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Vecchi e nuovi scenari In pochi altri settori della Pubblica Amministrazione il dibattito sulle riforme è stato vivo in questi anni quanto in quello dei Beni Culturali, a dispetto del ruolo apparentemente relativo da essi giocato all’interno dell’economia del paese. Dopo l’entrata in vigore, nella scorsa legislatura, del D. L.vo /, il cosiddetto “Codice Urbani”, revisione del Testo Unico del , e nel dei DD. LL.vi e , già commentati nel precedente editoriale , il cambio di legislatura del ha portato nuove iniziative di revisione e riforma della complessa architettura normati- va e organizzativa del settore. Di particolare significato i provvedimenti di riforma dell’organiz- zazione del Ministero introdotti col D. L.vo / e la nuova, ennesima riforma del Codice riguardante i Beni Paesaggistici, approntata dall’apposita Commissione presieduta da Salvatore Settis e approvata infine con i DD. LL.vi e del marzo . Nello stesso tempo, ancora una volta, l’impalcatura istituzionale del Ministero è stata variata. Ricordiamo, a tal proposito, che l’entrata in vigore del regolamento del Ministero nel (D.P.R. giugno n. ) aveva avuto come diretta conseguenza la completa redistribuzio- ne delle competenze tra gli uffici periferici. Alla creazione delle Soprintendenze, poi Direzioni, Regionali, introdotte nel e rese operative dal , il regolamento citato, all’art. , faceva seguire il completo accentramento ad esse dei poteri svolti sino allora dalle Soprintendenze di settore. I nuovi Direttori, dirigenti di livello generale , procedevano, essendo la riforma prevista “a costo zero”, al drenaggio dalle Soprintendenze del personale necessario ad affrontare gli im- portanti compiti attribuiti alle nuove strutture. Con il D.P.R. n. del novembre accanto ad alcune significative variazioni de- gli Uffici Centrali vengono meglio precisati, e in parte limitati, i poteri delle Direzioni Re- gionali nei confronti delle Soprintendenze di settore. Nel nuovo articolato (art. ) le Dire- zioni Regionali vedono circoscritta a casi motivati la possibilità di avocazione di singoli pro- cedimenti, mentre (art. ) vengono meglio precisati i compiti delle Soprintendenze, tra cui non rientra però la funzione di stazione appaltante, il cui trasferimento alle Regionali tan- te osservazioni critiche aveva suscitato. Viene ribadita soprattutto la struttura piramidale, in cui non è concesso alcun incremento della capacità operativa delle Soprintendenze trami- te forme di autonomia organizzativa, amministrativa, contabile, confermando in tal modo l’indebolimento dei poteri e dell’autorevolezza dei Soprintendenti e del personale tecnico- scientifico nei confronti delle Direzioni Regionali, vero terminale delle decisioni politiche . L u c a R i n a l d i A SINISTRA, Cremona, il “Minareto” della vecchia Filanda Bertarelli (foto D. Morato).

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Vecchi e nuovi scenari

In pochi altri settori della Pubblica Amministrazione il dibattito sulle riforme è stato vivo in questi anni quanto in quello dei Beni Culturali, a dispetto del ruolo apparentemente relativo da essi giocato all’interno dell’economia del paese. Dopo l’entrata in vigore, nella scorsa legislatura, del D. L.vo / , il cosiddetto “Codice Urbani”, revisione del Testo Unico del , e nel

dei DD. LL.vi e , già commentati nel precedente editoriale , il cambio di legislatura del ha portato nuove iniziative di revisione e riforma della complessa architettura normati-va e organizzativa del settore. Di particolare significato i provvedimenti di riforma dell’organiz-zazione del Ministero introdotti col D. L.vo / e la nuova, ennesima riforma del Codice riguardante i Beni Paesaggistici, approntata dall’apposita Commissione presieduta da Salvatore Settis e approvata infine con i DD. LL.vi e del marzo .

Nello stesso tempo, ancora una volta, l’impalcatura istituzionale del Ministero è stata variata.Ricordiamo, a tal proposito, che l’entrata in vigore del regolamento del Ministero nel

(D.P.R. giugno n. ) aveva avuto come diretta conseguenza la completa redistribuzio-ne delle competenze tra gli uffici periferici. Alla creazione delle Soprintendenze, poi Direzioni, Regionali, introdotte nel e rese operative dal , il regolamento citato, all’art. , faceva seguire il completo accentramento ad esse dei poteri svolti sino allora dalle Soprintendenze di settore. I nuovi Direttori, dirigenti di livello generale , procedevano, essendo la riforma prevista “a costo zero”, al drenaggio dalle Soprintendenze del personale necessario ad affrontare gli im-portanti compiti attribuiti alle nuove strutture.

Con il D.P.R. n. del novembre accanto ad alcune significative variazioni de-gli Uffici Centrali vengono meglio precisati, e in parte limitati, i poteri delle Direzioni Re-gionali nei confronti delle Soprintendenze di settore. Nel nuovo articolato (art. ) le Dire-zioni Regionali vedono circoscritta a casi motivati la possibilità di avocazione di singoli pro-cedimenti, mentre (art. ) vengono meglio precisati i compiti delle Soprintendenze, tra cui non rientra però la funzione di stazione appaltante, il cui trasferimento alle Regionali tan-te osservazioni critiche aveva suscitato. Viene ribadita soprattutto la struttura piramidale, in cui non è concesso alcun incremento della capacità operativa delle Soprintendenze trami-te forme di autonomia organizzativa, amministrativa, contabile, confermando in tal modo l’indebolimento dei poteri e dell’autorevolezza dei Soprintendenti e del personale tecnico-scientifico nei confronti delle Direzioni Regionali, vero terminale delle decisioni politiche .

L u c a R i n a l d i

A SINISTRA, Cremona, il “Minareto” della vecchia Filanda Bertarelli (foto D. Morato).

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All’interno dell’iter di approvazione del nuovo regolamento, durato un anno, i diri-genti di seconda fascia del Nord Italia, chia-mati spesso alla reggenza di altre sedi oltre la propria per la carenza di personale venutasi a creare con il riassetto del Ministero, hanno espresso il loro motivato dissenso a una ricon-ferma delle competenze delle Direzioni Regio-nali, evidenziando le numerose criticità venu-tesi a creare . Al D.P.R. / segue il D.M.

febbraio , che delinea un nuovo assetto degli Uffici periferici. Anche qui alcune scelte, decise tra Ministero e Direzioni Regionali, non sembrano rispondere a una logica di potenzia-mento delle strutture delle Soprintendenze, semmai ad un loro “spezzettamento” in aree ancora più limitate e con compiti ridotti. In Lombardia si è prevista ad esempio una nuo-va Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Varese, Como, Lecco e Sondrio, con sede a Milano, che rag-grupperebbe territori assai dissimili per storia civile e religiosa, priva di una grande città d’arte come autorevole sede d’ufficio. Nel resto d’Ita-lia, ancora a invarianza di spesa e soprattutto di dotazioni organiche, vengono definitivamente separate le Soprintendenze ai Beni Architettonici da quelle per i Beni Artistici e Storici, smon-tando non poche strutture in cui la gestione unitaria della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale si era mostrata pienamente efficace.

Non sembri inutile il riferimento al complesso iter di redistribuzione delle competenze all’in-terno del Ministero. Le nuove incombenze attribuite alle strutture territoriali, soprattutto nel

campo della tutela del paesaggio, necessitano di una azione forte e unitaria, all’interno di una continuità amministrativa. La moltiplica-zione delle sedi dirigenziali vacanti, unita alla generale riduzione del personale, solo in parte affrontata con i nuovi concorsi banditi, non ha permesso finora a molti uffici di svolgere pie-namente i compiti affidati, né di poter valutare l’efficienza della gestione dei singoli dirigenti, che come si sa dovrebbero essere soggetti a va-lutazioni di merito e a rotazioni di incarico .

L’emergenza paesaggio

“La più grave minaccia alla cultura italiana è la distruzione del paesaggio”. Così il Mini-

A

La difesa delle cascine

della Bassa Padana è

stata una delle azioni

che hanno caratterizzato

in questi anni l’azione

della Soprintendenza di

Brescia.

A) Pozzaglio e Uniti

(Cr), Casalsigone, Corte

Luminosa.

B) Castelverde (Cr),

Cascina Fabbrica.

C) Ospitaletto (Bs), la

settecentesca Cascina

Gardellone, di origine

medioevale, rasa al suolo

nel 2007.

B

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stro dei Beni Culturali Francesco Rutelli ha ribadito nel novembre all’annuale Convegno del FAI di Assisi. Il ministro ha annunciato nel contempo linee di condotta coerenti con la sen-tenza emessa dalla Corte Costituzionale n. del novembre, ove viene riaffermato con forza che “la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso e unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario e assoluto, e rientrando nella competen-za esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali” .

Il provvedimento di riforma del Codice già Urbani, promesso dal Ministro per risolvere i pro-blemi presentatisi soprattutto per la tutela del paesaggio, è stato varato dal Governo dimissionario a gennaio e, come detto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nell’aprile . Poche le modifiche relative alla seconda parte del Codice, fatte seguendo il procedimento inclusivo di categorie di beni già sperimentato con i primi decreti correttivi. Innovativa la tutela prevista per i beni cul-turali “immateriali” (art. bis) e per le testimonianze della scienza, della tecnica e dell’industria (art. , c. ) . Significativi anche i provvedimenti di più puntuale salvaguardia del patrimonio culturale immobiliare di proprietà pubblica nell’ipotesi di dismissione o utilizzo a scopo di valo-rizzazione economica, con prescrizioni e clausole (artt. e bis). Ma, come promesso, è ancora la parte terza del Codice, quella riguardante il paesaggio, a essere oggetto di nuova radicale rifor-ma. È lo Stato, si afferma ora perentoriamente, “in via esclusiva” che definisce la tutela paesaggi-stica , onde “riconoscere e salvaguardare”, ma dove necessario “recuperare i valori culturali che esso esprime”. La pianificazione deve essere congiunta, a livello Stato-Regione, almeno quando si tratta di salvaguardia dei beni paesaggistici tutelati .

Le Soprintendenze riprendono poi un potere di veto effettivo, dovendo esprimere pareri vin-colanti sui progetti, perfino sulla posa dei cartelli pubblicitari e sui colori delle facciate! , anche se

C

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il termine a disposizione per esaminare le prati-che viene ridotto da sessanta a quarantacinque giorni (art. , cc. , , ). Tra le altre dispo-sizioni, si ribadisce la limitazione alla delega ai Comuni della materia (art. , c. , con qualche scappatoia), l’obbligo da parte regio-nale della verifica dei requisiti di competenza tecnico-scientifica, apportando le eventuali ne-cessarie modificazioni all’assetto della funzione delegata, delle discusse Commissioni Paesag-gistiche comunali (art. , c. ), pena la de-cadenza delle deleghe, la necessità di rivedere i vincoli esistenti, da quelli ministeriali (art. , c. , lettera b) a quelli “ex Galasso” (art. , c. , lettera c) e sulle aree tutelate ma irrimedia-

bilmente trasformate, all’interno della stesura del Piano Paesistico Regionale (art. , c ), il riconoscimento della partecipazione dello Sta-to, garantita dallo stanziamento apposito nella Finanziaria , di quindici milioni di euro, all’azione dei Comuni per l’abbattimento dei cosiddetti “ecomostri”, la creazione di un nuo-vo, nebuloso “Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio” del Ministero (art. ). Un chiaro messaggio viene dall’inclusione dei centri storici nei “complessi di cose immobi-li che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale” secondo la vecchia dizione della L. / , anche se poi non si capisce attraverso quali forme giu-ridiche si possa garantire la salvaguardia degli stessi (art. , c. , lettera c).

Senza addentrarci nel dettaglio delle disposizioni, preme sottolineare alcuni aspetti che non sono parsi sufficientemente considerati. Qualsiasi politica di accentramento di responsabilità, e dunque di moltiplicazione di procedure o più semplicemente di pratiche da istruire, non può non essere accompagnata da una robusta immissione di nuovo personale, tecnico e amministra-tivo, con relativi assistenti “collaboratori”. Le Soprintendenze per i Beni Architettonici smaltisco-no già una mole di lavoro assai maggiore delle altre, spesso con il medesimo personale, e quelle periferiche del Nord, come Brescia, sono cronicamente sotto organico. Atti di eroismo e di ab-negazione – altro che scarsa redditività degli uffici pubblici! – non possono comunque colmare le necessità di una tutela puntuale, specialmente paesaggistica, pena naturalmente per la Soprin-tendenza l’abdicazione al proprio ruolo istituzionale e l’assunzione di un atteggiamento passivo e conciliante verso ogni iniziativa.

Paradossalmente, per alcuni, si tratterebbe di una soluzione preferibile, visto che in passato nessun controllo o apprezzamento sull’efficacia dell’azione di tutela svolta è pervenuto dagli or-ganismi centrali.

L’area vincolata attorno

al Castello di Padenghe

(Bs), argine allo sviluppo

a macchia d’olio

dell’abitato.

IN ALTO, la strada

provinciale Desenzano-

Salò, all’altezza di

Padenghe.

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In prospettiva vi sarebbe comunque un significativo incremento di lavoro degli Uffici. Attual-mente sono già circa diecimila le pratiche paesaggistiche evase annualmente a Brescia dai cinque architetti degli uffici tecnici della Soprintendenza. Esse comprendono certamente anche questioni di scarsa importanza, ma pure Conferenze di Servizi – mezzo sempre più utilizzato, anche impro-priamente – sui temi più vari, dalla TAV alle nuove Autostrade, alle VAS per le nuove centrali, per gli Elettrodotti, per gli impianti sciistici…, tutto il vasto contenzioso sui condoni e sulle sanatorie, le valutazioni sui nuovi strumenti urbanistici comunali.

L’altra criticità è costituita dal continuo contenzioso tra Stato e Regioni sulle competenze dele-gate. Ad una posizione “centralista” del Governo, comune alle maggioranze variabili di questi ul-timi anni, corrisponde un posizione spesso “devoluzionista” dei Governi regionali, in cui ha sem-pre spiccato la posizione oltranzista, da battistrada, della Regione Lombardia . Che lo Stato non si debba intromettere nelle questioni paesaggistiche, e tantomeno urbanistiche, è stato dichiarato a chiare lettere dalla rappresentanza politica della Regione Lombardia, anche con riferimenti diretti all’inutilità delle Soprintendenze, destinate per alcuni a sparire .

L’unico tavolo aperto tra Sta-to e Regione è stato in questi anni quello sulla semplificazio-ne dei contenuti della relazione paesaggistica. Ricordiamo che il Codice prevede (art. , c. ) la necessità di individuare la docu-mentazione necessaria ai fini del-la verifica di compatibilità pae-saggistica degli interventi sulle aree tutelate. Con il D.P.C.M. dicembre si sono definiti, a livello centrale i contenuti della relazione che correda … l’istan-za di autorizzazione paesaggisti-ca, prevedendo nel contempo la possibilità di accordi tra Regioni e Direzioni Regionali del Mini-stero ai fini di un’eventuale in-tegrazione e semplificazione dei contenuti della relazione. La Re-gione Lombardia ha recepito la norma nazionale nella sua Legge Regionale / , all’art. , c. , procedendo però all’emanazio-

ne di autonomi “Criteri e pro-cedure per l’esercizio delle fun-zioni amministrative in materia di tutela dei beni paesaggistici” (Delibera della Giunta Regio-nale n.VIII/ del marzo

) . Paventando una distin-

Moniga del Garda (BS), il

castello-ricetto medievale

con il vasto uliveto che

occupa la cima del colle,

e l’area del castello vista

dall’alto. Qui dovevano

sorgere sei grandi ville

monofamiliari con piscina.

La Soprintendenza ha

apposto nel 2007 il

vincolo di inedificabilità

dell’area, concordando

con proprietari e Comune

una diversa collocazione

dell’insediamento.

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zione troppo marcata tra disposizioni statali e regionali, veniva aperto un tavolo di confronto che si concludeva con l’accordo firmato il agosto , in cui la Direzione Regionale di fatto ha sottoscritto l’impostazione regionale sulla documentazione da presentare, reputata sostan-zialmente idonea a garantire un’adeguata istruttoria dei progetti, anche se in parte difforme dai criteri statali del . Un risultato deludente, anche perché la prevista fase di monitoraggio e controllo dell’attività degli Enti locali , scelti a campione (Comuni, Province, Parchi Regiona-li) al fine di apportare modifiche o integrazioni alle norme regionali in senso migliorativo non ha portato ad alcun nuovo e definitivo accordo, il che di fatto dimostra l’incapacità delle strut-

ture ministeriali di porsi come autorevole in-terlocutore dell’azione della Regione, anche su questioni limitate.

Torniamo però alla questione centrale, quella delle forme di tutela del paesaggio. Con-sideriamo la situazione attuale del territorio lombardo e l’efficacia della normativa di setto-re elaborata da Regione ed Enti locali.

Dai Piani di Governo del Territorio al nuovo Piano

Territoriale Regionale

Il quadro generale

In Lombardia in questi ultimi anni si è assisti-to a un nuovo e ancor più grave consumo delle

Toscolano Maderno

(BS), santuario di

Supina. Una delle

ultime oasi scampate

all’espansione

incontrollata

dell’abitato, a seguito

dell’approvazione

del PRG del

2003. Il santuario

quattrocentesco è stato

vincolato nel giugno

2007 assieme al suo

intorno.

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risorse territoriali e paesaggistiche. Due i fatto-ri che hanno contribuito a determinare questo scenario.

Il primo è strutturale. Grazie alla fuga dalla Borsa e dalle obbligazioni, e il crollo del costo dei mutui immobiliari (dal % al % dal al ) si è avuto un enorme incremento del-la domanda di immobili. Le regole urbanistiche favorevoli e una tassazione assai leggera su que-ste operazioni hanno fatto il resto. Almeno sino al si è avuto un nuovo boom del mattone, con una rendita esponenziale per gli operato-ri immobiliari, dato che il costo di costruzione negli ultimi dieci anni è rimasto invariato, ma i prezzi delle abitazioni sono intanto raddoppiati e nelle aree di pregio quasi triplicati.

Il secondo fattore di turbativa, già ampiamente descritto nelle pagine dei precedenti Bollet-tini, è stato la dissoluzione delle regole e dei controlli della Regione sull’attività edilizia dei Co-muni, sancita dal al prima dalla delega delle competenze in materia paesaggistica, poi dall’approvazione degli strumenti urbanistici. Si sperava che quest’ultimo passaggio fosse in real-tà impedito dall’obbligo, per i Comuni, di conformarsi ai Piani Territoriali Paesistici provinciali (P.T.C.P.): ci si è sbagliati. Le indicazioni positive, per fare un esempio, del P.T.C.P. bresciano so-no state superate immediatamente dai Comuni situati nelle zone a maggior rischio speculativo. Questi, grazie agli strumenti “devolutivi” di legge – in particolare la famigerata Legge Regionale

/ – si sono autoapprovati, con il solo voto di Giunta e senza alcun controllo superiore, i Piani Paesistici comunali, impostati come piani “interpretativi” delle indicazioni provinciali e, co-me strumenti di maggior dettaglio, immediatamente prevalenti. A ciò è seguita la subitanea con-seguente approvazione, coi medesimi criteri, di varianti urbanistiche devastanti. I casi emblema-tici, nelle zone a forte vocazione turistica della provincia di Brescia, quali Toscolano Maderno , Montisola, Soiano del Garda , Manerba del Garda , Padenghe , spiegano a sufficienza il mec-canismo perverso. La Provin-cia non ha potuto, o in parte non ha voluto, intervenire, anche quando sarebbe stato facile, ad esempio, contesta-re lo sforamento della stima sostenibile di consumo del suolo dei nuovi insediamen-ti, in base al calcolo dei fab-bisogni secondo i parametri dell’art. del P.T.C.P., an-che ricorrendo al TAR con-tro le varianti palesemente irragionevoli .

Forse però era già tutto scritto. Degli oltre millecin-

Lonato del Garda (Bs),

frazione Maguzzano,

Abbazia. Eccezionale

complesso architettonico,

già insediamento

benedettino, circondato

da un’area agricola di

pertinenza dell’antico

cenobio, che si spinge

sino al lago. È la più

vasta area edificabile

conservata nel basso

lago. Ne è in corso il

vincolo.

Lonato (Bs), frazione

Barcuzzi. Nuova edilizia

“vista lago”.

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quecento Comuni lombardi, ottocento sono sotto i tremila abitanti. I sindaci che bloccano lo sviluppo edilizio non vengono rieletti. Stretti tra patto di stabilità e riduzione di trasferimenti, i soldi degli oneri urbanistici, che dalla Finanziaria possono essere impiegati anche per le spese correnti e non solo per investimenti, diventano indispensabili per i bilanci comunali. La stessa realizzazione di edilizia convenzionata, necessaria per il fabbisogno di abitazioni per i resi-denti a prezzi accessibili, è spesso resa possibile solo dalle larghe concessioni di aree per seconde case agli operatori immobiliari.

L’esito di questa nuova ondata edilizia è sotto gli occhi di tutti. Dal al la provin-cia di Brescia ha visto sparire ettari di superficie all’anno sotto il cemento e l’asfalto, un pri-mato in Lombardia. A livello pro capite il primato spetta invece alla provincia di Mantova, ed è un dato ugualmente preoccupante.

L’enorme numero di abitazioni immesse sul mercato nel decennio - e il contempo-raneo aumento dei tassi sui mutui sta intanto generando lo scoppio della bolla speculativa. Mol-te case e capannoni rimangono invenduti e sono lo specchio di un utilizzo del territorio di tipo commerciale, sensibile solo allo sfruttamento economico e non alle esigenze abitative e a un uso oculato delle risorse.

SOPRA, Manerba del Garda (Bs), Porto Dusano, la “Casa sulla Cascata”. Il nuovo

intervento ha definitivamente cancellato uno degli angoli più suggestivi del

Lago, con la cascata, ora inglobata nel condominio, che precipitava a pochi

metri dalla riva.

A DESTRA, Tignale (Bs). Demolizione di case abusive lungo la Statale Gardesana

(2007-2008), uno dei pochi esempi di diretto intervento dei Comuni nella

repressione degli abusi. Il Sindaco ha poi emesso l’ordinanza di demolizione

per 29 delle 71 villette del “villaggio fantasma” di Boldìs.

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A questo accelerato trend di consumo del territorio, si sono ancora una volta sommate le criti-cità delle norme aggressive varate per il patrimonio edilizio esistente, tra cui le più pericolose sono quelle sul risparmio energetico. La legislazione statale, che giustamente incentiva il consumo di energie alternative, senza però prevedere indicazioni per i centri storici o le aree ad alto impatto paesistico , è stata accompagnata dal varo di una specifica norma regionale. Il comma , lettera a della L. R. del dicembre art. , consente ad esempio a chi migliora almeno del % le prestazioni complessive degli edifici di dedurre dal calcolo della volumetria o della superficie lorda di pavimento, e dei rapporti di copertura, l’intero spessore dei “muri perimetrali portanti e di tamponamento, nonché i solai, che costituiscono l’involucro” . Nei centri storici dove non è rigidamente indicato il limite di altezza, questo escamotage ha permesso il sopralzo degli edifici ristrutturati, spesso con effetti grotteschi, a cui si aggiungono i devastanti effetti dell’applicazio-ne dei cosiddetti cappotti esterni all’involucro degli edifici storici, che portano invariabilmente alla demolizione e sostituzione di davanzali, cornici, fregi, modanature, lesene etc.

Piani comunali e provinciali

In questo scenario perturbato l’impatto avuto dalla prima applicazione della L. R. marzo , n. , Legge per il governo del territorio, è stato complessivamente assai modesto. La stes-

sa Legge Regionale ha dovuto essere corretta più volte nel corso del tempo per diversi motivi. Innanzitutto per sanare in qualche modo la triste vicenda della deregulation del recupero abita-tivo dei sottotetti esistenti, che tante critiche aveva sollevato (L. R. dicembre , n. ), cui era seguita la L. R. luglio , n. , e infine la più corposa modifica ( articoli della

Toscolano Maderno

(Bs). Resti dell’uliveto

espiantato per far

posto ad un vasto

complesso immobiliare,

presso Maclino.

La Soprintendenza

ha annullato

l’autorizzazione

paesaggistica emessa

dal Comune.

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legge su un totale di ) approvata dal Consiglio Regionale nella seduta del marzo . Es-sa prevede semplificazioni procedurali per i comuni più piccoli, e una ridefinizione delle com-petenze provinciali . Significativa, tra queste, la delimitazione degli ambiti agricoli che, se pur “contrattati”, finiscono a essere un argine ad un possibile illimitato uso del territorio da parte dei Comuni.

L’esame dei pochissimi P.G.T. sinora licenziati dalle Amministrazioni conferma intanto che siamo di fronte ancora a strumenti di regolazione della crescita urbana – con maggiore at-tenzione rispetto al passato per ricadute nel pubblico interesse – e non di critica nei confron-ti dei modelli di trasforma-zione del territorio. L’atten-zione insomma è, come nel passato, rivolta allo “svilup-po” – espansione residenzia-le e commerciale-produttiva, con potenziamento delle in-frastrutture viarie – e indif-ferenza verso le aree agricole, con progressivo abbandono della campagna dove non sia fonte di reddito. Il tutto presentato con un apparato sovrabbondante di indagini preventive, dati e tabelle, che hanno il preciso compito di

Mantova, zona

Industriale Valdaro. La

nuova area industriale,

enorme insediamento

mai completato, con

grotteschi capannoni

“in stile”.

Mantova, il gonzaghesco

Porto Catena, assediato

dai nuovi condomini del

comparto di Fiera Catena.

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giustificare la progressiva e inarrestabile espansione della megalopoli padana come comunque “sostenibile”, quando poi le scelte di progressivo consumo del territorio sono semplicemente dettate dalle esigenze di bilancio dei Comuni, mentre abitazioni e capannoni appena costruiti rimangono sfitti.

Il basso profilo delle scelte locali è la diretta conseguenza dell’impostazione della Legge Re-gionale. Se alla pianificazione piramidale, “a cascata”, si vuole sostituire un insieme di piani tra loro coordinati, che si rapportano per competenze e non più per via gerarchica a quelli sovraor-dinati, il nuovo Piano Paesistico Regionale e la revisione dei P.T.C.P. provinciali finiscono ad essere sostanzialmente inefficaci se non inutili. Valanghe di indagini e mancanza di indicazioni conformative e prescrittive, tutte demandate, anzi “devolute”, ai Comuni, secondo il principio che il ruolo di autorevolezza debba sostituire quello di autorità. È l’ipotesi ottimistica che un modello cooperativo-concertativo, la vagheggiata co-pianificazione frutto di “negoziazioni e in-tese”, risulti migliore di quello conformativo dei piani sovraordinati. Il potere effettivo rimane così in mano ai soli Comuni.

Questa filosofia svuota di potere e di capacità di controllo soprattutto le Province – sem-pre peraltro in odore di soppressione per favorire lo snellimento burocratico – il cui ruolo si rivela sempre più prezioso in questo settore, essendo più vicine ai problemi del territorio, ma meno “ricattabili” dei piccoli Comuni dagli operatori economici. La Legge / le met-te invece in un angolo, lasciando loro in pratica un ruolo di coordinamento dei Comuni. I P.G.T., a differenza di quel che accade in altre Regioni dove il compito è svolto dalle Province e dalla Regione stessa, non solo vengono redatti, ma anche approvati dagli stessi Comuni. Si è verificato anche che, in casi estremi, la Provincia stessa abbia dovuto ricorrere al TAR con-tro le scelte comunali, che invariabilmente certificano la compatibilità delle scelte locali con i piani sovraordinati .

Anche per gli altri Enti il discorso è analogo. Ricordiamo il caso dei Parchi Regionali , già accennato nello scorso Bollettino. La L. R. / , all’art. , trasferisce a loro la competenza per l’emissione delle autorizzazioni paesaggistiche, ma solo al di fuori dei “territori assoggettati all’esclusiva disciplina comunale” dai Piani Territoriali di Coordinamento, che nelle aree sogget-te a forte pressione immobiliare, coincidono con tutti i terreni appetibili prossimi agli abitati, e sui quali sarebbe necessario un ben altro controllo, sottraendolo ai Comuni!

Verso il nuovo P.T.R.

Veniamo infine alla revisione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, avviata nel dicem-bre e culminata con l’approvazione da parte della Giunta Regionale, nel gennaio (D.G.R. n. / pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del marzo ), delle “integrazioni ed aggiornamenti” del Piano, inviate poi al Consiglio Regionale per l’adozio-ne. Ricordiamo che il Piano Territoriale Regionale (P.T.R.), ai sensi della L. R. / , ha na-tura ed effetti di piano territoriale paesaggistico, e nelle intenzioni della Regione il nuovo P.T.R. serve ad aggiornare il precedente Piano Territoriale Paesistico Regionale approvato nel , ispirandosi alla “Convenzione Europea del paesaggio”, e in conformità del D. L.vo / . Non sfugge però che le modifiche al Codice dei Beni Culturali, introdotte in concomitanza con l’avvio delle procedure del nuovo piano impongono ora la redazione congiunta dello stesso da parte dello Stato e della Regione, cosa che in Lombardia non si è perseguita, certo fiduciosi che “comunque” i nuovi elaborati sarebbero stati reputati congruenti alle novità introdotte dal Co-dice, come del resto viene esplicitamente affermato . Difficile prevedere come si potrà in futuro sbrogliare l’intricata matassa.

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La dissoluzione del paesaggio. Il caso gardesano

Il quesito sull’efficacia della legislazione di tutela del paesaggio, specialmente per le zone che sono state oggetto in questi ultimi decenni del più accelerato sviluppo turistico-residenziale, si è riproposto puntualmente per il Lago di Garda, già oggetto di approfondite riflessioni al-l’interno dei precedenti Bollettini . Il dibattito su questi temi si è riacceso a livello naziona-le dal , a seguito dell’abbattimento, in aprile, del complesso di Punta Perotti a Bari, una vicenda emblematica che seguiva d’appresso i casi campani (dal Mostro di Fuenti alle Vele di Secondigliano, alle case abusive nella pineta di Eboli) e di altre aree dell’Italia Meridionale sfi-gurate dall’abusivismo; si è accompagnato ai primi timidi segnali legislativi di un’inversione di tendenza al lassismo degli anni precedenti, dalla puntuale riforma del D. L.vo del in senso restrittivo per i beni paesaggistici, che dal non consente che l’abbattimento del-l’edificio, per i casi di mancanza di autorizzazione paesaggistica, come unica forma di sanzio-ne amministrativa, all’esemplare azione condotta dalla Regione Sardegna in difesa soprattut-to delle proprie aree costiere. Non poco ha naturalmente influito una particolare attenzione rivolta dal Ministro dei Beni Culturali, che ha sostenuto l’azione di controllo e di denuncia degli abusi, pubblicizzando a livello nazionale i casi più clamorosi, sostenendo finalmente il solitario ed eroico lavoro delle Soprintendenze.

In Lombardia il caso del Garda è tornato così sotto i riflettori. Le accese polemiche sulla speculazione edilizia delle coste del Benaco sono rimbalzate in altri siti a rischio della Regione, dal Lago di Como (a partire dalla clamorosa bocciatura del nuovo porto e insediamento turi-stico di Caviate a Lecco), ai Parchi regionali (quello agricolo Sud Milano e quello del Ticino in particolare), e alle aree turistiche montane (l’alta Valtellina delle piste “mondiali” di Santa Caterina e il comprensorio di Ponte di Legno).

Sul Garda bresciano si sta avverando quanto preconizzato dal compianto Eugenio Turri an-che dalle pagine del precedente Bollettino. La creazione di una conurbazione perilacuale, di un’unica metropoli lacustre tra Sirmione e Toscolano che si affaccia su una quarantina di chi-lometri di costa, interrotta solo da rilievi inaccessibili (Monte Corno, la Rocca di Manerba), o da iniziative sporadiche di salvaguardia (l’isola del Garda a San Felice del Benaco), parte di quella megalopoli padana che sta di fatto saturando tutti gli interstizi liberi lungo la direttrice Milano-Venezia .

Su questo territorio si è abbattuta la deregulation urbanistica regionale dell’ultimo decen-nio. I Comuni, gratificati dalla delega senza controllo di Milano sancita dalle mille leggi che hanno prima svuotato i piani regolatori, permettendo ogni tipo di deroga contrattata a livello locale, poi li hanno di fatto aboliti, hanno subito promosso revisioni e varianti “fai da te” de-gli strumenti urbanistici, riversando ulteriore cemento sul Lago. Anche qui l’aumento dell’of-ferta edilizia è stato accompagnato, o meglio preceduto, da una nuova impetuosa domanda di abitazioni, il che ha fatto lievitare i prezzi . L’aspetto inquietante di queste iniziative immo-biliari è che si tratta quasi esclusivamente di edilizia speculativa, di seconde o terze case per i vacanzieri della domenica, le “conigliere” efficacemente descritte da Vittorio Messori. Intanto le giovani coppie continuano a non trovare alloggio, sebbene la percentuale di case disabitate durante l’anno sfiori in alcuni comuni , come Sirmione , i due terzi del patrimonio edilizio.

Il trend pare ora rallentare. La bolla speculativa che ha gonfiato il mercato immobiliare de-ve fare i conti con un eccesso di offerta. Mentre il costo dei mutui risale e i primi sintomi di una grave crisi economica del paese si fanno sentire, cominciano a comparire i cartelli di in-venduto e alcune grosse iniziative immobiliari non partono nemmeno, in attesa di capire il

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trend del mercato. Si tratta dunque di fare un bilancio di questi anni. Anche i cittadini gardesani si interrogano se questa vendita (o svendita) del terri-torio abbia portato un nuovo diffuso benessere, anche sotto forma di incre-mento dei servizi garantiti dai Comuni che beneficiano degli altissimi oneri di urbanizzazione, o solo l’arricchimento di alcuni, come pare evidente.

Da parte della Soprintendenza bre-sciana si è trattato, in questi anni di boom sregolato, di individuare quali fossero le forme di tutela più efficaci, cioè le azioni più dirette di contrasto agli interventi di devastazione del pae-saggio. Di certo le norme, come detto, si sono progressivamente inasprite, con

la previsione a breve, in mancanza di Piani paesistici elaborati congiuntamente da Stato e Re-gione, di un parere preventivo e vincolante delle Soprintendenze sulla compatibilità paesag-gistica di progetti in aree vincolate. E sono proceduti, si sono anzi significativamente incre-mentati, gli annullamenti delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dai Comuni, che spesso hanno portato a una radicale revisione dei progetti e, in alcuni casi, al loro definitivo abban-dono. Lo stesso avviso di inizio di procedimento di annullamento, di per sé non necessario, ha ugualmente in moltissimi casi spinto i proponenti a una riforma delle proposte avanzate, dopo averle concordate con la Soprintendenza.

Si devono anche prevedere altre forme di controllo, che non siano la semplice azione repres-siva, sino ad ora successiva ad autorizzazioni rilasciate dagli enti locali. Non si può continuare a perseguire il privato che, spesso alla fine di un lungo iter in cui il prezzo del terreno è stato gonfiato ad arte, si trova finalmente in procinto di costruire, spesso con il tacito incoraggia-mento delle amministrazioni che hanno già incamerato i lauti proventi degli oneri.

Bisogna dunque agire a monte, laddove i piani vengono definiti, in un livello di pianifica-zione dove sinora le Soprintendenze non sono state chiamate a partecipare. È questa la sfida lanciata in primo luogo, con le recenti modifiche del Codice, alle Regioni: ma se Piani Paesi-stici di rigorosa tutela non vengono stipulati tramite intese tra Stato e Regioni si dovrà pro-cedere in altro modo.

Sul Garda in questi anni si sono sperimentati provvedimenti di vincolo monumentale, di-retto o pertinenziale, a estrema difesa del bene “paesaggio”, vale a dire in casi di pericolo per la salvaguardia di aree di particolare bellezza e valore. Si è intervenuti per tutelare le aree cir-costanti al Castello di Moniga, interessate da una previsione di lottizzazione a ville, e al San-tuario della Madonna di Supina nel comune di Toscolano Maderno, anch’esse assediate dai nuovi condomini turistici. Una ancor più ambiziosa proposta è stata formulata recentemente per tutto il comprensorio dell’Abbazia di Santa Maria a Maguzzano di Lonato, antico ceno-bio benedettino i cui possedimenti giungevano sino al Lago, secondo modalità che vengono illustrate più oltre in questo Bollettino. Tutte queste iniziative hanno avuto una larghissima eco sulla stampa nazionale.

Sirmione (Bs). La

lottizzazione di San Vito,

all’inizio del promontorio.

Era l’ultima area agricola

rimasta sulla penisola,

presso l’antica chiesetta

di origine longobarda. Le

lunghe trattative hanno

permesso di ottenere la

tutela di una vasta area a

sud del complesso.

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L’altra fondamentale novità è costituita dal più stretto rapporto tra strutture istituziona-li di tutela e associazioni nazionali, o comita-ti locali, di difesa del patrimonio culturale e paesaggistico. Sul Garda è sorto un Coordina-mento territoriale dei Comitati (Legambien-te, Italia Nostra, Comitato Parco delle Colli-ne moreniche, Fondo Ambiente Italiano), la cui azione di sprone e di denuncia ha non di rado incalzato i Comuni, contrastandone la deriva urbanistica, e le stesse Soprintendenze. Particolarmente incisiva è stata la loro funzio-ne di vaglio in sede di formazione degli stru-menti urbanistici.

La scommessa per il futuro non è quella di fermare, ma di governare lo sviluppo. Lo si può fare gestendo assieme, enti pubblici e tutti i soggetti portatori di pubblici interessi, le trasformazioni, evitando che le iniziative vengano divulgate quando già gli accordi tra amministrazioni locali e imprenditori sono stati siglati ed evitando di nascondere i pro-getti più discutibili fidando nell’acquiescenza dei cittadini, o peggio, nei casi più gravi, nel-l’impunità o nella lentezza dei controlli.

Il controllo delle

autorizzazioni

paesaggistiche comunali

ha permesso, nelle aree

montane e dei laghi,

di arrivare a revisioni

concordate di progetti di

grosso impatto, con un

sensibile miglioramento

delle soluzioni progettuali.

D) Montisola (Bs), frazione

Carzano. Progetto per

parcheggio di ciclomotori

(Masterplan Studio,

2007).

E) Montisola (Bs), frazione

Carzano. Progetto per

parcheggio (Masterplan

Studio, 2007).

F) Casto (Bs). Progetto

di ampliamento dello

Stabilimento Raffmetal

(arch. A. Floris, 2008).

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Note

L. R, L’innovazione legislativa, in Bollettino n. ( - ), Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo,

, pp. - . Il D. L.vo contiene correzioni e integra-zioni alla Parte I e II del Codice, il alla Parte III.

Pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. del aprile .

Con il D. L.vo / , e il D.P.R. . . (Regola-mento di Organizzazione del Ministero) venivano create le Soprintendenze Regionali, con funzione di coordinamento degli uffici periferici presenti nella Regione. Esse venivano rese operative dall’ giugno , con la nomina dei So-printendenti Regionali tra i dirigenti di II fascia, perlopiù confermando come Regionale il Soprintendente ai Beni Architettonici della città capoluogo di regione. Inserite nel D. L.vo n. , . . , di riorganizzazione del Ministero (ai sensi della Legge Delega / ), all’art. , le Direzio-ni Regionali diventano articolazioni territoriali del nuovo Dipartimento Beni Culturali e Paesaggistici del Ministero. Si procede all’accentramento dell’attività di gestione nego-ziale, contabile e amministrativa a livello regionale.

Un vivace dibattito allora sorse sulla moltiplicazione del-le “poltrone” di dirigente generale da quattro a trentacin-que, a scapito della dotazione di personale e della copertura delle sedi periferiche vacanti a livello dirigenziale, rinfoco-latosi nell’agosto per la stabilizzazione ope legis a diri-genti generali (di fatto per il disposto del D. L.vo / , come modificato dalla L. / , art. , in mancanza di una verifica critica del loro operato) di tutti o quasi i diret-tori regionali.

A livello di Direzioni Generali il Paesaggio veniva accor-pato a quella dell’Architettura e dell’Arte Contemporanea, i Beni Storico-Artistici ed Etnoantropologici a quelli Archi-tettonici.

Erano state richieste in sede di dibattito diverse compe-tenze, tra le quali la gestione autonoma dei cosiddetti ”ser-vizi aggiuntivi”, il coordinamento delle sponsorizzazioni, la possibilità di concessione in uso dei beni culturali, la notifica per le aree di particolare interesse culturale, l’autorizzazione alle alienazioni e ad ogni altro trasferimento a titolo one-roso di beni culturali appartenenti a soggetti pubblici co-me identificati dal Codice, la concessione dei contributi in conto interessi e in conto capitale e un’effettiva autonomia tecnica, scientifica, amministrativa e contabile, applicando la vigente normativa prevista per gli Istituti Centrali.

Dall’agosto al dicembre il Soprintendente di Bre-scia è stato nominato Soprintendente ad interim per i Be-ni Architettonici e il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Friuli Venezia Giulia.

Documento dei dirigenti di seconda fascia del Nord Italia sulla riconferma delle competenze delle Direzioni Regiona-li e indicazione delle criticità (novembre ). “Un primo aspetto riguarda gli organici delle strutture periferiche. È noto

che il personale delle Direzioni proviene in buona parte dal-le Soprintendenze. Ciò ha determinato, in regioni con or-ganici sotto livello come quelle del Nord Italia, un ulteriore depauperamento del personale delle soprintendenze, specie nei ruoli apicali … Non si capisce, a questo riguardo, su quale base sia stata determinata la dotazione organica delle Direzioni Regionali, mentre sono note le carenze di perso-nale presso le Soprintendenze di settore. Se è vero che le Di-rezioni devono attribuire alle Soprintendenze le risorse uma-ne e finanziarie, allora si dovrebbe provvedere ad una più equa ripartizione del personale. Esercizio delle deleghe di com-petenze. L’art. del D.P.R. / assegna alle Direzioni Regionali una serie di attribuzioni, alcune delle quali, prima della riforma, erano di competenza delle Soprintendenze di settore … Alcune funzioni dovrebbero, di norma (art. , c. ), essere delegate alle Soprintendenze di settore, mentre altre possono, semplicemente, essere delegate. In una situa-zione di incertezza normativa e indeterminazione delle ri-sorse umane, le Direzioni Regionali hanno esercitato il po-tere di delega in maniera diversificata, senza apparenti prin-cipi di chiarezza e trasparenza. Alcune Direzioni hanno delegato solo parzialmente, riservandosi funzioni che, di norma, andavano delegate: si veda il caso dell’art. , c. lettera h, relativa alla concessione in uso dei Beni Culturali. La delega parziale è in palese contrasto con la direttiva n. / del Capo Dipartimento per i Beni Culturali e Pae-

saggistici, emanata con circolare n. / del . . … Occorre, inoltre, definire meglio il contenuto del comma dell’art. (‘le Direzioni Regionali curano i rapporti del

ministero con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione medesima’). Tale norma, infatti, viene da alcune Direzioni Regionali interpretata in senso estensi-vo, fino al punto da ricomprendervi anche questioni quali incontri istituzionali, commissioni operative, conferenze di servizi, partecipazione a convegni, organizzazione di mostre etc., assorbendo competenze finora esercitate dai soprinten-denti di settore, che spesso non sanno come comportarsi e si sentono, per questo, limitati nella propria sfera di auto-nomia. Vi è da sottolineare inoltre come tale estensione di-screzionale delle proprie funzioni risulti naturalmente sbi-lanciata sulle Soprintendenze di settore dalle cui fila provie-ne il Direttore Regionale. Molte direzioni, inoltre, nel caso di competenze delegate, si sono riservate forti poteri di con-trollo sulle Soprintendenze: richiesta di copia di tutti i prov-vedimenti emanati, avocazione di singole pratiche senza ap-parente criterio, richieste di riesame degli atti, con revisione d’ufficio di valutazioni di merito (ad esempio nel caso di ac-certamento di interesse culturale), che arrivano a porre in dubbio la legittimità dei provvedimenti. Non si può non sottolineare come ciò crei disorientamento nell’utenza e de-legittimi il potere autonomo dei dirigenti che tali atti hanno prodotto. Appare peraltro illogico che il controllo delle de-termine dirigenziali dei Soprintendenti sia, in realtà, eserci-tato da funzionari direttivi, non essendovi, nell’organico delle Direzioni Regionali, dirigenti tecnici oltre al Direttore. Così accade che un soprintendente sia controllato da tecni-

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ci di profilo professionale C o C , magari provenienti dagli organici dell’ufficio controllato o da altre amministrazioni (scuola, economia, finanze, enti locali etc.), e pertanto privi della necessaria esperienza pluriennale che tale funzione ri-chiederebbe. Inoltre non è infrequente che, in incontri isti-tuzionali, nei quali sono invitati sia la Direzione che le So-printendenze, il Direttore Regionale si faccia rappresentare da funzionari direttivi, che detengono quindi poteri di rap-presentanza superiori rispetto ai dirigenti di ° fascia. È ne-cessario che la norma definisca meglio la ripartizione delle competenze tra direttori regionali e soprintendenti … È in-dubbio che, in tale situazione, un maggiore esercizio della delega (o attribuzioni dirette ope legis alle Soprintendenze di settore), renderebbe più agile ed efficace l’azione ammini-strativa. Funzioni di stazione appaltante e ripartizione delle risorse finanziarie. L’esercizio di tale funzione rappresenta indubbiamente il caso più emblematico della materia di competenza delle Direzioni Regionali. Vi sono infatti alcu-ne direzioni che hanno delegato completamente tale funzio-ne …, altre parzialmente …, altre si sono trattenute inte-gralmente la materia … Le Direzioni che si sono riservate le funzioni di stazione appaltante hanno trattenuto anche i relativi fondi. Questa situazione determina un appesanti-mento nella gestione economica degli appalti … un iter bu-rocratico supplementare – dapprima concentrato in un solo soggetto (le Soprintendenze) – che rischia di determinare aggravi di spesa, dovuti, ad esempio, agli interessi per ritar-dato pagamento … o alla tassa di mora … Si ha ragione di ritenere che non sempre la gestione degli appalti da parte delle Direzioni Regionali possa aver rappresentato l’auspi-cata accelerazione degli impegni di spesa sui fondi ministe-riali … Occorre impedire che le funzioni di stazione appal-tante finora svolte, pur con molte difficoltà, da Soprinten-denze dotate di idoneo e competente personale, siano sacrificate nell’ottica di concentrare sulle Direzioni Regio-nali tali funzioni: una volta smantellate le strutture che fun-zionano presso le Soprintendenze, è difficile tornare indie-tro, senza gravi ricadute sull’efficienza dell’amministrazione … Si verifica inoltre il caso che alcune Direzioni Regionali, specialmente quelle con maggiore personale tecnico, si sono riservate anche altre competenze in materia di appalti, come la progettazione e la direzione lavori, assegnate ai propri tec-nici, talvolta in contrasto con le indicazioni del responsabi-le del procedimento, incarico che in molti casi è ricoperto dal dirigente di ª fascia. Si evidenzia come ciò stia creando, all’interno di uno stesso territorio, un regime di dualità e concorrenza tra il personale delle Direzioni e degli istituti, con conseguente confusione di competenze tecniche. Nel caso di competenze parzialmente delegate, inoltre, avviene che alcune direzioni si siano riservate solo un segmento del procedimento di appalto, ad esempio la gara e la stipula del contratto, lasciando alle Soprintendenze di settore il restan-te procedimento, quali la contabilità ed il collaudo. In mol-ti casi gli appaltatori devono, così, riferirsi, per alcuni appal-ti, alle Direzioni Regionali, per altri alle Soprintendenze di settore. I pagamenti sono poi effettuati in parte dalle Dire-zioni, per i fondi che si sono trattenuti, in parte dalle So-printendenze, per i fondi già ad esse assegnati. Si rischia, in questo modo, di creare una situazione di estrema confusio-

ne per gli interlocutori esterni, che spesso non sanno con precisione a che amministrazione rapportarsi. Non sembra infine corrispondere al vero che il decentramento di alcuni poteri abbia portato a quello snellimento previsto dal legi-slatore: la conclusione di procedimenti tra Direzioni Regio-nali e Soprintendenze, spesso poste a contatto tra loro in uno stesso edificio, presenta talvolta tempi superiori a quel-li che avvenivano tra direzioni generali centrali ed istituti periferici. Vi sono procedimenti come, ad esempio, il rico-noscimento dell’interesse culturale, che appaiono gravati da inutili passaggi di atti tra Direzione Regionale e Soprinten-denze: perché, in questi casi, non prevedere la competenza esclusiva delle Soprintendenze? Qual è allora l’utilità pub-blica di un siffatto decentramento amministrativo? Qual è il futuro delle Soprintendenze, istituti dotati di autonomia gestionale e di un’esperienza ultracentenaria, riconosciuta a livello internazionale?”.

La scelta della dirigenza di seconda fascia (Soprintenden-ti, Direttori di Biblioteche etc.) dovrebbe seguire la diretti-va del Ministro del maggio , nella quale sono san-citi i criteri della professionalità, della rotazione, i risultati raggiunti e il periodo di permanenza, che “non può essere inferiore a tre anni né superiore a cinque anni. Cfr. anche la Direttiva PCM-Dipartimento della Funzione Pubblica, dicembre n. , pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.

del febbraio , recante “Affidamento, mutamento e revoca degli incarichi di direzione di uffici dirigenziali”, in applicazione al D. L.vo / , art. , c. .

Sentenza della Corte Costituzionale sui ricorsi presenta-ti dalle Regioni Toscana, Piemonte e Calabria sulle ultime modifiche del Codice D. L.vo / , pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del novembre .

Particolarmente interessante ai fini della pratica della tu-tela, e in particolare nella nostra regione, il riferimento ai beni di cosiddetta “archeologia industriale”.

“Le norme di tutela del paesaggio, la cui definizione spetta in via esclusiva allo Stato, costituiscono un limite al-l’esercizio delle funzioni regionali in materia di governo e fruizione del territorio”, D. L.vo / , art. , c. .

“L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiun-tamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni pae-saggistici di cui all’articolo , c. , lettere b, c e d, nelle for-me previste dal medesimo articolo ”. D. L.vo / , art. , c. .

Ibidem, artt. - .

Si veda l’attività degli Sportelli Unici, degli Enti di Ge-stione Associata (ad esempio dei Laghi bresciani), dei Co-muni montani etc.

Nell’autunno è stato aperto a Roma il negoziato tra Governo e Regione Lombardia per la possibile applica-zione del “federalismo differenziato”, previsto dall’art. , c. III della Costituzione. “Siamo convinti”, ha affermato il Governatore lombardo Roberto Formigoni, “che ad ogni livello istituzionale debbano far capo le materie che esso è meglio in grado di amministrare”. Viene richiesto il trasfe-rimento alla Regione di dodici materie, tra cui i beni cultu-

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rali e la tutela dell’ambiente, per “garantire maggiore libertà ai cittadini e ai corpi sociali. Sono tutti settori importanti sui quali abbiamo dimostrato di saper governare, e che è giusto che siano gestiti dal livello di governo più vicino ai cittadini lombardi”. È da notare che tale richiesta è stata formulata dopo il voto unanime del Consiglio Regionale, con la sola opposizione dei partiti dell’estrema sinistra.

Nell’articolo Ai Comuni il Governo del territorio. Boni presenta il Piano Regionale e attacca i burocrati della Soprin-tendenza in La Padania del maggio , si leggono le affermazioni di Davide Boni, assessore al Territorio della Regione: “Dobbiamo eliminare le Soprintendenze … un appesantimento non più sopportabile, e mi chiedo perché dobbiamo mantenere in piedi una macchina che mangia un sacco di soldi”. Nelle linee politiche del movimento Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, alla tema-tica Territorio, al capitolo Abolizione delle Soprintendenze, si legge che “Lo Stato italiano, invece di lasciare agli Enti Locali la possibilità di favorire una reale e fattiva valorizza-zione della propria cultura, ha instaurato un vero e proprio controllo capillare del territorio attraverso le Soprintenden-ze, il cui operato ostacola da sempre lo sviluppo locale … È giunto il tempo di abolire le Soprintendenze, affidando il settore alla Regione … meno incline a modelli negativi quali l’incuria e l’inefficienza” (febbraio ). Dal sito in-ternet ufficiale del partito, URL: http://www.leganord.org/elezioni/ /lega/territorio/aboliz_soprintendenze.pdf.

In realtà si tratta di una ripresa dei criteri, per certi ver-si più dettagliati, emanati con D.G.R. del luglio

, in occasione della subdelega ai Comuni della tutela del paesaggio.

Il controllo è avvenuto per gli atti emessi tra il º aprile e il dicembre .

Toscolano ha ottenuto la conformità al P.T.C.P. nel .

La variante generale e il Piano Paesistico Comunale sono del - (architetto Buzzi).

Una variante devastante con nuovi incrementi di volu-metria è stata approvata nel (architetto Zeni). Da no-tare che anche in ambiti di “sensibilità paesistica alta”, come definiti nel Piano Paesistico Comunale (architetti Barba e Salvadori) del , si sono in alcuni casi triplicati o qua-druplicati gli indici fondiari! Su molti di essi vi è stato il parere negativo della Provincia in merito alla compatibili-tà del P.T.C.P., per sforamento della soglia consentita per il consumo di suolo, ma le concessioni sono state comunque rilasciate.

Il Piano del è stato sottoposto ad una nuova varian-te nel , approvata definitivamente nel dopo il necessario passaggio di approvazione del Piano Paesistico Comunale (architetto Rovati), “conforme” al P.T.C.P. La variante ha previsto nuove aree di espansione residenziale turistica, malgrado il territorio di Padenghe sia ormai stato saturato dopo il boom edilizio speculativo degli anni No-vanta.

Questo anche per le disposizioni della L. R. / , che

limitavano in questo senso il potere impositivo dei Piani provinciali. Quello per la provincia di Brescia aveva previ-sto, per il consumo di suolo, due soglie per i Comuni, una relativa all’accrescimento cosiddetto “endogeno”, naturale, ed uno “esogeno” relativo alle richieste per eventuali feno-meni di immigrazione o di sviluppo di seconde case in zone turistiche. Superate tali soglie si sarebbero dovuto ridiscu-tere le previsioni in Provincia, o addirittura in Regione.

I dati si riferiscono alla ricerca presentata nel marzo da Legambiente e dal Politecnico di Milano, Dipartimen-to Architettura e Pianificazione, ed ampiamente divulgata dalle testate giornalistiche. La ricerca è stata curata e diffusa dal professor Paolo Pileri.

Tra le leggi che incentivano la produzione delle fonti energetiche rinnovabili, il D. L.vo , . . , dal cui disposto peraltro risultano esclusi gli edifici vincolati come beni culturali o paesaggistici, il D. L.vo / , in cui si precisa che gli edifici vincolati non sono esentati ma solo se i lavori comportano inaccettabili alterazioni di aspetto e ca-rattere degli edifici e dei loro elementi storico-artistici. C’è anche l’obbligo, nelle ristrutturazioni all’interno dei centri storici, che almeno il % del fabbisogno energetico per acqua calda provenga da fonti rinnovabili (pannelli solari o fotovoltaici). Infine il Decreto del Ministero dell’Econo-mia e delle Finanze del febbraio fissa i criteri e le modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili, stabilendo i relativi finanzia-menti.

Per le ristrutturazioni la norma vale per gli edifici sog-getti “al rispetto dei nuovi limiti del fabbisogno di energia primaria o di trasmittanza termica”.

Le competenze della Provincia dove essa può dettare pre-scrizioni, sono limitate ai settori della difesa idrogeologica, della tutela paesistica, delle infrastrutture sovra comunali, della definizione degli ambiti agricoli.

Il termine dell’aprile per la redazione dei P.G.T. appare per molti Comuni un miraggio, sia per i costi da sostenere, sia per le larghissime previsioni di sviluppo inse-diativo dei P.R.G. vigenti, in una fase di stasi demografica e stagnazione economica.

Condivisibile il proposito di rivedere i meccanismi per-versi di oneri di urbanizzazione e costruzione sottostimati, a fronte dei ricavi sontuosi dei palazzinari, spesso impiegati dalle Amministrazioni per coprire le spese correnti.

Sulla carta la rete dei Parchi regionale rappresenta un’as-soluta eccellenza in Italia per numero e vastità delle superfi-ci vincolate, tutta legata però quasi interamente alla stagio-ne riformista della Regione negli anni Ottanta. Nel territo-rio delle Province di Brescia, Cremona e Mantova insistono il Parco dell’Adamello e Adda Sud (creati nel ), Mincio ( ), Serio ( ), Oglio Nord e Oglio Sud ( ), Alto Garda Bresciano ( ), Monte Netto ( ).

Cfr. la comunicazione dell’avvio dell’elaborazione del P.T.R. n. del dicembre , pubblicata sul Bolletti-no Ufficiale della Regione Lombardia n. , serie inserzioni, del dicembre .

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“L’opportunità di aggiornamento delle scelte di valoriz-zazione del paesaggio regionale, correlata alla redazione del P.T.R. ha offerto oggi la possibilità di proseguire più in-cisivamente nell’integrazione tra pianificazione territoria-le e urbanistica e pianificazione del paesaggio, ma anche di trovare maggiore correlazione con le altre pianificazio-ni del territorio, e in particolare quelle di difesa del suolo e ambientali. Si conferma e specifica così ulteriormente il sistema di pianificazione paesaggistica, in un’ottica di sus-sidiarietà e responsabilità dei diversi livelli di governo del territorio, e si rafforza il ruolo del Piano paesaggistico regio-nale quale riferimento e disciplina del governo del territorio della Regione Lombardia. Le nuove misure di indirizzo e di prescrittività paesaggistica si sviluppano in stretta e reci-proca relazione con le priorità e gli obiettivi messi a sistema dal Piano Territoriale Regionale, con specifica attenzione ai temi della riqualificazione paesaggistica e del contenimento dei fenomeni di degrado”. Dal sito ufficiale della Regione Lombardia.

Cfr. D.G.R. . . , n. / : “Considerato che dal-le verifiche tecniche e giuridiche effettuate … il vigente Piano Territoriale Paesistico Regionale risulta in gran parte rispondente ai contenuti indicati nell’art. del D. L.vo

/ …”. Si noti peraltro che l’atto è precedente alla riforma Rutelli del Codice dei Beni Culturali (D. L.vo / e D. L.vo / ), che impone all’art. la redazione congiunta del Piano, almeno per le aree sottoposte già a tutela.

Cfr. E.T, La nuova geografia gardesana. La conurba-zione perilacustre, in Bollettino n. ( - ), Soprinten-

denza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo, , pp. - .

La cosiddetta Padania è ormai una città diffusa di venti milioni di abitanti (il % del Nord), distesa su milioni di chilometri quadrati ( / del Nord Italia), con una densità di abitanti/kmq. In alcune zone ormai le aree non urba-nizzate sono scomparse. Nell’hinterland milanese, secondo i dati del Politecnico di Milano per il , una volta realiz-zati tutti i Piani vigenti, la percentuale di aree urbanizzate diverrà quasi il %. Lungo la Comasina siamo però già al

% sull’asse del Sempione al %, appena a nord di Mila-no (Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Bresso, Cusano Milanino) quasi al %. Vi sono ormai richieste pressanti per intaccare le aree destinate a Parco Regionale.

I prezzi sul Lago sono in pratica triplicati. Quelli ufficiali del delle nuove abitazioni immesse sul mercato sono sui . - . €/mq nel comprensorio Desenzano-Sirmio-ne, e di . €/mq in quello Salò-Gardone, malgrado la massiccia invasione edilizia. I prezzi correnti sono in realtà attorno ai . €/mq. Nella richiesta di abitazioni di lus-so è subentrata anche la clientela straniera, in particolare i “nuovi ricchi” dell’Est europeo. I residenti del Garda sono circa . , mentre nei mesi estivi la popolazione sale a

. abitanti (dati forniti dalla rivista Il geometra bre-sciano. Bimestrale d’informazione del Collegio dei Geometri di Brescia, Brescia, ).

In Italia ormai la percentuale di seconde case ha superato / dell’intero patrimonio edilizio, milioni su di un totale

di , milioni di abitazioni.

A DESTRA, Madignano (Cr), Oriolo,

ex fornace di mattoni (foto L. Rinaldi).