v serie 1973 fascicolo ii-iii (aprile-settembre) · nale da datare ancora nella prima metà del iii...

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nale da datare ancora nella prima metà del III secolo a. C., mentre le differeni;e stilistiche, più che struttu- rali, sarebbero da attribuire ai copisti di età romana. Per la datazione di questa nuova replica è necessario tenere presente il notevolissimo colorismo, il tratta- mento barocco, visibile specialmente nella regione della fronte - arcate sopraorbitarie - occhi, che sembra far contrasto con le chiome, in massa compatta, e con la barba, più' composta e fluente di quella della copia di New York, datata al periodo flavio. r6J L'erma al Museo Capitolino è datata al II secolo d. C., r7) quella di Ravenna al periodo traiano-adrianeo. rBJ Una datazione al primo periodo dell'impero di Antonino Pio potrebbe forse essere presa in considerazione, tenendo presente anche il trattamento della barba e delle chiome, vicine, per tecnica, a quelle dell'Antonino Pio rinvenuto nello " stadio , del Palatino, verosimilmente opera di artista greco. rg) Nulla si può dire circa il luogo di rinvenimento, ma trovandosi essa nel Museo Nazionale Romano e te- nendo presente che la parte degli esemplari è stata trovata o è stata acqUlstata a Roma, si può pensare che anche questa replica sia stata restituita dal suolo di Roma. 20 > ELISA LISSI CARONNA I) È stata inventariata con il n. I97306. È delle seguenti mi- sure: alt. totale cm. distanza dall'estremità delle "ciocche sulla fronte all'estremità mferiore della barba cm. 25,5; distanza tra gli angoli esterni degli occhi cm. II. Manca la parte inferiore del naso, è scheggiata la virgola centrale sulla fronte, vi è una graffiatura sulla guancia sinistra e qualche piccolo tratto della barba sul lato sinistro è abraso. Probabilmente ad un leggero colpo di piccone è dovuta la depressione che si nota sul naso, vicmo all'occhio sinistro. La superficie del marmo, italico, è molto fresca; si notano resti di concrezione calcarea sulla guancia sinistra. La testa è volutamente tagliata alla radice del collo, con taglio molto regolare, fatto per poterla inserire in un busto o in una statua. };: certamente entrata nel Museo Nazionale Romano dopo il I953, anno di pubblicazione del catalogo dei ritratti del Museo, curato da B. M. Felletti Maj. 2) Cfr. A. ADRIANI, Precisazioni su alcuni ritratti ellenistici, in Annuario .Scuola Arch. Atene, XXIV-XXVI (I946-48), I950, I48. 3) G. M. A. RICHTER, The Portraits of the Greeks, II, London I965, p. I97, n. 28, figg. I2oo-I203· 4) RICHTER, op. cit., p. I95, n. I, figg. II49-II50, II53• 5) RICHTER, op. cit., p. I96, n. 8, figg. II75-II77· 6) RICHTER, op. cit., p. I96, n. 5, figg. II54-II56. 7) Per l'erma di Ravenna, RICHTER, op. cit., p. I96, n. I3, figg. II65-II66; per la testa al Louvre, pp. I96-I97, n. I7, figg. II86-II88; per le due teste a Copenhagen, p. I97, n. 2I, figg. II78-II79; n. 23, fig . I2IO. 8) ADRIANI, art. cit., p. Ioo. L'Adriani, trattando appunto della replica di Copenhagen I. N. 007, premette di conoscere il pezzo solo in fotografia. E la fotografia presentata è precedente all'aspor- tazione dei restauri moderni. Corifrontando la fotografia data dal- l'Adriani con quella data dalla RICHTER, op. cit., figg. II78-II79, posteriore all'asportazione dei restauri, non si può fare a meno di notare come le chiome sulla fronte, tutte di restauro, presentino, per la disposizione delle virgole, un confronto assai calzante con la replica del Museo Nazionale Romano. E non sembra che tale restauro sia stato ispirato dalle altre due teste a Copenhagen (RICHTER, Op. cit., nn. 22 e 23, figg. I205-I206 e I2IO). 9) Cfr. ADRIANI, art. cit., p. Ioo. IO) Cfr. ADRIANI, art. cit., p. I58. II) RlCHTER, op. cit., p. I96, n. 9 1 figg. II8o-II82. I2) Per il busto al Museo Capitoliito, RicHTER, op. cit., p. I95, n. 2, figg. II5I-II52; per la testa a Copenhagen I. N. 007, p. I97, n. 2I, figg. II78-II79; per la testa al British Museum I843, Il· I97, n. I9, figg. II92-II94; per l'erma I844, p. I97, n. 20, figg. II95-II97• I3) ADRIANI, art. cit., pp. I6o-I62. I4) P. E. ARIAS, Le erme di Ravenna, in Jd/68, I953, pp. II8- II9· I5) RICHTER, op. cit., pp. I99-200· I6) K. ScHEFOLD, Die Bildnisse der Antiken Dichter, Redner und Denker, Base! I943, p. nS. I7) J. J. BERNOULLI, Griechische Ikonographie, II, Miinchen I9QI, p. I29; TH. LoRENZ, Galerien von griechischen Philosophen mit Dichterbildnissen bei der Romem, Mainz I965, p. 27. I8) ARIAS, art. cit., p. II5. I9) Cfr. M. WEGNER, Die Herrscherbildnis1e in Antoninischer Zeit, Berlin I939, p. I42, tav. 8. 20) Per i ritratti di Epicuro rinvenuti in Roma dr. RICHTER, op.cit., p. I95, n. I (a S. Maria Maggiore); n. 3 (Piana S. Maria Maggiore); n. 4 (a Roma Vecchia sull'Appia); p. I99, n. 4, torso (sull'Esquilino); per quelli acquistati a Roma, p. I97, n. I9; n. 20; n. 2I; n. 22; n. 23; n. 28; p. I98, statua (nel giardino dell'Ambasciata americana a Roma). Per il notevole numero di ritratti di Epicuro e per le fonti antiche cfr. RicHTER, op. cit., p. I95· UNA CROCE DIPINTA SICILIANA Alla memoria di Raffaello Delogu. Il primo cenno che si incontra su questa Croce, ap- partenente all'antica Cattedrale di Mazara, r) è del 1630. Il Pirri, un autore fondamentale per .la storiografia religiosa, diplomatica e talvolta anche artistica siciliana, afferma che il Vescovo Gasco (157o-1586) trasferì que- sto Crocefisso, " graece elaboratum , e " antea supra chori portam , , " in arcum tituli, ubi modo visitur ,. :a) Nel 1657, poi, in una "Relazione di Sacra visita,, è detto appeso alla parete frontale della Cappella del Sacramento. 3) Infine, almeno dal primo decennio di questo secolo e sino al 1962, stette sospeso, in alto, all'arco della Cappella del Crocefisso, 4) da dove venne rimosso per pericolo di caduta e trasferito nel vicino Palazzo Vescovile; qui fu visto, nel 1963, dallo scri- vente e dal compianto prof. Delogu, che ne dispose subito il restauro. Al di fuori di tali scarsi cenni, relativi alle vicende esterne dell'opera, con il piz;zico d'interesse critico che offre quel " graece elaboratum , , non se ne hanno altri, se non localmente, come pure e semplici ripeti- zioni o derivazioni da essi e con l'aggiunta attributiva arbitraria al tempo del Cardinale Bessarione, Vescovo di Maz;ara tra il 1448 è il 1462; che può essere stato, se mai, il tempo di donaz;ione dell'opera alla Chiesa. 5) Per essere, con la Croce giuntesca ora nella Galleria di Palermo, 6 l un raro incunabolo di tale genere di pittura in Sicilia, poi ampiamente diffuso nel Quattro e Cinquecento, e presentando taluni interessanti o ad- dirittura eccezionali aspetti sia iconografici che modo- logici e stilistici, che ne sollecitano, tra l'altro, un più completo e approfondito esame, se ne dà qui un più amp1o cenno di quelli, purtroppo sommari che, anche per contingenti motivi, ne abbiamo fatto qualche tempo addietro. 7l La pittura delle due facce, col Christus Patiens in quella principale e l'Agnello Mistico e i simboli degli Evangelisti in quella secondaria (figg. 1,4,5) è a tempera su leggera. preparazione a gesso e colla, previo rinforzo di tela nelle giunture del legno e nel raccordo tra la superficie interna, ovviamente piana, e i bordi, alquanto rialz;ati, che la delimitano. La forma della Croce, che misura cm. 315 x 219, è tra le più semplici che sia dato conoscere, poiché la naturale sagoma delle tavole è soltanto modificata da un assai limitato slargarsi ad angolo retto dei capicroce; il legno, di pioppo, presenta limitate erosioni, specie lungo i bord1; non vi sono tracce di tabellone centrale o altri ampliamenti della Croce. I77 ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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Page 1: V Serie 1973 fascicolo II-III (Aprile-Settembre) · nale da datare ancora nella prima metà del III secolo a. C., mentre le differeni;e stilistiche, più che struttu rali, sarebbero

nale da datare ancora nella prima metà del III secolo a. C., mentre le differeni;e stilistiche, più che struttu­rali, sarebbero da attribuire ai copisti di età romana.

Per la datazione di questa nuova replica è necessario tenere presente il notevolissimo colorismo, il tratta­mento barocco, visibile specialmente nella regione della fronte - arcate sopraorbitarie - occhi, che sembra far contrasto con le chiome, in massa compatta, e con la barba, più' composta e fluente di quella della copia di New York, datata al periodo flavio. r6J L'erma al Museo Capitolino è datata al II secolo d. C., r7) quella di Ravenna al periodo traiano-adrianeo. rBJ Una datazione al primo periodo dell'impero di Antonino Pio potrebbe forse essere presa in considerazione, tenendo presente anche il trattamento della barba e delle chiome, vicine, per tecnica, a quelle dell'Antonino Pio rinvenuto nello " stadio , del Palatino, verosimilmente opera di artista greco. rg)

Nulla si può dire circa il luogo di rinvenimento, ma trovandosi essa nel Museo Nazionale Romano e te­nendo presente che la ma~gior parte degli esemplari è stata trovata o è stata acqUlstata a Roma, si può pensare che anche questa replica sia stata restituita dal suolo di Roma. 20

> ELISA LISSI CARONNA

I) È stata inventariata con il n. I97306. È delle seguenti mi­sure: alt. totale cm. ~4; distanza dall'estremità delle "ciocche sulla fronte all'estremità mferiore della barba cm. 25,5; distanza tra gli angoli esterni degli occhi cm. II. Manca la parte inferiore del naso, è scheggiata la virgola centrale sulla fronte, vi è una graffiatura sulla guancia sinistra e qualche piccolo tratto della barba sul lato sinistro è abraso. Probabilmente ad un leggero colpo di piccone è dovuta la depressione che si nota sul naso, vicmo all'occhio sinistro. La superficie del marmo, italico, è molto fresca; si notano resti di concrezione calcarea sulla guancia sinistra. La testa è volutamente tagliata alla radice del collo, con taglio molto regolare, fatto per poterla inserire in un busto o in una statua. };: certamente entrata nel Museo Nazionale Romano dopo il I953, anno di pubblicazione del catalogo dei ritratti del Museo, curato da B. M. Felletti Maj.

2) Cfr. A. ADRIANI, Precisazioni su alcuni ritratti ellenistici, in Annuario .Scuola Arch. Atene, XXIV-XXVI (I946-48), I950, P· I48.

3) G. M. A. RICHTER, The Portraits of the Greeks, II, London I965, p. I97, n. 28, figg. I2oo-I203·

4) RICHTER, op. cit., p. I95, n. I, figg. II49-II50, II53• 5) RICHTER, op. cit., p. I96, n. 8, figg. II75-II77· 6) RICHTER, op. cit., p. I96, n. 5, figg. II54-II56. 7) Per l'erma di Ravenna, RICHTER, op. cit., p. I96, n. I3,

figg. II65-II66; per la testa al Louvre, pp. I96-I97, n. I7, figg. II86-II88; per le due teste a Copenhagen, p. I97, n. 2I, figg. II78-II79; n. 23, fig. I2IO.

8) ADRIANI, art. cit., p. Ioo. L'Adriani, trattando appunto della replica di Copenhagen I. N. 007, premette di conoscere il pezzo solo in fotografia. E la fotografia presentata è precedente all' aspor­tazione dei restauri moderni. Corifrontando la fotografia data dal­l'Adriani con quella data dalla RICHTER, op. cit., figg. II78-II79, posteriore all'asportazione dei restauri, non si può fare a meno di notare come le chiome sulla fronte, tutte di restauro, presentino, per la disposizione delle virgole, un confronto assai calzante con la replica del Museo Nazionale Romano. E non sembra che tale restauro sia stato ispirato dalle altre due teste a Copenhagen (RICHTER, Op. cit., nn. 22 e 23, figg. I205-I206 e I2IO).

9) Cfr. ADRIANI, art. cit., p. Ioo. IO) Cfr. ADRIANI, art. cit., p. I58. II) RlCHTER, op. cit., p. I96, n. 91 figg. II8o-II82. I2) Per il busto al Museo Capitoliito, RicHTER, op. cit., p. I95,

n. 2, figg. II5I-II52; per la testa a Copenhagen I. N. 007, p. I97, n. 2I, figg. II78-II79; per la testa al British Museum I843, Il· I97, n. I9, figg. II92-II94; per l'erma I844, p. I97, n. 20, figg. II95-II97•

I3) ADRIANI, art. cit., pp. I6o-I62. I4) P. E. ARIAS, Le erme di Ravenna, in Jd/68, I953, pp. II8-

II9· I5) RICHTER, op. cit., pp. I99-200· I6) K. ScHEFOLD, Die Bildnisse der Antiken Dichter, Redner

und Denker, Base! I943, p. nS.

I7) J. J. BERNOULLI, Griechische Ikonographie, II, Miinchen I9QI, p. I29; TH. LoRENZ, Galerien von griechischen Philosophen mit Dichterbildnissen bei der Romem, Mainz I965, p. 27.

I8) ARIAS, art. cit., p. II5. I9) Cfr. M. WEGNER, Die Herrscherbildnis1e in Antoninischer

Zeit, Berlin I939, p. I42, tav. 8. 20) Per i ritratti di Epicuro rinvenuti in Roma dr. RICHTER,

op.cit., p. I95, n. I (a S. Maria Maggiore); n. 3 (Piana S. Maria Maggiore); n. 4 (a Roma Vecchia sull'Appia); p. I99, n. 4, torso (sull'Esquilino); per quelli acquistati a Roma, p. I97, n. I9; n. 20; n. 2I; n. 22; n. 23; n. 28; p. I98, statua (nel giardino dell'Ambasciata americana a Roma). Per il notevole numero di ritratti di Epicuro e per le fonti antiche cfr. RicHTER, op. cit., p. I95·

UNA CROCE DIPINTA SICILIANA

Alla memoria di Raffaello Delogu.

Il primo cenno che si incontra su questa Croce, ap­partenente all'antica Cattedrale di Mazara, r) è del 1630. Il Pirri, un autore fondamentale per .la storiografia religiosa, diplomatica e talvolta anche artistica siciliana, afferma che il Vescovo Gasco (157o-1586) trasferì que­sto Crocefisso, " graece elaboratum , e " antea supra chori portam , , " in arcum tituli, ubi modo visitur ,. :a)

Nel 1657, poi, in una "Relazione di Sacra visita,, è detto appeso alla parete frontale della Cappella del Sacramento. 3) Infine, almeno dal primo decennio di questo secolo e sino al 1962, stette sospeso, in alto, all'arco della Cappella del Crocefisso, 4) da dove venne rimosso per pericolo di caduta e trasferito nel vicino Palazzo Vescovile; qui fu visto, nel 1963, dallo scri­vente e dal compianto prof. Delogu, che ne dispose subito il restauro.

Al di fuori di tali scarsi cenni, relativi alle vicende esterne dell'opera, con il piz;zico d'interesse critico che offre quel " graece elaboratum , , non se ne hanno altri, se non localmente, come pure e semplici ripeti­zioni o derivazioni da essi e con l'aggiunta attributiva arbitraria al tempo del Cardinale Bessarione, Vescovo di Maz;ara tra il 1448 è il 1462; che può essere stato, se mai, il tempo di donaz;ione dell'opera alla Chiesa. 5)

Per essere, con la Croce giuntesca ora nella Galleria di Palermo, 6l un raro incunabolo di tale genere di pittura in Sicilia, poi ampiamente diffuso nel Quattro e Cinquecento, e presentando taluni interessanti o ad­dirittura eccezionali aspetti sia iconografici che modo­logici e stilistici, che ne sollecitano, tra l'altro, un più completo e approfondito esame, se ne dà qui un più amp1o cenno di quelli, purtroppo sommari che, anche per contingenti motivi, ne abbiamo fatto qualche tempo addietro. 7l

La pittura delle due facce, col Christus Patiens in quella principale e l'Agnello Mistico e i simboli degli Evangelisti in quella secondaria (figg. 1,4,5) è a tempera su leggera. preparazione a gesso e colla, previo rinforzo di tela nelle giunture del legno e nel raccordo tra la superficie interna, ovviamente piana, e i bordi, alquanto rialz;ati, che la delimitano.

La forma della Croce, che misura cm. 315 x 219, è tra le più semplici che sia dato conoscere, poiché la naturale sagoma delle tavole è soltanto modificata da un assai limitato slargarsi ad angolo retto dei capicroce; il legno, di pioppo, presenta limitate erosioni, specie lungo i bord1; non vi sono tracce di tabellone centrale o altri ampliamenti della Croce.

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Page 2: V Serie 1973 fascicolo II-III (Aprile-Settembre) · nale da datare ancora nella prima metà del III secolo a. C., mentre le differeni;e stilistiche, più che struttu rali, sarebbero

Le figure, salvo quella dell'Angelo nel verso, quasi del tutto perduta, si può dire che siano rimaste quasi integre sotto la duplice ridipintura che le aveva nasco­ste, e di cui diremo più avanti; una serie di piccoli fori sul corpo di Cristo, come un certo numero di piccole smagliature ed abrasioni del colore, specie sulle figure del tergo, non attenuano la suggestiva consistenza delle immagini.

Cromaticamente, nella faccia principale predomina il caldo olivastro-rosato dell'incarnato del Cristo, che acquista tonalità rossicce sulle guance e sulla fronte, nonché un leggero risalto plastico nel rinforzo chiaro­scurale dei bordi della figura e delle parti anatomiche più salienti, come l'addome e il torace.

Il perizoma è costituito da un velo quasi trasparente, di color marrone chiaro sul lato destro, che sfuma e trapassa in un lieve azzurro dorato verso sinistra, men­tre azzurro pieno è il risvolto interno e blu la fascia annodata che lo ferma sui fianchi. L'intera figura emer­ge dalla calda doratura dei bordi, quasi tutta rifatta, però, al posto di quella originaria, che era di tonalità più chiara ed è ormai quasi del tutto perduta; dietro le gambe e al di sopra dell'aureola plasticamente rile­vata, il fondo è di un azzurro limpido e vivace, per quanto ora stinto e in parte abraso.

Pure abraso in tutta la parte raffigurante il volto è il piccolo teschio che compare in posizione orizzontale sotto i piedi del Cristo 8> (fig. 8).

Particolare ricordo, poi, ancorché rimossa, in quanto non autentica (fig. 13) -ma indubbia ripetizione, sep­pur q_ua e là deformata, di quella originaria - merita la scntta in greco e latino che occupava la parte termi­nale della tavola, costituente il braccio lungo, al diso­pra dell'aureola del Cristo. Si trattava del consueto titolo "Iesus Nazarenus Rex Iudeorum ..... , che, in latino, occupava la seconda parte della epigrafe, mentre nelle prime quattro righe era dato in greco e, precisa­mente, così suonava:

fC O NAZW

•.• AIOC O BACI

AEVC TWN l

OVdAIWN ·: · In greco sono anche scritti i nomi degli Evangelisti

entro i tondi con gli animali-simbolo della parte po­steriore.

Qui i colori sono più vivaci, così come più stilizzato e decorativo è il disegno; certo per la maggior libertà fantastica che l'artista poteva concedersi nelle raffigu­razioni degli animali-simbolo, rispetto al rigido e con­venzionale schema del Cristo. Troviamo, così, il bianco caldo e splendido, quasi di smalto e lacca avoriolata, dell'Agnello Mistico; il rosso acceso del Leone e del Toro, il grigio-marrone dell'Aquila, tutti araldicamente incisi entro medaglioni in blu intenso, a loro volta ritagliati sull'ampia stesura di vivido rosso-granata, che ricopre interamente il fondo. Le figure simboliche, co­me già, del resto, quella del Cristo, sono delimitate da una sensibile linea di contorno scura (figg. 2, 3, 9"--12) che, assieme all'inserimento di tutta l'immagine nel cerchio, vale ad accentuarne l'isolamento nello spazio e il carattere decorativo.

Sulle originali cromie - specialmente sul fondo del braccio corto, e sulle gambe del Cristo - avevano in­fierito, deturpandole pesantemente, due ridipinture

pure a tempera; una, forse quattrocentesca, di un co­lore blu scuro e una, probabilmente secentesca, in marrone chiaro. Una spessa e posticcia linea nera, inol­tre, sovrapponendosi a quella originale, delimitava la figura del Cristo, mentre del tutto rifatta nella metà superiore era l'aureola; quasi totalmente ricoperti era­no stati, infine, nella faccia posteriore, i simboli degli Evangelisti, e una figura della Vergine era stata dipinta sopra l'Agnello Mistico.

Il restauro, volutamente archeologico ed affidato all'ottimo prof. Geraci, è consistito semplicemente nella rimozione delle ridipinture, fatta in gran parte a bi­sturi, nel consolidamento del legno con paraloid, nella chiusura in tinta neutra della parte di aureola mancante e in lievissimi ritocchi per accecare le più minute e fastidiose ab1asioni nei tondi posteriori.

Dal punto di vista iconografico generale, tre cose ci pare che vadano essenzialmente richiamate e tenute presenti, per una adeguata comprensione del carattere, in certo senso eccezionale anche sotto questo riguardo, della croce. Anzitutto la forma semplicissima del sup­porto ligneo, che trova pochi riscontri in quelle italia­ne, ben presto e nella maggior parte arricchite da ta­belle terminali, suppedanei, tabelloni centrali ed am­pliamenti alle estremità dei bracci corti per le varie aggiunte illustrative e decorative. In secondo luogo, la curvatura assai limitata, sottilmente elegante e anche un po' manierata del corpo del Cristo - un quasi impercettibile hanchement sul fianco destro - e la mar­cata linea di contorno, che lo avvicinano soprattutto agli esemplari bizantineggianti, come ·quelli miniati nel Regno latino di Gerusalemme, per esempio (fig. 14), 9)

o nel Sacramentario Romano ma "con decorazioni si­ciliane,, S. Pietro F. 18, della Vaticana) ro) (fig. 15) o quella del mosaico di Dafnì n) (fig. 16) e quello ben no~o "N.ro 20, del Museo di S. Matteo a Pisa (fig. 17); col quale ultimo, oltre quelle generali, per così dire, di linea, presenta alcune minute affinità, spe­cie nel volto: arcate sopracciliari appiattite, naso stret­to, molto lungo e rigido, baffi uncinati, sagoma della barba, ecc .

Ultima, ma non minore peculiarità iconografica, ci sembra l'eccezionale rappresentazione dei simboli degli Evangelisti nella faccia posteriore, 12> che è frequente, com'è noto, nella argenteria e nelle miniature, rara nelle pitture roman.ièhe (v. quella, pure entro tondi e con qualche affin1'tà stilistica, nell'abside di S. Maria di Taull in Spagna), ma del tutto inusitata, in tal sito, per le croci dipinte, se soltanto ho potuto trovarne due riscontri molto parziali, e cioè per il solo Agnello Mi­stico, in area, pure, in certo senso, meridionale e peri­ferica: uno nella Croce di S. Nicola alle Tremiti, pubblicata nel 1935 dal Molajoli e l'altro in quella ca­talana esposta a Madrid nel 1962, entrambe del XIII secolo. t3)

Pensiamo che questi singolari aspetti iconografici, ivi compresa la peculiarità del titolo in greco e latino - chiaramente attestante che tra i fedeli dovevano es­servi molti elementi greci o di lingua greca, come certa­mente si verificava a Palermo o a Mazara ancora nel XIII secolo - debbano essere tenuti presenti ne~ ideale collocazione geografico-culturale del pittore; "! una, ovviamente, con le fonti e i significati che ess1 denunziano e documentano, quale supporto delle sue tendenze e qualità poetiche.

Sul piano stilistico, e pur nell'apparente differenP tra la figura del Crocefisso, più plastico e quasi dram-

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matico nel volto, e quelle degli animali-simbolo, non si può fare a meno di rilevare una sostanziale e del resto ovvia identità di linguaggio, portato ad una tra­sposizione lirico-disegnativa del dato contenutistico, teologico, naturale o simbolico che fosse; e ciò non senza qualche arcaizzante o propriamente difettoso schematismo espressivo.

Nel Crocefisso tale linguaggio si realizza attraverso l'uso di piani cromatici dal sobrio risalto e dal piacevole malinconico colore, delimitati da linee funzionali di netta evidenza. Tutto tende a suggestioni essenzial­mente patetiche e poetiche di superfici colorate e ritmi lineari, secondo i canoni bizantini, con evidente rinun­zia - se se ne toglie la sofferta e pur composta espres­sione del volto - ad ogni drammaticità, e assenza, quindi, di influssi romanici occidentali, cosi da far pensare a fonti e ispirazioni soprattutto miniaturistiche, di cui siamo c9nvinti che il nostro pittore avesse larga esperienza. 14l

T al e linguaggio e tali ispirazioni non vengono meno nelle raffigurazioni del tergo della Croce. Qui, anzi, i soggetti simbolico-naturalistici, consentono al pittore maggiore libertà interiore e quindi un più facile deco­rativismo, che egli estrinseca, come si è già accennato, nel più vivace e contrastato timbro cromatico e nella linea ancor più nitida e incisiva con cui definisce solidi e torniti volumi; oppure tenta di dare movimenti e slanci, intesi forse a evocare l'ispirata natura del per­sonaggio simboleggiato e l'esaltante contenuto del suo messaggio; ma che rimangono, più che altro, allo stato potenziale.

Il carattere che a noi pare schiettamente bizantino­arabo di tali tendenze, di remote e quasi ancestrali ori­gini sasanidi, è sfiorato appena dall'espressionismo ro­manico nell'allungata e quasi attonita fissità dei volti animaleschi, specie dell'Agnello e del Bue; memori, forse, di qualche protome litica di cattedrale pug!iese o di qualche esemplare, ancora oggi inedito, dt analoghe decorazioni architettoniche in Sicilia. Un cenno più circostanziato, però, circa le fonti della cultura e del gusto del nostro pittore penso che sarà utile a meglio comprenderne la concreta personalità storica e artistica. A tal fine, tenuto conto dei più rilevanti caratteri ico­nografici e linguistici, nonché dell'ubicazione dell'ope­ra, mi pare quasi giocoforza orientare la ricerca verso l'ambiente meridionale, e particolarmente siciliano, dei secoli XII e XIII, fortemente influenzato, come è noto, dal mondo bizantino ed arabo in tutti i settori di vita politica, religiosa e civile e in tutti i campi di produ­zione artistica e artigianale: dalla pittura ai mosaici, dalla miniatura ai tessuti, dagli avori e intagli lignei, ai bronzi, alle ceramiche e, forse, agli smalti. Anche senza escludere, con ciò, e con particolare riferimento alla figura del Cristo, qualche più lontana ma sempre affine esperienza dell'artista, come quella del classici­smo neoellenistico, principalmente attecchito nell'Ita­lia Centrale dopo " la caduta di Costantinopoli e l'afflusso di maestri greci sbarcati a Pisa e a Lucca, {Sandberg).

Tra i molti riscontri che si possono fare nei vasti campi testé citati, quasi ad apertura di libro, ne segna­liamo soltanto alcuni che ci sembrano più puntuali e uti­li; desunti, soprattutto, dalle miniature e dai mosaici bi­zantino-normanni di Palermo. Per la figura del Cristo abbiamo solo da richiamare i cenni già fatti a propo­sito dell'iconografia in generale, ribadendo il fatto che le più strette derivazioni essa sembra mostrarle dalla

l

miniatura gerosolomitana e siciliana dei secoli XII e XIII {tra cui i già citati esemplari), dal linguaggio dei mosaici {la linea scura di contorno, ma anche l'anato­mia dell'addome, del torace, di mani e piedi, ampia­mente ritrovabile specialmente a Monreale) e della ci­tata Croce n. 20 del Museo di Pisa, 15l piuttosto che da altri esemplari di croci dipinte. 16> Non ci sembra pos­sibile, infatti, attuare concreti e validi collegamenti lin­guistici, e quindi fondate ipotesi di derivazioni o pa­rentele, nel pur ricco panorama della Croce dipinta italiana, amp1amente documentato dalla Sandberg e da altri.

Più ampio discorso occorre fare circa gli animali­simbolo. Per essi, anche a tralasciare gli eventuali spunti offerti dalle figure e da qualche animale entro tondi nei mosaici della Palatina {ad esempio, gli Apostoli e l'Aquila del Santuario) del resto ampiamente ripresi a Monreale, si debbono, in particolare, richiamare gli animali dipinti nel notissimo soffitto arabo della stessa Cappella; si veda, ad esempio, la coppia di leoni af­frontati a fig. 173 del Monneret de Villard 17l con il peculiare modo di avvolgersi della coda che vedremo meglio, fra poco, nei mosaici della " Stanza di Rugge­ro , ; o, per i caratteristici e quasi geometrici occhi rotondi di tutti i nostri animali, quelli dell'aquila e degli uccellini a figg. 141-142 dello stesso testo. Altro sicuro fondamento d'ispirazione del nostro artista per questi animali-simbolo è nella non meno nota ma più tarda " Stanza di Ruggero, {pareti e soffitto, II70 e segg., figg. 18, 19), nonché nella contemporanea fascia con alberi, animali e arcieri entro tondi della Zisa {u7o c.). Né si possono dimenticare i fre~uentissimi medaglioni che inquadrano figure e animah nei fregi miniati di evangeliari e messali dell'epoca.

È assai probabile quindi che, specialmente sotto l'in­fluenza del soffitto della Palatina e dei mosaici profani dei re normanni, 18) anche l'anonimo pittore della Croce, tornendo, stilizzando e lucidando le sue figure, con lo stesso " ~usto ornamentale islamico , , tenti di " for­zare la ngidezza dello stampo bizantino per riguada­gnare la delicatezza immaginosa ed evocativa della Persia antica, (Bologna). Ma occorre aggiungere che in certe tensioni e torsioni linearistiche, specie dei colli degli animali, egli sembra anche volere partecipare alle istanze più realistiche, moderne e dinamiche di cui sono interpreti, sempre nella stanza di Ruggero, i più tardi mosaici della volta {primi decenni del secolo XIII?).

Che la stanza anzidetta sia, con il soffitto dipinto della Palatina e le miniature, una essenziale fonte di ispirazione del nostro artista - che con l'ambiente della corte, quindi, doveva avere qualche dimestichez­za - mi pare possa documentarsi anche con alcune strette affinità di dettaglio morfologico tra gli animali a mosaico e quelli della Croce, tra cui: a) la monumen­tale struttura corporea dei cervi della lunetta orientale (fig. 18) in rapporto, soprattutto, a quella del nostro Agnello Mistico, con il tipico modo di attaccatura degli arti, specie anteriori, quasi per sovrapposizione e senza sostanziale innervatura nel corpo; b) l'elegante linea serpentina {fig. 19) che costruisce il collo e il petto delle cicogne e dei pavoni nella stessa lunetta, al di sopra dei cervi {come alla Zisa), in rapporto alle non meno ricercate linee strutturali del petto e del collo degli animali della Croce, seppure aventi diversa fina­lità e quindi diversa forza espressiva; c) il tipico modo di avvolgersi della coda dei leoni, passante frammezzo

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alle gambe, per risalire ad S e concludersi in alto sopra il corpo, sempre nella lunetta orientale (fig. 18) (ma già presente, del resto, qualche decennio prima, nei leom citati della Patatina e, come vedremo, nel Salterio di Melisenda), rispetto alVidentico modo della figura del Bove della Croce. Per analoghi motivi strutturali e linguistici, mi pare opportuno ricordare, in secondo luogo, il notissimo grifone fadmita di Pisa, quasi un cervo dei mosaici tradotto in bronzo, con la stessa possente volumetria e gli stessi arti sovrapposti, e il pappagallo brucia -profumi del Louvre, della stessa epoca e scuola del grifone, in cui ritroviamo, anche, la piega netta, quasi ad angolo retto, tra gamba e coscia, che è negli arti posteriori , del nostro Agnello Mistico e nelle ginocchia dello stesso Cristo (fig. 20).

Altri pertinenti riscontri \'er queste figure di ani­mali-simbolo, dopo i mo~a1ci profani normanni, le pitture e i bronzi arabi, c1 sembra che possa offrirli, così come già avvenuto per la figura ·di Cristo, la mi­niatura. Ad .esempio, nel già prima citato Salterio di Melisenda compare un grifo al centro di un ornato geometrico, le cui zampe anteriori, per l'esigenza espres­siva di tenere tra di esse il libro sacro, disegnano una schematica sagoma romboidale (fig. 21) che negli ani­mali della Croce si ritrova identica e quasi accentua­ta. rg) E ancora, nel Canone del Codice Vaticano, Lat. 5974, più chiaramente, quindi con maggior vicinanza ai modi della Croce, è adottato questo curioso e defor­mante modo di realizzare gli arti anteriori in una figura di Bue-simbolo (fig. 22) giacente tra i due archi che inquadrano la pagina.

Infine, per la nostra aquila giovannea, mentre soc­corre, in generale, il solito rinvio a~li animali di specie affine dipinti nel soffitto della Palatma e, per lo schema volumetrico, agli acquamanili arabi (vedi, ad esempio, quello assai vicino del Museo di Cagliari) 20) utile sem­bra anche il ricordo della Colomba Eucaristica limo­sina di Barletta, e delle altre consimili, citate dal D'Elia, 21> con l'ala allungata e le piume a cerchietti smaltati; diversi, cioè, da quelli della nostra aquila quasi per la materia soltanto.

Se sono validi le osservazioni, i riferimenti e riscontri fatti, l'autore della Croce di Mazara, sul piano artistico, ci appare come una personalità, se non altissima, alme­no originale e assai interessante. Sul piano culturale, inoltre, mentre è probabile la sua conoscenza dei fatti più salienti dei centri maggiori dell'epoca - da Bi­sanzio a Pisa a Palermo, forse alla Spagna e al Cairo -egli sembra più consapevolmente affondare le radici nell'ambiente culturale della Sicilia arabo-normanna e sveva; e volersi porre, quindi - operando, probabil­mente, verso la metà del XIII secolo - come un di­retto continuatore di quei maestri bizantini e arabi che tanto lustro avevano recato a Palermo e alla Sicilia in genere. 22>

In tale posizione e in tale contesto, tuttavia, toccato anche, come si è visto, da 9ualche fermento ed ansia innovatrice, il suo peculiare linguaggio, ora un po' con­venzionale e patetico, come nel corpo e volto del Cristo, ora più libero, teso ed araldico (corpi dell'Agnello e del Bue), ma sostanzialmente lirico e decorativo sem­pre, ha caratteri e motivazioni assolutamente propri, che ci si augurerebbe di potere ancora incontrare, in un accrescimento quanto mai auspicabile del suo cata­logo, per ora limitato, ci sembra, al fortunato recupero di questa Croce. V S

INCENZO CUDERI

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I) Può essere utile ricordare che Mazara fu il centro in cui gli arabi, sbarcativi nell'827, data la vicinanza con la sponda africana, ebbero più lungo dominio e con cui certamente con­servarono, anche dopo la conquista normanna (1086-88), più ampie relazioni. La Cattedrale, costruita subito dopo la con­quista e fortificata, fu affidata dal Conte Ruggero al benedettino Stefano di Rouen, suo consanguineo; delle sue originarie strut­ture e del suo primitivo arredo non mancano superstiti elementi di carattere bizantino-arabo, taluno dei quali ancora inedito, e che ci proponiamo di illustrare in altra occasione.

2) R. PIRRI, Sicilia Sacra, Palermo I63o, not. VI, p. 494· 3) "Relazione di Sacra visita di Monsignor Lozano, I657,

(citata da QuiNCI, La Cattedrale di Mazara, Marsala I9I6, P· I73, n. 3).

4) QUINCI, op. cit., p. I6. 5) Risulta invece più sicuro, sempre dalla testimonianza del

PIRRI, loc. cit., il dono, da parte del Cardinale Bessarione, di una tavola con la Trasfigurazione; ben presto, pare, andata distrutta e sostituita poi, nel sec. XVI, col noto gruppo gagi­nesco ancora visibile dietro l'altare maggiore. Per tutti gli autori locali si veda il QUINCI, op. cit., che è il più completo ed infor­mato, anche rispetto ai testi inediti (Salina, ecc.).

6) Sulla quale v. G. VIGNI, Dipinti toscani in Sicilia, in Scritti in onore di Mario Salmi, Roma I962, p. 6I e R. DELOGU, La Galleria Nazionale della Sicilia, Roma I962, p. 25·

7) V. SCUDERI, in Boli. d'Arte, Ig68, p. I52 (quando si sten­deva la scheda, delle figure del tergo era affiorata appena qual­che traccia da cui non si poteva prevedere l'interesse notevole e tutto particolare che dall'insieme è scaturito in seguito); v. anche VIII Mostra di opere d'arte restaurate, Soprintendenza alle Gallerie della Sicilia, Palermo I972, p. I4·

8) Ciò fa sì che la residua parte del teschio assomigli forte­mente a un uovo, che non è, tuttavia, ipotizzabile, nonostante un eventuale e già noto simbolismo (cui si collega anche la tra­dizione dell'uovo pasquale), perché la collocazione ai piedi della . Croce risulterebbe inedita.

g) BucHTAL, The Miniature Painting in the Latin Kingdom of ]erusalem, Oxford I957·

Io) V. GARRISÒN, Studies in the History of Medieval Italian Painting (I953-62).

n) Vedila riprodotta, tra l'altro, in MILLET, Le Monastère de Daphni- Histoire, Architecture, Mosaiques, Paris I88g.

I2) Tali simboli si ritrovano anche, ma nella faccia anteriore, a due a due, alle estremità delle braccia, " nella Croce di Sarzana, nelle tre più antiche croci lucchesi in S. Michele, nella chiesa dei Servi e in Santa Giulia; e, in seguito, nel gruppo berlin~he­riano a Lucca, a Teriglio, a Villa Basilico, a Palazzo Venezlll, a Pisa, alle oblate di Firenze , (SANDBERG-VAVALÀ, La Croce dipinta italiana, Firenze I929, p. I72).

I3) Per quella delle Tremiti, MoLAJOLI, Monumenti ed opere d'arte nell'isola di S. Nicola alle Tremiti, in Iapigia, VI, I935• p. 395, e GARRISON, Italian Romanesque Painting, Verona I949• p. I9I (che la dice di maestro pugliese sotto influenze romane e campane, del I265-70); per quella catalana, v. il catalogo della Esposicion de Peintura Catalana, Madrid I962, fig. I7 (a cura di J. AINAUD per la parte medievale).

14) Giova ricorctare, in proposito, che gli studi degli ultimi decenni (Garrisçlri; Bucthal, Daneu, ecc.) hanno messo in evi­denza la ricca attività degli scriptoria monastici, specialmente nel regno latino d'oriente e in Sicilia. Ed è anche noto che i codici miniati erano tra i principali veicoli di diffusione della cultura figurativa.

I5) A proposito di questa Croce sarà utile ricordare anche il parere del LAZAREFF (in SINIBALDI, Pittura Italiana del Due e Trecento, catalogo della Mostra, Firenze I943, p. 43), secondo il quale " essa ricorda le miniature del tempo dei Cornneni ,.

I6) Merita appena di ricordare, ad esempio, il perizoma del Crocefisso di Ancona, " che è un lavoro - scrive la SANDBERG, op.cit., p. 86I - meticoloso e bello, con un residuo di arcaismo nella differenziazione del cinturone, fatto di stoffa scura listata, in contrasto al drappo celeste , ; che è un po' la condizione e il rapporto della nostra croce.

I7) V. U. MoNNERET DE VILLARD, Il soffitto dipinto della Cap· pella Palatina, Roma I950.

I8) O. DEMUS, Mosaics of Norman Sicily, London I950, p. I8I e figg. 114-117.

I9) BUCHTAL, op. cit., p. 3I e figg. 42-43• 20) Catalogo de11a Mostra di Arte Antica, Roma, Valle Giulia,

1932, p. I9• 2I) M. D'ELIA, L'arte in Puglia dal sec. XII al sec. XVIII,

Catalogo della Mostra, Bari I964, p. I6 e fig. I8. 22) Solo in tal senso, di specifica acquisizione culturale, va

inteso, ovviamente, l'aggettivo " siciliana , del titolo.

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Mazara, Cattedrale - Sec. XIII: Croce dipinta - I - Insieme anteriore; 2, 3 - Verso: Simboli del Redentore e dell'Evangelista Marco

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4 - Insieme anteriore 5 - Insieme posteriore

6, 7 - Particolari del Cristo

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9 - Verso: Simbolo dell'Evangelista Marco

8- Recco: Particolare dell'estremità inferiore del Cristo

II - Verso : Simbolo di S. Giovanni Evangelista

IO - Verso: Simbolo del Redentore

12 - Verso: Simbolo di S. Luca I3 - Scritta ridipinta nella parte superiore del braccio principale

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14- Miniatore gerosolomitano, sec. XII: Crocifissione (dal BUCHTAL)

16- Dafnz', Chiesa del Convento Mosaicista bizantino, sec. XI: Crocifissione

15 - Miniato re siciliano, sec. XIII: Crocifissione (dal GARRISON)

17 - Pisa, M useo di S. Maueo Maestro delle Cure n. 20, sec. XIII: Crocifissione

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Palermo, Palazzo Reale- Stanza di Ruggero - Sec. XII: Lunetta a mosaico

18- Lato est .._:·.

19 - Lato ovest

20 - Parigi, Louvre - Officina araba, sec. XII: Bruciaprofumi

21 - Miniatore gerosolomitano, sec. XII : Tondo con grifo (dal BucHTAL)

22 - Miniatore siciliano ( ?) : Toro miniato (dal BuCHTAL)

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