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Università Mediterranea di Reggio Calabria Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale STRADE, FERROVIE ED AEROPORTI Inquinamento atmosferico e acustico generato dal traffico veicolare G. LEONARDI, F. CIRIANNI A - 05

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Università Mediterranea di Reggio Calabria

Facoltà di Architettura

Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale

STRADE, FERROVIE ED AEROPORTI

Inquinamento atmosferico e acustico generato dal traffico veicolare

G. LEONARDI, F. CIRIANNI

A - 05

PTUA – Corso di Strade, Ferrovie ed Aeroporti Dispensa:

Inquinamento atmosferico generato dal traffico veicolare

Autori: G.Leonardi, F.Cirianni Pagina 2 di 34

L’inquinamento atmosferico

Introduzione

Nella presente dispenza si intende presentare, per grandi linee con qualche circoscritto

approfondimento, l’inquinamento atmosferico legato alle infrastrutture ed ai sistemi di

trasporto, nelle sue componenti, sorgenti ed effetti, dando un quadro sintetico della principale

normativa nazionale vigente dalle sue origini ad oggi.

Si parla di inquinamento atmosferico quando la qualità dell’aria risulta deteriorata, ovvero

conseguentemente alla immissione nell’atmosfera di sostanze di qualsiasi natura in misura tale

da alternarne la salubrità e da costituire pregiudizio diretto o indiretto per la salute dei cittadini

o a danno ai beni pubblici o privati. L’inquinamento si può distinguere a seconda dei fenomeni

che l’originano

a) origine naturale

Sebbene la maggiore minaccia alla salute pubblica proviene dall’inquinamento di origine

antropica, è doveroso citare quella che in alcuni casi è una fonte di inquinamento non

trascurabile.

Pulviscolo. L’azione dei venti, l’erosione ed altri fenomeni naturali determinano la

presenza nell’atmosfera di particelle di natura prevalentemente inorganica.

Esalazioni vulcaniche. Dall’esalazioni vulcaniche e dall’attività fumarolica in genere,

vengono riversati in atmosfera, oltre a vapor d’acqua, diversi gas, fra i quali anidride carbonica,

acido cloridrico, idrogeno, etc.

Decomposizione di materiale organico. La decomposizione di materiale organico, in

primo luogo le molecole contenenti atomi di azoto e di zolfo, provoca composti caratterizzati

da odori sgradevoli.

Incendi. la combustione di materiale ligneo riversa nell’atmosfera oltre all’anidride

carbonica, microparticelle di sostanza incombusta.

Ossidi di Azoto. Le scariche elettriche in atmosfera che hanno origine in concomitanza di

temporali provocano la reazione fra ossigeno e azoto dell’aria con formazione di ossidi di azoto

e di ozono.

b) origine antropica

Con l’avvento dell’era industriale l’inquinamento atmosferico generato dall’uomo ha

assunto dimensioni e caratteristiche tali da compromettere l’equilibrio della biosfera. La

problematica dell’inquinamento atmosferico di origine antropica non è un fenomeno recente,

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basti pensare che lo sviluppo delle tecnologie produttive, motore della rivoluzione industriale,

generò fenomeni di inquinamento gravissimi, ad esempio nella Londra dell’inizio di secolo i

livelli di particolato e di monossido di Carbonio raggiungevano già delle soglie che potremmo

stimare oggi superiori ai livelli di allarme, dovuto prevalentemente all’uso intensivo per i

processi industriali e per il riscaldamento domestico del carbon fossile quale combustibile. Ma

caratteristico della seconda metà di questo secolo è l’inquinamento generato dai mezzi di

locomozione, la cui produzione e diffusione di massa si è avuta solo dagli anni quaranta in poi.

A Los Angeles già negli anni sessanta le emissioni dei veicoli stradali e le caratteristiche

climatiche del luogo determinavano lo Smog, un fenomeno meglio analizzato nel seguito, cosi

che negli Stati Uniti la prima legislazione completa del il controllo e la riduzione delle

emissioni inquinanti fu introdotta negli anni settanta. La problematica legata agli inquinanti da

traffico è quella che approfondiremo nei paragrafi seguenti.

Gli inquinanti da traffico

Le emissioni prodotte dagli autoveicoli, possono dar luogo a diversi tipi di inquinanti. E’

possibile in generale distinguere fra inquinanti a “breve” e a “lungo raggio”.

Si considerano inquinanti a breve raggio quei composti ed elementi che, fuoriusciti dagli

scappamenti dei motori a combustione interna, causano effetti limitati nello spazio e nel tempo;

tra essi si citano l’ossido di carbonio, il piombo e le polveri.

Gli inquinanti a lungo raggio sono quelli il cui effetto dannoso viene a realizzarsi solo

dopo la diffusione atmosferica ed una serie di complessi fenomeni chimico-fisici che ne

alterano le caratteristiche iniziali. Questo gruppo comprende l’anidride solforosa e l’anidride

solforica, gli ossidi di azoto e gli idrocarburi.

LE SOSTANZE INQUINANTI

Gli inquinanti da traffico, possono essere distinti, oltreché in rapporto al raggio di azione,

anche, in accordo con il decreto del 15/04/94, in “inquinanti primari”, quelli emessi

direttamente dalle sorgenti di emissione, sia in fase gassosa che particellare, “inquinanti

secondari” le specie chimiche derivanti da reazioni termiche o fotochimiche degli inquinanti

primari, tra loro o con costituenti di base dell’atmosfera. In coda al paragrafo sono allegate

alcune schede di sintesi relative a ciascuno degli inquinanti prodotti dai fenomeni di traffico.

- Inquinanti primari

Sono catalogabili come inquinanti primari, le seguenti sostanze:

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Monossido di carbonio (CO)

Monossido di azoto (NO)

Anidride solforosa (SO2)

Idrocarburi incombusti (HC*)

Piombo (Pb)

Polveri e particolato sospeso (PPS)

Anidride carbonica (CO2)

Le prime (CO, NOx, SO2, HC*) sono presenti nella fase gassosa, mentre il piombo e il

materiale particolato sospeso sono diffusi sotto forma di particelle microscopiche.

- Il monossido di carbonio (CO)

L’ossido di carbonio o monossido di carbonio (CO) è un gas tossico, incolore e inodore

che si forma dalla combustione incompleta, in difetto di ossigeno, di sostanze organiche. E’

tra i più diffusi e pericolosi inquinanti atmosferici.

Nell’aria non inquinata (“pulita”) si trovano tracce di esso, in concentrazione minore di 0,1

p.p.m..

L’ossido di carbonio, come anche l’anidride carbonica, è presente nei gas di combustione:

deriva dall’ossidazione con ossigeno atmosferico del carbonio; quest’ultimo è il principale

costituente dei combustibili organici.

La principale sorgente dell’ossido di carbonio immesso nell’atmosfera è costituita dalla

combustione di idrocarburi, infatti, come contributo all’inquinamento di CO, al primo posto

vengono gli autoveicoli, e più in generale i trasporti, e le concentrazioni più elevate di questo

gas si verificano durante le ore di punta del traffico.

Quantità nettamente inferiori di CO vengono emesse dalle centrali termoelettriche, dagli

impianti di riscaldamento domestico e dagli inceneritori di rifiuti, dove la combustione procede

in condizioni migliori.

Aspetti tossicologici. L’ossido di carbonio, essendo un gas incolore e inodore, è molto

insidioso, specialmente negli ambienti chiusi o poco ventilati. In molte strade trafficate delle

città la concentrazione di CO può superare le 50 p.p.m., valori superiori alle 100 p.p.m. sono

stati registrati nelle strade di alcune metropoli, mentre in alcune gallerie stradali di Roma sono

state rilevate punte di 500 p.p.m..

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Gli effetti sull’uomo sono estremamente dannosi. L’ossido di carbonio, se respirato,

influenza la circolazione sanguigna impedendo una buona ossigenazione del sangue,

danneggiando quindi i sistemi nervoso e cardiovascolare.

Il CO si lega all emoglobina con un’affinità oltre 200 volte superiore a quella

dell’ossigeno. L’emoglobina così combinata (carbossiemoglobina) non è così più in grado di

ossigenare i tessuti e può portare, in casi estremi, all’asfissia. Ma l’interesse maggiore legato al

CO come inquinante atmosferico è legato all’effetto prolungato di questo gas sulla massa di

cittadini esposti, e quindi all’“ossidocarbonismo”, una forma patologica a cui sono esposte

particolarmente quelle categorie lavorative esposte ad elevate concentrazioni come autisti,

vigili urbani, etc..

Sulle piante non si è rilevato, ai livelli attuali, un effetto di interesse pratico.

- Gli ossidi di azoto (NOx)

Essendo spesso presenti nell’aria contemporaneamente, il monossido e il biossido di azoto

vengono indicati insieme con la formula NOx, e per le trasformazioni chimiche che avvengono

nell’atmosfera sarà di più agevole trattazione considerare il NO e il NO2 unitamente.

Gli ossidi di azoto sono composti ossigenati dell’azoto gassoso: il monossido (NO) è un

gas incolore; il biossido (NO2) è un gas rosso-bruno, dall’odore pungente, altamente tossico.

Gli altri ossidi sono l’ossido nitroso (N2O), il sesquiossido di azoto (N2O3), il tetrossido di

azoto (N2O4) e il pentossido di azoto (N2O5).

Si può dire che la formazione degli ossidi di azoto sia una reazione collaterale di tutti i

processi di combustione. Quantità rilevanti di ossidi di azoto sono prodotte dai motori degli

autoveicoli, in particolare dal traffico urbano. Agli ossidi di azoto va addebitato il colore

rosso-bruno che contraddistingue in particolari condizioni meteorologiche (“inversione

termica”) l’atmosfera delle metropoli ad alta densità di traffico. Da osservazioni emerge che il

motore a gasolio, rispetto a quello a benzina, emette maggiori quantità di ossidi di azoto, e

tende anche a produrre un’inquinamento più palese, più fumi neri e cattivi odori; non si può

dimenticare però che emette valori decine di volte inferiori di ossido di carbonio.

Attualmente in Italia la metà degli ossidi di azoto immessi nell’atmosfera sono provenienti

dallo scappamento degli autoveicoli.

Aspetti tossicologici. Gli ossidi di azoto in presenza di umidità si trasformano in acido

nitrico. Ad esempio il biossido da origine alla reazione:

3NO2+H2O 2HNO3+NO .

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Questa reazione può avvenire sia nell’aria, dando origine alla pioggia acida, che

nell’uomo a livello polmonare a contatto con le mucose, dove l’acido nitrico attacca le mucose

stesse.

Gli ossidi di azoto hanno un’affinità con l’emoglobina simile a quella dell’ossido di

carbonio, quindi hanno un’elevato effetto tossico. Concentrazioni nell’aria via via crescenti

possono provocare dall’irritazione oculare e delle mucose nasali fino alla bronchite, e, per

elevate concentrazioni, l’edema polmonare e la morte. Come effetto cronico sono descritte

fibrosi polmonari ed enfisema.

Meno rilevante le conseguenze sulle piante, poiché raramente si raggiungono

concentrazioni tali da risultare dannose per la vegetazione.

- L’anidride solforosa (SO2)

L’anidride solforosa, o biossido di zolfo (SO2) è un gas incolore dall’odore pungente, che

tende generalmente ad accumularsi negli strati più bassi dell’atmosfera. L’anidride solforosa è

il più diffuso inquinante atmosferico ed uno dei più aggressivi: esso è stato definito fra le

principali cause di danni all’uomo e all’ambiente nella comunità europea.

Per tali motivi, e per l’essere facilmente misurabile, l’anidride solforosa è considerata

come parametro rappresentativo dell’inquinamento e l’Organizzazione Mondiale della Sanità

(O.M.S.) l’ha scelta come indice generale di inquinamento atmosferico.

Tuttavia non viene approfondito ulteriormente lo studio di questo inquinante, in quanto

nella sua emissione ha uno scarso rilievo l’apporto dei veicoli a combustione interna, essendo

l’anidride solforosa prodotta dai trasporti pari a circa l’1% del totale emesso sul territorio

nazionale, una quantità trascurabile rispetto a quelle prodotte dalle industrie e dalle centrali

elettriche e di termoriscaldamento.

Ciò è dovuto alla natura dei combustibili adoperati in queste ultime, l’olio combustibile e

il carbon fossile, che emettono rispettivamente 60-80 Kg e 20 Kg di SO2 per tonnellata

combusta, contro gli 1-2 Kg e 2-6 Kg per tonnellata emessi dalla benzina e dal gasolio.

- Gli idrocarburi incombusti (HC)

Gli idrocarburi comprendono tutti quei composti organici la cui molecola è composta

esclusivamente da atomi di carbonio e idrogeno. Sono insolubili in acqua e solubili in solventi

non polari. Gli idrocarburi si possono suddividere in :

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alifatici (o aciclici): idrocarburi a catena aperta, che può essere lineare o ramificata; a

loro volta si suddividono in alcani (paraffine), idrocarburi saturi, in alcheni (olefine) e alchini

(acetileni) entrambe classi di idrocarburi insaturi;

naftenici (o aliciclici) sono idrocarburi a catena chiusa in cui gli atomi di carbonio sono

legati ad anello e sono saturi;

aromatici: sono idrocarburi a catena chiusa aventi legami non saturi caratteristici. Il

capostipite è il benzene (C6H6).

Il petrolio grezzo è una miscela i cui componenti sono per la gran parte idrocarburi delle

tre serie, alifatica, naftenica e aromatica. In parte minore sono inoltre presenti zolfo, alcuni sali

ed alcuni metalli.

I più comuni carburanti, come la benzina, il gasolio e il cherosene provengono dalla

raffinazione, e in particolare dalla distillazione frazionata del petrolio e sono costituiti dai

termini più leggeri delle tre serie fondamentali di idrocarburi. Una benzina tipica è costituita

dal 10% massimo di idrocarburi olefinici, 40% massimo di aromatici e il rimanente di

idrocarburi saturi.

Gli idrocarburi presenti come inquinanti nell’atmosfera derivano in gran parte dal processo

di combustione incompleta dei combustibili fossili adoperati dai veicoli di autotrazione.

Per idrocarburi incombusti si intendono tutti i composti organici aventi la struttura

molecolare degli idrocarburi contenuti nei gas scaricati nell’atmosfera.

Le maggiori sorgenti di idrocarburi incombusti sono gli autoveicoli e in particolare quelli

con motore a ciclo otto, cioè alimentati a benzina. Gli idrocarburi emessi sono sia costituenti

della benzina che attraversano il motore senza essere bruciati che i frammenti più leggeri,

frutto delle reazioni che hanno luogo durante la combustione: tra questi gli idrocarburi

policiclici aromatici.

Si è constatato che il contenuto in idrocarburi incombusti si riduce fortemente quando si

riescono a realizzare miscele relativamente povere cioè con elevato rapporto aria combustibile.

Un motore a ciclo diesel in buone condizioni ha un miglior rapporto aria combustibile rispetto

ad uno a ciclo otto, quindi emette minori quantità di idrocarburi incombusti; considerando

invece un motore a ciclo otto in condizioni di uso variabile, quali si hanno in uso urbano, esso

produce una quantità di idrocarburi incombusti pari a circa il 3% della benzina consumata.

Inoltre occorre considerare che i veicoli rilasciano nell’atmosfera oltre agli idrocarburi

incombusti una certa quantità di idrocarburi volatili provenienti dall’evaporazione dal

serbatoio, carter e carburatore. Altra importante sorgente di idrocarburi volatili immessi

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nell’atmosfera sono i punti di rifornimento, da considerare quindi direttamente correlati

all’inquinamento veicolare.

Aspetti tossicologici. Il D.M. del 09/02/1935 ha riconosciuto la benzina come sostanza

tossica. Allo stato attuale delle conoscenze gli idrocarburi prodotti dai trasporti che sono stati

identificati per la loro pericolosità per la salute pubblica sono gli idrocarburi aromatici, quali il

benzene, impiegato quale anti detonante nelle benzine senza piombo, imputato di essere un

fattore cancerogeno.

- Il piombo (Pb)

L’inquinamento da piombo nell’aria è causato per il 90% dal traffico veicolare; difatti è

stato riscontrato un’elevato gradiente relativo alle zone urbane rispetto a zone non interessate

da grossi volumi di traffico. Le emissioni gassose di piombo nell’atmosfera hanno origine

principalmente dalla combustione di additivi antidetonanti presenti nella benzina (piombo

tetrametile, piombo tetraetile) per motori di autoveicoli. Gli antidetonanti permettono un

valore di compressione più elevato impedendo che la combustione avvenga “fuori fase”, dando

però luogo a numerosi composti del piombo nei gas di scarico, specie derivanti dalla

combinazione con altri additivi quali il bromuro di etilene.

E’ intuitivo che a differenza dei motori a benzina (contenente additivi al piombo), i motori

a gasolio non emettono piombo. L’uso nell’ultimo decennio di benzine che adoperano quali

antidetonanti altri additivi diversi dal piombo hanno collaborato nel far diminuire i livelli di

piombo nell’aria.

Aspetti tossicologici. L’assunzione del piombo da parte dell’uomo avviene principalmente

attraverso l’alimentazione e per inalazione: il piombo atmosferico inalato varia tra i 40 mg/l e 1

mg/l, a seconda che sia in città o in campagna. La quantità di piombo assunta con cibi e

bevande si aggira su un valore medio di 0,3 mg/giorno.

Fortunatamente non tutto il piombo inalato o ingerito viene ritenuto o assorbito, infatti

solo il 5-10% di quello ingerito è assorbito dal tratto gastro-intestinale e solo il 30% di quello

inalato è assorbito dall’apparato respiratorio, di cui solo il 5% è ritenuto. Il piombo ritenuto si

accumula nello scheletro; il piombo accumulato nelle ossa è poi mobilitato in particolari

condizioni anche molto tempo dopo l’assorbimento iniziale.

L’azione tossica del piombo nel corpo deriva principalmente dalla sua capacità di inibire

l’enzima necessario alla formazione dell’emoglobina reagendo con lo zolfo di alcuni

aminoacidi che lo costituiscono. I livelli di piombo presenti nel sangue tali da provocare

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l’insorgenza di avvelenamento chimico da piombo (saturnismo) variano tra 60 e 100 mg/100

ml. Concentrazioni superiori ai 120 mg/100 ml sono pericolose, mentre inferiori ai 40 mg/100

ml sono ritenute normali.

- Polveri e particolato sospeso (P.P.S.)

Il particolato atmosferico contiene una gran varietà sia di particelle solide che di gocce di

condensato. Queste comprendono fumi, aerosol atmosferico formato da reazioni chimiche e

composti metallici. Con fumi intendiamo il particolato inquinante in sospensione nell’aria, con

un diametro inferiore ai 15 µm, generato dalla combustione incompleta dei combustibili fossili.

I parametri più usati per classificare il particolato sono il diametro e la densità, dato che da

questi, oltre che dalle caratteristiche meteorologiche, dipende il tempo di permanenza

nell’atmosfera e la distanza alla quale vengono trasportate dalla fonte. Infatti le particelle più

piccole potenzialmente sono le più dannose, poiché rimangono in sospensione nell’aria più a

lungo e possono essere inalate.

Studi condotti nel Regno Unito hanno portato ad assegnare ai veicoli stradali la

responsabilità per il 40% sulle emissioni totali di particelle sospese, e dei veicoli circolanti solo

il 10% è alimentato a gasolio, ma è proprio questa parte responsabile di almeno il 90% del

particolato generato dai veicoli. Difatti il motore diesel produce in media una quantità di

effluente particolato 10-15 volte superiore a quella prodotta dal motore a ciclo otto.

I veicoli a motore generano anche particolati non direttamente collegati alla combustione,

tramite i freni, i copertoni e indirettamente tramite la turbolenza indotta dal passaggio del

veicolo che alza il particolato presente sulla superficie stradale.

Aspetti tossicologici. Le concentrazioni nell’aria di particelle sospese varia nel corso della

giornata, a seconda dell’intensità del traffico veicolare, dal grado di congestione e dalle

condizioni climatiche. La frazione respirabile e biologicamente attiva, rappresenta circa il 70%

delle particelle sospese, i fumi emessi dagli scarichi dei motori sono in prevalenza costituiti da

particelle che si collocano fra le respirabili, e sono quindi di grande significato ai fini della

penetrazione nell’albero tracheobronchiale.

-Anidride carbonica (CO2)

L’anidride carbonica, o biossido di carbonio (CO2) è un gas incolore e inodore, più pesante

dell’aria, che si forma dalla combustione dei combustibili a base di carbonio; è innocuo, tranne

nel caso in cui si sostituisca all’aria al punto da rendere irrespirabile l’atmosfera. Inoltre

l’anidride carbonica, ad elevate concentrazioni, influisce sul clima, portando ad un elevazione

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della temperatura. I processi artificiali di emissione di CO2 sono essenzialmente dovuti al

consumo dei combustibili fossili e ad alcune attività industriali.

- Inquinanti secondari

Gli inquinanti secondari, derivati dagli inquinanti primari in seguito a reazioni termiche o

fotochimiche di questi con i costituenti basi dell’atmosfera, sono individuati tramite la

rilevazione della concentrazione di NO2, di O3, e di NO per la fase gassosa, tramite la

concentrazione dei prodotti di trasformazione degli ossidi di azoto e dell’anidride solforosa per

la fase particellare.

Di seguito sono descritti sommariamente i caratteri di due dei principali gruppi di essi, gli

ossidanti fotochimici e l’acido nitrico, nitroso e nitrati; un terzo, il biossido di azoto è stato

descritto nel paragrafo relativo al monossido di azoto per le affinità tra i due composti.

- Gli ossidanti fotochimici

Gli ossidanti fotochimici sono inquinanti secondari allo stato gassoso, costituiti da ozono e

altri componenti ossidanti, che si formano a spese degli inquinanti primari, in seguito a

reazioni fotochimiche sollecitate dalle radiazioni solari. Gli ossidanti fotochimici formano un

aerosol chiamato smog fotochimico, che tende a formarsi nei mesi estivi e durante le ore

diurne, da non confondersi con lo smog, costituito da inquinanti primari. L’inquinamento da

ossidanti fotochimici è chiamato inquinamento fotochimico; il materiale di partenza è

rappresentato da contaminanti emessi preminentemente dagli autoveicoli: ossidi di azoto,

idrocarburi non metanici, aldeidi. Queste sostanze sono definite “precursori degli ossidanti

fotochimici”.

Poiché l’emissione contemporanea di ossidi di azoto e di idrocarburi è dovuta

principalmente alla motorizzazione, lo smog fotochimico è una forma di inquinamento

atmosferico delle aree urbane a traffico elevato.

Aspetti tossicologici. E’ da notare che gli inquinanti secondari, che costituiscono gli

ossidanti del fotosmog, sono ad alta aggressività relativa per l’uomo, le piante, gli animali e i

materiali, già in concentrazioni molto più basse di quelle degli inquinanti primari; sono

sufficienti concentrazioni basse, dell’ordine di 0,1 p.p.m. perché lo smog fotochimico faccia

sentire i suoi effetti irritanti: bruciore agli occhi, irritazione alla gola e alle vie respiratorie. Col

crescere delle concentrazioni i sintomi si esprimono tramite menomazioni delle funzioni

respiratorie, fino a livelli letali.

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- I nitrati

I nitrati, composti dell’azoto con l’ossigeno, costituiscono chimicamente l’anione

dell’acido nitrico e dei suoi sali: è la specie che si forma per completa ossidazione

dell’ammoniaca ad opera dei microrganismi contenuti nel suolo e nell’acqua.

La presenza dei nitrati nelle acque è solo in piccola parte causata dai gas di scarico degli

autoveicoli, in quanto le cause principali sono gli scarichi urbani, gli scarichi industriali e le

immissioni conseguenti all’uso fattone in agricoltura.

Effetti ambientali delle emissioni inquinanti

Quando si riferisce agli effetti delle emissioni inquinanti sull’ambiente, si adopera il

termine “ambiente” nel senso più ampio, per coprire l’impatto dell’inquinamento atmosferico

sulla qualità della vita. Questi effetti si possono suddividere in tre gruppi principali, ovvero gli

effetti sulla salute, gli effetti soggettivi e gli effetti ecologici che, per meglio intenderci,

comprendono questi ultimi l’effetto serra tra gli altri. Si dovrebbe tuttavia comprendere che tale

suddivisione è formale, in quanto tali effetti sono tra loro interconnessi. Per ciò che concerne

gli effetti sulla salute si rimanda agli effetti tossicologici esposti nel secondo capitolo,

relativamente alla natura ed effetti dei singoli inquinanti. Segue una descrizione sintetica degli

effetti soggettivi ed ecologici

Effetti Soggettivi

Le “esalazioni” del traffico possono vedersi nella forma di fumi, o percepiti come odore.

Una parte rilevante delle emissioni, tuttavia, non è rilevabile ai sensi, e tra questi sono

compresi il monossido di carbonio ed il piombo. La percezione o meno delle emissioni

inquinanti condiziona l’opinione pubblica, per cui nella media sono percepiti come più

inquinanti, e quindi più dannosi per la salute pubblica, i veicoli con maggiore fumosità, quali i

veicoli pesanti e gli autobus, rispetto alle autovetture in genere, nonostante la maggior parte dei

veicoli pesanti sono alimentati a gasolio, per cui non vi sono emissioni di piombo, e le

emissioni di monossido di carbonio sono sensibilmente inferiori alle emissioni dei motori a

benzina adoperati a parità di condizioni. Chiaramente gli effetti fastidiosi percepiti del traffico

sono il fumo e l’odore, oltre al rumore e le vibrazioni che rientrano più propriamente nei

fenomeni di inquinamento acustico, ma se il fumo può essere ricondotto ad una scarsa

manutenzione del motore o ad imporprie condizioni di esercizio, l’odore è un problema più

complesso. Difatti l’odore non è riconducibile ad un singolo elemento, ma nasce dai complessi

sinergismi che avvengono in seguito alla fase di combustione e di emissione, entrando a

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contatto con l’atmosfera. La difficile attribuzione di un indice di riferimento all’odore

percepito dall’olfatto è riconducibile alla non univocità di soglia percepita di fastidio che varia

da soggetto a soggetto, ed inoltre non vi è una diretta proporzionalità tra odore e danno alla

salute pubblica, come ad esempio con il rumore, difatti alcuni delle emissioni gassose più

dannose sono inodori.

Effetti Ecologici

Le emissioni da traffico hanno ricadute sull’ecosistema a breve ed a lungo raggio, dagli

effetti minori che si verificano localmente in prossimità del tronco stradale, all’ “effetto serra”.

Di seguito sono descritti brevemente due dei fenomeni di maggior impatto

dell’inquinamento artmosferico, sicuramente non gli unici ma gli effetti di maggior profilo, il

fenomeno delle pioggie acide e l’effetto serra.

La pioggia acida. I principali precursori dei depositi acidi sono l’anidride solforosa (SO2)

e gli ossidi di azoto (Nox) emessi nell’atmosfera da sorgenti sia naturali che antropiche. Il

contributo del traffico è principalmente di ossidi di azoto, considerando che, nei paesi

industrializzati circa un terzo degli Nox emessi nell’atmosfera sono prodotti dai veicoli stradali.

Inoltre gli idrocarburi emessi, anche se non contribuiscono direttamente all’acidità, possono

partecipare a reazioni che producono composti direttamente responsabili.

L’acidità nella terra o nell’acqua è misurata per unità pH, che è una funzione logaritmica

della concentrazione degli ioni idrogeno. Un valore di 7 pH è considerato netro, inferiore a

sette è acido, superiore è alcalino. In natura l’acqua piovana tende ad essere leggermente acida

anche in ambienti senza inquinamento di origine antropica, ma nelle aree industrializzate il pH

scende su valori di acidità elevata. I danni attribuiti all’acidità nell’ambiente includono effetti

sulla vegetazione, vita acquatica, strutture e materiali e salute umana. Per quanto riguarda la

vegetazione, tra i più colpiti sono gli alberi, mentre l’aumento dell’acidità dei bacini danneggia

fortemente la popolazione ittica. La pioggia acida inoltre attacca i materiali interrati filtrando

attraverso il terreno ed i materiali esposti all’aria, accelerando i processi di corrosione dei

metalli e aggressione dei materiali lapidei e conglomerati cementizi, anche se il ruolo

predominante in questo caso spetta all’anidride solforosa, per cui riconducibile solo in parte

minima alle emissini di scarico dei veicoli di trasporto.

L’effetto serra. La vita sul nostro pianeta è resa possibile dalla presenza di determinati gas

nell’atmosfera che intrappolano la radiazione ad onda lunga, così contribuendo a mantenere

una temperatura media di circa 15 °C; parimenti se non vi fosse l’atmosfera la temperatura

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media globale sarebbe di crica -18 °C. Qesto fenomeno è noto come effetto serra, ed è un

equilibrio abbastanza delicato.

Il più importante gas di serra è il vapor aqueo, ma un ruolo rilevante è svolto dall’anidride

carbonica, dall’ozono, ossidi di azoto e metano, come emissioni di gas di scarico. Altre

sostanze, quali il clorofluorocarbonio (CFC), hanno un peso importante, però non sono

riconducibili agli inquinanti da traffico. Il gas di serra emesso in maggior quantità è l’anidride

carbonica (CO2). La combustione di un serbatoio di benzina può produrre più di 100 Kg di

CO2, ed i veicoli a motore rispondono per il 15% delle emissioni totali di CO2 attualmente

(fonte Organizzazione Mondiale della Sanità). Il problema in questo caso è che l’emissione di

biossido di carbonio è prodotta da una combustione completa, per cui non un cattivo

funzionamento, ma un corretto ciclo motore. Per cui l’unico modo per ridurre tale emissioni è

di bruciare meno combustibili fossili, che vuol dire o usare meno veicoli, o veicoli con

consumi ridotti, ovvero ricorrere a risorse alternative e/o motori non a combustione interna.

L’emissione di monossido di carbonio, di per se non un gas di serra, può ripercurersi sul clima

dalla ossidazione del CO con radicali altamente reattivi (OH), aumentando i livelli di sostanze

quali l’ozono, il metano e l’ossido di azoto. L’effetto dell’ozono, di cui si è gia detto, è

ambivalente, in quanto l’ozono troposferico tende a scaldare la superfice terrestre per effetto

serra, mentre l’ozono stratosferico ha l’effetto opposto dovuto all’assorbimento della

radiazione ultra-violetta (onda corta).

FONTI DI EMISSIONE.

I motori a combustione interna.

I motori più comunemente utilizzati sono i motori endotermici, la cui sorgente di energia è

una reazione chimica di combustione che avviene all’interno del sistema. I motori endotermici

a pistone più utilizzati funzionano secondo i cicli Otto e Diesel. Il gas compie le sue

trasformazioni in un sistema cilindro – pistone dove il volume cambia grazie ai movimenti del

pistone mosso da un sistema biella-manovella. La distinzione ciclo Otto e Diesel riguarda la

modalità di alimentazione e la reazione chimica di combustione, distinguendo il primo come

combustione ad accensione comandata, ed il secondo ad accensione spontanea.

I motori a ciclo otto funzionano aspirando aria carburata, ovvero aria mescolata con un

piccolo quantitativo di benzina. Il ciclo è composto di quattro fasi.Nel ciclo reale è necessario

spendere lavoro per far entrare la miscela d’aria e combustibile nel cilindro, successivamente

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avviene la fase di compressione, comprimendo l’aria carburata dal volume superiore a quello

inferiore. Tale fase è adiabatica, e nel caso di ciclo reversibile si ipotizza come una

trasformazione isoentropica. La terza fase è la reazione chimica o scoppio in cui la miscela di

aria e combustibile reagiscono chimicamente, a causa di una scintilla provocata artificialmente

(accensione comandata). Questa fase di scoppio avviene con velocità molto elevata, ed in

tempo molto breve. E’ lecito schematizzare la fase come una trasformazione isocora, in cui a

causa della reazione esotermica, la temperatura e volumi finali sono molto più elevati di quelli

iniziali. Nella quarta fase del ciclo vi è l’espansione e scarico dei prodotti della combustione, Il

pistone si trova con un gas ad elevata temperatura e pressione, e si espande fino al volume

superiore. Questa espansione si suppone, adiabatica, e ipotizzando la trasformazione reversibile

per un gas ideale, si può concludere che l’espansione è isoentropica. Una volta che il pistone ha

raggiunto il volume superiore, si apre la valvola di scarico, la pressione diminuisce

bruscamente e poi inizia la fase di compressione a valvola di scarico aperta, che riporta il

volume del cilindro al volume iniziale, ed i prodotti della combustione escono dal cilindro. Nel

ciclo reale il gas contenuto nel cilindro , che rappresenta il sistema termodinamico, ha

compiuto una trasformazione ciclica durante la quale ha scambiato massa con l’esterno, perché

il sistema è aperto. Questo perché essendo presente una reazione chimica, la miscela all’inizio

del secondo ciclo deve essere di nuovo in grado di reagire chimicamente. Lo studio del ciclo

otto ideale, con un sistema chiuso ed un gas perfetto, porta al definire che il rendimento

termodinamico di un ciclo Otto dipende prevalentemente dal rapporto di compressione,

all’aumentare del rapporto di compressione si ha un’aumento del rendimento, ma con una

tendenza alla saturazione. Il fenomeno che limita il valore del rapporto di compressione usato

nella pratica è l’autoaccensione della miscela.

L’inconveniente dell’autoaccensione della miscela all’aumentare del rapporto di

compresione è superato dal ciclo Diesel. La fase di aspirazione avviene con sola aria ed è

simile a quella descritta nel ciclo Otto.La fase di compressione dell’aria si ipotizza come una

compressione adiabatica reversibile, cioè isoentropica. Il combustibile viene inettato alla fine

della compressione, tramite un’organo adatto, l’inettore, che provvede all’introduzione del

combustibile finemente polverizzato. Il combustibile si viene a trovare in un’ambiente ad

elevata pressione e temperatura e si ha una reazione di combustione esotermica. La temperatura

dei prodotti della combustione tende ad aumentare, così come la pressione. La fase di iniezione

ha una velocità finita, pertanto il pistone ha il tempo di muoversi dal volume inferiore, cioè

inizia la fase di espansione. Non appena la reazione chimica è esaurita, inizia la fase di

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espansione vera e propria con diminuzione della pressione secondo una trasformazione

adiabatica reversibile, cioè isoentropica fino al volume superiore. Una volta raggiunto questo

volume, si apre la valvola di scarico, che permette ai prodotti della combustione di essere

scaricati fino a che il volume del cilindro non raggiunge il volume inferiore. I rendimenti del

ciclo Otto e Diesel possono essere confrontati, ed è utile fare due tipi di confronti: a parità di

rapporto di compressione e a parità di temperatura massima. A parità di rapporto di

compressione il calore assorbito dal ciclo Otto è maggiore di quello assorbito dal ciclo Diesel,

da cui ne consegue che a parità di rapporto di compressione il ciclo Otto è più conveniente del

Diesel, mentre a parità di temperatura massima il calore assorbito nel ciclo Diesel è maggiore,

pertanto il rendimento del ciclo Dielsel risulta maggiore del rendimento del ciclo Otto. Si

desume che il ciclo Diesel sia più conveniente se viene utilizzato a più elevato rapporto di

compressione rispetto alciclo Otto. Per il la natura ed il funzionamento dei motori a ciclo

Diesel ed Otto, ed il combustibile utilizzato, la maggiore emissione di inquinanti è dovuto alla

composizione del carburante, e lecondizioni in cui avviene la combustione, ovvero la reazione

chimica. Per le problematiche descritte nei motori ad accensione comandata, ovvero

l’autoaccensione della miscela combustibile, alle benzine sono aggiunti degli additivi

antidetonanti, ovvero il piombo, nei motori prodotti antecedentemente all’ingresso in vigore

delle normative comunitarie per l’abbatimento graduale delle benzine additivate con piombo,

ed il benzene nelle benzine per uso con motori catalizzati. Inoltre nei motori a ciclo otto le

temperature di combustione più elevate portano nella reazione la maggiore produzione di

monossido di carbonio. La combustione del gasolio nei motori a ciclo Diesel comporta

l’emissione dei solfati presenti nel gasolio per autotrazione in quantità di molto superiore

rispetto alla benzina.

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LA LEGISLAZIONE NAZIONALE

Prima di analizzare le leggi che determinano i vincoli vigenti in tema d’inquinamento

atmosferico causato dagli autoveicoli, è opportuno premettere una breve descrizione

dell’evoluzione storica della materia che si può suddividere in tre fasi. La prima fase, il periodo

anteriore al 1965, in cui vi sono pochissime norme, e quelle esistenti disseminate nei vari testi

normativi, da cui si può intravedere l’inesistenza di una visione sistematica della questione,

corrispondente alla mancata percezione del problema della tutela ambientale intesa come

settore di interventi normativi organicamente strutturati. In questa prima fase le norme sul tema

delle immissioni nocive o moleste sono caratterizzate più che altro da esigenze di tutela di

proprietà e non si pongono come espressione di un’esigenza di tutela collettiva. In questa prima

fase quindi si creano le premesse affinché la produzione legislativa evolva dal concetto di

tutela della proprietà a una più ampia prospettiva di tutela della salute pubblica. Del 15/06/59 è

il DPR 393, il testo unico delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, che definisce

le caratteristiche e i requisiti cui devono rispondere i veicoli circolanti. La seconda fase della

legislazione italiana, contrassegnata da una maggiore organicità della disciplina

dell’inquinamento atmosferico, ha inizio nel 1966 con l’emanazione della prima legge

strutturale sull’inquinamento atmosferico, la legge del 13/07/1966 n.615, in cui gli articoli 22,

23 e 24 prevedevano la riduzione delle emanazioni di prodotti tossici comunque nocivi o

molesti, ma limitatamente ai veicoli con motore diesel. Queste prescrizioni riguardavano i

veicoli in circolazione. La 615 è seguita dal regolamento di esecuzione, il DPR n.323 del

22/02/1971. Sulla base di detta legge sono definite due zone del territorio nazionale, zona “A”

e zona “B”, limitatamente alle quali devono essere svolti i controlli. La distinzione è effettuata

sulla base della localizzazione dei comuni, della loro popolazione, delle caratteristiche

industriali, geografiche e meteorologiche. La legge n.615/1966 prevede inoltre l’istituzione di

due nuovi organi: la Commissione Centrale e il Comitato Regionale contro l’inquinamento

atmosferico. La Commissione Centrale contro l’inquinamento atmosferico è costituita presso il

Ministero della Sanità per esaminare qualsiasi materia inerente l’inquinamento atmosferico,

esprimere un parere su tutte le questioni relative all’inquinamento atmosferico ad essa

sottoposte, promuovere studi e ricerche su tali problemi.

Il Comitato Regionale è costituito a livello regionale con compiti analoghi ed un servizio

di rilevamento dati a livello delle amministrazioni provinciali. La legge era intesa a

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regolamentare l’uso e le specifiche di impianti termici, dei combustibili, delle industrie e dei

veicoli a motore. La legge non contiene, ancora, la determinazione di limiti alle emissioni o

alle immissioni; essa si limita a rinviare a un singolo accertamento la verifica dell’inosservanza

delle “volute caratteristiche” e quindi la notifica dell’obbligo di eliminare “gli inconvenienti

riscontrati” prevedendo, in caso di inosservanza, provvedimenti sanzionatori, amministrativi e

penali. La 615 è disciplinata per l’esecuzione dal DPR 323 del 22/02/71 recante provvedimenti

contro l’inquinamento atmosferico limitatamente ai veicoli con motore diesel, in particolare

limita l’opacità dei fumi. La legge n. 437 del 3/06/1971 invece reca misure da adottare contro

l’inquinamento atmosferico causato da gas di scarico prodotti da autoveicoli equipaggiati con

motori ad accensione comandata, e misure per il controllo dell’inquinamento da accertare in

sede di omologazione dei veicoli nuovi. La terza fase della normativa italiana in tema di

inquinamento atmosferico si può far partire dal 1972, e può essere distinta in ragione del

mutamento dell’ambito territoriale cui fare riferimento per l’attuazione della tutela; non più le

zone “A” o “B”, bensì l’intero territorio nazionale; la legge n. 833 del 23/07/1978 prevede

l’emanazione di leggi dello Stato dirette ad assicurare condizioni e garanzia di salute uniformi

per tutto il territorio nazionale ed a stabilire le relative sanzioni penali in materia di

inquinamento dell’atmosfera. Inoltre prevede l’emanazione di un decreto del Presidente del

Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Sanità, in cui sono fissati e

periodicamente sottoposti a revisione i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni ed i

limiti massimi di esposizione relativi ad inquinanti di natura chimica, fisica e biologica, e delle

emissioni sonore negli ambienti di lavoro, abitativi e nell’ambiente esterno.

In esecuzione è stato emanato il DPCM del 28/03/1983 nel quale sono fissati i limiti

massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad

inquinanti nell’aria, nell’ambiente esterno ed i relativi metodi di prelievo ed analisi al fine

dell’osservanza della tutela igenico-sanitaria delle persone e comunità esposte. La Tabella 3.1

individua tali limiti che denomina per la prima volta “standard di qualità”. Il DPCM del

28/03/1983 prevede per la prima volta i piani di risanamento regionali per il miglioramento

della qualità dell’aria. Quindi la terza fase caratterizzata dal riferimento omogeneo dei limiti di

inquinamento atmosferico all’intero territorio nazionale, all’introduzione del nuovo concetto di

“standard di qualità” riguardanti la concentrazione totale di determinati inquinanti nell’aria al

posto dei valori limite delle immissioni precedenti, dal riferimento dei valori sempre

all’ambiente esterno. Il DPR del 24/05/1988 recepisce le direttive della CEE, e in larga parte

riconosce i limiti posti dal DPCM 28/03/1983. Il DPCM del 5/06/1989, emanato relativamente

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ai limiti alle emissioni di sostanze inquinanti da parte di veicoli a motore, ed ai limiti alle

emissioni di gas inquinanti prodotti da motori ad accensione spontanea destinati alla

propulsione dei veicoli. Il Decreto del Ministro dell’Ambiente del 20/05/1991 inerente ai piani

regionali per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria, indica i criteri per la raccolta dei

dati inerenti la qualità dell’aria, ed il D. M. 06/05/1992 definisce il sistema nazionale

finalizzato al controllo ed assicurazione di qualità dei dati di inquinamento atmosferico ottenuti

dalle reti di monitoraggio.

Detti criteri e norme tecniche in materia di livelli e di stati di attenzione e di allarme per gli

inquinanti atmosferici nelle aree urbane, ai sensi degli artt. 3 e 4 del decreto del presidente

della repubblica 24 maggio 1988, n. 203, e dell’art. 9 del decreto ministeriale 20 maggio 1991

sono introdotti dal Decreto del Ministro dell’Ambiente del 15/04/1994, le cui finalità sono la

definizione dei livelli di attenzione e di allarme per gli inquinanti atmosferici nelle aree urbane

e nelle zone individuate dalla regioni e lo stabilire i criteri di individuazione degli stati di

attenzione e di allarme in base ai quali adottare provvedimenti per prevenire episodi acuti di

inquinamento atmosferico e per rientrare nei limiti della norma nel caso in cui i livelli di

attenzione o di allarme siano stati superati, anche al fine di prevenire il superamento dei limit i

massimi di accettabilità della concentrazione e di esposizione fissati dal DPCM del

28/03/1983 e dal DPR 24/05/1988, n. 203. Il successivo Decreto Ministeriale del 25/11/1994

aggiorna le norme tecniche in materia di limiti di concentrazione e di livelli di attenzione e di

allarme per gli inquinamenti atmosferici nelle aree urbane e disposizioni per la misura di alcuni

inquinanti di cui al decreto ministeriale 15 aprile 1994.

L’approvazione del nuovo codice della strada (D.L. 285/92) ha rivoluzionato la materia,

con una drastica abrogazione di un lungo elenco di leggi, attuato dall’art. 231 del citato codice.

Il codice della strada si caratterizza per il collegamento instaurato tra l’esigenza di tutela della

sicurezza stradale, che ne costituisce lo scopo e il principio fondamentale, con la disciplina

della circolazione stradale e della mobilità e dei connessi effetti di inquinamento dell’ambiente

esterno. In tale prospettiva la nuova normativa contiene disposizioni che non si limitano a

disciplinare la costruzione e l’uso delle strade e dei veicoli e la condotta dei rispettivi utenti,

bensì perseguono anche obiettivi di razionale gestione della mobilità, di protezione

dell’ambiente e di risparmio energetico.

La disciplina del settore dell’inquinamento atmosferico da traffico veicolare si pone in

diretta connessione con la realizzazione degli obbiettivi del codice della strada, ovvero la

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sicurezza stradale, la gestione della mobilità, la protezione dell’ambiente ed il risparmio

energetico.

La restrizione dell’inquinamento atmosferico porta ad agire in tre direzioni:

riduzione della congestione dei centri urbani

riduzione dei livelli inquinanti nelle emissioni veicolari

modifica della qualità dei combustibili, in accordo con le direttive CEE.

Oltre che le azioni dirette espressamente alla riduzione dell’inquinamento, altre azioni

quali il contenimento della velocità indirettamente contribuiscono sulla riduzione

dell’inquinamento atmosferico.

Il decreto ministeriale 16/05/1996 ha lo scopo di instaurare un sistema di sorveglianza, di

scambio di informazioni, di gestione degli stati di attenzione e di allarme per la popolazione

finalizzato al controllo dell’inquinamento da ozono.

Un altro passo in avanti è fatto con il D M ambiente 27/03/98 mobilità sostenibile nelle

aree urbane, che introduce indicazioni per il contenimento degli impatti ambientali in ambito

urbano da traffico.

Il D.M. 23 ottobre 1998 Individua i criteri ambientali e sanitari in base ai quali i sindaci

adottano le misure di limitazione della circolazione.

Il decreto fissa i criteri ambientali e sanitari in base ai quali i sindaci adottano le misure di

limitazione della circolazione di cui al Nuovo Codice della Strada (art. 7, DL 285/92), e si

applica nei comuni individuati all’allegato III del decreto 25 novembre 1994, nelle aree urbane

a maggiore concentrazione di traffico e di attività produttive. A tale fine sono state individuate

le aree urbane con una popolazione superiore a 150.000 abitanti, ovvero nei comuni con

popolazione inferiore per i quali la situazione meteoclimatica e l’entità delle emissioni facciano

prevedere possibili superamenti dei livelli di attenzione e/o degli obiettivi di qualità individuati

nel citato decreto, nonché negli altri comuni individuati dalle regioni nei piani di risanamento

Il decreto prevede che la valutazione preliminare della qualità dell’aria sia finalizzata alla

definizione, relativamente agli inquinanti normati, dello stato della qualità dell’aria nel

territorio comunale al 1998, sulla base delle informazioni fornite dalle reti di rilevamento e

dalle campagne di misura, effettuate anche mediante mezzi mobili, campionatori passivi o

attivi, o altro idoneo sistema di rilevamento, nonché dall’inventario delle sorgenti emissive,

stazionarie e mobili, e dall’impiego di modelli certificati da agenzie, organismi o altre

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istituzioni scientifiche riconosciute dai Governi a livello nazionale o internazionale o validati

secondo procedure documentate.

Prevede inoltre la pubblicazione del rapporto annuale sulla qualità dell’aria.

Il regolamento recante norme per l’individuazione dei criteri ambientali e sanitari in base

ai quali i sindaci adottano le misure di limitazione della circolazione (D.M. 21 aprile 1999, n.

163), aggiorna ed integra il decreto ministeriale precedente.

Una rivoluzione nel campo delle norme vigenti è portata dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 351,

attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria

ambiente. Il decreto legge ha tra le finalità:

a) stabilire gli obiettivi per la qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre

gli effetti dannosi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso;

b) valutare la qualità dell’aria ambiente sul territorio nazionale in base a criteri e metodi

comuni;

c) disporre di informazioni adeguate sulla qualità dell’aria ambiente e far sì che siano rese

pubbliche, con particolare riferimento al superamento delle soglie d’allarme;

d) mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri casi.

Lo stesso abroga:

l’articolo 3 commi 1 e 4, lettere a), b) e d), limitatamente alla predisposizione dei criteri per

la raccolta dei dati inerenti la qualità dell’aria, del decreto del Presidente della Repubblica

24 maggio 1988, n. 203;

il decreto del Ministro dell’ambiente 20 maggio 1991 concernente criteri per la raccolta dei

dati inerenti la qualità dell’aria;

il decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1992 recante «Atto di indirizzo e

coordinamento in materia di sistema di rilevazione dell’inquinamento urbano»;

il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 marzo 1983;

gli articoli 20, 21, 22 e 23 e gli allegati I, II, III e IV del decreto del Presidente della

Repubblica 24 maggio 1988, n. 203;

il decreto del Ministro dell’ambiente 15 aprile 1994, concernente le norme tecniche in

materia di livelli e di stati di attenzione e di allarme per gli inquinanti atmosferici nelle aree

urbane;

il decreto del Ministro dell’ambiente 25 novembre 1994, concernente l’aggiornamento

delle norme tecniche in materia di limite di concentrazione e di livelli di attenzione e di

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allarme per gli inquinanti atmosferici nelle aree urbane e disposizioni per la misura di

alcuni inquinanti di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 15 aprile 1994;

il decreto del Ministro dell’ambiente del 16 maggio 1996 recante «Attivazione di un

sistema di sorveglianza di inquinamento da ozono».

Successivamente al D. Lgs 351/99 sono stati emanati il D.M. 2 aprile 2002, n. 60,

Recepimento della direttiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori

limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di

azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità

dell’aria ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio, ed il D.M. 1 ottobre 2002, n. 261

Regolamento recante le direttive tecniche per la valutazione preliminare della qualità dell’aria

ambiente, i criteri per l’elaborazione del piano e dei programmi di cui agli articoli 8 e 9 del

D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 351.

Il D.M. 02/04/2002, n. 60 stabilisce per il biossido di zolfo, biossido di azoto ossidi di

azoto, materiale particolato, piombo, benzene e monossido di carbonio i valori limite e le

soglie di allarme, il margine di tolleranza e le modalità secondo le quali tale margine deve

essere ridotto nel tempo, il termine entro il quale il valore limite deve essere raggiunto, i criteri

per la raccolta dei dati inerenti la qualità dell’aria ambiente, i criteri e le tecniche di

misurazione, con particolare riferimento all’ubicazione ed al numero minimo dei punti di

campionamento, nonché alle metodiche di riferimento per la misura, il campionamento e

l’analisi, la soglia di valutazione superiore, la soglia di valutazione inferiore e i criteri di

verifica della classificazione delle zone e degli agglomerati, le modalità per l’informazione da

fornire al pubblico sui livelli registrati di inquinamento atmosferico ed in caso di superamento

delle soglie di allarme e il formato per la comunicazione dei dati.

Il D. M. 01/10/2002 n. 261è il regolamento introdotto dal D. Lgs. 351/99 e stabilisce le

direttive tecniche sulla cui base le regioni provvedono ad effettuare, ove non disponibili,

misure rappresentative al fine di valutare preliminarmente la qualità dell’aria ambiente ed

individuare le zone del proprio territorio nelle quali i livelli di uno o più inquinanti comportano

il rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme, i criteri per l’elaborazione

dei piani e dei programmi per il raggiungimento, entro i termini stabiliti, dei valori limite nelle

zone e negli agglomerati nei quali i livelli di uno o più inquinanti eccedono il valore limite

aumentato del margine di tolleranza, e/o i livelli di uno o più inquinanti sono compresi tra il

valore limite ed il valore limite aumentato del margine di tolleranza. Inoltre stabilisce le

direttive sulla cui base le regioni adottano un piano per il mantenimento della qualità dell’aria

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nelle zone ed agglomerati in cui i livelli degli inquinanti sono inferiori ai valori limite e tali da

non comportare il rischio di superamento degli stessi.

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L’inquinamento acustico

Proprietà e caratteristiche del suono

Il suono è un fenomeno di trasporto energetico, la propagazione di questa energia è

necessariamente legata ad un mezzo elastico e massivo che può essere gassoso, liquido o

solido.

Il suono si propaga per onde di pressione mediante collisioni multiple tra particelle: il corpo

vibrante (sorgente) trasmette sollecitazioni di pressione, variabili con legge assegnata in

funzione del tempo.

La vibrazione di questi corpi elastici ha un andamento ondulatorio, ossia descrive nel

tempo un movimento che può essere rappresentato graficamente con un’onda.

Le onde sonore sono classificate in funzione della periodicità che le caratterizza:

un’onda sonora periodica, caratterizzata cioè da una vibrazione periodica del mezzo

elastico, si definisce suono;

un’onda sonora non periodica costituisce, invece, un rumore, che a differenza del

suono è generalmente sgradevole e fastidioso per l’udito.

Tali onde sono soggette a tutti i fenomeni connessi alla propagazione ondosa in genere:

riflessione, rifrazione ed assorbimento e sono caratterizzate da alcune grandezze che ne

definiscono l’andamento: la frequenza f, il periodo T, la pulsazione , l’ampiezza A, la

lunghezza d’onda e, come già detto, la velocità c.

frequenza f: numero di oscillazioni complete nell’unità di tempo [Hz].

periodo T: durata di un ciclo completo di oscillazione [s], è l’inverso della frequenza:

1 2T

f

avendo indicato con la pulsazione 2 f ;

ampiezza A: valore massimo dell’oscillazione di pressione [N/m2];

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lunghezza d’onda : distanza percorsa dall’onda sonora in un periodo [m];

velocità di propagazione c: dipende dalle caratteristiche del mezzo stesso [m/s]; in aria

c è pari a circa 340 m/s:

cc f cT

f

In generale si ha:

c kRT

con R costante del gas considerato [J Kg/K], T

temperatura [K].

È indispensabile valutare l’entità della

perturbazione di pressione indotta nel mezzo

dall’onda sonora:

la differenza (positiva o negativa) fra la pressione p(t) esistente in un dato istante t e la

pressione statica che si avrebbe in assenza dell’onda sonora.

Nel caso in cui il mezzo di propagazione sia l’aria, la pressione statica è ovviamente la

pressione atmosferica pa.

La differenza p(t) = p(t) – pa è denominata pressione acustica o pressione sonora.

Ai fini degli studi sul rumore, è più utile considerare non la pressione istantanea, bensì il suo

valore efficace secondo la seguente relazione:

Mezzo Velocità (m/s)

Anidride carbonica 258

Ossigeno 317

Aria 340

Acqua 1.437

Rame 3.560

Marmo 3.810

Ferro 5.000

A

T

t

x

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2

0

1( )

T

mp p t pT

essendo ( ) mp t p la differenza fra il valore della pressione istantanea in un determinato punto

e il valore della pressione media.

Si definisce il livello di pressione sonora (SPL, Sound Pressure Level), espresso in dB, come:

Lp = 10 log10

2

2

0

p

p = 20 log10

0

p

p

dove p è il valore della pressione sonora in esame e p0 (pressione sonora di riferimento) è il

valore di soglia di udibilità a 1000 Hz (2 10-5

Pa = 20 µPa).

Decibel unità di misura del livello relativo di una grandezza rispetto ad una soglia e non

della grandezza fisica stessa:

n dB 10 n/10

volte la soglia

FENOMENO dB

soglia di udibilità 0

conversazione normale 30-40

macchina da scrivere 50-70

automobile 80-90

gru 100-110

aereo a reazione 120-130

soglia del dolore 140

Per raggiungere una buona approssimazione della risposta umana occorre compensare

strumentalmente il fatto che l’orecchio sente meglio le frequenze alte rispetto alle basse.

Questa operazione, detta di ponderazione, è eseguita andando a vedere a quale curva isofonica

appartiene una determinata coppia frequenza-livello.

Le curve isofoniche sono simili tra loro, ma comunque variano all’aumentare del livello, per

cui avremmo bisogno di più curve da utilizzare nei vari casi.

Entità sensazione sonora

Livello di pressione sonora

Frequenza

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A tale riguardo esistono la curva A (per livelli sotto i 60 dB), la curva B (tra 60 e 80 dB), la

curva C (oltre 80) e la curva D (per rumori molto forti, come quelli degli aerei) e si

definiscono le misure in dB(A), dB(C), etc. a seconda della curva di ponderazione utilizzata.

0

-20

-40

10 100 1 k 10 k

Lp

[dB]

A

B

CD

AB+ C

D

Frequenza

[Hz]

-60

20 k2 k 5 k200 50020 50

Curve di ponderazione

La curva di peso A è quella più utilizzata nella valutazione del disturbo

L’unità di misura è sempre il decibel:

dB(A) livello sonoro ponderato A

Lo strumento standard utilizzato per compiere le misure fonometriche è il misuratore di livello

sonoro normalizzato, chiamato comunemente fonometro.

Criteri di valutazione del disturbo da rumore

Il livello sonoro equivalente

Prefissato un intervallo di tempo d’osservazione, il livello sonoro equivalente è livello

stazionario cui compete, nell’intervallo considerato, la stessa energia del rumore di livello

variabile da analizzare;

Esso rappresenta il livello di pressione sonora di un suono costante che, nel predetto intervallo

di tempo, espone l’individuo disturbato alla stessa energia acustica di quella che si ha

considerando l’effettiva variabilità del suono.

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Da un punto di vista analitico si effettua la media energetica dei livelli istantanei di rumore

rilevati nel tempo di osservazione:

2

100

0

1 ( )10 log dBA

T

eq

p tL dt

T p

essendo T[s] l’intervallo di tempo di riferimento, p(t) [Pa] la pressione sonora in valore

efficace, p0 = 20 µPa la pressione sonora di riferimento.

Con questo criterio si sostituisce al reale valore fluttuante del livello di pressione sonora,

misurato durante un tempo di osservazione T, un valore costante e continuo (Leq), che

rappresenta un indice di valutazione degli effetti del rumore.

INQUINAMENTO ACUSTICO

FONTE DEL RUMORE EFFETTI SUL RICETTOREPROPAGAZIONE

CAUSE DEL RUMORE

TRAFFICO STRADALE

Apparato di

propulsione

RotolamentoAspirazione

e scarico

Fonti meccaniche - Sono essenzialmente le vibrazioni del motore e della

marmitta di scarico che si trasmettono alle diverse parti della struttura del

veicolo ed irradiano onde acustiche. Questo rumore varia approssimativamente

a seconda della potenza e del regime del motore.

Aspirazione e scarico – Sono in primo luogo le variazioni dell’aria aspirata a

livello di emissione o forzata a livello di scarico. Questi rumori variano molto in

rapporto al disegno del veicolo e alla velocità.

Rumori di contatto pneumatico superficie stradale – Deriva dall’interazione del

pneumatico con la superficie della strada, sono generati dalla vibrazione dei

pneumatici o dell’aria che viene intrappolata nei rilievi del pneumatico, al

momento del contatto con la superficie, e successivamente rilasciata.

Dipendono dalla natura del contatto ed in particolare dalla macrorugosità della

superficie e dal disegno del pneumatico.

CAUSE DEL RUMORE TRAFFICO STRADALE

Apparato di propulsione RotolamentoAspirazione escarico

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CAUSE DEL RUMORE TRAFFICO STRADALE

Apparato di

propulsione

Rotolamento

Aspirazione e

scarico

Velocità Frequenza centrale della banda d’ottave [Hz] Livello

Sonoro

[km/h] 125 250 500 1000 2000 4000 Ponderato

A [dB(A)]

56 87 84.5 81.5 78 74.5 70.5 83.5

88 87.5 85 87.5 82.5 77 73.5 87.5

SPETTRO DI EMISSIONE AUTOCARRI

Velocità Frequenza centrale della banda d’ottave [Hz] Livello

Sonoro

[km/h] 125 250 500 1000 2000 4000 Ponderato

A [dB(A)]

56 65 61 62 61 57 53 65

88 71 68 66 68 66 60 72

SPETTRO DI EMISSIONE AUTOVETTURE

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RUMORE TRAFFICO STRADALE

Apparato di

propulsione

Rotolamento

Aspirazione e

scarico

CAUSE FATTORI

Volume di

TrafficoComposizione

Traffico

(%veicoli

commerciali) Velocità

veicoli

Pendenza

longitudinaleCaratteristiche

superficie Stradale

CAUSE RUMORE TRAFFICO FERROVIARIO

SORGENTE

PRIMARIA

SORGENTI

OCCASIONBALI

SORGENTI

SECONDARIE

CONTATTO

RUOTA ROTAIASTRISCIAMENTO

PANTOGRAFO

RUMORE MOTORI

RUMORE SCARICO

(trazione diesel)

MARTELLAMENTO

(giunti escambi etc.)

STRISCIAMENTO

BORDINO IN

CURVA

STRISCIAMENTO

IN FASE DI

FRENATURA

RUMORE

AERODINAMICO

V> 200 km/h

CAUSE RUMORE TRAFFICO AEREO

AERODINAMICO APPARATO DI PROPULSIONE

V> 600 km/h

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Metodi di Calcolo del Rumore da Traffico Stradale

I più affermati e collaudati modelli di previsione del rumore generato dal traffico permettono di

calcolare il Leq in dB(A) partendo dai dati dei flussi veicolari.

Generalmente tutti i metodi considerano le seguenti informazioni:

dati di traffico (emissione) come numero di veicoli (divisi in auto e mezzi pesanti);

velocità dei veicoli (accelerazione addizionale, stop and go);

pendenza e superficie della strada;

tipo di luogo dell’indagine (es. ricettore scuola) e area fra esso e la strada in termini di

altezza di edifici, distanza fra strada ed edificio, caratteristiche d’assorbimento del

terreno includendo vegetazione, barriere ed elementi schermanti (es. rilevati).

I metodi di previsione esistenti mostrano alcune differenze fra i parametri considerati;

comunque per definire un modello di previsione del rumore emesso dal traffico veicolare,

occorre:

definire l’energia acustica emessa dal singolo veicolo in relazione ad esempio al tipo di

veicolo, al tipo di manto stradale e ai parametri del moto, identificando i principali

meccanismi di emissione di rumore;

individuare le leggi di propagazione dell’energia generata dal traffico tenendo conto delle

caratteristiche morfologiche del terreno, dell’influenza esercitata da ostacoli naturali e/o

artificiali e se necessario delle condizioni metereologiche.

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MODELLI DI PREVISIONE DEL RUMORE

I modelli microscopici sono costituiti

generalmente da un insieme di modelli

integrati che procedono a:

rappresentare il moto dei singoli

veicoli (microsimulazioni del traffico),

quantificare il rumore emesso da

ciscun veicolo con l’ausilio di modelli

empirici,

valutare la gli effetti della

propagazione e della combinazione dei

rumori generati dai vari veicoli.

MODELLI

MICROSCOPICI

MODELLI

MACROSCOPICI

Attraverso i modelli macroscopici si

analizza la corrente di traffico nel suo

complesso e procede a:

Quantificare la pressione sonora

emessa dalla corrente di traffico

rappresentata come sorgente lineare di

lunghezza finita o infinita,

Valutare l’attenuazione geometrica e le

altre attenuazioni

Fanno riferimento a parametri sintetici (p.e.

volume , % veicoli commerciali e velocità ,

pendenza longitudinale, rilevato-trincea, ecc.).

MODELLI DI PREVISIONE DEL RUMORE STRADALE

MODELLI

GRAFICIMODELLI ANALITICI

Generalmente i metodi considerano le seguenti informazioni:

-dati di traffico (i.e. numero di veicoli divisi per autovetture e veicoli

commerciali),

-velocità dei veicoli,

-pendenza della strada,

-carattarestiche del piano viabile (i.e. macrorugosità),

-Caratteristiche delle aree tra il ricettore e la sorgente (i.e. altezza

edifici, distanza caratteristiche di assorbimento del terreno inclusa

vegetazione, barriere ed elementi schermanti p.e. rilevati).

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Alcuni modelli previsionali

BURGESS (AUSTRALIA)

Il metodo di Burgess tiene conto di parametri caratterizzanti il traffico veicolare (veicoli/ora,

composizione del traffico), nonché della distanza fra le sorgenti di rumore ed i ricettori.

La formula fu ottenuta con un coefficiente di correlazione multiplo di 0.95 e un errore standard

di 1.5 dB(A).

Il LEQ orario può essere calcolato secondo la seguente formula:

LEQ = 55,5+10,2 logQ+0,3 p - 19,3 logd dB(A)

dove Q è il numero di veicoli/ora, P è la % di veicoli pesanti e d è la distanza in metri fra il

centro della carreggiata laterale ed il punto di osservazione posto sul ciglio della carreggiata

stessa.

MODELLO CORRIERE - LO BOSCO

I valori del livello equivalente di rumore Leq possono essere posti in relazione con il flusso

veicolare equivalente “Qeq”, con la distanza “d” [m] e con le velocità medie di deflusso “V”

[km/h].

Strade a “U”

Leq = 52,78 + 5,20∙log(Qeq/d) + 0,68∙V

Strade a “L”

Leq = 51,77 + 4,88∙log(Qeq/d) + 0,36∙V

con Qeq = Vl + 2∙V2 ruote + 8∙VP

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VALUTAZIONE EFFETTI FONOINQUINAMENTO

LIVELLO DI

PRESSIONE

TEMPO DI

ESPOSIZIONE

COMPOSIZIONE

SPETTRALE

DISTURBO DANNO

Livello di intensità sonora (dB) Caratteristiche della fasciadi livelli di intensità sonora

0 ÷ 35 Rumore che non arreca fastidio né danno

36 ÷ 65 Rumore fastidioso e molesto che può disturbare il sonnoe il riposo

66 ÷ 85 Rumore che affatica e disturba, capace di provocaredanno psichico e neurovegetativo ed in alcuni casidanno uditivo

86 ÷ 115 Rumore che produce danno psichico e neurovegetativo,che determina effetti specifici a livello auricolare e chepuò indurre malattie psicosomatiche

116 ÷ 130 Rumore pericoloso: prevalgono gli effetti specifici suquelli psichici e neurovegetativi

131 ÷ 150

ed oltre

Rumore molto pericoloso impossibile da sopportaresenza adeguata protezione; insorgenza immediata ocomunque molto rapida del danno

Scala di Lesività di Cosa Nicoli

VALUTAZIONE EFFETTI FONOINQUINAMENTO

LIVELLO DI

PRESSIONE

TEMPO DI

ESPOSIZIONE

COMPOSIZIONE

SPETTRALE

DISTURBO DANNO

Apparato Sintomi Evoluzione Soglia in dB(A)Uditivo 08>àtidroSitnetsisrepiiznoreihcsiF-

Cardi-vascolare - Accellerazione ritmo cardiaco- Aumento pressione arteriosa

Arterio sclerosi > 75

Cerebrale 59>ehcihcispebruTotnemattadasiD-

Digerente - Disturbi digestivi- Bruciori di stomaco

GastriteUlcera

< 95

Dell'equilibrio - Vertigine e nausea Perdita dell'equilibrio > 110

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Nelle due tabelle a seguire sono riportati i valori limiti di rumorosità previsti sia per le

infrastrutture di nuova realizzazione sia per quelle esistenti.

Strade di nuova realizzazione

Tipi di strada Sottotipi Ampiezza fascia

acustica (m)

Scuole, ospedali,

case di cura e di riposo Altri ricettori

diurno notturno diurno notturno

A - autostrada 250 50 40 65 55

E - extraurbana

principale 250 50 40 65 55

C - extraurbana C1 250 50 40 65 55

C2 150 50 40 65 55

D - urbana di 100 50 40 65 55

E - urbana di

quartiere 30 Definiti dai comuni, nel rispetto dei valori riportati in tabella C

allegata al D.P.C.M. 14 novembre 1997 e, comunque, in modo prevista dall’ari 6, comma 1, lettera a), legge n. 447/1995. F - locale 30

Strade esistenti e assimilabili

Tipi di strada Sottotipi a fini

acustici (CNR 1980)

Ampiezza fascia

acustica (m)

Scuole, ospedali, case

di cura e di riposo Altri ricettori

diurno notturno diurno notturno

A - autostrada 100 (fascia A)

50 40 70 60

150 (fascia B) 65 55

B - extraurbana

principale

100 (fascia A) 50 40

70 60

150 (fascia B) 65 55

C – extraurbana

secondaria

Ca

(strade a carreggiate

separate e tipo IV CNR

1980)

100 (fascia A) 50 40

70 60

150 (fascia B) 65 55

Cb

(tutte le altre strade

extraurbane secondarie)

100 (fascia A) 50 40

70 60

50 (fascia B) 65 65

D - urbana di

scorrimento

Da

(strade a carreggiate

separate e interquartiere) 100

50 40

70 60

Db

(tutte le altre strade urbane di scorrimento)

100 65 55

E - urbana di quartiere

30 Definiti dai comuni, nel rispetto dei valori riportati in tabella C allegata

al D.P.C.M. 14 novembre 1997 e, comunque, in modo conforme alla

zonizzazione acustica delle aree urbane, come prevista dall’art. 6,

comma 1, lettera a), legge n. 447/1995. F - locale 30