regolazione di cui all'articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, e, in particolare, a definire i criteri
per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell'infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e
della capacità e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dell'infrastruttura;
l) l'Autorità, in caso di inosservanza di propri provvedimenti o di mancata ottemperanza da parte dei soggetti
esercenti il servizio alle richieste di informazioni o a quelle connesse all'effettuazione dei controlli, ovvero nel caso
in cui le informazioni e i documenti non siano veritieri, può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie...omissis;
m) con particolare riferimento al servizio taxi, a monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del
servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri
di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti. Comuni e regioni,
nell'ambito delle proprie competenze, provvedono, previa acquisizione di preventivo parere da parte dell'Autorità,
ad adeguare il servizio dei taxi, nel rispetto dei seguenti principi:
1) l'incremento del numero delle licenze ove ritenuto necessario anche in base alle analisi effettuate dalla Autorità
per confronto nell'ambito di realtà europee comparabili, a seguito di un'istruttoria sui costi-benefici anche
ambientali, in relazione a comprovate ed oggettive esigenze di mobilità ed alle caratteristiche demografiche e
territoriali, bandendo concorsi straordinari in conformità alla vigente programmazione numerica, ovvero in deroga
ove la programmazione numerica manchi o non sia ritenuta idonea dal comune ad assicurare un livello di offerta
adeguato, per il rilascio, a titolo gratuito o a titolo oneroso, di nuove licenze da assegnare ai soggetti in possesso
dei requisiti stabiliti dall'articolo 6 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, fissando, in caso di titolo oneroso, il relativo
importo ed individuando, in caso di eccedenza delle domande, uno o più criteri selettivi di valutazione automatica o
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i differenti settori del trasporto ferroviario, del trasporto pubblico locale, del trasporto con taxi, delle
autostrade e degli aeroporti.
Anzi, a ben vedere è stata proprio l'ampiezza delle competenze riconosciute all'ART
nell'ambito dei trasporti che ha motivato uno specifico problema di compatibilità costituzionale
della stessa Autorità rispetto al riparto della competenza legislativa prevista dall'art. 117 della
Costituzione secondo cui, va ricordato, la materia del trasporto pubblico locale viene disciplinata
dalle Regioni.
Per tale motivo infatti la Regione Veneto ha impugnato direttamente l'art. 36, c. 2, D.L.
24.1.2012, n.1, concernente l'istituzione, la natura, la composizione dell'Autorità di Regolazione dei
Trasporti in quanto detta disposizione inciderebbe illegittimamente sulle proprie competenze, così
alimentando ulteriormente le già numerose incertezze circa il potenziale intreccio tra Autorità
indipendenti e competenze degli enti territoriali16.
Ciononostante la Corte Costituzionale ha confermato, con la sentenza 15 marzo 2013, n.41, la
legittimità della disciplina nazionale istitutiva dell'ART facendo espressamente leva sulla
prevalenza della materia – statale e trasversale – della tutela della concorrenza ed affermando, al
contempo, che “non vi è ragione di ritenere che le Autorità di tale natura...possano produrre
alterazioni dei criteri costituzionali in base ai quali viene ripartito l'esercizio delle competenze
amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali”17.
Peraltro va riconosciuto che, nell'ambito delle già citate difficoltà di inquadramento
istituzionale delle Autorità amministrative indipendenti, vengono qui ad aggiungersi i dubbi sulla
immediata, che assicurino la conclusione della procedura in tempi celeri. I proventi derivanti dal rilascio di licenze
a titolo oneroso sono finalizzati ad adeguate compensazioni da corrispondere a coloro che sono già titolari di
licenza;
2) consentire ai titolari di licenza d'intesa con i comuni una maggiore libertà nell'organizzazione del servizio sia
per fronteggiare particolari eventi straordinari o periodi di prevedibile incremento della domanda e in numero
proporzionato alle esigenze dell'utenza, sia per sviluppare nuovi servizi integrativi come il taxi ad uso collettivo o
altre forme;
3) consentire una maggiore libertà nella fissazione delle tariffe, la possibilità di una loro corretta e trasparente
pubblicizzazione a tutela dei consumatori, prevedendo la possibilità per gli utenti di avvalersi di tariffe
predeterminate dal comune per percorsi prestabiliti;
4) migliorare la qualità di offerta del servizio, individuando criteri mirati ad ampliare la formazione professionale
degli operatori con particolare riferimento alla sicurezza stradale e alla conoscenza delle lingue straniere, nonché
alla conoscenza della normativa in materia fiscale, amministrativa e civilistica del settore, favorendo gli
investimenti in nuove tecnologie per l'efficientamento organizzativo ed ambientale del servizio e adottando la carta
dei servizi a livello regionale...omissis". 16 S. NICODEMO, Le Autorità indipendenti dopo la riforma del titolo V, in Quaderni Costituzionali, 2002, 3, p. 607. 17 La pronuncia della Corte Costituzionale si basa, in larga parte, sulla precedente sentenza 27.3.2009, n. 88 relativa
all'Autorità per l'energia elettrica e il gas. La Consulta sviluppa inoltre un ulteriore ed interessante ragionamento
secondo cui il principio di leale collaborazione permeerebbe unicamente i rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali
dotati di autonomia politica e non anche quelli con le Autorità indipendenti che, proprio per mantenere la propria
indipendenza, intesa quale terzietà, non possono intavolare meccanismi di stretta collaborazione con i predetti Enti.
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compatibilità di quello che sarà il concreto operare dell'Autorità, specie in ordine all'esercizio del
proprio potere regolamentare, rispetto alle competenze regionali18.
In merito, poi, alla composizione dell'Autorità questa risulta costituita da un organo collegiale
formato dal Presidente e da due Componenti nominati con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente e con il parere
favorevole di almeno due terzi dei componenti delle competenti commissioni parlamentari. Tutti i
Componenti dell'Autorità durano in carica sette anni e non sono rinnovabili.
L'ART risulta inoltre dotata di completa autonomia finanziaria dato che per fare fronte ai suoi
costi di funzionamento è stato istituito un contributo a carico dei gestori delle infrastrutture e dei
servizi regolati dalla stessa, in misura non superiore all'uno per mille del fatturato dell'ultimo
esercizio che verrà annualmente determinata dal Consiglio dell'Autorità con atto sottoposto ad
approvazione del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro dell'Economia e
delle Finanze. Da questo punto di vista viene quindi prevista per l'Autorità di regolazione dei
trasporti una disciplina di autofinanziamento del tutto simile a quella già prevista per l'Autorità per
l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico.
In sede di prima definizione del contributo, dovuto quindi per l'anno 2014, l'Autorità lo ha
fissato con la propria determina n. 9/2014 nella misura dello 0,4 per mille del fatturato risultante
dall'ultimo bilancio approvato. Inoltre è stata prevista l'esenzione per le imprese operanti nei settori
regolamentati che abbiano fatturato meno di 80 milioni di Euro.
2. Le attività svolte fino al 31.12.2014
Come già si è accennato le attività svolte nel corso del 2014 dall'ART risultano, in gran parte, volte
a gettare le basi su cui opererà poi ordinariamente l'Autorità.
Peraltro va anche riconosciuto che si è velocemente proceduto a dare il via a numerosi – quanto
interessanti – processi di cognizione e successiva regolazione dei settori interessati dai poteri
dell'ART.
Quanto, invece, ai poteri sanzionatori posti in capo all'Autorità si è registrato, com'era naturale,
unicamente l'avvio di alcuni procedimenti sanzionatori nel corso degli ultimi mesi. D'altra parte
18 Critici, sotto questo profilo, sono A. CARDONE, Autorità indipendenti, tutela della concorrenza e leale
collaborazione: troppi “automatismi” a danno dell'autonomia?”, pubblicato su www.formucostituzionale.it; G.
COZZOLINO, Il principio di leale collaborazione non si applica ai rapporti tra Autorità indipendenti e Regioni,
pubblicato su www.forumcostituzionale.it.
Sui dubbi avanzati a livello generale sulla compatibilità tra Autorità e competenze regionali si vedano M.
MANETTI, Regioni e Autorità in conflitto, in Giur. Cost., 2002, pag. 2826. P. BILANCIA, Autorità amministrative
indipendenti tra Europa, Stato e Regioni, in Quaderni Costituzionali, 2003, 1, p. 150.
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l'esercizio di tali poteri presuppone, di fatto, il preventivo esercizio dei poteri di consultazione e
regolazione.
Va anche detto che la stessa Autorità ha presentato al Parlamento una propria relazione annuale
sulle attività svolte. Questa, peraltro, come sottolinea la stessa Autorità, è stata stilata a soli dieci
mesi dalla sua costituzione ed a sei dalla entrata in operatività19. Tale documento, dunque,
ripercorre solo succintamente alcuni atti aventi natura organizzativa, ai quali viene anteposta una
ricognizione sui differenti settori dei trasporti in cui vengono forniti precisi dati economici – sia a
livello nazionale che in termini di comparazione con gli altri paesi U.E. – nonché descritti gli
specifici problemi regolatori già individuati. Per tale ragione la richiamata relazione, unitamente al
fatto che gran parte dell'attività di interesse è stata svolta dopo la sua presentazione, non risulta qui
di particolare interesse e, pertanto, si procederà ad una disamina diretta degli atti adottati – ed
adottandi – per comprendere come stia concretamente operando l'Autorità.
3. In particolare l'attività di consultazione
L'Autorità ha avviato, da subito, alcune importanti indagini conoscitive sui settori a lei sottoposti.
In particolare sono state dapprima avviate, con le delibere nn. 6 e 7 del 2014, le indagini sui settori
del servizio trasporto passeggeri e sull'accesso alle infrastrutture.
La prima è volta ad individuare – sui differenti servizi del t.p.l, del trasporto ferroviario regionale,
di quello marittimo e di quello aereo – la qualità dei servizi, le condizioni economiche nonché i
diritti degli utenti mentre la seconda manifesta chiaramente un obiettivo più specifico e ridotto,
mirato ad individuare eventuali fattori che ostacolano l'accesso alle infrastrutture ferroviari ed
aeroportuali e che, conseguentemente, pregiudicano nei fatti la libera concorrenza in detti settori.
Per entrambe è stata prevista la durata di 12 mesi dalla loro indizione, durante i quali l'Autorità
potrà avviare audizioni e consultazioni con i soggetti interessati, per cui i risultati delle
consultazioni non sono ancora reperibili.
A seguire l'Autorità ha poi dato corso ad altre importanti consultazioni, alcune delle quali
puntualmente focalizzate su una precisa tematica e, per le quali, sono stati previsti brevi termini per
la presentazione di osservazioni: tra queste si possono citare la consultazione nell’ambito del
procedimento sul tema dell’accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie, quella
sui modelli di regolazione dei diritti aeroportuali nonché quella sulle modalità operative e
procedurali di attuazione della disciplina sui diritti ed obblighi dei passeggeri nel trasporto
ferroviario contenuta nel Regolamento (CE) n. 1371/2007.
19 Reperibile su: http://www.autorita-trasporti.it/wp-content/uploads/2014/07/2_Primo-Rapporto-Annuale1.pdf
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Il dato che più colpisce, al di là delle singole questioni sollevate dagli intervenienti, è per l'appunto
quello relativo alla partecipazione dei soggetti interessati nei differenti campi: si riscontra infatti
una partecipazione piuttosto diffusa ed argomentata da parte degli operatori economici dei differenti
settori, mentre risulta limitata sia la partecipazione delle Regioni che quella delle associazioni
rappresentative degli utenti.
Più partecipate sono state, poi, le consultazioni indette per l'assegnazione in esclusiva dei servizi di
trasporto pubblico locale e, soprattutto, quella sulle modalità operative e procedurali di attuazione
della disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 181/2011
sui diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus ove, sono intervenuti numerosi enti
portatori di interessi diffusi.
Particolarmente numerosi sono stati poi gli interventi nell'ambito della consultazione indetta per lo
schema di bando di gara relativo all’affidamento della concessione di costruzione e gestione
dell’autostrada Modena - Brennero (A22): in questo caso hanno infatti presentato osservazioni gran
parte dei Comuni interessati dall'esecuzione dell'opera. Al di là del peculiare carattere della
consultazione, che certamente ha motivato l'intervento diretto da parte degli enti territoriali, va
peraltro rilevato come – probabilmente – la partecipazione in questa consultazione sia stata
agevolata dal fatto che per l'esecuzione di grandi opere esisteva già un sistema di confronto con gli
enti territoriali mentre l'indizione di consultazioni sulla regolazione dei servizi pubblici rappresenta,
in larga parte, un processo partecipativo nuovo.
4. Segue: l'attività di regolazione
L'esercizio dei propri poteri regolatori da parte dell'Autorità è stato in larga parte avviato – spesso
attraverso l'indizione di apposite consultazioni – nel 2014 e, per alcuni settori, risulta già essere
stato definito.
Degni di nota sono certamente i due regolamenti adottati nell'ambito dei diritti spettanti ai
passeggeri: più precisamente l'Autorità ha dapprima adottato, un regolamento sul procedimento
sanzionatorio per le violazioni delle disposizioni del Regolamento (CE) n. 1371/2007, relativo ai
diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario e, successivamente, il regolamento per
la tutela dei passeggeri sugli autobus.
I Regolamenti sono, testualmente, del tutto simili se non identici e vanno a tracciare le modalità con
cui è possibile contestare la violazione dei diritti dei passeggeri secondo il già noto schema del
reclamo all'Autorità, a cui può seguire l'avvio di un procedimento e della relativa contestazione
della violazione, la facoltà per l'impresa destinataria di partecipare ed infine l'eventuale irrogazione
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della sanzione previste, rispettivamente, dal d.l. 70/2014 per il trasporto ferroviario e dal d.l.
169/2014 per il trasporto su autobus 20.
L'Autorità ha poi esercitato i propri poteri regolatori anche al fine di favorire la concorrenza e la
trasparenza in alcuni settori dei trasporti.
Con la delibera n. 70/2014 è stata approvata la regolazione dell’accesso equo e non discriminatorio
alle infrastrutture ferroviarie, atto che era stato preceduto da apposita consultazione pubblica a cui
avevano partecipato numerosi operatori economici del settore e che, in particolare, avrebbe dovuto
quantificare anche i pedaggi per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria. Peraltro a tal riguardo
l'Autorità da conto nella stessa delibera dell'opportunità di dedicare un'apposita istruttoria per la
definizione dei pedaggi, anche in considerazione della complessità tecnica, dell'evoluzione
normativa nonché dei rilievi svolti dalla Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A., affinché questo risulti
“...correlato ai costi ed agli investimenti sostenuti al netto dei contributi pubblici...”.
Il 12 marzo 2015 è stato poi adottato, con la delibera n. 26, l'atto di regolazione recante misure per
la redazione dei bandi e delle convenzioni relativi alle gare per l'assegnazione in esclusiva dei
servizi di trasporto pubblico locale passeggeri e definizione dei criteri per la nomina delle
commissioni giudicatrici. Anche questa regolazione è stata assunta a seguito di un'indagine
conoscitiva e rappresenta un primo pacchetto di misure disciplinanti la fase di assegnazione dei
servizi. Tra le 21 disposizioni adottate paiono particolarmente interessanti le misure previste per
l'equa e non discriminatoria partecipazione alle gare (9-11) ed i criteri pro-concorrenziali per la
definizione della disciplina contrattuale ( 17-20). Queste misure dovrebbero fornire alle Regioni e
agli Enti Locali la “cornice di regolazione” all’interno della quale poter esercitare le competenze
attribuite loro dalla Costituzione in materia di trasporto pubblico, così come sancito dalla Corte
costituzionale con sentenza dell’11 marzo 2013, n. 41. A questo primo intervento faranno seguito
nuovi procedimenti per l’esercizio delle competenze dell’Autorità nelle materie di condizioni
minime di qualità dei servizi, di definizione dei criteri per la fissazione da parte dei soggetti
competenti delle tariffe nonché in materia di ambiti di servizio pubblico.
5. Segue: l'esercizio dei poteri sanzionatori
All'Autorità di Regolazione dei Trasporti sono stati attribuiti rilevanti poteri sanzionatori i
quali possono essere così riassunti:
20 Il D.Lgs. 17-4-2014 n. 70 prevede, tra le molte, sanzioni in materia di obbligo di fornire informazioni sulla
soppressione di servizi (Art. 8), sanzioni relative a ritardi, coincidenze perse e soppressioni (Art. 14) e sanzioni per
mancata assistenza al viaggiatore (art. 15).
Il D.Lgs. 4-11-2014 n. 169 prevede, invece, sanzioni riconnesse all'emissione di biglietti e condizioni contrattuali
non discriminatorie (art. 5), Sanzioni in materia di assistenza in caso di incidente (Art. 7) Assistenza per le esigenze
pratiche del passeggero (art. 8).
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- applicare una sanzione amministrativa pecuniaria, fino ad un massimo dell’1% del fatturato
dell’impresa, qualora gli operatori economici destinatari di una richiesta dell’Autorità forniscano
informazioni inesatte, fuorvianti, incomplete, ovvero non forniscano le informazioni nel termine
stabilito. La stessa sanzione potrà essere elevata nel caso in cui i destinatari di un’ispezione rifiutino
di fornire ovvero presentino in modo incompleto i documenti aziendali, nonché rifiutino di fornire o
forniscano in modo inesatto, fuorviante o incompleto i chiarimenti richiesti;
- irrogare sanzioni amministrative pecuniarie per l’inosservanza di propri provvedimenti ed,
in particolare, dei propri atti regolatori.
Inoltre è bene ricordare come la stessa legge istitutiva dell'Autorità abbia statuito che
eventuali proventi dalle predette sanzioni saranno destinati ad un fondo per il finanziamento di
progetti a vantaggio dei consumatori dei settori dei trasporti, approvati dal Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, su proposta dell’Autorità.
Svolta questa breve premessa e venendo al concreto operare dell'Autorità, va tuttavia
precisato che per poter esercitare i propri poteri sanzionatori l'Autorità doveva dapprima adottare i
presupposti atti regolatori. Per tale ragione, ad oggi, non sono ancora state irrogate in via definitiva
sanzioni ai gestori dei servizi di trasporto anche se, comunque, sono già stati avviati alcuni
procedimenti in tal senso.
Dapprima è stato avviato, con la delibera n. 24 del 2015, un procedimento per l’adozione di
provvedimenti sanzionatori relativi all’inottemperanza alle misure concernenti l’accesso equo e non
discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie e, con la successiva delibera n. 25 è stato avviato
quello per l’adozione di provvedimenti sanzionatori relativi all’inottemperanza alle indicazioni e
prescrizioni in merito al Prospetto informativo della rete ferroviaria 2015.
Entrambi i procedimenti sono stati promossi nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., e ciò
in quanto la stessa ha svolto, con diverse modalità, alcune resistenze rispetto alle azioni promosse
dall'Autorità dei trasporti per cercare di liberalizzare maggiormente e rendere più trasparente il
settore del trasporto ferroviario il quale, sotto questo profilo, risulta ancora fortemente arretrato.
Di qui a breve potranno, poi, trovare applicazione le ipotesi sanzionatorie previste
rispettivamente dal regolamento sui diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario e dal regolamento
sui diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che, più di altre, potranno
direttamente influenzare la gestione di questi servizi pubblici essenziali. Allo stato attuale si può
comunque già prendere atto che, in merito ai diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario – il cui
regolamento è stato il primo ad essere approvato – i reclami presentati sono molti meno di quelli
che ci si poteva attendere dato che, in 9 mesi, ne sono stati presentati circa un centinaio, molti dei
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quali non porteranno all'elevazione di una sanzione. Una spiegazione in tal senso, però, può essere
forse rinvenuta nel fatto per cui il ricorso all'Autorità presuppone la presentazione di un reclamo
diretto al gestore del servizio: solo in caso di diniego o di silenzio da parte di quest'ultimo ci si potrà
poi rivolgere, in seconda istanza, alla nuova Autorità di regolazione. Così stando le cose, è
probabile che una più precisa misura circa il ricorso dei soggetti legittimati all'ART potrà essere
definita in un futuro prossimo.
6. Considerazioni finali
Pensare di esprimere un giudizio sull'Autorità in base alle sole attività svolte nel corso del primo
anno di operatività sarebbe del tutto parziale e fuorviante. Ed in effetti, come si è sopra sintetizzato,
non si può ancora dire finita la prima fase di insediamento ed organizzazione dell'Autorità, così
come quella di una prima regolamentazione di tutti i differenti – nonché numerosi – settori
sottoposti al suo controllo. Cionondimeno si può comunque affermare che, a far data dal suo
insediamento, siano già state promosse dall'Autorità numerose consultazioni sui servizi di trasporto,
tutte connotate da trasparenza ed accessibilità. A tal proposito, sebbene l'analisi non possa che
essere ancora incompleta, si è notata una limitata partecipazione da parte sia degli enti
rappresentativi dell'utenza che degli enti locali. Allo stesso tempo sono stati poi avviati e, in parte,
definiti gli atti regolatori dei settori interessati ed a cui seguirà l'eventuale irrogazione di sanzioni.
Nel complesso, quindi, l'Autorità ha dato il via a importanti attività e posto le condizioni per
esercitare, in modo serio ed incisivo, gli importanti poteri ad essa attribuiti.
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Il riparto delle responsabilità per la sicurezza sul lavoro negli Enti Locali.
Nota a Cass. Pen., Sez. IV, 27 Maggio 2015, n. 22415
Di Matteo Porricolo
Nella pronuncia in esame la Cassazione ritorna sul tema del riparto di responsabilità tra organi
politici e dirigenti degli enti locali in materia di sicurezza sul lavoro.
In primo grado un Sindaco era stato condannato per lesioni personali gravi per un infortunio
occorso ai danni del messo comunale; condanna poi confermata dalla Corte d’Appello. Contro
quest’ultima decisione l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, essenzialmente incentrando le
sue doglianze sull’interpretazione fornita dai giudici di merito al concetto di “datore di lavoro” di
cui all’art. 2 lett. b) d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Per il ricorrente la delibera con cui, precedentemente al fatto, veniva istituito un “Organo
collegiale dei datori di lavoro” avrebbe dovuto esonerare il Sindaco dalla responsabilità penale in
questione, dovendosi riconoscere proprio a tale organo la qualifica di datore di lavoro
dell’amministrazione cui addebitare gli oneri di sicurezza.
È essenziale ricordare che il Testo unico della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro nella definizione di “datore di lavoro” compie una distinzione tra il settore privato e quello
Parole chiave: Enti Locali, sicurezza, lavoro
Riferimenti normativi: Sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 27 maggio 2015, n. 22415;
D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81
Massima 1: L'individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di
datore di lavoro - ai fini della normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro - è
demandata alla pubblica amministrazione stessa, la quale vi provvede con l'attribuzione della
qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale e di spesa, non potendo
tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché
preposti ad articolazioni della p.a. che hanno competenze nel settore specifico. Nelle
amministrazioni pubbliche, in altre parole, l'attribuzione della qualità di datore di lavoro non
può che essere espressa, perché comporta i poteri decisionali in tema di sicurezza. Sono gli
organi di direzione politica che devono procedere a tale individuazione, tenendo conto
dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici: la conseguenza della mancata
indicazione è la conservazione in capo all'organo di direzione politica della qualità di datore
di lavoro.
Massima 2: La normativa vigente esclude che si possa ascrivere al Sindaco, quale organo
politico, ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche, quando risulti individuato il
dirigente con qualifica di datore di lavoro in correlazione all'ubicazione ed all'ambito
funzionale del singolo ufficio. Sussisterà responsabilità per il Sindaco solo se risulti che
questi, essendo a conoscenza della situazione antigiuridica inerente alla sicurezza dei locali e
degli edifici in uso all'Ente territoriale, abbia omesso di intervenire con i suoi autonomi
poteri per porvi rimedio.
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pubblico. Per quel che qui interessa, il secondo periodo della summenzionata norma stabilisce che
‹‹Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione,
ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto
ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole
amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene
svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa
individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro
coincide con l'organo di vertice medesimo››.
Tale norma rappresenta il precipitato degli approdi giurisprudenziali che hanno contribuito a
estendere i confini della definizione contenuta nel previgente D. lgs. 626/199421; soluzioni in
seguito fatte proprie dal legislatore nella riforma del 2008.
Sin dai primi anni successivi l’entrata in vigore del 626/1994, mettendo al bando qualsiasi
forma di automatismo di responsabilità da posizione, stridente col principio di personalità della
pena di cui all’art. 27 Cost., la giurisprudenza aveva escluso che potesse essere addebitata ai vertici
politici qualsiasi violazione avvenuta nell’ente, dato che quest’ultimo è comunemente articolato in
settori o servizi facenti capo a dirigenti o funzionari dotati di specifiche competenze tecniche, in
grado di meglio governare il rischio del settore di cui responsabili.
D’altro canto, però, non esonerava del tutto dagli oneri di vigilanza gli organi politici, allorché
non avessero agito con interventi suppletivi se informati, o comunque venuti a conoscenza, delle
inadempienze dei responsabili dei servizi o di deficienze strutturali.22
Con simile esito dal punto di vista della responsabilità penale, in assenza di prove evidenti
circa l’esistenza di autonomia di iniziativa dei dirigenti, al punto da svuotare i loro necessari poteri
di gestione, per la giurisprudenza sarebbe permaso in capo al rappresentante legale dell’ente
territoriale l’obbligo di vigilare sulla concreta osservanza delle misure antinfortunistiche23.
21 Il cui art. 2 c. 1 lett. b) – così come modificato dal D.Lgs. 19-3-1996 n. 242 – stabiliva in modo più riduttivo: ‹‹Nelle
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, per datore di
lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale››.
Tale norma veniva letta come un tentativo di preservare gli organi di direzione politica dal pericolo di incorrere in
responsabilità penali; anche se la giurisprudenza ha continuato ad assegnare agli stessi una posizione di garanzia alla
luce del principio di effettività (DOVERE S., Rassegna della Cassazione penale - Individuazione del datore di lavoro
nel pubblico impiego, in Guida al lavoro, 36, 2011, 51). 22 Cass. pen., sez. III, 27.3.1998 (19.5.1998), n. 5889, in DL Riv. critica dir. lav. 1999, 230
Cass. pen., sez. III, 13.1.1999 (23.2.1999), n. 2297, in Lavoro nelle p.a. 2002, 1160
Cass. pen., sez. III, 24.11.2000 (15.1.2001), n. 257, in Riv. pen. 2001, 371. 23 Cass. pen., sez. III, 13.6.1997 (17.9.1997), n. 8678, in Cass. pen. 1998, 3401. Cass. pen., sez. III, 29.5.2000, n. 6176,
in Riv. Pen., 2000, 913.
33
E ugualmente la Cassazione aveva dedotto, inoltre, che la posizione del dirigente, quale
datore di lavoro, richiedeva oltre all’autonomia gestionale, una capacità effettiva di natura
patrimoniale, in assenza della quale la prima risulta frustrata.24
Quanto, ancora, agli autonomi poteri di spesa, aveva escluso che la mancanza di fondi
sufficienti per adottare le misure previste dalla legge integrasse alcuna ipotesi di caso fortuito o
forza maggiore che potesse scriminare la condotta del sindaco, essendo tali fatti prevedibili ed in
qualche modo riparabili dagli organi politici, dai cui stanziamenti il potere di spesa dei dirigenti
deriva.25
Da tali approdi giurisprudenziali, oggi positivizzati, emerge un siffatto quadro riassuntivo:
in primo luogo, obbligo per i vertici politici di nominare espressamente i dirigenti/funzionari,
con idonee competenze tecniche, quali datori di lavoro ai fini della sicurezza nel reparto di loro
competenza26; di conseguenza, obbligo per i primi di dotare i secondi di autonomi poteri
decisionali e assegnare agli uffici le necessarie risorse finanziarie in assenza delle quali ogni
autonomia gestionale risulterebbe vanificata. In secondo luogo; dovere per i vertici politici di
vigilare sull’operato dei tecnici e di intervenire direttamente con poteri sostitutivi se informati o
venuti a conoscenza di carenze o infrazioni. In assenza delle predette nomine o in caso di nomina
invalida per i precedenti motivi, gli addebiti ricadrebbero sul vertice colpevole.
Organi di vertice nel Comune sono il Sindaco e la Giunta27; nelle Province, invece, a
seguito dell’entrata in vigore della L. 7 aprile 2014, n. 56 - la cd. “legge Delrio” - possono
considerarsi il Presidente e il Consiglio.
Tale riconoscimento non è stato però pacifico per alcuni: secondo tali voci, dovendosi
attribuire rilevanza alla scomparsa del riferimento “agli organi di direzione politica”, la
competenza dopo la riforma spetterebbe al vertice amministrativo28 e non più agli organi
elettivi29.
24 Cass. pen., sez. III, 13.7.2004 (7.10.2004), n. 39268, in Lavoro nella giur. 2005; Cass. pen, sez. III, 4.3.2003
(28.4.2003), n. 19634, in Cass. pen. 2004, 1026. 25 Cass. pen., sez. III, 18.9.1997 (6.10.1997), n. 9041. in Cass. Pen. 1998, 3244. 26 L’art. 30, c. 1, D. Lgs. 19-3-1996 n. 242 (Modifiche ed integrazioni al D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626) imponeva
agli organi di direzione politica o, comunque, di vertice delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2,
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, di procedere, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto, all’individuazione dei soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, del decreto, tenendo
conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività. 27 Cfr. Cass. pen., sez. III, 13.6.2007 (20.9.2007), n. 35137. 28 Si tenga presente che ‹‹Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e il presidente della
provincia, previa deliberazione della giunta comunale o provinciale, possono nominare un direttore generale, al di
fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, e secondo criteri stabiliti dal regolamento di
organizzazione degli uffici e dei servizi, che provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di
governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e che sovrintende alla
gestione dell'ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Compete in particolare al direttore generale la
predisposizione del piano dettagliato di obiettivi previsto dall'art. 197, comma 2, lettera a ), nonché la proposta di piano
esecutivo di gestione previsto dall'art. 169. A tali fini, al direttore generale rispondono, nell'esercizio delle funzioni loro
assegnate, i dirigenti dell'ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia››. Art. 108, c. 1, T.U.E.L. 29 VENTURI D. (2008), I datori di lavoro pubblici, in TIRABOSCHI M., Il Testo unico della salute e sicurezza nei luoghi
di lavoro, Giuffrè, 2008, 159.
34
Sono sufficienti da soli gli approdi giurisprudenziali prima analizzati per far comprendere
come quella che precede sia stata una lettura aberrante della disposizione, la quale fu scritta, al
contrario, con la finalità di chiamare in causa proprio gli organi politici.
Al di là le vicende patologiche, per concludere, la responsabilità per la sicurezza sul lavoro
negli enti pubblici può dirsi in via ordinaria spettante ai dirigenti, o ai funzionari laddove le figure
dirigenziali non sono presenti.
Pare opportuno a questo punto rammentare che il principio generale di separazione tra politica
e amministrazione per ciò che riguarda gli Enti locali, già statuito dalla L. 8 giugno 1990, n. 142,
trova oggi dimora nel Testo unico di cui al D. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 all’art. 10730: esso impone
che l’indirizzo politico spetti agli organi di governo, mentre competa ai dirigenti l’amministrazione
dell’ente.
Questo principio da ultimo descritto parrebbe, però, porsi in conflitto col sistema delineato
dalla normativa antinfortunistica, che rende la separazione meno rigida e dai confini più instabili.
Ancora una volta la Cassazione penale era intervenuta affermando che “l’introduzione delle
norme richiamate [in quel caso la legge n. 142 del 1990, N.d.A.] non comportasse l'esclusione di
ogni responsabilità dell'organo elettivo, giacché questi precetti dovevano essere coordinati con il
principio generale […] dell'effettività della gestione del potere in considerazione della protezione
accordata dalla Costituzione ai fondamentali diritti inerenti alla legislazione antinfortunistica.”31.
Dottrina e giurisprudenza hanno preso parte ad un notevole dibattito - che non pare tutt’oggi
sopito - sulla natura di tale ripartizione: da un lato si sono annoverate sentenze di legittimità che
hanno inquadrato la qualifica originaria di datore di lavoro in capo ai vertici politici, i quali, per
potersi spogliare della stessa, dovrebbero trasferirla, con effetti costitutivi, ai dirigenti o ai
funzionari secondo le modalità già indicate; in caso contrario la responsabilità resterebbe dei
politici.32
30 ‹‹1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai
regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo
spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante
autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
2. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del
direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.
3. Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo
adottati dai medesimi organi […]››. 31 Cass. pen., sez. III, 11.1.2002 (20.2.2002), n. 6804, in DL Riv. critica dir. lav. 2002, 461. 32 Cass. pen., sez. IV, 22.6.2005 (21.10.2005), n. 38840, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2009, 2: ‹‹agli organi di direzione
politica (sindaco e giunta comunale) sono attribuiti originariamente anche i poteri di sovrintendere alle scelte di
gestione e direzione amministrativa con il conferimento di tutti i poteri conseguenti. D'altro canto la circostanza che
l'individuazione del datore di lavoro competa all'organo di direzione politica conferma che si tratta di un potere che
spetta originariamente a questo organo non diversamente, del resto, da quanto avviene per i soggetti privati››.
35
D’altro canto la dottrina è pressoché unanime nel sostenere che la qualifica di datore di lavoro
in capo ai dirigenti sia di natura originaria perché individuata espressamente dalla legge (l’atto di
nomina degli organi politici assumerebbe un mero valore dichiarativo); salvo, in via secondaria e
sanzionatoria, addebitare tale ruolo ai vertici per le carenze suindicate che impediscono ai dirigenti
di provvedere a tali incombenze.33
A modo di vedere di chi scrive, le due risultano interpretazioni di ugual pregio: esse leggono
la disposizione semplicemente in ottiche contrapposte, ma nessuna conseguenza comportano
nell’impostazione che la legge già fornisce.34 Infatti, così come è stata fugata l’idea che attribuzione
originaria dei dirigenti significhi responsabilità da posizione, cioè per il solo fatto di essere preposti
ad una articolazione della Pubblica amministrazione; nemmeno, in modo speculare, la qualifica
originaria potrà essere rinvenuta sic et simpliciter nei vertici elettivi: in ossequio al principio di
effettività che permea tutto il sistema preventivo e punitivo della sicurezza sul lavoro, al fine di
attribuire la qualifica bisognerà di volta in volta analizzare il caso concreto, adoperando proprio
quei metri di giudizio sopra menzionati.
La sentenza qui in esame resta nel filone delle pronunce che l’hanno preceduta. Essa afferma
che la nomina dall’alto deve essere espressa e accompagnata da idonei poteri decisionali e di spesa,
non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché
preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione.
Prosegue: ‹‹La conseguenza della mancata indicazione è la conservazione [e non l’eventuale
comparsa, N.d.A.] in capo all'organo di direzione politica della qualità di datore di lavoro. Con la
precisazione che agli organi di direzione politica del Comune (Sindaco e Giunta Comunale) sono
attribuiti in via originaria anche i poteri di sovrintendere alle scelte di gestione e direzione
amministrativa, con il conferimento di tutti i poteri conseguenti. Anche il potere di individuare il
datore di lavoro conferma che all'organo di direzione politica compete un potere originario››.35
Nel caso in oggetto, la responsabilità penale per l’evento lesivo accaduto al dipendente
comunale era stata ricondotta alla mancata elaborazione del Documento di valutazione dei rischi di
33 FORMICA M., La condanna di un sindaco tra inadempienza formativa del datore di lavoro pubblico e colpa
strutturale del vertice politico, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc.2, 2009, 974, che spiega come
al contrario si tratterebbe di una delega, la quale, però, ha tutt’altri scopi e requisiti.
Così PASCUCCI P., La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori pubblici: cosa cambia dopo le riforme del
2008/2009?, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2009, pp. 553 –627, secondo cui: ‹‹non a caso il legislatore
parla di "individuazione", come a significare che il datore di lavoro già esiste in astratto e va appunto individuato in
concreto››.
V. anche POLIMENI A., La nozione di datore di lavoro nella pubblica amministrazione ai fini della sicurezza e della
prevenzione degli infortuni nel d.lgs. n. 626/1994, Lavoro nelle p.a., 1, 2003, p. 76. 34 Così anche RICCARDI A., Legislazione prevenzionale e polimorfismo della figura datoriale nelle pubbliche
amministrazioni, in Lavoro nelle p.a., 2, 2010, secondo cui: ‹‹quale che sia la ricostruzione a cui si acceda, rimane
invariato il dato della possibilità di individuare nel polo politico la parte datoriale, che costituisce la più significativa
innovazione del d.lgs. n. 81/2008››. 35 Richiama Cass. pen. Sez. IV, 22/06/2005, n. 38840.
36
cui agli artt. 28 e 29 del Testo unico, che l’art. 17 pone fra quelle attività che non sono delegabili da
parte del datore di lavoro36.
Ma la Cassazione precisa che nelle pubbliche amministrazioni l’atto di individuazione è
correlato alla specialità della disciplina dettata per le stesse, cosicché ‹‹tale specialità impone di
chiarire che al soggetto così individuato competono tutte le funzioni datoriali, senza distinzione tra
funzioni delegabili e non delegabili›› (al contrario di quanto avviene tra datore di lavoro privato e
suoi sottoposti).
Dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito era emerso che il Sindaco, con decreto
antecedente la data dell’infortunio, aveva incaricato il Direttore generale dell’ente di presiedere
l’organo collegiale dei datori di lavoro anzidetto e di formulare la proposta per il Piano esecutivo di
gestione (P.E.G.), strumento col quale viene determinato il potere di spesa di ciascun dirigente37.
Ciò delineato, in primo e secondo grado la penale responsabilità del Sindaco era stata fondata
sulla motivazione secondo cui il Documento di valutazione dei rischi fosse, ex art. 17, compito non
delegabile e, per tale ragione, della mancata o incompleta compilazione dello stesso dovesse
rispondere sempre l’organo di vertice. La Suprema Corte censura tale motivazione in quanto
erronea in diritto, non potendo l’imputato considerarsi “datore di lavoro” ai sensi del Testo Unico e
non essendo applicabile alle pubbliche amministrazioni la regola che limita la delegabilità di taluni
obblighi propri del datore di lavoro (art. 17 d. lgs. n.81/2008) laddove si sia proceduto
all'individuazione del dirigente a norma dell'art.2, comma 1, lett. b) d. lgs. n.81/2008. Ciò in quanto
“la normativa vigente esclude, in altre parole, che si possa ascrivere al Sindaco […] quale organo
politico, ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche, quando risulti individuato il
dirigente con qualifica di datore di lavoro in correlazione all'ubicazione ed all'ambito funzionale
del singolo ufficio.”
Tuttavia per i Giudici di legittimità l’esito del processo non varia, rigettando il ricorso per una
diversa ma inesorabile ragione: il Sindaco, incaricando una società di consulenza38, aveva
adempiuto in prima persona all’obbligo di redigere il suddetto documento di valutazione dei rischi,
con ciò mostrando inevitabilmente che non avesse voluto trasferire ad altri la sua posizione di
garanzia. Tale motivazione conclusiva altro non fa che corroborare la tesi – prevalente nella
36 ‹‹Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:
a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28;
b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi››. 37 ‹‹La giunta delibera il piano esecutivo di gestione (PEG) entro venti giorni dall'approvazione del bilancio di
previsione, in termini di competenza. Con riferimento al primo esercizio il PEG è redatto anche in termini di cassa.
Il PEG è riferito ai medesimi esercizi considerati nel bilancio, individua gli obiettivi della gestione ed affida gli stessi,
unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.›› Art. 169, c. 1, T.U.E.L. 38 Art. 31 T.U.: ‹‹3. Nell'ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne alla
azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l'azione di prevenzione e
protezione del servizio.4. Il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all'interno
dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all'articolo 32. 5. Ove il datore di lavoro
ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia.››
37
giurisprudenza, ma non in dottrina - della responsabilità originaria degli organi politici, a fronte di
quella dirigenziale che si pone come secondaria, se non anche eventuale, allorché “trattenuta” dal
vertice.
38
Il “tweet” nel diritto amministrativo.
Annotazione a Consiglio di Stato, sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 769
di Maria-Josè Zampano
Parole chiave:
- attività della pubblica amministrazione- atti dell’autorità politica
Riferimenti normativi:
l. n. 241/1990 - d. lgs. n. 165/2001
Massima 1: Gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del
decreto legislativo n. 165/2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica
dell’attività della pubblica amministrazione ) anche, e a maggior ragione, nell’attuale epoca di
comunicazione di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle
nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività politica”.
Link al documento
Le nuove tecnologie hanno portato nuove forme di comunicazioni di massa quali i social network
che vengono utilizzati sempre più spesso dalle autorità politiche per creare un rapporto diretto con i
cittadini. Caso paradigmatico è il tweet proveniente da un soggetto pubblico; si pone, quindi, il
problema relativo al valore giuridico che esso assume nell'ordinamento giuridico. Se il tweet è una
forma scritta di manifestazione della volontà del soggetto pubblico, non vi è dubbio che una qualche
incidenza nel mondo del diritto debba avere.
Come noto, nel diritto amministrativo vige il principio di libertà delle forme; tale osservazione,
tuttavia, attiene a casi abbastanza limitati in cui la legge non prescrive una determinata forma39. La
legge attributiva del potere può, infatti, prevedere che l'atto debba rivestire una certa forma a pena
di nullità40. La problematica del valore giuridico del tweet deve collocarsi all'interno di queste
coordinate; inoltre, in assenza di specifiche disposizioni normative sul punto, fondamentale è il
ruolo della giurisprudenza.
Recentemente, il Consiglio di Stato, per la prima volta, si sofferma sul tweet seppur “solo per
scrupolo di completezza” perché la questione è irrilevante nel caso di specie.
La pronuncia trae origine da un tweet del Ministro Massimo Bray, successivo alla già intervenuta
autorizzazione della Soprintendenza per i beni archeologici e paesaggistici, con il quale si
preannunciava al Comune di La Spezia la sospensione di alcuni lavori di riqualificazione di una
39 Casetta E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, 552. 40 Art. 11, legge n. 241/1990.
39
piazza del centro cittadino in attesa della verifica del progetto da parte del Ministero. Seguiva una
Nota della Soprintendenza con cui gli organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali
invitavano nuovamente il Comune ad avviare il procedimento di verifica dell'interesse culturale
della piazza. Ad avviso del Comune gli organi statali avrebbero avuto un ripensamento rispetto alle
precedenti valutazioni soprattutto, o addirittura solo, per compiacere o per non discostarsi da
posizioni pubblicamene assunte dall'autorità politica.
Il Consiglio di Stato nega che il tweet configuri una manifestazione di volontà attizia dell'autorità
politica. Afferma, infatti, che “gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e
nomina ai sensi del decreto legislativo n. 165/2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta
forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 24 settembre 2003, n.
5444; Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2002, n. 7913; Cass. civ., III, 12 febbraio 2002, n. 1970) anche,
e a maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazione di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed
altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività
politica”.
La pronuncia ribadisce principi consolidati del diritto amministrativo. La giurisprudenza citata
attiene ai contratti stipulati dalla PA i quali richiedono pacificamente la forma scritta 41 posto che il
fine è quello di identificare con precisione il contenuto negoziale e consentire, per l'effetto, i
necessari controlli all'autorità pubblica42. Non può, però, escludersi qualsiasi rilevanza giuridica ai
tweet proveniente da soggetti pubblici. Innanzitutto, la pronuncia riguarda i soli atti dell’autorità
politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del decreto legislativo n. 165/200 e non
tutti gli atti amministrativi. Ma, soprattutto, il Consiglio di Stato evidenzia dalla presenza del tweet
una "spia" di disfunzione. Si può, quindi, concludere nel senso che la sentenza de qua rileva la
presenza di un'anomalia del comportamento del Ministro seppur non riconducibile all'interno di uno
dei vizi dell'atto amministrativo, posto che non sarebbe configurabile un atto per mancanza della
forma tipica dell'attività amministrativa. Invero trattasi pur sempre di una manifestazione di volontà
di un soggetto pubblico.
41 Cons. Stato, V, 24 settembre 2003, n. 5444; Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2002, n. 7913; Cass. civ., III, 12 febbraio
2002, n. 1970. 42 Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2002, n. 7913
40
Profili di illegittimità costituzionale nella disciplina italiana del trasporto pubblico
non di linea
di Riccardo de Caria
Parole chiave: Trasporto pubblico non di linea, libertà di iniziativa economica, libertà di
circolazione, contingentamento, direttiva Bolkestein
Riferimenti normativi: Costituzione italiana: art 41; TUE: art. 3; TFUE: artt. 49 e 56; Direttiva
2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel
mercato interno; Legge 15 gennaio 1992, n. 21, legge quadro per il trasporto di persone mediante
autoservizi pubblici non di linea; D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla L.
14 settembre 2011, n. 148.
La disciplina del trasporto pubblico non di linea nel suo complesso è al centro di notevoli
controversie per via delle sfide poste da nuovi operatori commerciali, tra cui la nota società di
origine californiana Uber. D’abitudine, si confrontano al riguardo due tesi: da un lato, quella di chi
sostiene la piena liceità dell’operato di questa azienda, in tutte le sue modalità operative, compresa
quella più controversa, del passaggio dato sulle proprie vetture da privati cittadini, che vengono
messi in contatto con i potenziali clienti dalla applicazione per smartphone sviluppata da questa
società; all’altro estremo si collocano invece quanti ritengono che questa attività contrasti con la
riserva garantita ai taxi dalla legge 21 del 1992 sul trasporto pubblico non di linea43.
In questo brevissimo scritto, vorrei svolgere una considerazione su un piano collegato ma diverso,
ovvero provare a ribaltare la prospettiva da cui normalmente si guarda alla materia, e indagare non
tanto i possibili profili di che organizzano lo svolgimento di un servizio alternativo a quello
riservato ai titolari di licenza, ma invece le questioni relative alla disciplina sulla concessione delle
licenze.
In effetti, gli aspetti problematici sono almeno due: da un lato, la questione delle modalità di
trasferimento delle licenze; dall’altra, quella del contingentamento delle licenze stesse.
Consideriamole entrambe.
Il tema della liceità del trasferimento delle licenze va inquadrato nell’ambito della mancata
previsione nella legge del 1992 del trasferimento a titolo oneroso, ovvero la modalità più comune di
circolazione dei titoli abilitativi all’esercizio di attività di trasporto pubblico non di linea. La legge
in questione prevede soltanto, all’art. 9, un meccanismo basato sulla richiesta del titolare di
trasferimento da parte del Comune a persona – in possesso dei requisiti prescritti – designata dal
titolare. Tale richiesta può avvenire solo in presenza di una di tre circostanze: titolarità di licenza
43 Legge 15 gennaio 1992, n. 21, Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea
41
almeno quinquennale; raggiungimento di sessant’anni di età; sopravvenuta inabilità al lavoro. Nulla
si dice a proposito di un eventuale compenso.
In parallelo, occorre tenere conto del fatto che, quando i Comuni, a intervalli irregolari, decidono di
concedere nuove licenze (sulla base di una stima del numero di taxi necessari nel bacino di loro
competenza), attribuendole, per così dire, a titolo originario, ciò avviene tipicamente a titolo
gratuito, salvi soltanto i costi di amministrazione della pratica, ma senza un corrispettivo monetario.
La licenza nasce quindi in forma essenzialmente gratuita, ma poi, per via del contingentamento
mantenuto dai Comuni, che via via hanno diradato le concessioni di nuove licenze, si è sviluppato
un mercato di licenze che ne ha determinato la circolazione a titolo oneroso, da un titolare all’altro.
Formalmente, la legge del 1992 non prefigura un trasferimento diretto, ma il titolare si fa
compensare dal subentrante per il fatto di indicare il suo nominativo al Comune per il subentro.
In assenza di una espressa previsione autorizzativa di una simile transazione, si potrebbe in effetti
dubitare della sua liceità, avendo essa superato e per certi versi travisato l’impianto della legge del
1992. In effetti, il valore delle licenze, nate come gratuite, è divenuto elevato solo per via del fatto
che il numero di licenze concesse in un dato periodo è stato limitato dai Comuni: questa barriera
legale all’ingresso fa infatti crescere artificialmente il valore del titolo autorizzativo di chi è già
all’interno del mercato. In base all’impianto della legge del 1992, ai Comuni sarebbe spettato il
compito di adeguare regolarmente l’offerta alla domanda, ma ciò non sembra essere avvenuto,
avendo tutti i soggetti coinvolti concorso nel preferire invece l’evoluzione descritta, che ha portato
al progressivo crescere del valore “di mercato” delle licenze.
Il soggetto che voglia quindi chiedere una nuova licenza per esercitare l’attività di taxista,
gratuitamente come la legge del 1992 prefigurava, si trova così di fronte all’impossibilità di
ottenerla: ad esempio il sito del Comune di Torino44 informa attualmente che, in base ai calcoli
della Provincia, “non risulta oggi possibile rilasciare nuove autorizzazioni”, per cui di fatto l’unica
opzione praticabile per acquisire il titolo autorizzativo necessario all’esercizio dell’attività di
trasporto di linea è quella di rivolgersi a chi una licenza l’abbia già e ottenere da questi un
trasferimento a titolo oneroso, sulla base del meccanismo poco sopra descritto.
Ebbene, questa evoluzione del “mercato” delle licenze taxi si allontana indubbiamente dallo
scenario tracciato dalla legge del 1992, tuttavia va notato per converso – e la considerazione sembra
di per sé risolutiva – che la cessione della licenza dietro compenso non è espressamente vietata da
alcuna norma, ed in effetti si è sviluppata nella prassi contrattuale e notarile e ha trovato specifica
disciplina da parte delle autorità fiscali. Pertanto, in applicazione del principio generale di liceità di
tutte le attività non espressamente vietate dalla legge, ora positivizzato com’è noto dall’art. 3 del
44 V. alla pagina http://www.comune.torino.it/commercio/faq/faq_taxinoleggi.shtml?idRispostaAperta1=56
42
D.l. n. 138/201145, ma da ritenersi già in precedenza immanente all’impianto costituzionale, occorre
ritenere che, fermo restando il descritto travisamento della legge del 1992, cionondimeno la prassi
del trasferimento delle licenze a titolo oneroso debba ritenersi legittima.
Vi è però, come detto, una seconda questione su cui soffermare l’attenzione, ed è il vero nodo
problematico della legittimità dell’attuale disciplina in materia di taxi, di cui costituisce la pietra
angolare: il problema risiede nel contingentamento stesso. Secondo la condivisibile tesi di un
importante studio sul tema di alcuni anni fa, in effetti, «il contingentamento garantisce ai tassisti la
certezza della rendita di posizione non da sé solo, bensì in quanto affiancato da
altre restrizioni nello svolgimento dell’attività introdotte dallo stesso legislatore. Il modello di
settore così come pianificato dalla legge si rivela perciò illegittimo secondo i parametri
costituzionali ed europei»46.
E ciò, perché «il contingentamento [...] non dà vita ad un modello idoneo a perseguire l’utilità o fini
sociali [...]. L’offerta insufficiente certo evidenzia l’inefficienza del modello pianificato rispetto ai
possibili obiettivi sociali della mobilità della popolazione, di riduzione della congestione del
traffico o, anche, di promozione al turismo. Ne deriva l’illegittimità costituzionale della disciplina,
ai sensi del comma 3 dell’art. 41, stante l’assenza di “controlli e programmi” che si rivelino
“opportuni” rispetto ai fini»47.
Una tale conclusione sembra davvero difficile da contestare. Se, da un lato, il principio di
concorrenza, che si pone in radicale contrasto a qualunque forma di contingentamento delle attività
economiche, è ormai costituzionalizzato nell’ordinamento italiano, e se del resto il
contingentamento appare costituire un limite affatto irragionevole alla libertà di iniziativa
economica, decisive appaiono le considerazioni attinenti al diritto europeo.
In particolare, il tema su cui concentrarsi è quello delle libertà di stabilimento e di prestazione dei
servizi, protette rispettivamente dagli articoli 49 e 56 TFUE. Questa disposizione ha trovato
attuazione con la celebre direttiva 2006/123/CE, la cd. Direttiva Bolkestein48. Tale atto normativo
detta una serie di regole volte al superamento delle barriere legali all’ingresso, al fine di
promuovere la creazione del mercato interno, obiettivo di tutte le politiche dell’Unione, come
stabilito dall’art. 3 TUE. Certamente, il contingentamento dell’offerta non è compatibile con una
tutela forte della libertà di prestare i propri servizi in un altro Stato dell’Unione Europea.
Tuttavia, occorre tenere presente il fatto che la direttiva Bolkestein esclude espressamente dal
proprio ambito di applicazione il servizio taxi. Al 21° considerando, infatti, si legge: «I servizi di
45 Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla l. 14 settembre 2011, n. 148. 46 M. Delsignore, Il contingentamento dell’iniziativa economica privata, Giuffrè, Milano 2011, p. 193 47 Ibidem. 48 Direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato
interno.
43
trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi e le ambulanze nonché i servizi portuali, sono esclusi
dal campo di applicazione della presente direttiva».
Con ciò, si potrebbe essere indotti a concludere semplicemente che gli obblighi contenuti nella
direttiva per i settori coperti non valgano tout-court per i settori esclusi, tra cui appunto quello dei
taxi. Tuttavia, non sembra essere un’interpretazione corretta, dal momento che la direttiva in
questione si limita a disciplinare nel dettaglio alcuni obblighi ricavabili implicitamente dalla
generale protezione della libertà di circolare all’interno dell’UE per prestarvi i propri servizi.
Ma la direttiva non può non lasciare impregiudicata tale generale protezione. Non può, cioè, per il
solo fatto di escludere un settore dal suo campo di applicazione, sottrarre così quel settore alla tutela
accordata già di per sé dai Trattati, perché ciò sarebbe evidentemente un esito irragionevole. In altri
termini, la direttiva specifica il contenuto della libertà dei Trattati ed eventualmente li supera, ma
nell’escludere il settore dei taxi non può in alcun modo con questo far arretrare il grado di tutela
delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi che il Trattato comunque garantisce, con
norme – non si dimentichi – direttamente applicabili49.
Si immagini il caso di un cittadino di uno qualunque degli altri Stati Membri dell’UE, che intenda
recarsi in Italia per intraprendere l’attività di taxista, in maniera stabile o per un periodo limitato.
Egli non incontrerà un ostacolo normativo diretto o una discriminazione diretta per via della sua
nazionalità, eppure in concreto non potrà effettivamente trasferirsi, a meno di pagare una somma
elevata per acquistare una licenza.
Indirettamente, quindi, il contingentamento dettato dalla licenza ha l’effetto pratico di ostacolare la
libertà di circolazione a fini di stabilimento o di prestazione di servizi di cittadini di altri Stati
Membri: è vero che formalmente non discrimina questi ultimi, ma sul piano pratico li sfavorisce, e
tanto basta a ritenere il contingentamento stabilito dalla normativa italiana in forte tensione con
norme europee di rango primario.
D’altro canto, non è neppure dato ravvisare esigenze di ordine pubblico tali da giustificare il
numero chiuso, posto che la garanzia del consumatore pare essere tranquillamente assicurabile con
l’applicazione dei requisiti di ammissione, senza che la titolarità di questi requisiti possa essere
arbitrariamente limitata ad un numero ristretto di persone, e posto altresì che le previsioni di
domanda non possono essere accurate, tanto più quando, come avviene per i taxi, un nuovo calcolo
viene effettuato dai Comuni solo a distanza di molti anni, senza che nuove licenze vengano
concesse nel periodo intermedio, e ciò anche trascurando l’effetto depressivo della domanda dato
dal prezzo fisso politicamente concordato, senza possibilità di variare in funzione di domanda e
offerta.
49 Rispettivamente nelle sentenze Reyners, C-2/74 [1974], e Van Binsbergen, C-33/74 [1974]
44
Conclusione
La pur molto breve analisi svolta sembra indurre a ritenere che, anche se i contingentamenti non
sono ancora stati dichiarati espressamente illegittimi dai giudici europei (o da quelli italiani), o dalle
autorità di regolazione della concorrenza, presumibilmente anche per via delle notevoli
conseguenze che una tale affermazione provocherebbe in tutti i settori economici dove operi un
contingentamento (farmacie in primis), è ragionevole supporre che ad una simile conclusione si
giungerà in un futuro relativamente prossimo. Se e quando ciò avverrà, il meccanismo delle licenze
su cui si fonda tutto l’impianto della legge 21/92 in materia di trasporto pubblico non di linea dovrà
essere superato. Merita quindi riflettere sin d’ora sul tema, per arrivare pronti all’appuntamento, ed
eventualmente anticipare sul piano legislativo un’evoluzione che pare inevitabile.
45
La qualificazione dei contratti nell'era di Uber
di Nicola Dessì
Parole chiave: trasporto, procacciamento d'affari, innovazione tecnologica
Riferimenti normativi: artt. 1742 e 1754 c.c.
L’introduzione della app “Uberpop”, sviluppata dalla società statunitense Uber, sta apportando
notevoli cambiamenti nel settore del trasporto pubblico locale non di linea. La vicenda ha suscitato
un ampio dibattito per quanto riguarda i profili relativi alla tutela della concorrenza: a questo
proposito, il Tribunale di Milano ha inibito in via cautelare l’attività di Uber, ritenendo che essa si
sia svolta in violazione delle leggi vigenti. Anche in altri Paesi europei e negli Stati Uniti si
riscontrano decisioni giurisprudenziali sul tema; . Tuttavia, la produzione dottrinale è scarsa.
Inoltre, è quasi del tutto inesplorata la tematica della qualificazione giuridica nel rapporto che si
crea fra Uber e gli autisti. Il sito web di Uber elenca i termini di utilizzo del servizio per l'utente, ma
nulla dice in merito alla posizione degli autisti. Lo stesso sito precisa che Uber “non è un fornitore
di servizi di trasporto, né una compagnia di trasporti”. Il contratto di trasporto sorge fra autista ed
utente; Uber afferma espressamente che “non entrerà mai” nel rapporto contrattuale. I costi del
servizio di trasporto sono addebitati direttamente all'utente; l'utilizzo dell'applicazione è gratuito,
benché Uber si riservi di applicare una tariffa per l'uso dell'applicazione. Tuttavia, il sito web di
Uber consente all'utente di visualizzare nell'app le tariffe della propria città (evidentemente, le
tariffe relative al contratto di trasporto), nonché di inserire il punto di partenza e quello di arrivo per
“ottenere un preventivo della corsa”; in un'altra pagina, si apprende che è l'app a calcolare un
importo approssimativo in base al tempo stimato e alla distanza. Dunque, il prezzo non è fissato
dall'autista, ma dall'app sviluppata da Uber.
Se ne deduce che la causa del contratto stipulato tra l'autista e Uber è l'agevolazione a concludere un
contratto tra l'autista e l'utente trasportato. In astratto, Uber potrebbe qualificarsi giuridicamente –
secondo le disposizioni del codice civile – come mediatore o come agente; in alternativa, come
procacciatore d’affari, figura atipica emersa dalla prassi50. L’elemento decisivo è la determinazione
del corrispettivo da parte di Uber: essa non può più considerarsi soggetto “neutrale”; pertanto, va
50 Cfr., da ultimo, Cass. civ., sezione lavoro, sentenza 24 giugno 2005, n. 13629: “mentre la prestazione dell'agente è
stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è
occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa”. V. altresì Trib. Trani, sezione lavoro, sentenza
8 maggio 2000: “La differenza tra contratto d'agenzia e contratto di procacciamento d'affari risiede nel fatto che il
rapporto tra preponente ed agente è caratterizzato da continuità e stabilità, mentre il rapporto tra preponente e
procacciatore è caratterizzato da episodicità e discontinuità”.
Cfr. anche Trib. Bari, sezione lavoro, sentenza 28 gennaio 2014: “Il 'procacciamento d'affari' è un contratto atipico il
cui oggetto è lo svolgimento di un'attività di collaborazione consistente nel raccogliere proposte di contratto ovvero le
ordinazioni presso terzi e nel trasmetterle al preponente”. In questo senso, si era già pronunciata la sezione lavoro della
S.C.: v., ex plurimis, sentenza 8 febbraio 1999, n. 1078.
46
esclusa in radice la mediazione. Inoltre, Uber non assume “stabilmente” l'incarico di promuovere gli
affari dell'autista: infatti, quest’ultimo potrebbe avvalersi dell'app per una sola volta nella sua vita;
pertanto, non sussistono le condizioni dettate dall'art. 1742 c.c. perché sorga un contratto di agenzia.
Infine, Uber non è nemmeno un procacciatore d’affari: il procacciatore d'affari, generalmente, si
limita ad agevolare un soggetto - in questo caso, l'autista - nella conclusione del contratto, ma non
ne determina le condizioni.
Alle somme, Uber agevola lo svolgimento di un'attività economica a vantaggio di un soggetto che
svolge tale attività occasionalmente e non professionalmente; nell'ordinamento civile italiano, non
esiste alcun negozio giuridico tipizzato che sia idoneo a disciplinare simili casi. Vi è di più: non
esiste alcuna definizione giuridica - neanche ricorrendo a figure atipiche - per colui che, oltre ad
agevolare la conclusione di un contratto, ne determina le condizioni senza esserne parte.
Ciò premesso, una recente sentenza di un tribunale della California ha qualificato come lavoratore
subordinato uno degli autisti che hanno fatto ricorso alla tecnologia di Uber. In questa decisione, si
afferma che l’attività dell’autista è interamente funzionale - e non meramente accessoria -
all’attività principale di Uber; Uber partecipa operativamente all’intero svolgimento della
prestazione: inoltre, controlla l’utilizzo degli strumenti ad essa necessari, dal momento che i veicoli
impiegati devono essere registrati presso l’impresa e che le loro caratteristiche tecniche devono
rispettare alcuni parametri; qualora il passeggero rinunci ad avvalersi della prestazione dopo che ne
è iniziata l’esecuzione, non è prevista alcuna compensazione per l’autista, al quale - peraltro - si
sconsiglia di accettare mance; pertanto, il rapporto fra l’autista e Uber è contrassegnato da alcuni
degli indici che, in base alla giurisprudenza californiana, consentono di affermare la sussistenza di
una subordinazione51. I criteri interpretativi adottati dalla giurisprudenza californiana non
consentono automaticamente di pervenire ad analoga conclusione con riguardo a un diverso
ordinamento. Nondimeno, la decisione in esame evidenzia che, nell’attività di trasporto, Uber gioca
un ruolo troppo rilevante per essere assimilato a quei soggetti che si limitano a intervenire in un
affare per agevolarne la conclusione.
Alla luce degli elementi sin qui esposti, si possono formulare alcune considerazioni. La decisione di
un giudice straniero suggerisce l’esistenza di un vincolo di subordinazione che lega Uber e gli
autisti che si avvalgono delle sue prestazioni. Anche a voler escludere tutto ciò, non sarebbe
comunque corretto inquadrare questo rapporto fra le tradizionali figure giuridiche - agenzia,
mediazione, procacciamento d'affari - finalizzate a favorire l'incontro fra domanda e offerta in
51 “Plaintiff ’s work was integral to Defendant’s business. Defendants are in business to provide transportation services
to passengers . Plaintiff did the actual transporting of those passengers. Without drivers such as Plaintiff, defendants’
business would not exist”. “Defendants are involved in every aspect of the operation”. “Defendants control the tools
that drivers use”. “If a passenger cancels a trip request after the driver has accepted it, and the driver has appeared at
the pick-up location, the driver is not guaranteed a cancellation fee. (…) Defendants discourage drivers to accept tips
because it would be counterproductive to Defendant’s advertising and marketing strategy”. La conclusione è che
l’autista deve considerarsi dipendente di Uber: “In the light of the above, Plaintiff was Defendant’s employee”. Superior
Court of California, County of San Francisco, Uber Technologies Inc. v. Barbara Berwick, 3 giugno 2015.
47
un'attività economica; sicché, si tratterebbe di una fattispecie giuridica del tutto nuova per il nostro
ordinamento. Senz’altro, la vicenda in esame è segno di un'evoluzione che richiede attenzione da
parte degli operatori del diritto: potenzialmente, lo sviluppo tecnologico consente che simili casi si
ripetano in tutti i settori del mercato.
Recent working papers
The complete list of working papers is can be found at http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis
*Economics Series **Political Theory and Law Al.Ex Series
Q Quaderni CIVIS
2014 n.229** Matteoo Cannonero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.7/2015
2015 n.228* Michele G. Giuranno and Rongili Biswas: Internal migration and public policy
2015 n.227* Giuseppe Di Liddo and Michele G. Giuranno: Strategic delegation under the subsidiarity principle
2015 n.226* Giampaolo Arachi, Giuseppe Di Liddo and Michele G. Giuranno: Cooperazione locale in Italia: le Unioni di Comuni
2015 n.225* Guido Ortona: A commonsense assessment of Arrow's theorem
2015 n.224* Michele Giuranno and Antonella Nocco: Trade tariff, wage gap and public spending
2015 n.223* Giuseppe Di Liddo and Michele Giuranno: Asymmetric yardstick competition and municipal cooperation
2015 n.222** Maria Bottiglieri: Il diritto al cibo adeguato. Tutela internazionale, costituzionale e locale di un diritto fondamentale “nuovo”
2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni
2015 n.220 Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects oncooperation – An experimental test
2015 n.219 Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence
2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.6/2014
2014 n.217* Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria
2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014
2014 n.215 Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really less overconfident? - A preliminary test of different measures
2014 n.214* Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish. Cause e conseguenze di un paradigma
2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.4/2014
2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi
2013 n.211** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura .Case study: La valorizzazione della Cittadella di Alessandria e del sito storico di Marengo.
2013 n.210** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura
2013 n.209** Maria Bottigliero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.3/2013
2013 n.208** Joerg Luther, Piera Maria Vipiana Perpetua et. al.: Contributi in tema di semplificazione normativa e amministrativa
2013 n.207* Roberto Ippoliti: Efficienza giudiziaria e mercato forense
2013 n.206* Mario Ferrero: Extermination as a substitute for assimilation or deportation: an economic approach
2013 n.205* Tiziana Caliman and Alberto Cassone: The choice to enrol in a small university: A case study of Piemonte Orientale