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2 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

UTILIZZO E QUALITÀ DELLA RISORSA IDRICA IN ITALIA

ISBN 978-88-458-1976-6

© 2019Istituto nazionale di statisticaVia Cesare Balbo, 16 - Roma

Salvo diversa indicazione, tutti i contenuti pubblicati sono soggetti alla licenzaCreative Commons - Attribuzione - versione 3.0.https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/it/

È dunque possibile riprodurre, distribuire, trasmettere e adattare liberamente dati e analisi dell’Istituto nazionale di statistica, anche a scopi commerciali, a condizione che venga citata la fonte.

Immagini, loghi (compreso il logo dell’Istat), marchi registrati e altri contenuti di proprietà di terzi appartengono ai rispettivi proprietari e non possono essere riprodotti senza il loro consenso.

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31. Acqua per uso civile

INDICE

Pag.

Prefazione 5

Capitolo 1 – Acqua per uso civile 71.1 Prelievi di acqua per uso potabile 7

1.1.1 Lo stato dei prelievi in Italia 71.1.2 Le tipologie di fonte e le portate 101.1.3 La misurazione dei prelievi 131.1.4 I prelievi nei distretti idrografici 161.1.5 La qualità dell’acqua 17

1.2 Flussi di acqua tra regioni 181.3 Consumi e perdite 21

1.3.1 Consumi 211.3.2 Le perdite della rete idrica 241.3.3 Focus sui comuni capoluogo di provincia 31

1.4 Depurazione delle acque reflue urbane 341.4.1 Lo stato della depurazione 341.4.2 Le caratteristiche dell’offerta di depurazione 351.4.3 Gli impianti secondari e avanzati 401.4.4 Focus sui grandi impianti 411.4.5 L’efficienza dei grandi impianti 431.4.6 La produzione di fanghi nei grandi impianti 441.4.7 Focus sui comuni litoranei 49

1.5 Servizio di erogazione di acqua alle famiglie 571.5.1 L’approvvigionamento delle famiglie attraverso la rete idrica comunale 571.5.2 La qualità del servizio di erogazione dell’acqua potabile 59

Capitolo 2 – Altri usi dell’acqua 612.1 Acqua per uso agricolo 61

2.1.1 Irrigazione 612.1.2 Zootecnia 65

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4 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Pag.

2.2 Acqua per uso industriale 672.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività manifatturiere 67

2.3 Dissalazione delle acque marine 702.4 Acqua nella produzione di energia elettrica 74

Capitolo 3 – Acqua, economia e indicatori di sviluppo sostenibile 773.1 Modelli per la valutazione economica 773.2 Il tema dell’acqua nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle

Nazioni Unite 803.2.1 Il Goal 6 813.2.2 Il Goal 14 84

Capitolo 4 – Precipitazione e crisi idrica 894.1 Dati meteoclimatici nelle principali città 89

4.1.1 Variabilità spaziale e temporale della precipitazione 904.1.2 Anomalie degli Indici di estremi climatici di precipitazione 93

4.2 La crisi idrica nel 2017 95

Riferimenti bibliografici 99

Glossario 101

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5

PREFAZIONE1

L’acqua svolge un ruolo centrale in tutti gli aspetti della vita del pianeta, con inevitabili ripercussioni sull’ambiente, sul benessere della popolazione, sull’economia e sulla politica.

Negli ultimi decenni è sempre più evidente che a causa di una domanda in costante au-mento, legata essenzialmente all’incremento della popolazione mondiale, ai nuovi modelli di consumo e stile di vita, al crescente processo di urbanizzazione, alle trasformazioni e all’inquinamento dei corpi idrici, la scarsità di acqua dolce sta diventando una minaccia per lo sviluppo sostenibile della società. A questo si aggiungono gli impatti dei cambiamenti climatici che stanno accrescendo la pressione sui corpi idrici, rendendo alcuni territori più vulnerabili a fenomeni di scarsità idrica, soprattutto in determinati periodi dell’anno.

In questo contesto, il volume ha l’obiettivo di dare un primo quadro sull’utilizzo di risorse idriche in Italia a partire dai dati raccolti ed elaborati dall’Istat. Dove disponibili, sono state analizzate le serie storiche al fine di studiare l’evoluzione dei fenomeni legati all’uso dell’acqua.

L’analisi prende in esame i diversi tipi di uso dell’acqua (civile, industriale e agricolo) e si sviluppa, dal punto di vista territoriale, sia a livello nazionale e, ove possibile, a livello regionale, di distretto idrografico e comunale.

Nel Capitolo 1, per quanto riguarda l’uso civile, si propone una lettura dei passaggi prin-cipali della filiera a partire dai dati del “Censimento delle acque per uso civile”. Per la compo-nente potabile: prelievo dall’ambiente, eventuale trattamento di potabilizzazione, adduzione nei serbatoi di accumulo e distribuzione nelle reti comunali; per la componente relativa alle acque reflue urbane: collettamento alla rete fognaria e trattamento in impianti di depurazione.

Particolare attenzione è posta al problema delle perdite idriche nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile, ancora oggi persistenti e gravose lungo tutto il territorio nazionale, che rappresentano uno spreco della risorsa, con inevitabili conseguenze ambien-tali, oltre che economiche, energetiche e sociali.

Il trattamento delle acque reflue urbane rappresenta un altro tema cruciale per le riper-cussioni sulla qualità dell’acqua che viene restituita all’ambiente. Per i grandi impianti di depurazione viene sviluppata un’analisi sull’efficienza del trattamento di depurazione e sui fanghi prodotti.

Nel capitolo viene anche descritta la valutazione da parte delle famiglie italiane dei servizi idrici per uso civile. L’analisi della percezione e dei comportamenti delle famiglie, misurabili attraverso alcuni indicatori elaborati dall’indagine campionaria “Aspetti della vita quotidiana” dell’Istat, consente di completare il quadro riassuntivo sullo stato dei servizi idrici in Italia attraverso il punto di vista dei principali utenti del servizio.

Sono, inoltre, presentati i risultati del lavoro di integrazione di dati di fonti diverse, utile e necessario strumento per la comprensione di fenomeni complessi, come quello delle risorse idriche. Sono stati messi in relazione i dati riferiti al servizio di depurazione delle ac-que urbane provenienti dal “Censimento delle acque per uso civile” dell’Istat con quelli sulla qualità delle acque di balneazione prodotti dal Ministero della Salute, al fine di investigare sulle cause di inquinamento delle acque marino-costiere. A tale scopo si è tenuto anche conto dei dati sulle presenze turistiche, che possono rappresentare un fattore stagionale di pressione sulla risorsa idrica.

1 Il volume è stato curato da Stefano Tersigni.

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6 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Il Capitolo 2 è dedicato agli altri usi dell’acqua (industriale, agricolo, produzione di energia elettrica), per i quali – a differenza del settore civile – non esiste un sistema di monitoraggio diffuso. Sono pertanto riportate le stime che consentono una prima quantifi-cazione dei prelievi e dei consumi lungo il territorio nazionale. Inoltre, per quanto riguarda la pratica dell’irrigazione dei terreni agricoli, che rappresenta un’importante pressione sulle risorse idriche, sono esaminati anche i dati sulle superfici irrigabili e irrigate provenienti dall’indagine “Struttura e produzione delle aziende agricole”.

Indicatori statistici validati e condivisi, su tutto il settore delle risorse idriche, dalla disponibilità al riutilizzo fino al conseguente impatto sull’ambiente, sono essenziali nella valutazione economica della risorsa e nella definizione della governance. Inoltre monito-raggi costanti e interventi puntuali sono diventati fondamentali per sviluppare strategie di risposta adeguate, come incoraggiato nei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) dell’ONU. Di questi due aspetti si fornisce un quadro aggior-nato nel Capitolo 3.

Per lo stretto e imprescindibile legame tra uso dell’acqua e disponibilità della risorsa, nel Capitolo 4 è presentato un approfondimento quantitativo sugli aspetti meteoclimatici nei comuni capoluogo di regione, in particolare sulla variabilità spaziale e temporale delle precipitazioni e dei relativi di eventi estremi. A seguire una breve analisi sulla situazione di siccità registrata nel biennio 2016-2017 nei principali bacini idrografici nazionali.

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7

1. ACQUA PER USO CIVILE 1

L’acqua ha da sempre condizionato la formazione e lo sviluppo degli insediamenti ur-bani. Per raccontare il lungo viaggio dell’acqua è possibile tracciare la filiera d’uso urbano, distinguendola essenzialmente in due fasi: da un lato, l’approvvigionamento e l’uso di ac-qua potabile, dall’altro la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane.

I passaggi principali del ciclo dell’acqua potabile sono: il prelievo dall’ambiente, l’even-tuale trattamento di potabilizzazione, l’adduzione nei serbatoi di accumulo e la distribuzione in rete fino agli utenti finali. Per il ciclo delle acque reflue urbane le fasi principali sono: il collettamento in fognatura e il trattamento in impianti di depurazione che scaricano nell’am-biente naturale.

I principali usi civili dell’acqua sono all’interno delle abitazioni, per l’uso domestico del-le famiglie, negli edifici pubblici e negli uffici, per i servizi, per le attività industriali e agricole insistenti sul territorio urbano, per il lavaggio delle strade e per i fontanili.

1.1 Prelievi di acqua per uso potabile

Il prelievo di acqua dall’ambiente è l’attività con cui si prende la risorsa dalle fonti di approvvigionamento, che possono essere sotterranee o superficiali, per soddisfare i diversi bisogni. Nel corso del tempo, a seconda della disponibilità e della tipologia di fonti presenti sul territorio, sono state utilizzate diverse opere di presa, ovvero impianti che captano l’ac-qua e che la mettono a disposizione del ciclo idrico.

1.1.1 Lo stato dei prelievi in Italia

Il volume di acqua complessivamente prelevato per uso potabile sul territorio italiano da oltre 1.800 enti gestori di fonti di approvvigionamento è pari a 9,49 miliardi di metri cubi nel 2015. Un approvvigionamento così consistente è reso possibile da una produzione giornaliera di 26,0 milioni di metri cubi di acqua, che corrisponde a un prelievo di 428 litri giornalieri per abitante, pari a 156 metri cubi annui pro capite.

Il confronto internazionale2 del volume pro capite di acqua che viene annualmente prelevata per uso potabile (freshwater abstraction for public water supply) da corpi idrici superficiali o sotterranei nei 28 Paesi dell’Unione Europea, mostra che l’Italia, con 156 metri cubi per abitante, è il paese con il prelievo maggiore, seguita da Irlanda (135 metri cubi per abitante) e Grecia (131 metri cubi per abitante). Di contro, Malta è il paese in cui il valore dell’indicatore raggiunge il minimo (31 metri cubi per abitante). Prelievi per uso potabile piuttosto contenuti si rilevano nella maggior parte dei paesi dell’Europa dell’Est (Grafico 1.1).

1 Il capitolo è stato curato da Simona Ramberti (parr. 1.1, 1.2, 1.3.1, 1.3.2), Antonino Laganà (par. 1.3.3), Rossana Cotroneo (parr. 1.4.1, 1.4.2 e 1.4.3), Tiziana Baldoni (parr. 1.4.4 e 1.4.7), Luigi Petta e Gianpaolo Sabia (Enea) (parr. 1.4.5 e 1.4.6) e Salvatore Allegra (par. 1.5). Predisposizione figure, grafici, testo e tavole dati a cura di Tiziana Baldoni, Rossana Cotroneo e Simona Ramberti.

2 Il confronto tra i diversi Paesi è effettuato utilizzando il 2015 o l’ultimo anno a disposizione nella banca dati Eurostat http://ec.europa.eu/eurostat/data/database.

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8 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

In Italia, il volume prelevato per uso potabile è cresciuto costantemente negli ultimi diciassette anni.

Rispetto al 1999, anno del primo Censimento delle acque per uso civile, nel 2015, si osserva un aumento del volume prelevato del 6,9 per cento, pari a circa 614 milioni di metri cubi di acqua (Grafico 1.2).

Nell’insieme, le regioni del Nord-ovest e del Sud contribuiscono a più della metà dei prelievi complessivi di acqua per uso potabile (Tavola 1.1). In particolare, la Lombardia è la regione dove si preleva il maggior volume di acqua per uso potabile (il 15,7 per cento del totale nazionale), ma quantitativi consistenti si captano anche nel Lazio (12,4 per cento) e in Campania (10,3 per cento).

Grafico 1.1 – Prelievi di acqua per uso potabile nei paesi Ue 28. Anno 2015 o ultimo anno disponibile (metri cubi per abitante)

156

135131

121112

98 97

84 84 82 81 80 76 75 73 72 7265 64 62 61 58 54 53 51

46 44

31

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

Fonte: Elaborazioni Istat su dati Eurostat

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91. Acqua per uso civile

Tavola 1.1 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia di fonte e regione. Anno 2015 (volumi in milioni di metri cubi, pro capite in litri per abitante al giorno)

REGIONI Sorgente Pozzo Corso d’acqua superfi ciale

Lago naturale o bacino artifi ciale

Acque marine o salmastre

Totale Prelevato pro capite

Piemonte 160,7 415,4 49,9 38,2 - 664,2 412Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 47,1 6,1 - - - 53,2 1.140Liguria 31,0 130,4 38,0 59,0 - 258,4 449Lombardia 276,8 1.166,1 0,8 43,1 - 1.486,9 407Trentino-Alto Adige/Südtirol 193,0 34,0 3,5 0,6 - 231,1 599Bolzano-Bozen 64,5 18,9 - - - 83,4 440Trento 128,5 15,1 3,5 0,6 - 147,7 752Veneto 179,5 472,9 64,8 2,0 - 719,2 400Friuli-Venezia Giulia 53,2 163,6 6,3 1,3 - 224,4 502Emilia-Romagna 32,5 290,5 107,2 57,3 - 487,6 300Toscana 106,8 226,3 115,4 16,1 1,0 465,6 340Umbria 44,7 70,0 - - - 114,7 352Marche 117,3 29,5 2,3 25,0 - 174,1 308Lazio 823,3 309,0 3,8 38,7 - 1.174,9 546Abruzzo 229,1 44,7 8,0 - - 281,8 581Molise 117,9 46,1 - 13,9 - 178,0 1.559Campania 577,3 397,6 - 0,4 - 975,3 456Puglia 0,4 72,0 - 101,4 - 173,8 117Basilicata 57,5 4,8 - 255,1 - 317,4 1.512Calabria 191,9 183,7 52,8 5,5 - 434,1 603Sicilia 167,5 455,9 2,4 124,6 10,3 760,7 410Sardegna 36,5 30,8 0,8 244,4 - 312,5 516Nord-ovest 515,7 1.718,1 88,7 140,3 - 2.462,8 418Nord-est 458,2 961,0 181,8 61,2 - 1.662,2 391Centro 1.092,2 634,8 121,4 79,8 1,0 1.929,2 438Sud 1.174,2 748,9 60,8 376,4 - 2.360,3 458Isole 204,0 486,7 3,3 369,0 10,3 1.073,2 436ITALIA 3.444,3 4.549,5 456,0 1.026,6 11,2 9.487,7 428Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Grafico 1.2 - Prelievi di acqua per uso potabile. Anni 1999-2015 (volumi in miliardi di metri cubi)

8,5

8,6

8,7

8,8

8,9

9,0

9,1

9,2

9,3

9,4

9,5

9,6

1999 2005 2008 2012 2015

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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10 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

L’evidente variabilità dei volumi pro capite prelevati per regione viene spiegata tenendo conto, oltre che delle diverse esigenze idriche presenti sul territorio, delle diverse infrastrut-ture di trasposto dell’acqua all’utente finale e delle diverse performance del servizio, anche degli scambi idrici tra regioni (Paragrafo 1.2).

1.1.2 Le tipologie di fonte e le portate

Le fonti di prelievo dipendono dalle caratteristiche dei corpi idrici utilizzati per l’ap-provvigionamento idropotabile. Nel 2015 l’84,3 per cento del prelievo nazionale di acqua per uso potabile deriva da acque sotterranee (48,0 per cento da pozzo e 36,3 per cento da sorgente), il 15,6 per cento da acque superficiali (9,9 per cento da bacino artificiale, il 4,8 per cento da corso d’acqua superficiale e lo 0,9 per cento da lago naturale) e il restante 0,1 per cento da acque marine o salmastre (Grafico 1.3).

La ripartizione tra acque sotterranee e superficiali dipende dalla localizzazione e dalla qualità delle fonti di approvvigionamento. Dove disponibili, le acque sotterranee tendono a essere maggiormente utilizzate per il consumo umano in quanto sono generalmente di qualità migliore e non necessitano di trattamenti spinti di potabilizzazione.

Le acque sotterranee rappresentano per il territorio italiano la risorsa più grande e preziosa di acqua dolce, necessaria a soddisfare le esigenze idropotabili della popolazione. L’Italia è tra i paesi europei che sfruttano in grande maggioranza fonti di acque sotterranee per le esigenze dei servizi idrici pubblici (Grafico 1.4).

Grafico 1.3 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia di fonte. Anno 2015 (composizione percentuale)

36,3%

48,0%

4,8%

0,9%9,9%

0,1%

Sorgente Pozzo Corso d'acqua superficiale Lago naturale Bacino artificiale Acque marine o salmastre

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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111. Acqua per uso civile

In alcune regioni, tuttavia, lo sfruttamento delle acque superficiali risulta particolar-mente consistente: in particolare, in Basilicata, Sardegna, Puglia, Liguria ed Emilia-Roma-gna, dove la percentuale supera il 30 per cento del totale prelevato sul territorio regionale.

Nel 2015, a integrazione delle fonti di acqua dolce, e per sopperire alle carenze idriche, l’acqua di mare viene trattata secondo standard potabili attraverso un processo di dissala-zione in Sicilia e Toscana.

La variazione nei volumi prelevati dall’ambiente, oltre a derivare da un diverso sfrut-tamento della risorsa, dovuto generalmente a un aumento della diffusione del servizio, ri-sente anche di situazioni locali specifiche. In alcuni casi di criticità, ad esempio in presenza di diffuse dispersioni di rete, per garantire un livello di erogazione costante è necessario prelevare volumi maggiori e immettere più acqua nella rete di distribuzione.

L’analisi delle portate3 dei prelievi per uso potabile conferma che la numerosità e la portata dei punti di prelievo sfruttati dipendono frequentemente dalla tipologia della fonte (Grafico 1.5 e 1.6).

I prelievi da sorgente avvengono in oltre la metà dei casi sfruttando fonti con portata inferiore a 0,5 litri al secondo che, di contro, contribuiscono ad appena il 2 per cento del totale proveniente da fonti sorgive e all’1 per cento del volume complessivamente prelevato sul territorio nazionale.

Invece, i prelievi da fonti con portata superiore ai 30 l/s (il 2 per cento dei casi) con-corrono al 72 per cento circa dei volumi di origine sorgentizia. Di contro, lo sfruttamento di bacini artificiali avviene in più del 40 per cento dei casi da punti di prelievo con portate superiori a 30 l/s, che forniscono la quasi totalità (99 per cento) di acqua proveniente da fonti di questo tipo. L’attingimento da fonti con portate consistenti (superiori a 15 l/s) è frequente nel caso di utilizzo di prelievi da lago naturale e acque marine o salmastre. Nel caso di prelievi da pozzo, il numero di punti di prelievo utilizzati e la portata sfruttata hanno caratteristiche piuttosto variabili sul territorio.

3 La portata di una fonte di approvvigionamento è indicata in litri al secondo (l/s).

Grafico 1.4 – Prelievi di acqua per uso potabile nei paesi Ue 28 per tipologia di fonte. Anno 2015 o ultimo anno disponibile (composizione percentuale)

0%

10%

20%

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50%

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100%

Irlan

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Italia

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Slov

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Litu

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Dan

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Mal

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Aust

ria

Acque superficiali Acque sotterranee

Fonte: Elaborazione Istat su dati Eurostat

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12 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

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Sorgente Pozzo Corso d'acqua Lago naturale Bacino artificiale Acque marine osalmastre

>30 l/s 15-|30 l/s 10-|15 l/s 3-|10 l/s 0,5-|3 l/s 0,2-|0,5 l/s <=0,2 l/s

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Grafico 1.6 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia e classe di portata della fonte di approvvigionamento. Anno 2015 (composizione percentuale)

0%

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Sorgente Pozzo Corso d'acqua Lago naturale Bacino artificiale Acque marine osalmastre

>30 l/s 15-|30 l/s 10-|15 l/s 3-|10 l/s 0,5-|3 l/s 0,2-|0,5 l/s <=0,2 l/s

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Grafico 1.5 – Punti di prelievo di acqua per uso potabile per tipologia e classe di portata della fonte di approvvigionamento. Anno 2015 (composizione percentuale)

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131. Acqua per uso civile

1.1.3 La misurazione dei prelievi

La quantificazione dei volumi prelevati dall’ambiente svolta dagli enti gestori può av-venire tramite specifici strumenti di misura o, in assenza di questi strumenti o in caso di temporaneo malfunzionamento, attraverso metodi di stima. In assenza dei misuratori, è frequente l’uso della portata massima di concessione di derivazione come parametro per il calcolo del volume stimato prelevato.

Il 76,3 per cento del volume prelevato nel 2015, pari a poco più di sette miliardi di metri cubi, è stato misurato attraverso idonei strumenti di misura, mentre il restante 23,7 per cento è stato stimato dai gestori delle fonti. L’utilizzo degli strumenti di misura si presenta piuttosto variabile sul territorio e correlato soprattutto al tipo di gestione (specializzata o in economia4) e alla tipologia di fonte.

I 375 gestori specializzati di fonti di approvvigionamento hanno contribuito al prelievo del 92,3 per cento del volume complessivo, pari a circa 8,76 miliardi di metri cubi di acqua, con una percentuale di misurato pari al 79,8 per cento del prelevato.

4 La gestione in economia si ha quando l’amministrazione comunale provvede direttamente alla fornitura del servizio idrico.

Gestori specializzatiGestori in economia

Figura 1.1 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia di gestore e regione. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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14 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

I 1.502 gestori in economia, quindi, si sono occupati del prelievo del restante 7,7 per cento del volume complessivo, pari a circa 727 milioni di metri cubi. L’incidenza delle pro-cedure di stima è, in questo caso, piuttosto rilevante e soltanto il 33,7 per cento dei volumi risulta misurato dai gestori in economia (Figura 1.1 e 1.2).

Figura 1.2 – Prelievi di acqua per uso potabile misurata per tipologia di gestore e regione. Anno 2015 (valori percentuali sul totale dei volumi prelevati)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

La presenza di misuratori varia in maniera piuttosto evidente a seconda della tipologia

di fonte. I prelievi da lago naturale o bacino artificiale, che rappresentano il 10,8 per cento del volume complessivo e che per la quasi totalità (99,2 per cento) sono utilizzati da gestori specializzati, sono quelli più misurati: il 97 per cento circa viene infatti misurato e il restante 3 per cento è quantificato dal gestore attraverso procedure di stima (Grafico 1.7).

I volumi prelevati da pozzo, che incidono sul 48,0 per cento del totale, sono stati misu-rati dal gestore della fonte nel 75,3 per cento dei casi.

Per i prelievi da sorgente e da acque marine o salmastre, complessivamente pari al 36,4 per cento del totale, le misurazioni sono meno diffuse. L’ente gestore ha, difatti, di-chiarato di aver utilizzato procedure di stima per la fornitura del dato annuale nel 27,6 per

80,0

94,0

79,6

97,5

69,5

100

40,2

98,5

68,4

94,4

59,0

87,4

73,1

93,9

85,8

94,8

77,980,224,0

78,4

38,6

0

048,0

0

06,50

0

32,2

29,4

30,032,4

41,2

32,9

5,6

34,6

39,4

26,4

59,1

24,1

26,2

Gestori specializzatiGestori in economia

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151. Acqua per uso civile

cento dei casi da sorgente e nel 25,9 per cento dei casi da acque marine o salmastre.Ancora più bassa la quota del misurato nel caso di prelievi da corso d’acqua superficia-

le, stimati nel 30,4 per cento dei casi. Nel caso delle sorgenti, dipende principalmente dalla loro frequente localizzazione in alta quota, in zone non facilmente raggiungibili, in cui risul-ta difficoltosa l’introduzione di strumenti di monitoraggio e la loro manutenzione. Inoltre, soprattutto in inverno, capita sovente che gli strumenti di misura si ghiaccino e subiscano malfunzionamenti, da cui la necessità di effettuare stime per almeno un periodo dell’anno.

Inoltre, la stima è piuttosto frequente per le sorgenti localizzate nelle aree storicamente ricche di acqua, come ad esempio le zone dell’arco alpino, che non hanno mai avuto l’esi-genza di tenere sotto controllo una risorsa ritenuta abbondante.

Per quanto riguarda i prelievi da corso d’acqua superficiale, acque marine o salma-stre, i contatori sono generalmente posizionati all’uscita dell’impianto di trattamento di potabilizzazione.

La Puglia è la regione in cui è maggiormente presente la misurazione dei quantitativi prelevati per uso civile, con il 99,8 per cento di volumi misurati, percentuale pressoché coincidente con i prelievi effettuati dalle gestioni specializzate attive sul territorio, in preva-lenza da pozzo, lago naturale o bacino artificiale. La misurazione è molto diffusa, con livelli superiori al 90 per cento, anche in Emilia-Romagna (97,8 per cento), Sardegna (96,1 per cento), Basilicata (93,8 per cento) e Lazio (92,3 per cento), regioni in cui è molto diffusa la gestione specializzata delle fonti di approvvigionamento per uso potabile.

Di contro, la regione in cui i gestori delle fonti di approvvigionamento hanno dichiarato più frequentemente il ricorso alle procedure di stima è la Valle d’Aosta, con appena il 25,9 per cento dei volumi sottoposti a misura; si tratta per lo più di prelievi da sorgenti di alta quota, difficilmente accessibili. In questa regione quasi il 90 per cento dei prelievi è gestito in economia. Bassi livelli di misurazione si registrano anche in Molise (37,8 per cento) e Toscana (40,2 per cento), dove ci sono importanti prelievi da corso d’acqua superficiale.

Grafico 1.7 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia di fonte e di misurazione. Anno 2015 (composizione percentuale)

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Corso d'acqua superficiale

Sorgente

Acque marine o salmastre

Pozzo

Bacino artificale

Lago naturale

Misurato Non misurato

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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16 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

1.1.4 I prelievi nei distretti idrografici

La Direttiva 60/2000/UE dispone di ricondurre le analisi quantitative dal punto di vista idrologico, idraulico e idrogeologico a livello di distretto idrografico. L’osservazione dei dati per distretto consente una lettura territoriale più pertinente dello stato della risorsa idrica, perché non più riferita a delimitazioni amministrative (come le regioni), bensì a limiti natu-rali definiti in base a caratteristiche idrologiche e geomorfologiche.

L’analisi per distretto idrografico da un punto di vista quantitativo conferma, da un lato, la presenza di maggiori volumi di prelievo nelle aree in cui la disponibilità idrica è più consi-stente per caratteristiche idrogeologiche favorevoli, dall’altro consente di evidenziare inte-ressanti peculiarità sulle caratteristiche dello sfruttamento rispetto al tipo di fonte utilizzata.

Tavola 1.2 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia di fonte e distretto idrografico. Anno 2015 (migliaia di metri cubi)

Nel 2015 il maggiore prelievo di acqua per uso potabile si è verificato nel distretto del fiume Po, pari a 2,9 miliardi di metri cubi. Seguono nell’ordine, in misura quasi diretta-mente proporzionale all’estensione areale, i distretti Appennino meridionale (2,4 miliardi) e Appennino centrale (1,5 miliardi). A seguire il distretto Alpi orientali, con poco più di un miliardo di metri cubi prelevati, i distretti Sicilia (0,8 miliardi), Appennino settentrionale (0,6 miliardi) e Sardegna (0,3 miliardi). Un volume esiguo, pari a poco più di 340 mila metri cubi, proviene da territori che ricadono in distretti extra-territoriali (Tavola 1.2).

L’utilizzo di fonti d’acqua sotterranea è preponderante, con percentuali superiori al 75 per cento, su tutti i distretti, a meno del distretto Sardegna dove poco più del 20 per cento proviene da sorgente o pozzo. Lo sfruttamento di fonti sorgentizie è predominante nel di-stretto Appennino centrale, con oltre il 70 per cento del volume complessivo di acqua che viene captata da sorgente; a seguire il distretto Appennino meridionale (poco meno del 50 per cento).

Lo sfruttamento di pozzi è, invece, prevalente nel distretto del fiume Po, contribuendo al 67,1 per cento del volume complessivamente prelevato nell’anno.

L’impiego di acque superficiali si conferma piuttosto spinto nel distretto Sardegna, dove poco meno dell’80 per cento dei volumi prelevati proviene da bacini artificiali. Seppur in percentuale molto più bassa, ma in valore assoluto decisamente più consistente, appare significativo, in termini di volume, lo sfruttamento di acque superficiali nei distretti Appen-nino meridionale, fiume Po e Sicilia (Figura 1.3).

DISTRETTI IDROGRAFICI Sorgente Pozzo Corso d’acqua superficiale

Lago naturale o bacino artificiale

Acque marine o salmastre Totale

Fiume Po 555.400 1.928.785 206.772 181.947 - 2.872.904

Alpi orientali 398.748 621.408 54.360 1.312 - 1.075.829

Appennino settentrionale 99.770 353.840 124.758 24.518 960 603.845

Appennino centrale 1.073.330 336.428 14.039 73.526 - 1.497.322

Appennino meridionale 1.113.051 822.001 52.850 376.363 - 2.364.264

Sicilia 167.476 455.881 2.430 124.581 10.285 760.652

Sardegna 36.495 30.813 827 244.398 - 312.533

Extra territoriali - 343 - - - 343

ITALIA 3.444.269 4.549.498 456.036 1.026.644 11.245 9.487.692

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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171. Acqua per uso civile

Figura 1.3 – Prelievi di acqua per uso potabile per tipologia di fonte e distretto idrografico. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

1.1.5 La qualità dell’acqua

Crescita della popolazione mondiale, maggior numero di persone che vivono in città, condizioni meteorologiche e cambiamenti climatici, carenza di risorse idriche, costi di trat-tamento dell’acqua prima e dopo l’utilizzo, rappresentano solo alcuni dei fattori che rendo-no la qualità dell’acqua un argomento delicato e complesso per le ricadute sull’ambiente e sulla vita dei cittadini.

Nel 2015, un terzo dei volumi di acqua prelevati per uso potabile sul territorio italiano proviene da un trattamento di potabilizzazione, più complesso rispetto alle ordinarie opera-zioni di disinfezione o clorazione5, che consiste nella rimozione delle sostanze contaminanti dall’acqua grezza per garantirne la qualità nelle reti, fino al rubinetto dei consumatori.

Si osserva che la potabilizzazione è conseguenza delle caratteristiche del corpo idrico da cui sono captate le acque. Le acque sotterranee, essendo generalmente di migliore qualità, non richiedono di norma processi di potabilizzazione, ad eccezione dei casi in cui siano stati

5 Il solo processo di disinfezione (clorazione o altra metodologia) non costituisce, ai fini del presente studio, trat-tamento di potabilizzazione.

DISTRETTO FIUME PO

DISTRETTO APPENNINO MERIDIONALE

DISTRETTO SICILIA

DISTRETTO ALPI ORIENTALI

DISTRETTO APPENNINO CENTRALE

DISTRETTO SARDEGNA

DISTRETTO APPENNINO SETTENTRIONALE

SorgentePozzoCorso d'acqua superficialeLago naturale o bacino artificialeAcque marine o salmastre

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18 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

riscontrati fenomeni di inquinamento di origine antropica o naturale. Al contrario, le acque superficiali richiedono il trattamento nella quasi totalità dei casi. Maggiori volumi di acqua potabilizzata si riscontrano, pertanto, nelle aree del territorio dove più grande è il prelievo da acque superficiali. Le regioni con la maggior quota di acqua sottoposta a trattamenti di pota-bilizzazione sono, difatti, Basilicata (80,0 per cento) e Sardegna (79,0 per cento), a causa dei consistenti prelievi da corsi d’acqua superficiali e bacini artificiali. Le quote sono considerevoli anche in Emilia-Romagna (59,3 per cento), Puglia (58,8 per cento) e Toscana (56,5 per cento).

A livello di distretto idrografico, oltre al distretto Sardegna - dove, come già ribadito, per l’imponente ricorso all’approvvigionamento idrico da acque superficiali i volumi potabi-lizzati sfiorano l’80 per cento del prelevato - il volume potabilizzato si presenta significativo nel distretto del fiume Po, dove il trattamento impatta su quasi la metà dei prelievi e risulta necessario nonostante l’intenso sfruttamento di acque sotterranee. Nei distretti Appennino centrale e Alpi orientali, dove la quota di utilizzo di acque superficiali supera di poco il 5 per cento, la percentuale di acqua sottoposta a trattamenti di potabilizzazione è inferiore al 20 per cento, a conferma della migliore qualità delle acque provenienti da fonti sorgive.

1.2 Flussi di acqua tra regioni

La risorsa idrica non è distribuita omogeneamente nel Paese.La disponibilità idrica per uso civile di un territorio è strettamente legata alle sue ca-

ratteristiche idrogeologiche, alla fruibilità della risorsa, in termini di accessibilità e sfrutta-mento, e agli eventuali usi non civili. Le aree a maggiore criticità dal punto di vista idrico sono pertanto quelle che pagano un’insufficienza di risorsa, alla quale spesso si associa l’obsolescenza degli impianti e una gestione non sempre attenta alla sostenibilità.

Per sostenere le richieste di approvvigionamento di acqua della popolazione, delle at-tività economiche, dei servizi, nonché per garantirne la disponibilità nei periodi di siccità e nelle aree più vulnerabili alla scarsità idrica, si è nel tempo sviluppata una fitta rete di scam-bi, in alcuni casi resi possibili dallo sviluppo di sistemi idrici complessi che comportano ingenti trasferimenti di risorsa tra territori confinanti.

Nel dettaglio, a livello regionale, i flussi che vengono movimentati da una regione all’al-tra si compongono dell’acqua in ingresso in una regione, derivante da volumi di acqua a uso potabile ricevuti da gestori che operano in altre regioni (compreso l’estero, che forni-sce un contributo, seppur minimo) o da prelievi da corpi idrici extra regionali effettuati da gestori locali, e dall’acqua in uscita da una regione, derivante dalla cessione di acqua a uso potabile a gestori operanti in altre regioni o da adduzioni dirette in comuni extra regionali (compreso l’estero) effettuate con risorse locali (Tavola 1.3 e Figura 1.4).

Il contributo extra regionale alla disponibilità interna della risorsa idrica per uso civile è generalmente diffuso, ma non determinante, nell’economia della maggior parte delle ge-stioni locali.

L’indice regionale di dipendenza idrica consente di valutare la dipendenza di un terri-torio da risorse idriche che confluiscono dall’esterno per soddisfare esigenze locali. L’indice è stato calcolato rapportando il contributo idropotabile extra territoriale al volume com-plessivamente addotto internamente alla regione. Quando il valore è zero significa che il territorio non riceve acqua dall’esterno ed è autosufficiente dal punto di vista idrico.

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191. Acqua per uso civile

Tavola 1.3 – Flussi di acqua per uso potabile tra regioni e indice regionale di dipendenza idrica. Anno 2015 (acqua ricevuta in migliaia di metri cubi e indice in percentuale dei volumi in ingresso extra-regionali sul totale del volume addotto regionale)

Nelle regioni del Centro-sud si verificano gli scambi di acqua più rilevanti in termine di volume. La Puglia è la regione in cui si ha il più alto valore dell’indice di dipendenza idrica, pari al 79,0 per cento nel 2015, calcolato rapportando la quota in ingresso da Basilicata,

Regione/territorio ricevente Regione/territorio cedente Acqua ricevuta Indice regionale di dipendenza idrica (%)

PiemonteLiguria 967,9

0,2Lombardia 2,0

Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste - - -

Liguria Piemonte 153,8 0,06

Lombardia Emilia-Romagna 18,5 0,001

Provincia autonoma di Bolzano-Bozen Provincia autonoma di Trento 10,6 0,02

Provincia autonoma di Trento - - -

Veneto

Friuli-Venezia Giulia 15.109,3

2,5Emilia-Romagna 758,4

Provincia autonoma di Trento 318,6

Friuli-Venezia GiuliaEstero-Slovenia 1.628,8

0,8Veneto 9,0

Emilia-Romagna

Toscana 1.514,0

0,4Marche 316,7

Estero-Repubblica di San Marino 64,5

ToscanaLiguria 267,3

0,1Lazio 58,1

Umbria Toscana 2.289,8 2,2

Marche

Emilia-Romagna 935,0

1,0Umbria 624,9

Abruzzo 134,6

Estero-Repubblica di San Marino 0,3

Lazio

Abruzzo 2.219,0

0,3Toscana 173,9

Campania 128,2

Abruzzo Lazio 451,3 0,2

MoliseAbruzzo 314,0

0,7Lazio 55,7

CampaniaLazio 107.279,0

26,5Molise 101.775,7

Puglia

Basilicata 188.787,2

79,0Campania 146.847,7

Molise 821,0

Basilicata Campania 813,6 0,9

Calabria Basilicata 1.362,4 0,4

Sicilia Campania 1.500,0 0,2

Sardegna - - -

Estero-Repubblica di San Marino Emilia-Romagna 1.169,0 n.d.

Estero-Slovenia Friuli-Venezia Giulia 6,7 n.d.

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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20 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Campania e Molise (circa 335,5 milioni di metri cubi) ai volumi addotti ai serbatoi comunali regionali. Significativo è anche il volume di acqua in ingresso in Campania, che ha un indice regionale di dipendenza idrica del 26,5 per cento, determinato da circa 208 milioni di metri cubi provenienti da Lazio e Molise.

Valle d’Aosta, provincia autonoma di Trento e Sardegna sono le aree territoriali che risultano autosufficienti dal punto di vista idrico, ovvero per le quali l’acqua utilizzata nelle reti comunali di trasporto e distribuzione proviene esclusivamente da risorse interne. Valle d’Aosta e Sardegna si contraddistinguono, inoltre, come regioni “chiuse” dal punto di vista idrico, in quanto non effettuano scambi di acqua a uso potabile con altre regioni, né in en-trata né in uscita. Si segnala il caso della Sicilia, in cui la quasi totalità dell’acqua utilizzata deriva da risorse interne, a meno di una piccolissima parte che viene trasferita dalla Cam-pania alle Isole Eolie.

Figura 1.4 – Flussi di acqua per uso potabile tra regioni e indice regionale di dipendenza idrica. Anno 2015 (percentuale dei volumi in ingresso extra-regionali sul totale del volume addotto regionale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

egionale di dipendenza idrica (%)

≤ 0,3

0,3 -| 1,0

1,0 -| 2,5

2,5 -| 26,5

= 79

Flusso di acqua in entrata e in uscita

Flusso di acqua in uscita

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211. Acqua per uso civile

1.3 Consumi e perdite

1.3.1 Consumi

L’acqua per uso potabile viene consegnata ai singoli punti di utilizzazione finale (abitazio-ni, stabilimenti, negozi, uffici) attraverso le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile6.

Il servizio comunale di distribuzione dell’acqua potabile è presente, nel 2015, in 8.024 comuni (il 99,7 per cento dei comuni italiani). I 23 comuni totalmente sprovvisti della rete di distribuzione, si trovano in Lombardia (11), Veneto (7) e Friuli-Venezia Giulia (5); si tratta di comuni, dove risiedono circa 104 mila persone (lo 0,2 per cento della popolazione totale), in cui si ricorre a forme autonome di autoapprovvigionamento (ad esempio, pozzi privati).

La gestione del servizio di distribuzione, nel 2015, è in carico a 2.306 enti gestori. In quasi tutti i comuni serviti da una rete di distribuzione dell’acqua potabile in esercizio è pre-sente un unico gestore del servizio (il 97,6 per cento dei comuni serviti). In circa 200 casi (il 2,4 per cento dei comuni serviti), invece, la gestione del servizio è a carico di più enti, ope-rativi su aree diverse del territorio comunale. La gestione multipla della rete di distribuzione è particolarmente diffusa nella provincia autonoma di Bolzano e nella provincia di Catania.

I gestori della rete comunale di distribuzione dell’acqua potabile rappresentano, per gli utenti, i referenti del servizio idrico, dal momento che sono loro a occuparsi della fornitura dell’acqua nelle abitazioni e nei servizi, nonché della fatturazione, che normalmente include il canone di fognatura e depurazione, anche qualora questi servizi vengano effettuati da un gestore diverso.

In Italia, nel corso del 2015, per garantire il livello di consumo della popolazione, il vo-lume complessivo di acqua immessa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile è pari a 8,32 miliardi di metri cubi, pari a 375 litri giornalieri per abitante. Rispetto al 2012 il volume immesso in rete è diminuito dello 0,4 per cento.

Il servizio di distribuzione è in gran parte affidato a una gestione specializzata. Infatti, nel 2015, 331 enti specializzati gestiscono l’86,4 per cento dei volumi immessi in rete, mentre 1.975 gestori in economia si occupano del restante 13,6 per cento.

I volumi di acqua per uso potabile movimentati nelle reti comunali di distribuzione di-pendono, oltre che dalla dotazione infrastrutturale, anche da aspetti socioeconomici, legati per lo più alla vocazione attrattiva del territorio e quindi alla popolazione ivi insistente e alle attività economiche presenti su scala urbana.

I volumi giornalieri pro capite immessi in rete variano molto a livello regionale: dai 286 litri per abitante immessi quotidianamente in Puglia ai 559 della Valle d’Aosta (Tavola 1.4).

Nel complesso, il 70,8 per cento del volume di acqua immessa in rete è soggetto a misurazione; tale percentuale raggiunge il 75,2 per cento nel caso di gestori specializzati e scende al 42,9 per cento nel caso di gestori in economia.

I gestori delle reti di distribuzione dell’acqua potabile hanno autorizzato, nel 2015, l’e-rogazione di 4,9 miliardi di metri cubi, in calo del 7,0 per cento rispetto al 2012. Comples-sivamente l’erogazione giornaliera di acqua per uso potabile autorizzata è quantificabile in 220 litri per abitante7 (80 metri cubi annui).

6 Complesso di tubazioni, relativo all’intero territorio comunale, che partendo dalle vasche di alimentazione (serbatoi, vasche, impianti di pompaggio) distribuisce l’acqua agli utenti.

7 Nella lettura degli indicatori pro capite è necessario tener conto del fatto che si fa riferimento alla popolazione residente e che, quindi, non si tiene conto delle variazioni di popolazione che possono aver luogo in determinati periodi dell’anno nei territori a maggior vocazione attrattiva (per motivi di studio, lavoro, turismo).

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22 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Tavola 1.4 – Acqua immessa e acqua erogata per usi autorizzati nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per regione - Anno 2015 (volumi in migliaia di metri cubi e pro capite in litri per abitante al giorno)

Nel valutare le variazioni temporali verificatesi tra il 2012 e 2015 occorre considerare che queste possono essere imputabili, oltre che alla diversa performance effettiva della rete, anche alle eventuali modifiche dei criteri utilizzati per definire, individuare e quantificare le componenti del bilancio idrico, in particolare nel metodo di calcolo dei volumi non misurati8.

Nei volumi di acqua erogata per usi autorizzati sono compresi anche gli usi pubblici, quali la pulizia delle strade, l’acqua nelle scuole e negli ospedali, l’innaffiamento di verde pubblico e i fontanili.

L’erogazione dell’acqua per uso potabile si presenta eterogenea sul territorio italiano (Grafico 1.8). Nella ripartizione del Nord-ovest si registra il volume maggiore (264 litri gior-nalieri per abitante), con una forte variabilità interna regionale dell’indicatore che oscilla dai 235 litri per abitante al giorno del Piemonte ai 454 della Valle d’Aosta (regione con il valore più alto). Per i residenti nelle regioni insulari è erogato in media il volume minore di acqua (188 litri giornalieri per ogni abitante), ma i valori più bassi dell’indicatore si osservano in Umbria (166) e Puglia (155).

8 Fino al 2012 l’unico riferimento per l’elaborazione del bilancio idrico era il Decreto del Ministero dei lavori pubblici dell’8 gennaio 1997 n. 99. A partire dal 2013, l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (Determina n. 5/2014-DSID), con la prima raccolta sui dati tecnici presso gli enti gestori, ha apportato alcune modifiche alle componenti del bilancio del DM 99/97, indicando anche criteri numerici per la stima di alcune componenti. Tali criteri possono in generale variare tra una raccolta e l’altra.

REGIONI Acqua immessain rete

Acqua erogata per usi autorizzati

Acqua immessa in rete pro capite

Acqua erogata per usi autorizzati pro capite

Piemonte 584.051 378.203 362 235 Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 26.085 21.199 559 454 Liguria 238.694 160.360 415 279 Lombardia 1.391.858 992.972 381 272 Trentino-Alto Adige/Südtirol 159.808 112.235 414 291 Bolzano-Bozen 64.804 48.008 342 253 Trento 95.004 64.228 484 327 Veneto 647.574 388.267 361 216 Friuli-Venezia Giulia 195.591 102.047 438 228 Emilia-Romagna 471.052 326.210 290 201 Toscana 426.726 241.394 312 176 Umbria 101.978 54.238 313 166 Marche 167.140 110.096 296 195 Lazio 972.540 458.342 452 213 Abruzzo 230.772 120.160 476 248 Molise 53.491 28.121 469 246 Campania 820.102 437.444 384 205 Puglia 426.653 231.010 286 155 Basilicata 97.754 42.671 466 203 Calabria 350.048 206.145 486 286 Sicilia 683.146 341.567 368 184 Sardegna 274.999 121.992 454 201 Nord-ovest 2.240.688 1.552.733 381 264 Nord-est 1.474.024 928.760 347 218 Centro 1.668.384 864.071 378 196 Sud 1.978.820 1.065.551 384 207 Isole 958.145 463.559 389 188 ITALIA 8.320.061 4.874.673 375 220

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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231. Acqua per uso civile

La diffusione dei fontanili - presenti in gran numero soprattutto in alcune zone d’Italia, quali Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e, in generale, nelle aree montane - dà luogo a erogazioni per nulla trascurabili, che fanno aumentare sensibilmente il valore dell’indicatore pro capite.

Anche a livello di distretto idrografico è possibile evidenziare importanti differenze nei volumi movimentati giornalmente dalle reti di distribuzione dell’acqua potabile, che chiara-mente ricalcano quanto visto anche a livello regionale. Il distretto del fiume Po si contrad-distingue, nel 2015, per il maggior volume di acqua erogata giornalmente per abitante (247 litri); nel distretto della Sicilia, di contro, si eroga il minor volume giornaliero, 184 litri per abitante (Grafico 1.9).

Grafico 1.9 – Acqua immessa e acqua erogata per usi autorizzati dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per distretto idrografico. Anno 2015 (litri per abitante al giorno)

344357 369

384 387403

454

208247

184230

201 213202

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

500

Appenninosettentrionale

Fiume Po Sicilia Alpi orientali Appenninomeridionale

Appenninocentrale

Sardegna

Volumi giornalieri immessi in rete Volumi giornalieri erogati dalla rete per usi autorizzati

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

381347

378 384 389

264 218 196 207 188

0

50

100

150

200

250

300

350

400

Nord-ovest Nord-est IsoleCentro Sud

Volumi giornalieri immessi in rete Volumi giornalieri erogati dalla rete per usi autorizzati

Grafico 1.8 – Acqua immessa e acqua erogata per usi autorizzati dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per ripartizione geografica. Anno 2015 (litri per abitante al giorno)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Page 24: Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia...4 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia Pag. 2.2 Acqua per uso industriale 67 2.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività

24 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Dei 4,87 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile erogati agli utenti per usi autorizzati le componenti misurate pesano, nel complesso, per l’88,8 per cento, con una percentuale che va dal 61,9 per cento nelle gestioni in economia al 93,3 per cento nelle gestioni specializzate.

Il 96,3 per cento del volume complessivamente erogato viene fatturato e il restante 3,7 per cento è erogato dall’ente gestore per usi non fatturati. Nelle gestioni specializzate la componente fatturata è il 97,5 per cento del volume complessivamente erogato e si tratta di volumi quasi completamente misurati. Di contro, nelle gestioni in economia la componente fatturata pesa per poco meno del 90 per cento del complessivo erogato, con una minore incidenza della misurazione, che pesa sul 65,5 per cento del fatturato complessivo. Casi di volumi non fatturati, presenti soprattutto nelle gestioni in economia, sono i fontanili, lavag-gio strade, antincendio.

Grafico 1.10 – Acqua erogata per usi autorizzati dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per tipologia di gestore. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

1.3.2 Le perdite della rete idrica

Non vi è processo di distribuzione di acqua realizzato senza alcuna perdita lungo il percor-so che dai serbatoi giunge agli utenti finali. Le fonti di approvvigionamento d’acqua sono spes-so lontane da dove essa è necessaria. Questo richiede il prelievo dell’acqua alla fonte e il tra-sporto fino al punto di consegna o di utilizzo. Il sistema di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua per uso potabile può, nell’insieme, comprendere migliaia di chilometri di tubazioni.

A partire dal punto di prelievo, infatti, l’acqua è generalmente trasportata dapprima attraverso grandi tubi di trasmissione verso i serbatoi di accumulo e da qui poi, si dirama in tubi progressivamente più piccoli fino alla distribuzione in micro zone, singole strade, per arrivare agli utenti finali (abitazioni, negozi, uffici, etc.). I sistemi di tubazioni sono soggetti a perdite che possono verificarsi laddove ci sono degli allacci o, più frequentemente, laddo-ve i tubi sono più vetusti e fortemente corrosi.

Le perdite idriche possono generarsi in adduzione, tra il punto di prelievo e il serbatoio, e in distribuzione, come differenza tra i volumi immessi in rete e quelli erogati agli utenti finali.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Gestore in economia

Gestore specializzato

Acqua fatturata misurata Acqua fatturata non misurata Acqua non fatturata misurata Acqua non fatturata non misurata

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251. Acqua per uso civile

Gli sviluppi tecnologici e infrastrutturali, incluso il grado con il quale le perdite nel sistema di approvvigionamento idrico pubblico sono affrontate, svolgono un ruolo importante.

Nella maggior parte delle città italiane l’infrastruttura idrica è soggetta a un forte invec-chiamento e deterioramento. In parte, le dispersioni sono fisiologiche e legate all’estensione della rete, al numero degli allacci, alla loro densità e alla pressione d’esercizio, in parte sono derivanti da criticità di vario ordine: rotture nelle condotte, vetustà degli impianti, consumi non autorizzati, prelievi abusivi dalla rete, errori di misura dei contatori. Le dispersioni conti-nuano a essere persistenti e gravose lungo tutto il territorio nazionale, nonostante il migliora-mento dell’efficienza dell’infrastruttura idrica costituisca una priorità diffusa e improcrastina-bile per molti gestori del servizio idrico, che si sono impegnati negli ultimi anni nel cercare di minimizzare le perdite, individuare quelle occulte, garantire un elevato livello di qualità nella misurazione dei consumi ed effettuare un più assiduo monitoraggio del parco contatori.

Rispetto al volume di acqua che viene prelevato in Italia dalle fonti di approvvigio-namento per uso potabile e tenendo in considerazione anche i 71,7 milioni di metri cubi addotti all’ingrosso per usi non civili dell’acqua fuori dal sistema di distribuzione (in parti-colare, nell’agricoltura e nell’industria), il quantitativo che viene effettivamente immesso in rete si riduce dell’11,6 per cento.

Nelle aree più ricche d’acqua, spesso collocate in zone di montagna, la differenza che si rileva tra il volume prelevato e quello effettivamente immesso in rete è conseguenza degli sfiori nei serbatoi di accumulo, quando l’acqua disponibile ne supera la capacità di conte-nimento e l’esubero torna in natura.

Significative differenze si verificano anche nei casi in cui la rete di adduzione è partico-larmente estesa, come per le reti di adduzione del Centro e del Mezzogiorno.

La differenza tra i due volumi è, inoltre, maggiormente presente nelle aree in cui è necessario sottoporre l’acqua prelevata a un trattamento di potabilizzazione; durante il pro-cesso, infatti, si disperde una parte del volume prelevato.

Una dispersione più contenuta nella fase di adduzione si realizza, invece, qualora l’ac-qua venga immessa direttamente in rete, quando in pratica la distanza tra il punto di prelie-vo e quello di consegna è minima, come succede in molte aree del Nord-ovest.

Il confronto tra volumi prelevati e volumi immessi in rete, soprattutto se sviluppato a livello regionale, deve tener conto anche degli scambi idrici interregionali (Paragrafo 1.2), conseguenza di situazioni di eccedenza d’acqua prelevata, da un lato, e di insufficienza rispetto alle esigenze idropotabili, dall’altro.

Le perdite idriche della rete di distribuzione si distinguono in:- perdite totali, ottenute sottraendo i volumi erogati autorizzati ai volumi immessi in rete;- perdite apparenti, dovute a volumi sottratti senza autorizzazione (allacciamenti abu-

sivi) e a volumi erogati, ma non effettivamente misurati, a causa dell’imprecisione o del malfunzionamento dei contatori. Si tratta di un volume stimato dal gestore della rete;

- perdite reali, ottenute come differenza tra le perdite totali e quelle apparenti.Nel complesso il volume di perdite idriche totali nella rete di distribuzione dell’acqua

potabile ammonta nel 2015 a 3,45 miliardi di metri cubi, corrispondenti a una dispersione giornaliera di 9,4 milioni di metri cubi.

Le perdite idriche apparenti stimate in 260,3 milioni di metri cubi di acqua, sono colle-gate alle caratteristiche dell’area geografica in cui il gestore opera. Ad esempio, nelle aree di montagna il problema principale riscontrato è l’errore di misura dei contatori che si veri-fica soprattutto nei periodi di gelo, in quanto la strumentazione può risentire del freddo. Di contro, nelle aree del Centro-sud sono soprattutto i consumi non autorizzati, quali i prelievi abusivi dalla rete, a incrementare il valore delle perdite apparenti.

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26 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Le perdite idriche reali di acqua potabile, ottenute come differenza tra le perdite totali e quelle apparenti, sono stimate nel 2015 in 3,2 miliardi di metri cubi, circa 100 mila litri al secondo, pari a 144 litri al giorno per abitante. Tali perdite rappresentano la componente fisica delle perdite dovute a corrosione, giunzioni difettose, deterioramento o rotture delle tubazioni, e corrispondono al volume di acqua che fuoriesce dal sistema distributivo e che si disperde nel sottosuolo. Si tratta di un volume cospicuo che, stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, soddisferebbe le esigenze idriche per un intero anno di circa 40 milioni di persone.

Il rapporto percentuale tra il volume totale disperso e il volume complessiva-mente immesso nella rete è l’indicatore più frequentemente utilizzato per la misura delle perdite di una rete di distribuzione. Nel 2015 esso è pari al 41,4 per cento, in aumento di quattro punti percentuali rispetto al 2012, anno in cui le perdite percentuali totali erano del 37,4 per cento, confermando lo stato di persistente inadeguatezza e inefficienza in cui versa l’infra-struttura idrica e degli scarsi investimenti in termini di manutenzione e sviluppo.

Nel dettaglio, le perdite percentuali reali, dovute a corrosione o deterioramento delle tubazioni, rotture nelle tubazioni o giunzioni difettose e inefficienti, risultano pari al 38,3 per cento, mentre le perdite percentuali apparenti, riconducibili a consumi non autorizzati ed errori di misura, sono il 3,1 per cento dell’acqua immessa in rete.

Tavola 1.5 – Perdite idriche totali nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua per uso potabile per regione. Anni 2012 e 2015 (valori percentuali sul volume immesso in rete)

REGIONI 2012 2015 Differenze 2015- 2012

Piemonte 38,0 35,2 -2,8

Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 21,9 18,7 -3,2

Liguria 31,2 32,8 1,6

Lombardia 26,5 28,7 2,2

Trentino-Alto Adige/Südtirol 25,6 29,8 4,2

Bolzano-Bozen 25,5 25,9 0,4

Trento 25,7 32,4 6,7

Veneto 35,6 40,0 4,4

Friuli-Venezia Giulia 44,9 47,8 2,9

Emilia-Romagna 25,6 30,7 5,1

Toscana 38,6 43,4 4,8

Umbria 38,5 46,8 8,3

Marche 28,9 34,1 5,2

Lazio 45,1 52,9 7,8

Abruzzo 42,3 47,9 5,6

Molise 47,2 47,4 0,2

Campania 45,8 46,7 0,9

Puglia 34,6 45,9 11,3

Basilicata 38,5 56,3 17,8

Calabria 35,4 41,1 5,7

Sicilia 45,6 50,0 4,4

Sardegna 54,8 55,6 0,8

Nord-ovest 30,0 30,7 0,7Nord-est 32,6 37,0 4,4Centro 41,4 48,2 6,8Sud 40,9 46,2 5,3Isole 48,3 51,6 3,3

ITALIA 37,4 41,4 4,0

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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271. Acqua per uso civile

Tutte le regioni del Nord Italia, ad eccezione del Friuli-Venezia Giulia, hanno un livello di perdite percentuali totali inferiore a quello nazionale (Tavola 1.5 e Figura 1.5). La Valle d’Aosta è la regione in cui si registra nel 2015 il valore minimo di perdite idriche totali di rete (18,7 per cento), registrando un ulteriore miglioramento rispetto al già positivo 2012. L’avvio e il consolidamento di specifici sistemi di telecontrollo e di monitoraggio del servi-zio, nonché l’ammodernamento dell’infrastruttura e la ridotta lunghezza delle reti stesse di distribuzione, hanno permesso a questa regione di contenere la perdita della risorsa idrica nella fase di approvvigionamento degli utenti finali.

Il Nord-ovest si conferma anche nel 2015 la ripartizione con il livello di perdite idri-che totali più basso (30,7 per cento), sebbene lievemente più alto rispetto al dato 2012 (30,0 per cento). Di contro, le maggiori criticità si rilevano, a livello di ripartizione, ancora una volta nelle Isole, dove non soltanto si ha il più elevato livello di dispersione (51,6 per cento) e pertanto più della metà dei volumi immessi in rete non raggiunge gli utenti finali, ma si registra un peggioramento di oltre tre punti percentuali rispetto al 2012. Il distacco nell’efficienza del sistema comunale di distribuzione dell’acqua potabile tra l’area nord-occidentale e l’area insulare è piuttosto considerevole e pari a circa 21 punti percentuali. Il Centro si contraddistingue come la ripartizione che registra, tra il 2012 e il 2015 il maggiore aggravarsi delle perdite di rete, con l’indicatore che cresce di circa sette punti percentuali, passando dal 41,4 al 48,2 per cento.

Figura 1.5 – Perdite idriche totali nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per provincia. Anno 2015 (valori percentuali sul volume immesso in rete)

Perdite totali %

opopopop

< 21,021,0 - 40,040,1 - 60,0> 60,0

Perdite in diminuzione rispetto al 2012Perdite in aumento rispetto al 2012

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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28 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

A livello regionale, ingenti perdite si registrano in diverse regioni del Centro e del Mez-zogiorno. Nel dettaglio, le perdite idriche totali sono più alte in Basilicata (56,3 per cento), Sardegna (55,6 per cento), Lazio (52,9 per cento) e Sicilia (50,0 per cento).

Rispetto al 2012, l’andamento delle perdite idriche totali evidenzia una forte variabi-lità territoriale. Piemonte e Valle d’Aosta sono le uniche regioni a presentare un evidente miglioramento. Tutte le altre regioni presentano, invece, un peggioramento delle perdite idriche totali di rete. Come già segnalato, le variazioni rispetto al 2012 devono essere lette tenendo conto anche delle diverse metodologie di calcolo del bilancio idrico.

A livello di distretto idrografico, valori superiori al dato nazionale di perdite idriche to-tali della rete di distribuzione si riscontrano in tutti i distretti del Centro-sud, con i valori più alti nei distretti Sardegna e Sicilia. Nel distretto del fiume Po l’indicatore raggiunge, di con-tro, il valore minimo, pari al 30,8 per cento del volume immesso in rete (Grafico 1.11).

La città metropolitana riveste un ruolo centrale nel nuovo assetto del governo territo-riale, regolamentato dalla Legge del 7 aprile 2014, n.56. In queste aree, che al 31 dicembre 2017 sono 14 e racchiudono, considerando i dati relativi al 2015, il 15,8 per cento dei co-muni e il 36,2 per cento della popolazione residente, sono stati erogati 1,9 miliardi di metri cubi d’acqua per usi autorizzati (poco meno del 40 per cento dell’erogazione complessiva nazionale), corrispondenti a una fornitura giornaliera di 238 litri per residente, di 18 litri più alta del dato nazionale.

L’analisi delle perdite totali percentuali delle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile riferisce nel complesso il 39,4 per cento di perdite. Come già evidenziato in prece-denza nelle analisi per altre scale territoriali, l’area del Mezzogiorno è quella che presenta una maggiore dispersione nelle reti di distribuzione. La città metropolitana di Cagliari presenta le maggiori criticità dell’infrastruttura idrica a causa delle più alte perdite idriche totali percen-tuali (54,5 per cento). Perdite superiori alla media nazionale anche nelle città metropolitane di Bari, Palermo, Catania, Roma, Messina, Firenze e Napoli. Dispersioni più contenute e in-feriori al dato nazionale si osservano nelle città metropolitane di Reggio di Calabria, Torino, Venezia, Genova, Bologna, con il minimo nella città metropolitana di Milano (20,0 per cento).

30,839,6 40,2

47,1 47,9 50,055,6

0

10

20

30

40

50

60

Fiume Po Appenninosettentrionale

Alpi orientali Appenninocentrale

Appenninomeridionale

Sicilia Sardegna

Italia: 41,4%

Grafico 1.11 – Perdite idriche totali nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per distretto idrografico. Anno 2015 (valori percentuali sul volume immesso in rete)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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291. Acqua per uso civile

Le perdite totali di rete corrispondono a una dispersione giornaliera di 155 litri per abitante. Sono più alte nelle città metropolitane di Catania (249 litri per abitante al giorno) e Cagliari (245), mentre raggiungono i valori minimi, riducendosi di oltre un terzo rispetto ai valori delle due aree insulari, nelle città metropolitane di Bologna e Milano, rispettivamen-te con 78 e 84 litri per abitante al giorno.

L’analisi delle perdite di rete per tipologia di gestione su tutti i comuni italiani dotati di servizio di distribuzione dell’acqua potabile mostra che, nel caso di gestioni in economia, la percentuale di perdite idriche totali nelle reti comunali scende al 39,2 per cento rispetto al dato nazionale, mentre sale al 41,7 per cento per le gestioni specializzate. Se, quindi, i ge-stori in economia hanno dichiarato mediamente perdite inferiori rispetto ai gestori specia-lizzati, bisogna tener conto che la misurazione delle variabili coinvolte nel calcolo dell’indi-catore è meno diffusa che tra gli enti specializzati. Il Grafico 1.13 consente di confrontare la diversa variabilità delle perdite idriche totali per tipologia di gestore.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Cagliari Bari Palermo Catania Roma Messina Firenze Napoli Reggiodi

Calabria

Torino Venezia Genova Bologna Milano

Perdite totali pro capite Acqua erogata per usi autorizzati pro capite

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Grafico 1.12 – Perdite idriche totali e acqua erogata per usi autorizzati nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per città metropolitana. Anno 2015 (valori percentuali sul volume immesso in rete)

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Gestori specializzati Gestori in economia

Primo quartile Minimo Mediana Massimo Terzo quartile

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Grafico 1.13 – Perdite idriche totali nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile per tipologia di gestore. Anno 2015 (parametri caratteristici della distribuzione dell’indicatore e perdite in valori percentuali sul volume immesso in rete)

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30 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

L’analisi delle perdite idriche totali di rete per comune evidenzia le aree del territorio in cui la performance del servizio è meno efficiente (in blu scuro nella Figura 1.6).

Il 7,5 per cento dei comuni in cui è presente il servizio di distribuzione ha perdite idriche totali molto alte, maggiori del 70 per cento. Le regioni con la quota più elevata di comuni con perdite superiori al 70 per cento sono, nell’ordine, Lazio (30,2 per cento), Friuli-Venezia Giulia (28,0 per cento) e Basilicata (21,4 per cento); a seguire, le regioni che si trovano in maggiore sofferenza sono, per la gran parte, nell’area del Mezzogiorno.

Abbassando la soglia della dispersione a quantità superiori al 50 per cento, si rileva che, comunque, nel 28,0 per cento dei comuni si perde più della metà dell’acqua immessa in rete. Di contro, appena il 6,5 per cento dei comuni italiani dotati di servizio di distribu-zione dell’acqua potabile presenta perdite idriche totali uguali o inferiori al 10 per cento. Le gestioni più virtuose sono in Valle d’Aosta, con il 31,1 per cento dei comuni interessati da perdite uguali o inferiori al 10 per cento e nella provincia autonoma di Trento (23,8 per cento dei comuni) Grafico 1.14.

Figura 1.6 – Perdite idriche totali nella rete di distribuzione dell’acqua potabile per comune. Anno 2015 (valori percentuali sul volume di acqua immessa in rete)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Perdite idriche totali (%)

<= 1010 -| 3030 -| 5050 - | 70> 70

Comuni senza rete di distribuzione

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311. Acqua per uso civile

Grafico 1.14 – Comuni per classe di perdita idrica totale nella rete di distribuzione dell’acqua potabile e regione. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

1.3.3 Focus sui comuni capoluogo di provincia

Nel 2016, il volume totale di acqua potabile immessa nella rete di distribuzio-ne dei comuni capoluogo di provincia è pari a 2,62 miliardi di metri cubi (-0,5 per cento rispetto al 2015), pari a circa 394 litri per abitante al giorno.

A causa delle perdite idriche della rete di distribuzione, il volume di acqua che gli enti gestori hanno effettivamente erogato agli utenti per usi autorizzati è pari a circa 1,6 miliardi di metri cubi (-1,9 per cento rispetto al 2015). Giornalmente vengono pertanto erogati circa 240 litri per abitante residente. Si conferma pertanto, la diminuzione dei consumi idrici nelle città, una tendenza che sembra connessa a comportamenti d’uso della risorsa più consa-pevoli. Rispetto al dato nazionale, seppur riferito all’anno precedente (2015) il volume pro capite erogato quotidianamente nei capoluoghi di provincia è maggiore di circa 20 litri gior-nalieri. Questo consistente scarto è rappresentativo dell’accentramento della popolazione e dei servizi nel comune capoluogo, dove giornalmente gravitano e si concentrano le attività, le relazioni sociali ed economiche legate alla vita quotidiana della popolazione.

Significative le differenze tra i comuni capoluogo in termini di volumi pro capite ero-gati: dai 138 litri giornalieri per abitante residente di Oristano ai 388 litri di Cosenza. Anche Milano e L’Aquila, rispettivamente con 374 e 376 litri erogati per abitante al giorno, hanno fatto registrare un valore piuttosto alto dell’indicatore. Le differenze nei consumi idrici a scala municipale dipendono da un lato da aspetti socio-economici (legati per lo più alla vo-cazione attrattiva del territorio e quindi alla popolazione insistente e alle attività economiche presenti su scala urbana), dall’altro dalle differenti performance della rete di distribuzione.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Valle d'Aosta/Vallée d'AosteBolzano - BozenEmilia-Romagna

ToscanaUmbriaLiguriaTrento

LombardiaMarche

PiemonteVenetoITALIAMolise

CalabriaSiciliaPuglia

SardegnaCampania

AbruzzoBasilicata

Friuli-Venezia GiuliaLazio

<=10% 10%-|30% 30%-|50% 50%-|70% >70%

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32 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Grafico 1.15 – Comuni capoluogo di provincia con i valori massimi e minimi del volume di acqua erogata pro capite per regione. Anno 2016 (litri per abitante al giorno)

Fonte: Istat, Dati ambientali nelle città

Considerando nel loro complesso i capoluoghi di provincia, le perdite idriche percen-tuali totali di rete - dal momento dell’immissione in rete al momento in cui l’acqua rag-giunge l’utente finale - sono pari al 39,1 per cento nel 2016. La percentuale di perdite totali registra un aumento di 3,5 punti percentuali nel quinquennio 2012-2016; una tendenza che conferma lo stato di criticità in cui versa l’infrastruttura idrica e che mette in luce come siano ancora insufficienti le azioni volte a ridurre lo spreco della risorsa idrica.

L’analisi per territorio delle perdite idriche totali della rete di distribuzione riferisce che sono i comuni capoluogo di provincia del Mezzogiorno a far registrare, nell’insieme, le più alte perdite idriche percentuali totali, pari in media al 45,7 per cento. Situazione ancora più gravosa per i grandi comuni dell’Italia meridionale, dove, in media, quasi la metà dei volumi immessi in rete (49,8 per cento di perdite) non arriva a destinazione e si disperde nell’am-biente. Di contro, i comuni capoluogo di provincia del Nord Italia raggiungono, nell’insie-me, il valore medio più basso di perdite idriche totali di rete (27,9 per cento), che scende al 26,6 per cento nel caso dei comuni di dimensione demografica media.

Nel 2016, in 104 comuni capoluogo di provincia su 116 (circa nove comuni su dieci) la dispersione di rete è superiore al 20 per cento. Al Nord sono sette le città dove le dispersioni superano il valore medio dei capoluoghi (inclusa Trieste, tra i grandi comuni); al Centro la me-dia si supera in poco più della metà dei capoluoghi (inclusi Firenze e Roma), mentre nel Mezzo-giorno questo si verifica in quasi tre città su quattro e in tutti i grandi comuni della ripartizione.

Le dispersioni minori (pari o inferiori al 15 per cento) si rilevano in sette comuni: Monza, Pavia, Pordenone e Mantova al Nord; Macerata e Fermo al Centro; Foggia e Trapani nel Mezzogiorno.

Considerando solo le perdite idriche reali, quindi al netto di errori di misura e usi non autorizzati (perdite apparenti), il valore dell’indicatore, sul complesso dei comuni capoluo-go di provincia, si riduce di oltre tre punti percentuali, attestandosi al 35,7 per cento del volume immesso nella rete. La stima degli errori di misura e dei consumi non autorizzati è

Asti

Imperia MantovaBolzano

BellunoPordenone

Forlì; Reggio nell'Emilia Arezzo

PerugiaMacerataLatina

PescaraCampobasso Avellino

Andria

Matera

CrotoneCaltanissetta

Oristano

TorinoAosta

La Spezia

Milano

Trento

VeneziaGorizia

RiminiPisa

Terni

Ancona

Viterbo

L'AquilaIsernia Caserta

Brindisi

Potenza

Cosenza

Catania Olbia

80100120140160180200220240260280300320340360380400420

Pie

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Sard

egn

a

Valore minimno Valore massimo

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331. Acqua per uso civile

pari a circa 14 litri giornalieri per abitante sul complesso dei capoluoghi; il calcolo del volu-me complessivamente erogato giornalmente per abitante è pertanto di 254 litri.

Tavola 1.6 – Perdite idriche totali della rete di distribuzione nei comuni capoluogo di provincia, per classe di ampiezza demografica9 e ripartizione geografica. Anno 2016 (valori percentuali sul volume immesso in rete)

La presenza delle perdite apparenti, diffusa su tutti i comuni, si ritrova soprattutto nei comuni di Vibo Valentia, Latina, L’Aquila e Cosenza, dove le perdite apparenti dichiarate dagli enti gestori delle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile superano il 10 per cento dei volumi immessi in rete.

Per valutare le perdite idriche lineari di rete l’indicatore che si ottiene rapportando il volu-me di acqua dispersa alla lunghezza della rete di distribuzione, permette di ottenere confronti più omogenei della performance di infrastrutture di diverse dimensioni e di rappresentare la complessità della rete. Il calcolo di questo indicatore implica però la conoscenza, da parte del gestore, dei chilometri di rete gestita, condizione non sempre soddisfatta.

Nel 2016, in base alle informazioni disponibili e ai dati rilevati, ogni giorno sono andati persi complessivamente circa 48 metri cubi di acqua per uso potabile per ogni chilometro delle reti di distribuzione dei comuni capoluogo di provincia (perdite totali lineari). L’indi-catore relativo alle perdite reali lineari, che tiene conto anche della stima dei volumi persi apparentemente, è pari a circa 44 metri cubi giornalieri per chilometro di rete. Anche in questo caso emerge una considerevole variabilità tra i 116 comuni, che va da casi di perdite inferiori ai 10 metri cubi al giorno per chilometro di rete a più di 160. Nel 70,6 per cento dei casi le reti di distribuzione dei comuni analizzati perdono giornalmente meno di 50 metri cubi per chilometro di rete.

Ascoli Piceno, Asti, Fermo, Forlì, Lanusei, Macerata, Mantova, Perugia, Pordenone, Ravenna, Reggio nell’Emilia presentano una performance piuttosto buona, con un valore dell’indicatore inferiore a 10. Di contro, a Cagliari, Caserta, Iglesias, Latina, Messina, Napo-li, Pescara, Ragusa, Roma, Salerno, Sassari il valore è superiore a 100.

I comuni capoluogo di provincia interessati nel 2017 da misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua per uso civile sono 11 e sono tutti ubicati nell’area del Mezzogior-no, ad eccezione di Latina (Tavola 1.7).

Per razionamento nell’erogazione dell’acqua si intendono periodi di riduzione o so-spensione del servizio di fornitura dell’acqua potabile per uso domestico adottati a livello comunale per sopperire a carenze idriche o difficoltà infrastrutturali. La misura può essere adottata sull’intero territorio comunale o soltanto su una parte.

Nel 2017 Cosenza e Trapani sono i comuni, che hanno maggiormente sofferto il di-sagio della riduzione del servizio di distribuzione dell’acqua su tutto il territorio comunale con, rispettivamente, 245 e 180 giorni. La situazione è, in generale, in lieve miglioramento rispetto al 2016.9 Per i comuni è stata usata la seguente classificazione: piccoli (popolazione residente inferiore a 65 mila abitanti); medi

(popolazione residente compresa tra 65 mila e 119 mila abitanti); grandi (popolazione residente superiore a 119 mila abitanti).

RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE Piccoli Medi Grandi Totale*

Nord 28,5 26,6 28,4 27,9

Centro 33,2 39,3 45,1 39,2

Mezzogiorno 45,6 41,1 49,8 45,7

TOTALE* 36,6 34,6 38,9 39,1

Fonte: Istat, Dati ambientali nelle città*Il totale fa riferimento all’insieme dei comuni capoluogo di provincia.

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34 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Molto più diffusa l’adozione di misure di razionamento attivate solo su parte del territo-rio comunale. Al fine di accumulare acqua nei serbatoi e fare fronte alla richiesta nelle ore di maggiore consumo, nel corso del 2017 si è reso necessario sospendere la fornitura di ac-qua principalmente nelle ore notturne. Le situazioni di maggiore difficoltà si sono verificate in alcune zone della città di Catanzaro, Palermo e Sassari, dove la distribuzione dell’acqua potabile è stata ridotta per alcune ore della giornata (specialmente nelle ore notturne o nelle prime ore mattutine) in tutti i giorni dell’anno. Anche in alcune aree delle città di Caltanisset-ta e Agrigento si sono verificate molte giornate di riduzione o sospensione del servizio (347 e 288). Critica anche la situazione di Reggio di Calabria (107), Avellino (31) e Latina (24).

Tavola 1.7 – Comuni capoluogo di provincia che adottano misure di riduzione o sospensione del servizio di erogazione dell’acqua per uso domestico. Anno 2017 (numero di giorni)

1.4 Depurazione delle acque reflue urbane

1.4.1 Lo stato della depurazione

La depurazione è la fase terminale della filiera d’uso delle acque urbane. Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane (Direttiva 91/271/CEE) sono infrastrutture indi-spensabili per ridurre l’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, proteggendo così l’ambiente in termini di tutela delle acque superficiali e sotterranee, di conservazione della biodiversità, di valorizzazione del territorio e del paesaggio e di salvaguardia della salute pubblica. Si tratta di impianti adibiti al trattamento delle acque reflue provenienti da insediamenti civili ed eventualmente da insediamenti produttivi (impianti misti), cui posso-no mescolarsi anche le acque meteoriche e quelle di lavaggio delle superfici stradali.

COMUNI

Razionamento dell’uso dell’acqua

Su tutto il territorio comunale Su parte del territorio comunale

Riduzione del servizio di distribuzione

dell’acqua

Sospensione del servizio di distribuzione

dell’acqua

Riduzione o sospensione

del servizio di distribuzione

dell’acqua

Riduzione del servizio di distribuzione

dell’acqua

Sospensione del servizio di distribuzione

dell’acqua

Riduzione o sospensione

del servizio di distribuzione

dell’acqua

Latina - - - - 24 24

Avellino - - - - 31 31

Cosenza 245 - 245 - - -

Catanzaro - - - 365 - 365

Reggio di Calabria - - - 107 - 107

Trapani 180 - 180 - - -

Palermo - - - 365 - 365

Agrigento - - - 144 144 288

Caltanissetta - - - 174 173 347

Enna 2 6 8 - - -

Sassari - - - 365 - 365

Fonte: Istat, Dati ambientali nelle città

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351. Acqua per uso civile

La raccolta, il trattamento e l’utilizzo sicuro dei reflui costituiscono la base stessa dell’e-conomia circolare, che dal 2015 l’Unione Europea promuove, auspica e finanzia, al fine di equilibrare sviluppo economico e utilizzo sostenibile delle risorse. Le acque depurate costi-tuiscono, quindi, una risorsa non pienamente sfruttata, soprattutto nei settori agricolo e in-dustriale, che determinerebbe esternalità positive rilevanti: riduzione della scarsità di acqua disponibile; riduzione della pressione sull’eccessivo prelievo dalle risorse idriche; maggiori introiti per altri settori grazie alla maggiore disponibilità di acqua; riduzione dell’inquina-mento dei corpi idrici causato dagli scarichi delle acque reflue urbane.

Affinché vengano sviluppati dei piani di azione ad hoc sostenibili tecnicamente e finan-ziariamente, volti alla salvaguardia ambientale e all’uso appropriato ed efficiente delle acque reflue è necessario che i dati e le informazioni riguardanti la produzione, il trattamento e l’uso delle acque reflue siano disponibili ai policy maker, ai ricercatori, agli stakeholder. La conoscenza della quantità e della qualità delle acque reflue è essenziale per preservare la salute e la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente.

1.4.2 Le caratteristiche dell’offerta di depurazione

Nel 2015 sono stati censiti sul territorio nazionale 17.897 impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio (Tavola 1.8), un numero in lieve riduzione (-1,5 per cento) rispetto al 2012 a seguito della dismissione di piccoli e/o vetusti impianti e al collettamento dei relativi reflui in depuratori con maggiori capacità di trattamento, al fine di garantire una maggiore efficienza e qualità del servizio oltre che una riduzione dei costi di esercizio.

Gli impianti di depurazione si distinguono in base alla tipologia di trattamento effet-tuato, ovvero rispetto alla percentuale di abbattimento dei carichi inquinanti confluiti nei depuratori attraverso opportuni processi chimico fisici. Sono raggruppati, dal più semplice a quello maggiormente efficace, nei seguenti tipi: vasca Imhoff, primario, secondario (in-clude tutti i trattamenti biologici) e avanzato (include fasi di affinamento quali nitrificazione-denitrificazione e defosfatazione, oltre che di filtrazione finale).

Il 46,8 per cento degli impianti è costituito da vasche Imhoff, il 9,0 per cento da impianti con trattamento primario, il 44,2 per cento da impianti con trattamento secondario o avanzato.

Per quanto riguarda la diffusione sul territorio, il numero maggiore di impianti, il 21,7 per cento del totale, si concentra in Piemonte; seguono Emilia-Romagna e Lombardia, che contribuiscono rispettivamente per l’11,4 per cento e l’8,4 per cento del parco depu-ratori nazionale.

Si può osservare che nelle regioni che presentano zone “interne di montagna”, come in Valle d’Aosta, Liguria, Abruzzo e Piemonte, si concentra la maggior parte delle vasche Imhoff e degli impianti primari, che meglio si adattano alla orografia e alla densità abita-tiva del territorio.

Lombardia (373) e Veneto (259) sono le regioni con il maggior numero di impianti con trattamento avanzato.

Sono però le regioni del Sud e delle Isole a registrare, in proporzione, le percentuali più elevate di impianti che eseguono un trattamento di tipo avanzato o almeno secondario: in Basilicata rappresentano il 98,8 per cento del totale degli impianti di depurazione presenti, in Puglia il 97,4 per cento e in Sardegna il 94,3 per cento.

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36 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Grafico 1.16 – Impianti di depurazione delle acque reflue urbane per tipologia di trattamento. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Tavola 1.8 – Impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio e carichi inquinanti confluiti negli impianti per tipologia di trattamento e regione. Anno 2015 (valori assoluti e composizione percentuale sul totale dei carichi inquinanti)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

REGIONIImhoff Primario Secondario Avanzato Totale

ImpiantiImpianti % Impianti %. Impianti % Impianti %

Piemonte 2.159 4,4 460 1,1 1.177 21,1 92 73,4 3.888Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 272 11,7 2 0,4 25 48,4 4 39,5 303Liguria 600 2,9 50 14,3 100 52,2 26 30,6 776Lombardia 660 0,8 65 0,3 400 9,7 373 89,2 1.498Trentino-Alto Adige/Südtirol 113 1,8 5 0,2 30 3,3 87 94,7 235Bolzano-Bozen 2 .. 1 0,2 29 5,1 17 94,7 49Trento 111 5,0 4 0,1 1 .. 70 94,9 186Veneto 664 1,9 1 0,0 224 11,5 259 86,6 1.148Friuli-Venezia Giulia 268 2,7 130 1,8 265 18,0 82 77,5 745Emilia-Romagna 1.259 1,6 82 0,2 451 11,8 245 86,4 2.037Toscana 520 1,0 90 0,8 493 15,3 200 82,9 1.303Umbria 500 2,7 11 0,3 252 17,4 46 79,7 809Marche 171 0,8 205 1,7 310 20,5 119 77,0 805Lazio 32 0,7 56 1,4 405 67,1 142 30,8 635Abruzzo 1.009 6,0 34 1,7 362 59,4 30 32,9 1.435Molise 5 1,0 61 14,9 113 31,8 23 52,4 202Campania 28 0,5 137 4,4 219 60,1 89 35,0 473Puglia 1 .. 4 0,6 8 7,3 176 92,0 189Basilicata - - 2 0,2 82 32,4 88 67,3 172Calabria 46 1,9 142 15,0 206 49,2 48 33,9 442Sicilia 63 1,6 55 6,9 239 71,2 57 20,4 414Sardegna 7 0,8 15 1,5 243 16,9 123 80,8 388Nord-ovest 3.691 2,3 577 2,3 1.702 19,1 495 76,3 6.465 Nord-est 2.304 1,9 218 0,3 970 10,8 673 87,0 4.165 Centro 1.223 1,0 362 1,1 1.460 37,7 507 60,2 3.552 Sud 1.089 1,2 380 4,6 990 41,6 454 52,7 2.913 Isole 70 1,3 70 4,7 482 49,3 180 44,7 802 ITALIA 8.377 1,6 1.607 2,4 5.604 29,3 2.309 66,7 17.897

46,8%

9,0%

31,3%12,9%

Imhoff Primario Secondario Avanzato

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371. Acqua per uso civile

Rispetto al 2012, in Basilicata, Puglia, Sardegna, Toscana e Marche il numero di im-pianti con un trattamento avanzato rimane costante.

Essendo la depurazione un vero e proprio processo produttivo, per valutarne lo stato della depurazione in Italia, non solo in termini infrastrutturali e qualitativi, ma anche quan-titativi, è necessario far riferimento all’entità dei carichi inquinanti trattati, ossia alle acque reflue confluite negli impianti di depurazione, espressi in abitanti equivalenti; in tal modo è possibile valutare il corretto e pieno funzionamento degli impianti esistenti. Il carico inqui-nante considerato è quello medio giornaliero calcolato nella settimana di maggiore produ-zione del carico stesso.

Gli “abitanti equivalenti” rappresentano una stima del carico inquinante di natura orga-nica biodegradabile prodotto dalle attività domestiche e produttive.

Nella maggior parte delle regioni italiane oltre il 90 per cento dei carichi inquinanti viene depurato in impianti di seconda o terza generazione.

Le uniche eccezioni si rilevano in Valle d’Aosta, Liguria, Molise e Calabria, dove i carichi inquinanti vengono trattati da impianti avanzati per una quota pari a oltre l’80 per cento; si riscontra un’incidenza maggiore di trattamenti di carichi inquinanti in impianti primari e vasche Imhoff in Liguria (17,3 per cento), Calabria (16,9 per cento), Molise (15,9 per cento) e Valle d’Aosta (12,1 per cento).

Trattamenti di tipo avanzato sono effettuati sulla maggior parte dei carichi inquinanti confluiti negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane del Trentino-Alto Adige (94,7 per cento del carico inquinante totale trattato), della Puglia (92,0 per cento) e Lom-bardia (89,2 per cento).

In termini di abitanti equivalenti, nel 2015, risultano serviti da depurazione poco più di 75 milioni di abitanti. Il carico inquinante confluito negli impianti di depurazione di sei regioni (Lombardia, Piemonte Toscana, Emilia-Romagna, Lazio e Campania) rappresenta circa il 56,5 per cento del totale nazionale.

Gli impianti di depurazione di tipo avanzato, pur rappresentando il 12,9 per cento degli impianti complessivi, trattano più del 66,7 per cento dei carichi inquinanti effettivi prodotti sul territorio nazionale (Grafico 1.17).

Grafico 1.17 – Carichi inquinanti confluiti negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane per tipologia di trattamento. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

1,6% 2,4%

29,3%

66,7%

Imhoff Primario Secondario Avanzato

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38 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane trattano prevalentemente i cari-chi inquinanti di origine civile e, dove presenti, i reflui provenienti dalle attività industriali scaricati nella rete fognaria comunale o convogliati agli impianti con specifiche condotte o per mezzo di autocisterne. Circa il 48 per cento di questi reflui industriali è trattato negli impianti del Nord Italia. Tale valore raggiunge il 67,2 per cento se si considerano anche le regioni del Centro Italia.

La prevalenza del carico inquinante negli impianti di tipo avanzato e del carico inqui-nante di Lombardia e Veneto, regioni con il maggior numero di impianti, è dovuta a una maggiore quota dei reflui industriali sul totale trattato rispetto alla media nazionale. La quo-ta di reflui che proviene da attività industriali, sul totale dei reflui confluiti negli impianti, è pari al 45,4 per cento in Toscana, 43,2 per cento in Sardegna, 43,1 per cento nella Provincia autonoma di Bolzano e soltanto 2,3 per cento in Puglia (Grafico 1.18).

Rispetto al 2012, il carico inquinante di origine industriale che affluisce agli impianti di depurazione delle acque reflue urbane con trattamento secondario o avanzato si riduce dell’8 per cento. Tale decremento è da ricondurre non solo alla crisi economica, ma anche allo sviluppo di infrastrutture che hanno permesso, in alcune realtà, di convogliare in modo più efficiente le acque di scarico di origine industriale in impianti specifici di trattamento, separando le reti fognarie civili da quelle di raccolta dei reflui industriali.

Grafico 1.18 – Carichi inquinanti confluiti negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane per origine e regione. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Per misurare la capacità effettiva di copertura del trattamento di depurazione delle ac-que di origine civile occorre confrontare il carico inquinante prodotto dagli scarichi civili e confluito negli impianti di depurazione, con la stima del carico potenzialmente generabile nel territorio (Abitanti equivalenti totali urbani, Aetu). In particolare si deve considerare il tratta-mento in impianti di tipo secondario e avanzato, dove è maggiore l’abbattimento dei carichi inquinanti. Tale stima viene realizzata attraverso modelli che utilizzano dati indiretti, quali la popolazione residente e la popolazione presente, i pendolari per lavoro e studio, i turisti.

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Reflui civili Reflui industriali

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391. Acqua per uso civile

Gli Aetu stimano il carico inquinante potenziale veicolato nelle acque reflue urbane re-capitate nella rete fognaria dalle diverse fonti di generazione. Le fonti di generazione consi-derate sono: la popolazione residente, le attività domestiche e a esse assimilabili, le attività alberghiere, turistiche, scolastiche e le micro-imprese generalmente operanti all’interno dei centri urbani, i cui scarichi presentano caratteristiche qualitative equivalenti al metabolismo umano o ad attività domestiche e in cui gli inquinanti sono costituiti prevalentemente da sostanze biodegradabili.

Gli Aet (Abitanti equivalenti totali) rappresentano il carico inquinante potenziale generato sul territorio, considerando anche le attività produttive delle piccole, medie e grandi imprese.

Se si considera che la stima della domanda di depurazione nel 2015 si attesta intorno ai 98 milioni di Aetu, contro i circa 75 milioni effettivamente depurati, si può dedurre come sia ancora necessario uno sforzo nel settore della depurazione civile, sforzo ormai reso urgente dall’avvicinarsi agli obiettivi della Direttiva CEE 91/271.

Tavola 1.9 – Carichi inquinanti confluiti in impianti di depurazione delle acque reflue urbane, carichi inquinanti complessivi generati e loro rapporto percentuale per regione. Anno 2015 (migliaia di abitanti equivalenti, valori percentuali)

REGIONI Reflui civili Refluiindustriali Totale

Abitanti equivalenti

totali urbani (Aetu)

Abitanti equivalenti totali (Aet)

Reflui civili/ Aetu (%)

Piemonte 5.163 1.040 6.203 6.944 14.232 74,4

Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 282 51 333 369 521 76,4

Liguria 2.271 293 2.564 3.021 3.696 75,2

Lombardia 9.443 1.959 11.402 14.831 29.417 63,7

Trentino-Alto Adige/Südtirol 1.758 753 2.512 2.165 3.976 81,2

Bolzano-Bozen 918 696 1.613 920 1.753 99,8

Trento 841 58 898 1.245 2.223 67,5

Veneto 4.094 1.367 5.461 8.091 15.718 50,6

Friuli-Venezia Giulia 1.134 277 1.411 2.106 3.510 53,8

Emilia-Romagna 4.971 898 5.868 7.235 14.358 68,7

Toscana 3.335 2.774 6.109 6.569 10.693 50,8

Umbria 990 121 1.111 1.395 2.171 71,0

Marche 1.322 56 1.378 2.656 4.451 49,8

Lazio 5.758 464 6.223 8.357 12.208 68,9

Abruzzo 1.716 173 1.889 2.444 3.768 70,2

Molise 398 115 513 552 815 72,1

Campania 5.621 1.050 6.671 8.715 12.018 64,5

Puglia 4.678 110 4.788 6.797 8.874 68,8

Basilicata 630 32 662 925 1.218 68,1

Calabria 2.153 107 2.260 3.870 4.262 55,6

Sicilia 4.023 683 4.705 8.328 10.037 48,3

Sardegna 1.803 1.372 3.176 2.980 3.607 60,5

Nord-ovest 17.160 3.343 20.502 25.165 47.865 68,2

Nord-est 11.957 3.295 15.252 19.597 37.563 61,0

Centro 11.405 3.415 14.821 18.977 29.523 60,1

Sud 15.196 1.587 16.783 23.303 30.955 65,2

Isole 5.826 2.055 7.881 11.308 13.644 51,5

ITALIA 61.544 13.695 75.239 98.349 159.550 62,6

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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40 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Complessivamente quasi due terzi (62,6 per cento) dei carichi inquinanti di origine civile sono sottoposti a trattamento attraverso il servizio pubblico di depurazione. In tutte le ripartizioni territoriali più della metà del potenziale generato (Aetu) è depurato (Tavola 1.9). Il maggior tasso di depurazione si registra nel Nord-ovest, dove è trattato il 68,2 per cento di tutto il carico potenzialmente generato all’interno della ripartizione. Il meno adeguato risulta, invece, il sistema depurativo delle Isole, che garantisce un trattamento del 51,5 per cento del potenziale generato. Più in dettaglio, provincia autonoma di Bolzano, Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e Molise realizzano le percentuali maggiori, rispettivamente 99,8 per cento, 76,4 per cento, 75,2 per cento, 74,4 per cento e 72,1 per cento; mentre Sicilia e Marche, con il 48,3 per cento e il 49,8 per cento, presentano quelle minori.

La quota di origine industriale confluita negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane rappresenta a livello nazionale circa il 18 per cento, con punte superiori al 45 per cento in Toscana e al 43 per cento in Sardegna. Nelle Marche e in Puglia si riscontrano i più bassi va-lori di reflui industriali trattati con quelli civili, rispettivamente il 4,1 per cento e il 2,3 per cento.

1.4.3 Gli impianti secondari e avanzati

La percentuale di carichi inquinanti di origine civile (in termini di abitanti equivalenti) sottoposti a un trattamento di depurazione di tipo almeno secondario è il 59,6 per cento del potenziale generato. In tutte le ripartizioni geografiche tale percentuale supera il 47 per cento (Tavola 1.10).

Tavola 1.10 – Carichi inquinanti confluiti in impianti secondari o avanzati e loro rapporto percentuale rispetto ai carichi complessivi generati per regione. Anno 2015 (migliaia di abitanti equivalenti e valori percentuali)

REGIONI Refluicivili

Refluiindustriali Totale

Quota di carichiinquinanti civili

trattati nel 2015 (%)

Differenze2015-2012

Piemonte 4.838 1.023 5.861 69,7 -1,2Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 242 51 293 66,0 7,4Liguria 1.847 274 2.122 61,2 0,3Lombardia 9.338 1.935 11.274 62,9 5,7Trentino-Alto Adige/Südtirol 1.709 753 2.462 78,9 8,4Bolzano-Bozen 914 696 1.610 99,7 1,2Trento 795 57 852 63,6 14,2Veneto 3.990 1.365 5.355 49,4 0,5Friuli-Venezia Giulia 1.072 276 1.348 50,7 3,0Emilia-Romagna 4.871 890 5.760 67,7 0,2Toscana 3.225 2.772 5.997 49,5 -1,9Umbria 958 120 1.078 68,7 -1,5Marche 1.288 56 1.344 48,5 -0,5Lazio 5.627 463 6.090 67,0 7,7Abruzzo 1.572 172 1.744 63,9 5,8Molise 322 110 432 58,0 -4,8Campania 5.308 1.035 6.343 60,5 2,3Puglia 4.648 110 4.758 68,3 2,1Basilicata 628 32 660 67,2 5,3Calabria 1.782 96 1.877 46,0 -5,5Sicilia 3.656 652 4.307 43,9 3,5Sardegna 1.739 1.364 3.103 58,8 -3,0Nord-ovest 16.266 3.284 19.550 64,6 3,1Nord-est 11.642 3.284 14.926 59,6 1,5Centro 11.098 3.412 14.510 58,5 2,5Sud 14.260 1.554 15.814 60,9 1,2Isole 5.395 2.015 7.410 47,8 1,7ITALIA 58.660 13.549 72.209 59,6 2,0

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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411. Acqua per uso civile

La massima capacità depurativa è nel Nord-ovest, dove il 64,6 per cento di tutto il ca-rico potenzialmente generato all’interno della ripartizione viene sottoposto a un trattamento almeno secondario. Meno adeguato risulta, invece, il sistema depurativo delle Isole, che garantisce un trattamento secondario o avanzato di poco inferiore al 48 per cento del suo potenziale generato. Trentino-Alto Adige, Piemonte e Umbria realizzano le percentuali mag-giori, rispettivamente il 78,9 per cento, il 69,7 per cento e il 68,7 per cento; mentre Sicilia e Calabria, con il 43,9 per cento e il 46,0 per cento, presentano quelle minori.

Complessivamente, nel corso degli anni, si osserva un aumento modesto dei carichi inquinanti di origine civile trattati in impianti secondari o avanzati: dal 56,5 per cento del 2008 al 57,6 per cento del 2012, fino al 59,6 per cento del 2015. L’incremento maggiore si registra nella provincia autonoma di Trento.

1.4.4 Focus sui grandi impianti

Nel 2015, in Italia i grandi impianti di depurazione delle acque reflue urbane, ovvero quelli con carichi inquinanti in ingresso superiori a 50 mila abitanti equivalenti effettivi totali, sono 264, l’1,5 per cento del parco depuratori nazionale. Dei 264 grandi impianti la quota maggiore (29,2 per cento) è presente nel Nord-ovest, seguito dal Sud con il 22,7 per cento degli impianti; di contro nelle Isole è presente la quota minore, pari al 9,1 per cento, per un totale di 24 impianti.

La Lombardia è la regione che registra, nel 2015, il maggior numero di grandi impianti (48), seguita da Puglia (24) e Lazio (22).

Figura 1.7 – Impianti di depurazione delle acque reflue urbane con carichi inquinanti totali superiori a 50.000 abitanti equivalenti effettivi. Anno 2015

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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Grandi impianti di depurazione (AE)

# 50.000 - 100.000

# 100.001 - 250.000

# > 250.001

Page 42: Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia...4 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia Pag. 2.2 Acqua per uso industriale 67 2.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività

42 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

In questi grandi impianti vengono depurati poco meno di 45 milioni di abitanti equi-valenti, il 61,4 per cento del carico nazionale totale confluito nel sistema di depurazione (Figura 1.7); in particolare il 18,2 per cento confluisce in impianti del Nord-ovest, in special modo della Lombardia (che da sola tratta l’11,6 per cento), il 13,9 per cento in impianti del Sud, con la Campania in testa (7,6 per cento) e il 12,3 per cento in impianti del Centro.

Campania, provincia autonoma di Bolzano e Lombardia sono anche i territori in cui i grandi impianti trattano la maggior percentuale dei reflui, rispettivamente l’85,0, il 75,8 e il 69,7 per cento del complessivo depurato (Grafico 1.19). Di contro, in Basilicata e Molise, dove è presente una maggiore frammentazione delle infrastrutture di depurazione, si rileva la presenza di un solo grande impianto, che tratta rispettivamente il 15,1 e il 20,8 per cento dei reflui totali regionali.

I grandi impianti depurano il 57,1 per cento dei reflui civili nazionali e l’80,9 per cento dei reflui industriali confluiti nel sistema di depurazione pubblico delle acque reflue urbane. A livello di ripartizione territoriale il Nord-ovest contribuisce con la quota percentuale più alta, 18,5 per cento, al trattamento dei reflui totali civili, mentre il Centro, con il 22,8 per cento, agli industriali; i contributi più bassi si registrano nelle Isole, 3,7 per cento per il settore civile, e al Sud, 9,4 per cento per l’industriale.

La maggior parte degli scarichi avviene in corsi d’acqua superficiali (80,3 per cento) e in mare (16,7 per cento). Liguria e Puglia, data anche la loro conformazione geografica, si distinguono perché hanno un numero maggiore di grandi impianti che versano in mare le acque trattate.

Il 79,5 per cento dei grandi impianti (210 depuratori) esegue trattamenti di tipo terzia-rio/avanzato, il 19,7 per cento (52 depuratori) di tipo secondario e i restanti due impianti, in Liguria e in Sicilia, di tipo primario. Nel Centro-nord oltre l’80 per cento dei grandi impianti depura secondo processi terziari/avanzati, con un picco del 100 per cento nel Nord-est (53 impianti). Oltre alle regioni del Nord-est, anche in Umbria, Marche, Molise e Sardegna ci sono solo grandi impianti di tipo terziario/avanzato.

Grafico 1.19 – Carichi inquinanti confluiti negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane per grandezza degli impianti e regione. Anno 2015 (composizione percentuale)

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Carichi inquinanti trattati dai grandi impianti Carichi inquinanti inquinanti trattati dagli altri impianti

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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431. Acqua per uso civile

Per quantificare il contributo di ciascun grande impianto è stata calcolata la capacità media di depurazione per impianto, rapportando il valore totale degli abitanti equivalenti depurati sul totale degli impianti. Nel nostro Paese un grande impianto depura mediamente 170 mila abitanti equivalenti.

A livello regionale la Campania presenta il dato più consistente, con 350 mila abitanti equivalenti per impianto, seguita dalla Toscana, 217 mila abitanti equivalenti per impianto, mentre i valori più bassi si presentano nelle Marche (80 mila), nella provincia autonoma di Trento (81 mila) e in Umbria (89 mila). Questa analisi, che pone l’attenzione sul dimensio-namento delle strutture, evidenzia che in molte regioni, come ad esempio in Campania, con meno impianti si abbattano maggiori quantitativi di carichi inquinanti, nonostante questo non sia però sempre indice di efficienza.

I grandi impianti sono gestiti da 136 enti gestori, di cui 120 specializzati e 16 in economia. Gli enti specializzati gestiscono 248 grandi impianti, la metà dei quali si trova al Nord. I comu-ni gestiscono 16 impianti, per lo più di tipo consortile, presenti soprattutto nel Mezzogiorno, 8 nel Sud e 5 nelle Isole, mentre nel Nord-est non vi sono grandi impianti gestiti in economia. La frammentazione gestionale rimane evidente soprattutto in quelle aree del territorio dove la riorganizzazione del servizio idrico non è ancora terminata, come in Calabria e in Sicilia.

1.4.5 L’efficienza dei grandi impianti

L’efficienza di abbattimento degli inquinanti presenti nelle acque reflue urbane risulta fortemente dipendente dalle configurazioni impiantistiche e dai processi adottati al fine di conseguire il rispetto dei limiti normativi allo scarico. Gli schemi di trattamento sono pertan-to definiti in base alle tipologie di reflui da trattare, dai carichi in arrivo e dai livelli di rimozione da perseguire, anche in funzione della destinazione finale dell’effluente (ad esempio, acque superficiali, suolo, mare) e dalla sensibilità delle aree all’inquinamento da nitrati e fosforo. Generalmente gli impianti di grandi dimensioni presentano schemi impiantistici completi di tutte le fasi di trattamento, mentre negli impianti di piccole e medie taglie si adottano confor-mazioni semplificate a vantaggio dell’alleggerimento dei costi di gestione e di realizzazione.

Nel 2015 si rileva un panorama impiantistico in cui la maggior parte dei grandi impianti presenta una configurazione con trattamenti di tipo terziario per la rimozione più spinta di inquinanti, quali forme azotate e fosforo (210 su 264). In più del 40 per cento dei grandi im-pianti la destinazione dello scarico ricade in aree sensibili con conseguenti limiti normativi più restrittivi per azoto totale e fosforo totale (<10 mg N/l e <2 mg P/l).

Per ogni impianto è stata analizzata la performance in termini di abbattimento dei ca-richi afferenti (ƞ) tramite il calcolo delle rimozioni percentuali relative ai parametri organici (BOD5 e COD), solidi sospesi totali (SST), fosforo totale (P) e azoto totale (N).

La tavola 1.11 riporta i valori di tipici rendimenti depurativi conseguibili in funzione dei trattamenti presenti.

Tavola 1.11 – Rendimenti tipici negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane per tipologia di trattamento presente (valori percentuali)

TIPI DI TRATTAMENTO ƞ BOD5 ƞ SST ƞ N ƞ P

Pre-trattamenti 0-10 0-15 0 0

Sedimentazione primaria 50-60 25-30 10-15 10-15

Trattamento biologico 80-90 85-90 20-30 15-25

Denitrificazione 90-95 90-95 65-75 15-25

Defosfatazione 80-90 85-90 20-30 75-85

Fonte: Bonomo, 2008

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44 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Per quanto concerne i parametri BOD5, COD e i SST la maggior parte dei grandi im-pianti analizzati mostra un’efficienza percentuale di rimozione superiore al 90 per cento, in coerenza con i valori ricavati dalla letteratura di settore.

Per l’azoto totale e il fosforo totale si rilevano efficienze di abbattimento più ridotte, con valori medi intorno al 70 per cento, anch’essi coerenti con i valori tabellari della Tavola 1.11. Il Grafico 1.20 mostra i risultati delle elaborazioni a livello nazionale, da cui emerge un panorama impiantistico molto variegato in termini di rendimenti di rimozione. Di fatto, le efficienze presentano un range variabile dal 60 al 90 per cento per il fosforo e tra il 65 e l’83 per cento, per l’azoto.

In riferimento alla conformità legislativa allo scarico, il 10 per cento circa dei grandi impianti presenta, sia per l’azoto totale che per il fosforo totale, valori allo scarico superiori ai limiti previsti; alcuni di questi impianti scaricano in area sensibile.

A livello territoriale la situazione non presenta un’ampia variabilità, sebbene nei grandi impianti delle aree del Centro e Mezzogiorno si riscontri una minore efficienza di rimozione per i carichi di azoto totale e fosforo totale In tali aree, soprattutto nelle aree del Sud e delle Isole, è presente il maggior numero di grandi impianti con trattamenti solo di tipo seconda-rio. Le efficienze di rimozione dei carichi inquinanti risultano più elevate nel Nord-est, dove tutti gli impianti censiti sono dotati di trattamenti avanzati (Grafico 1.21).

1.4.6 La produzione di fanghi nei grandi impianti

I processi di depurazione delle acque di scarico portano, nella quasi totalità dei casi, alla produzione di fanghi, ossia di sospensioni acquose più o meno concentrate (tipicamente 20-25 per cento di tenore di sostanza secca), le cui caratteristiche dipendono dalla natura delle acque reflue e dal tipo di processi e tecnologie presenti in linea acque e linea fanghi.

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25

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75

100

ƞ BOD% ƞ COD% ƞ SST% ƞ P% ƞ N%

Grafico 1.20 – Percentuale di abbattimento dei carichi inquinanti nei grandi impianti. Anno 2015 (alcuni parametri caratteristici della distribuzione)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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451. Acqua per uso civile

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ƞ BOD% ƞ COD% ƞ SST% ƞ P% ƞ N%

Nord-Ovest

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ƞ BOD% ƞ COD% ƞ SST% ƞ P% ƞ N%

Nord-Est

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ƞ BOD% ƞ COD% ƞ SST% ƞ P% ƞ N%

Centro

Grafico 1.21 – Percentuale di abbattimento dei carichi inquinanti nei grandi impianti per ripartizione geografica. Anno 2015 (alcuni parametri caratteristici della distribuzione)

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46 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

I fanghi di depurazione sono prodotti durante le fasi di trattamento delle acque reflue a seguito dei processi fisici, biologici e chimici applicati. Negli impianti di depurazione con-venzionali e maggiormente diffusi, i fanghi prodotti sono distinti tipicamente in ‘primari’ se generati nei processi di sedimentazione primaria, ‘secondari o biologici’ se a valle dei processi biologici, mentre un loro miscuglio viene indicato come ‘fango misto’. I fanghi, inoltre, possono residuare anche da processi di tipo chimico-fisico (ad esempio, processi di precipitazione o di chiariflocculazione) e in tal caso si possono distinguere come ‘fanghi chimici’. A seconda dell’origine essi contengono percentuali di sostanza secca (o ‘secco’) variabili con differenti caratteristiche di putrescibilità.

I fanghi prodotti in linea acque sono sottoposti a fasi di trattamento dedicate (‘linea fanghi’) tipicamente rappresentate da fasi separative (preispessimento, postispessimento, disidratazione) finalizzate alla riduzione di volume, e a fasi di stabilizzazione (digestione aerobica o anaerobica, o condizionamento chimico) allo scopo di ridurne la putrescibilità.

Lo smaltimento dei fanghi costituisce una voce rilevante dei costi gestionali di un im-pianto, arrivando a coprire fino al 50 per cento della spesa totale, pertanto una fase di disi-dratazione mirata a incrementare il tenore di secco e a ridurre la quantità di fanghi in uscita dagli impianti diviene fondamentale al fine di migliorare il bilancio economico.

La Tavola 1.12 riporta le caratteristiche medie del fango di supero in ingresso alla linea di trattamento fanghi al variare della tipologia dei processi da cui essi sono generati, da cui è possibile ricavare la produzione pro capite di fanghi su base secca e umida.

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ƞ BOD% ƞ COD% ƞ SST% ƞ P% ƞ N%

Isole

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ƞ BOD% ƞ COD% ƞ SST% ƞ P% ƞ N%

Sud

Segue Grafico 1.21 – Percentuale di abbattimento dei carichi inquinanti nei grandi impianti per ripartizione geografica. Anno 2015 (alcuni parametri caratteristici della distribuzione)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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471. Acqua per uso civile

Le tecnologie applicate nella linea fanghi modificano le caratteristiche sopra riportate e permettono di giungere a tenori di secco mediamente pari al 25 per cento (centrifughe ad alta efficienza e nastropresse consentono di ottenere percentuali di secco anche superiori al 25 per cento, l’adozione di filtropresse percentuali fino al 40 per cento, mentre con l’essic-camento termico il prodotto essiccato può arrivare ad avere un contenuto di secco tra il 90 e il 95 per cento). Esistono anche sistemi naturali, quali i letti di essiccamento, più diffusi in impianti di piccole dimensioni.

In Italia, nel 2015, nei grandi impianti di depurazione delle acque reflue urbane la pro-duzione annua dei fanghi è stimabile in circa 1,9 milioni di tonnellate. Il tenore medio di sostanza secca (SS) dei fanghi di supero inviati a smaltimento finale risulta pari al 26,0 per cento, da cui deriva una produzione annuale di circa 489 mila tonnellate di secco medio. La stima a livello nazionale della produzione di fanghi, su tutti gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio al 2015, è di 3,1 milioni di tonnellate nell’anno. Ne deriva che, considerando il medesimo tenore di sostanza secca, il quantitativo di fanghi prodotti su base annuale ammonta a circa 806 mila tonnellate di sostanza secca.

Il Nord-ovest rappresenta l’ambito geografico in cui viene prodotto il maggior quantita-tivo di fanghi, mentre i valori più bassi si riscontrano nelle Isole (Grafico 1.22).

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Centro Nord-ovest Nord-est Sud Isole

Grafico 1.22 – Fanghi prodotti nei grandi impianti di depurazione delle acque reflue urbane per ripartizione geografica. Anno 2015 (migliaia di tonnellate per anno)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

Tavola 1.12 – Produzione pro capite di fanghi su base secca e umida, in uscita dalla linea acque e riferita a liquami domestici per tipologia di impianto (produzione in grammi per abitante al giorno, umidità e secco in valori percentuali sul totale prodotto, volume in litri per abitante al giorno)

TIPI DI IMPIANTOProduzione

pro capite(g/ab/d)

Umidità (%) Secco (%)Valore tipico

Volumepro capite

(l/ab/d)Intervallo Valore tipico

Fango primario 50-55 93-96 95,0 5,0 1,0Fango attivo di supero (su liquame chiarificato) 22-30 98,5-99 99,0 1,0 3,0Fango attivo di supero in assenza di sedimentazione primaria 55-60 98,5-99 98,8 1,2 4,5Fango attivo di supero da impianti ad aerazione prolungata 50-55 98,5-99 98,8 1,2 4,0Fango misto primario e biologico da fanghi attivi 70-80 96-98 97,0 3,0 2,5

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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48 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Normalizzando tali informazioni in base al numero di abitanti equivalenti relativi alle cinque ripartizioni geografiche, si calcola una produzione annuale media di 41,1 chili di fango per abitante equivalente e 10,7 chili di sostanza secca per abitante equivalente (Gra-fico 1.23). La variabilità su base nazionale della produzione pro capite di fango prodotto, evidenzia una chiara criticità relativa ai dati di produzione fanghi comunicate dai gestori.

Su base nazionale, il 37,4 per cento dei fanghi prodotti è destinato al compostaggio, il 17,3 per cento viene utilizzato in agricoltura, il 15,4 per cento in discarica, il 12,9 per cento in incenerimento/termovalorizzatori e il restante 17,3 per cento in altre destinazioni. L’analisi per ripartizione geografica consente di individuare delle specificità territoriali mol-to evidenti: l’incenerimento/termovalorizzazione è presente solo nell’area del Centro-nord; nelle Isole il 59 per cento dei fanghi prodotti va in discarica e al Sud circa il 62 per cento viene destinato in impianti di compostaggio.

Lo smaltimento dei fanghi è un’operazione indispensabile per completare in modo razionale il ciclo depurativo delle acque di scarico, costituendo una voce consistente nei costi globali della depurazione.

I fanghi di depurazione sono a tutti gli effetti dei rifiuti speciali (codice CER 190805) disciplinati pertanto dal D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. e in particolare dall’art. 1271 (fanghi deri-vanti dal trattamento delle acque reflue), in cui si prescrive che essi siano sottoposti alla di-sciplina dei rifiuti. Qualora possibile, i fanghi devono essere riutilizzati in modo appropriato.

0

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Nord-ovest Centro Nord-est Sud IsoleFango totale Sostanza secca

Grafico 1.23 – Fanghi totali e sostanza secca prodotti nei grandi impianti di depurazione delle acque reflue urbane per ripartizione geografica. Anno 2015 (chilogrammi per abitante equivalente)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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491. Acqua per uso civile

Da sottolineare che nella voce ‘altro’, particolarmente frequente nelle aree del Nord-est e del Centro, gli enti gestori rispondenti indicano per lo più il ricorso a processi di recupero di materia tramite processi di stabilizzazione biologica e riuso su suolo/agricoltura, oltre alla produzione di fertilizzanti, essiccamento, disidratazione o recupero energetico (cemen-tificio/incenerimento). I codici CER più utilizzati sono i seguenti:

- R3 - riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (com-prese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche);

- D8 - trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia ori-gine a composti o a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12;

- R10 - spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura.

1.4.7 Focus sui comuni litoranei

La balneabilità delle coste, chiaro indicatore della qualità complessiva dell’ambiente acquatico-marino e della sua possibile fruizione, spesso viene associata alla presenza di impianti di depurazione e alla loro efficienza nel ridurre i carichi inquinanti prodotti.

Sebbene le acque di balneazione dei comuni litoranei godano di ottima salute, le aree con scarsa qualità sembrano rimanere un problema, in particolare per i tratti di costa situati in prossimità di foci di corsi d’acqua o di impianti di trattamento delle acque reflue in cui l’abbattimento dei carichi inquinanti può risultare non conforme ai requisiti della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (Direttiva 91/271/CEE).

Le acque di balneazione sono aree definite ai sensi della Direttiva Balneazione (2006/7/CE), recepita nel nostro paese con il Decreto legislativo 116/2008 e con il Decreto attuativo del 30 marzo 2010, modificato recentemente con DM del 19 aprile 2018. Secondo la Diret-tiva rientra nelle acque di balneazione “qualsiasi parte di acque superficiali nella quale l’au-torità competente prevede che un congruo numero di persone pratichi la balneazione e non sia imposto un divieto permanente di balneazione, né emesso un avviso che sconsiglia per-manentemente la balneazione”. Sono aree soggette a monitoraggi volti alla valutazione della

18,8%8,3% 12,5%

19,3%

65,8%

15,4%

30,0%

1,9%6,6%

0,0% 12,9%

33,3%

31,4%

41,1%

61,4%

31,4%

37,4%

16,5%

30,2%4,3%

16,6%2,8%

17,3%

1,5%

28,2%35,4%

17,1%

Nord-ovest Nord-est Centro Sud Isole ITALIA

Smaltimento in discarica Incenerimento Compostaggio Utilizzo in agricoltura Altro

Grafico 1.24 – Fanghi prodotti nei grandi impianti per tipologia di destinazione e ripartizione geografica. Anno 2015 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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50 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

presenza di contaminazione microbiologica o di altri organismi o di rifiuti che influiscono sulla qualità delle acque di balneazione e comportano un rischio per la salute dei bagnanti.

La qualità delle acque di balneazione marino-costiere è definita sulla base dei campiona-menti relativi alle ultime quattro stagioni balneari e si distingue nelle seguenti classi: eccel-lente, buona, sufficiente e scarsa. Prima dell’inizio di ogni stagione balneare viene redatto un programma di monitoraggio per ciascuna acqua di balneazione. I parametri microbiologici ricercati secondo la normativa vigente sono Enterococchi intestinali ed Escherichia Coli, oltre a questi è anche previsto il monitoraggio di altri fattori di rischio di interesse sanitario che non vengono considerati ai fini della classificazione, ma sono tenuti in considerazione in quanto, qualora giungano a rappresentare un rischio per la salute, fanno scattare misure di gestione atte a prevenirne l´esposizione, inclusa un´adeguata informazione ai cittadini.

Le aree adibite alla balneazione, che rientrano nelle definizioni della direttiva europea e sono sottoposte al monitoraggio e agli adempimenti previsti, possono essere soggette a divieti temporanei in seguito a ordinanze sindacali, emesse prima e durante la stagione bal-neare. I divieti temporanei sono riferiti a periodi d’inquinamento di breve durata e possono, anche, estendersi all’intera stagione balneare. Le aree non adibite alla balneazione per legge (porti, foci di fiumi, zone militari, aree protette), invece, sono soggette a divieti permanenti e la normativa non ne prevede il monitoraggio.

Obiettivo dei monitoraggi previsti è quello di conservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente e prevenire l’esposizione dei bagnanti ad agenti inquinanti. L’inquina-mento ha diverse cause, spesso dovute a scarichi fognari abusivi o problemi imputabili a depuratori malfunzionanti.

Nel 2015, il 67,2 per cento della linea litoranea italiana risulta monitorato ai fini della balneazione; il restante 32,8 per cento non prevede acque di balneazione in quanto si trova in zone destinate a specifiche attività che ne escludono la balneabilità oppure presenta ri-schi di sicurezza per motivi igienico-sanitario.

Nelle regioni litoranee italiane oltre i due terzi della costa sono monitorati, con un’in-cidenza massima in Basilicata (92,5 per cento) e minima in Friuli-Venezia Giulia (42,2 per cento) e sono quasi tutte acque eccellenti secondo i controlli di qualità dettati dalla Direttiva Balneazione (pari al 61,8 per cento della linea litoranea nazionale). Tenendo conto anche delle acque interdette (divieti temporanei) per l’intera stagione balneare, a causa dei livelli di contaminanti oltre le soglie di rischio per la salute, è risultato balneabile il 66,5 per cento delle coste italiane (Tavola 1.13).

Tavola 1.13 – Lunghezza di costa italiana monitorata, balneabile e monitorata con qualità eccellente per regione litoranea. Anno 2015 (valori percentuali sulla lunghezza totale della linea litoranea)

REGIONI LITORANEE Costa totale monitorata Costa balneabile Costa monitoratacon qualità eccellente

Liguria 58,7 58,7 56,6Veneto 64,2 64,2 62,6Friuli-Venezia Giulia 42,2 42,2 38,9Emilia-Romagna 61,7 61,7 53,4Toscana 72,6 72,6 70,4Marche 75,8 75,3 69,3Lazio 71,8 71,3 67,0Abruzzo 79,3 79,3 47,3Molise 71,9 71,9 57,9Campania 73,1 70,0 60,2Puglia 74,7 74,7 74,2Basilicata 92,5 92,5 86,9Calabria 88,9 85,7 81,3Sicilia 58,9 58,1 49,9Sardegna 61,4 61,4 59,1ITALIA 67,2 66,5 61,8

Fonte: Elaborazioni Istat su dati Ministero della salute e dell’Agenzia europea dell’ambiente

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511. Acqua per uso civile

Nel 2015, la costa adibita alla balneazione con qualità eccellente è il 91,9 per cento del totale monitorato, il valore massimo si riferisce alla Puglia (99,4 per cento) e il minimo all’Abruzzo (59,6 per cento). Nel 2015 la costa abruzzese presenta altresì le percentuali maggiori di qualità buona, sufficiente e scarsa. Il Veneto ha solo coste eccellenti e buone.

Acque insufficientemente campionate o soggette a cambiamenti (risanamenti) hanno inciso sul 2,8 per cento delle acque di balneazione interessando quattro regioni: Sicilia (10,2 per cento), Campania (5,0 per cento), Sardegna (3,1) ed Emilia-Romagna (0,4 per cento).

Le acque di balneazione di qualità scarsa rappresentano appena l’1 per cento, per-centuale in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Tale valore dimostra che l’Italia ha perseguito l’obiettivo prefissato dalla normativa considerato l’elevato numero di acque di balneazione, circa un quarto del totale europeo, e nonostante la forte antropizzazione delle coste, più facilmente soggette a fenomeni di inquinamento (Tavola 1.14).

Visto il complessivo raggiungimento degli obiettivi della Direttiva Balneazione è stato determinato un indicatore che prende in esame il numero di giorni durante i quali le acque di balneazione sono state interdette ai bagnanti per motivi legati a inquinamento di breve durata.

In Italia la stagione balneare, che generalmente inizia il primo maggio e termina il 30 settembre, ha avuto nel 2015 una durata media di 152 giorni, a eccezione della Sicilia (197 giorni), dell’Emilia-Romagna (134 giorni) e del Veneto (123 giorni).

Durante la stagione balneare, alcune acque di balneazione, anche se con grado di qua-lità eccellente o buono, possono esser soggette a divieto, attraverso ordinanze emesse dal sindaco, qualora un singolo campionamento, mostri un valore limite dei parametri mi-crobiologici superiore a quelli previsti dalla normativa vigente, con possibili rischio per la salute. La Puglia, con 606 acque di balneazione eccellenti e/o buone, registra la percentuale maggiore di chilometri di costa monitorata non interdetta alla balneazione durante la sta-gione 2015 (99,4 per cento). Sicilia, Calabria, Marche e Campania hanno avuto almeno un’acqua di balneazione sempre chiusa; la Sicilia ne conta il numero maggiore (11), con un impatto appena dell’1,2 per cento sulla lunghezza complessiva delle acque di balneazione,

Tavola 1.14 – Lunghezza delle acque di balneazione per classe di qualità e regione litoranea. Anno 2015 (valori percentuali sulla lunghezza totale delle acque di balneazione marino-costiere)

REGIONI LITORANEE Eccellente Buona Sufficiente Scarsa Nuova Altro (a)

Liguria 96,4 2,6 0,7 0,3 - -Veneto 97,5 2,5 - - - -Friuli-Venezia Giulia 92,3 4,4 3,3 - - -Emilia-Romagna 86,5 4,5 1,2 - 7,4 0,4Toscana 96,9 1,7 0,8 0,6 - -Marche 91,3 3,2 2,9 2,1 0,5 -Lazio 93,2 4,8 1,1 0,8 - -Abruzzo 59,6 20,5 10,6 9,3 - -Molise 80,5 12,7 5,0 - 1,7 -Campania 82,4 6,2 1,8 4,3 0,2 5,0Puglia 99,4 0,2 - 0,1 0,3 -Basilicata 93,9 5,7 0,4 - - -Calabria 91,5 5,2 1,3 2,1 - -Sicilia 84,7 3,0 1,2 0,5 0,4 10,2Sardegna 96,3 0,4 0,1 0,1 - 3,1ITALIA 91,9 3,0 1,0 1,0 0,3 2,8

Fonte: Elaborazioni Istat su dati Ministero della Salute e dell’Agenzia europea dell’ambiente(a) Acque insufficientemente campionate o soggette a risanamenti

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52 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

seguita dalla Calabria (6), pari all’1 per cento. Di contro, per le acque con elevato grado di qualità del Friuli-Venezia Giulia, Molise e Basilicata non sono mai stati previsti giorni di interdizione alla balneazione (Tavola 1.15 e Figura 1.8).

Tavola 1.15 – Acque di balneazione di qualità eccellente e buona per giorni di chiusura durante la stagione balneare per regione litoranea. Anno 2015 (valori assoluti e percentuali sulla lunghezza totale delle acque di balneazione marino-costiere)

REGIONILITORANEE

Acque di balneazione eccellenti e buone

Sempre balneabile 1-30 31-60 61-120 Più di 121 Interdetta alla balneazione

Numero % Numero % Numero % Numero % Numero % Numero %

Liguria 332 93,0 25 5,6 1 0,2 - - 1 0,2 - -Veneto 91 96,1 4 3,9 - - - - - - - -Friuli-Venezia Giulia 54 96,7 - - - - - - - - - -Emilia-Romagna 51 67,4 31 23,6 - - - - - - - -Toscana 330 95,3 22 3,3 - - - - - - - -Marche 171 81,0 33 10,4 10 2,0 - - 2 1,0 1 0,1Lazio 137 97,2 - - - - 1 0,9 - - - -Abruzzo 76 76,5 2 1,5 - - 1 1,3 1 0,7 - -Molise 30 93,2 - - - - - - - - - -Campania 263 86,9 3 1,0 1 0,3 - - 2 0,3 1 0,1Puglia 606 99,4 - - - - 1 0,2 - - - -Basilicata 59 99,6 - - - - - - - - - -Calabria 613 95,2 3 0,4 1 0,1 - - - - 6 1,0Sicilia 723 85,8 1 0,2 - - 3 0,5 - - 11 1,2Sardegna 632 95,4 15 1,3 - - - - 1 0,1 - -ITALIA 4.168 92,4 139 1,9 13 0,1 6 0,2 7 0,1 19 0,3

Fonte: Elaborazioni Istat su dati Ministero della Salute e dell’Agenzia europea dell’ambiente

Acque di balneazioneSempre balneabile

1 - 30

31 - 60

61 - 120

≥ 121

Interdetta alla balneazione

Comuni litoranei privi di servrvr izio pubblico di depurazione

Comuni litoranei con il servrvr izio pubblico di depurazione

Figura 1.8 – Acque di balneazione marino-costiere per numero di giorni di chiusura durante la stagione balneare e comuni litoranei privi e con servizio pubblico di depurazione. Anno 2015 (valori assoluti)

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile e elaborazioni Istat su dati Ministero della Salute e dell’Agenzia europea dell’ambiente

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531. Acqua per uso civile

Nelle 15 regioni bagnate dal mare, 644 comuni si collocano lungo la fascia costiera italiana, ovvero l’8,0 per cento dei comuni italiani, estesi su una superficie complessiva pari al 14,3 per cento della superficie nazionale, su cui insiste il 28,4 per cento della popolazione residente in Italia. Le aree litoranee risultano quelle più densamente popolate: 400 abitanti per chilometro quadrato, rispetto ai 168 delle aree non litoranee.

Il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane è presente in 602 comuni litoranei; mentre i comuni litoranei che hanno sul proprio territorio almeno un impianto di trattamento in esercizio sono 498 (Tavola 1.16).

Ne consegue che in 42 comuni litoranei il servizio idrico di depurazione è assente, ossia i reflui non sono collettati in impianti pubblici in esercizio (Figura 1.8). In questi comuni, distribuiti in sei regioni, risiedono circa 350 mila abitanti, pari allo 0,6 per cento della po-polazione nazionale.

Le situazioni di maggior criticità si registrano nella costa meridionale italiana: Sicilia (16 comuni, 3,4 per cento della popolazione regionale), Campania (13 comuni, 1,9 per cento della popolazione regionale) e Calabria (8 comuni, 1,1 per cento della popolazione regionale). In queste stesse regioni, considerando l’indicatore relativo ai giorni di chiusura delle acque di balneazione, è stato previsto il divieto di balneazione di alcuni tratti litoranei durante tutta la stagione, probabilmente proprio a causa dei problemi legati allo smalti-mento delle acque reflue urbane. A dimostrazione di questo sono di esempio i casi di due comuni in cui è stata prevista l’interdizione ai bagnanti di alcuni tratti costieri, Porto Palo di Capo Passero (Sicilia) e Bova Marina (Calabria).

Nel 2015 nei 498 comuni litoranei sono risultati in esercizio 935 impianti di depurazio-ne delle acque reflue urbane. La maggior parte di questi impianti si trova nel Mezzogiorno (549 impianti distribuiti in 351 comuni litoranei), mentre il numero minore nella ripartizione del Nord-est (70 in 28 comuni).

Tavola 1.16 – Comuni litoranei e servizio di depurazione pubblico per regione. Anno 2015 (valori assoluti)

REGIONI LITORANEE Comunilitoranei

Comuni serviti dal servizio di depurazione

pubblico

Comuni non serviti da

impianti di depurazione

Comuni con almeno un impianto di

depurazione

Liguria 63 61 2 42

Veneto 11 11 - 11

Friuli-Venezia Giulia 8 8 - 5

Emilia-Romagna 14 14 - 12

Toscana 35 35 - 33

Marche 23 23 - 20

Lazio 24 24 - 24

Abruzzo 19 19 - 17

Molise 4 4 - 4

Campania 60 47 13 36

Puglia 67 65 2 56

Basilicata 7 7 - 7

Calabria 116 108 8 81

Sicilia 122 106 16 88

Sardegna 71 70 1 62

ITALIA 644 602 42 498

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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54 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Il contributo degli impianti ubicati nei comuni litoranei sul totale delle acque reflue urbane trattate nel 2015, di origine sia civile che industriale, è stato del 33,8 per cento, con una percentuale maggiore per i reflui civili trattati complessivamente (35,8 per cento), rispetto agli industriali totali (24,2 per cento). Le regioni i cui comuni litoranei depurano il carico maggiore di reflui totali sono la Liguria e la Calabria con, rispettivamente, l’84,2 e il 73,8 per cento del totale regionale, mentre la Basilicata è quella che registra la percentuale più bassa, 16,9 per cento. Le stesse regioni mantengono questi primati anche per i reflui civili trattati dal servizio pubblico.

Per gli industriali in ingresso agli impianti è la Sicilia a detenere la percentuale maggio-re con il 94,9 per cento, seguita dal Lazio, 83,1 per cento; di contro la Basilicata non depura scarichi industriali in questi impianti e il Friuli-Venezia Giulia presenta una quota minima pari allo 0,9 per cento (Tavola 1.17).

L’alta percentuale di acque reflue industriali trattate in impianti pubblici di depurazione riscontrata in Sicilia e nel Lazio è dovuta ai grandi poli industriali presenti sulle coste. In Sicilia il solo impianto sito a Priolo Gargallo depura l’81,2 per cento di tutti i reflui indu-striali, di origine petrolifera e petrolchimica, mentre per il Lazio i 34 impianti di depurazione pubblici situati nel comune di Roma contribuiscono a più del 90 per cento del trattamento dei reflui industriali regionali.

Dei 498 comuni litoranei con almeno un impianto di depurazione sito nel proprio terri-torio, 490 hanno tratti di costa soggetti ai controlli di qualità ai fini della Direttiva Balneazio-ne con 3.983 acque di balneazione (Tavola 1.18).

Prendendo in considerazione i tratti monitorati interdetti durante tutta la stagione balne-are, la Calabria è la regione con il maggior numero di acque vietate ai bagnanti (25), presenti in 12 comuni, per un tratto di litorale pari al 12,3 per cento della costa monitorata. Seguono Sicilia, con 16 acque che interessano appena il 3,5 per cento della costa monitorata, Campa-nia, Marche e Lazio, tutte con meno di 13 acque lungo tratti di costa inferiori al 2,6 per cento.

Tavola 1.17 – Comuni litoranei, impianti di depurazione delle acque reflue urbane, abitanti equivalenti effettivi civili, industriali e totali per regione. Anno 2015 (valori assoluti e percentuali sul totale regionale)

REGIONI LITORANEE Comuni Impianti AE eff civ % AE eff ind % AE eff tot %

Liguria 42 80 87,9 57,7 84,2

Veneto 11 33 26,6 2,0 20,4

Friuli-Venezia Giulia 5 10 35,0 0,9 28,3

Emilia-Romagna 12 27 29,1 8,5 26,6

Toscana 33 111 38,0 2,1 21,9

Marche 20 37 52,3 56,0 52,5

Lazio 24 88 71,1 83,1 72,2

Abruzzo 17 31 37,7 62,2 39,9

Molise 4 10 28,6 62,9 36,9

Campania 36 53 41,6 32,5 40,2

Puglia 56 68 55,6 56,0 55,6

Basilicata 7 16 17,8 - 16,9

Calabria 81 126 72,7 76,6 73,8

Sicilia 88 123 69,4 94,9 73,2

Sardegna 62 122 63,8 74,2 68,3

ITALIA 498 935 35,8 24,2 33,8

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile

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551. Acqua per uso civile

Le acque di balneazione della Campania rimaste sempre chiuse sono tutte di scarsa qualità, tranne una sufficiente, quindi nel complesso in linea con le disposizioni della Di-rettiva Balneazione che ne prevedere l’interdizione visto il basso livello di qualità. Causa di questi livelli bassi sono, per esempio, la presenza di foci di corsi d’acqua con problemi di inquinamenti come il Sarno e il Sele e, nella provincia di Napoli, i tre grandi impianti di depurazione con abitanti equivalenti superiori ai 50.000 che presentano criticità legate alla bassa capacità depurativa dei reflui. Anche le tre acque di balneazione del Lazio ubicate nel comune di Ardea risentono, probabilmente, della presenza dello scarico di un grande impianto tanto che, vista la qualità scarsa e la chiusura prolungata per più di 5 stagioni, nel 2018 due delle tre sono state chiuse definitivamente (Tavola 1.18).

I flussi turistici rappresentano un fattore di pressione stagionale sulla risorsa idrica in termini di consumo e soprattutto di generazione di carichi inquinanti, in particolare nei comuni litoranei. A sua volta la qualità delle acque marine costiere, soprattutto nelle località turistiche balneari, è un fattore che influenza il numero di presenze turistiche. Al riguardo sono state svolte delle analisi di integrazione dei dati prodotti da fonti statistiche diverse.

L’indagine Istat relativa al “Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi” mostra che in Italia, nel 2015, i comuni litoranei dotati di esercizi ricettivi sono 637, mentre 7 ne sono pri-vi, per un totale annuo di 205.627.052 presenze10. La regione Veneto detiene la percentuale maggiore rispetto al totale nazionale, con il 16,7 per cento di presenze, grazie soprattutto al flusso turistico verso la città di Venezia, che – da sola – accumula 10,2 milioni di presenze; inoltre, il 72,7 per cento dei suoi comuni registra presenze superiori alle 342 mila unità, gravitando attorno a un polo di forte attrazione come Venezia. Segue il Lazio, grazie alla forza attrattiva della città di Roma, principale destinazione dei soggiorni nel nostro Paese, con quasi 25 milioni di presenze, con il 14,0 per cento dei flussi turistici nazionali, mentre il 71,4 per cento dei comuni in Emilia-Romagna, 10 su 14, ricadono tutti nella classe con il maggior numero di notti trascorse (Tavola 1.19).

10 Numero delle notti trascorse dai clienti negli esercizi ricettivi nel periodo considerato.

Tavola 1.18 – Comuni litoranei con impianti di depurazione delle acque reflue urbane, acque di balneazione e impianti per regione. Anno 2015 (valori assoluti e percentuali sulla lunghezza totale delle acque di balneazione marino-costiere)

REGIONI Comuni Acque di balneazione Lunghezza costa (km) Lunghezza costa (%) Impianti

Liguria 42 286 290,9 76,8 80

Veneto 10 95 143,4 100,0 31

Friuli-Venezia Giulia 5 43 63,0 78,4 10

Emilia-Romagna 11 91 115,1 99,2 23

Toscana 33 358 594,5 99,2 111

Marche 20 221 149,2 90,7 37

Lazio 24 145 305,5 100,0 88

Abruzzo 17 107 113,6 95,7 31

Molise 4 35 37,2 100,1 10

Campania 36 211 295,4 61,5 53

Puglia 56 569 705,5 90,8 68

Basilicata 7 60 62,6 99,9 16

Calabria 81 519 549,6 78,3 126

Sicilia 86 655 910,4 81,3 120

Sardegna 58 588 1.283,8 92,0 118

ITALIA 490 3.983 5.619,7 86,7 922

Fonte: Istat, Censimento delle acque per uso civile e elaborazioni Istat su dati Ministero della Salute e dell’Agenzia europea dell’ambiente

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56 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Nella regione Sicilia il 37,0 per cento dei comuni litoranei (44 comuni su 119) ricade nella classe con minor flusso turistico, questo potrebbe essere ricondotto a un’offerta tu-ristica non solo di tipo balneare - caratterizzata da una forte concentrazione di presenze soprattutto nel mese di agosto e da una permanenza dei turisti anche superiore ai 15 giorni - ma anche di tipo culturale, naturalistico ed enogastronomico.

Prendendo in considerazione i flussi turistici durante il mese di agosto - il più rappre-sentativo della stagione balneare - e le acque di balneazione che sono state sempre inter-dette alla balneazione nel 2015, Ragusa e Siracusa sono risultati gli unici due comuni con presenze superiori alle 96.953 unità che hanno acque di balneazione interdette ai bagnanti per tutta la stagione balneare.

Tavola 1.19 - Comuni litoranei per classe di presenza negli esercizi ricettivi (quintili) per regione. Anno 2015 (valori assoluti)

REGIONIClassi di presenza

0–12.062 12.063–45.285 45.286–126.411 126.412–342.092 ≥ 342.093 Totalecomplessivo

Liguria 4 10 17 20 11 62Veneto 2 - - 1 8 11Friuli-Venezia Giulia 2 1 2 - 3 8Emilia-Romagna 2 - - 2 10 14Toscana 1 1 5 9 19 35Marche 1 3 2 6 11 23Lazio 3 - 10 6 5 24Abruzzo 1 4 4 3 7 19Molise 1 1 1 1 - 4Campania 4 13 13 18 12 60Puglia 15 15 14 11 12 67Basilicata 1 - - 4 2 7Calabria 38 36 19 17 3 113Sicilia 44 28 23 13 11 119Sardegna 17 14 15 13 12 71ITALIA 136 126 125 124 126 637

Fonte: Istat, Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi

Acque di balneazione Interdetta alla balneazionePresenze turistiche nei comuni

litoranei0 - 3.236

3.237 - 13.147

13.148 - 34.329

34.330 - 96.952

≥ 96.953≥ 96.953≥

Figura 1.9 – Presenze negli esercizi ricettivi nei comuni litoranei nel mese di agosto. Anno 2015

Fonte: Istat, Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi

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571. Acqua per uso civile

1.5 Servizio di erogazione dell’acqua alle famiglie

1.5.1 L’approvvigionamento delle famiglie attraverso la rete idrica comunale

Nel 2018, circa 24,8 milioni di famiglie, pari al 95,8 per cento del totale, dichiarano di essere allacciate alla rete idrica comunale. Più della metà delle regioni mostrano percentuali superiori alla media nazionale: in particolare, le quote più elevate si rilevano tra le famiglie della provincia di Trento (99,6 per cento) e della Valle d’Aosta (99,2 per cento). Al contrario, le percentuali più basse si registrano tra le famiglie del Veneto e del Lazio (92,2 per cento), Sicilia (92,9 per cento) e Puglia (93,0 per cento)11.

Le famiglie che sono allacciate alla rete idrica comunale, nell’84,6 per cento dei casi, si ritengono molto o abbastanza soddisfatte del servizio idrico fornito. Prevale, nondimeno, un giudizio di moderata soddisfazione, poiché le famiglie che dichiarano di essere molto soddisfatte (21,3 per cento) sono circa un terzo di quelle che si ritengono abbastanza sod-disfatte (63,3 per cento). Fanno eccezione le famiglie che abitano nelle province di Bolzano e di Trento: per le prime, la quota di quelle che si ritengono molto soddisfatte raggiunge il 64,8 per cento; per le seconde, la quota si attesta al 51,1 per cento.

Le percentuali variano sensibilmente sul territorio: nel Nord del Paese le famiglie molto o abbastanza soddisfatte sono il 91,9 per cento delle famiglie allacciate alla rete idrica co-munale; nel Centro e nel Sud tale quota diminuisce di circa dieci punti, mentre nelle Isole scende al 67,0 per cento. In alcune aree geografiche sono pertanto presenti quote signifi-cative di famiglie che si dichiarano poco o per niente soddisfatte.

11 Occorre precisare che la rete idrica comunale non rappresenta l’unica modalità di approvvigionamento per le famiglie. Sono presenti altre forme di approvvigionamento, che sono utilizzate insieme o in alternativa al servizio idrico offerto dai comuni. In particolare, l’approvvigionamento attraverso pozzi, sorgenti o altre fonti private interessa il 4,2 per cento del totale delle famiglie.

0 30 40 50 80 90 100

SardegnaCalabria

SiciliaMolise

AbruzzoCampania

ToscanaUmbria

LazioPuglia

BasilicataITALIAMarche

PiemonteLiguria

Emilia-RomagnaLombardia

VenetoFriuli-Venezia Giulia

Valle d'Aosta/Vallée d'AosteTrento

Bolzano-Bozen

Molto soddisfatte

10 20

Poco soddisfatte

60 70

Non indicatoPer niente soddisfatteAbbastanza soddisfatte

Grafico 1.25 – Famiglie allacciate alla rete idrica comunale per grado di soddisfazione del servizio e regione. Anno 2018 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Indagine Aspetti della vita quotidiana

Page 58: Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia...4 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia Pag. 2.2 Acqua per uso industriale 67 2.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività

58 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Se si considera quindi il livello di soddisfazione complessivo nei confronti del servizio idrico offerto dai comuni, emerge che in alcune regioni la quota di famiglie poco soddisfatte supera di gran lunga la percentuale di quelle molto soddisfatte: gli scostamenti maggiori si registrano in Calabria (26,6 per cento contro 9,6 per cento), Sardegna (24,3 per cento contro 8,8 per cento) e Sicilia (22,7 per cento contro 11,1 per cento) (Grafico 1.25).

I dati forniscono anche la valutazione espressa dalle famiglie allacciate alla rete idrica co-munale in merito ad aspetti specifici del servizio fornito: l’assenza di interruzioni della fornitu-ra; il livello di pressione dell’acqua; l’odore, il sapore e la limpidezza dell’acqua; la frequenza di lettura dei contatori; la frequenza della fatturazione; la comprensibilità delle bollette. L’analisi dei dati riguardo alle caratteristiche elencate mette in luce, da un lato, alcune tendenze che appaiono costanti e, dall’altro, alcune criticità che caratterizzano diverse aree del Paese.

Per ciascuno degli aspetti considerati, sebbene, nella maggioranza dei casi, le famiglie si ritengano molto o abbastanza soddisfatte, spiccano – come in precedenza – dei giudi-zi caratterizzati da una moderata soddisfazione, che sopravanzano nettamente i giudizi di piena soddisfazione. Un discorso a parte, tuttavia, meritano le famiglie della provincia di Bolzano e della provincia di Trento. I giudizi di piena soddisfazione prevalgono su quelli moderati su tre degli aspetti enunciati: l’assenza di interruzioni della fornitura; il livello di pressione dell’acqua; l’odore, il sapore e la limpidezza dell’acqua.

Un’ulteriore considerazione, certamente collegata alla precedente, riguarda i livelli di soddisfazione nei confronti di ciascun aspetto. I dati fanno emergere una precisa tendenza che accomuna tutti gli aspetti presi in esame: il Nord mostra sempre le quote più elevate di famiglie molto o abbastanza soddisfatte, tali quote diminuiscono nelle altre ripartizioni geografiche, toccando il minimo nelle Isole.

Rispetto all’assenza di interruzioni della fornitura, nell’87,4 per cento dei casi, le fa-miglie dichiarano di essere molto o abbastanza soddisfatte; tuttavia, le quote più elevate di famiglie poco o per niente soddisfatte sono in Calabria e in Sicilia, dove raggiungono, rispettivamente, il 40,2 per cento e il 31,9 per cento.

In merito al giudizio sul livello di pressione dell’acqua, le famiglie che si ritengono molto o abbastanza soddisfatte sono l’83,1 per cento. Le differenze più rilevanti, tuttavia, si colgono allorché si prende in esame il livello di insoddisfazione: ancora una volta Calabria e Sicilia sono le regioni in cui le percentuali di famiglie poco o per niente soddisfatte sono di gran lunga le più alte (il 33,7 per cento e il 29,6 per cento, rispettivamente).

Riguardo all’odore, al sapore e alla limpidezza dell’acqua, le famiglie che si ritengono molto o abbastanza soddisfatte sono il 72,3 per cento. È interessante notare che le famiglie poco o per niente soddisfatte raggiungono una quota ragguardevole (26,8 per cento) e che, soprattutto in alcune regioni del Mezzogiorno, tale quota aumenta di molto. Basti osservare i valori per la Sicilia (49,7 per cento), la Sardegna (42,7 per cento) e la Calabria (41,5 per cento).

Sulla frequenza di lettura dei contatori la percentuale di famiglie molto o abbastanza soddisfatte si attesta al 72,1 per cento. Anche in questo caso è consistente la quota di fa-miglie che dichiarano di essere poco o per niente soddisfatte (26,4 per cento). Percentuali molto superiori al valore medio si registrano in Sicilia (48,0 per cento), Calabria (42,1 per cento) e Campania (41,9 per cento).

Un’ulteriore valutazione riguarda la frequenza della fatturazione. Su questo aspetto, le famiglie che si ritengono molto o abbastanza soddisfatte sono il 78,2 per cento. Ancora una volta, gli scostamenti più consistenti si colgono analizzando il livello di insoddisfazione. In Sicilia la quota di famiglie poco o per niente soddisfatte è la più elevata (42,1 per cento); meno alte, ma pur sempre ragguardevoli, le percentuali in Calabria (39,3 per cento) e in Sardegna (37,8 per cento).

Page 59: Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia...4 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia Pag. 2.2 Acqua per uso industriale 67 2.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività

591. Acqua per uso civile

Infine, le famiglie che dichiarano di essere molto o abbastanza soddisfatte riguardo alla comprensibilità delle bollette sono il 61,2 per cento. Occorre notare che tale valore rappresenta il livello minimo di soddisfazione e che le famiglie poco o per niente soddi-sfatte raggiungono una quota considerevole (37,3 per cento). In particolare, in tre regioni del Mezzogiorno, la quota aumenta sensibilmente, tanto da interessare circa la metà delle famiglie: Campania (51,5 per cento), Sicilia (50,6 per cento) e Sardegna (49,4 per cento).

1.5.2 La qualità del servizio di erogazione dell’acqua potabile

Nel 2018 si attesta al 10,4 per cento la quota di famiglie italiane che lamentano irrego-larità nel servizio di erogazione dell’acqua nelle loro abitazioni. Tale valore, stabile rispetto al dato registrato nel 2017, è ancora distante dai picchi rilevati a partire dal 2002, soprattutto da quello del 2003 (17,0 per cento).

Il disservizio investe in modo diverso tutte le regioni e interessa quasi 2,7 milioni di famiglie; di queste, poco meno di 1,8 milioni, pari al 65,4 per cento, vivono nelle regioni del Mezzogiorno.

La regione più esposta ai problemi di erogazione dell’acqua nelle abitazioni è la Ca-labria, dove il 39,6 per cento delle famiglie lamenta questa inefficienza. Grave anche la situazione in Sicilia (29,3 per cento), dove tuttavia si registra un sensibile miglioramento rispetto all’anno precedente. Viceversa, nel Nord-ovest e nel Nord-est, le famiglie che la-mentano irregolarità nel servizio di erogazione dell’acqua rappresentano una quota esigua (rispettivamente, il 3,3 per cento e il 2,5 per cento); mentre soltanto una famiglia su dieci del Centro dichiara che il servizio di erogazione è irregolare.

Le famiglie che non si fidano a bere l’acqua di rubinetto sono ancora una quota consi-derevole, nonostante una progressiva diminuzione. Dal 40,1 per cento del 2002 scendono al 29,0 per cento del 2018, per un numero complessivo di famiglie pari a 7,5 milioni.

0

5

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15

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2002 2003 2004* 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018

Irregolarità nell'erogazione dell'acqua Non si fidano a bere l'acqua del rubinetto

Grafico 1.26 – Famiglie che lamentano irregolarità nell’erogazione di acqua e che non si fidano a bere l’acqua del rubinetto. Anni 2002-2018 (per 100 famiglie)

Fonte: Istat, Indagine Aspetti della vita quotidiana.* Il valore per il 2004 non è stato rilevato

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60 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Rispetto al valore del 2017 non si registra nessuna variazione. Il fenomeno presenta una marcata variabilità territoriale: si va dal 17,8 per cento del Nord-est al 52,0 per cento delle Isole, con la percentuale più elevata in Sicilia (53,3 per cento). Seguono le famiglie della Sardegna (48,5 per cento) e quelle della Calabria (45,2 per cento).

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61

2. ALTRI USI DELL’ACQUA1

2.1 Acqua per uso agricolo

L’acqua svolge un ruolo cruciale in agricoltura. Gli usi della risorsa idrica sono essen-zialmente destinati all’irrigazione dei terreni e alla zootecnia.

Il settore agricolo si contraddistingue come il più grande utilizzatore di acqua.La causa principale del consumo di acqua nel settore agricolo è l’irrigazione che

rappresenta la maggiore pressione sulla risorsa idrica, soprattutto nei territori in cui pre-cipitazioni e umidità del suolo non sono sufficienti a garantire il fabbisogno idrico delle colture e la produzione di alcuni tipi di colture non sarebbe possibile senza il ricorso alla pratiche irrigue. A livello europeo, l’Italia si colloca tra i paesi europei che maggiormente fa ricorso all’irrigazione.

2.1.1 Irrigazione

L’irrigazione è una delle principali pratiche colturali che mira, attraverso l’apporto ca-denzato di quantità di acqua alle piante, ad aumentare la produttività colturale, a rinvigorire i terreni soprattutto nelle zone più aride, a sopperire alle esigenze idriche nelle aree più vulnerabili a fenomeni di scarsità idrica, in special modo durante i periodi di piogge inferiori alla media, e a migliorare la qualità dell’output, ad esempio prevenendo i danni provocati in situazioni di temperature estreme.

Nell’annata agraria 2015-2016 la superficie irrigabile delle aziende agricole italiane, ovvero la superficie attrezzata per l’irrigazione, era pari a 4.123 migliaia di ettari, distribuiti su circa 572 mila aziende. Rispetto al 1982 l’area irrigabile ha registrato una leggera varia-zione, con un incremento di circa il 4,2 per cento2.

La superficie irrigata misura la quantità effettiva di terreni irrigati e può variare notevol-mente, di anno in anno e sul territorio, a seconda delle condizioni meteoclimatiche e delle colture praticate. Nell’annata agraria 2015-2016 l’irrigazione è stata effettuata dal 42,9 per cento delle aziende agricole: quasi 491 mila le aziende che irrigano una superficie di 2.553 migliaia di ettari.

Rispetto al 1982, se da un lato la superficie irrigata fa registrare un aumento (Grafico 2.1)3, seppur lieve, dell’1,7 per cento, dall’altro il numero di aziende che ha praticato irri-gazione si riduce del 20,9 per cento, probabilmente a causa dell’aumento della dimensione media aziendale.

1 Il capitolo è stato curato da Cecilia Manzi (par.2.1.1), Antonino Genovesi (Collaboratore esterno) e Stefano Tersigni (par. 2.1.2), Stefano Tersigni (parr. 2.2, 2.2.1), Maria Teresa Coviello (STO ATO2 Roma) (par. 2.3), Stefano Tersigni (par. 2.4). Predisposizione figure, grafici, testo e tavole dati a cura di Tiziana Baldoni, Rossana Cotroneo, Simona Ramberti, Irena Smilkova.

2 Nel 2016 il dato include anche l’irrigazione di soccorso, precedentemente escluso.3 Nel calcolo di tali indicatori è esclusa l’irrigazione di soccorso, ossia l’approvvigionamento d’acqua con volumi

ridotti effettuato in periodi ben definiti e finalizzato a eliminare gli stress idrici che influenzano negativamente la resa della coltura.

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62 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Nel complesso la tendenza all’utilizzo delle potenzialità irrigue, misurata, invece, dal rapporto percentuale tra la superficie irrigata e la superficie irrigabile, è pari al 61,9 per cento. La propensione all’irrigazione, valutabile rapportando la superficie irrigata al totale della superficie agricola utilizzata (Sau), è pari al 20,2 per cento nel 2016.

A livello europeo, la diffusione e l’importanza delle pratiche irrigue sono significativa-mente maggiori negli Stati membri meridionali, in particolare dell’area mediterranea, con l’Italia che si posiziona tra i paesi con una maggiore propensione all’irrigazione (Grafico 2.2).

La propensione all’irrigazione degli stati dell’Unione Europea varia da quasi zero in alcuni paesi a oltre il 20 per cento in altri, con riferimento all’anno 2016. Malta (31,4 per cento), Grecia (23,6 per cento), Cipro (21,0 per cento) e Italia (20,2 per cento) sono i paesi che presentano i valori più alti: qui, infatti, più del 20 per cento della superficie agricola utilizzata viene sottoposta a irrigazione. Piuttosto presente anche in Spagna, Portogallo, Paesi Bassi e Danimarca, con una percentuale di Sau interessata dalla pratica irrigua compresa tra il 9 e il 13 per cento circa, l’irrigazione si presenta del tutto marginale, con percentuali uguali o infe-riori allo 0,7 per cento, in Slovenia, Repubblica Ceca, Regno Unito, Estonia, Lituania, Letto-nia. La pratica irrigua, è invece, del tutto assente in Estonia, Irlanda, Lettonia e Lussemburgo.

L’analisi a livello regionale evidenzia che in Lombardia si concentra il 20,0 per cento della superficie irrigata nazionale; seguono Piemonte (14,0 per cento) e Veneto (12,9 per cento).

La propensione regionale all’irrigazione è più elevata in Lombardia, con il 53,3 per cen-to della Sau irrigata; seguono Veneto (42,2 per cento) e Piemonte (37,2 per cento). Nelle Marche, di contro, si registra la minore propensione all’irrigazione, con solo il 3,4 per cento della Sau irrigata.

Per alcuni tipi di colture l’irrigazione completa praticata su tutta la superficie coltivata è un elemento distintivo, per altri, invece, è di tipo supplementare ed è generalmente utiliz-zata per migliorare la produzione nei periodi secchi.

Nel 2016 il 18,6 per cento della superficie irrigata è coltivata a mais da granella (Gra-fico 2.3). I gruppi colturali più rappresentati sul complesso della superficie irrigata sono, inoltre, erbai e altre foraggere avvicendate (17,3 per cento), l’insieme di fruttiferi e agrumi (12,0 per cento) e le colture ortive a piena aria (9,6 per cento).

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

3.000

3.500

1982 1990 2000 2003 2005 2007 2010 2013 2016

Grafico 2.1 – Superficie irrigata in serie storica. Anni 1982-2016 (superficie in migliaia di ettari)

Fonte: Istat, Censimento dell’agricoltura e Indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole

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632. Altri usi dell’acqua

Il riso è l’unico tipo di coltivazione con la superficie totalmente irrigata (Grafico 2.4). Richiedono un consistente apporto idrico anche le colture ortive in piena aria e il mais da granella, che risultano irrigate per oltre il 70 per cento della superficie coltivata. Fruttiferi e agrumi sono stati irrigati su circa il 60 per cento dell’area coltivata. Di contro, prati perma-nenti e pascoli, cereali per la produzione di granella (a esclusione di riso e mais) e colture industriali sono i casi in cui l’incidenza dell’irrigazione sul totale coltivato è minore.

31,4%

23,6%

21,0%20,2%

13,2% 13,0%

11,2%

9,2%

4,9%

2,7% 2,6%1,9% 1,7% 1,5% 1,4% 1,0% 0,9% 0,8% 0,7% 0,7% 0,4% 0,2% 0,1% 0,0% 0,0% 0,0%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

Grafico 2.2 – Superficie irrigata nei paesi Ue 28. Anno 2016 o ultimo dato disponibile (valori percentuali sul totale della superficie agricola utilizzata)

Fonte: Elaborazione Istat su dati Eurostat*Il dato del Lussemburgo è riferito al 2007. Il dato della Bulgaria non è disponibile.

0,4%0,6%

4,1%4,8%

5,3%

8,9%

9,2%

9,4%

9,6%12,0%

17,3%

18,6%

Colture industriali

Altre coltivazioni legnose agrarie e arboricoltura da legno

Prati permanenti e pascoli

Olivo

Cereali per la produzione di granella (esclusI mais e riso)

Vite

Riso

Altri seminativi

Ortive in piena aria

Fruttiferi e agrumi

Erbai e altre foraggere avvicendate

Mais da granella

Grafico 2.3 – Superficie irrigata per tipologia di coltivazione. Annata agraria 2015-2016 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole

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64 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

La quantità di acqua utilizzata per l’irrigazione dipende da diversi fattori, quali il clima, le condizioni meteorologiche, il tipo di coltura, le caratteristiche del suolo, la qualità dell’ac-qua, le pratiche di coltivazione e le tecniche di irrigazione scelte.

A livello nazionale si stima che nell’annata agraria 2009-2010 sia stato utilizzato un volume totale di acqua di circa 11,6 miliardi di metri cubi per l’irrigazione di 2.489 migliaia

0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 12.000 14.000 16.000 18.000 20.000

Colza e ravizzone

Patata

Vite

Piante tessili

Ortive in piena aria

Legumi secchi

Barbabietola da zucchero

Prati permanenti e pascoli

Cereali per la produzione di granella (escluso mais e riso)

Altri seminativi

Vivai e altre coltivazioni legnose agrarie

Olivo per la produzione di olive da tavola e olio

Fruttiferi

Mais verde

Mais

Girasole

Altre foraggere avvicendate

Agrumi

Arboricoltura da legno annessa ad aziende agricole

Colture protette e orti familiari

Riso

Grafico 2.5 – Volumi irrigui utilizzati dalle aziende per tipologia di coltivazione. Annata agraria 2009-2010 (metri cubi per ettaro di superficie irrigata)

Fonte: Istat, Censimento dell’agricoltura

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Prati permanenti e pascoli

Cereali per la produzione di granella

Colture industriali

Olivo

Altre coltivazioni legnose e arboricoltura da legno

Erbai e altre foraggere avvicendate

Altri seminativi

Vite

Fruttiferi e agrumi

Mais da granella

Ortive in piena aria

Riso

Irrigata Non irrigata

Grafico 2.4 – Superficie coltivata per tipologia di coltivazione e presenza di irrigazione. Annata agraria 2015-2016 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole

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652. Altri usi dell’acqua

di ettari di terreno ricadenti in circa 708 mila aziende agricole. Il volume medio d’acqua usato per irrigare un ettaro di terreno è stato, quindi, pari a quasi 5.000 metri cubi, con evidente variabilità in base al tipo di coltivazione praticata. Il riso, che incide sul 10 per cento degli ettari irrigati, ha richiesto il maggiore volume di acqua per uso irriguo, pari a poco meno di 18 mila metri cubi di acqua per ettaro irrigato (Grafico 2.5).

A seguire, le colture protette e gli orti familiari, seppur poco incidenti sulla superficie irrigata (2,9 per cento), hanno richiesto 7,3 mila metri cubi per ettaro irrigato. Le colture meno idro-esigenti sono state la patata (1.328 metri cubi per ettaro), la colza e il ravizzone (984 metri cubi per ettaro) che, nel complesso, rappresentano appena l’1 per cento del totale irrigato.

2.1.2 Zootecnia

La zootecnia rappresenta un settore economico, trainante soprattutto in alcune aree del Paese, che, al pari di ogni altro settore, ha inevitabili impatti sull’ambiente, tra cui chiara-mente anche sull’impiego delle risorse idriche. Elemento essenziale per il benessere degli animali allevati, l’acqua rappresenta anche un fattore fondamentale per il conseguimento dei risultati aziendali, produttivi e riproduttivi, nonché economici.

Il volume di acqua utilizzata nella zootecnia è la risultante della somma dei volumi di “acqua di abbeverata” e di “acqua di servizio”, ovvero rispettivamente della risorsa idrica impiegata per soddisfare il fabbisogno idrico del bestiame e per il lavaggio delle strutture e attrezzature necessarie alla produzione.

La Direttiva 98/58/Ce riguardante la protezione degli animali negli allevamenti stabilisce che «tutti gli animali devono avere accesso ad un’appropriata quantità di acqua, di qualità adeguata, o devono poter soddisfare le loro esigenze di assorbimento di liquidi in altro modo e che le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono essere concepite, costruite e installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di contaminazio-ne degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze negative derivanti da rivalità tra gli animali».

I fabbisogni idrici e i relativi consumi risultano estremamente variabili tra le diverse specie animali. Le dimensioni fisiche dell’animale e la fase di crescita hanno altresì una forte influenza sull’assunzione quotidiana di acqua. Gli utilizzi di acqua possono essere influenzati anche da fattori ambientali e gestionali: tra questi, la temperatura dell’aria e l’u-midità relativa da una parte, la tecnica d’allevamento (se estensiva o intensiva), le modalità di stabulazione, le caratteristiche della fonte utilizzata per l’abbeveraggio, gli obiettivi di produzione (carne o latte per i bovini, carne o uova per gli avicoli, etc.) e il piano alimentare dall’altra. Il consumo di acqua nella dieta degli animali, dipende anche dalla composizione della razione e dal tipo di alimento, poiché il contenuto di umidità influisce sulla quantità di acqua richiesta dal bestiame.

Il volume complessivo di acqua utilizzata per il settore zootecnico, data l’assenza di in-formazioni puntuali, può essere stimato attraverso la conoscenza della consistenza numeri-ca totale del bestiame allevato a fini zootecnici e del coefficiente di conversione (cosiddetto moltiplicatore) del numero di capi in consumo idrico, per tipologia di specie, ponderato con i fattori sopra elencati.

Si stima che nel 2016 il volume di acqua utilizzata nell’allevamento animale è stato pari a 317,5 milioni di metri cubi. I bovini, sia per le loro caratteristiche fisiche che per la tipologia di allevamento associata, assorbono più dei due terzi del volume totale complessivamente utilizzato dalla zootecnia italiana (66,0 per cento), per un complessivo di 209,4 milioni di

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66 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

metri cubi di acqua. Ai suini è destinato il 17,7 per cento dei volumi idrici, per un totale di 56,1 milioni di metri cubi di acqua, in prevalenza destinati all’allevamento delle scrofe (Gra-fico 2.6). A seguire il gruppo dei bufalini, per i quali è stato impiegato un volume di 18,7 milioni di metri cubi di acqua, pari al 5,9 per cento del complessivo, degli avicoli (15 milioni di metri cubi, 4,8 per cento del totale) e degli ovini (12,5 milioni di metri cubi, 3,9 cento). Del tutto marginale il caso dei caprini, conigli e struzzi, per i quali è stato utilizzato, nel comples-so, poco più di un milione di metri cubi di acqua, appena lo 0,3 per cento del totale.

Rispetto al 2013, i volumi di acqua utilizzati dalla zootecnia nel 2016 sono aumentati del 5,4 per cento, sebbene il numero dei capi sia diminuito nel complesso del 3,3 per cento; ciò è dovuto all’incremento, nel triennio analizzato, delle specie di bestiame più idroesigen-ti, in particolare vacche da latte (+15,1 per cento) e bufale (+5,7 per cento).

A livello territoriale gli allevamenti del Nord Italia utilizzano poco meno del 70 per cento dei volumi idrici totali negli allevamenti, di concerto con la maggiore presenza in questi territori dell’attività zootecnica.

Lombardia e Veneto, da sole, totalizzano il 40 per cento degli usi idrici, rispettivamente il 28,0 e il 12,7 per cento del complessivo impiegato; in queste regioni si concentrano, anche, le quote più alte di capi di bestiame (18,3 e 36,9 per cento del totale nazionale). L’inversione nella graduatoria tra le due regioni, e nello specifico dei volumi idrici più alti negli allevamenti della Lombardia, è determinata dalla maggiore presenza, in quest’area, di bovini (Figura 2.1).

66,0%

17,7%

5,9%

3,9%4,8%1,4%

0,3%

Bovini Suini Bufalini Ovini Avicoli Equini Altre specie (caprini, conigli, struzzi)

Grafico 2.6 – Volumi di acqua utilizzati dalla zootecnia per tipologia di bestiame. Anno 2016 (composizione percentuale)

Fonte: Istat, Indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole

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672. Altri usi dell’acqua

2.2 Acqua per uso industriale

La disponibilità di informazioni su prelievo e uso di acqua nell’industria è piuttosto limitata in Italia. Ciò significa che, a differenza del civile, anche per questo settore, come visto precedentemente per l’agricoltura, esiste un alto grado di incertezza in relazione alla risorsa idrica utilizzata. Per superare questo gap informativo, che per anni non ha consenti-to di conoscere i volumi impiegati, l’Istat ha effettuato una stima per l’attività manifatturiera, presentata nelle pagine successive, partendo dai risultati della rilevazione annuale della produzione annuale (Prodcom).

2.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività manifatturiere

L’industria manifatturiera comprende vari settori industriali, come l’estrazione dei mi-nerali, la produzione di cellulosa e carta, il tessile, il cibo e le bevande e i settori chimici, che utilizzano l’acqua nella produzione.

Il volume di acqua complessivamente utilizzata come input produttivo dall’industria manifatturiera nazionale si stima ammonti a circa 3,79 miliardi di metri cubi nel 2015, con l’esclusione dell’acqua utilizzata per i servizi igienici e il consumo umano all’interno degli stabilimenti produttivi.

Bovini

Bufalini

Suini

Ovini

Equini

Avicoli

Altre specie

Classi di utilizzo = 3,8

3,9 | - | 8,8

8,9 | - | 21,4

21,5 | - | 40,3

= 40,4

Fonte: Istat, Indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole

Figura 2.1 – Volumi di acqua utilizzati dalla zootecnia per regione, classe di utilizzo e tipologia di bestiame. Anno 2016 (milioni di metri cubi)

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68 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

L’acqua è utilizzata dalle industrie manifatturiere con diverse finalità: per la pulizia, il riscaldamento e raffreddamento; per generare vapore; per trasportare particolati o altre sostanze; come materia prima; come solvente; come parte costituente del prodotto stesso (ad esempio nell’industria delle bevande).

Il metodo di stima nazionale si basa sulle unità fisiche di prodotto, distinte per tipologia all’interno di ciascun settore manifatturiero. La disaggregazione della stima evidenzia i set-tori che hanno utilizzato complessivamente una maggiore quantità di acqua per svolgere le attività di produzione4 (Tavola 2.1).

Tre settori manifatturieri esercitano una elevata domanda di acqua, utilizzando da soli più del 40 per cento del volume totale nazionale. Il primo di questi è il settore ‘Coke, prodot-ti petroliferi raffinati e prodotti chimici’ seguito da ‘Prodotti in metallo esclusi macchinari’ e ‘Gomma e materie plastiche’. Un altro gruppo di settori si posiziona in un range medio-alto nell’utilizzo di acqua come input dei processi produttivi dell’industria manifatturiera, con una domanda che, per ciascuno, oscilla fra il 5 per cento e il 9 per cento del totale nazionale: fra questi i più idroesigenti sono il ‘Tessile’ e ‘Alimentari’.

L’indicatore Intensità d’uso dell’acqua (Water Use Intensity Indicator, WUI) fornisce una misura del volume di acqua necessario per generare un’unità di valore della produzione per settore manifatturiero e rappresenta un fattore di pressione ambientale, poiché descrive l’azione impattante di un sistema economico sulle risorse idriche. Calcolato come rapporto fra la quantità d’acqua utilizzata in metri cubi e il valore della produzione venduta nell’anno in euro, l’indicatore rivela che nel nostro Paese, nel 2015, sono stati necessari in media 5,9 litri di acqua per ciascun euro di produzione realizzata (Grafico 2.7).

L’indicatore consente di confrontare la domanda di acqua dei diversi settori per unità di valore prodotta e di individuare così i settori più idro-esigenti. Il settore ‘Estrazione di minerali’ presenta la più elevata intensità d’uso dell’acqua con 21,7 litri utilizzati per euro di produzione venduta, seguito da ‘Tessile’ (20,9 litri per euro) e ‘Coke e prodotti petroliferi raffinati e prodotti chimici’ (17,5 litri per euro). Settori quali ‘Carta e prodotti di carta’, ‘Altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi’, ‘Gomma e materie plastiche’, ‘Prodotti farmaceutici di base e preparazioni farmaceutiche’ presentano un valore che oscilla fra 10 e 14 litri per euro di produzione venduta. Tra i settori con la minore intensità d’uso dell’acqua, ricordiamo i settori ‘‘Mobili’, ‘Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi’, ‘Riparazione e instal-lazione di macchine e apparecchiature’, ‘Stampa e riproduzione di supporti registrati’ con valori inferiori a 1 litro per euro.

4 Classificazione europea NACE Rev. 2

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692. Altri usi dell’acqua

Tavola 2.1 – Acqua utilizzata e produzione venduta per settore manifatturiero. Anno 2015 (acqua utilizzata in migliaia di metri cubi e valori percentuali, produzione venduta in migliaia di euro)

SETTORIAcqua utilizzata

Produzione venduta metri cubi %

7 - 8 Estrazione di minerali 48.624 1,3 2.241.636

10 Alimentari 288.574 7,6 88.757.897

11 – 12 Bevande e prodotti del tabacco 97.647 2,6 14.494.848

13 Tessile 335.433 8,8 16.053.866

14 Abbigliamento 31.367 0,8 9.539.178

15 Prodotti in pelle 37.085 1,0 18.723.501

16 Prodotti in legno e sughero (esclusi mobili) 57.113 1,5 9.766.663

17 Carta e prodotti di carta 213.780 5,6 21.271.206

18 Stampa e riproduzione di supporti registrati 806 0,0 8.167.150

19 – 20 Coke, prodotti petroliferi raffinati e prodotti chimici 659.083 17,4 37.675.999

21 Prodotti farmaceutici di base e preparazioni farmaceutiche 179.499 4,7 12.728.010

22 Gomma e materie plastiche 418.245 11,0 33.794.214

23 Altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 257.873 6,8 23.104.091

24 Siderurgia e metalli di base 133.649 3,5 51.313.356

25 Prodotti in metallo (esclusi macchinari) 516.103 13,6 69.952.773

26 Computer e prodotti di elettronica e ottica 25.168 0,7 10.274.727

27 Apparecchiature elettriche 98.642 2,6 24.822.535

28 Macchinari e apparecchiature n.c.a. 199.088 5,3 78.057.193

29 Autoveicoli, rimorchi e semi-rimorchi 20.799 0,5 39.714.928

30 Altri mezzi di trasporto 68.308 1,8 22.438.583

31 Mobili 9.708 0,3 17.663.486

32 Altre industrie manifatturiere 84.634 2,2 12.605.395

33 Riparazione e installazione di macchine e apparecchiature 9.791 0,3 19.271.821

TOTALE 3.791.019 100,0 642.433.056

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche

Page 70: Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia...4 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia Pag. 2.2 Acqua per uso industriale 67 2.2.1 L’uso dell’acqua nelle attività

70 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Per quanto riguarda l’approvvigionamento dell’acqua utilizzata nei processi produttivi, le imprese con meno di cinque addetti utilizzano nella maggior parte dei casi acqua della rete pubblica per uso civile con un uso stimato di circa 195 mila metri cubi, mentre le im-prese medie e grandi si servono di specifici sistemi di auto approvvigionamento o utilizzano acqua che proviene da infrastrutture a servizio di nuclei e aree industriali.

2.3 Dissalazione delle acque marine

Tenendo in considerazione che il 97 per cento delle acque mondiali sono salate e con-centrate negli oceani e nei mari, il ricorso all’acqua di mare attraverso un processo di dis-salazione rappresenta pertanto uno dei provvedimenti oggetto di analisi per arginare i gravi disagi dovuti alle sempre più ricorrenti crisi idriche.

La dissalazione consiste nell’utilizzo di processi finalizzati a ridurre la quantità di sali disciolti nell’acqua di mare.

La dissalazione viene impiegata sia a scopo idropotabile sia in campo industriale nei processi di produzione e di raffreddamento.

Nel 2012 risultano in esercizio, in Italia, 31 impianti che producono e/o utilizzano acqua dissalata, la cui gestione è affidata a 13 gestori5. Questi impianti sono prevalente-mente ubicati sulle isole principali, lungo la costa tirrenica centro-settentrionale e sulla costa adriatica della Puglia (Figura 2.2).5 Nell’ambito dei progetti Istat “Uso delle risorse idriche” e “Censimento delle acque per uso civile” presenti nel

Programma Statistico Nazionale, si definisce la situazione degli impianti di dissalazione presenti sul territorio ita-liano, acquisendo informazioni sugli aspetti infrastrutturali e ambientali.

0 5 10 15 20 25

Stampa e riproduzione di supporti registratiRiparazione e installazione di macchine e apparecchiature

Autoveicoli, rimorchi e semi-rimorchiMobili

Prodotti in pelleComputer e prodotti di elettronica e ottica

Macchinari e apparecchiature n.c.a.Siderurgia e metalli di base

Altri mezzi di trasportoAlimentari

AbbigliamentoApparecchiature elettriche

Prodotti in legno e sughero (esclusi mobili)MEDIA NAZIONALE

Altre industrie manifatturiereBevande e prodotti del tabacco

Prodotti in metallo (esclusi macchinari)Carta e prodotti di carta

Altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferiGomma e materie plastiche

Prodotti farmaceutici di base e preparazioni farmaceuticheCoke, prodotti petroliferi raffinati e prodotti chimici

TessileEstrazione di minerali

Grafico 2.7 – Intensità d’uso dell’acqua per settore manifatturiero. Anno 2015 (litri per euro)

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche

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712. Altri usi dell’acqua

Il 71 per cento di questi impianti produce acqua dissalata che viene utilizzata principal-mente all’interno di processi produttivi; soltanto il rimanente 29 per cento degli impianti è finalizzato all’uso potabile.

Gli impianti per la produzione di acqua a scopo potabile sono situati per lo più sulle isole minori (Isola del Giglio, Isola di Capraia, Lampedusa, Pantelleria, Linosa, Ustica).

In generale, nel 2012, si è registrata una prevalenza di impianti che utilizzano il pro-cesso a osmosi inversa (RO) o il multi effect distillation (MED). Si osserva, inoltre, che gli impianti con processo RO sono maggiormente utilizzati per la produzione di acqua a scopo potabile; mentre a scopo industriale si preferisce il processo MED.

•• • •

• Impianto di dissalazione (per (per ( uso potabile} potabile} potabile

+ Centrale termoelettrica

+ Centrale termoelettrica a carbone

Centrale solare termodinamica

I: Raffineria

Figura 2.2 – Ubicazione e tipologia di processo degli impianti di dissalazione censiti. Anno 2012

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche, Censimento delle acque per uso civile

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72 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Il prelievo annuo di acque marine dagli impianti esaminati ammonta complessivamente a 88,7 milioni di metri cubi (Tavola 2.2). La percentuale di prelievo più alta si è registrata negli impianti situati in Sicilia, con il 42,0 per cento del totale (37,2 milioni di metri cubi); a seguire, gli altri contributi regionali sono nell’ordine: Puglia (29,4 per cento), Sardegna (21,2 per cento), Lazio (4,4 per cento), Toscana e Liguria (1,2 per cento), Calabria (0,6 per cento).

Per l’uso idropotabile sono stati prelevati da questi impianti circa 7,9 milioni di metri cubi di acque marine, pari a circa l’8,9 per cento del prelievo totale. Il volume restante, circa 81 milioni di metri cubi, è stato destinato nell’ambito dei processi di produzione di energia termoelettrica e nell’industria petrolchimica.

Tavola 2.2 – Impianti, prelievo di acque marine e produzione di acqua dissalata per regione e tipologia di impianto di dissalazione. Anno 2012 (Prelievo e produzione in migliaia di metri cubi)

REGIONI Tipologia impianti Impianti Prelievo Produzione

Liguria 2 1.054 437

centrali termoelettriche 1 1.028 428

impianti petrolchimici - - -

impianti idropotabili 1 27 9

Toscana 3 1.094 384

centrali termoelettriche - - -

impianti petrolchimici - - -

impianti idropotabili 3 1.094 384

Lazio 4 3.928 592

centrali termoelettriche 4 3.928 592

impianti petrolchimici - - -

impianti idropotabili - - -

Puglia 7 26.118 6.011

centrali termoelettriche 1 3.276 1.641

impianti petrolchimici 6 22.842 4.370

impianti idropotabili - - -

Calabria 1 494 84

centrali termoelettriche 1 494 84

impianti petrolchimici - - -

impianti idropotabili - - -

Sicilia 9 37.219 8.003

centrali termoelettriche 3 10.740 1.852

impianti petrolchimici 1 19.680 2.751

impianti idropotabili 5 6.799 3.400

Sardegna 5 18.809 2.321

centrali termoelettriche 4 4.747 546

impianti petrolchimici 1 14.062 1.775

impianti idropotabili - - -

ITALIA 31 88.716 17.832

centrali termoelettriche 14 24.213 5.143

impianti petrolchimici 8 56.584 8.896

impianti idropotabili 9 7.920 3.793

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche, Censimento delle acque per uso civile

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732. Altri usi dell’acqua

A livello regionale il prelievo di acque marine per uso potabile avviene per l’85,8 per cento in Sicilia (6,8 milioni di metri cubi), per il 13,8 per cento in Toscana (1,1 milioni di metri cubi) e per il rimanente 0,3 per cento in Liguria (27 mila metri cubi). A scala nazionale le acque marine rappresentano in termini di volume circa lo 0,1 per cento del totale prele-vato per uso idropotabile.

La produzione media annua di acqua dissalata, comprensiva sia dell’aliquota per uso industriale che di quella per uso potabile, ammonta a circa 17,8 milioni di metri cubi.

Il rapporto tra il volume di acqua prelevata e prodotta (dissalata) da un impianto dipen-de dai processi utilizzati, a loro volta strettamente legati alla destinazione d’uso dell’acqua.

Per fini industriali si rende necessario un maggiore prelievo, conseguenza della natura dei processi di dissalazione impiegati all’interno delle centrali termoelettriche o delle raffi-nerie, essenzialmente di tipo evaporativo (MED o MSF - Sistemi per la micro filtrazione). Il passaggio di stato a cui è sottoposta l’acqua di mare in questi tipi di processi richiede un maggior volume di acqua salata prelevata per produrre un metro cubo di acqua dissalata.

Il volume di acqua di mare prelevata a scopo potabile risulta, in proporzione al volume prodotto, minore rispetto a quella prelevata a scopo industriale; ciò dipende dai processi di dissalazione adottati. Infatti, negli impianti a osmosi inversa (RO), l’acqua è semplicemente soggetta a migrare attraverso membrane semipermeabili evitando ogni tipo di passaggio di stato; ne consegue che il volume di acqua in alimento all’unità di dissalazione, per produrre un metro cubo di acqua dissalata, è nettamente inferiore rispetto agli impianti evaporativi.

Sulla base dei valori forniti dai gestori degli impianti in esame è stato possibile calcola-re il GOR o rendimento del processo di dissalazione, tramite la seguente formula:

GOR=Vp/Vd

dove Vp è il volume di acqua prelevata e Vd è il volume di acqua dissalata.Gli impianti a osmosi inversa sono caratterizzati da un GOR variabile da 2,5 a 4 e

possono raggiungere un recupero di acqua elevato (fino al 45 per cento). Il recupero di acqua perseguibile dagli impianti di distillazione è più basso, rispetto agli impianti a osmosi inversa, e quindi hanno un GOR variabile da 6 a 12; generalmente in grandi impianti il ren-dimento è pari a 9 o 10.

Nella Tavola 2.3 sono rappresentati, per alcuni impianti esaminati, i corrispondenti ren-dimenti GOR.

Tavola 2.3 – Indice di rendimento GOR per i principali impianti di dissalazione e regione - Anno 2012

REGIONI TIPO DI IMPIANTO GOR

LiguriaCentrale termoelettrica 2,4Impianto di dissalazione idropotabile 2,9

Toscana Impianto di dissalazione idropotabile 2,6 - 3,0

Lazio Centrale termoelettrica 3,0 - 9,0

Calabria Centrale termoelettrica 5,9

PugliaRaffineria 1,9 - 9,6Centrale termoelettrica 2,0

SiciliaImpianto di dissalazione idropotabile 1,0 - 3,0

Raffineria 7,2Centrale termoelettrica 3,8 - 10,7

SardegnaCentrale termoelettrica 7,8 - 11,6

Raffineria 7,9

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche, Censimento delle acque per uso civile

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74 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

2.4 Acqua nella produzione di energia elettrica

L’energia termoelettrica rappresenta ancora la maggior fonte di energia elettrica nel no-stro Paese, benché in decrescita dal 2007. Questo costante calo della produzione è in parte compensato dall’accrescimento nella produzione idroelettrica da fonte eolica-fotovoltaica e geotermica.

Nella generazione di tale energia è necessario utilizzare importanti risorse idriche il cui prelievo e consumo è funzione dell’energia elettrica prodotta.

La produzione netta di energia termoelettrica in Italia nel 2012 è stata complessiva-mente di 207.327 gigawattora (GWh) prodotti da 2.725 impianti in esercizio. La distribu-zione territoriale degli impianti termoelettrici è influenzata dalla presenza della risorsa idrica disponibile. Di conseguenza la maggior parte dei grandi impianti si trova lungo la costa dell’Italia meridionale e nelle vicinanze dei grandi corsi d’acqua dell’Italia settentrionale.

L’acqua viene utilizzata, sia nel processo produttivo delle centrali termoelettriche, sia esclusivamente per il raffreddamento degli impianti di produzione. Nel primo caso, i volumi di acqua sono utilizzati per produrre energia elettrica, calore, acqua demineralizzata, ma anche per il lavaggio degli impianti di produzione. Oltre all’energia elettrica, gli impianti, in-fatti, producono calore, ceduto agli stabilimenti produttivi vicini alle centrali sotto forma di vapore, oppure, in alcuni casi, utilizzato per riscaldare l’acqua delle reti di teleriscaldamento delle città. La stima dei volumi non comprende l’utilizzo di acqua di origine meteorica e l’acqua potabile per i servizi igienici e altri usi civili all’interno degli impianti.

Il 90 per cento della produzione proviene da 138 impianti, di cui 57 localizzati in comuni costieri; tra questi Brindisi, Priolo, Sarroch e Porto Marghera, dove sono presenti i grandi poli petrolchimici.

La maggior parte della produzione è concentrata in Puglia: nei 55 impianti presenti è stato prodotto il 14,9 per cento della produzione annua totale, pari a 30.951 gigawattora. La seconda regione per produzione netta di energia termoelettrica è la Lombardia, i cui 669 impianti hanno generato 30.670 gigawattora, il 14,8 per cento della produzione termoelet-trica totale. La produzione più bassa si riscontra, invece, in Valle d’Aosta che nei suoi sette impianti termoelettrici ha prodotto 9,5 gigawattora. Bassi livelli si riscontrano anche in Basilicata (868 gigawattora, 0,4 per cento del totale Italia) e nel Trentino-Alto Adige (1.064 gigawattora, 0,5 per cento del totale) (Grafico 2.8).

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752. Altri usi dell’acqua

I volumi di acqua utilizzati nel processo di produzione di energia elettrica e nel raffred-damento degli impianti sono stimati, nel 2012, pari a 18,5 miliardi di metri cubi, di cui solo 119,6 milioni di metri cubi (0,6 per cento) destinati ai processi produttivi. Dal mare proven-gono 16,3 miliardi di metri cubi di acqua (88,1 per cento del totale), mentre le acque interne complessivamente utilizzate si stimano in 2,2 miliardi di metri cubi e derivano, oltre che da corsi di acqua, canali e pozzi, anche da acquedotti industriali, da altri processi produttivi degli stabilimenti vicini e dagli impianti di depurazione delle acque reflue (Tavola 2.4).

Nel complesso il volume di acque interne effettivamente prelevato dai corpi idrici su-perficiali e sotterranei è di 1,6 miliardi di metri cubi, di cui la quota effettivamente utilizzata è di 1,4 miliardi.

Negli impianti del Mezzogiorno si utilizza la metà del volume complessivo di acqua (9,4 miliardi di metri cubi), nel Nord il 27,9 per cento (5,2 miliardi di metri cubi) e il restante 21,2 per cento nel Centro (3,9 miliardi di metri cubi).

Tavola 2.4 – Stima dei volumi di acqua consumati nel processo di produzione di energia elettrica e nel raffreddamento degli impianti termoelettrici per ripartizione geografica e tipologia di corpo idrico. Anno 2012 (migliaia di metri cubi)

RIPARTIZIONITERRITORIALI

PROCESSO RAFFREDDAMENTOTOTALE

Acque interne Mare Totale Acque interne Mare Totale

Nord 37.518 811 38.329 1.724.473 3.401.225 5.125.699 5.164.028

Centro 8.107 6.212 14.318 82.704 3.834.000 3.916.704 3.931.023

Mezzogiorno 29.752 37.281 67.033 314.826 9.033.544 9.348.370 9.415.402

ITALIA 75.377 44.303 119.680 2.122.003 16.268.770 18.390.773 18.510.453

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche

9

868

1.064

1.190

1.608

2.512

2.631

7.524

7.656

7.689

9.505

9.918

10.193

11.012

16.570

17.922

18.378

19.459

30.670

30.951

- 10.000 20.000 30.000

Valle d'Aosta

Basilicata

Trentino-Alto Adige/Südtirol

Umbria

Molise

Abruzzo

Marche

Campania

Calabria

Friuli-Venezia Giulia

Toscana

Liguria

Veneto

Sardegna

Piemonte

Lazio

Sicilia

Emilia-Romagna

Lombardia

Puglia

Fonte: Istat, elaborazioni Istat su dati Terna

Grafico 2.8 – Quantità di energia termoelettrica prodotta per regione. Anno 2012 (valori in gigawattora)

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76 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Le centrali termoelettriche del Nord, rispetto alle altre ripartizioni, utilizzano il maggior volume di acqua dolce interna, pari al 97,9 per cento del totale di processo, mentre per il raf-freddamento il 66,4 per cento è costituito da acqua di mare e il restante 33,6 per cento da ac-que interne prelevate dai grandi corsi di acqua, principalmente dal bacino del fiume Po. Solo nel Mezzogiorno l’acqua di mare consumata dalle centrali nelle fasi di processo è superiore al volume delle acque interne (55,6 per cento contro il 44,4 per cento delle acque interne).

Per il processo di raffreddamento, invece, l’acqua impiegata è prevalentemente di ori-gine marina tanto che le acque interne delle regioni dell’Italia centrale e meridionale costi-tuiscono meno del 3 per cento del complessivo utilizzato (Grafico 2.9).

Il maggior ricorso all’acqua dolce delle centrali presenti in Italia settentrionale è dovuto alla grande disponibilità di acque interne, così come il minor ricorso all’acqua di mare ai soli fini del processo produttivo all’incidenza dei costi di dissalazione che gli impianti devono sostenere. Per gli impianti dell’Italia centrale e meridionale tali elevati costi sono in gran parte compensati dalla loro vicinanza al mare, che ne favorisce, quindi, il maggiore utilizzo.

98%

34%

57%

2%

44%

3%2%

66%

43%

98%

56%

97%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Processo Raffreddamento Processo Raffreddamento Processo Raffreddamento

Nord Centro Mezzogiorno

Acque interne Mare

Fonte: Istat, Uso delle risorse idriche

Grafico 2.9 – Volumi di acqua utilizzati nel processo di produzione di energia elettrica e nel raffreddamento degli impianti termoelettrici per tipologia di corpo idrico. Anno 2012 (valori percentuali sul volume totale utilizzato)

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77

3. ACQUA, ECONOMIA E INDICATORI DI SVILUPPO SOSTENIBILE 1

3.1 Modelli per la valutazione economica

La Direttiva Comunitaria 2000/60 prevede che la redazione del Piano di Gestione delle Acque, ovvero il masterplan che pianifica la governance della risorsa idrica, redatto dalle Autorità di bacino distrettuali, venga supportata da un’analisi economica che permetta di verificare la sostenibilità dal punto di vista sociale ed economico-finanziario delle scelte effettuate (e delle misure pianificate) per il conseguimento degli obiettivi ambientali.

La Direttiva Quadro Acque (DQA) è, infatti, il primo strumento di policy ambientale che esplicitamente integra principi economici (“chi usa/inquina paga”), metodologie (analisi costo-efficacia) e strumenti economici (canoni e tasse ambientali per la copertura dei rela-tivi costi) in una parte della legislazione europea sulla risorsa idrica. Questo si basa sul pre-supposto che i principi e i tools economici sono strumenti molto importanti per la gestione della risorsa idrica e per il contrasto delle pressioni che causano il mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità nei corpi idrici europei.

Le analisi di tipo economico diventano pertanto uno strumento di supporto al processo decisionale, sostanziandosi in un vero e proprio accompagnamento alla redazione del Pia-no di Gestione nella sua prospettiva strategica e operativa, fornendo elementi di valutazione in tutte le diverse fasi in cui lo stesso si articola.

L’analisi economica dovrebbe pertanto supportare il processo di pianificazione al fine di:• aggiornare lo stato ambientale e il gap

residuo dei corpi idrici rispetto agli obiettivi di qualità;

• descrivere le caratteristiche socio-eco-nomiche dei principali utilizzatori (pota-bile, agricolo, industriale);

• quantificare e comparare le pressioni e gli impatti complessivi da parte degli utilizzatori che li hanno generati (chi usa e chi inquina);

• supportare l’individuazione delle misure più efficaci e sostenibili;• determinare i costi finanziari, ambientali e della risorsa;• dimostrare l’applicazione della “politica dei prezzi”, anche al fine di valutarne la ca-

pacità di incentivare l’uso efficiente della risorsa;• valutare il grado di copertura dei costi e di internalizzazione;• analizzare il contributo alla copertura dei costi da parte dei diversi utilizzi e valutarne

l’adeguatezza rispetto agli impatti sulla risorsa causati dagli stessi (chi inquina paga?);• supportare l’eventuale ricorso alle esenzioni rispetto al raggiungimento dell’obietti-

vo ambientali per i costi sproporzionati.

1 Il capitolo è stato curato da Jacopo Armini (Collaboratore esterno) (par. 3.1), Giovanna Tagliacozzo (par. 3.2). Predisposizione figure, grafici, testo e tavole dati a cura di Tiziana Baldoni e Simona Ramberti.

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78 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Nel corso dei primi due cicli di pianificazione, l’applicazione dell’analisi economica e la definizione di queste valutazioni da parte delle autorità distrettuali, ha riscontrato signi-ficative difficoltà (stigmatizzate anche dalla Commissione), per diverse ragioni. L’assenza di una metodologia unica e consolidata a livello nazionale, non ha consentito, infatti, di ottenere un quadro di riferimento che consentisse di guidare le diverse esperienze e di assicurarne un’applicazione omogenea.

L’applicazione pratica dell’analisi economica a livello di distretto ha, inoltre, scontato alcuni limiti oggettivi dovuti alla carenza di adeguate fonti informative, rendendo estre-mamente difficoltoso il processo di reperimento di dati ed è molto complesso (oltre che oneroso) il lavoro di elaborazione, analisi e confronto.

L’analisi economica, di fatto, occupandosi in maniera integrata di tutti gli aspetti di sostenibilità del piano, necessita di avere dati e informazioni su tutte le dimensioni in cui lo stesso si articola, con riferimento sia ai dati ambientali, alle informazioni economiche e a

quelle sociali, sia a ciascun settore di impiego della risorsa.L’individuazione delle fonti, l’acquisizione e l’utilizzo dei dati hanno riscontrato diversi limiti:• limiti di scala territoriale e ammini-

strativa: mentre i principali dati am-bientali raccolti ai sensi della DQA sono raccolti alla scala del corpo idrico, le principali grandezze che riguardano le dimensioni d’impie-go della risorsa sono organizzate a una scala territoriale più ampia e differente per ciascuna tipologia d’impiego; si pensi ad esempio all’articolazione del servizio idrico integrato in ambiti territoriali (ATO) oppure all’organizzazione dei comprensori e dei consorzi per i servizi di irrigazione collettiva. Tali ambiti spesso non coincidono con le articolazioni amministrative istituzionali (comuni, province e regioni) e anche per le regioni il cui territorio è spesso ricompreso in più di un distretto idrografico;

• limiti temporali: le varie fonti informative hanno come riferimento differenti periodi temporali (anni di raccolta e frequenze di aggiornamento) e pertanto sono difficil-mente comparabili;

• limiti gestionali: per ogni utilizzo non esiste un’autorità di regolazione che orga-nizza una raccolta dati strutturata, anche dove questa sia presente (come nel caso dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ARERA), la frammentazio-ne e le diverse tipologie gestionali non assicurano una copertura completa;

• limiti culturali: l’accessibilità e la condivisione di dati sull’utilizzo di risorsa tra i diversi utilizzatori e anche tra le diverse amministrazioni titolari dei dati non è mai scontata, soprattutto se coinvolge anche aspetti e valutazioni di tipo economico, come è chiamata a fare l’analisi a supporto della DQA. Nonostante l’impianto nor-mativo riconosca la rilevanza pubblica di determinate informazioni, indispensabili alla efficace pianificazione e governance della risorsa idrica, non è infrequente im-battersi in resistenze e difficoltà.

Risolvere queste criticità strutturali e di sistema richiede la predisposizione di risposte su livelli diversi con una prospettiva di lavoro di medio periodo. Per tale ragione il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito un gruppo di lavoro finalizzato agli aspetti informativi connessi all’implementazione dell’analisi economica, coinvolgendo

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793. Acqua, economia e indicatori di sviluppo sostenibile

l’Istat, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, il Consiglio per la ricerca in agri-coltura e l’analisi dell’economia agraria, il Ministero delle politiche agricole alimentari e fo-restali, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e naturalmente le Autorità di Distretto.

Obiettivo del gruppo di lavoro è quello di costruire le condizioni affinché le Autorità di Distretto possano, per il ciclo di pianificazione, disporre della quantità di dati maggiore possibile, già organizzati per le finalità di implementazione dell’analisi economica.

Parallelamente lo stesso Ministero sta predisponendo idonei protocolli d’intesa con i soggetti partecipanti al tavolo, al fine di regolamentare i processi di acquisizione, condivi-sione e aggiornamento dei dati.

Adeguate informazioni di carattere ambientale e socio-economico risultano, infatti, es-senziali alla definizione di uno degli aspetti principali della DQA, ovvero la rappresentazione dei settori che impiegano la risorsa articolati per servizi idrici e usi idrici, così come previsto dal DM 25 Febbraio 2015 n.39.

Sono “Utilizzi” idrici tutte le attività che impiegano la risorsa e/o impattano lo stato della acque e che potrebbero impe-dire il raggiungimento degli obiettivi am-bientali.

I “Servizi idrici” sono tutte le attività (pubbliche e private) di prelievo, conteni-mento, stoccaggio, trattamento e distri-buzione delle acque sotterranee e superfi-ciali, di gestione delle acque meteoriche, di trattamento delle acque reflue.

Sono invece “Usi idrici” tutti quelli indicati dall’art.6 del RD 11 dicembre 1933 n.1775 soggetti al regime della concessione (autoapprovvigionamento) e gli usi soggetti ad auto-rizzazione, permesso o altro atto o dispositivo costituente diritti.

Si tratta di definizioni basilari per identificare gli utilizzi e i servizi e usi che li caratteriz-zano ai fini delle valutazioni che l’analisi economica può fare a supporto del processo di pianificazione distrettuale.

Pertanto, per ciascun utilizzo “signi-ficativo”, si dovrà disporre delle pertinen-ti informazioni al fine di analizzare ogni aspetto rilevante nelle singole fasi in cui è articolata l’analisi economica.

Per ciascun utilizzo andranno descritte le caratteristiche socio-economiche del ter-ritorio, la quantificazione dell’impatto gene-rato dall’utilizzatore ai fini della valutazione di “chi usa” e “chi inquina”, l’identificazione delle misure e la stima dei costi ambienta-li associati all’utilizzo, le modalità di inter-nalizzazione dei costi e la dimostrazione dell’applicazione del prezzo incentivante.

Per la corretta implementazione degli aspetti economici della DQA risulta necessa-rio, pertanto, ottenere informazioni sulle fonti puntuali o diffuse che generano pressioni a carico dei corpi idrici, conoscere le quantità di risorsa prelevata e i relativi consumi, le quantità e le condizioni di scarico della stessa in ambiente dopo l’utilizzo (dati ambientali),

Utilizzi

Servizi Idrici Usi idrici

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80 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

i principali valori di costi finanziari di ogni servizio idrico, i costi degli investimenti ricon-ducibili ai costi ambientali, il valore della risorsa pagato dall’utilizzatore, i valori dei prezzi della risorsa acquistata all’ingrosso, le stime di costo delle misure necessarie a conseguire il raggiungimento degli obiettivi ambientali, gli introiti delle tariffe ambientali (dati economi-ci), le caratteristiche socio-economiche degli operatori economici che utilizzano la risorsa, gli andamenti della domanda, i benefici che si generano dall’utilizzo dell’acqua (dati sociali).

3.2 Il tema dell’acqua nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta il 25 Set-tembre del 2015 da 193 paesi, tra cui l’Italia, rappresenta un piano di azione globale per le persone (people), il pianeta (planet), la prosperità (prosperity), per assicurare la pace (peace) e porre fine alla povertà (partnership). L’Agenda si pone degli obiettivi ambiziosi, promuovendo la necessità di sostenere la pace universale, la libertà, di sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni, conseguendo una trasformazione sostenibile della so-cietà, dell’economia e dell’ambiente, da qui al 2030.

L’Agenda 2030 si fonda su 17 obiettivi (Sustainable Development Goals - SDGs) integrati e indivisibili che si imperniano sul bilanciamento delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economico, sociale e ambientale.

Gli obiettivi si riferiscono a diversi temi, quali ad esempio la povertà, il lavoro, l’i-struzione, la salute, l’accesso all’acqua e all’energia e ogni obiettivo è declinato in target. Nel complesso, i 17 Goals sono declinati in 169 target.

Al tema dell’acqua, alla sua disponibilità e gestione sostenibile, al tema dell’accesso all’acqua sicura, alla conservazione dei mari e degli oceani, sono dedicati in particolare due Goals:

• Goal 6 - Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie;

• Goal 14 - Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.

La natura integrata e indivisibile dei Goals fa sì che il tema dell’acqua sia comunque correlato, anche se in modo indiretto, ad altri Goals, quali ad esempio:

• Goal 2 - Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nu-trizione e promuovere un’agricoltura sostenibile;

• Goal 7 - Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, soste-nibili e moderni;

• Goal 13 - Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze.

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813. Acqua, economia e indicatori di sviluppo sostenibile

Per il monitoraggio dei 17 obiettivi2 la Commissione Statistica delle Nazioni Unite ha individuato un sistema di più di duecento indicatori. La lista di indicatori rivista e revisionata è stata approvata alla 48ma sessione della Commissione Statistica (Marzo 2017) e adottata dall’Assemblea Generale ONU (Luglio 2017).

Il sistema di indicatori è molto complesso ed è articolato su tre livelli. Al primo livello (Tier 1) appartengono gli indicatori consolidati e disponibili per la gran parte dei paesi; al secondo livello (Tier 2) gli indicatori con metodologia condivisa a livello inter-nazionale, ma che non vengono correntemente prodotti dalla gran parte dei paesi, al terzo livello (Tier 3) gli indicatori non ancora esattamente definiti a livello internazionale.

Gli istituti nazionali di statistica, nell’ambito del Sistema Statistico Nazionale, sono chiamati al coordinamento, all’implementazione e alla diffusione degli indicatori per predi-sporre l’informazione statistica necessaria al monitoraggio dei target e degli obiettivi.

L’Istat ha iniziato un processo di graduale diffusione e divulgazione degli indicatori, sul sito istituzionale3, a partire da dicembre 2016. Nel caso di indisponibilità di un indicatore identico a quello definito nel sistema SDG, è subentrato un indicatore parziale o proxy op-pure un indicatore di contesto nazionale utile a rappresentare un fenomeno rilevante per il caso italiano.

Gli aggiornamenti successivi hanno avuto una cadenza semestrale (maggio 2017, di-cembre 2017, luglio 2018, dicembre 2018 e aprile 2019) e si sono man mano arricchiti di ulteriori indicatori e disaggregazioni. Ad aprile 2019, insieme al nuovo rilascio di indicato-ri, è stato anche pubblicato il report: “Rapporto SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia. Prime analisi” che fornisce una lettura dei principali indicatori per ogni Goal, individuando i trend degli indicatori, mettendo in rilievo le principali differenze regionali (anche tra province in alcuni casi) e socio-economiche ed effettuando delle analisi di comparabilità internazionale.

3.2.1 Il Goal 6

Il Goal 6 ha come obiettivo quello di garantire a tutti la disponibilità e la gestione soste-nibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

Accessibilità e sicurezza dell’acqua rappresentano un presupposto imprescindibile per la sopravvivenza e per la salute della popolazione e degli ecosistemi. La gestione efficien-te dell’intero ciclo dell’acqua è fondamentale per garantire la tutela e conservazione della risorsa. Gli impatti dei cambiamenti climatici acuiscono le criticità legate alla disponibilità d’acqua sul territorio in tutti i periodi dell’anno e per le generazioni presenti e future.

Il Goal 6 è composto da otto target, di cui gli ultimi due riferiti agli strumenti di attuazione.

2 https://www.un.org/sustainabledevelopment/sustainable-development-goals/3 https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilità/obiettivi-di-sviluppo-sostenibile/gli-indicatori-istat

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82 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

I target del Goal 6:

6.1 Entro il 2030, conseguire l’accesso universale ed equo all’acqua potabile sicura e alla portata di tutti;

6.2 Entro il 2030, raggiungere un adeguato ed equo accesso ai servizi igienico-sanitari e un adeguato livello di igiene per tutti, con particolare attenzione ai bisogni delle donne e delle ragazze e di coloro che si trovano in situazioni vulnerabili;

6.3 Entro il 2030, migliorare la qualità dell’acqua riducendo l’inquinamento, eliminando le pratiche di scarico non controllato e riducendo al minimo il rilascio di sostanze chimiche e materiali pericolosi. Dimezzare la percentuale di acque reflue non trat-tate e aumentare sostanzialmente il riciclaggio e il riutilizzo sicuro a livello globale;

6.4 Entro il 2030, aumentare sostanzialmente l’efficienza idrica in tutti i settori e assi-curare prelievi e fornitura di acqua dolce per affrontare la scarsità d’acqua. Ridur-re in modo sostanziale il numero delle persone che soffrono di scarsità d’acqua;

6.5 Entro il 2030, attuare la gestione integrata delle risorse idriche a tutti i livelli, an-che attraverso la cooperazione transfrontaliera a seconda dei casi;

6.6 Entro il 2020, proteggere e ripristinare gli ecosistemi legati all’acqua, tra cui mon-tagne, foreste, zone umide, fiumi, falde acquifere e laghi;

6.a Entro il 2030, ampliare la cooperazione internazionale e la creazione di capacità di sostegno dei Paesi in via di sviluppo in materia legata all’acqua e ai servizi igieni-co-sanitari, tra cui i sistemi di raccolta dell’acqua, la desalinizzazione, l’efficienza idrica, il trattamento delle acque reflue, le tecnologie per il riciclo e il riutilizzo;

6.b Sostenere e rafforzare la partecipazione delle comunità locali nel miglioramento della gestione idrica e fognaria.

Tutti gli obiettivi devono essere raggiunti entro il 2030, ad eccezione del target 6.6 (pro-teggere e ripristinare gli ecosistemi legati all’acqua, tra cui montagne, foreste, zone umide, fiumi, falde acquifere e laghi) il cui raggiungimento è indicato per il 2020.

Gli indicatori diffusi per questo goal sono tredici e si riferiscono a cinque degli otto target.Per il target 6.1 è richiesto un indicatore: Percentuale di popolazione che fruisce di

servizi idrici di acqua potabile gestiti in modo sicuro.Per la rappresentazione di questa tematica, considerata l’elevata copertura, in termini di

popolazione, del servizio idrico sul territorio italiano, concorrono tre indicatori di contesto nazionale: Acqua erogata pro capite, Famiglie che non si fidano di bere l’acqua del rubinetto e Famiglie che lamentano irregolarità nell’erogazione di acqua. Le fonti di questi dati sono due indagini dell’Istat, il “Censimento delle acque per uso civile” per il primo indicatore e l’indagine annuale sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”, per gli altri due indicatori.

Per il target 6.2 (indicatore: 6.2.1 Percentuale di popolazione che utilizza servizi igieni-co-sanitari gestiti in sicurezza, e un impianto di lavaggio delle mani con acqua e sapone) il livello di copertura è già raggiunto, ovvero il fenomeno non presenta elementi di criticità in Italia e non si è ritenuto quindi di elaborarlo.

Per il target 6.3 sono richiesti due indicatori: Percentuale di acque reflue trattate in modo sicuro e Percentuale di corpi idrici con una buona qualità ambientale. Nel primo caso è stato utilizzato l’indicatore parziale rappresentato dalla Quota percentuale dei carichi inquinan-ti confluiti in impianti secondari o avanzati rispetto ai carichi complessivi urbani generati, calcolato grazie al Censimento delle acque per uso civile dell’Istat. Nel secondo caso sono proposti diversi indicatori parziali: il primo rappresentato dalla Percentuale di coste marine

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833. Acqua, economia e indicatori di sviluppo sostenibile

balneabili, elaborato dall’Istat su dati del Ministero della Salute, mentre per il secondo caso viene utilizzato un gruppo di indicatori sulla Qualità dello stato ecologico e chimico delle acque superficiali, sotterranee, di transizione, marino-costiere, elaborati dall’Ispra.

A rappresentare, per il target 6.4, l’indicatore richiesto Variazione dell’efficienza dell’u-so della risorsa idrica nel tempo si utilizza come indicatore proxy l’Efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua potabile, calcolato come quota percentuale del volume di acqua erogata agli utenti per usi autorizzati sul volume complessivo immesso in rete, ottenuta tramite il Censimento delle acque per uso civile dell’Istat.

Per il target 6.6, per l’indicatore richiesto Variazione nel tempo dell’estensione degli eco-sistemi legati all’acqua si sono utilizzati indicatori di contesto nazionale relativi alle Zone umi-de di importanza internazionale (espresse sia in numero assoluto sia in ettari), di fonte Ispra.

Infine, per il target 6.a, relativo ai mezzi di attuazione, l’indicatore presentato è identico a quanto richiesto: Aiuto pubblico allo sviluppo nei settori dell’acqua e sanitizzazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale.

Per due target, in particolare il 6.5 e il 6.b, non ci sono attualmente indicatori disponibili:- 6.5.1 Grado di attuazione della gestione integrata delle risorse idriche;- 6.5.2 Proporzione dell’area del bacino transfrontaliero con un accordo operativo per

la cooperazione idrica;- 6.b.1 Proporzione delle unità amministrative locali con politiche e procedure stabilite

e operative per la partecipazione delle comunità locali alla gestione dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari.

Nella tavola 3.1 sono riportati gli indicatori descritti precedentemente con il valore rife-rito all’ultimo anno disponibile4.

4 Si rimanda al sito dell’Istat, https://www.istat.it/it, per la tabella completa degli indicatori, dove è possibile consultare i dati in serie storica, disaggregati per regione o per altre classificazioni disponibili.

Indicatori Rispetto all’indicatore SDG

Valore ultimo periodo disponibile

SDG 6.1.1 - Percentuale di popolazione che fruisce di servizi idrici di acqua potabile gestiti in modo sicuro

Acqua erogata pro capite (Istat, 2015, litri/abitante/giorno) Di contesto nazionale 220Famiglie che non si fidano di bere l’acqua del rubinetto (Istat, 2018, %) Di contesto nazionale 29Famiglie che lamentano irregolarità nell’erogazione di acqua (Istat, 2018, %) Di contesto nazionale 10,4

SDG 6.3.1 - Percentuale di acque reflue trattate in modo sicuro

Quota percentuale dei carichi inquinanti confluiti in impianti secondari o avanzati rispetto ai carichi complessivi urbani generati (Istat, 2015, %) Parziale 59,6

SDG 6.3.2 - Percentuale di corpi di acqua con una buona qualità ambientale dell’acqua

Coste marine balneabili (Istat, elaborazione su dati Ministero della salute, 2017, %) Parziale 66,9Qualità di stato ecologico e di stato chimico delle acque superficiali (Ispra, 2016) Parziale (*)Qualità di stato chimico e quantitativo delle acque sotterranee (Ispra, 2016) Parziale (*)Qualità di stato ecologico e di stato chimico delle acque di transizione (Ispra, 2016) Parziale (*)Qualità di stato ecologico e di stato chimico delle acque marino costiere (Ispra, 2016) Parziale (*)Percentuale di corpi idrici che hanno raggiunto l’obiettivo di qualità ecologica elevata o buona sul totale dei corpi idrici delle acque superficiali (fiumi e laghi) (Ispra, 2010-2015, %)

Parziale 41,7

SDG 6.4.1 - Variazione dell’efficienza dell’uso della risorsa idrica nel tempo

Efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua potabile (Istat, 2015, %) Proxy 58,6

SDG 6.6.1 - Variazione nel tempo dell’estensione degli ecosistemi legati all’acqua

Zone umide di importanza internazionale (Ispra, 2013, numero) Di contesto nazionale 64Zone umide di importanza internazionale (Ispra, 2013, ettari) Di contesto nazionale 77.210

(*) Si rimanda alla tavola dati

Tavola 3.1 – Goal 6: elenco indicatori SDGs e indicatori diffusi da Istat

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84 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

La valutazione complessiva dello stato della risorsa idrica nel nostro Paese, nel medio e nel lungo periodo (2005-2017), vede un peggioramento nell’efficienza della distribuzione dell’acqua potabile. Un modesto miglioramento si registra per la quota nazionale di acque reflue urbane trattate da impianti di depurazione almeno secondari, che tuttavia si mantiene ancora piuttosto bassa sul territorio italiano, con situazioni molto diversificate a livello re-gionale. Sul lato delle famiglie, principali utenti del servizio idrico per uso civile, si registra un miglioramento rispetto alla fiducia dei cittadini a bere l’acqua del rubinetto, ma allo stesso tempo un peggioramento rispetto alle irregolarità nel servizio di erogazione dell’ac-qua (Tavola 3.2). Il confronto tra regioni evidenzia ampie differenze territoriali. Per maggio-ri informazioni sugli indicatori, si rimanda al Capitolo 1 del presente volume.

3.2.2 Il Goal 14

Il Goal 14 ha come obiettivo quello di garantire la conservazione degli oceani, dei mari e delle risorse marine, indispensabili per la salute e la salvaguardia dell’intero pianeta.

Gli oceani e i mari coprono più del 70 per cento del nostro pianeta. Fondamentali rego-latori del clima, della disponibilità di acqua dolce e finanche dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano un sistema essenziale anche per lo sviluppo dell’economia mondiale e per il benessere delle popolazioni che si affacciano sul mare.

Nonostante la loro rilevanza sia riconosciuta a tutti i livelli istituzionali, il crescente impatto dei cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani, l’attività di pesca non rego-lamentata e l’inquinamento marino proveniente dalle attività antropiche stanno mettendo a repentaglio gli oceani e i mari di tutto il mondo, minacciando sempre più la sopravvivenza della biodiversità marina e il sostentamento dei paesi costieri in via di sviluppo.

Il Goal 14 chiama a urgenti e improrogabili azioni di protezione degli oceani e dei mari, di recupero e di ripristino degli ecosistemi, di adozione di politiche di gestione sostenibile della pesca, dell’acquacoltura e del turismo.

Il Goal 14 è composto da dieci target, di cui gli ultimi tre riferiti agli strumenti di attuazione.

Tavola 3.2 – Goal 6: indicatori diffusi da Istat in serie storica

ANNI

Indicatori

6.1.1 6.1.1 6.1.1 6.3.1 6.4.1 6.a.1

Famiglie che non si fidano di

bere l’acqua del rubinetto (%)

Famiglie che lamentano irregolarità

nell’erogazione di acqua (%)

Acqua erogata pro capite (litri/ab/g)

Quota percentuale dei carichi inquinanti confluiti in impianti secondari o avanzati rispetto ai carichi complessivi urbani

generati (%)

Efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua potabile

(%)

Aiuto Pubblico allo Sviluppo nei settori dell’acqua e sanitizzazione (Milioni di euro)

2005 - - 250 53,5 67,4 -2008 - - 253 56,5 67,9 -2010 32,8 10,8 - - - -2011 30,0 9,4 - - - -2012 30,3 8,9 241 57,6 62,62013 29,2 10,0 - - - 8,652014 28,0 8,7 - - - 20,942015 30,0 9,2 220 59,6 58,6 16,292016 29,9 9,4 - - - 15,632017 29,1 10,1 - - - -2018 29,0 10,4 - - - -

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853. Acqua, economia e indicatori di sviluppo sostenibile

I target del Goal 14:

14.1 Entro il 2025, prevenire e ridurre in modo significativo l’inquinamento marino di tutti i tipi, in particolare quello derivante dalle attività terrestri, compresi i rifiuti marini e l’inquinamento delle acque da parte dei nutrienti;

14.2 Entro il 2020, gestire e proteggere in modo sostenibile gli ecosistemi marini e co-stieri per evitare impatti negativi significativi, anche rafforzando la loro capacità di recupero e agendo per il loro ripristino, al fine di ottenere oceani sani e produttivi;

14.3 Ridurre al minimo e affrontare gli effetti dell’acidificazione degli oceani, anche attraverso una maggiore cooperazione scientifica a tutti i livelli;

14.4 Entro il 2020, regolare efficacemente la raccolta, porre fine alla pesca eccessiva, alla pesca illegale, a quella non dichiarata e non regolamentata, e alle pratiche di pesca distruttive, e attuare i piani di gestione su base scientifica, al fine di ricostituire gli stock ittici nel più breve tempo possibile, almeno a livelli in grado di produrre il rendimento massimo sostenibile determinato dalle loro caratteristiche biologiche;

14.5 Entro il 2020, proteggere almeno il 10 per cento delle zone costiere e marine, coerentemente con il diritto nazionale e internazionale e sulla base delle migliori informazioni scientifiche disponibili;

14.6 Entro il 2020, vietare quelle forme di sovvenzioni alla pesca che contribuisco-no all’eccesso di capacità produttiva e alla pesca eccessiva, eliminare i sussidi che contribuiscono alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata e astenersi dall’introdurre nuove sovvenzioni di questo tipo, riconoscendo che un trattamento speciale e differenziato adeguato ed efficace per i paesi in via di svi-luppo e i paesi meno sviluppati dovrebbe essere parte integrante del negoziato sui sussidi alla pesca dell’Organizzazione Mondiale del Commercio;

14.7 Entro il 2030, aumentare i benefici economici derivanti dall’uso sostenibile delle risorse marine per i piccoli stati insulari e i paesi meno sviluppati, anche me-diante la gestione sostenibile della pesca, dell’acquacoltura e del turismo;

14.a Aumentare le conoscenze scientifiche, sviluppare la capacità di ricerca e di tra-sferimento di tecnologia marina, tenendo conto dei criteri e delle linee guida del-la Commissione Oceanografica Intergovernativa sul trasferimento di tecnologia marina, al fine di migliorare la salute degli oceani e migliorare il contributo della biodiversità marina per lo sviluppo dei paesi in via di sviluppo, in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i paesi meno sviluppati;

14.b Assicurare ai piccoli pescatori artigianali l’accesso alle risorse e ai mercati marini.14.c Migliorare la conservazione e l’uso sostenibile degli oceani e delle loro risorse,

applicando il diritto internazionale, che fornisce il quadro giuridico per l’utilizzo e la conservazione sostenibile degli oceani e delle loro risorse, come ricordato al punto 158 de “Il futuro che vogliamo”5.

5 https://sustainabledevelopment.un.org/futurewewant.html

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86 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Quattro obiettivi devono essere raggiunti entro il 2020, uno entro il 2025 e uno entro il 2030.

Gli indicatori diffusi dall’Istat per questo goal sono sei e si riferiscono a due dei dieci target.

Per rappresentare l’indicatore Percentuale di stock ittici entro livelli biologicamente sostenibili richiesto dal target 14.4 concorrono quattro indicatori proxy elaborati dall’Ispra: Stock ittici in sovrasfruttamento (in numero), Stock ittici in sovrasfruttamento (in percen-tuale), Consistenza dell’attività di pesca – Sforzo, Consistenza dell’attività di pesca - CPUE6.

In riferimento al target 14.5 e in particolare all’indicatore Percentuale delle aree mari-ne protette sono diffusi tre indicatori proxy: Aree marine protette, elaborato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le Coste marine balneabili, elaborato dall’Istat su dati del Ministero della salute.

L’analisi degli indicatori riferiti al Goal 14 (Tavola 3.3) riferisce che, in Italia, la superfi-cie delle aree marine protette EUAP7 è pari a 3.020,58 chilometri quadrati. I tre quarti delle aree protette sono concentrate in tre regioni: Sardegna, Sicilia e Toscana. Le Aree marine comprese nella rete Natura 20009 hanno una estensione pari a 5.878 chilometri quadrati, di cui la metà si trova in Sicilia e Sardegna.

La quota percentuale di coste marine balneabili è pari al 66,9 per cento del totale della linea litoranea nel 2017. La costa non balneabile include sia le zone che, nell’anno, sono state interdette alla balneazione per rischi di natura igienico-sanitaria o di sicurezza, sia aree militari, porti, foci di fiumi e aree soggette a tutela naturale.

Tavola 3.3 – Goal 14: elenco indicatori SDGs e indicatori diffusi da Istat

Nel corso degli anni si osservano, a livello nazionale, modeste variazioni sia della esten-sione delle aree marine protette sia della percentuale di costa balneabile (Tavola 3.4), con andamenti differenziati a livello regionale.

6 Con CPUE, Catch-Per-Unit-Effort, si indicano le catture per unità di sforzo.7 Elenco ufficiale delle aree protette.8 Escluso il Santuario dei mammiferi marini.9 Costituite (al netto delle sovrapposizioni) dalle zone di protezione speciale (Zps), dai siti di importanza comunitaria e

dalle zone speciali di conservazione (Sic e Zsc).

INDICATORI Rispetto all’indicatore SDG

Valore ultimo periodo disponibile

SDG 14.4.1 - Percentuale di stock ittici entro livelli biologicamente sostenibili

Stock ittici in sovrasfruttamento (Ispra, 2015, numero) Proxy 21,0

Stock ittici in sovrasfruttamento (Ispra, 2015, %) Proxy 77,8

Consistenza dell’attività di pesca - Sforzo (Ispra, 2015, numero) Proxy 20,5

Consistenza dell’attività di pesca - CPUE (Ispra, 2015, kg) Proxy 9,2

SDG 14.5.1 - Percentuale delle aree marine protette

Aree marine protette EUAP (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, 2013, km2) Proxy 3.020,5

Aree marine comprese nella rete Natura 2000 (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, 2017, km2) Parziale 5.878,0

Coste marine balneabili (Istat, Elaborazione su dati Ministero della salute, 2017, %) Proxy 66,9

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873. Acqua, economia e indicatori di sviluppo sostenibile

Tavola 3.4 – Goal 14: indicatori diffusi da Istat in serie storica

ANNI

Indicatori

14.4.1 14.4.1 14.4.1 14.5.1 14.5.1 14.5.1 14.5.1

Stock ittici in sovrasfruttamento

Stock ittici in sovrasfruttamento

(%)

Consistenza dell’attività di pesca -

Sforzo

Consistenza dell’attività di pesca -

CPUE

Aree marine protette

EUAP

Aree marine comprese nella rete

Natura 2000

Coste marine balneabili

2003 - - - - 2.634,2 - -

2004 - - 33,1 8,7 - - -

2005 - - 32,0 8,4 - - -

2006 - - 31,3 9,1 - - -

2007 7,0 77,8 29,3 9,1 - - -

2008 10,0 83,3 25,2 8,6 - - -

2009 18,0 90,0 26,5 8,8 - - -

2010 21,0 91,3 25,5 8,7 2.957,8 - -

2011 32,0 94,1 23,9 8,8 - - -

2012 13,0 92,9 22,8 8,8 - - -

2013 19,0 95,0 21,4 8,1 3.020,5 - 67,0

2014 22,0 88,0 21,1 8,4 - 5.738,0 66,6

2015 21,0 77,8 20,5 9,2 - 5.811,0 66,5

2016 - - - - - 5.825,0 67,2

2017 - - - - - 5.878,0 66,9

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4. PRECIPITAZIONE E CRISI IDRICA1

4.1 Dati meteoclimatici nelle principali città

Negli ultimi decenni è sensibilmente aumentato l’interesse verso la conoscenza delle variazioni climatiche e degli eventi estremi climatici. Tali informazioni sono fondamentali per valutare le conseguenze su ambiente naturale, salute umana, sistemi socio-economici e sistemi urbani. I crescenti fabbisogni informativi hanno determinato lo sviluppo di fra-mework statistici collegati allo studio del clima, sviluppati da organismi internazionali, per fornire metodologie condivise nella produzione di dati e indicatori comparabili fra i paesi.

Ampie serie temporali di dati, basati su osservazioni giornaliere di variabili meteoro-logiche, sono alla base dell’applicazione di modelli per lo studio di fenomeni climatici ed il calcolo dei suddetti indicatori, a diversa scala temporale e spaziale. In ambito scientifico, i principali indici statistici sono riferiti a fenomeni legati a precipitazione e temperatura e alla loro variabilità. La variabilità climatica si riferisce a fluttuazioni relative a variazioni di para-metri meteorologici rispetto a valori medi calcolati nel lungo periodo (almeno trenta anni) preso come riferimento, comunemente denominato Normale Climatologica.

Effetti di eventi estremi climatici sono particolarmente evidenti anche nei sistemi ur-bani, caratterizzati da un’elevata concentrazione di persone e infrastrutture. La variabilità climatica e l’occorrenza di fenomeni intensi stanno interessando le città in maniera diversa in base a posizione geografica, orografia dei territori, dimensione dell’area urbana nonché secondo la tipologia dei fenomeni meteo-climatici osservati.

Intensità, discontinuità e persistenza degli eventi climatici impattano sulla fragilità dei sistemi urbani. La presenza di una diffusa cementificazione, superfici asfaltate che preval-gono su aree verdi, emissioni di autoveicoli, di impianti industriali e di sistemi di aria con-dizionata amplificano gli effetti di un aumento della temperatura dell’aria. Ciò contribuisce a determinare un riscaldamento urbano, caratterizzato dall’aumento del differenziale termico tra aree urbane e aree rurali e dalla riduzione di quello fra temperatura diurna e notturna, dando vita alle così dette isole di calore (Urban Heat Islands, UHI).

Sono molte le città ad aver registrato pesanti impatti causati da fenomeni di variabilità climatica negli ultimi due decenni, peraltro stimata in aumento nel futuro prossimo. Piogge estremamente intense e alluvioni, periodi con assenza di piogge, aumento della temperatu-ra dell’aria, ondate di calore che persistono per giorni e notti, diminuzioni dei giorni freddi sono eventi che aumentano i rischi per sicurezza e salute delle persone anche nelle città italiane. Tali fenomeni possono inoltre causare danni alle infrastrutture e al patrimonio ar-tistico e culturale, criticità nello svolgimento delle attività economiche e nell’erogazione di servizi essenziali quali risorse idriche, energia e trasporti.

Statistiche ed indicatori meteorologici e di eventi estremi climatici relativi alle città rap-presentano informazioni rilevanti nella costruzione di sistemi integrati di dati per analizzare contesti complessi come quelli urbani e impatti di fenomeni non lineari interagenti di natura

1 Il capitolo è stato curato da Donatella Vignani, Claudia Busetti e Francesca Budano (par. 4.1), Stefano Tersigni e Tiziana Baldoni (par. 4.2).

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90 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

ambientale, sociale ed economica. A questo scopo è necessario utilizzare informazioni ad una scala sia spaziale sia temporale pertinente agli obiettivi delle analisi. I dati e gli indicatori meteo-climatici riferiti ai capoluoghi di regione si aggiungono all’insieme delle informazioni statistiche già prodotte dall’Istat sul tema delle città, anche con l’obiettivo di fornire nuove opportunità di analisi congiunta con informazioni su stato dell’ambiente, svolgimento di attività socio-economiche, fornitura di servizi, salute umana.

L’aggiornamento della serie storica 1971-2016 delle statistiche meteo-climatiche di precipitazione e temperatura è stato effettuato avvalendosi dei dati giornalieri delle stazioni termo-pluviometriche di monitoraggio, situate all’interno o in prossimità del territorio dei capoluoghi di regione, che in termini demografici rappresentano il 38,9 per cento della popolazione italiana del 2016.

Le analisi delle condizioni meteo-climatiche delle città considerate sono state svilup-pate a partire dai valori medi e da indici di estremi climatici di precipitazione e temperatura di un insieme di stazioni di misura, parametri significativi per descrivere il clima nel Paese. Le analisi, basate sui dati delle singole stazioni dei capoluoghi di regione prese in esame, fanno riferimento ai caratteri climatici specifici dell’area monitorata.

Per osservare la variabilità dei fenomeni, sono stati confrontati i valori medi degli ultimi 15 anni disponibili (periodo 2002-2016) con il valore climatico del trentennio 1971-2000, che è stato assunto come Normale Climatologica, sulla base degli standard internazionali.

Le analisi presentate si basano anche su un’applicazione degli indici di estremi climatici di temperatura e precipitazione definiti dall’Expert Team on Climate Change Detection and Indices (ETCCDI) della World Meteorological Organization (United Nations, UN). Nei limiti delle serie di dati disponibili, i risultati evidenziano condizioni e variabilità climatiche che in diversa misura interessano i capoluoghi di regione italiani.

4.1.1 Variabilità spaziale e temporale della precipitazione

Attraverso i dati della precipitazione totale media annua riferiti ai capoluoghi di regione oggetto di analisi (sulla base delle misurazioni pervenute dalle stazioni ubicate nei rispettivi territori urbani), vengono calcolate per ciascun anno del periodo 1971-2016 le differenze dal valore climatico 1971-2000, che corrisponde ad un valore medio di 765,8 mm di piog-gia. La serie storica 1971-2016 di tali differenze, denominate anomalie, evidenzia quale sia la variabilità media del fenomeno osservato nelle città (Grafico 4.1).

In particolare, dalla seconda metà degli anni ‘90 le anomalie annuali diventano via via più pronunciate, aumenta l’ampiezza delle loro fluttuazioni intorno al valore climatico e assumono in prevalenza segno negativo.

Negli anni dal 2002 al 2016, crescendo la variabilità delle anomalie, sono presenti, allo stesso tempo, gli anni più piovosi e quelli meno piovosi dal 1971. Inoltre tutti i capoluoghi ad eccezione di Ancona, Catanzaro, Bologna e Campobasso, mostrano un aumento della variabilità degli scostamenti del periodo esaminato rispetto a quella del periodo climatico. Per quanto riguarda le anomalie positive, la più elevata si registra nel 2010 (+264 mm) che, con una precipitazione totale media annua pari a circa 1.030 mm, risulta l’anno più piovoso dal 1971. Tutti i capoluoghi di regione (ad eccezione di Bolzano) hanno segnato anomalie positive, con in testa Napoli (+558 mm), seguita da Perugia (+482 mm). Per quanto ri-guarda i livelli di precipitazione annua, quelli più alti si sono registrati a Napoli, Catanzaro e Trento, raggiungendo valori pari quasi al doppio del valore climatico.

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914. Precipitazione e crisi idrica

Grafico 4.1 – Anomalie della precipitazione totale media annua dei capoluoghi di regione dal valore climatico 1971-2000. Anni 1971-2016 (valori assoluti in millimetri)

Fonte: Istat, Dati meteo-climatici ed idrologici

Il 2014, con 987 mm, è l’anno con la seconda anomalia positiva più alta (+221 mm) della serie temporale osservata. Aumenti dal valore climatico si registrano in tutte le città, ad esclusione di Napoli e Cagliari. Le anomalie più alte si hanno a Genova (circa +832 mm) e Trento (+711 mm), che segnano anche la precipitazione totale annua più consistente fra i capoluoghi. In particolare, con 2.103 mm quella di Genova è la più alta precipitazione totale annua registrata dal 1971 fra tutte le città esaminate.

Il 2007 presenta l’anomalia negativa più bassa dal 1971 (-204 mm) e, con una precipi-tazione totale media annua di circa 562 mm, è anche l’anno meno piovoso dell’intera serie esaminata. I capoluoghi più interessati da una diminuzione della precipitazione sono Geno-va (-713 mm), Milano (-506 mm) e Roma (-359 mm). Il 2006 ed il 2011, con un’anomalia negativa intorno a -136 mm, si posizionano fra gli anni meno piovosi del periodo 2002-2016. In entrambi gli anni, è Cagliari la città maggiormente colpita da una diminuzione delle precipitazioni. Diversamente dai precedenti anni, il 2016 si presenta in linea con il dato climatologico e registra una precipitazione totale media annua delle stazioni di 771 mm. A conferma della variabilità spaziale, si osservano andamenti differenziati nei capoluoghi. Una metà mostra anomalie positive, che vanno dai +3,1 mm di Bolzano ai +407,6 mm di Bari, mentre i restanti capoluoghi anomalie negative che oscillano fra i -6,9 mm di Trento e i -440,3 mm di Genova.

Per apprezzare la variabilità del fenomeno in un periodo di tempo più ampio, il valore medio del periodo 2002-2016 della precipitazione totale media annua delle stazioni meteo-rologiche è confrontato con il valore climatico 1971-2000 (Tavola 4.1).

La precipitazione totale media annua delle stazioni nel periodo 2002-2016 è stata pari a 778 mm, l’1,6 per cento in più rispetto al valore climatico. La variabilità della precipitazione totale media annua nei capoluoghi si conferma elevata. Nel periodo 2002-2016 alcune città sono state interessate da livelli di piogge più consistenti come Catanzaro (1.096,9 mm) e Genova (1.064,5 mm), seguiti da Trento (987,7 mm) e Torino (938,1 mm). Le città con i volumi di precipitazione più bassi sono state Cagliari (387,6 mm), Aosta (521,3 mm) e Bari (609,5 mm).

-250

-150

-50

50

150

250

350

1971 1976 1981 1986 1991 1996 2001 2006 2011 2016

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92 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Un’analisi delle anomalie rispetto al valore climatico 1971-2000, evidenzia che nel pe-riodo più recente solo Aosta e Bolzano presentano valori prossimi alla media climatologica (Tavola 4.1).

Degli altri capoluoghi, poco meno della metà registra anomalie negative. Genova segna quella più alta con -206,2 mm (pari ad una variazione del -16,2 per cento), restando co-munque la seconda città per volume di precipitazione totale media annua. Una diminuzione di precipitazione rispetto al valore climatico è significativa anche a Milano e Venezia pari rispettivamente a -125,3 mm e -104,8 mm di pioggia (circa il 13 per cento in meno rispetto al valore climatico).

I restanti capoluoghi sono interessati da anomalie positive. Nel periodo 2002-2016 Palermo e Campobasso presentano i maggiori incrementi (rispettivamente +35,5 per cento e +29,4 per cento) mantenendo volumi di precipitazione inferiori alla media delle stazioni esaminate e registrando anomalie positive di poco superiori ai +162 mm. Considerando le stazioni dei capoluoghi del Nord, si osserva una diminuzione media delle precipitazioni di -34 mm nel periodo osservato rispetto al valore climatico. Di contro, il Sud e il Centro presentano in media aumenti rispettivamente pari a +58,6 mm e +23,2 mm (Grafico 4.2).

Tavola 4.1 – Precipitazione totale media e variazione dal valore climatico nelle stazioni meteorologiche per capoluogo di regione. Anni 2002-2016, 1971-2000 (valori assoluti in millimetri e valori percentuali)

CAPOLUOGHI DI REGIONEPrecipitazione totale media

2002-2016 valore climatico 1971-2000 variazione % dal valore climatico

Torino 938,1 872,1 7,6

Aosta 521,3 526,8 -1,0

Genova 1.064,5 1.270,7 -16,2

Milano 830,4 955,8 -13,1

Bolzano-Bozen 699,9 692,1 1,1

Trento 987,7 901,5 9,6

Venezia 700,0 804,8 -13,0

Trieste 914,0 986,4 -7,3

Bologna 802,4 755,0 6,3

Firenze 776,6 815,0 -4,7

Perugia 875,6 783,8 11,7

Ancona 736,1 675,4 9,0

Roma 768,2 789,3 -2,7

L’Aquila 640,6 686,1 -6,6

Campobasso 713,8 551,8 29,4

Napoli 883,7 976,1 -9,5

Bari 609,5 529,7 15,1

Potenza 754,3 677,2 11,4

Catanzaro 1.096,9 960,1 14,3

Palermo 636,5 469,7 35,5

Cagliari 387,6 403,5 -4,0

Fonte: Istat, Dati meteo-climatici ed idrologici

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934. Precipitazione e crisi idrica

Grafico 4.2 – Anomalie della precipitazione totale media annua del periodo 2002-2016 rispetto al valore climatico 1971-2000 per capoluogo di regione (valori assoluti in millimetri)

Fonte: Istat, Dati meteo-climatici ed idrologici

4.1.2 Anomalie degli Indici di estremi climatici di precipitazione

Per i capoluoghi di regione sono stati calcolati un insieme di Indici di estremi climatici di precipitazione, in particolare applicando la metodologia degli indici di estremi climatici di temperatura e precipitazione definiti dall’Expert Team on Climate Change Detection and Indices (ETCCDI) della World Meteorological Organization (UN) (Tavola 4.2).

Nei limiti delle serie di dati disponibili, in particolare vengono confrontati i valori medi di indici di temperatura e precipitazione, delle stazioni dei capoluoghi di regione del periodo 2002-2016 con quelli del periodo climatico 1971-2000. Alcuni di questi risultati, integrati con dati della rilevazione Istat “Dati ambientali nelle città”, hanno consentito di sviluppare per gli anni confrontabili (2013-2016) analisi specifiche sulla relazione fra condizioni-varia-bilità climatiche e qualità dell’aria per alcuni capoluoghi osservati.

Nel periodo 2002-2016, gli indici confermano la variabilità spaziale e temporale dei fe-nomeni esaminati, tuttavia, diversamente dagli indici di temperatura, non sembrano emer-gere indicazioni nette sulle variazioni dei valori registrati per la maggior parte delle stazioni. Fra gli indici definiti da un valore soglia, i giorni piovosi (Indice R1), con almeno 1 mm di precipitazione, forniscono una misura del fenomeno precipitazione nelle aree monitorate. Nel periodo 2002-2016, i giorni piovosi sono stati 82 all’anno, in linea con il valore clima-tico. Le anomalie dell’indice rispetto alla media climatologica sono comprese tra +8 giorni di Palermo e -5 di Venezia.

I capoluoghi che presentano il maggior numero di giorni piovosi sono Trento (113) seguito da Potenza (96) e Catanzaro (94). Cagliari, invece, registra il minor numero di giorni (57) ed anche il valore più basso di intensità media giornaliera di precipitazione (6,7 mm). L’intensità media giornaliera di precipitazione calcolata per le stazioni esaminate risulta in media pari a circa 9,5 mm negli ultimi quindici anni, in linea con il valore climatico. La stazione con la più alta intensità media giornaliera di pioggia è quella di Genova (14 mm), seguita da Torino (12,8 mm).

-250

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94 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Tavola 4.2 – Indici di estremi climatici di precipitazione per capoluogo di regione. Anni 2002-2016, 1971-2000 (valori medi in giorni e millimetri)

I giorni di precipitazione superiore a 20 mm (Indice R20) identificano eventi di preci-pitazione molto intensa che nel periodo 2002-2016 sono stati in media 10 - in linea con il valore climatico – oscillando fra i 4 giorni di Cagliari e i 17 giorni di Genova. Lo scostamen-to più elevato dalla media 1971-2000 è stato pari a 3 giorni, in meno per Milano e Genova e in più per Campobasso, Catanzaro, Palermo e Trento. A partire dal 2008, l’indice, pur in presenza di oscillazioni, evidenzia un aumento del numero di giorni con precipitazione mol-to intensa. In corrispondenza degli anni 2010, 2013 e 2014 il valore dell’indice ha superato sempre il valore medio del periodo 2002-2016.

CAPOLUOGHI DI REGIONEGiorni con precipi-

tazione >1 mm (R1)

Giorni con precipi-tazione >20 mm

(R20)

Giorni con precipi-tazione >50 mm

(R50)

Giorni consecutivi con pioggia

(CWD)

Giorni consecutivi senza pioggia

(CDD)

Precipitazione nei giorni molto piovosi

(R95P)

Torino2002-2016 73 15 2 6 26 268,91971-2000 75 14 1 6 27 196,8

Aosta 2002-2016 72 5 1 5 25 121,21971-2000 69 6 1 5 25 140,6

Genova2002-2016 74 17 4 6 25 267,61971-2000 78 20 5 6 24 367,2

Milano 2002-2016 77 13 1 7 26 148,81971-2000 78 16 1 6 26 203,7

Bolzano/Bozen2002-2016 77 9 0 6 27 152,51971-2000 78 8 0 6 26 163,9

Trento2002-2016 113 12 0 8 24 262,51971-2000 113 9 1 9 26 199,7

Venezia2002-2016 74 9 1 5 26 167,31971-2000 79 11 1 6 24 188,2

Trieste2002-2016 89 12 1 6 25 199,11971-2000 91 14 1 7 23 228,3

Bologna2002-2016 79 11 1 5 25 210,91971-2000 78 10 1 5 24 183,2

Firenze2002-2016 83 10 1 7 24 163,81971-2000 84 10 1 7 24 193.0

Perugia 2002-2016 90 11 1 6 24 214,51971-2000 85 9 1 6 24 179,0

Ancona 2002-2016 84 9 1 7 26 181,41971-2000 79 8 1 5 24 167,0

Roma 2002-2016 77 10 1 6 27 178,51971-2000 77 11 1 6 28 186,6

L’Aquila2002-2016 87 5 0 5 23 118,41971-2000 89 6 0 6 23 144,0

Campobasso2002-2016 88 8 0 6 21 223,41971-2000 81 5 0 5 24 125,8

Napoli 2002-2016 81 14 2 8 26 235,51971-2000 82 15 2 7 26 255,3

Bari 2002-2016 74 7 1 5 25 153,21971-2000 67 6 1 5 27 136,2

Potenza2002-2016 96 7 0 7 23 155,51971-2000 89 6 0 6 25 142,9

Catanzaro2002-2016 94 16 3 7 27 315,41971-2000 87 13 2 7 27 260,3

Palermo 2002-2016 74 7 1 7 30 189,61971-2000 66 4 1 5 30 121,0

Cagliari 2002-2016 57 4 0 5 30 104,91971-2000 59 3 0 5 30 112,8

Fonte: Istat, Dati meteo-climatici ed idrologici

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954. Precipitazione e crisi idrica

I giorni con precipitazione superiore a 50 mm (Indice R50) sono in media 1 giorno all’anno, in linea con il valore climatico. Le città che presentano i valori più elevati dell’indice sono Genova (4 giorni), Catanzaro (3) e Torino (2). Nel capoluogo ligure, in particolare, nel 2014 si sono verificati 11 giorni di precipitazione estremamente intensa, il valore più alto dal 1971. Il fenomeno ha avuto una frequenza simile a Genova anche negli anni 1977 (9 giorni), 1990 (10), 1992 (9) e 1997 (8).

Nel periodo 2002-2016 entrambi gli indici di durata giorni consecutivi con pioggia (Indice CWD) e giorni consecutivi senza pioggia (Indice CDD) presentano variazioni molto modeste rispetto alla media climatologica. I giorni consecutivi con pioggia sono stati me-diamente 6, con i valori più alti a Trento (8), Napoli e Firenze (7). I giorni consecutivi senza pioggia sono stati mediamente 25, con un massimo a Cagliari e Palermo (30), seguite da Catanzaro, Bolzano e Roma (27).

L’indice di precipitazione nei giorni molto piovosi (Indice R95P) rappresenta il totale annuale delle precipitazioni nei giorni piovosi superiori al 95° percentile del periodo clima-tologico. Negli anni 2002-2016, il 24,7 per cento della precipitazione totale media annua delle stazioni esaminate (corrispondente ad un valore medio di 192 mm) si è concentrata nei giorni molto piovosi, con un massimo a Catanzaro (28,8 per cento), seguito da Torino (28,7 per cento) e Genova (25,1 per cento) ed un minimo a Cagliari (27,1 per cento).

Confrontando il valore medio del periodo 2002-2016 col valore climatico (185,5 mm), le più alte anomalie positive si registrano a Campobasso (+97,2 mm), Torino (+72,1 mm) e Palermo (+68,6 mm). Diminuzioni si hanno invece a Genova (-99,6 mm) e Milano (-54,9 mm). L’indice ha registrato nel 2010 e 2014 i valori più elevati del periodo osservato, rag-giungendo rispettivamente il 26,1 per cento e 24,2 per cento. Nel 2016, il valore medio dell’indice è in linea con il dato climatologico e si attesta sul 24,1 per cento della precipita-zione totale media annua con una significativa variabilità tra le città.

4.2 La crisi idrica nel 2017

Il 2017 è stato un anno nel quale si è manifestata un’eccezionale carenza di risorse idriche disponibili, soprattutto in alcune zone del paese.

La scarsità delle precipitazioni registrata a partire dal trimestre autunnale 2016, prose-guita nel 2017 in concomitanza con le alte temperature, ha avuto naturali effetti sui princi-pali bacini idrografici, causando una forte riduzione dei deflussi idrici.

Le condizioni di prolungata siccità hanno prodotto gravi problemi di approvvigionamen-to, sia al Nord che nel Mezzogiorno, che ha determinato in molti casi lo stato di emergenza per siccità; in numerosi comuni si sono registrate interruzioni e turnazioni nell’erogazione giornaliera di acqua potabile. Il periodo siccitoso ha prodotto anche una carenza delle risorse utilizzate in agricoltura, specialmente nell’irrigazione, anche nelle regioni dell’Italia settentrio-nale. Seppur con intensità diverse, infatti, ha interessato circa i due terzi della superficie agri-cola nazionale, tanto che per salvare le produzioni e ridurre lo stress idrico si è stati costretti a ricorrere all’irrigazione di soccorso anche per coltivazioni normalmente poco idroesigenti.

La rilevanza di questi fenomeni può essere quantificata attraverso lo Standardized Pre-cipitation Index (SPI) e la misura della portata dei principali corsi d’acqua italiani (Po, Adi-ge, Arno e Tevere) rilevata nelle stazioni idrometriche più prossime alla foce (Grafico 4.3).

L’indice quantifica, a diverse scale temporali, il deficit di precipitazione e quindi gli ef-fetti che ha sulla disponibilità delle differenti risorse idriche; il calcolo è basato su una lunga serie storica di dati di precipitazione (Tavola 4.3). La scala temporale utilizzata è quella a 12

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96 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

mesi, che ha riscontro sul livello delle falde acquifere e sulle portate fluviali, considerando come periodo di riferimento il trentennio 1981-2010.

Nel 2017, in tutti e quattro i bacini idrografici, le portate medie annue hanno registrato un decremento rispetto alla media del trentennio di riferimento 1981-2010, con una ridu-zione media complessiva del 39,6 per cento. I mesi di maggiore siccità, analizzando gli andamenti dello SPI, riguardano soprattutto la seconda metà dell’anno, con condizioni di deficit pluviometrico sempre “estremamente secco”, unica eccezione il mese di dicembre nel bacino del Tevere che risulta “molto secco”. I primi mesi dell’anno, invece, mostrano regimi pluviometrici che vanno da valori “nella norma” a “estremamente secco”; solo il corso del fiume Po si presenta “estremamente secco” a partire dal mese luglio (Grafico 4.3-A). Dall’insieme delle analisi si evince, quindi, una forte riduzione dei deflussi idrici come conseguenza degli scarsi eventi meteorici. Nel 2017, durante tutti i mesi dell’anno, si evidenzia nelle portate del Po, alla stazione di Pontelagoscuro, una diminuzione rispetto al periodo di riferimento 1981-2010, in media del 41,1 per cento, con un picco negativo del 60,6 per cento a ottobre, passando da 5.173 a 2.040 milioni di metri cubi. Dall’analisi dello SPI è confermata la scarsità delle precipitazioni con regime “estremamente secco”, diffuso nella seconda metà dell’anno (Grafico 4.3-A).

Sul bacino dell’Adige, alla stazione di Boara Pisani, le portate sono diminuite media-mente di un terzo (-33,2 per cento), registrando decrementi in tutti i mesi dell’anno, a eccezione di agosto e settembre (+0,6 per cento e +14,8 per cento), e passando, rispetti-vamente, da 428 milioni di metri cubi nel trentennio considerato a 430 milioni di metri cubi nel 2017 e da 443 milioni di metri cubi a 509 milioni di metri cubi. A partire dal mese di maggio il valore dello SPI è risultato sempre “estremamente secco” (Grafico 4.3-B).

Il regime idrologico del fiume Arno alla stazione di San Giovanni alla Vena denota, nel 2017, un abbassamento generale medio delle portate del 27,3 per cento, con un picco mas-simo positivo a settembre e un raddoppio delle portate del 101,8 per cento, passando dai 53 milioni di metri cubi del trentennio a 108 milioni di metri cubi. II mese di ottobre registra il decremento maggiore, pari all’88,2 per cento (da 154 milioni di metri cubi a 18 milioni di metri cubi). Anche in questo bacino si calcolano, a partire da giugno, valori di SPI inferiori a -3 (“estremamente secco”) (Grafico 4.3-C).

Il fiume Tevere, alla stazione di Ripetta, rispetto al periodo di riferimento 1981-2010, registra una diminuzione costante durante tutti i mesi dell’anno, in media del 39,0 per cen-to, con il decremento maggiore del 55,3 per cento a novembre, quando la portata media si è più che dimezzata, passando da 484 a 216 milioni di metri cubi. Secondo i valori dello SPI da giugno a novembre risulta una condizione pluviometrica “estremamente secca”, mentre a dicembre si evidenzia un ritorno a un regime “molto secco” (Grafico 4.3-D).

Tavola 4.3 - Valori dello Standardized Precipitation Index (SPI)

Valore di SPI Entità della siccità≥ 2,00 Estremamente umido

Da 1,50 a 1,99 Molto umido

Da 1,00 a 1,49 Moderatamente umido

Da -0,99 a 0,99 Nella norma

Da -1,00 a -1,49 Moderatamente secco

Da -1,5 a -1,99 Molto secco

≤ -2,00 Estremamente secco

Fonte: Elaborazioni Istat su dati dei Servizi idrografici regionali/Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e CREA-AA

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974. Precipitazione e crisi idrica

A. Fiume Po a Pontelagoscuro (Ferrara - FE)

B. Fiume Adige a Boara Pisani (Boara Pisani - PD)

C. Fiume Arno a San Giovanni Alla Vena (Vicopisano - PI)

D. Fiume Tevere a Ripetta (Roma - RM)

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

-3,0-2,5-2,0-1,5-1,0

0,0-0,5

0,51,01,5

0

100

200

300

400

500

600

700

800

-3,0-2,5-2,0-1,5-1,0-0,50,00,51,01,5

050

100150200250300350400450500

-3,0-2,5-2,0-1,5-1,0-0,50,00,51,01,5

0100200300400

500600700800

-3,0-2,5-2,0-1,5-1,0-0,50,00,51,01,5

SPI-12

Nella norma Moderatamente secco Molto secco Estremamente secco

Portata 2017 Portata media 1981-2010

Fonte: Elaborazioni Istat su dati dei Servizi idrografi ci regionali/Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e CREA-AA

Grafico 4.3 – Portata e Standardized Precipitation Index (SPI) a 12 mesi per i principali bacini idrografici. Anno 2017 (portata in milioni di metri cubi)

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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capitale_naturale_Italia_17052017.pdfCCN-Comitato Capitale Naturale. 2018. “Secondo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia” http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/sviluppo_sostenibile/II_

Rapporto_Stato_CN_2018_3.pdfMinistero della Salute. Il Portale Acque, Acque di balneazione. http://www.portaleacque.salute.gov.it/PortaleAcquePubblico/R. Drusiani, A. Spaziani (Coordinatori). 2015. “Il Rapporto generale sulle Acque: obiettivo 2020”.

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statistiche” – Temi. https://www.istat.it/it/archivio/229565Istat. 2019. Statistica Focus “Giornata mondiale dell’acqua”. https://www.istat.it/it/archivio/228753

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GLOSSARIO

Abitanti equivalenti (Ae): unità di misura con cui viene convenzionalmente espresso il carico inquinante organico biodegradabile in arrivo all’impianto di depurazione, secondo l’equivalenza: 1 abitante equivalente = 60 grammi/giorno di BOD5 (richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni).

- Ae civili: carico inquinante prodotto dagli abitanti residenti (abitanti che hanno la dimora abituale nel territorio servito dall’impianto di depurazione), dagli abitanti non residenti (abi-tanti che, pur non essendo residenti, sono presenti occasionalmente sul territorio servito dall’impianto di depurazione) e da attività produttive con meno di sei addetti.

- Ae industriali: carico inquinante prodotto da attività produttive con almeno sei addetti.

Abitanti equivalenti totali urbani (Aetu): stima del carico inquinante potenziale veicolato nelle acque reflue urbane recapitate nella rete fognaria dalle diverse fonti di generazione. Le fonti di generazione considerate sono: la popolazione residente, le attività domestiche e a esse assimilabili, le attività alberghiere, turistiche, scolastiche e le micro-imprese ge-neralmente operanti all’interno dei centri urbani, i cui scarichi presentano caratteristiche qualitative equivalenti al metabolismo umano o ad attività domestiche e in cui gli inquinanti sono costituiti prevalentemente da sostanze biodegradabili.

Acqua immessa in rete: quantità di acqua effettivamente immessa nelle reti comunali di distribuzione; corrisponde alla quantità di acqua a uso potabile addotta da acquedotti e/o proveniente da apporti diretti da opere di captazione e/o derivazione, navi cisterna o auto-botti, in uscita dalle vasche di alimentazione - serbatoi, impianti di pompaggio, ecc. - della rete di distribuzione.

Acque di balneazione: aree che, ai sensi della Direttiva Balneazione (Direttiva 2006/7/CE), sono definite come “qualsiasi parte di acque superficiali nella quale l’autorità competente prevede che un congruo numero di persone pratichi la balneazione e non ha imposto un divieto perma-nente di balneazione, né emesso un avviso che sconsiglia permanentemente la balneazione”. La Direttiva 2006/7/CE è stata recepita in Italia con il D. Lgs 116/2008, seguito a sua volta dal Decreto attuativo del 30 marzo 2010, modificato recentemente con D.M. del 19 aprile 2018.

Acqua erogata per usi autorizzati: quantità di acqua a uso potabile effettivamente consu-mata per usi autorizzati, ottenuta dalla somma dei volumi d’acqua, sia fatturati che non, misurati ai contatori dei diversi utenti più la stima dei volumi non misurati ma consumati per i diversi usi destinati agli utenti finali.

Acqua prelevata: quantità di acqua captata o derivata a uso potabile da corpi idrici (acque sotterranee, corsi d’acqua superficiali, laghi, bacini artificiali, acque marine o salmastre) attraverso specifiche opere di presa.

Arboricoltura da legno: superfici occupate temporaneamente da impianti di specie arboree destinate alla produzione di masse legnose a prevalente impiego industriale o da lavoro. Il ciclo produttivo, la cui lunghezza è dettata dalle esigenze aziendali e di mercato, si chiude a maturità commerciale col taglio di sgombero e la riconsegna del suolo in condizioni idonee a nuove colture.

ATECO: classificazione delle attività economiche Attività Economiche 2008 versione nazio-nale della nomenclatura europea Nace Rev. 2.

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102 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Attività zootecnica: attività di allevamento di animali.

Avicoli: sono compresi polli, galline, galli, tacchini, faraone, anatre, oche, quaglie, fagiani, piccioni, ecc.

Bovini: capi della specie Bos Taurus comprendenti torelli, tori, vitelli, vitelloni, manzetti, manzi, manze e vacche.

Bufale: bufalini femmine destinate alla riproduzione che abbiano già partorito.

Bufalini: capi della specie Bubalus bubalis comprendenti bufali da macello o da riproduzio-ne, bufale e annutoli.

Caprini: capi della specie Capra hircus comprendenti capre e capretti.

Cereali per la produzione di granella: frumento tenero e spelta, frumento duro, segale, orzo, avena, mais, riso, sorgo e altri cereali (farro, grano saraceno, miglio, panico, scaglio-la, triticale, eccetera) coltivati per la produzione di granella.

Colture industriali: tabacco, luppolo, piante tessili (cotone, lino, canapa, ibisco, ginestra, iuta, raimè), piante da semi oleosi, comprese le superfici per la produzione di sementi, (col-za e ravizzone, girasole, soia, semi di lino senape, papavero da olio, sesamo, arachidi, ecc), piante aromatiche, medicinali, spezie e da condimento (altea, aneto, angelica, anice, arnica, assenzio, bardana, belladonna, calendula, camomilla, cappero, cardo, cerfoglio, colchico, crescione, cumino, digitale, dragoncello, edera, gelsomino, genziana, hamamelis, iperico, iris, issopo, lavanda, liquirizia, maggiorana, malva, melissa o cedronella, menta, millefoglie, mughetto, origano, passiflora, piretro, rafano, rosmarino, ruchetta o rucola, salvia, sclarea, segale cornuta, valeriana, zafferano, ecc), altre piante industriali non menzionate altrove (canapa da fibra, canna da zucchero, cicoria da caffè, giaggiolo (ireos), saggina da scopa, scopiglio, sorgo zuccherino).

Conigli: sono comprese le fattrici e gli altri conigli.

Coste marine balneabili: percentuale di coste balneabili autorizzate sul totale della linea litoranea ai sensi delle norme vigenti. L’indicatore è calcolato sottraendo alle acque di bal-neazione i tratti di costa interdetti alla balneazione per l’intera stagione balneare a causa di livelli di contaminanti oltre le soglie di rischio per la salute.

Distretto idrografico: in base all’art. 2, paragrafo 15, della Direttiva 2000/60/CE si intende un’area di terra e di mare costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispetti-ve acque sotterranee e costiere. In base all’art. 64 del D.Lgs. 152/2006, l’intero territorio nazionale è stato ripartito in 7 Distretti Idrografici aventi le seguenti denominazioni: Alpi Orientali; Fiume Po; Appennino Settentrionale; Appennino centrale; Appennino meridionale; Sardegna; Sicilia.

Ente gestore dei servizi idrici: soggetto giuridico che ha la responsabilità economica com-plessiva di un impianto utilizzato per uso civile (fonte di approvvigionamento di acqua pota-bile, trasporto e adduzione, rete di distribuzione dell’acqua potabile, rete fognaria, impianto di depurazione delle acque reflue urbane). Non sono considerati enti gestori dei servizi idrici coloro che svolgono soltanto le attività di manutenzione o di conduzione dei singoli impianti.

Equini: capi della famiglia equidae comprendenti cavalli, asini, muli e bardotti.

Ettaro: unità di misura di superficie agraria che equivale a 100 are, cioè a 10.000 mq.

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103Glossario

Fanghi: sospensioni acquose più o meno concentrate (tipicamente 20-25 per cento di sec-co) prodotti durante i processi di depurazione delle acque di scarico.

Fruttiferi: frutta fresca di origine temperata: melo, pero, pesco, nettarina (pesca noce), albi-cocco, susino, ciliegio (ciliegia tenerina e duracina, ciliegia visciola e amarena o marasca), cotogno, fico, gelso (bacca), giuggiolo, lampone, loto (kaki), melograno, mirtillo, mora di rovo, nespola comune, nespolo del Giappone, ribes comune, ribes nero, sorbo, uva spina. Frutta fresca di origine sub-tropicale: actinidia (kiwi), ananas, annone, avocado, babaco, banano, dattero, fico d’India, mango, maracuja, papaja, passiflora. Frutta a guscio: mandor-lo, nocciolo, carrubo, noce, pistacchio.

Impianto di depurazione delle acque reflue urbane: impianto adibito al trattamento delle acque reflue provenienti da insediamenti civili ed eventualmente da insediamenti produttivi (impianti misti), cui possono mescolarsi le acque meteoriche e quelle di lavaggio delle superfici stradali.

Irrigazione: tecnica finalizzata a soddisfare il fabbisogno idrico delle colture.

Ortive: le colture ortive sono distinte in piena aria e protette; le prime sono coltivazioni di legumi freschi e ortaggi praticate all’aperto sia in pieno campo che in orti stabili o indu-striali. Le seconde sono quelle praticate al coperto (in serra, tunnel o campane) per tutto o per la maggior parte del ciclo vegetativo. Tra le coltivazioni ortive sono compresi i seguenti ortaggi o legumi freschi: acetosella, aglio, asparago, barbabietola da orto, basilico, bietola, broccoletto di rapa, carciofo, cardo, carota, cavolfiore, cavolo a penna, cavolo broccolo, cavolo cappuccio, cavolo di Bruxelles, cavolo rapa, cavolo rosso, cavolo verza, cetriolo da mensa, cetriolini, cipolla, cocomero o anguria, crescione, fagiuolo da sgusciare e fagiolini o fagiuoli mangiatutto, finocchio, fragola, insalata (indivia, lattuga, radicchio e cicoria), mais dolce, melanzana, melone o popone o cantalupo, pastinaca, peperone, pisello, piselli mangiatutto o taccole, pomodoro da industria, pomodoro da mensa, porro, prezzemolo, rabarbaro, rapa, ravanello, scalogno, scorzonera, scorzonera bianca, sedano (da coste e da foglie), sedano rapa (da radice), spinacio, timo, zucca, zucchine.

Ovini: capi della specie Ovis aries comprendente pecore, agnelle montate, agnelloni, ca-strati, montoni.

Perdite idriche reali: differenza tra volumi di acqua immessa in rete e la somma dei volumi di acqua erogata per usi autorizzati e delle perdite idriche apparenti.

Perdite idriche totali: differenza tra i volumi di acqua immessa in rete e i volumi di acqua erogata per usi autorizzati.

Perdite idriche totali percentuali: rapporto percentuale tra le perdite idriche totali e il vo-lume di acqua immessa in rete.

Popolazione residente: laddove non diversamente specificato, è la popolazione media dell’anno di riferimento, ottenuta come semisomma tra il numero di residenti registrati al 1 gennaio e al 31 dicembre.

Precipitazione: insieme di particelle di acqua, liquide e/o solide che cadono o vengono spinte verso il basso dalle correnti discendenti (venti discendenti) delle nubi fino a raggiun-gere il suolo. Le precipitazioni di acqua allo stato liquido sono pioviggine, pioggia, rovescio, temporale, rugiada e brina, mentre allo stato solido neve e grandine.

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104 Utilizzo e qualità della risorsa idrica in Italia

Prati permanenti e pascoli: coltivazioni foraggere erbacee fuori avvicendamento che oc-cupano il terreno per un periodo superiore a cinque anni. Comprendono prati permanenti (quando il foraggio viene, di norma, raccolto mediante falciatura) e pascoli (quando il fo-raggio viene utilizzato, di regola, soltanto dal bestiame pascolante).

Rete di distribuzione: complesso di tubazioni, relativo all’intero territorio comunale che, par-tendo dalle vasche di alimentazione (serbatoi, vasche, impianti di pompaggio), distribuisce l’acqua a uso potabile ai singoli punti di utilizzazione (abitazioni, stabilimenti, negozi, uffici).

Standardized precipitation index (SPI): sviluppato da McKee et al. (1993), quantifica, a di-verse scale temporali, il deficit di precipitazione e quindi gli effetti che ha sulla disponibilità delle differenti risorse idriche.

Suini: capi della specie Sus domesticus comprendenti maiali, verri e scrofe.

Superficie agricola utilizzata (Sau): insieme dei terreni investiti a seminativi, coltivazioni legnose agrarie, orti familiari, prati permanenti e pascoli e castagneti da frutto. Essa costi-tuisce la superficie investita ed effettivamente utilizzata in coltivazioni propriamente agrico-le. È esclusa la superficie investita a funghi in grotte, sotterranei e appositi edifici.

Trattamento di potabilizzazione: trattamento effettuato sull’acqua prelevata necessario per eliminare eventuali inquinanti e garantire la qualità nelle reti, fino al rubinetto dei consuma-tori. Si escludono le ordinarie operazioni di disinfezione o clorazione.

Trattamento più avanzato a valle dei precedenti: trattamento più avanzato rispetto ai trattamenti primario e secondario (esempio denitrificazione), in genere denominato tratta-mento terziario, che si applica a valle del trattamento primario e del secondario.

Trattamento primario: trattamento delle acque reflue che comporta la sedimentazione dei solidi sospesi mediante processi fisici e/o chimico-fisici e/o altri, a seguito dei quali prima dello scarico il BOD5 delle acque in trattamento sia ridotto almeno del 20 per cento e i solidi sospesi totali almeno del 50 per cento.

Trattamento secondario: trattamento delle acque reflue mediante un processo che in ge-nere comporta il trattamento biologico con sedimentazione secondaria, o mediante altro processo. Il trattamento si distingue in processo a biomassa sospesa o a biomassa adesa. È necessaria la presenza di biodischi, letti percolatori e vasche di aerazione nelle unità che costituiscono la linea acque dell’impianto.

Vacche da latte: bovine femmine che abbiano partorito almeno una volta e che, per razza o per qualità, siano adibite esclusivamente o prevalentemente alla produzione del latte desti-nato al consumo umano o alla trasformazione in prodotti lattiero caseari.

Vasca Imhoff: vasche settiche che consentono la chiarificazione dei liquami domestici pro-venienti da insediamenti civili di ridotte dimensioni. Le vasche sono proporzionate e costru-ite in modo tale che il tempo di detenzione del liquame sversato sia di circa 4-6 ore; il fango sedimentato è sottoposto a sedimentazione anaerobica.