utopia marzo 2011
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"L'Italia è fatta. E gli Italiani?"TRANSCRIPT
U T O P I AL'ITALIA E' FATTA. E GLI ITALIANI?
Pare che, alla fine, il 17 marzo sarà festa civileper tutti. Almeno sulla carta. Ma in realtà saremopochi a festeggiare. Al nord qualcuno appenderàalla finestra una bandiera padana,nell'orgogliosa rivendicazione di un'identità nonsolo geograficamente "superiore". Al sudqualcuno accenderà una candela in segno dilutto per la prematura scomparsa del fiorente edemocratico Regno delle Due Sicilie. Ilpatriottismo? Per qualcuno suona troppo "didestra". Per molti è semplicemente passato dimoda. Per tutti però, è qualcosa da rispolveraree sventolare quando si vince la Coppa delMondo, o si esibiscono le Frecce Tricolori. Maquando si arriva ad una data dicommemorazione importante per la nostra storia,non c'è miglior pretesto per tornare a dividersi. Equindi: neoborbonici che vorrebbero trascinare ipiemontesi davanti alla Corte Internazionale diGiustizia dell'Aja, federalisti dell'ultima ora cheriesumano Cattaneo per strumentalizzarne leidee, amministratori altoatesini in rotta dicollisione col conquistatore italico (salvo poigodere delle sue agevolazioni fiscali). Come senon bastasse, è montata la polemicasull'opportunità economica dei festeggiamenti,con la Lega che è scesa in campo a favore dellagiornata lavorativa (ma siamo sicuri chefesteggeranno lo stesso, con lo spumante neiluoghi di lavoro). E' possibile rinunciare a unagiornata lavorativa ogni mezzo secolo? La crisi èla crisi, ma forse a volte si esagera. A questopunto, sembra che la festa interessi solo aNapolitano: si potrebbe anche togliere il disturboe limitarsi ad una piccola festicciola alQuirinale. E quei milioni di italiani che credonoancora nel valore dell'unità? Si arrangino, micasi possono accontentare tutti!Ora più che mai, si torni a riflettere sulle paroledi Massimo D'Azeglio, sempre attuali: "Il primobisogno d'Italia è che si formino Italiani dotatid'alti e forti caratteri. E pur troppo si va ognigiorno più verso il polo opposto: s'è fatta l'Italia,ma non si fanno gl'Italiani". Temo che su questoci sia ancora molto lavoro da fare.
“Cara Italia, perché giusto o sbagliato che sia questo è il mio Paese con le sue grandi qualità ed i suoi grandi difetti.”Marzo 2011 Università di Catania
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Pietro Figuera
(a pag. 2)(a pag. 5)
“L’unità d’Italia è talmente bella
che qualcuno può permettersi di
dire che non va festeggiata. Pensate
la libertà che dà”. Il suono delle
parole di Benigni al Festival di
Sanremo riecheggia ancora nelle
menti di coloro che, seduti davanti
al megaschermo, hanno messo in
moto o fatto ripartire il loro spirito
di riflessione basato principalmente
sulla questione di “unità” e su
come la storia influenzi e persista
nelle scelte quotidiane. Ma al
giorno d’oggi è ancora possibile
parlare di unità nazionale?
Dopo anni e anni di silenzi e taciti
consensi, le donne hanno deciso di
dire basta e di alzare la voce: senon ora, quando? Questo è il gridoche si è elevato dalle maggiori
piazze d’Italia lo scorso 13
febbraio. Lavoratrici e
disoccupate, in cerca di lavoro e
casalinghe, giovani e meno
giovani, laiche e anche religiose,
donne celebri e donne invisibili,
italiane e straniere. Vite, età, ruoli
ed etnie diverse ma tutte unite da
un comun denominatore:
l’ indignazione.
DA GARIBALDI A BENIGNI:L'IMPORTANZA DELLA STORIA LA TEMPESTA DOPO LA QUIETE
Claudia CammarataA.A.V.V.
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Claudia CammarataLA TEMPESTA DOPO LA QUIETEDopo anni e anni di silenzi e taciti consensi, le donne hanno deciso di dire basta
e di alzare la voce: SE NON ORA, QUANDO? Questo è il grido che si è
elevato dalle maggiori piazze d’Italia lo scorso 13 febbraio. Lavoratrici e
disoccupate, in cerca di lavoro e casalinghe, giovani e meno giovani, laiche e
anche religiose, donne celebri e donne invisibili, italiane e straniere. Vite, età,
ruoli ed etnie diverse ma tutte unite da un comun denominatore: l’ indignazione.
Una profonda rabbia che scaturisce dall’ idea che ogni donna è seduta sulla
propria fortuna, che il corpo della donna sia un mero strumento di piacere a
disposizione di quegli onnipotenti che possano procurar loro un qualche
privilegio (dalla promozione in carriera alla vacanza in un lussuoso yacht).
Sembra che in questo paese la meritocrazia sia un fatto esclusivamente
maschile, le donne hanno come solo strumento a disposizione la loro capacità
seduttiva. Finalmente il silenzio è stato interrotto, le donne (ma anche tantissimi
uomini) hanno deciso di alzare i toni per ricordare che non è questa l’ Italia.
Come afferma Vendola esiste un’Italia migliore, fatta di donne che lavorano,
donne che studiano, donne che con sudore e fatica curano la propria famiglia,
donne che credono ancora nelle loro capacità prima ancora che nel proprio
corpo. Donne che amano e che sono ancora capaci di indignarsi di fronte a un
sistema che le vuole “vallette”. Più di un milione in piazza contro quei
comportamenti privati del premier che, con le sue notti brave ha deviato l’etica
pubblica e l’ha resa portavoce dei suoi vizi, che trasmette il messaggio per cui
tutto può essere comprato e che la libertà delle donne consiste nella libertà di
prostituirsi. E le donne della maggioranza come vedono questa mobilitazione di
massa al femminile? Per Mariastella Gelmini si tratta di “donne radical chic che
manifestano per fini politici e per strumentalizzare le donne. […] Oggi non va
in scena una manifestazione delle donne ma quella di militanti della sinistra
contro il Governo Berlusconi”. Mara Carfagna ha visto nella manifestazione un’
”occasione persa” poiché si è trasformata da dibattito sulla condizione e libertà
della donna all’ “ennesimo corteo contro il governo democraticamente eletto
dagli italiani e dalle italiane, strumentalizzando per fini politici le decine di
migliaia di donne scese in piazza in buona fede”. A dispetto di tali affermazioni
(scontate), l’ iniziativa ha riscosso ottimi risultati, le donne hanno rotto un
silenzio che da troppo tempo soggiornava indisturbato nel nostro paese. Anni di
quiete e ora, finalmente la tempesta. Del resto… se non ora, quando?
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LA DISOBBEDIENZA CIVILEPeppe URokku D'AmicoUna protesta pacifica contro la Riforma Gelmini
La Disobbedienza Civile è il saggio più famoso di Henry
David Thoreau, il cui tema centrale è la condanna al
Governo americano, accondiscendente alla schiavitù, alla
politica imperialista e alla guerra contro il Messico;
Thoureau, contrario alla condotta del suo governo schiavista
e imperialista, decise di disobbedire alla leggi, rifiutandosi
di pagare le tasse; pertanto finì in carcere, dove vide la luce
il suo saggio che si presentava con le seguenti parole: “Il
Governo migliore è quello che governa meno”. Thoreau
dispiega tutto il suo credo politico nella sua spassionata
fiducia verso l’ individuo, che in perfetta autonomia sceglie
tra giusto ed errato, convinto che il diritto del singolo sia
molto più importante della legge; per tale ragione invita tutti
a rifiutare le regole e i comportamenti non condivisi, senza
però menzionare mai la protesta violenta ma il solo ed
esclusivo ricorso alla “resistenza passiva”, divenuta linfa del
pensiero e dell’azione politica degli uomini più grandi del
nostro tempo: da Martin Luther King a Gandhi, che fecero
della “disobbedienza” di Thoreau il caposaldo del loro,
forse utopico, ideale.
Nel nostro momento attuale, di grande fermento sociale, di
una Nazione divisa tra studenti e precari in piazza e uomini
politici e d’affari tra stanze d’albergo di lusso, droga, escort
e magistrati “politicizzati”, diventa di grandissimo spessore
politico e sociale un passo del testo riferito alle leggi
ingiuste: “Le leggi ingiuste esistono, dobbiamo essere
contenti di obbedirle o dobbiamo trasgredirle da subito?
Perché [il Governo] non è più propenso a prevenire e a
provvedere alle riforme? Perché non ha a cuore la sua
saggia minoranza? Perché crocefigge sempre Cristo, e
scomunica sempre Copernico e Lutero?”.
Nei mesi appena trascorsi, la protesta dei giovani studenti e
degli operai ha forse “varcato il Rubicone” del consenso
popolare, più che nelle strade è scesa nelle coscienze della
gente, superando alcune occasioni di violenza “estranea”, ha
accompagnato non solo le testate dei quotidiani ma anche le
giornate di tutti noi; di tutti noi, ma non del Governo che
imperterrito ha continuato per la sua strada, approvando il
Decreto e spianando la strada al principio della riforma
“giusta e necessaria”. Tutti noi studenti, e tutti noi cittadini,
siamo ancora fortemente convinti che la battaglia che la
“sala dei bottoni” ha pensato di stroncare con
l’approvazione del ddl, non sia ancora finita, che le strade e
le piazze torneranno a riempirsi e che la disobbedienza
pacifica alla Riforma Gelmini continuerà in ogni aula delle
nostre Facoltà; i ricercatori, che spesso vivono con poco più
di mille euro al mese, insieme agli studenti, minacciano le
“serrate”, di non accettare gli insegnamenti dell’anno a
venire, di continuare ad oltranza la loro protesta.
E’ questa quindi la prospettiva dell’Università “Gelmini”,
quella delle cattedre quasi vuote, dei corsi di laurea
soppressi, della continua mancanza di servizi, qualità,
competenza; e questa sarà la risposta di chi l’Università la
vive giorno per giorno: disobbedienza civile e resistenza
passiva, per far si che questa “minoranza qualificata”, per
adesso fin troppe volte non ascoltata e licenziata come
“bambocciona” e “fannullona”, diventi reale voce in
capitolo nel processo politico di questo Paese.
Questa generazione “fantasma” di precari, calpestata
dall’arroganza dei governanti, continuerà a sperare nelle
parole di Thoureau: “Mi compiaccio di immaginare uno
Stato che alla fine possa permettersi di essere giusto con
tutti gli uomini, e di trattare l’ individuo con rispetto, come
un vicino … di considerarli uomini e non sudditi”.
Il cambiamento di uno Stato, però, passa prima per il
cambiamento dei suoi singoli cittadini; quel cambiamento
negli studenti e nei precari dell’Università, dopo l’attacco
Gelmini, sta già avvenendo e certamente non si fermerà
più; speriamo che il sogno di Thoureau diventi un po’ pure
il nostro.
Henry David Thoreau
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Soffro nel sentir parlare della mia amata Sicilia, soffro ogni
volta che viene fatto il più facile degli accostamenti e la
nostra terra viene subito collegata al fenomeno mafioso.
Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi di quanto
questa organizzazione criminale sia radicata nel nostro
territorio ma si dovrebbe prestare più attenzione a chi questo
fenomeno lo combatte. Tutti noi sin da piccoli siamo abituati
a sentire e conoscere i nomi di Bernardo Provenzano, Totò
Riina, Nitto Santapaola e tutto il resto della “ciurma”,
conoscenza che viene ampliata sempre più da film, articoli
di giornali e (moda degli ultimi anni) serie tv
intende a raccontarne e quasi “esaltarne” le
gesta. Allora mi sorgono spontanee delle
domande: chi di noi da piccolo conosceva
Peppino Impastato?! Chi conosce la vita di
Giuseppe Fava?! Esclusi casi rari, siamo
entrati a conoscenza di questi nomi solo in
età quantomeno adolescenziale (in alcuni
casi anche più tardi). Da poco è trascorso
l’anniversario dell’uccisione del giornalista
Giuseppe Fava e come ogni anno mi ritrovo
a raccontare a me stesso la storia di
quest’uomo, in modo da non dimenticare
(cosa che spesso fanno i mezzi d’ informazione, anche quelli
siciliani! ). Sono le gesta di uomini come il giornalista
siciliano che dovrebbero essere raccontate e non quelle di
chi questa terra l’ha resa “sterile”. Come pochi Fava è
riuscito a combattere la Mafia usando l’ informazione, i suoi
articoli di giornale infatti non erano accuse campate in aria,
ma erano dei veri e propri elenchi di nomi, i nomi di chi
stava distruggendo la terra che lui amava. Però è qui che
qualcosa di strano avviene, tutti noi infatti siamo abituati sin
da piccoli ad avere paura di chi “alza la voce” (siano essi
genitori o insegnanti) poiché sono per noi monito di star
sbagliando qualcosa, in Sicilia invece non è così, le parti si
invertono ed è chi “alza la voce” a dover scoprire il
sentimento della paura. La paura che qualcuno possa sentirti,
magari la persona sbagliata, poco importa se stai dicendo il
vero, così ti ritrovi senza volerlo ad abbassare i toni per
sentirti più sicuro. “Pippo” Fava decise di non abbassare i
toni, consapevole di quello che stava rischiando e così
mentre lasciava la redazione del giornale del quale era
direttore (“I siciliani”) per raggiungere la nipote la sua vita
venne bruscamente stroncata… BANG! BANG! BANG!
BANG! BANG! Questo “suono” che troppo spesso
accompagna le storie degli eroi siciliani incrociò la sua
strada, cinque colpi alla nuca lo uccisero,
venne colpito alle spalle perché anche i
mafiosi hanno paura, paura di chi sta
lentamente “uccidendo” tutti loro solo con
la sola forza di una macchina da scrivere.
Lasciamo perdere le vicende giudiziarie e le
mille contraddizioni che come sempre
accompagnano i processi delle vittime di
Mafia, non è la sua morte che voglio
ricordare, ma l’esempio che ha dato in vita.
Storie come la sua dovrebbero trovare più
spazio e non essere lasciate nel
dimenticatoio, così magari un giorno non
soffrirò nel conversare con un mio coetaneo non siciliano,
magari (nessuno ci vieta di sperare! ! ) parlando della mia
terra anche lui farà un facile accostamento a “Pippo” Fava e
non a coloro che preferisco non citare.
« Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione sul problema
della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte
sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli
che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si
può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti
impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale,
questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte
le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della
mafia è molto più tragico ed importante… » Giuseppe Fava
PIPPO FAVA E GLI EROI CHE VORREMMO RICORDAREGiovanni Timpanaro
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DA GARIBALDI A BENIGNI: L'IMPORTANZA DELLA STORIASimona Mancino, Maria Stella Peci, Angela Catania
“L’unità d’Italia è talmente bella che qualcuno può permettersi
di dire che non va festeggiata. Pensate la libertà che dà”.
Il suono delle parole di Benigni al Festival di Sanremo
riecheggia ancora nelle menti di coloro che, seduti davanti al
megaschermo, hanno messo in moto o fatto ripartire il loro
spirito di riflessione basato principalmente sulla questione di
“unità” e su come la storia influenzi e persista nelle scelte
quotidiane. Ma al giorno d’oggi è ancora possibile parlare di
unità nazionale? Si evince dalle notizie degli ultimi giorni la
frammentazione di fondo che emerge dai pareri divergenti in
merito alla questione della celebrazione o meno del 1 50esimo
anniversario dell’unità d’Italia. Se da una parte c'è chi, come
Calderoli, si oppone ai festeggiamenti preoccupato della
situazione di crisi economica che vede l’Italia il primo Paese
europeo per debito pubblico, o come la città di Bolzano che
annuncia di non partecipare attivamente legandosi agli eventi
storici passati (nel 1 918, infatti, era una minoranza austriaca
staccata dall’Austria contro la volontà dei cittadini di
Bolzano), dall’altra Rosi Bindi evidenzia l’ importanza
dell’unità d’Italia come relazione portante tra elementi del
presente come i diritti del lavoro e quelli del passato, che
mostrano la Resistenza come un insieme di valori non astratti
ma alla base della Costituzione. Tutte scelte che affondano le
loro radici nella Storia. “Storia” intesa come quella continua
ricerca di eventi passati che danno una spiegazione al presente
umano. Ma quanti sanno davvero a chi dobbiamo ringraziare
per la piena realizzazione della nostra unità non solo a livello
territoriale ma soprattutto politico e sociale? Chi, sentendo
pronunciare i nomi di Mazzini, Cavour o Garibaldi si pone
ancora degli interrogativi su quali gesta vedevano protagonisti
questi “grandi della storia” o invece, con aria indifferente si
sofferma a pensare che siano solo nomi riferiti agli ultimi
calciatori comprati dall’ Inter? Aldilà di quali siano le risposte
a tutto questo, in un’Italia che è pronta a imbrogliare e a
prendersi gioco dell’ ingenuità della sua popolazione, le armi
non violente che rimangono per difendersi sono combatterel'ignoranza e alimentare sempre la fiamma del nostro sapere.Bisogna capire da dove siamo venuti per comprendere il
presente, perché dietro a tutte le sfumature in cui si mostra la
vita oggi, c’è l’opera di qualcuno che è venuto prima di noi.
Prendendo familiarità con il passato possiamo essere in grado
di dare una forma ben definita alle nostre radici e di
estrapolare gli insegnamenti e gli errori, fondamentali per un
cambiamento o una continuità di valori. Senza “ieri”, l’oggisarebbe come un oggetto impolverato rimasto su una credenza
che ha dimenticato il motivo per cui era stato creato.
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Nessuno l'aveva prevista. Una fiammata che ha attraversato
tutto il mondo arabo, dal Marocco all'Oman, e che sembra
ancora lontana dall'estinguersi. Una rivoluzione così rapida,
estesa e violenta, fino a qualche mese fa era impensabile.
Eppure è avvenuta, e oggi l'Occidente deve farci i conti, e deve
farli anche con i fantasmi del suo passato. Finora è rimasto a
guardare, con ignavia, il risultato delle sue politiche
fallimentari. Perchè?
La rivoluzione sorprende e coglie impreparato l'Occidente
almeno per tre motivi. Primo, non è una semplice "rivolta del
pane", ha degli obiettivi politici ben dichiarati (quasi sempre il
regime change) ed è portata avanti da giovani di tutte le fasce
sociali ma prevalentemente disoccupati e ben istruiti. Secondo,
le telecamere non hanno inquadrato simboli religiosi: la
rivoluzione è assolutamente laica e priva di qualsiasi guida
spirituale o rivendicazione religiosa. La Tunisia, da cui è partita
la rivoluzione, è un paese ad alto tasso di secolarizzazione da
ben prima di Ben Alì; un discorso simile vale per l'Egitto,
nonostante i Fratelli Musulmani. Anzi, gli stessi Fratelli
Musulmani, in prima linea contro Mubarak, hanno portato
avanti rivendicazioni politiche nonostante la propria matrice
religiosa. La favola del mondo arabo in maggioranza
antidemocratico e fondamentalista non può più attecchire su di
noi. Infine, la rivoluzione ha sorpreso grandemente la comunità
occidentale per la rapidità con cui si è propagata. Nessuno, allo
scoppio dei primi disordini, avrebbe pronosticato una
sollevazione che coinvolgesse una ventina di paesi con tale
rapidità.
Oggi ritorna d'attualità il vecchio dibattito euro-americano tra
principi e sicurezza, tra valori e realpolitik. In realtà, un vero
dibattito non c'era mai stato, perchè gli occidentali hanno
sempre optato per l'appoggio ai regimi dittatoriali che potessero
garantire pace con Israele, guerra al terrorismo, riduzione dei
flussi migratori. La discrepanza con i valori al contempo
proclamati, e in qualche caso poi addirittura "esportati", non
sarebbe potuta essere più evidente. Naturalmente si è trattato di
una scelta legittima, dettata da esigenze di sicurezza nazionale
(e anche dalle richieste più o meno esplicite dei cittadini in
tema di energia, sicurezza, immigrazione: non dimentichiamo
che siamo tutti in parte responsabili della politica estera di chi
ci rappresenta). Ma oggi non si abbia l'ipocrisia di elogiare il
coraggio degli insorti, dopo che per decenni abbiamo venduto
armi ai loro despoti. E' doveroso un onesto e dichiarato mea
culpa sugli errori commessi nel passato. Finora abbiamo visto
un atteggiamento molto prudente, sia da parte americana sia da
parte europea. La classe politica italiana, troppo impegnata nei
profondi dibattiti sulle escort, s'è accorta in ritardo di quanto
stava avvenendo. Ma anzichè correre ai ripari formulando un
piano immediato per la crisi mediterranea, si è mobilitata solo
sulla questione della ricezione degli immigrati, sì grave, ma
consequenziale ai problemi d'origine. La prudenza
internazionale dell'Italia è dettata non tanto e non solo
dall'imbarazzo per i vivaci rapporti che abbiamo intrattenuto
fino a qualche giorno fa con Gheddafi: essa sembra dettata
soprattutto dall'incapacità di agire, di fornire una risposta
credibile alle pressioni che stiamo subendo, di uscire dai
tradizionali schemi geopolitici del Mediterraneo. Se non
vogliamo perdere ulteriormente influenza su quello che un
tempo era il "mare nostrum", dobbiamo avere una linea decisa,
anche interventista: non possiamo aspettare sempre che l'UE o
gli USA vengano in soccorso.
Mentre la politica si preoccupa delle contingenze politiche ed
economiche, l'opinione pubblica ammira il coraggio di una
generazione che sta scrivendo la storia. Una generazione che
non ci aspettavamo, intrisa di valori così simili ai nostri, ma
che a differenza nostra non rimane inerte di fronte alle proprie
responsabilità di autodeterminazione politica.
Forse il maggior merito di questa rivoluzione non è stato
quello di far fuori Ben Alì e Mubarak, ma quello di spazzare
via parecchi pregiudizi occidentali. In primis quell'alone di
superiorità (morale?) e quel ruolo di esplicita leadership che ci
eravamo assegnati da soli nella guida del mondo arabo alla
conquista della democrazia e dei diritti. I giovani arabi hanno
dimostrato al mondo non solo che a quei valori ci tengono, ma
anche che sono capaci di conquistarseli da soli, senza la
necessità di un intervento armato occidentale.
LA PRIMAVERA ARABA E L'AMBIGUITA' OCCIDENTALEPietro Figuera
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No, tutto questo è stato solo di intralcio alla diplomazia
internazionale. L'operato di Assange, e degli altri
responsabili di questa fuga di informazioni riservate, non ha
fatto altro che generare diffidenza e tensione all'interno di
alcuni dei già precari rapporti tra i capi di stato e tra i
cittadini stessi. Inutile sottolineare quanto la mancanza di
discrezione possa essere dannosa in quelli che sono i rapporti
tra le nazioni più importanti nello scenario globale, infatti ciò
potrebbe provocare rallentamenti nei processi di formazione
delle intese politiche ed economiche dei paesi maggiormente
coinvolti nella politica estera. E' importante che le
informazioni ed i messaggi restino confidenziali, al fine di
raggiungere la migliore intesa possibile tra i diplomatici.
Come la pensano gli universitari catanesi? Intervista a due studenti, Massimiliano e Francesco
Sono d'accordo, è giusto che l'opinione pubblica sia al
corrente del lavoro che compie la diplomazia, per una
questione di democrazia e trasparenza. Finalmente è
arrivato qualcuno in grado di rivelare verità scomode e
ipocrisie dei governi anche grazie ad un'organizzazione
complessa con adeguati mezzi finanziari; tuttavia ora che
'è scoppiata la bomba' Assange sta facendo i conti con gli
ostacoli posti da una certa parte del mondo mediatico e
finanziario, che non ha gradito l'uscita dei file. Questo è
l'ultimo muro da abbattere per la democrazia e per il
diritto dei cittadini ad essere informati sulla correttezza
delle istituzioni.
IL CASO WIKILEAKSSei d'accordo con la pubblicazione dei file segreti operata da Wikileaks?
Secondo te, quello che è avvenuto rivoluzionerà la diplomazia?
I contenuti dei files sono stati davvero esplosivi?
Credi sia giusta la condanna di Julian Assange?
Assolutamente no, non sarà determinante in quelli che sono
i meccanismi della diplomazia internazionale. Non è la
prima volta che si verifica una fuga di notizie riservate,
pertanto difficilmente il sistema verrà intaccato da questo
evento. Piuttosto ci sarà una maggiore attenzione nella
gestione delle informazioni e nella loro archiviazione, per
fare in modo che queste notizie, talvolta anche pericolose se
di pubblico dominio, possano venire reperite solo dai pochi
responsabili a cui giovano.
Oggettivamente no, le informazioni riportate su Wikileaks
sono "grezze", vale a dire che è stata scoperta l'acqua calda
su quella che è l'opinione pubblica sui maggiori leader nello
scenario internazionale. Basti analizzare quanto riporta su
Silvio Berlusconi: non sono altro che notizie, già note ai più,
su festini che ha organizzato in passato e dei rapporti molto
stretti con Vladimir Putin. Oppure anche quanto concerne
Gheddafi, cioè altro non fa che riportare quelle che sono
notizie già note ma in una forma molto meno "diplomatica".
E' stata giusta la sua condanna in quanto è stato accusato di
stupro, molestie e coercizione illegale: tutto ciò è stato causato
dal rifiuto di effettuare esami per le malattie sessualmente
trasmissibili dopo aver avuto rapporti non protetti con due
donne, anche se queste ultime erano consensienti. Dopo il suo
rilascio su cauzione il 1 6 Dicembre, dopo appena nove giorni di
carcere, persiste solo un'accusa di spionaggio da parte degli Stati
Uniti d'America, anche se in Australia gli agenti federali stanno
studiando tutta la vicenda, visto che c'è la possibilità che
Assange abbia violato molte leggi pubblicando quelle
informazioni su Wikileaks.
Sì, credo che da oggi i governi di tutto il mondo dovranno
essere più responsabili. Sicuramente i paesi più esposti
alla propria opinione pubblica (come gli Usa) saranno
meno spregiudicati nel creare accordi segreti e fuori
dall'interesse dei propri cittadini. Tutto ciò può essere
soltanto positivo per lo sviluppo di una più giusta
cooperazione internazionale. Unico neo: dopo le
rivelazioni di certi giudizi degli ambasciatori americani,
alcuni governi alleati saranno più chiusi e meno fiduciosi
nei confronti degli Usa. Ma sarà solo temporaneo.
Assolutamente sì, dai 25mila file abbiamo scoperto
molte cose importanti, a partire dal giudizio degli
americani sull'Italia, ma anche diverse informazioni
sull'andamento della guerra in Afghanistan che dai media
ufficiali non sarebbero mai trapelate. La persecuzione
giudiziaria e l'assalto da parte dei politici di mezzo
mondo dimostra quanto certe rivelazioni siano quanto
meno scomode, anche se i protagonisti interessati
cercano di negarlo.
No, l'accusa di stupro è servita solo per attaccarlo, ma il
caso rimane squisitamente politico. E' un personaggio
scomodo a tutti i governi, lo si vuole mettere a tacere
illecitamente con un'accusa falsa e gonfiata. Si abbia
almeno il coraggio di processarlo per i "crimini" che gli
contestano veramente, ovvero per la diffusione di
documenti governativi riservati. Ma non lo faranno,
perchè sarebbe un attentato alla libertà di espressione e
l'opinione pubblica insorgerebbe.
[Massimiliano F.] [Francesco L.]
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RENEWAL, ROMANZO STORICO DEGLI ANNI ZERO“Diario del Guardiano.
Stamani la civetta ha bussato alla mia finestra. Ormai
l'evento è vicino e il nostro futuro è prossimo. Il giorno sta
arrivando.”
Questa è la finestra che si apre su “Renewal” di Dario Piparo,
scrittore agrigentino che nel suo libro d’esordio riporta alla
memoria presente una storia dimenticata da tempo, quella del
popolo Ilois, abitanti dell’ isola Diego Garcia, atollo perso
nell’Oceano Indiano e Territorio Britannico d’Oltremare.
Alla fine degli anni Sessanta la Gran Bretagna concesse agli
Stati Uniti d’America l’utilizzo dell’ isola a scopi militari per
settant’anni, così i duemila Ilois che vi risiedevano furono
deportati dalle autorità britanniche col supporto del Governo
statunitense sull’ isola di Mauritius. Piparo, in Renewal, sullo
sfondo della vicenda storica disegna un personaggio che si
muove ai giorni nostri: Kevin Stanford, giornalista
statunitense di venticinque anni, in viaggio alle Maldive con
un gruppo di amici. In mezzo alle loro storie di sesso e
d'amore, di amicizia e tradimenti, una serie di scoperte
sconvolge il loro viaggio: un antico manufatto, un messaggio
cifrato, un'isola apparentemente deserta.
Chi si nasconde dietro questo enigma? Perché Kevin e i suoi
amici vengono coinvolti? Chi è e quali poteri ha il
Guardiano? Una serie di indizi li porterà a imbattersi in
occulte trame internazionali, in depistaggi della CIA e,
naturalmente, nell'orgoglio ferito e nella "magia" del popolo
Ilois, desideroso di riconquistare a ogni costo la sua isola. A
lungo, infatti, gli Ilois e i loro discendenti hanno cercato di
vedere legalmente riconosciuto il proprio diritto di ritorno a
Diego Garcia. L’Alta Corte Britannica pur riconoscendo nel
2000 l’ illegalità dell’espulsione di quel popolo dalle sue
terre, nel 2003 respinge le richieste di concedere ogni diritto
di ritorno in linea di principio, decisione che sarà confermata
definitivamente nel 2004.
Dario Piparo, scava per riportare la verità su una storia
insabbiata per anni dai governi, ai fini di proteggere la scorza
del politically correct. <<Ho trovato Diego Garcia
curiosando sull’Atlante e ho trovato la mia storia. Così ho
deciso di raccontarla perché è una vicenda terribile e reale,
mi fa arrabbiare che molti non la conoscano neanche.>> ,
risponde alla curiosità sul perché abbia scelto di raccontarci
proprio questo fatto.
Un thriller con sfumature fantastiche, che attraverso
l'avventura romanzata ha tentato di dare voce a questa storia
con uno slancio anacronistico. Renewal –edito da Casini e
nelle librerie dal 23 Febbraio 2011 - è un libro ricco di
intrecci e situazioni, angoli bui e raggi di sole, che non
lascia spazio alle interruzioni, ai surplus letterari ma
soprattutto alle coltri d’ ingiustizia, per dare il legittimo
spazio alla sempre più rara verità storica.
Valentina Oliveri
Utopia - Numero 0 in attesa di registrazione. UDU Catania